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Lattiero casearia Lz.

13 16-12-2021

PRINCIPALI FRODI NEL SETTORE LATTIERO-CASEARIO


Una frode è la produzione o la commercializzazione ovvero la messa sul mercato di materie prime o di
prodotti che non rispondono ai requisiti per cui vengono venduti.
Possiamo distinguere le frodi commerciali e le frodi igienico-sanitarie:
Frodi commerciali: messa in commercio di materie prime o di prodotti finiti che per la loro mancata
rispondenza agli standard per i quali vengono commercializzati, producono danni economici quindi un
profitto illecito per l’operatore che la effettua.
Per esempio, commerciare alimenti con un valore superiore a quello reale, non facciamo nessun danno
fisico a nessuno ma facciamo un danno economico
Le frodi più pericolose sono le frodi igienico-sanitarie che producono conseguenze (probabili o certe) sulla
salute umana. Non è necessario che un alimento che è stato contraffatto, che viene evidenziato in una
frode, faccia del male a qualcuno, ma l’importante è che sia potenzialmente in grado di farlo. In termini
concreti, se le autorità fanno un prelievo di un campione in un qualsiasi momento della sua vita e il
prodotto non è conforme ai requisiti igienico sanitari scatta la denuncia e tutte le conseguenze penali e civili
anche se il prodotto non ha fatto male a nessuno perché non è stato consumato; basta che il prodotto sia
anche nella sua composizione potenzialmente nocivo per far configurare una frode igienico-sanitaria.
L’esempio più semplice è la messa in commercio di alimenti contaminanti da agenti come batteri patogeni,
contaminanti chimici, anni fa c’era il problema della diossina che è una sostanza cancerogena che
interessava i prodotti lattiero caseari in quanto questa sostanza tende ad accumularsi nei grassi e quindi gli
alimenti ricchi in sostanza grassa sono più soggetti a queste molecole.

All’interno di queste due macrocategorie frodi commerciali e igieniche-sanitarie, a prescindere dai danni
che fanno, bisogna scendere nel dettaglio, possiamo avere diversi comportamenti in ambito food:
Sofisticazione: Sofisticare un alimento significa aggiungere delle sostanze estranee per migliorare l’aspetto
o coprire difetti di un alimento.
Io sofistico perché devo rendere il prodotto migliore già nell’aspetto o devo coprire dei difetti, quindi,
sostanzialmente si tratta di modifiche compositive minori, non si va ad imitare un prodotto con un altro ma
si cerca di migliorare il prodotto con piccole modifiche in modo tale che venga reso più attraente all’occhio
del consumatore, quindi, più simile al prodotto che il consumatore stesso considera nel proprio
immaginario di qualità.
Per esempio: l’uso di sbiancanti nella mozzarella e l’aggiunta di clorofille nell’olio di oliva. Gli sbiancanti
della mozzarella sono dei forti ossidanti che tendono a ossidare i carotenoidi variandone le proprietà
pigmentanti; nell’olio di oliva la clorofilla ha lo scopo di conferire il colore verdognolo e molti consumatori
associano il colore verde dell’olio di oliva alla freschezza e alla qualità dell’olio.
Se si va a fare un’analisi centesimale della composizione di questi alimenti non si trovano grosse differenze,
troveremo le tipiche composizioni sia della mozzarella che dell’olio di oliva però ci sono state queste piccole
modifiche che hanno reso l’alimento più appetibile.

Se invece la modifica della composizione è sostanziale non si parla più di sofisticazione ma di adulterazione.
Adulterazione: Adulterare un alimento significa sottrarre certi componenti e sostituirli con altri estranei
oppure cambiare il rapporto tra i componenti senza che il prodotto apparentemente risulti modificato.
In questo caso si tende a mantenere costante l’aspetto ma si modifica sostanzialmente la composizione.
Per esempio: l’annacquamento del latte e l’aggiunta dell’olio di semi all’olio di oliva, alla vista il
consumatore non se ne accorge mentre se viene fatto in maniera abbondante all’assaggio se ne accorge;
per rendersi conto della frode bisogna andare in laboratorio ed eseguire le analisi.

Per capire se abbiamo una frode commerciale o una frode igienico-sanitaria bisogna capire qual è il rischio
sulla salute/igienico-sanitario a cui ci esponiamo, nel caso dell’aggiunta di clorofilla nell’olio di oliva è una
frode commerciale, non c’è nessun problema in quanto viene consumata clorofilla ogni giorno in quanto è
presente in frutta e verdura; per quanto riguarda lo sbiancamento della mozzarella entriamo nelle frodi
igienico-sanitaria in quanto vengono aggiunte delle molecole fortemente ossidanti che non sono ammesse
dalla legge. Tutte le molecole che si aggiungono eventualmente nel processo alimentare devono essere
autorizzate, nessuno può liberamente comprare un additivo o un conservante e aggiungerlo all’alimento,
deve prima andare nella bibbia dei conservanti che è disposto a livello comunitario e andare a vedere se
quella molecola è ammessa nella filiera, nel prodotto e nel processo in cui la vuole utilizzare.
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Nel settore lattiero caseario gli additivi e i conservanti ammessi sono pochissimi, all’interno del singolo
prodotto sono 4-5.
Nel caso dello sbiancamento della mozzarella stiamo utilizzando un additivo non ammesso dalla legge e
quindi stiamo parlando di una frode igienico-sanitaria, se non sono consentiti significa che sono dannosi per
la salute in quanto gli additivi ammessi vengono sottoposti a dei test sulla tossicità.

L’annacquamento e aggiunta di olio sono frodi commerciali, aggiunta di componenti di minor pregio
sottraendo parte del prodotto di miglior pregio, il prodotto che viene sottratto di nascosto poi viene
venduto e quindi c’è un profitto.

Alterazione: produrre o porre in vendita un prodotto alterato è una frode igienico-sanitaria, un prodotto
alterato è un prodotto che ha una modifica della composizione a causa di fenomeni degenerativi ovvero
prodotti che stanno andando a male. Alcuni prodotti possono essere alterati anche se visibilmente non lo
sembrano e a volte non sembrano anche sensorialmente, ad esempio un formaggio fresco ottimo nel
sapore e nell’aspetto che però allo stesso tempo ha causato intossicazione, in quel caso il consumatore ha
acquistato un prodotto alterato ma non poteva accorgersene. Dunque, l’alterazione non è necessariamente
visibile in maniera macroscopica.
Queste alterazioni molto spesso non sono apportate volontariamente, l’operatore compie il reato di non
metterle fuori dal commercio il prodotto quando se ne accorge o quando ha un sospetto.
Può sospettare che un prodotto sia alterato quando visibilmente non c’è alterazione ma sa che magari quel
prodotto non è stato conservato bene e quindi può intuire che se ha tenuto il frigorifero spento o la data di
scadenza è prossima o è passata oppure sa che in altri esercizi commerciali o prodotti omologhi dello stesso
lotto sono stati contestati, in tutti questi casi il dolo sta nel non eliminare quel prodotto dal mercato.
L’alterazione deriva dall’errata modalità di conservazione oppure eccessivo prolungamento dei tempi di
conservazione.
Per esempio: immettere in commercio prodotti scaduti rietichettati oppure formaggi alterati venduti come
tipici; spesso produttori di piccole aziende o aziende che hanno preso gli scarti delle aziende e gli mettono
in vendita vendendolo come prodotto tipico come formaggi acarizzati. La pasta che contiene i vermi
all’interno oppure i formaggi con i vermi.
La commercializzazione di questi prodotti alterati comporta il sequestro, il verbale e la denuncia penale.

