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Procedendo con l’introduzione alle varie tipologie di alimenti che troviamo in commercio e che

consumiamo abitualmente, parliamo dei prodotti trasformati. Ci sono alimenti che si consumano più
o meno così come si trovano in natura e alimenti che vengono invece trasformati in modo rilevante:
dalla materia prima otteniamo un alimento completamente diverso rispetto alla materia prima
originaria. Questi prodotti vengono essenzialmente trasformati per due motivi principali: per
aumentarne la conservabilità (latte, prodotti surgelati…) e per ottenere prodotti più apprezzati dal
consumatore o più comodi da usare. Oggi c’è una grande tendenza a produrre alimenti quasi o
totalmente pronti: questa serie di prodotti si rivolge a quella generalmente denominata come
comodità d’uso (alimenti facili da usare, che richiedono meno tempo per essere trattati a livello
domestico). Tra gli alimenti trattati abbiamo visto quelli che subiscono un processo tecnologico
(qualunque azione applicata a un alimento che ne modifichi la forma: macinazione del grano per
ottenere farina, uso della farina per preparare la pasta, ecc.) e quelli che subiscono un processo
biotecnologico (all’interno del processo vi è un agente biologico, ovvero un sistema vivente:
nell’industria alimentare si usano batteri, lieviti e talvolta muffe). I processi biotecnologici in realtà
nel processo alimentare sono utilizzati da sempre, vengono ancora prima di quelli tecnologici,
perché molti di questi sono nati per caso osservando alcune trasformazioni che avvenivano
spontaneamente negli alimenti. Un esempio è sicuramente il vino, ottenuto tramite l’azione del
lievito sulla materia prima che è l’uva; stessa cosa avviene per la birra, per la cui produzione è
impiegato un lievito denominato proprio lievito di birra. In moltissimi ambienti anche nella
produzione di salumi e quasi tutti i formaggi la modifica delle caratteristiche (aroma, colore,
consistenza) è il risultato dell’azione di un microorganismo. Prendiamo come esempio il caso del
gorgonzola, un formaggio la cui materia prima è il latte. Per produrre gorgonzola vengono usati
pochissimi ingredienti: latte, il caglio (un enzima) e una muffa appositamente maturata nel latte la
quale rimane visibile e opera delle trasformazioni nel prodotto che gli conferiscono il suo particolare
sapore. Tantissimi alimenti che consumiamo derivano da processi biotecnologici e dall’azione di
questi microorganismi.
Esistono poi molti altri alimenti che possono essere classificati diversamente perché il modo in cui
vengono prodotti è molto particolare. Consumiamo anche alimenti che in natura non esistono: quasi
tutti gli alimenti che consumiamo sono sistemi viventi o parti di sistemi viventi consumati allo stato
naturale o trasformati, ma alcuni alimenti invece (sempre più presenti sul mercato) che in realtà non
sono parte di alcun sistema vivente ma sono semplicemente ingredienti presi da diverse fonti che
vengono assemblati e ai quali viene data una forma, un aroma, un colore particolare che mimi un
vero alimento.

Un esempio sono i burger e prodotti a base di soia, un


insieme di ingredienti che vanno a mimare prodotti a base di
proteine animali. Altro esempio sono snack come le patatine:
alcune sono veramente fette sottili di patate fritte (prodotto
trasformato) ma altre sono miscele di farine riaddensate e
alle quale viene date una forma. C’è poi il surimi, che non è
un vero bastoncino di pesce, ma un prodotto ricostituito a
partire da una farina di pesce (ottenuta dagli scarti) aggiunta
a degli addensanti e con aroma artificiale di granchio.
Questo tipo di prodotto è costoso ma in realtà è uno scarto.
Recentemente la diffusione di questa tipologia di prodotti
deriva dalla necessità di recuperare gli scarti: il fatto che vengano prodotti alimenti utilizzando
sottoprodotti di altre lavorazioni può avere un senso nell’ottica della sostenibilità della filiera e
dell’economia circolare. Questo spiega la maggiore presenza di aziende che cercano di produrre
alimenti partendo da materie prime di basso valore derivanti da altre lavorazioni: oggi l’utilizzo degli
scarti è un tema di centrale importanza nell’industria alimentare. Molte aziende si stanno
orientando verso questo percorso per affiancare alla propria produzione modalità per riuscire a
buttare via materie il meno possibile.
Altri prodotti largamente presenti sul mercato al momento sono prodotti che oltre ad avere valenza
nutrizionale hanno anche valenza salutistica.

