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INDICE

1. La definizione di Fermentazione
2. Il principio della fermentazione
3. Quale sale dovrei usare per fermentare le verdure?
4. La fermentazione lattica
6. Parametri di conservazione verdure fermentate

1. La definizione di Fermentazione
Prima di tutto facciamo una distinzione fra il significato “stretto” di fermentazione e quello allargato che invece userò sempre in questo
blog. La fermentazione in senso biochimico è la via metabolica con cui gli esseri viventi ricavano energia da molecole organiche,
perlopiù zuccheri, in assenza di ossigeno (anerobiosi). In un senso più gastronomico, considero una fermentazione, una qualunque
trasformazione di alimenti a carico di microrganismi, sia che questi agiscano in presenza o assenza di ossigeno. Si tratta di una
piccola libertà linguistica che mi prendo per semplificare le cose. In questo contesto, i cibi fermentati sono alimenti che hanno subito
una serie di trasformazioni principalmente a carico di batteri, lieviti e muffe, i quali hanno modificato la composizione chimica degli
alimenti e del mezzo (liquido) in cui sono immersi.

Queste trasformazioni hanno 3 principali conseguenze:


 Permettono di conservare i cibi a medio e lungo termine. Pensate al formaggio, ai salumi e alle olive in salamoia: tutti fermentati per
permetterne la conservazione. Il frigorifero e il supermercato non hanno sempre fatto parte della nostra quotidianità;
 Sviluppano diversi composti che cambiano in parte il sapore degli alimenti;
 Danno un valore aggiunto nutrizionale e salutistico all’alimento. Questo aspetto verrà approfondito nel blog attraverso specifici
articoli divulgativi basati su pubblicazioni scientifiche. Questo non significa che tali articoli debbano essere utilizzati a scopi terapeutici o
nutrizionali o, peggio ancora, sostituiscano il parere di un medico. L’unico obiettivo degli articoli su questi aspetti è quello di stimolare un
interesse, da approfondire confrontandosi con i propri medici e biologi nutrizionisti di riferimento.

Tutte queste trasformazioni sono possibili grazie alla presenza di microorganismi “benefici”, che permettono di ottenere il risultato
organolettico voluto e proteggono l’alimento fermentato da microrganismi che lo farebbero marcire o peggio ancora lo renderebbero
pericoloso per la salute umana. Questi microrganismi non si limitano a portare avanti le loro trasformazioni ma, cambiando alcuni
parametri ambientali come il pH, e producendo alcune sostanze come ad esempio le batteriocine, impediscono ai batteri patogeni di
proliferare.

Nell’applicazione legata al consumo del cibo e delle bevande, l’aspetto più importante ed interessante della fermentazione è il secondo:
una tecnica per ottenere sapori diversi ed unici. La fermentazione porta ad una maggiore varietà di molecole presenti, aumentando la
complessità aromatica del cibo, e quindi permettendo di ottenere risultati unici.

 
La fermentazione è lo strumento adatto per ottenere sapori unici
In generale, i batteri e lieviti che fermentano gli alimenti vengono chiamati fermenti, ma questo termine può essere ampliato anche agli
enzimi che i microrganismi utilizzano nei processi biochimici, proteine specializzate nella trasformazione di determinate molecole.
Spesso i singoli enzimi vengono isolati dall’uomo ed utilizzati per ottenere uno specifico risultato, senza l’implementazione dei
microrganismi.

Quanti tipi di fermentazioni esistono?


In funzione dei microorganismi coinvolti nella fermentazione e dei prodotti finali, avremo diversi tipi di fermentazione, che prendono
appunto il nome dalla sostanza più importante prodotta a conclusione del processo. I due tipi di fermentazione che maggiormente ci
interessano sono la fermentazione lattica e la fermentazione alcolica. Poi abbiamo anche la fermentazione (?) acetica che tuttavia
tratteremo singolarmente, perché non è una fermentazione in senso stretto. Esistono, infine, anche altri tipi di fermentazione meno
conosciuti: la fermentazione malolattica che trasforma l’acido malico in acido lattico (anche se anche questa non è una fermentazione
in senso stretto); la fermentazione propionica, responsabile dell’occhiatura dei formaggi; la fermentazione butirrica, che è un
processo dannoso nella caseificazione.

Fra quelle che ci interessano maggiormente, la fermentazione lattica produrrà principalmente acido lattico, mentre la fermentazione
alcolica produrrà alcol (principalmente etanolo). In entrambe le fermentazioni, solitamente si nota anche una produzione di anidride
carbonica.

Anche all’interno della singola fermentazione lattica o alcolica possiamo avere risultati, quindi sapori, diversi fra loro, in funzione dei
microorganismi maggiormente presenti.