La contraffazione riguarda la riproduzione dei prodotti con una certa notorietà spacciati per “originali”.
Apporre loghi DOP o di marche famose su prodotti “comuni” o falsificare i loghi.

Quest’immagine è un esempio di contraffazione del logo del prosciutto di parma DOP, lo stampo con il
numero di lotto è quello originale, mentre la corona con scritto parma senza il numero di lotto è quello
falso. La contraffazione in questo caso è evidente in quanto c’è il logo contraffatto, questo può riguardare
anche la confezione, i prodotti confezionati in busta, anche inserire il logo di un paese rispetto ad un altro è
contraffazione anche se qui entriamo nel concetto di agropirateria.

Agropirateria: “l’italian sounding”


L’italian sounding è la forma più famosa dell’agropirateria che è un particolare fenomeno di contraffazione
particolarmente frequente nel food, ha lo stesso significato della contraffazione ma in questo caso è legato
specificamente all’area geografica diversa, quindi, rivendicare un’origine che lo vende meglio, a volte
neanche per spuntare un prezzo maggiore ma semplicemente per convincere il consumatore a scegliere
quel prodotto piuttosto che un altro e spesso è una frode effettuata in modo subdolo. A volte il richiamo al
paese diverso a volte è macroscopico mentre altre volte il richiamo è proprio studiato e il consumatore
spesso non se ne accorge ma viene istintivamente attratto.
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In particolare, con l’espressione italian sounding si definisce la pratica di imitare prodotti agroalimentari
italiani mediante l’utilizzo di nomi, immagini, combinazioni cromatiche (come il tricolore) che evocano
inequivocabilmente l’orizzonte italiano, nel tentativo di sfruttare l’appeal del nostro agroalimentare.

Apporre in etichetta un richiamo all’Italia è estremamente vantaggioso anche se il prodotto non è italiano.

Questi sono alcuni esempi subdoli di richiamo del prodotto italiano, le tre immagini a destra sono un vero e
proprio richiamo al tricolore mentre l’altro non presenta il tricolore ma presenta il nome “prisecco” che
suona prosecco e quindi è un italian sounding.
Nell’immagine possiamo vedere una mozzarella di bufala con il nome zottarella, è rappresentata la caprese
italiana, un parmesan e un olio di oliva che viene chiamato casa di oliva che con la scritta italiana inganna il
consumatore nel pensare che sia un prodotto italiano.

L’italian sounding sottrae al fatturato italiano circa 100 miliardi di euro.


Questa è una battaglia difficile da affrontare perché non sono prodotti che fanno male a qualcuno dal punto
di vista igienico sanitario, non sono l’appropriamento di marchi di nessuno; quindi, nessuno può rivendicare
che gli è stato rubato un marchio o un brevetto, c’è solo una scorrettezza generale che si può combattere
dichiarando illegali i prodotti di imitazione, in Italia si configurerebbe come slealtà commerciale come
errata comunicazione al consumatore. Questa è una frode in quanto si sta ingannando il consumatore, si
sta ingannando il consumatore in maniera subdola ad acquistare un prodotto che in realtà non è. In Italia
nessun’etichetta di quel tipo passerebbe ovvero che richiama qualcosa che è altro, la nostra legislazione è
estremamente rigida, quelle sono etichette di americani e orientali.
Quindi, questo problema si contrasta solo dichiarando illegali i prodotti di imitazione, questi prodotti
possono essere dichiarati illegali in Italia dal governo e quindi viene fatta una legge, mentre questi sono
prodotti non italiani in cui non abbiamo nessuna legislazione, il governo italiano non può obbligare il
governo di un altro paese a mettere fuori legge quel tipo di prodotto, è impossibile.
L’unica possibilità è fare gli accordi bilaterali, ci si siede al tavolo con i singoli paesi e si cerca di trovare un
accordo, un accordo comporta sempre uno scambio quindi è estremamente complicato. Se ad esempio si
volessero convincere i cinesi ed eliminare dal mercato le bottiglie di olio con il nome italiano però fatto in
Cina, certamente la Cina vorrebbe tutelare in Italia i prodotti anche non alimentari in Italia, ad esempio
sull’abbigliamento.
L’italian sounding non è un problema europeo in quanto ci sono le leggi che tutelano i prodotti
specialmente i prodotti a marchio.

Col Canada il recente trattato Ceta tutela 41 prodotti italiani a marchio Dop e Igp; con gli Stati Uniti non è
mai stato stipulato un accordo bilaterale. Il mercato più sfidante è quello cinese, che ha da poco accolto il
riso certificato di una serie di aziende italiane, dopo lunga trattativa.

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PRINCIPALI FRODI SU LATTE E FORMAGGI
Su latte e formaggi sono possibili anche più di 100 frodi, le più frequenti sono:
 Annacquamento e diluizione con siero di latte o acqua
 Miscele di latte di specie diverse; realizzare formaggi con miscele di latti diversi, mozzarella di bufala
con latte vaccino
 Tipologia commerciale impropria o aggiunta di latte in polveri in latti alimentari pastorizzati o sterilizzati
 Formaggi con latte o proteine del latte in polvere
 Impiego di latte di provenienza diversa da quanto previsto in disciplinare (formaggi DOP) o da quanto
riportato in etichetta senza che si parla di prodotti DOP es. latte della murgia ma il latte è del trentino
alto Adige
 Formaggi a pasta filata con cagliata pronta importata? Questo è un problema nazionale

Annacquamento
È una frode più antica: il latte essendo un liquido bianco ed opaco, può essere facilmente sottoposto ad
aggiunta di acqua fino al 30% circa senza che l’aspetto ne risenta.
A livello compositivo, grasso e proteina risultano diluite, ma la loro naturale variabilità potrebbe in teoria
“giustificare” una diluizione della concentrazione anche del 10-15%.
Se analizziamo una cisterna di latte della Germania non conosciamo le condizioni delle stalle e dunque
possiamo valutare semplicemente se le variazioni delle concentrazioni sono naturali o innaturali;
ricordiamo che il grasso nel latte ha un’estrema variabilità, dunque la variabilità può essere giustificata se si
trova in un range del 10-15%.
Con la valutazione di questi macrocostituenti possiamo smascherare solo le frodi macroscopiche.

I componenti in soluzione (lattosio e sali minerali) non hanno questa ampia variabilità, e sono ottimi
indicatori di annacquamento, ma solo tra il 5 e 10% di aggiunta. Guardando questi due componenti in
soluzione, che sono i responsabili dell’isotonia del latte e del sangue, possiamo beccare l’annacquamento
del 5-10%.

In questa tabella vediamo la composizione media di varie razze bovine, il valore del lattosio è calcolato su
un centinaio di capi per razza, quelli sono valori calcolati mediante una deviazione standard, quindi, sono
valori più ampi. Per quanto sia costante il lattosio, tra una razza e l’altra c’è un’oscillazione naturale, anche
in questo caso, restringendo la variabilità, non possiamo dire che grazie al valore di lattosio basso possiamo
beccare la frode. Se in un latte troviamo un valore di 4.70% rientra nel range ma chi ci dice che nel latte
originale non aveva 4.90% e quindi l’hanno diluito; ma non lo possiamo affermare con certezza in quanto il
valore è compreso nel range di variabilità.
Dunque, dall’analisi della composizione possiamo svelare soltanto annacquamenti macroscopici,
l’annacquamento del 5% è un valore macroscopico perché oggi questa frode viene fatta sui livelli
estremamente modesti che viene fatta sull’1-3% perché chi lo fa sa benissimo che qualsiasi analisi
compositiva è impotente nella rilevazione della frode.