La dieta è tutto ciò che mangiamo e


ognuno di noi ha la propria dieta.
Tuttavia, le diverse abitudini alimentari
possono essere più o meno corrette.
C’è chi studia questa materia e ha
individuato quali sono le abitudini
alimentare che permettono di
mantenere la popolazione nel miglior
stato di salute possibile. La dieta
mediterranea è uno dei migliori regimi
alimentari accettati a livello mondiale

Per una dieta sana si intende una dieta all’interno della quale si introducono tutti i nutrienti di cui si
ha bisogno attraverso alimenti che sono migliori di altri. Studiando le diverse proteine, carboidrati e
grassi negli alimenti vedremo che ci possono essere alimenti che danno lo stesso apporto di lipidi
rispetto ad altri ma che in realtà contiene grassi migliori. Ad esempio l’olio d’oliva è considerato
migliore dello strutto. Una dieta bilanciata mi da tutto ciò di cui ho bisogno e rispecchia le quantità
di nutrienti determinate da studi di nutrizione e considerate ottimali per mantenere un buono stato
di salute.
In realtà assumere i singoli nutrienti non è sufficiente: oggi si parla non solo di diete bilanciate ma di
diete ottimali o protettive, all’interno delle quali si assumono tutte le sostanze essenziali
(macronutrienti e micronutrienti) e anche altre sostanze che hanno un effetto benefico sulla salute.
Il problema è che spesso messaggi pubblicitari e sponsorizzazioni attribuiscono ad alcuni alimenti
proprietà che in realtà non hanno. Le società di nutrizione consigliano non solo di adottare una dieta
bilanciata (che sarebbe il livello base), ma di adottare uno stile alimentare che fornisca anche queste
sostanze dall’azione di tipo protettivo (e dall’azione preventiva nei confronti di alcune patologie)
Seguendo l’evoluzione di ciò che viene suggerito come dieta ottimale c’è stata anche un’evoluzione
del mercato delle imprese alimentari: se medici e nutrizionista consigliano diete che possono
proteggere da alcune patologie, l’industria si attacca a questo messaggio per produrre alimenti con
valenza salutistica. L’industria alimentare si è già evoluta dall’alimento allo stato naturale ad alimenti
trasformati e oggi stanno andando oltre il semplice prodotto trasformato producendo sempre più
prodotti con valenza salutistica (basandosi su studi scientifici sono alimenti che contengono
maggiori quantità di una certa sostanza considerata benefica). Un esempio è la fibra alimentare: da
qualche anno è uno dei componenti degli alimenti che è stato maggiormente rivalutato.
Si è capito che un’assunzione significativa e regolare di fibra può proteggere da alcune patologie
come ad esempio il tumore all’intestino e quindi alcune aziende alimentari hanno iniziato a
produrre alimenti arricchiti di fibra e a sponsorizzarli grazie a claims salutistici come “alimento ricco
di fibra”. Il consumatore percepisce questi claims come positivi e dunque a prescindere da altri
fattori sarà più intenzionato a comprare quel prodotto. Il fatto che la fibra alimentare faccia bene è
un concetto ormai pubblico, nel senso che è arrivato a qualsiasi livello della popolazione; la fibra
però è solo uno dei componenti più noti, ci sono anche i prodotti “ricchi di antiossidanti” come i
frutti rossi, i prodotti “ricchi di vitamine”, e così via. Questi claims salutistici solitamente spingono il
consumatore anche ad acquistare prodotti dal prezzo maggiore, giustificato per l’appunto dalla fama
salutistica del prodotto stesso.

All’interno di questa categoria di


prodotti troviamo poi tutta una
serie di alimenti diversi tra lor
come categoria e anche come
legislazione. Essi sono gli alimenti
funzionali, gli alimenti arricchiti, i
prodotti dietetici e gli integratori
alimentari (nutraceutici).