Fermentazione spontanea o con starter


Ma come facciamo a fare in modo che avvenga questa o quella fermentazione?

Come abbiamo detto, la fermentazione è un processo a carico di alcuni microrganismi. Quindi, se vogliamo che avvenga uno specifico
tipo di fermentazione dovremo fare in modo che sia maggiormente presente quel particolare microrganismo che causa la fermentazione
desiderata.
Per fare in modo che ciò avvenga ci sono due modi: o creo le condizioni ottimali per quel tipo di microrganismo a discapito degli altri
oppure inoculo in maniera massiccia quel preciso batterio o lievito.
Il primo metodo prende il nome di fermentazione spontanea. Per ottenere una fermentazione spontanea è necessario creare le
condizioni ideali per far proliferare solo i microrganismi voluti, già presenti nell’ambiente (eh sì, i microorganismi sono ovunque
anche se non li vediamo!), in modo che questi abbiano un vantaggio nel proliferare rispetto agli altri. Questo approccio crea
un ambiente selettivo. Una volta dato questo vantaggio, ci penseranno loro a rendere l’ambiente sempre più adatto alla loro
proliferazione e inospitale per altri microrganismi.
Con il secondo metodo, ovvero utilizzando gli starter, si ottiene lo stesso risultato ma si inoculano in massa i microrganismi
desiderati. Questo darà loro un vantaggio numerico iniziale che gli permetterà di modificare l’ambiente a loro vantaggio. Questi batteri
o lieviti selezionati prendono il nome di starter.

Adesso che sappiamo cosa vuol dire fermentazione e i principali aspetti, potremo approfondire in futuro i singoli processi fermentativi
applicandoli ad alcune preparazioni.

2. Il principio della fermentazione


La fermentazione spontanea è quella che preferisco, perché non lascia nulla al caso. Infatti, gran parte delle tecniche fermentative si basa
sul comprendere quale tipo di ambiente selettivo è necessario, e riuscire a crearlo e mantenerlo nel tempo. Essendo cresciuto
professionalemente anche in ambienti di ricerca scientifica, mi sono abituato a ricercare sempre la causa-effetto di ogni
avvenimento e comprendere i meccanismi che regolano i processi biologici e chimici. Questa passione per la “logica scientifica”
(passatemi il termine) mi ha fatto innamorare della fermentazione, poiché ogni scelta porta ad una conseguenza precisa.
La fermentazione non è istinto ed intuito ma logica e scienza
Quando decidiamo di procedere con una fermentazione, agiamo in questo modo:
1. scegliamo cosa processare e cosa vogliamo ottenere;
2. teorizziamo cosa fare e individuiamo gli strumenti necessari per ottenere il risultato;
3. procediamo con la fermentazione monitorando tutti i parametri possibili per verificare che le scelte si siano rivelate vincenti e
tenendo nota di tutti gli ingredienti, strumenti e parametri ambientali.

Tutto ciò servirà per replicare in futuro la stessa fermentazione, ottenendo un risultato simile, se non uguale.

Ovviamente, ci sono tante variabili che ci sfuggono e ogni fermentato sarà leggermente diverso, ma la soddisfazione di aver ottenuto un
risultato che “abbiamo teorizzato” è grande!

Se non hai chiari i concetti base della fermentazione ti consiglio di leggere anche questo articolo.

Ingredienti
Prima di tutto analizziamo gli ingredienti che useremo come “strumenti”, ovvero gli ingredienti che usiamo come mezzo per fermentare
le materie prime.

Acqua
L’acqua è un mezzo di fermentazione molto importante. Questo ingrediente-strumento, dovrà essere prima di tutto potabile e
possibilmente senza aggiunta di cloro. Il cloro, presente nell’acqua di rubinetto, serve per uccidere tutti i microorganismi e renderla
sicura per l’uso casalingo, ma potrebbe impedire o rallentare la fermentazione. Se siete costretti ad usare acqua di rubinetto, fatela
bollire o lasciatela in un contenitore a bocca larga per un paio di giorni, in modo da far evaporare la maggior parte del cloro.

Sale
Un altro ingrediente-strumento fondamentale per moltissime fermentazioni. Meglio scegliere un sale non iodato, poiché lo iodio
potrebbe rendere la fermentazione più complicata. Se potete, usate sale che contenga anche altri minerali che saranno utili ai
microorganismi per crescere e moltiplicarsi. Il sale marino integrale è un’ottima scelta, anche se contiene tracce di iodio, queste non
influiscono significativamente sulla fermentazione. Si parla in dettaglio di sale anche in questo articolo.

