Sei sulla pagina 1di 26

14.

Processi di produzione e lavorazione del cioccolato


Il cioccolato una sospensione di particelle solide finissime di zucchero e cacao disperse in
una fase continua costituita da grassi: il burro di cacao.
Cenni storici
I primi usi del cacao risalgono alla civilt Olmeca, in quello che oggi il Messico del sud e il
centro America. I Maya furono i primi a creare una piantagione di cacao, nello Yucatan nel
600 d.c. Colombo incontr il cacao nel suo quarto viaggio, ma non lo assaggi. I conquistatori
spagnoli, invasa la penisola dello Yucatan, scoprirono presto il valore dei frutti del cacao, che
i nativi usavano sia per preparare bevande che per comperare merci. I semi venivano arrostiti
in pentole di coccio e triturati con delle pietre. Veniva preparata una bevanda, grassa e amara,
a cui venivano aggiunte spesso spezie, vaniglia o miele. La bevanda per non venne
apprezzata dai conquistatori spagnoli. Dal nome della bevanda, Xocoatl, deriva quasi
certamente il termine cioccolato.
Il cacao sbarca in Europa nel 1544, dove per la prima volta venne bevuto con lo zucchero, ma
non si propag nel resto dellEuropa. Nel 1569 Papa Pio V assaggia il cacao e lo trova
talmente disgustoso che dichiara che mangiarlo di venerd non rompe il digiuno.
La bevanda al cacao divenne di moda solo a partire dalla met del XVII secolo. Nel 1727
Nicholas Sanders aggiunge il latte al cacao ottenendo una specie di cioccolata al latte;
questa era comunque troppo grassa, visto che la massa di cacao contiene circa il 55% di
grassi. Troppo grassa per una bevanda, ma troppo poco grassa per poter essere pressata in una
tavoletta, che ancora non esisteva.
Fu solo nel 1828 che il chimico olandese Conrad van Houten invent un procedimento per
pressare la pasta di cacao e separare parte del grasso, chiamato burro di cacao. Van Houten,
nel tentativo di migliorare la solubilit in acqua del cacao, sviluppa anche il processo
olandese, nel quale il cacao viene trattato con delle basi come il carbonato di sodio o di
potassio. Questo trattamento altera il pH del cacao, lo rende di colore pi scuro e migliora la
sua dispersione, aumentando la solubilit.
Dopo aver separato parte del grasso, la polvere di cacao rimanente poteva essere utilizzata per
preparare delle bevande molto pi gradevoli al palato.
Lo scarto di produzione del cacao in polvere era il burro di cacao. Joseph Fry in Gran
Bretagna scopre che unendo al cacao macinato dello zucchero e ulteriore burro di cacao, si
otteneva una pasta che poteva essere modellata. Nasce la prima tavoletta di cioccolato,
commercializzata dalla sua azienda, la Fry & Sons, nel 1847.
Con lavvento della tavoletta moderna crebbe la richiesta di cacao, e nacquero o si ampliarono
altre piantagioni, oltre a quelle gi esistenti. Gli spagnoli portarono la pianta di cacao
nellAfrica occidentale e a seguire le altre potenze coloniali fondarono varie piantagioni in
quelli che ora sono il Ghana e la Costa DAvorio, ma anche in Indonesia e altri paesi.
Nel 1865 lItaliano Paolo Caffarel aggiunge delle nocciole alla pasta di cioccolato, creando il
gianduiotto.
Nel 1875 Daniel Peters in Svizzera ha lidea di aggiungere il latte al cioccolato. Tuttavia
lacqua contenuta nel latte mal si accorda con i grassi del cacao. Gli venne in aiuto un altro
svizzero, Henry Nestl, che aveva appena inventato il latte condensato, quindi a ridotta

XIV-1

percentuale di acqua, perfetto per essere addizionato alla massa di cacao.


Per migliorare la consistenza del cioccolato in bocca necessario ridurre la grandezza delle
particelle solide sotto i 30 micron. In pi il cioccolato inventato da Fry era amaro e acido per
la presenza di varie sostanze formatesi durante la lavorazione del cacao. Pochi anni pi tardi,
nel 1879, Rudolph Lindt perfeziona ulteriormente il cioccolato introducendo nel processo di
produzione una fase chiamata concaggio in cui dei rulli di granito passavano avanti e
indietro anche per giorni sulla massa di cioccolato, riducendo le dimensioni delle particelle di
cacao ed eliminando parzialmente le sostanze acide, migliorandone il sapore e la consistenza.
Lindt produce il primo cioccolato fondente (prima infatti la tavoletta di cioccolato andava
masticata, mentre ora si scioglie in bocca).
Il cacao
La coltivazione dellalbero di cacao (Theobroma cacao, ovvero "cibo degli dei"), limitata
alle zone tropicali e subtropicali dellAmerica, dellAfrica e dellAsia. I semi (fave) sono
contenuti dentro un frutto grande come un melone (cabosse). Si distinguono tre variet di
piante di cacao:

il Criollo, piante pregiate del Venezuela, della Colombia e del Messico, con fave
(cotiledoni) tondeggianti, chiare (bianche e rosate), dal sapore dolce con fondo
leggermente amarognolo.

il Forastero, originario dell'alta Amazzonia, coltivata principalmente in Africa e in


Brasile, e presenta fave un po' pi piatte, violacee con gusto forte ed amaro, buccia
spessa, con maggior contenuto di tannini. La capacit produttiva maggiore di quella
del Criollo.

il Trinitario, ibrido diffuso principalmente nell'isola di Trinidad (a seguito di una


catastrofe che distrusse le piante locali di Criollio furono seminate piante di variet
Forastero) che unisce una parte delle propriet aromatiche del Criollo con la buona
resa produttiva del Forastero.

Il primo produttore mondiale di cacao la Costa dAvorio con il 38% della produzione,
seguono il Ghana con il 21% e lIndonesia con il 13%. Il Brasile, che una volta era un grande
esportatore di cacao, dopo la distruzione delle sue piantagioni ad opera di un fungo ora ne
produce solo il 4%, e viene utilizzato quasi tutto in loco.

L'albero del cacao delicato e fragile. Necessita di protezione dal vento e, nella maggioranza
dei casi, di un buon riparo dal sole, soprattutto nel periodo che va dai due ai quattro anni. Una
piantina appena nata trova solitamente riparo all'ombra di banani o palme da cocco. Una volta

XIV-2

per cresciuto, l'albero pu vivere anche in pieno sole, purch viva in zone dal terreno fertile e
ben drenato, condizione fondamentale insieme alla distribuzione costante di piogge. L'albero
ha un tronco sottile, fogliame molto decorativo che passa per tutti i toni del rosso, del marrone
e del bronzo. Allo stato spontaneo raggiunge anche i 10 metri, ma per facilitarne il raccolto,
nelle piantagioni tenuto sui 5/6 metri di altezza.
Il cacao comprende i tre principali componenti delle sostanze alimentari, cio grassi,
carboidrati e proteine, in modo equilibrato ed in forma concentrata. La composizione tipica
del cacao la seguente:

Acqua
Proteine
Teobromina1
Grasso
Amido
Cellulosa
Ceneri

Semidicacao
grezzi%tost.interi%tost.sgusciati%
7.93
6.79
5.58
14.19
14.13
14.13
1.43
1.58
1.55
45.57
46.19
50.09
23.92
24.10
22.68
4.78
4.63
3.93
4.61
4.16
3.59

Bucce
%
11.73
13.95
0.73
4.66
43.29
16.02
10.71

Tali dati rappresentano valori medi che possono subire anche notevoli variazioni a seconda
della qualit, dellannata e della provenienza geografica.
Il burro di cacao
Il burro di cacao il grasso contenuto nel cioccolato responsabile delle sue propriet fisiche.
Come altri grassi e oli, siano essi vegetali o animali, composto principalmente da
trigliceridi, cio molecole di glicerolo (chiamato anche glicerina) a cui sono legati tre acidi
grassi. Gli acidi grassi nei trigliceridi possono essere i pi diversi e in varie combinazioni,
anche se quelli a 16, 18 e 20 atomi di carbonio sono i pi comuni. La maggior parte dei grassi
in natura contiene una miscela complessa di trigliceridi diversi. Il burro di cacao invece
contiene quasi esclusivamente quelli formati da acido oleico (32-36%), un grasso insaturo a
18 atomi di carbonio presente in grande quantit nellolio di oliva, da acido palmitico (24
1

La teobromina l'alcaloide tipico del cacao. Si tratta quindi di una sostanza naturale, dotata di una blanda
azione diuretica, cardiotonica e vasodilatatoria, soprattutto a livello coronarico; non a caso, dunque, veniva
utilizzata come farmaco utile per combattere l'angina. I ben noti effetti stimolanti del cacao sono legati proprio
alla presenza di teobromina (contenuta in misura del 2% circa), congiuntamente alla caffeina (0,6-0,8%). Di
conseguenza, in una barretta al cioccolato fondente da 100 grammi, ritroviamo 600-1800 mg di teobromina e 2060 mg di caffeina. Si tratta comunque di valori generali, che possono variare - anche considerevolmente - in
relazione al tipo di semi, alle tecniche colturali e al processo di fermentazione a cui vengono sottoposti prima di
essere torrefatti. Nel cioccolato al latte il contenuto in teobromina ridotto (perch minore la percentuale di
cacao), mentre praticamente nullo in quello bianco.

La teobromina, quando viene consumata in grandi quantit, particolarmente tossica per i cani. In un esemplare
da 10 kg, 200 grammi di cioccolato sono sufficienti per provocare vomito, diarrea, irrequietezza, tremori
muscolari, respirazione affannosa e convulsioni, fino alla morte nei casi pi gravi; in particolare, la dose letale
di 330 mg di teobromina per kg di peso.

XIV-3

27%), un grasso saturo a 16 atomi di carbonio, e da acido stearico (32-36%), un grasso saturo
a 18 atomi di carbonio. Il trigliceride pi comune nel burro di cacao quello chiamato POS
(35-40%) perch alla molecola di glicerolo sono legati lacido palmitico, loleico e lo stearico
in questordine.

Vi sono poi altri due trigliceridi presenti in percentuali rilevanti: il POP (Palmitico-OleicoPalmitico 13-20%) e lSOS (Stearico-Oleico-Stearico, 23-25%). Altri trigliceridi, molto pi
comuni in altri grassi come il burro o lolio di oliva, sono presenti solo in tracce nel burro di
cacao. Poich i tre trigliceridi hanno una struttura molto simile riescono a formare un reticolo
cristallino solido molto compatto.
Una piccola percentuale di trigliceridi (1-2%) non contiene acido oleico, ma solo palmitico o
stearico. Essendo grassi saturi il punto di fusione pi alto. La presenza invece di trigliceridi
con molecole di acido oleico abbassa il punto di fusione.
Lesatta composizione di questa miscela di grassi dipende dal luogo di origine del cacao e da
come stato coltivato.
La particolare composizione del burro di cacao lo rende poco compatibile con altri tipi di
grasso. Uneccezione sono i trigliceridi presenti nel latte. Questi, solitamente costituiti da un
acido a catena lunga e due a catena corta, si mescolano perfettamente con i grassi del cacao e
danno luogo al cioccolato al latte. I grassi del latte aumentano la percentuale di trigliceridi
con molecole di acido oleico, e questo abbassa il punto di fusione. Ecco perch il cioccolato al
latte si scioglie prima e pi facilmente.
Negli anni 50 venne scoperto che i grassi di alcuni vegetali contengono gli stessi trigliceridi
del burro di cacao. Nel 1956 la Unilever brevett un metodo per ottenere un grasso quasi
identico al burro di cacao partendo da altre fonti vegetali: si tratta di ottenere le molecole
POP, POS e SOS e mescolarle nella giusta proporzione per ottenere un CBE (Cocoa Butter
Equivalent, burro di cacao equivalente). La loro aggiunta non modifica significativamente le
propriet del burro di cacao presente. Questi grassi possono essere utilizzati per motivazioni
economiche, dato che il burro di cacao una materia prima costosa, usata anche dallindustria
cosmetica e farmaceutica, ma anche per variare le caratteristiche del prodotto finale, ad
esempio ammorbidendo o indurendo il cioccolato o, in generale, donargli propriet utili ad
esempio nei climi caldi, dove vi la necessit di non far rammollire il prodotto esposto in un
negozio.
Sino al 2000 in molti paesi europei il cioccolato non poteva contenere nessun grasso che non
fosse burro di cacao ed eventualmente i grassi del latte, nel cioccolato al latte. In alcuni paesi
invece (Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Svezia, Portogallo, Finlandia e Austria) era
possibile aggiungere sino al 10% di altri grassi. Una direttiva comunitaria volta ad
armonizzare il settore, recepita in Italia nel 2003, permette ora in tutti i paesi della UE

XIV-4

laggiunta di altri grassi vegetali oltre al burro di cacao, entro un limite massimo del 5% del
prodotto finito. I grassi vegetali che vengono aggiunti sono esclusivamente quelli indicati
dalla direttiva comunitaria: il burro di illip, lolio di palma, il grasso e la stearina di shorea
robusta, il burro di karit, il burro di kokum, il nocciolo di mango e lolio di cocco
(questultimo solo per la copertura di gelati e di prodotti simili). Devono essere
obbligatoriamente indicati in etichetta. In Italia non sono praticamente utilizzati. Il produttore
Italiano che voglia sottolineare lassenza di questi grassi pu scrivere cioccolato puro
sulletichetta.
Polimorfismo
Il grasso contenuto nel cioccolato, il burro di cacao, pu cristallizzare in sei strutture
differenti, ma solo una, chiamata forma V, o (V), quella che fornisce al cioccolato la
lucentezza, la rigidit, e la capacit di sciogliersi in bocca avendo una temperatura di fusione
di poco inferiore alla temperatura corporea. Le sei forme cristalline (pi correttamente
andrebbero chiamate fasi) hanno tutte temperature di fusione diverse, e il cioccolato solidifica
in una di queste forme a seconda di come viene trattato.

Forma

Come si ottiene

Punto di fusione

raffreddamento rapido

16-18 C

II

raffreddamento rapido a 2 C.
1 ora a 0 C

22-24 C

III 2 mista

solidificazione a 5-10 C
[Dalla II a 5-10 C]

24-26 C

IV 1

Solidificazione a 16-21 C
[Dalla III a 16-21 C]

26-28 C

V 2

Per tempera
Forma desiderata. Lucida e compatta.