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D’altro canto, gli annacquamenti così modesti sono più che sufficienti ad apportare consistenti profitti
illeciti e sono difficili da rilevare.

Esempio di annacquamento al 3%
100 quintali di latte, si sostituiscono 3 quintali si latte con 3 quintali di acqua
100 quintali si latte X 40 euro = 4.000 euro
Il valore commerciale pei 3 quintali di latte è 120 euro, i 3 quintali di acqua non costano niente e ha
ripristinato il volume iniziale.

Chi volesse fare questa frode solo al 3% sviluppa 120 euro al giorno che moltiplicato per 30 giorni è 3.600
euro di stipendio illecito.
Il produttore o il commerciante del latte lavora anche con 1.000 quintali al giorno di latte quindi anche un
annacquamento dell’1% sviluppa uno profitto illecito notevole, quindi non c’è bisogno di esporsi ad
annacquamenti facilmente rilevabili.
L’analista si deve concentrare su questi numeri e su questi parametri, su livelli molto piccoli di
annacquamento.

Tecniche per la rilevazione della frode


La valutazione della densità non serve a nulla perché basta scremare e annacquare e viene mantenuto tutto
normale.
È una tecnica superata, in quanto si basa solo sulla densità (almeno 1.028g/l nel latte fresco a 20°C),
parametro che può essere mantenuto costante annacquando e scremando contemporaneamente (grasso
più leggero, acqua più pesante).

La crioscopia ci aiuta NI, è vero che il punto crioscopico è caratteristico però quel valore -0,520°C che è
stato considerato il limite di riferimento funziona fino ad un certo punto perché ci possono essere dei casi
di -0,517 soprattutto se sono animali molto produttivi.
L’unica cosa che possiamo dire è che se ogni giorno ci troviamo ad un valore -0,520 o -0,519 è bene
effettuare delle analisi perché alcuni giorni dovremmo avere un valore più alto pari a -0,528 se così non
fosse ci dovremmo insospettire.
Sfruttala proprietà delle soluzioni di congelare valori direttamente proporzionali alla concentrazione dei
soluti. Dipende, cioè, solo dal numero delle sostanze in soluzione.

Il valore crioscopico non ci aiuta se le frodi vengono fatte con soluzioni isotoniche zuccherine o saline o
addirittura con il siero di latte, le soluzioni isotoniche vengono tipicamente fatte con il sale o lo zucchero da
cucina che hanno un basso costo che sono quelli più facilmente disponibili, meno comuni sono i mix di Sali
che comunque si trovano, possono essere utilizzati anche altri zuccheri come il lattosio che per gli
intolleranti viene eliminato e quindi il suo prezzo si è abbassato tantissimo.
Anni fa il lattosio costava 2-3 volte di più dello zucchero da cucina mentre oggi costano più o meno uguale.

Se l’annacquamento è stato effettuato con soluzioni saline possono essere esaminate le ceneri, quindi, si
incenerisce il campione di latte, lo si mette in un forno a 500°C in cui evapora e si incenerisce, infatti
restano delle ceneri biancastre che si analizzano sia quantitativamente che qualitativamente;
quantitativamente non ci serve a nulla in quanto se è isotonica ha la stessa quantità di Sali che sono
presenti nel latte mentre qualitativamente ci dà una risposta in quanto è impossibile riprodurre la stessa
sequenza di Sali del latte, solitamente se utilizziamo sale da cucina o mix di Sali troviamo certamente il
cloro, quindi, si fa l’analisi qualitativa sulla spettroscopia.
Questo strumento non è presente nei caseifici se non nei grandi colossi e quindi ci si rivolge a laboratori
esterni.

Se invece la froda è stata effettuata con soluzioni isotoniche di zucchero è più facile perché si utilizza la
cromatografia. La cromatografia è una tecnica di analisi che prevede l’immissione di una goccia del
campione che deve essere liquido; quindi, se è solido lo dobbiamo sciogliere, quindi si inietta una piccola
goccia di questo campione in questa macchina in cui tutte le molecole presenti in quella goccia vengono
separate una a una grazie a delle iterazioni con delle resine. Dunque, iniettiamo quella goccia e lo
strumento l’analizzerà molecola per molecola o gruppi di molecole; alla fine verrà fuori un grafico con dei
picchi, ogni picco rappresenta una molecola o un gruppo di molecole.
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Nel caso degli zuccheri è possibile evidenziare le singole molecole. Nell’immagine possiamo vedere un
cromatogramma tipico che si ottiene con una cromatografia degli zuccheri e possiamo vedere il glucosio, il
fruttosio, il lattosio e vengono separati singolarmente. Un’analisi degli zuccheri del latte deve produrre solo
lattosio al limite glucosio e galattosio se proprio è avvenuta la scissione dello zucchero durante la
conservazione a causa dell’attività microbica. Se in quest’analisi troviamo saccarosio e fruttosio significa che
è avvenuta l’aggiunta di qualcosa. Dunque, la ricerca qualitativa degli zuccheri ci dice se avvenuto
l’annacquamento, questo però vale nel caso in cui si utilizzano zuccheri diversi dal lattosio, se invece
l’annacquamento è stato effettuato con il lattosio non possiamo rilevare questa frode, il quadro
complessivo e il rapporto con le ceneri ci può aiutare, se abbiamo aggiunto lattosio in soluzione abbiamo
abbassato un po' tutto il resto dei componenti, magari il rapporto zuccheri/ Sali minerali cambia un po'.
Siccome il lattosio in commercio non è mai puro ed è sempre molto idrolizzato, i sacchi di lattosio hanno
molto glucosio e galattosio all’interno quindi vedremmo un’abbondanza un po' strana dei due monomeri e
quindi ci dovrebbe mandare in allarme.

C’è un’altra possibilità, la diluizione con siero di latte perché il siero di latte ha un costo zero o molto basso,
diluire con siero di latte apporta gli stessi vantaggi economici dell’annacquamento ma è molto difficile da
rilevare in quanto il siero è latte privato di grasso e caseina per cui una piccola aggiunta di siero sarà
irrilevabile in quanto si troverà nei range di normalità e in più il siero è isotonico e ha lo stesso profilo
glucidico. Con l’aggiunta del siero di latte il punto crioscopico e i Sali minerali sono nella norma, da questa
frode è relativamente facile difendersi perché si parla di danno economico, adulterazione/ sofisticazione,
abbattimento della resa e un peggioramento della qualità nel caso si produca formaggio.