Zucchero
Spesso è necessario aggiungere zucchero nelle nostre fermentazioni. Infatti, gli zuccheri sono l’alimento principale per lieviti e
batteri e possono aiutare una fermentazione a partire senza apportare grossi cambiamenti aromatici agli altri ingredienti. Tuttavia,
scegliendo zuccheri non completamente raffinati, possiamo aggiungere anche aroma ai nostri fermentati. Se vuoi approfondire molti
aspetti sugli zuccheri e il loro utilizzo, ti consiglio di seguire il blog del mio amico Giovanni Ceccarelli.

Strumenti
Senza dilungarci troppo, consideriamo tre grandi categorie di strumenti: di trasformazione; contenitori; di misurazione.

Strumenti di trasformazione
Tutti gli strumenti che ci servono a processare gli ingredienti prima della fermentazione. I più classici sono coltello, tagliere e pestello.
Possibilmente tutti in policarbonato e non in legno. Possiamo avere anche a disposizione frullatori, mixer o altri piccoli elettrodomestici
che ci renderanno la vita più facile. Essendo pigro di natura, adoro la tecnologia che mi semplifica la vita!

Contenitori
Qualunque vaso, barattolo o contenitore nei quali fermentare gli ingredienti e conservarli. L’importante è che sia sufficientemente
capiente e che sia possibile tapparlo. Preferite il vetro a plastica e legno. Per coprire i contenitori senza tapparli usate strofinacci o
stamigna bloccati con un elastico. Invece, per chiudere in modo ermetico i barattoli ci sono diverse soluzioni, ma se avete paura che
questi possano scoppiare, preferite tappi con valvole di sfiato o applicate un gorgogliatore.
barattoli fermentazione
Attenzione! Le fermentazioni possono generare molta anidride carbonica, creando
grande pressione nei contenitori, che potrebbero esplodere in casi estremi
Per assicurarsi che gli ingredienti rimangano sommersi nel liquido di fermentazione ci si può aiutare con dei pesi (qui troverai alcuni
consigli su come tenere le verdure sotto la salamoia). Procuratevi imbuti e filtri per facilitare i travasi. Infine, i contenitori per le
fermentazioni possono essere intesi come sistemi molto complessi: per esempio, camere con temperatura e umidità controllata.

Strumenti di misurazione
Ci permettono di controllare oggettivamente quello che facciamo. Il primo strumento è sicuramente un quaderno. Scrivete TUTTO!
Anche i dettagli meno importanti. Poi abbiamo gli strumenti per misurare pesi e volumi, come bilancia e caraffe graduate. Infine gli
strumenti che misurano i parametri. I più importanti sono: termometro (temperatura), rifrattometro (concentrazione zuccheri)
e pHmetro (pH). Senza questi, è più difficile capire cosa stiamo facendo.

3. Quale sale dovrei usare per fermentare le verdure?


Come abbiamo visto in un articolo precedente, esistono diversi tipi di fermentazioni ed è possibile decidere se usare degli starter o una
fermentazione spontanea creando le condizioni ideali.

Per quanto riguarda la fermentazione delle verdure, sfruttiamo la fermentazione lattica (di cui abbiamo parlato qui), e in questo caso,
oltre ad un eventuale starter, sono necessari solo tre ingredienti: le verdure, il sale e l’acqua. Un elenco corto, che necessita quindi di
grande attenzione sulla scelta degli ingredienti. Nel blog trovi un articolo sull’importanza dell’acqua nelle fermentazioni, clicca QUI, e
diverse ricette per le verdure da fermentare.

Ovviamente, sono prioritari prodotti freschi di qualità, così come l’acqua adatta. Ma che dire del sale? Senza entrare in merito ai presunti
benefici nutrizionali per l’essere umano, esistono diversi tipi di sale che possono anche contenere minerali in tracce, i quali possono
essere molto utili ai microrganismi durante le fermentazioni.

Tipi di sale
 Sale da cucina (raffinato)

Si tratta del sale più diffuso nei negozi alimentari e supermercati. Il sale da cucina solitamente è raffinato, ovvero contiene solo cloruro di
sodio e spesso additivi antiagglomeranti (come il E535 ed E536). Il sale da cucina può essere utilizzato per le fermentazioni, meglio se
non sono presenti additivi, ma non è la scelta migliore.
 Sale marino
Salina dove si produce il sale
marino
Il sale marino viene prodotto a partire dall’acqua di mare e viene prodotto principalmente nelle saline. Può essere raffinato o integrale.
Quando siete alla ricerca di un sale marino integrale, cercate un sale non bianco candido ma che presenti sfumature colorate. Il sale
marino grigio, come quello atlantico, è fra i più comuni. Questi colori indicano che il sale non è raffinato e sono presenti ancora molti
minerali utili ai microrganismi. Alcuni sali integrali sono umidi perché non sono stati completamente essiccati o ulteriormente raffinati. In
Italia, le saline più famose sono quelle di Cervia, Trapani, Cagliari e Margherita di Savoia, che hanno anche ottenuto un riconoscimento di
qualità per il loro sale come Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
 Sale himalayano e altri sali colorati