32-34 C

VI 1

Dalla V, 4 mesi a temperatura ambiente

35-36 C

Forme I, II e III: Raffreddando rapidamente in frigorifero del cioccolato fuso si


forma la fase I, con un punto di fusione medio di 17C, che si trasforma rapidamente
nelle fasi II e III, che fondono attorno ai 25C. Queste sono tutte forme indesiderate
perch rimangono opache, poco rigide, con basso punto di fusione. Nel cioccolato al
latte a causa della presenza di grassi diversi dal burro di cacao le temperature possono
essere di qualche grado inferiori, a seconda della percentuale di latte aggiunto. Tutte
queste fasi cristalline bassofondenti si formano raffreddando il cioccolato fuso troppo
rapidamente e a temperature troppo basse. Con il tempo, lasciate a temperature di 1621C si trasformano nella forma IV.

Forme IV e V: Lasciando raffreddare il cioccolato fuso a temperatura ambiente si


XIV-5

ottiene una miscela di cristalli della forma IV, che fonde attorno a 27C, e della forma
V, che fonde circa a 33C. Tuttavia solamente la forma V che interessa in
pasticceria: si scioglie in bocca, lucida e ha una buona rigidit. Come possiamo
ottenere la forma V? Visto che la forma IV fonde a 27C si potrebbe pensare che
raffreddando del cioccolato fuso sino a 30C, ad esempio, questo cristallizzi
automaticamente nella forma desiderata. Non cos purtroppo. Studi recenti hanno
dimostrato come la cristallizzazione della fase V in condizioni statiche (cio senza
agitare, stendere, pressare, mescolare etc), semplicemente portando il sistema alla
temperatura di cristallizzazione, praticamente impossibile. E per questo che si deve
ricorrere ad una procedura un poco pi complicata, chiamata tempera o tempra. Una
propriet della forma V, molto utile al pasticciere, che grazie alla sua forma
cristallina molto compatta solidificando si restringe un poco, e quindi facile estrarre
il cioccolato ben temperato dagli stampi in cui stato fatto solidificare.
-

Forma VI: La forma VI quella termodinamicamente pi stabile a temperatura


ambiente, ma non quella con le propriet che desideriamo il cioccolato abbia. Anche
il cioccolato temperato nel modo migliore, presto o tardi, si trasforma nella forma VI.
Solitamente occorrono vari mesi a temperatura ambiente, ma la trasformazione pi
veloce se viene conservato a temperature troppo elevate. Questa trasformazione
spesso accompagnata dalla formazione di una patina biancastra indesiderata sulla
superficie del cioccolato: burro di cacao libero. Una buona tempera riduce la
probabilit di questa fioritura bianca. Curiosamente il cioccolato al latte esente da
questo problema perch i grassi del latte impediscono al burro di cacao di migrare
sulla superficie. Poich la temperatura di fusione della forma VI di circa 36C, si
scioglie molto meno facilmente in bocca, risultando quindi non molto apprezzabile dal
consumatore. Alcuni dei cristalli si sciolgono addirittura a temperature superiori, e al
palato si sentono dei piccoli grumi. E per questo che il cioccolato vecchio o
conservato male si riconosce facilmente al palato.

Lacqua e il cioccolato
La composizione del cioccolato alla base del comportamento che si pu riscontrare durante
la lavorazione di tale prodotto.
Si consideri ad esempio di stare sciogliendo del cioccolato per creare una ricopertura. Si
scaldi il cioccolato a bagnomaria utilizzando due recipienti luno sopra laltro: quello inferiore
contiene lacqua che verr scaldata mentre il recipiente sovrastante, contenente il cioccolato,
appoggiato ma non tocca direttamente lacqua. Il vapore scioglie il cioccolato ridotto in
piccoli pezzi per facilitare la fusione.

Si supponga che allimprovviso una goccia dacqua, forse il risultato del vapore condensato,

XIV-6

cada nel cioccolato fuso. Entro pochi secondi il cioccolato diventa molto viscoso, comincia a
rapprendere, appaiono dei grumi, non pi fluido.

Che cosa successo? Il cioccolato fuso consiste di una fase grassa continua, il burro di cacao,
in cui sono disperse delle particelle solide di cacao insieme a piccolissimi cristalli di zucchero
ricoperti di lecitina per migliorarne la dispersione. Lo zucchero infatti idrofilo, cio ama
lacqua. Tutto il contrario del burro di cacao, un grasso, e delle particelle solide di cacao, che
invece la rifuggono. Lo zucchero disperso nel grasso con cristalli troppo piccoli per poterli
sentire in bocca.

Quando poca acqua entra in contatto con il cioccolato fuso questa forma delle piccole
goccioline che non si mescolano con il grasso. Lo zucchero ne viene immediatamente attratto
e si aggrega attorno alle goccioline di acqua. Tuttavia lacqua troppo poca per poter
dissolvere la grande quantit di zucchero solitamente presente nel cioccolato. Ecco quindi che
si formano dei grumi.

esattamente lo stesso fenomeno che possiamo osservare quando una goccia di caff

XIV-7

inavvertitamente cade nella zuccheriera, oppure quando riponiamo un cucchiaino bagnato


nello zucchero: si formano dei grumi.

La poca lecitina presente nel cioccolato ora non pi sufficiente per tenere dispersi questi
grumi di zucchero bagnato, che si ormai separato dal grasso, rendendo inutilizzabile il
cioccolato per gli scopi che si avevano in mente.
Scaldare ulteriormente sperando che il calore possa sciogliere la massa rappresa. inutile e si
rischierebbe solamente di bruciare il cioccolato. Cosa si pu fare? Ritornando allesempio
della zuccheriera, i grumi si formano solamente quando lacqua insufficiente per sciogliere
tutto lo zucchero presente. Ecco quindi la soluzione che sembra paradossale: poca acqua ha
causato il problema, ma aggiungendone ancora possiamo porvi rimedio. Senza scaldare
ulteriormente si pu aggiungere dellacqua tiepida e mescolare dopo ogni aggiunta. Ben il
cioccolato ritorna fluido.