Poiché il siero di latte crudo ha un profilo microbiologico pessimo è una frode che determina problemi nel
latte, ce ne accorgeremmo perché il latte ha una carica batterica fuori misura in quanto è estremamente
contaminato dai batteri, ammenoché non si utilizzi siero pastorizzato o in polvere.
Da questa frode ci possiamo difendere abbastanza facilmente, innanzitutto andando a guardare il
frazionamento delle frazioni azotate, caseina, sieroproteine e NPN. Se abbiamo aggiunto siero non abbiamo
aggiunto caseina in quanto il siero non ne ha, ma se abbiamo aggiunto il siero il rapporto caseine/
sieroproteine è cambiato.
Ad esempio, se abbiamo aggiunto il 15% di siero, è cambiato il rapporto della caseina e sieroproteine, la
caseina nel latte genuino mediamente rappresenta il 78% dell’azoto totale, le caseine sono presenti nel
2,6% mentre le sieroproteine sono lo 0,6%; in un latte modificato il contenuto di sieroproteine non è
cambiato perché il siero ha quella concentrazione mentre il valore della caseina è sceso a 2,21%.
Il rapporto nel primo caso (latte genuino) è 4,33 mentre nel secondo caso (latte modificato) il rapporto è
3,68; le sieroproteine restano costanti mentre la caseina è diminuita; questo è il risultato di una aggiunta
del 15% del siero di latte. Con una banalissima analisi di laboratorio ci possiamo accorgere di questa frode.

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Il limite tra rapporto normale e rapporto anormale, vediamo sempre la tabella delle razze in cui sono state
evidenziate le caseine e le sieroproteine, il rapporto in natura può variare da 4,2 a 5; in questo intervallo
ignorando l’origine della razza di quel latte siamo indifesi.
Anche in questo caso possiamo vedere il rapporto caseine/sieroproteine ci aiuta fino all’annacquamento
del 10%, un’aggiunta inferiore al 10% di siero di latte ci potrebbe dare variazioni che potrebbero essere
considerate naturali.

Molto spesso quando facciamo una frode cambiamo qualcosa a livello molecolare, in realtà l’esempio è
stato fatto con l’annacquamento con saccarosio, il saccarosio è un marcatore molecolare ovvero è una
molecola che fa da spia che non ci deve essere.

Facciamo la ricerca di un marcatore molecolare, che è endogeno che sta naturalmente, ed è la frazione
idrofila della k-caseina (106-169), quando in caseificio si fa il formaggio e si aggiunge il coagulante la k-
caseina si divide in due pezzi, il pezzo 106-169 (glico-macropeptide) si perde nel siero, quindi, il siero ha
sempre questa porzione carbossi-terminale della k-caseina. Il latte genuino non presenta questa porzione
perché è legata alla k-caseina, quindi se all’analisi vediamo il glico-macropeptide significa che è avvenuto
l’annacquamento con il siero di latte. Se abbiamo aggiunto il siero il glicomacropeptide non è legato alla k-
caseina ed è presente nel siero libero mentre nel latte questo componente non è libero ma è attaccato alla
caseina madre.
Quest’analisi è semplice da fare ma complessa da interpretare perché ci sono molti glico-macropeptidi
perché la k-caseina è una proteina complessa e ce ne sono tante nel latte, ci sono animali che sanno
sintetizzare k-caseina con una coda glucidica più lunga, mentre altri ne sintetizzano una più corta, si dice
che ci sono livelli diversi di glicosilazione cioè la lunghezza della coda glucidica può essere variabile, è una
caratteristica genetica, cambiano pure i siti di fosforilazione, la k-caseina ha molto fosforo e quindi ci sono
animali che possono attaccare molto più fosforo, quindi quando si va a fare l’analisi cromatografica
vediamo che sono presenti le diverse k-caseine, dunque vedremo diversi glico-macropeptidi.

Questo è un cromatogramma di un latte genuino in cui il glicomacropeptide non c’è, o meglio sta ma
attaccato alla sua proteina madre; a destra vediamo un latte adulterato in cui è stato aggiunto siero
possiamo vedere che nella zona intermedia compare tra i 12 e i 20 minuti una serie di componenti che sono
i glicomacropeptidi, ce ne sono diversi ai diversi livelli di glicosilazione e fosforilazione.
Ai fini dell’esame basta dire che un cromatogramma da latte genuino non ha i picchi dei glicomacropeptidi
mentre un latte in cui è stato aggiunto siero avrà in quella zona i picchi dei glicomacropeptidi.
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È un’analisi che deve essere svolta da esperti in quanto possono comparire i falsi positivi, lo strumento ci
dice la frode con l’aggiunta di siero ma può essere che non sia vero, può succedere il concetto di falso
positivo che è un contatto trasversale, i risultati delle analisi sono sempre da interpretare, ci può essere
qualche caso di risposte anomale che però sono tutte codificate. Quando si mettono a punto i metodi di
analisi si valutano anche i falsi positivi, si valutano anche quali possibili fonti di errori possono arrivare e
anche quest’analisi è uno studio che è stato fatto.
Il falso positivo può arrivare quando si analizza un latte molto vecchio, quando si analizzano latti che sono
stati mantenuti nei serbatoi per 3-4 giorni o magari nei laboratori a cui si aggiungono i giorni di sosta in
caseificio se il latte non è stato portato tempestivamente, si sviluppano le specie del freddo ovvero le
specie psicrotrofiche che sono fortemente proteolitiche ovvero producono proteasi che possono avere la
stessa azione del caglio ovvero andare a tagliare la k-caseina in posizione 105-106, a lungo andare possono
coagulare il latte ma bisogna avere oltre 100.000 cellule di microrganismi per millilitro.
Quindi questi falsi positivi possono arrivare in casi estremamente eccezionali anche nei latti UHT, se si fa
un’analisi a posteriori del latte già imbottigliato si può avere un falso positivo, i latti UHT non di rado sono
fatti da latti di scarsa qualità, il latte di migliore qualità o va alla caseificazione oppure al latte pastorizzato, il
latte destinato all’UHT viene sterilizzato e quindi non si manda un latte di buona qualità in quanto deve
subire un danno termico elevato, gli pseudomonas che erano presenti sono morti con la sterilizzazione ma i
loro enzimi restano nel latte e sono termoresistenti, però sono enzimi “pasticcioni” ovvero non tagliano in
posizione 105-106 ma tagliano nei dintorni quindi all’analisi vien fuori un profilo molto caratteristico dove
troviamo tanti glicomacropeptidi.

Resta aperto il problema del rilevamento dell’aggiunta di siero da coagulazione acida dove non c’è
l’aggiunta e l’azione del caglio, esistono i sieri acidi che derivano dalla coagulazione acida, non sono molto
diffusi in Italia in quanto in Italia i formaggi si producono maggiormente da coagulazione presamica ma a
nord e nei paesi esteri come USA, Germania, nuova Zelanda sono presenti le industrie che producono
proteine in polvere o latte in polvere. Questi paesi producono caseina in polvere, prima scremano il latte e
si prendono la panna, poi portano il pH a 4.6 e in centrifughe industriali recuperano la caseina che è
isoelettrica e precipita, il siero che rimane è siero isoelettrico in cui non è stato aggiunto coagulante, in
questo caso il glicomacropeptide non c’è perché è rimasto attaccato alla caseina che verrà essiccata e
messa nei sacchi e venduti. La caseina in polvere si usa in pasticceria, nei prodotti da forno, nei formaggi
fusi, le proteine del latte in polvere sono legali.

Il siero ideale che deriva da un trattamento su membrana di microfiltrazione 0.1ⴏ, sono i sieri in cui non è
stato aggiunto coagulante.

Impiego di latti di tipologia diversa rispetto all’etichetta


L’impiego di latti di tipologia diversa ovvero latti di specie diversa, è piuttosto frequente l’aggiunta di latte di
minore valore commerciale capra o vacca per la produzione di formaggi da latte di maggior pregio come
bufala e pecora.
Le frodi più frequenti sono la mozzarella di bufala che contiene anche latte di vacca, pecorini misti ecc.