Il sale himalayano è un sale di roccia, più ampiamente disponibile in quanto di moda. I sali himalayani sono ricchi di minerali e possono
essere di colore rosa o rosso, insieme ad alcuni cristalli bianchi. Ho scelto il sale himalayano come rappresentante di una categoria di sali
colorati alla moda, come quello rosso hawaiiano o blu iraniano. Il sale himalayano può essere utilizzato per la fermentazione delle
verdure.
 Sale kosher

Il sale kosher non è molto diffuso in Italia ma è disponibile in molti negozi di alimentari di altri paesi come negli USA. Il sale kosher non
è “Kosher” in sé, ma è usato per fare carni Kosher e viene anche chiamato sale “koshering”. Ha un più cristallo più grande e
solitamente non ha additivi presenti come nel sale da cucina, ma se presenti andrebbe evitato nelle fermentazioni.
 Sale iodato

Il sale iodato può essere trovato in qualsiasi negozio di alimentari. Lo iodio tende ad inibire i batteri, inclusi quelli “buoni” che fanno
lattofermentare le nostre verdure. Per questo motivo, sconsiglio fortemente l’utilizzo del sale iodato per la fermentazione lattica delle
verdure. Qualsiasi sale in vendita, se è iodato (contiene iodio), deve essere chiaramente etichettato, quindi facile da riconoscere. Il sale
integrale contiene anch’esso iodio in tracce, ma non a concentrazioni tali da avere un effetto antibatterico.
Un sale ideale per la fermentazione è non raffinato, non iodato, e pieno di minerali e altri
oligoelementi. Il mio consiglio è di preferire un sale marino integrale.

4. La fermentazione lattica
Come abbiamo visto in un articolo precedente, ci sono diversi tipi di fermentazione: in questo articolo approfondiremo le basi della
fermentazione lattica.

Che cos’è la Fermentazione Lattica?


La Fermentazione Lattica è un tipo di fermentazione a carico principalmente dei batteri dell’acido lattico (LAB – Lactic Acid Bacteria) o
chiamati spesso anche semplicemente lattobatteri.

È importante ricordare che il termine Lactic Acid Bacteria non ha uno status ufficiale in tassonomia e che in realtà è solo un termine
generale di convenienza usato per descrivere un gruppo di batteri funzionalmente e geneticamente correlati, ma appartenenti a 12
generi diversi.
I LAB si chiamano così perché producono Acido Lattico e non necessariamente sono legati alla
fermentazione del latte!
Durante la fermentazione i LAB producono principalmente Acido Lattico, che appunto da il nome alla fermentazione. L’acido lattico non
è l’unico composto che viene prodotto durante la trasformazione degli alimenti, ma ci sono una serie di prodotti secondari che danno ai
nostri ingredienti un sapore pungente e complesso, con un buon livello di acidità (dovuto appunto alla presenza dell’acido lattico).

I Batteri Lattici
In generale, abbiamo due tipi “metabolici” di batteri nelle fermentazioni lattiche:

Omofermentanti: producono quasi esclusivamente acido lattico a partire dagli zuccheri presenti che vengono trasformati al 90% in
questo acido;

Eterofermentati: qui gli zuccheri vengono metabolizzati al 50% in acido lattico mentre la restante percentuale di prodotti di
fermentazione è rappresentato da etanolo, acido acetico e anidride carbonica.

Spesso, all’inizio della fermentazione lattica, lavorano maggiormente i LAB eterofermentanti. Questo lo si capisce anche visivamente
perché la fermentazione è tumultuosa, si libera molto gas. Quando invece sono maggiormente presenti gli omofermentanti la
fermentazione è meno visibile.

I LAB, abbassando il pH e producendo dei particolari composti come le batteriocine, rendono sempre più inospitale l’ambiente per
batteri e muffe indesiderati, e potenzialmente creano le condizioni ideali per la proliferazione di altri LAB, in un succedersi di specie
diverse che rendono il nostro alimento via via più sicuro, interessante ed unico.