Lacqua ora ha sciolto lo zucchero e ha invertito lemulsione: dove prima si aveva del
grasso con disperso lo zucchero, ora si ha una fase continua acquosa, con dello zucchero
disciolto. Ora sono le goccioline di grasso ad essere disperse, sempre con laiuto della
lecitina. Purtroppo, avendo aggiunto acqua, non si pu pi usare il cioccolato per quelle
preparazioni dove serviva puro. Pi il cioccolato ricco di cacao pi contiene grassi e quindi
pi acqua servir per creare lemulsione. Un cioccolato fondente al 70% pu richiedere molta
pi acqua di un cioccolato al 45%.
Il cioccolato contiene pochissima acqua, minore dell1.5%. Se si raggiunge il 2%-4% accade
il disastro, come abbiamo visto, e solo dopo aver aggiunto ulteriore acqua, almeno il 20%30% si riesce a rimediare e a ricreare una emulsione. C quindi una zona di pericolo dove
lacqua troppo poca per evitare che il cioccolato rapprenda. Questo significa che le ricette

XIV-8

che richiedono ingredienti contenenti acqua aggiunti al cioccolato devono prevedere una
quantit di acqua sufficiente (occorre ricordare che anche ingredienti come le uova e il burro
contengono acqua). Pi la percentuale di cacao nel cioccolato alta e pi acqua serve. Questo
spiega perch pu succedere che una ricetta che ha sempre funzionato con un cioccolato al
45% possa fallire miseramente usando un cioccolato al 70%: lacqua contenuta non pi
sufficiente.
Una preparazione in cui si usa una percentuale molto elevata di acqua quella del cioccolato
Chantilly.
Le mousse sono preparazioni soffici, a volte persino spumose, ottenute unendo lingrediente
caratterizzante il sapore ad uno o pi ingredienti montati che ne determinano la consistenza.
Spesso impiegata la panna montata, ma si pu far ricorso anche allalbume montato a neve,
al tuorlo montato o altro. Nella preparazione tradizionale la panna viene montata e mescolata
al cioccolato sciolto, spesso miscelato a dei tuorli duovo che, oltre ad arricchirne il sapore,
hanno anche una funzione emulsionante, permettendo al burro di cacao contenuto nel
cioccolato di mescolarsi con lacqua contenuta nella panna e permettere al tutto di inglobare
laria. In questa preparazione il gusto del cioccolato fondente parzialmente modificato dalla
presenza della panna e del tuorlo. E possibile montare il cioccolato come se fosse panna
senza aggiungere ingredienti che ne alterino il sapore? La panna una emulsione di grassi
circa il 35% in acqua. I globuli di grasso sono circondati da una membrana di proteine,
fosfolipidi, trigliceridi e colesterolo. Questa membrana mantiene il grasso in soluzione,
attraverso le propriet emulsionanti dei fosfolipidi. Quando montiamo la panna inglobiamo
aria, i globuli di grasso di uniscono tra loro, circondando le bollicine daria, e formano una
schiuma che intrappola laria.
Nel 1995 il chimico francese Herv This fu il primo a rendersi conto che anche il cioccolato
poteva essere montato: contiene una percentuale consistente di grassi, come la panna, e come
la panna contiene anche un emulsionante, la lecitina di soia, normalmente aggiunta al
cioccolato fondente per miscelare meglio lo zucchero aggiunto. Se aggiungiamo acqua nella
proporzione opportuna e raffreddiamo, come per montare la panna, possiamo ottenere una
mousse di cioccolato puro. La ricetta proposta prevede di unire 100 grammi di cioccolato
fondente al 70% di cacao a 115 grammi di acqua. I grammi di acqua sono calcolati in modo
da avere circa il 34% di grasso rispetto allacqua presente, leggendo la percentuale di grassi
dalla tabella nutrizionale della confezione della tavoletta.
Occorre non confondere la percentuale di cacao presente (nel caso in esame il 70%) con la
percentuale di grassi (nel caso in esame 39.4%). Questultima pu variare da produttore a
produttore anche a parit di cacao presente. Quindi per calcolare la quantit di acqua ogni 100
grammi di cioccolato si fa il seguente calcolo: grammi di acqua = 39.4100/34 = 115.8.
This chiama questa ricetta Cioccolato Chantilly perch in Francia Chantilly
semplicemente panna montata con dello zucchero. In Italia invece con crema Chantilly si
intende una miscela 50% panna montata e 50% crema pasticciera. La consistenza diversa da
quella della panna montata: meno morbida e pi spalmabile. Si mantiene benissimo in
frigorifero anche per qualche giorno.
Unaltra questione da tenere presente quando si lavora con il cioccolato lordine con cui
vengono mescolati gli ingredienti. Per evitare la formazione di grumi bisogna evitare tutte
quelle situazioni dove una quantit insufficiente di acqua a contatto con il cioccolato, anche
se questo accade per pochi secondi. Aggiungendo liquidi acquosi al cioccolato sempre
necessario mescolare vigorosamente e aggiungere in fretta i liquidi per raggiungere
velocemente la percentuale minima di sicurezza di acqua. La procedura opposta, aggiungere
il cioccolato ai liquidi, da preferire perch evita di trovarsi nella situazione di avere troppa

XIV-9

poca acqua. Unaltra soluzione, spesso consigliata da molti pasticceri, quella di fondere il
cioccolato direttamente nei liquidi acquosi (panna, burro, latte, ecc.) per eliminare alla radice
il problema.
Definizioni
Di seguito vengono riportate le definizioni adottate nell'Unione Europea:
Burro di cacao: la sostanza grassa ottenuta da semi di cacao o da parti di semi di cacao.
Cacao in polvere o cacao: il prodotto ottenuto mediante trasformazione in polvere di semi di
cacao puliti, decorticati e torrefatti e che presenta un tenore minimo di burro di cacao del 20%
(percentuale calcolata sul peso della sostanza secca) e un tenore massimo di acqua del 9%.
Cacao magro in polvere o cacao magro: cacao in polvere con un tenore di burro di cacao
inferiore al 20%.
Cioccolato in polvere: un miscuglio di cacao in polvere e zuccheri, contenente non meno del
32% di cacao in polvere.
Cioccolato comune in polvere o cacao zuccherato: un miscuglio di cacao in polvere e
zuccheri, contenente non meno del 25% di cacao in polvere; si aggiunge il termine "magro" se
il prodotto sia magro o fortemente sgrassato ai sensi della definizione precedente.
Cioccolato: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri che presenta un tenore
minimo di sostanza secca totale di cacao del 35%, di cui non meno del 18% di burro di cacao
e non meno del 14% di cacao secco sgrassato.
Cioccolato al latte: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti a base
di latte e che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 25%, di sostanza
secca del latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 3,5%, di
grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%.
Cioccolato comune al latte: il prodotto ottenuto da cacao, zuccheri e da latte o da prodotti a
base di latte, che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 20%, di
sostanza secca del latte del 20%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 5%,
e di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%. Il Regno Unito, l'Irlanda e Malta
possono autorizzare l'uso nel loro territorio del termine milk chocolate per questo tipo di
cioccolato a condizione che tale termine sia accompagnato dall'indicazione del tenore di
sostanza secca di latte nella forma sostanza secca di latte: % minimo.
Cioccolato bianco: il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte o prodotti a base di latte e
zuccheri, e che contiene non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca del
latte; burro o grassi del latte devono essere presenti in quantit pari almeno al 3,5%.
Processo produttivo
Gli alberi di cacao iniziano a dar frutti (cabosse) quando hanno tre/cinque anni di et: i frutti
(dalla forma allungata ed appuntiti alle due estremit, colore marrone, e lunghezza di 15/20
centimetri, con una buccia che a maturazione dura come il cuoio) si raccolgono due volte
all'anno, prima e dopo la stagione delle piogge: il raccolto principale e quello secondario, con
frutti di qualit inferiore. Normalmente il raccolto si effettua in periodi che variano molto di
anno in anno a seconda delle condizioni climatiche.
Il frutto del cacao viene aperto con un colpo netto di macete, in grado di fendere il guscio.