Questi mix, queste aggiunte di latti diversi non sono necessariamente una frode ma lo diventano se non
viene indicato in etichetta, se in etichetta viene riportato che sono stati utilizzati latti diversi non è una
frode; chiaramente se viene prodotto un formaggio di pecora con latte misto non verrà chiamato
certamente pecorino, anche se in etichetta viene riportato pecora, vacca e capra e viene utilizzata la
dicitura “pecorino” stiamo sbagliando e quindi bisogna scrivere formaggio misto.

La normativa impone che per un prodotto ottenuto da latte misto la tipologia maggiormente rappresentata
vada indicata per prima, seguita dalle altre in ordine decrescente. Es: latte vaccino, latte ovino, latte
caprino, caglio e sale.
Se vi è omessa in etichetta la dichiarazione di latti in miscela secondo l’abbondanza rappresenta un illecito
penale.
Le maggiori frodi di questo tipo riguardano:
-la mozzarella di bufala (miscela con latte vaccino)
-i formaggi pecorini (miscela con latte vaccino e/o caprino)
Per la rivelazione delle frodi di questo tipo vanno ricercati «marcatori molecolari». Un marcatore è una
molecola naturalmente presente che caratterizza in modo univoco una materia prima o un prodotto.
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Miscele di latte
La tecnica più rapida si basa sull’impiego delle 2 sieroproteine maggiori come marcatori molecolari ovvero
la β-lattoglobulina e α-lattoalbumina, insieme costituiscono l’80% di tutte le sieroproteine del latte; anche
queste si analizzano per via cromatografica con HPLC a fase inversa.
Si prende il latte da controllare, lo si screma si allontanano le caseine e il siero che si ottiene viene posto in
cromatografia. Si utilizza il siero perché se i nostri marcatori sono le due sieroproteine maggiori ci
dobbiamo mettere nelle condizioni di avere il più possibile in purezza il campione così non ci distraggono gli
altri componenti, più componenti sono presenti in miscela più i grafici sono complessi e più complicata è
l’interpretazione. Dunque, i nostri marcatori sono quelli, facciamo una preparazione del campione prima
ovvero eliminiamo il grasso e la caseina in modo tale che abbiamo solo le sieroproteine e non abbiamo altri
componenti.
Le β-lattoglobuline e le α-lattoalbumine delle diverse specie si comportano in cromatografia in maniera
diversa cioè i due cromatogrammi non si sovrappongono ma si separano cioè la macchina le vede come
sostanze diverse anche se sono tutte β-lattoglobuline perché queste proteine hanno delle piccole variazioni
puntiformi tra le specie cioè la sequenza della b-lattoglobulina vaccina è molto simile a quella ovina ma non
è esattamente lo stesso cambia qualche amminoacido per cui la proteina rimane configurabile come una b-
lattoglobulina ma le sue proprietà sono leggermente diverse, basta cambiare un solo amminoacido o una
sequenza peptidica che cambia la solubilità, il punto isoelettrico ecc. anche piccole variazioni puntiformi
della sequenza determinano variazione delle proprietà.

Siccome i ruminanti hanno avuto un progenitore comune e poi con le mutazioni genetiche si sono
differenziati è chiaro che piccole variazioni puntiformi sono la differenziazione di un’unica proteina madre,
alcune volte ci sono variazioni tra le varie razze della stessa specie.

Questo è un tipico cromatogramma di siero di latte vaccino, troviamo una sola a-lattoalbumina che è poco
abbondante mentre la b-lattoglobulina sono presenti in due varianti a e b, la stessa specie ovvero la vacca
riesce ad esprimere due varianti di b-lattoglobuline ovviamente non nello stesso animale; quindi, ci sarà
qualche animale che fa la variante a mentre altri faranno la variante b.
Nel latte di massa, dell’intera cisterna troviamo tutte le due varianti e le α-lattoalbumine, si sa che nel latte
vaccino la variate b della b-lattoglobulina è più abbondante.
Se andiamo ad analizzare un siero di latte di pecora possiamo vedere che le cose cambiano, l’α-
lattoalbumina non si sovrappone a quella vaccina in quanto ha un tempo di ritenzione inferiore perché è
più idrofila, anche le due b-lattoglobuline soprattutto la b escono prima ance se la variante a della pecora è
molto vicino alla variante b e potrebbero sovrapporsi.
La regola è che ogni specie ha il suo profilo caratteristico.
Se dobbiamo analizzare un campione incognito dobbiamo aspettarci questi profili caratteristici se il
campione è genuino, se non c’è stata la miscela di latti troveremo una delle quattro possibilità (c’è anche la
bufala).

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Se invece sono latti in miscela troveremo dei profili intermedi, troveremo delle sovrapposizioni.

In quest’immagine possiamo vedere il primo caso in cui abbiamo il 50% di siero di latte vaccino e 50% di
siero di latte caprino, in rosso vediamo le proteine vaccine mentre in nero vediamo quelle caprine, il profilo
è cambiato, la vacca aveva solo tre picchi mentre adesso ce ne sono quattro.
Nel secondo caso abbiamo il 20% di vacca e l’80% di pecora possiamo vedere come diventano complicati i
profili.
Nel terzo caso abbiamo il 50% di pecora e il 50% di capra, in questo caso possiamo notare che i picchi tipici
della pecora sono tre mentre i picchi tipici della capra sono solo due che però si sovrappongono, le a-
lattoalbumine sono sia di pecora che di capra cosi come anche le b-lattoglobuline della variante a si
sovrappongono sia nella capra che nella pecora. In questo caso se ce lo stanno vedendo come latte di capra
ce ne accorgiamo perché abbiamo il picco della pecora in più ma se ce lo stanno vendendo come pecora
non ce ne accorgiamo.

Questa tecnica serve per rilevare la presenza di pecora in capra ma non il contrario, poiché c’è la
sovrapposizione delle proteine di capra a quelle di pecora non riusciamo a capire se quel latte di pecora ha
ricevuto la capra, il contrario riusciamo a farlo perché c’è un picco in più, questa frode non succede mai
perché il latte di pecora costa meno rispetto al latte di capra quindi non c’è nessun interesse a farlo, per cui
questa tecnica non si applica alla ricerca di capra in pecora, pecora in capra si.

Il problema si risolve con le tecniche


elettroforetiche.

Questo è un tipico tracciato dell’elettroforesi, questo tracciato si legge in verticale, ogni tracciato dall’alto
verso il basso è un campione, in questo tracciato possiamo vedere l’analisi elettroforetica di formaggi da
miscele di latti in quantità diverse, possiamo notare come i profili cambiano.
La zona in cui ci dobbiamo concentrare è quella in alto ed è quella che contiene la para k-caseina che è il
pezzo grande della k-caseina, prima abbiamo parlato del glicomacropeptide che se ne va nel siero, mentre
adesso parliamo della para k-caseina ovvero il frammento 1-105 che rimane nel formaggio, con questa
tecnica queste proteine migrano in alto.
Possiamo vedere come le para k-caseine bovine, ovine e caprine si collocano in zone diverse, in questo caso
i marcatori molecolari non sono le sieroproteine ma è la para k-caseina, il concetto è lo stesso ovvero si
valuta la presenza o l’assenza e il loro rapporto tra le diverse specie di para k-caseine.
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Questa è un’analisi fatta su formaggi di pecora
per vedere se davvero sono stati prodotti con
latte di pecora, nella parte a destra troviamo
gli standard di pecora, capra e vacca. La para
k-caseina che stiamo valutando si colloca in
zone differenti a seconda della specie.
Se guadiamo tutti i campioni con i numeri non
c’è un campione pulito, tutti i campioni hanno
almeno una piccola traccia della capra, i
campioni più puliti sono 1 e 2, se guardiamo il
campione 11 possiamo vedere che sono
presenti tutte e 3 le specie.