Successione
rappresentativa delle popolazioni di vari LAB durante la fermentazione lattica spontanea di verdure.
Asse X, giorni; Asse Y, n. di batteri per mL
Ad esempio, nelle verdure lattofermentate spesso proliferano nell’ordine:
1. Nella prima fase della fermentazione inizia non appena si aggiunge il sale alle verdure. Ci sono molti microrganismi naturalmente
presenti sulle tue verdure (tanto che l’origine della verdura determina il microbiota specifico dei nostri prodotti fermentati) che
possono tollerare il sale, e quelli che utilizzano l’ossigeno proliferano prima. In questa fase, che non è una vera e propria
fermentazione, prosperano specie come Enterobacter cloacae ed Erwinia herbicola. Questi batteri consumano tutto l’ossigeno
presente in tempi rapidi e trasformano l’ambiente all’interno del barattolo, inclusa la salamoia, anaerobico (privo di ossigeno).
Questa fase solitamente dura 1-2 giorni e una volta che tutto l’ossigeno è stato consumato dai microbi, la salamoia è un ambiente
anaerobico e inizia la seconda fase. Questa fase ci fa comprendere l’importanza di mantenere un ambiente chiuso, dove non possa
entrare continuamente ossigeno, e che non è sufficiente mantenere le verdure sotto la salamoia per ottenere un risultato
perfetto.
2. In questa fase, Leuconostoc mesenteroides, organismo tollerante al sale, con una fase latente relativamente breve e un alto tasso di
crescita a basse temperature (da 15°C a 18°C), contribuisce velocemente all’accumulo di acidi e all’abbassamento del pH. Oltre
una certa soglia, questi cambiamenti risultano limitanti per la sua crescita.
3. Infatti, dopo i primi 4-6 giorni di fermentazione di solito non è più riscontrabile L. mesenteroides, ed entriamo nella terza fase,
dove le condizioni di acidità sono ottimali perché inizi a proliferare fra gli altri Lactobacillus plantarum, una specie di lattobatteri
acidofili eterofermentati facoltativi (nel senso che hanno la capacità metabolica di fermentare zuccheri diversi attraverso percorsi
omo o eterofermentativi e che predilige condizioni acide). Questi batteri contribuiscono a raddoppiare il contenuto di acidi e far
abbassare ulteriormente il pH fino a 3,4-3,6 nel giro di 3-8 settimane.
Ricordatevi di mantenere il barattolo chiuso e più pieno possibile, non basta tenere gli alimenti
sommersi!
Ricordatevi che acidità in bocca e pH non sono esattamente la stessa cosa, ne aveva parlato il mio amico Giovanni Ceccarelli in questo
numero di Bartales, a pagina 92. Ovviamente, oltre agli acidi, la fermentazione produce una serie di altri composti che modificano
l’aroma degli alimenti.

Come creare l’ambiente selettivo


Anche per la fermentazione lattica è possibile seguire due vie: quella dello starter, ovvero inoculando una buona quantità di lattobacilli
oppure quella di creare delle condizioni vantaggiose (ambiente selettivo) affinché i LAB prendano il sopravvento sugli altri microrganismi
presenti.

In questo articolo ci concentreremo sulle fermentazioni lattiche spontanee, ovvero senza uso di starter, in modo da approfondire l’uso di
starter specifici in altri articoli.

Come sappiamo, per ottenere la fermentazione spontanea che desideriamo, è necessario creare un ambiente selettivo favorevole solo ai
microrganismi voluti. Se vuoi ripassare questo concetto, rileggi l’articolo sulle basi della fermentazione qui.

I parametri ambientali che possiamo modificare maggiormente per creare ambienti selettivi sono:

Ossigeno: nocivo per la fermentazione lattica; è importante creare condizioni di anaerobiosi (assenza di ossigeno), in questo caso
immergendo l’alimento in un barattolo chiuso.

Salinità: il cloruro di sodio (sale da cucina) usato in determinate percentuali, crea le condizioni ideali per alcuni LAB e inospitali per altri
microrganismi indesiderati. Ho parlato in dettaglio di sale in 3 diversi articoli. Per iniziare consiglio di non scendere sotto il 2,5% al
fine di evitare la proliferazione di microrganismi indesiderati, poi man mano con l’esperienza sarà possibile scendere sotto questa soglia,
mentre si può tranquillamente salire. La salatura può essere effettuata “a secco”, ovvero aggiungendo sale agli alimenti, che rilasceranno
poi liquido a sufficienza per mantenere il tutto immerso, oppure immergendo gli ingredienti in una salamoia (acqua e sale alla
concentrazione voluta).