XIV-10

Dall'interno vengono estratti i semi, solitamente una quarantina (fave di cacao) avvolti in una
mucillaggine biancastra composta da zuccheri. L'ammasso viene messo in tinozze di legno,
cesti, o avvolto in foglie di banano e messo sotto terra, a seconda delle zone, in modo che si
possa dare inizio alla fermentazione.
La fermentazione un passaggio fondamentale per produrre quelle sostanze che
successivamente, sottoposte alla tostatura, doneranno aroma al cioccolato. Durante la
fermentazione si formano acidi ed etanolo. Questo attiva dei microorganismi che trasformano
letanolo in acido acetico. La temperatura aumenta drasticamente (a 40-50C), acidi e alcool
penetrano nel seme, che non germina pi e muore. La morte del seme scatena il rilascio di
enzimi che decompongono le sue riserve di nutrimento formando zuccheri e acidi, precursori
degli aromi del cioccolato. Si chiamano precursori perch in questo stadio non hanno
assolutamente laroma che associamo al cacao, e in alcuni casi non hanno proprio nessun
aroma. Il risultato finale della fermentazione sar quello di aver eliminato la polpa residua ed
aver ridotto il sapore amaro ed astringente delle fave, oltre a quello di aver sviluppato gli oli
essenziali. Per ottenere una buona fermentazione, le fave vengono ruotate tutti i giorni.
Attualmente la fase di fermentazione condotta in armadi, su plance in legno di cedro in strati
da circa 80 centimetri che consentono un controllo della temperatura pi accurato, con il
risultato di un prodotto fermentato in maniera pi omogenea ed esente da muffe. Dopo un
periodo che varia dai tre (per alcune variet di Criollo) ai 5/6 giorni la fermentazione
avvenuta, i batteri e i lieviti hanno iniziato la produzione dei precursori dei 500 aromi presenti
nel cacao.
Come ogni frutto contenente umidit, le fave per essere conservate devono subire un
procedimento di essiccazione. In alcune nazioni il cacao viene semplicemente steso al sole su
graticci o su speciali "cassettoni" che vengono ritirati all'interno in caso di pioggia. Dove
invece il clima umido non permette l'asciugatura al sole, si utilizzano dei metodi artificiali,
impiegando un flusso di aria calda. In caso di tempo favorevole, il processo di essiccazione
dura diversi giorni, durante i quali i coltivatori mescolano le fave per ottenere un risultato
omogeneo, mentre eliminano gli eventuali corpi estranei o cacao di scarto. Risultato di tale
processo sono delle fave che hanno perduto la met circa del loro peso e che sono denominate
"cacao verde".
Le fave vengono poi messe in sacchi di juta e spediti nei centri di distribuzione, dove i
compratori si recheranno a controllare il prodotto, testandolo a campione. Lo stoccaggio
avviene in condizioni rigide e controllate per evitare che il cacao, che assorbe gli odori come
una spugna, venga a contatto con delle sostanze sgradevoli.
Le fave sono quindi spedite nei luoghi di tostatura dove vengono pulite da eventuali
impurit, miscelate (solo pochi sono i produttori di CRU, ovvero cioccolati derivati da una
sola specie di pianta) e tostate a 120-140C per un periodo che varia da produttore a
produttore a seconda del risultato finale che si vuole ottenere. Gli scopi della torrefazione
sono diversi: eliminare lumidit e gli acidi volatili, sterilizzare i semi, ottenere una parziale
decomposizione delle sostanze tanniche, rendere pi fragile la cellulosa e le bucce, ed infine
sviluppare laroma. Una tostatura sbagliata od eccessiva pu causare dei problemi
irrimediabili al risultato finale conferendo al cacao unamarezza spiccata che, insieme
all'eccessiva acidit e all'astringenza, rappresenta uno dei difetti del cioccolato.
Il cacao cos tostato passa dentro delle macine che frangono le fave (molitura o
granellatura) ed eliminano le bucce, ottenendo la granella di cacao, un composto che
contiene circa il 54% di burro di cacao ed il 46% di parte "magra", contenente ancora dall'8 al
26% di burro, detto pannello o torta di cacao (utilizzato per produrre i surrogati di cioccolato,
creme da spalmare, prodotti da solubilizzare per bevande, creme per ripieni di cioccolattini o

XIV-11

wafer).
Il passaggio successivo quello della macinatura del cacao, che in realt macinatura non in
quanto il cacao durante questa operazione fonde (il burro di cacao fonde a 34C) in particelle
da 100 micron e si ottiene cos la cosiddetta "massa" o "pasta di cacao" o "liquore". Questa
fase molto importante: le cellule vengono danneggiate e in parte distrutte, ed il grasso
presente allinterno viene liberato. Questo ricopre parzialmente le particelle solide presenti
(cellulosa, amidi e proteine) in modo da dare plasticit e fluidit alla massa di cacao. Nel far
questo anche aiutato dalla lecitina, un emulsionante, naturalmente presente nel cacao in
piccole quantit. Pi grasso viene liberato e pi il liquore di cacao viene fluidificato.
La massa di cacao viene quindi pressata ad alte pressioni, e parte del burro di cacao viene
separato dalla polvere di cacao, secca, che quindi contiene meno grasso del cacao di partenza:
dal 10% al 20%. Dopo leventuale aggiunta di zuccheri viene immesso sul mercato come
cacao in polvere.
A questo punto, per ottenere i vari tipi di cioccolato (fondente, al latte, bianco,) si
mescolano in varie proporzioni il liquore di cacao, il burro di cacao, la polvere di cacao, lo
zucchero e, nel caso del cioccolato al latte, del latte in polvere o condensato. Le ricette di
riferimento per il cioccolato sono le seguenti:
CIOCCOLATO
FONDENTE
Zucchero 54%
Massa di cacao 36%
Burro di cacao 10%

CIOCCOLATO AL
LATTE
Zucchero 45%
Massa di cacao 15%
Burro di cacao 18%
Latte in polvere 22%

CIOCCOLATO GIANDUIA
Zucchero 47%
Massa di cacao 17,5%
Burro di cacao 9%
Latte in polvere 6,5%
Pasta di nocciole tostate 20%

Le suddette ricette vengono completate con lecitina di soia fino ad un massimo consentito
dalla legge dello 0.5% e da 0.1% di vanillina (aromatizzante). Ovviamente ogni azienda
produttrice mette a punto ricette peculiari basate anche sulla qualit del cacao a disposizione.
La percentuale di cacao espressa in etichetta di una tavoletta di cioccolato relativa al
quantitativo di massa derivante da fave di cacao contenuta nel prodotto. Dunque un 70% di
cacao ci dice che ci sono fave di cacao per il 70% della sua composizione, mentre il restante
30% della tavoletta costituito da zucchero e dalla lecitina di soia. Se in etichetta c scritto
anche burro di cacao, significa che esso stato aggiunto per aumentare la scioglievolezza al
palato. Una tavoletta al latte conterr oltre a questi due elementi anche del latte in polvere.
Una tavoletta di cioccolato bianco, invece, sar composta esclusivamente da burro di cacao,
zucchero e latte in polvere.
I mescolatori sono disponibili in diverse capacit, per diverse potenzialit produttive. Possono
essere di tipo rotatorio su un piano orizzontale, con pesanti rulli, oppure con due alberi
orizzontali a spirali elicoidali contrapposte, oppure ad aspi, e vasca semicilindrica o biconcava
(questo tipo attualmente molto pi usato del precedente). Gli alberi sono comandati da un
motoriduttore. Alcuni mescolatori possono lavorare sottovuoto, cos da ridurre lacidit
volatile e lumidit ancora presente. Tutti i mescolatori hanno una camicia di riscaldamento e
termostatazione: nel caso di cioccolato al latte, si opera intorno a 40C, mentre con cioccolato
fondente si pu arrivare anche a 70C.
La pasta ottenuta miscelando i vari ingredienti ha ancora un sapore grezzo, con punte acide,
e di consistenza grossolana. Per affinarlo al meglio deve ancora subire il processo di