Valutazione del danno termico nel latte per il consumo diretto


L’impiego delle sieroproteine come marcatore molecolare serve a valutare il danno termico nel latte per il
consumo diretto.
La legge 169/89 consente la presenza di diverse tipologie di latte alimentare sul mercato italiano.
Le diverse tipologie si basano sulla diversa intensità di trattamento: latte UHT e latti pastorizzati, il primo ha
un danno termico maggiore del secondo.
Il trattamento termico comporta la denaturazione più o meno spinta delle sieroproteine, le sieroproteine
una volta denaturate passano dallo stato solubile nel siero a quello “complessato” con le caseine, per cui
nei latti trattati termicamente una parte più o meno importante delle sieroproteine non sono più nel siero
ma sono sulla micella, quindi, quando c’è il trattamento termico le sieroproteine non vengono distrutte ma
vengono denaturate, cambiano le loro proprietà e una di queste è proprio la perdita di solubilità che fa si
che non sono più solubili nel siero e dovrebbero precipitare ma finché ci sono le caseine vengono adsorbite
dalla micella

Per cui se noi andiamo ad analizzare i sieri di questi latti noteremo più o meno un impoverimento in
sieroproteine perché ci sarà una quota che è passata dal siero sulla caseina, che è quella quota denaturata.
Per valutare la qualità dei latti per il consumo direttosi va proprio a dosare la sieroproteina, la stessa legge
nazionale ci dice che le sieroproteine variano dal 17% dell’azoto totale nel latte crudo fino all’11% nel latte
pastorizzato. Nel latte UHT non è previsto un valore limite.

Facendo questi dosaggi che si fanno con il frazionamento azotato o analisi Kjeldahl (kindal), si fa una
valutazione massiva; quindi, si va a verificare quanto le sieroproteine nel siero si allontanino rispetto alla
loro presenza naturale. Quindi, se stiamo analizzando un latte crudo dobbiamo trovare questa quota
ovvero il 17% dell’azoto totale, più andiamo a trattare termicamente il latte più questo valore scenderà. Più
è forte è il trattamento più la quota di sieroproteine denaturate aumentano e passano sulla caseina.
Questa quantificazione si fa con il metodo Kjeldahl, alla fine dell’operazione otterremo dei numeri che
vanno confrontati con i numeri standard delle sieroproteine e aumentano le caseine, non aumentano il
numero delle caseine ma poiché la micella prende un po' di sieroproteine il metodo la sovrastima in quanto
il metodo non è specifico.
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È un metodo laborioso che richiede ore o giorni per cui grazie alla cromatografia possiamo utilizzare la
visualizzazione delle sieroproteine del siero per farci un’idea anche su queste. Per cui del latte in bottiglia ci
ricaviamo il siero e lo mettiamo nel cromatografo e vedremo i picchi, questo è un cromatogramma che si
ricava da latte crudo. In questo caso vediamo un’a-lattoalbumina un po' più alta rispetto alle b-
lattoglobuline ma è solo apparente perché in questo latte le varianti a e b sono 50% e 50%.
Il primo è un esempio caratteristico del latte crudo, man mano che trattiamo termicamente il latte i picchi si
presentano più bassi.

Con questa analisi delle sieroproteine mediante cromatografia possiamo avere anche un’idea se quello è un
latte crudo o un latte trattato termicamente.

La frode sta se abbiamo etichettato un latte come un pastorizzato fresco alta qualità e dentro ci troviamo
un profilo come l’ultimo che vediamo, possiamo dire che all’interno ci hanno messo un latte iper-trattato
termicamente e quella è una frode.
Dunque, ci deve essere sempre una corrispondenza tra etichettatura e contenuto, se c’è un’etichettatura
come latte fresco alta qualità e dentro ha un profilo proteico da latte UHT è chiaro che c’è una frode.

Con la tecnica del guardare lo stato delle sieroproteine è una tecnica velocissima perché con questa
macchina riesce a fare un’analisi ogni mezzora.

Latte alimentare addizionato di latte in polvere


L’aggiunta di latte in polvere è una problematica che riguarda sia il latte che i formaggi ed è vietato dalla
legge.

Il latte in polvere che viene visto come il diavolo in realtà è un prodotto di grandissima utilità e nei paesi
poveri spesso risolve il problema della fame in quanto è un prodotto che può essere conservato per anni.
In Europa rappresenta una commodity ovvero un bene alimentare di grande massa, disponibile ovunque,
senza particolari pregi e che si compra quasi sempre su considerazioni di convenienza economica e non di
qualità. In Europa, il latte in polvere rappresenta da sempre uno strumento che richiede l’intervento sul
mercato da parte della comunità europea, in passato lo faceva molto di più oggi invece lo fa in casi
eccezionali. Quando il prezzo del latte crolla per un eccesso di offerta, per evitare le crisi delle campagne la
comunità europea autorizza il ritiro di una certa quota di latte per la polverizzazione, prima lo faceva con
organismi autorizzati propri mentre oggi si mira a ridurre l’intervento dello stato e quindi si concede questa
attività si privati, quindi, le industrie specializzate nella produzione di latte in polvere sono autorizzate a
ritirare il latte a prezzo vantaggioso (molto basso) e la comunità europea dà una compensazione
sull’acquisto in modo da eliminare dal mercato una quota di latte e farne salire la domanda.
Chi usufruisce di questo intervento polverizza ma poi che se ne fa di questo latte in polvere? C’è l’aiuto alla
polverizzazione e c’è l’incentivo a fare scorta per cui questa industria è tranquilla in quanto ha un aiuto da
parte dello stato; quindi, ha già coperto gran parte dei propri costi, l’azienda non è libera di immettere sul
mercato quel latte polverizzato ma lo deve tenere sotto scorta. La comunità europea che ha dato l’aiuto,
sarà lei a decidere quando vendere quella scorta ovvero quando il prezzo del latte risale si può vendere il
latte in polvere.

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L’obiettivo è togliere di mezzo il latte liquido quando c’è un eccesso di offerta e poi rimetterlo in commercio
sottoforma di latte in polvere quando il mercato si è riposo quindi lo può assorbire senza che ci siano
variazioni di prezzo. Sono dinamiche che a volte funzionano e a volte no.

Ad esempio, lo stato decise di intervenire in estate per cercare di intervenire al contrario in quanto il prezzo
del latte era salito troppo e si cercava di abbassarlo. Quando viene immesso il latte in polvere sul mercato
europeo è chiaro che ci sono tante aziende a cui conviene comprare il latte in polvere e non il latte liquido e
quindi c’è il percorso contrario, però non fu gestita bene la situazione e quindi ci fu un crollo del prezzo del
latte fuori stagione.