Temperatura: anche questa crea condizioni favorevoli a determinati LAB piuttosto che altri. Ad esempio, come visto sopra, i batteri nelle
verdure lattofermentate prediligono una temperatura più bassa, mentre i LAB utilizzati nella produzione di yogurt lavorano a
temperature più alte, sopra i 40°C.

Zucchero: Solitamente è sufficiente lo zucchero già presente naturalmente negli alimenti da fermentare, ma se si vogliono ottenere
risultati diversi si possono utilizzare zuccheri diversi, giocando sui diversi aromi nei differenti tipi. Leggi qui l’approfondimento di
Giovanni Ceccarelli sugli zuccheri.
Capire quali sono i batteri di cui abbiamo bisogno è l’inizio del proprio processo decisionale, che ci porterà a studiare queste
specie e capire quali sono le condizioni ideali per prediligere la loro proliferazione.

Questo è possibile grazie alla grande risorsa bibliografica disponibile oggi. Un altro modo, molto più semplice, è quello di fermentare
uno stesso alimento a temperature o livelli di salinità differenti e scoprire che preferiamo un risultato piuttosto che un altro: l’importante
è scrivere sempre le condizioni di partenza e risultato ottenuto al fine di rendere il tutto il più replicabile possibile.

Infine, ricordatevi che spesso temperatura e salinità possono condizionarsi a vicenda: per esempio se in estate la temperatura è alta, le
fermentazioni rischiano di essere molto più veloci e incontrollate, quindi può essere una buona idea aumentare leggermente la salinità
per controllare meglio la fermentazione e viceversa d’inverno.

L’aggiunta di sale è sicuramente un modo molto semplice ed efficace per fa partire la fermentazione lattica, tuttavia è possibile ottenere
alimenti lattofermentati anche usando degli starter o ingredienti che hanno già naturalmente un buon contenuto di sale.

La fermentazione lattica in cucina e in miscelazione


Fondamentalmente, potete fermentare qualunque verdura o frutto, a partire dai famosissimi sauerkraut e i limoni lattofermentati
(chiamati a volte “marocchini”) fino ad arrivare a fermentare ingredienti a cui non pensereste nell’immediato, come la menta. Questi
fermentati possono rappresentare l’ingrediente finale nelle vostre preparazioni così come un punto di partenza per produrre uno
sciroppo, uno shrub o un premix da poi utilizzare nei drink, oppure essiccati possono diventare delle polveri aromatizzanti fantastiche da
usare su piatti che riceveranno così quel valore aggiunto che li rende unici e inconfondibili, esplorando nuove frontiere gustative. Un
esempio che mi viene in mente è una polvere di finocchio lattofermentato che al naso ricordava più un fungo essiccato che un finocchio,
pur mantenendo una piacevole acidità al palato.

6. Parametri di conservazione verdure fermentate


La corretta conservazione delle verdure fermentate sta diventando un aspetto abbastanza spinoso. Con il successo che sta riscontrando
questo fermentato negli ultimi anni, oltre a una grande diffusione della autoproduzione a casa, si stanno anche diffondendo in Italia una
buona quantità di produttori più o meno artigianali. La conseguenza di questa prima fase esplosiva è che sul mercato stanno arrivando
tanti prodotti che danno messaggi a volte in contraddizione fra i vari produttori. Un aspetto che viene trattato in maniera differente è
sicuramente la variabile “conservazione verdure fermentate”.
Come vanno conservate le verdure fermentate?

Partiamo col definire il concetto di “conservazione“. Diciamo che la conservazione di un prodotto è espressa come lasso di tempo
durante il quale l’alimento non subisce cambiamenti significativi. A livello commerciale, questo termine viene indicato come “shelf
life”, che è più o meno “vita a scaffale”.

Ci sono diversi parametri che coinvolgono questo periodo e “non cambiamento”. Ovvero durante questo arco temporale le
caratteristiche di un alimento non devono cambiare! Ogni categoria alimentare potrebbe avere diverse caratteristiche da controllare. Nel
caso delle verdure fermentate ci interessano principalmente 3 aspetti:
 la sicurezza dell’alimento
 le proprietà organolettiche
 la quantità di microrganismi presenti

Sicuramente ci sono altri aspetti che possono essere interessanti, come la qualità dei microrganismi presenti, intesa come quali ceppi ci
sono. Ma limitiamoci a quelli più controllabili.