XIV-12

concaggio, preceduto da una fase di raffinazione, consistente nella riduzione della


granulometria del prodotto. Il concaggio consiste in un mescolamento continuo del cioccolato
a temperatura controllata che fa si che si ottengano i seguenti risultati:
-

plastificazione della massa in arrivo dalle raffinatrici, che comporta il graduale


passaggio da una fase grumoso - polverulenta, ad una fase fluido - plastica dalle
caratteristiche reologiche opportune, in particolare con laggiunta di piccole
percentuali (0.2 - 0.3%) di lecitina di soia, che abbassa la tensione superficiale, e
quindi la viscosit, del burro di cacao;

deumidificazione e deacidificazione del cioccolato, con leliminazione mediante


evaporazione dellumidit residua e delle sostanze volatili con aroma sgradevole
(generalmente assimilabili allacido acetico);

sviluppo del caratteristico aroma, grazie ad alcune reazioni chimiche specifiche


(ossidazione di sostanze astringenti), al passaggio nel burro di cacao di sostanze
aromatiche e al processo di deacidificazione (di cui sopra);

completamento della ricetta, con laggiunta degli altri ingredienti.

Il raggiungimento di tali obiettivi viene ottenuto trasferendo energia al prodotto, mediante un


intenso lavoro meccanico di taglio, mescolazione ed impasto. Questa azione deve essere
controllata per evitare danni al prodotto, legati ad un eccessivo surriscaldamento. Le origini
del processo, come si intende oggi, risalgono al 1879, quando il signor Lindt rilev un
notevole arricchimento di aroma dovuto alla persistente agitazione del cioccolato per lungo
tempo. Le prime macchine consistevano in vasche longitudinali di granito, dove un rullo,
sempre di granito, veniva fatto scorrere sul fondo, con movimento alternativo, per un periodo
di circa quattro giorni.

La necessit di ridurre i tempi e di incrementare la produzione ha portato allo sviluppo di


diversi tipi di macchine, prima con luso di conche rotative, pi efficienti e razionali, poi con
lintroduzione del concaggio a secco, che ha consentito di ridurre i tempi. Il processo odierno
si sviluppa attraverso le seguenti fasi:

carico,

fase a secco

fase plastica e aggiustamento reologico,

completamento ricetta, fase liquida e scarico.


XIV-13

Il carico non una fase fondamentale, ma deve essere eseguito con precisione, pur
mantenendo una certa velocit di alimentazione dei componenti: il prodotto sotto forma di
fiocchi polverulenti provenienti dalla raffinazione, viene pesato e trasferito nella conca
mediante un nastro di alimentazione. Gli altri componenti usualmente aggiunti sono la lecitina
ed il grasso.
La fase a secco quella in cui, nel prodotto in lavorazione, presenta solo la quantit di
grasso minima per provocare limpasto ed il mantenimento di una struttura zollosa. In questo
passaggio avvengono le trasformazioni chimico - fisiche che provocano le caratteristiche
finali del prodotto. In primo luogo si verificano variazioni della composizione della frazione
aromatica: si elimina la maggior aliquota di acqua (si passa da 1 - 1.5% a 0.4 - 0.8% in
funzione del tipo di cioccolato e del trattamento), si riduce la quantit delle sostanze volatili
acide (dal 30 al 50% dellacido acetico presente), si ha la formazione di nuovi composti
aromatici derivati da reazioni che coinvolgono zuccheri semplici ed amminoacidi. Il risultato
quello di migliorare il taglio aromatico rispetto ad un prodotto non concato.
Lazione meccanica di mescolamento permette una graduale ed efficace omogeneizzazione
della massa, per cui il grasso presente viene ridistribuito sulle superfici delle nuove particelle
create dalla precedente raffinazione. Se, quindi. a livello chimico si produce un riequilibrio
della frazione aromatica globale, a livello fisico si realizza il passaggio da una massa
pulverulenta ad una massa plastica, omogenea. I due effetti risultano determinanti per le
caratteristiche finali del prodotto. Queste evoluzioni avvengono sostanzialmente grazie
allenergia meccanica trasferita al prodotto dallazione di taglio, che viene in buona misura
trasformata in energia termica.
La quantit di grasso totale presente nel cioccolato in questa fase deriva sia dal tenore in
grasso della polvere raffinata, sia da eventuali aggiunte effettuate gi durante il carico e
linizio del concaggio a secco, necessarie per conferire al prodotto le corrette caratteristiche
reologiche. Frazionando le aggiunte in piccoli step in funzione della potenza misurata,
possibile dosare correttamente la quantit di grasso o di lecitina.
Il concaggio a secco pu terminare quando la massa completamente plastificata, oppure
dopo un tempo prefissato, e si passa alla fase plastica. In questo momento il prodotto ha
raggiunto una consistenza tale da formare una superficie continua, pi o meno liscia,
corrispondente al livello del prodotto stesso. Questa trasformazione rende normalmente molto
meno efficace il trasferimento di energia dovuto allazione meccanica. E quindi necessario
aumentare la velocit di rotazione degli organi di mescolazione in modo da mantenere il
lavoro eseguito a livelli tali da far proseguire la modificazione, ormai soprattutto a livello
fisico, delle caratteristiche del prodotto. La viscosit del prodotto, in questa fase, tende a
diminuire considerevolmente nel tempo.
Le conche possono essere dotate di un dispositivo per la variazione continua della velocit di
rotazione degli agitatori, in modo da poter seguire la progressiva trasformazione reologica del
prodotto, mantenendo il livello di energia trasferito alla massa il pi possibile costante nel
tempo. In questo modo possibile ottenere una riduzione sensibile del tempo di concaggio.
Al termine della fase plastica, la cui durata pu essere a tempo o stabilita in funzione della
viscosit (misurata attraverso valori di potenza), si procede allaggiunta della parte
complementare dei grassi e degli emulsionanti presenti dalla ricetta, oltre agli eventuali aromi.
Pu essere prevista una fase di riduzione della temperatura della massa fino a 60-65C, in
modo da non compromettere lefficacia dellemulsionante (in genere lecitina di soia) che a
temperature superiori tende a degradarsi. Luso della lecitina, come emulsionante, riduce la
quantit di burro di cacao necessario per la completa lubrificazione dello zucchero. Il suo uso
risale agli anni 30 e tipicamente una parte di lecitina sostituisce 10 parti di grasso. E