Oggi non troviamo più in commercio solo gli alimenti base (allo stato naturale o trasformati) ma
quasi ogni azienda alimentare ha arricchito la propria gamma di prodotti mettendo in commercio
anche una o più linee dedicate a questi prodotti con valenza salutistica. Questo è sicuramente un
mezzo che le aziende alimentari utilizzano per diversificare la produzione e la clientela e per avere
un maggiore margine di guadagno.
La differenza tra alimenti funzionali e alimenti arricchiti è molto sottile.
Un alimento arricchito è un alimento che viene prodotto come un alimento base ma al quale viene
aggiunto qualcosa. Ad esempio esistono paste arricchite di fibra: alla farina di grano duro raffinata è
stato aggiunto una componente di fibra. Questo processo può essere fatto con qualsiasi nutriente e
con qualsiasi prodotto alimentare (es. il latte arricchito di acidi grassi e omega3). L’alimento
arricchito in etichetta può dire ad esempio “questa pasta contiene 6g di fibra mentre una pasta
comune ne contiene 2, mangiando questo alimento si introduce più fibra”. Il discorso è diverso per
quanto riguarda l’alimento funzionale: l’alimento funzionale è un alimento che ha una funzione in
più, a quell’alimento viene associata una funzione fisiologica (una funzione sul nostro organismo).
Un conto è scrivere che un alimento è ricco di fibra, un conto è scrivere che l’alimento è ricco di
fibra e per questo ha un effetto benefico sull’intestino. Con questo claim sto dicendo che mangiando
quell’alimento avrai un effetto positivo sul tuo stato di benessere.
Si tratta di due livelli diversi di alimenti proposti per promuovere un buono stato di salute. Per
questo e per altri motivi è molto difficile regolamentare questo settore: da una parte vi sono studi
scientifici che supportano gli effetti salutistici che l’assunzione di fibra comporta e dall’altra parte c’è
l’azienda alimentare che cerca di invogliare il consumatore con questi messaggi ad acquistare il
proprio prodotto senza in realtà che esso sia scientificamente comprovato.
Ci sono stati molti problemi sulla
commercializzazione di questi
prodotti, anche perché fino al 2006
non vi era alcun tipo di
regolamentazione: chiunque poteva
produrre un alimento con
caratteristiche particolari e
immetterlo sul mercato con questi
messaggi. Il caso più eclatante di
questo tipo di attività delle industrie
alimentari è stato il caso dei
probiotici, i quali sono
microorganismi usati nei prodotti
lattiero-caseari.

Prima che il regolamento 1924 del 2006 entrasse in vigore ci fu il boom di questi alimenti, i quali
erano sponsorizzati come miracolosi in qualsiasi campo della salute umana, il cui effetto fu poi
ridimensionato. Il regolamento 1924 è poi molto legato all’attività dell’EFSA e serve a mettere dei
paletti sia su quello che si può scrivere in etichetta sia sul messaggio pubblicitario. Ad esempio
un’azienda può scrivere in etichetta che un alimento è ricco di fibre solo se il contenuto di fibra è
superiore a una soglia stabilita dall’organismo competente. Prima chiunque avrebbe potuto scrivere
quell’indicazione. Poi, l’azienda può scrivere in etichetta che l’alimento ha un effetto benefico sulla
salute se e solo se questo effetto sia dimostrato. L’autorità che si occupa di sicurezza alimentare è
l’EFSA, la quale fa due lavori molto importanti: controlla non solo l’assenza all’interno dei prodotti di
contaminanti e sostanze nocive alla salute, ma si occupa anche della sicurezza informativa.
L’informazione che viene data al consumatore medio deve essere corretta e non ingannevole. Se un
prodotto alimentare non supera la valutazione operata dall’EFSA, questo non può essere
commercializzato.

Questa spinta salutistica del mercato ha


portato alla presenza sempre più grande di
“alimenti con” e “alimenti senza”. L’azienda
alimentare si trova in un mercato in
continua evoluzione e sempre più saturo.
Deve cercare di spiccare e per questo si
rivolge sempre più al mercato della salute.
I cereali sono sempre stati ricchi di fibre e i
latticini ricchi di calcio ma il fatto che ci sia
un regolamento che permette all’azienda di
scrivere tale messaggio è sfruttato dalle
aziende. Questi claims fanno infatti pensare
al consumatore che il prodotto sia migliore
e per questo sarà spinto all’acquisto.
C’è da parlare poi degli “alimenti senza”, iquali spesso derivano da mode, campagne mediatiche e
non hanno in realtà scarso fondamento
scientifico.