Quando questo latte viene immesso sul mercato gira e le aziende ne devono fare qualcosa, ovunque viene
utilizzato per fare formaggi, in certi momenti dell’anno quando qualche commerciante raggiunge un buon
prezzo, il latte in polvere è estremamente competitivo e in quel momento può essere conveniente ritirarlo
da parte di alcuni caseifici per fare i formaggi.
In Italia è vietato l’uso del latte in polvere per la produzione di formaggi ma è vietato anche l’acquisto delle
proteine in polvere, in Italia la legge 138 del 1974 vieta l’uso, quando si fanno le aste possono intervenire
direttamente o indirettamente tutte le industrie d’Europa tranne quella casearia italiana.
Il divieto dell’uso del latte in polvere in Italia è una scelta del mipaf, non condivisa dal ministero della salute,
per proteggere gli allevatori.

In passato il suo impiego fraudolento era molto diffuso, per l’assenza di metodiche analitiche affidabili per
la sua rilevazione
Da alcuni anni è disponibile un metodo che si basa sul dosaggio di un marcatore molecolare che si forma
durante il processo di essiccazione in seguito alla reazione di Maillard: la ε-fruttosil-lisina.

Il principio è che se quel formaggio è stato fatto da latte in polvere conterrà ε-fruttosil-lisina perché nel latte
fresco non c’è ma si forma con il calore, quando si fa il latte in polvere si essicca ad altissime temperature si
formano.
Questa formazione dipende dai trattamenti termici, ricordiamo che la reazione di Maillard si scatena a
temperature alte a bassi valori dell’attività dell’acqua, il latte in polvere passa attraverso queste
combinazioni di attività dell’acqua e temperatura che la favoriscono.
La furosina è la molecola analizzabile in quanto la ε-fruttosil-lisina non è analizzabile in quanto è troppo
instabile quindi a caldo la si converte in furosina, quelli riportati nella slide sono i valori di furosina che si
trovano nei latti.

Nei latti in polvere si fa l’analisi e si può trovare latti in polvere low heat ovvero fatti in condizioni termiche
basse. I latti in polvere di peggiore qualità possono arrivare fino a 500 mg.

La legge italiana fissa in 8 mg/100 g di proteine il limite di furosina presente nel latte crudo e pastorizzato
perox-positivo (D. Ministeriale 15 dicembre 2000)

Quindi, il livello di furosina che troveremo deriva dalla qualità del latte in polvere che è stato impiegato.

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Latte alimentare da latte in polvere

La cromatografia ci consente di identificare la furosina, in questi grafici sono messi a confronto latti trattati
termicamente e il contenuto di furosina.
La furosina ha il limite di legge di 8 mg/100 g, nel latte pastorizzato il valore normale di furosina è 4-7,
possiamo vedere come tende a crescere con il livello termico, il latte crudo è il più simile al latte
pastorizzato fresco di alta qualità. La furosina si può trovare anche nei lati genuini ma a quei livelli.
Nei latti UHT ci dobbiamo aspettare livelli di furosina molto alti.
Il limite di legge della furosina è stato imposto sono nei latti pastorizzati freschi di alta qualità o per alcuni
formaggi, nella mozzarella il limite è 12mg/100g.

Una problematica particolare è nata da quando sul mercato sono entrate le proteine da latte in polvere, e
non il latte in polvere, la differenza è che nel latte in polvere c’è sempre il lattosio, la Maillard per aderire ha
bisogno dello zucchero e quindi se qualcuno invece di utilizzare il latte in polvere utilizza proteine del latte
in polvere la furosina potrebbe non formarsi, in realtà ottenere polveri totalmente delattosate senza tracce
di lattosio è impossibile, si può fare ma i costi di produzione aumentano tantissimo. Le proteine del latte
pure, private totalmente del lattosio, si ottengono mediante tecnologie su membrana che costano molto
quindi piccole tracce di lattosio ci sono sempre, potrebbero però non essere sufficienti a tirar fuori un
marcatore utile di furosina cioè di furosina se ne potrebbe formare troppo poca.
Esiste un metodo per rilevare anche l’impiego delle proteine del latte in polvere, il marcatore non è la
furosina ma un suo omologo che si chiama lisino alanina.

Ai fini dell’esame possiamo dire che se la frode viene fatta con le proteine in polvere potremmo avere poca
furosina ma c’è un altro marcatore molecolare che si forma con una reazione di Maillard simile ma in
assenza di lattosio, c’è la condensazione di due amminoacidi che si trovano liberi, in quanto i latti in polvere
sono un po' idrolizzati.

La produzione di formaggi a pasta filata da materie prime “alternative”.


Le paste filate sono i formaggi più prodotti al mondo, c’è un’inflazione per questi prodotti, perciò, si cerca di
produrre le DOP proprio per staccare dalla logica della commodity.
Il mercato si sviluppa più sul concetto di prezzo che di qualità; quindi, è partito da tempo l’abbattimento dei
costi di produzione.
I costi di produzione possono essere abbattuti utilizzando degli intermedi, o materie prime conservate latte
in polvere, caseinati o proteine in polvere, semilavorati (cagliate conservate) e preparati alimentari.
Gli intermedi sono delle cagliate pronte conservate o addirittura delle simil cagliate chiamati preparati
alimentari, l’altra soluzione è l’utilizzo di latte low cost ovvero si utilizza latte estero più competitivo in quel
momento però quello è a periodi, mentre le altre sono tutte materie prima disponibili.

Queste forme di abbattimento di costi di produzioni sono lecite o illecite?

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Le materie prime “low cost”
La prima possibilità è l’importazione dall’estero ed è una pratica assolutamente lecita, se la congiuntura è
favorevole si può arrivare a un buon risparmio, però ci sono dei limiti imposti dalla legge 4 del 2011 vi è
l’obbligo della tracciabilità e quindi deve essere espressa in etichetta l’origine, e nel 2019 la tracciabilità è
stata rinforzata nei formaggi. Quindi, è lecito l’uso di latti low cost purché in etichetta se ne specifichi
l’origine. Sull’etichetta del latte o dei derivati caseari troveremo sempre l’origine del latte per esempio:
Italia, UE, oppure paesi non UE; però non si può fare concorrenza al prodotto made in italy.

Il latte in polvere non si può usare in Italia e ci sono tutti gli strumenti analitici che abbiamo visto che
servono a smascherare le frodi legate all’utilizzo del latte in polvere.
Il vantaggio del latte in polvere, oltre ad avere costi favorevoli, si abbattono tutti i costi di gestione della
materia prima in quanto il latte in polvere non deve essere raccolto all’interno dei serbatoi e poi
trasportato con i camion, non è deperibile.

Le nuove materie prime su cui spesso ci sono dei contenziosi sono i semilavorati, i preparati alimentari,
hanno nomi di fantasia, e non hanno mai la dicitura né formaggio ne mozzarella, qualcuno può aggiungerli
nel prodotto alimentare, chiaramente quello che viene aggiunto se non si chiamava formaggio prima in
quanto è un semilavorato non si potrà definire formaggio neanche dopo.

Esistono nuove materie prime


“alternative” al latte che consentono un
ulteriore abbattimento dei costi

Gli altri semilavorati su cui c’è molta polemica sono le cagliate pronte e conservate; ci sono due scuole di
pensiero ovvero c’è chi dice che vanno dichiarate in etichetta e chi non lo ritiene necessario.
Le cagliate pronte vengono poste sottovuoto, vengono prodotte in caseificio vengono pressate e poste
sottovuoto; le industrie che le producono non producono formaggio ma producono le cagliate e
interrompono la produzione, pressano le cagliate in modo da stabilizzarle microbiologicamente; la shelf life
può variare da 1 mese fino a 3 mesi, se vengono congelate la shelf life può arrivare anche ad un anno.