XIV-14

particolarmente importante per miscelare bene lo zucchero. Questo infatti non ha affinit per
il grasso. Le molecole di lecitina circondano i cristalli di zucchero e permettono al grasso di
inglobare lo zucchero pi facilmente. La lecitina aumenta la fluidit del cioccolato e permette
di operare un concaggio a temperature inferiori, migliorando lo sviluppo dell'aroma del
cioccolato. La lecitina riesce inoltre a ridurre l'effetto di "blooming" (affioramento) del burro
di cacao.
Dopo un periodo di omogeneizzazione finale di circa 1 h, si procede allo scarico della
macchina, inviando il prodotto ai serbatoi di stoccaggio.
Lultimo stadio della lavorazione del cioccolato, la tempera, serve a dare al cioccolato
laspetto e la consistenza finale che tutti conosciamo: lucido, rigido e quando si spezza lo fa in
modo netto. Il temperaggio serve per ottenere un cioccolato dalle caratteristiche fisiche ben
definite e durevoli nel tempo, grazie alle quali il prodotto possa conservarsi a lungo. Per far
questo necessaria una cristallizzazione del burro di cacao in cristalli in forma stabile. Il
burro di cacao ha infatti la caratteristica di solidificarsi in differenti tipi di cristalli. Lo scopo
del temperaggio quello di far solidificare il burro di cacao orientando la cristallizzazione in
una forma stabile per evitare quindi i cristalli che con il passar del tempo affiorassero con
conseguente imbianchimento delle tavolette di cioccolato. Inoltre, con il temperaggio si pu
ottenere un cioccolato lucido, che si spezza con facilit, si stacca perfettamente dagli stampi,
non si scioglie tra le dita, ma lo fa subito a contatto con il palato.
Lo scopo del temperaggio quello di arrivare ad ottenere i cristalli di burro di cacao
unicamente in forma V. Per fare ci vengono utilizzati degli scambiatori di calore a superficie
raschiata che inizialmente fanno arrivare il cioccolato ad una temperatura di 50C,
successivamente si ha un raffreddamento a 27C, dove si ottengono cristalli in forma IV e V,
ed infine per ottenere tutti cristalli in forma V si ha un innalzamento della temperatura a
32C.

Il cioccolato liquido sar poi versato in stampi di acciaio che verranno fatti avanzare su un
nastro sottoposto a vibrazioni continue con lo scopo di eliminare pi possibile le bolle di aria
all'interno della tavoletta, ed infine le forme attraverseranno un tunnel di raffreddamento in

XIV-15

cui il cioccolato solidificandosi si contrarr ottenendo una massa fredda ben lucida e che si
staccher con facilit dagli stampi.
Durante la conservazione il principale problema dato dallo sugar-bloom. Come il fatbloom provoca anchesso una patina superficiale biancastra. In questo caso per la patina
superficiale sabbiosa al tatto ed dovuta a condensazione di acqua sulla superficie che
richiama lo zucchero dagli strati interni. Quando lacqua evapora nuovamente il saccarosio
torna alla forma cristallina originando la patina biancastra. Il continuo passaggio da ambienti
caldi ad ambienti freddi favorisce lo sugar-bloom.
Altro problema costituito dal fat-bloom, che potrebbe svilupparsi durante la
conservazione. Il fat-bloom consiste nel fatto che il burro di cacao potrebbe fondere durante la
conservazione e diffondere verso lesterno della tavoletta ricristallizzando e causando degli
imbiancamenti superficiali. Le cause del fat-bloom sono i lunghi tempi di stoccaggio e gli
shock termici sopra i 30C.
Nelle pagine seguenti sono mostrati uno schema di un impianto completo per la produzione di
prodotti colati in cioccolato, il dettaglio della sezione di concaggio e della sezione di
temperaggio, nonch il dettaglio di una apparecchiatura per il temperaggio.

XIV-16

XIV-17

XIV-18

XIV-19

XIV-20

Il cioccolato di Modica
La cittadina di Modica, in Sicilia, famosa per la produzione del suo particolare cioccolato,
probabilmente simile al cioccolato della fine del 700 e inizi dell800. La fase del concaggio
non viene eseguita, e lo zucchero viene mescolato ad una temperatura moderata (attorno ai
36C) alla pasta di cacao, senza aggiunte di burro di cacao. Verr poi modellata a freddo per
ottenere le forme desiderate. In questo modo i cristalli di zucchero, che non vengono
sminuzzati e ricoperti dal burro di cacao, si sentono benissimo in bocca e si vedono ad occhio
nudo, C chi sostiene che saltando la fase del concaggio si mantengono degli aromi che
altrimenti si volatilizzerebbero. Questo in parte vero, ma anche vero che il concaggio
elimina anche degli aromi indesiderati e diminuisce lacidit del cioccolato. In pi, non
dimentichiamoci che le alte temperature che si possono raggiungere nel concaggio possono
anche produrre nuove sostanze aromatiche.
Reologia del cioccolato
Il cioccolato richiede una forza minima per essere messo in moto (yield stress). Di
conseguenza si potrebbe ipotizzare che per trattare le propriet reologiche del cioccolato sia
sufficiente ricorrere al modello di Bingham, ma landamento dello sforzo di taglio in funzione
del gradiente di velocit, dopo il valore di yield stress mostra un andamento curvilineo di tipo
pseudoplastico, anzich rettilineo come nel caso del modello di Bingham.
Per questo motivo il modello che rappresenta meglio il comportamento reologico del
cioccolato fuso il modello di Casson che, scritto per un sistema di riferimento xy in cui il
fluido scorre lungo lasse x si presenta nella forma:

2
yx

dv
= k0 + k1 x
dy

dove compaiono i due parametri k0 e k1, il quadrato del primo corrisponde a CA, ovvero il
Casson yield stress, mentre il secondo elevato al quadrato si pu indicare come CA, ovvero la
viscosit di Casson. Ovviamente anche in questo caso CA rappresenta il valore limite al di
sotto del quale il fluido non si mette in moto. Tipici valori di CA per il cioccolato sono
compresi tra 1 e 20 Pas, mentre si hanno valori compresi tra 10 e 200 Pa per lo yield stress.
Per alcuni tipi di cioccolato si possono ottenere risultati migliori utilizzando un esponente
diverso da 0.5, secondo il modello di Casson generalizzato:
dv
= k0 + k1 x
dy

m
yx

In alcuni casi si sono ottenuti buoni risultati utilizzando valori di m compresi tra 0.6 e 0.7;
ovviamente, in questo caso la trattazione analitica del modello diventa pi complessa.
Dal 2001 lInternational Office of Cocoa, Chocolate and Sugar Confectionery sugger di
utilizzare il modello di Windhab:

dv

x
dvx

dy
yx = 0 +
*
+ ( 1 0 ) 1 exp
dvx
dy

dy

XIV-21

Nellespressione compaiono:

dvx
= 0 ),
dy

il limite di scorrimento 0 (quando

lo stress di taglio 1 ,

dv
1
il gradiente di velocit x quando yx = *yx = 0 + ( 1 0 ) 1 ,
e
dy

pu essere identificata come la viscosit plastica: per

dvx
dy

yx = 0 +

dvx
si ha che:
dy

dvx
+ ( 1 0 ) {1 exp [ ]} = 1 +

dy

Le propriet reologiche del cioccolato sono influenzate da vari fattori, come il contenuto di
grassi, di emulsionante (ad es. la lecitina) e di umidit, la distribuzione delle dimensioni delle
particelle solide, la temperatura.
Al riguardo noto che la diluizione di una sospensione con il liquido che forma la fase
continua (nel caso del cioccolato: burro di cacao con o senza burro di latte) riduce la viscosit,
mentre entrambi i parametri di Casson (CA e CA) diminuiscono con laggiunta di grasso ad
un cioccolato privo di lecitina.
Le figure seguenti mostrano landamento dei parametri di Casson per due tipi di cioccolato al
latte contenenti lo 0.255% di lecitina, uno raffinato contenente il 5.7% di particelle oltre i 20
m di diametro (1) ed un altro piuttosto grezzo contenente il 16% di particelle oltre i 20 m di
diametro (2). Si pu notare che il contenuto di grasso ha una maggiore influenza sulle
caratteristiche reologiche del cioccolato pi raffinato.