Sicurezza dell’alimento
La produzioni degli alimenti va sempre fatta in sicurezza. Per questo ci sono determinati parametri, che ci permettono di verificare che
l’alimento sia sicuro per il consumo. Per le verdure fermentate, per esempio, si può usare la salinità, il pH e un controllo visivo.
Ovviamente è necessario che questi parametri siano misurati correttamente. “Un cucchiaio di sale” o “ad occhio” per esempio non sono
quantità precise e misurabili. Una bilancia ha un costo davvero irrisorio e ancora oggi non capisco la difficoltà di pesare le verdure e il
sale. Allo stesso modo ho visto e letto di ricette in cui si consigliava di valutare l’acidità di una verdura fermentata con la lingua. In
pratica, si consigliava di valutare un parametro di sicurezza alimentare, con delle soglie precise, usando la punta della lingua.

Una volta individuati questi parametri di sicurezza, è indispensabile valutare se e quanto cambiano durante il tempo. Ad esempio,
dobbiamo essere in grado di studiare se il pH varia in maniera incontrollata durante la conservazione. Queste prove solitamente
vengono effettuate dalle aziende che producono un alimento, che significa che spesso è necessario un investimento in tempo e
risorse importante prima di commercializzare un prodotto.

Proprietà organolettiche
Questa variabile di solito non investe direttamente la sicurezza di un alimento. Le proprietà organolettiche di un alimento sono legate al
suo sapore. Questo può cambiare col tempo, sia a livello di gusto (in questo caso acidità), che di aromi che di consistenze. Ancora
una volta, sono necessari tanti investimenti in termini di tempo e risorse per capire quanto varia il sapore nel tempo dell’alimento, messo
in diverse condizioni. Per esempio nel caso delle verdure fermentate, si può valutare se DOPO la fermentazione, la verdura deve
rimanere sempre sommersa o meno, se a temperatura ambiente o in frigorifero e così via. Nella nostra esperienza, la temperatura gioca
un grande ruolo per mantenere un prodotto stabile, SENZA PASTORIZZARLO. Senza un controllo della temperatura il prodotto è
allo sbando. In senso letterale. Subisce variazioni di temperatura importanti e i processi fermentativi sono fuori controllo, con
conseguenti modificazioni del livello di acidità, sviluppo di aromi poco piacevoli e perdite di consistenze.

Quantità di microrganismi
(il più sottovalutato ma fondamentale)
Perché mangiamo verdure fermentate non pastorizzate? Sicuramente perché sono molto buone e (importante allo stesso modo) perché
riescono ad arricchire e aumentare la biodiversità del nostro microbiota intestinale oltre che ridurre l’infiammazione. Questo
aumento di biodiversità è stato confermato da un recente studio della Stanford University, clicca QUI se vuoi leggere di cosa si tratta.

La quantità di microrganismi può essere più o meno importante al momento del completamento del processo produttivo. Il livello di
presenza di batteri lattici può essere determinata solo attraverso delle analisi specifiche. Per quanto riguarda le fermentazioni spontanee,
che prediligono la varietà alla quantità, è possibile sapere la quantità ma molto difficile che si possa raggiungere l’immagine completa
sui ceppi presenti. Tuttavia, questo aspetto è poco importante senza uno scopo terapeutico preciso: la varietà di ceppi è di gran lunga
più importante della quantità di un singolo ceppo noto. Per questo si prediligono le fermentazioni spontanee.

Un
campione di kimchi con 100 milioni di fermenti (batteri) lattici/gr
Una volta ottenuto il quantitativo iniziale (al momento dell’invasettamento), è poi necessario monitorare l’andamento di questa
popolazione per capire come varia. Da quanto si evince da pubblicazioni sull’argomento e varie prove fatte in azienda, il modo migliore
per garantire la sopravvivenza a lungo termine dei batteri lattici presenti nelle nostre verdure fermentate è mantenerle a una
temperatura da frigorifero. Ovviamente questa indicazione non vale se produciamo le nostre verdure fermentate in casa e le
consumiamo in tempi relativamente brevi.
Il miglior modo per mantenere la vitalità delle verdure fermentate è mantenerle in frigo
Questa affermazione non trova conferma solo nella letteratura e nelle prove empiriche fatte in azienda, ma anche nell’utilizzo della
distribuzione refrigerata da parte delle aziende produttrici di verdure fermentate non pastorizzate fra le più importanti al
mondo. Se così non fosse, un’azienda non investirebbe risorse e investimenti nel tenere in piedi una distribuzione tanto più costosa
rispetto a quella non refrigerata. In generale, se una soluzione più costosa non porta dei vantaggi in termini qualitativi, le aziende non la
scelgono!

Una verdura fermentata non pastorizzata, distribuita a temperatura ambiente, andrebbe idealmente acquistata direttamente da chi la
produce, senza spedizioni e a poco tempo dal momento in cui è stata confezionata.