Il vantaggio delle cagliate pronte è che si possono stoccare, è un prodotto pronto e quindi viene posto in
filatrice e ci permette di ottenere il prodotto; quindi, è chiaro che è un intermedio estremamente
interessante. Anche le cagliate pronte vanno incontro ad oscillazioni di mercato, ci sono momenti dell’anno
in cui conviene di più e ci sono periodi dell’anno in cui conviene meno.
Inoltre, hanno un altro vantaggio ovvero non dobbiamo avere il camion, non bisogna fare i contratti con le
stalle, c’è bisogno solo di una cella refrigerata o un congelatore in cui stoccare le cagliate.
C’è sempre un vantaggio a prescindere del prezzo di mercato.

I preparati non possono essere definiti formaggi perché spesso non possono essere definiti tali perché non
tengono solo latte all’interno. I preparati derivano da scarti di produzione, latte e proteine in polvere,
burro, grassi vegetali = vietato il termine “formaggio” in etichetta.
Tutte le pizzerie low cost utilizzano questi preparati, probabilmente anche le pizzerie che fanno pizza al
trancio negli ipermercati.
Le cagliate conservate si fanno dal latte e sono genuine, non vengono fatte da materiali estranei quindi
sono esattamente comparate alle cagliate che si fanno tutti i giorni, la differenza è che in quel caso hanno
fermato il tempo ovvero hanno fermato l’attività microbica per un tempo più o meno lungo. Si stoccano da
minimo 2 mesi a massimo 1 anno congelando.

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Chiaramente i paesi in cui si è sviluppato questo mercato sono i paesi in cui il latte costa meno, come la
Germania, Lituania.

Questi semilavorati fanno concorrenza al latte fresco ma non presentano problemi di natura igienico
sanitaria, il loro uso è consentito in tutta la comunità europea, sono legali in quanto non fanno male a
nessuno.

L’uso della cagliata pronta va dichiarato in etichetta?


In Italia si contesta la trasparenza verso il consumatore perché si vorrebbe che il consumatore fosse in
grado di fare una scelta consapevole, il consumatore vuole comprare formaggio da latte fresco o da
qualcosa che è un semilavorato, questo è il problema “è comunicazione ingannevole e frode in commercio
per comunicazione ingannevole o no?” Fatto l’obbligo dell’esprimere l’origine geografica, come ne
usciamo?
Secondo molti no, perché la cagliata è solo un intermedio (anche quando è fresca e prodotta in loco) fatto
da latte
Secondo molti non c’è neanche il problema della comunicazione ingannevole perché in fondo anch’essa è
stata fatta da latte, è solo una questione temporale. Il problema geografico non si pone in quanto viene
specificata l’origine, secondo molti giuristi non c’è comunicazione ingannevole in quanto se la cagliata viene
fatta il giorno stesso o un mese prima viene sempre prodotta da latte, secondo loro infatti non è un evento
che può essere rilevante nelle scelte del consumatore.
Secondo alcuni si, perché trattasi di ingrediente «composto», diverso dal latte. Ingrediente composto=
costituito da due o più ingredienti (L.1169/2011)
Ci sono i puristi che affermano che il latte sia un ingrediente mentre la cagliata è un ingrediente composto e
che quindi va riportato in etichetta.
La legge quadro sull’etichettatura degli alimenti, 1169 del 2011, afferma che se c’è un ingrediente
composto nell’ingredientistica deve essere citato in etichetta, secondo questa interpretazione la corretta
etichettatura di un formaggio ottenuto con cagliata conservata dovrebbe essere “latte, cagliata conservata,
caglio, sale”; c’è qualche produttore che lo fa solitamente sono coloro che producono la doppia linea in
modo da giustificare il prezzo più alto del prodotto ottenuto con cagliata fresca.
Le scelte dei trasformatori in merito non sono univoche.

L’uso di cagliata pronta va dichiarato in etichetta?


L’obbligo in etichetta secondo il prof non c’è perché secondo lui la cagliata non è un ingrediente composto,
un ingrediente si definisce composto quando alla sua produzione sono stati utilizzati almeno 2 ingredienti.
La cagliata è costituita da latte (ingrediente) e il caglio (coadiuvante ma non ingrediente) infatti alla fine
della produzione è presente in tracce.

Mediante l’elettroforesi si è visto che le cagliate conservate danno risposte diverse all’analisi rispetto a
quelle prodotte da latte fresco, questo metodo è nato a Bari nel 2009.
Semplicemente fu presa una cagliata fresca e una cagliata importata dalla Germania e fu fatta un’analisi
elettroforetica bidimensionale, e in questo modo ci si è accorti che la cagliata fresca e la cagliata conservata
avevano qualcosa di diverso.

PROFILO ELETTROFORETICO DI CAGLIATE ad alta risoluzione (EF bidimensionale)


Quello che vediamo nell’immagine sono tutte proteine
ma presentano un valore diverso, nella cagliata
importata questo marcatore era ben evidente mentre
nella cagliata fresca si vede a malapena.
Andando a studiare e ad isolare questo elemento ci si
accorse che era un prodotto della proteolisi; quindi, se la
cagliata viene fatta adesso non c’è ma se la cagliata
viene fatta un mese prima c’è stato tutto il tempo da
parte degli enzimi di rompere e quindi rappresentava un
marcatore di tempo, più il marcatore era intenso più
vecchia era la cagliata

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Il marcatore usciva anche in altre condizioni, ad esempio, quando la cagliata fresca non veniva lavorava
subito e la si lasciava in cella per qualche giorno oppure quando si lavorava un latte con cellule somatiche
alte (fuori legge), o con cariche batteriche troppo alte (fuori legge); quindi ci si accorse che questo
marcatore veniva fuori o con il tempo o con una non corretta gestione del processo.

PROFILO ELETTROFORETICO DI MOZZARELLA a bassa risoluzione (EF monodimensionale)

Come tutti i metodi da validare si fecero i campioni in caseificio con mozzarella con il 30, 50 e 70 % di
cagliata conservata e importante, il resto era cagliata fresca, e si fece sempre l’elettroforesi
monodimensionale e si vide come il marcatore cresceva proporzionalmente. L’intensità del marcatore
variava da cagliata a cagliata, perché le cagliate non sono tutte uguali ci sono quelle più fresche e quelle più
vecchie.

Il marcatore è un prodotto della proteolisi, è un frammento della caseina αS1.


Il marcatore è un prodotto della proteolisi che si evidenzia più che altro nelle cagliate conservate, è
presente anche nelle cagliate fresche solo che non è molto evidente.

Questi sono 25 campioni di mozzarella, il marcatore è indicato con la freccia, il gel a sinistra contiene
mozzarelle acquistate dalla GDO mentre a destra sono tutte mozzarelle prese dalle aziende zootecniche, i
prodotti aziendali hanno tracce invisibili mentre nel gel a destra abbiamo 6-7 campioni in cui c’è stato
qualcosa che non ha ben funzionato nel processo di produzione.

L’uso di preparati alimentari non possono essere utilizzati per la produzione di latte e formaggi perché
contengono latte in polvere, grassi non animali; mentre sia cagliate in polvere che latti low cost possono
essere utilizzati.
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