XIV-22

(1)
(1)
(2)
(2)

Influenza della lecitina e di altri emulsionanti


Piccole quantit di tensioattivi possono produrre una decisa diminuzione della viscosit.
Laggiunta di 0.1-0.3% di lecitina di soia ha lo stesso effetto riducente sulla viscosit di un
aumento di dieci volte della quantit di burro di cacao e questo un fatto di rilevante
importanza economica. Quando la quantit di lecitina superiore allo 0.3-0.5% si ottiene un
ispessimento del cioccolato, dovuto allaumento di CA. Lazione della lecitina molto debole
su soluzioni di cacao puro e molto pi forte quanto si ha la presenza di zucchero e burro di
cacao, essendo tale azione principalmente legata allinterazione della lecitina con le particelle
di zucchero. Si ritiene infatti che la lecitina aderisca alla superficie dello zucchero
principalmente nella forma di uno strato monomolecolare.
Le figure seguenti mostrano linfluenza della lecitina su due tipi di cioccolati fondenti, il
primo contenente il 39.5% di grasso e lo 0.8% di acqua (1), mentre il secondo contenente il
33.5% di grasso e l1.1% di acqua (2).

(2)

(2)

(1)
(1)

La lecitina di soia un fosfolipide, ed lagente tensioattivo usato per ridurre la viscosit del
cioccolato conosciuto da pi tempo. Recentemente sono stati sviluppati nuovi agenti per
ridurre la viscosit del cioccolato, ad es. una lecitina sintetica che ha il vantaggio di essere pi
costante nella composizione e nellefficienza rispetto a quella naturale, con un aroma pi
tenue e neutro.

XIV-23

Influenza dellumidit
Laggiunta di acqua al cioccolato provoca un marcato aumento della viscosit apparente. Si
ritiene che si formino strati di melassa attorno alle particelle, provocando un aumento
dellattrito tra di esse. Linfluenza sui due parametri di Casson non comunque chiara.
Influenza della distribuzione della dimensione delle particelle
Il cioccolato una sospensione di particelle di zucchero, cacao e latte allinterno di una fase
grassa. Alla fine della lavorazione, ogni particella solida dovrebbe essere circondata da un
sottile strato di grasso, tale da assicurare una buona lubrificazione. La distribuzione della
dimensione delle particelle molto importante: se le particelle sono piccole la loro superficie
specifica molto grande e, di conseguenza necessaria una maggiore quantit di grasso per
assicurare una buona lubrificazione; al contrario, se le particelle sono grandi, la superficie
specifica inferiore ed richiesto meno grasso.
Normalmente si considera un cioccolato come grossolano se pi del 20% delle particelle
hanno una dimensione maggiore di 20 m. Landamento dei parametri di Casson al variare
della presenza di particelle di dimensione maggiore di 20 m riferito a due cioccolati al latte,
il primo contenente il 30% di grasso (1), il secondo contenente il 32% di grasso (2) viene
evidenziato nei grafici seguenti.

(1)

(1)
(2)

(2)

Il parametro CA molto pi influenzato rispetto al parametro CA man mano che il cioccolato


diviene pi grossolano. La tensione di soglia particolarmente elevata perch con particelle di
dimensione inferiori aumentano gli attriti ed i legami tra di esse. Il parametro di viscosit di
Casson presenta un minimo nel suo andamento. In seguito a esperimenti eseguiti su
sospensioni costitute esclusivamente da zucchero in burro di cacao in un caso, e cacao in
burro di cacao nellaltro, si osservato che nel primo caso CA diminuisce allaumentare della
granulometria delle particelle, mentre nel secondo diminuisce. Per questo motivo la viscosit
di Casson ha una scarsa variabilit nel caso del cioccolato che una combinazione dei due
precedenti sistemi presi in esame.
Influenza della temperatura
Allaumentare della temperatura si osservano due fenomeni sia nel cioccolato al latte che

XIV-24

fondente:

la viscosit di Casson diminuisce;

la tensione di soglia pu aumentare, specialmente nel cioccolato privo di lecitina:


questo ispessimento pu essere ridotto mediante addizione di lecitina, specialmente
nel caso del cioccolato fondente.

Le figure seguenti mostrano linfluenza della temperatura sui parametri di Casson su alcuni
tipi di cioccolato al latte, il primo con il 34% di grasso, senza lecitina (1), il secondo con il
30% di grasso e lo 0.15% di lecitina (2).

(2)

(1)

(1)

(2)

Le figure seguenti mostrano cosa accade in due cioccolati fondenti, il primo contenente il
34% di grasso, senza lecitina (1), il secondo con il 30% di grasso e lo 0.15% di lecitina (2).

(2)

(1)

(2)
(2)

Influenza di altri fattori


Altri fattori influenzano la viscosit, legati soprattutto ai processi di lavorazione del
cioccolato. Una delle lavorazioni che influenza maggiormente le propriet reologiche del
cioccolato il processo del concaggio: infatti allinizio del concaggio solamente poche
particelle solide sono ricoperte dal grasso e quindi la viscosit apparente molto elevata e

XIV-25

diminuisce allavanzare del processo. Linfluenza del tempo di concaggio rilevante


soprattutto per quanto riguarda il parametro di tensione di soglia, che subisce un forte
decremento, specialmente nelle prime ore di concaggio. Leffetto sulla viscosit di Casson
non molto chiaro, in quanto dipende dal tipo di apparecchiatura utilizzata per il processo,
tanto che pu subire sia un incremento che un decremento. Il grafico seguente mostra
landamento della tensione di soglia in funzione del tempo di concaggio di un cioccolato al
latte.

Nel caso di cioccolati molto densi pu anche verificarsi il fenomeno della tissotropia. Quando
il cioccolato viene agitato dopo un lungo riposo, la tensione di taglio, molto alta allinizio,
tende a diminuire fino a quando raggiunge un valore stabile dopo un certo intervallo di tempo.
Anche la vibrazione che il cioccolato pu subire nei vari processi pu provocare una
diminuzione della viscosit apparente tanto maggiore lampiezza delle vibrazioni. Si ritiene
che forti vibrazioni provochino un forte abbassamento fino a quasi un annullamento della
tensione di soglia. Per questo la vibrazione pu essere utile per svuotare i serbatoi del
prodotto, facilitandone lo scorrimento attraverso la via di uscita.

XIV-26

Potrebbero piacerti anche