Omogeneità fra prodotti dello stesso lotto


A proposito di questi parametri, è opportuno anche comprendere il concetto di “lotto”. Questi parametri, infatti, devono
essere coerenti per tutti i prodotti che riportano lo stesso lotto (cioè che vengono fatti insieme). Per questo, quando si fermenta in
singoli vasetti bisogna fare un lavoro di campionamento molto impegnativo per capire la varianza del parametro fra i singoli vasetti di
uno stesso lotto. Fermentare in singoli vasetti che rappresentano l’unità di vendita, solitamente sottintende o una scarsa conoscenza del
termine lotto, oppure un lavoro enorme di controllo (spesso insostenibile).

Ambito casalingo vs produzioni professionali


Sicuramente questo discorso è più improntato sulle produzioni professionali, ma alcuni aspetti sono da considerarsi anche in ambito
casalingo. La sicurezza degli alimenti vale solo in ambito professionale? Se si fermenta in ambito casalingo allora va bene rischiare di
avvelenare le persone?
Se si produce a casa è giustificato rischiare l’avvelenamento?
Credo che con tutte le possibilità che si hanno oggi fra libri, corsi e risorse online, sia davvero sciocco non approfittare di queste risorse
e continuare a produrre in maniera approssimativa. Altro discorso per quanto riguarda omogeneità di sapori e presenza di
microrganismi “buoni”. Sono parametri che non mettono in nessun modo a repentaglio la propria salute.
Artigianalità giustifica i difetti?
Oltre ad essere in grado di mantenere omogeneità all’interno dello stesso lotto, come descritto prima, una produzione professionale si
distingue anche per la capacità di mantenere differenze impercettibili fra un lotto e l’altro. In ambito fermentati spontanei, ovvero
dove non si usano gli starter, questa continuità è molto difficile da raggiungere. Non essendoci uno starter che garantisca un risultato
identico fra i vari lotti a prescindere dalle competenze di chi le produce, si deve essere in grado di controllare un gran numero di
variabili. Queste competenze infatti sono fatte di conoscenze (studio tanto studio e ancora studio) e capacità che derivano
principalmente dall’esperienza. Oggigiorno, l’industria alimentare ci ha insegnato che la standardizzazione è l’unico risultato a cui deve
ambire un’azienda. Sono parzialmente d’accordo con questa convinzione, peccato che il mezzo con cui ci fanno credere sia raggiungibile
per i fermentati sia solo attraverso microrganismi selezionati in laboratorio. Ovviamente questi microrganismi sono brevettabili e
vendibili. Altrimenti perché promuoverli così tanto? Grazie ai magici starter, anche il più impreparato fra gli operatori può versare la
bustina magica nel calderone e otterrà sempre lo stesso risultato (senza identità). Garantito.
Artigianalità è l’eccellenza che incontra l’unicità
Ottenere un risultato standardizzato con le fermentazioni spontanee, al netto delle differenze di sapore della materia prima,
è estremamente difficile e richiede che l’operatore non sia un semplice operaio di linea ma sia un professionista formato e con
competenze. Ma queste competenze sono molto poco diffuse e molti giustificano l’incompetenza con i “normali” difetti del prodotto
artigianale e “fisiologiche” differenze fra un lotto e l’altro. Questi pressapochismi stanno aprendo un’autostrada ai venditori di starter e
alla de-competenza di chi opera nel settore, con conseguente abbassamento degli stipendi e futura guerra al ribasso dei prezzi di
vendita.

Questo aspetto lo si nota anche nella conservazione delle verdure fermentate messe in vendita. Poiché una conservazione ottimale
refrigerata ha costi e sforzi importanti e incide fortemente sul prezzo di vendita, allora a volte si preferisce distribuire un prodotto a
temperatura ambiente e si giustifica il tutto denigrando la necessità di una catena di distribuzione refrigerata. Tanto è artigianale (ergo
difettato), che ci frega di raggiungere il massimo qualitativo di un prodotto?
Ma come abbiamo visto sopra, questo parametro è importante per preservare a lungo termine la quantità di fermenti vivi nelle verdure
fermentate. Se distribuiamo a temperatura ambiente con una data di scadenza di mesi, tanto vale scrivere direttamente
“pastorizzato” in etichetta. Si è più coerenti.

In conclusione, l’educazione del consumatore deve rimanere un obiettivo prioritario ed è compito dei produttori artigianali
promuovere la loro eccellenza che non sarà mai raggiungibile dall’industria alimentare di massa, smettendola di usare questo termine
per giustificare la propria mediocrità. Altrimenti, prima o poi, chi li consuma si renderà conto che il prezzo pagato non è giustificato
da un prodotto mediocre che sarebbe in grado di fare anche lui a casa.

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