Gli “alimenti senza” nascono da specifiche


esigenze da alcune categorie di consumatori
(soggetti allergici, intolleranti a un
determinato componente). Un esempio
sono sicuramente le intolleranze al lattosio
e al glutine, tra le più comuni attualmente.
Si tratta di un dato clinico inconfutabile: i
soggetti intolleranti non dovrebbero consumare prodotti che contengono lattosio o glutine. Questi
sono aspetti assolutamente tutelati dalla legislazione alimentare (ci sono direttive specifiche sulla
produzione di alimenti senza lattosio o glutine). Il problema si pone non sugli alimenti formulati
appositamente per questa categoria di consumatori, ma si pone quando il “senza” è semplicemente
suggerito da studi non confermati o campagne pubblicitarie che portano a una rivoluzione delle
abitudini alimentari che non è totalmente giustificata. Un esempio eclatante è quello del famoso
“senza olio di palma”. Quando era uscita questa campagna, al consumatore sembrava che l’olio di
palma fosse tossico e completamente nocivo per la salute, ma non è così. Ci sono ingredienti
alimentari molto più nocivi per la salute rispetto all’olio di palma, il quale però è diventato
negativamente famoso a causa di un’interpretazione troppo allarmista di un parere dell’EFSA. L?
EFSA ha evidenziato all’interno dell’olio di palma l’alta concentrazione (e più alta rispetto ad altri oli)
di sostanze che si formano durante la trasformazione degli oli. Questo non significa che noi non
assumiamo mai queste sostanza attraverso altri oli, significa solamente che nell’olio di palma ne
sono contenute un po’ di più. Questo parere dell’EFSA è stato interpretato con eccessiva
preoccupazione ed è esploso un caso di dimensioni gigantesche quando in realtà il tutto poteva
essere gestito semplicemente cambiando il processo produttivo in modo tale da non arrivare a una
concentrazione così alta di questi elementi. Alla presenza effettiva di contaminanti da processo
facilmente risolvibile si è sono aggiunte numerosi questioni riguardanti la sostenibilità, la
deforestazione, la concentrazione alta di acidi grassi saturi (il burro ne contiene molti di più e altri oli
ne contengono la stessa quantità ma non se ne parla). Il fatto che al momento in Italia non si trovi
più quasi nessun prodotto contenente olio di palma è legato principalmente a un produttore di
biscotti, il quale per primo ha deciso di eliminare l’olio di palma dai suoi prodotti ed è stato seguito
da tanti altri produttori italiani. A opporsi a questa demonizzazione dell’olio di palma è stata la
Ferrero, la quale si è rifiutata di togliere l’olio di palma dalla produzione perché avrebbe modificato il
sapore di alcuni dei suoi prodotti più famosi come ad esempio la Nutella. L’azienda Ferrero ha deciso
dunque e di approvvigionarsi di olio di palma solo dalle aziende che lavorano il prodotto in modo da
ridurre la quantità dei contaminanti (processo a monte e non a valle). Sicuramente questo è stato un
processo più sensato rispetto a quello operato da altre aziende che hanno contribuito a diffondere
tale allarmismo.
Abbiamo scelto questo esempio per evidenziare come il successo dei “prodotti senza” spesso non
sia legato ad alcuna evidenza scientifica, ma si basi su delle sensibilità momentanee del
consumatore. Questo è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare: un altro è sicuramente
“senza lievito”.
Ci sarebbe poi da parlare della fascia di consumatori che mangia prodotti senza glutine o senza
lattosio pur non avendone necessità. I prodotti senza glutine hanno ad esempio una formulazione
completamente diversa rispetto a quella dei prodotti classici e spesso sono carenti di qualche
nutriente. Non sempre comprare “alimenti senza” è la scelta più intelligente. Prima di acquistare un
prodotto “senza”, inoltre, ci si dovrebbe sempre chiedere cosa è stato utilizzato al posto di ciò che è
stato tolto.
Talvolta in etichetta l’azienda alimentare può comunicare qual’è l’effetto sulla salute legato a queste
sostituzioni. Ciò che si può dire è controllato dall’EFSA: l’azienda alimentare deve produrre un
dossier composto da studi scientifici che attestino che la sostanza che sta aggiungendo o togliendo
abbia un effetto sulla salute. Moltissime delle
indicazioni salutistiche che varie aziende hanno

chiesto di inserire in etichetta sono state bocciate. Quando è uscito il regolamento del 2006 la prima
ondata di richieste (circa 10000) da parte delle aziende alimentari è stata approvata solo per l’1%.
Non vi erano studi scientifici che attestassero il rapporto causa-effetto.
Un esempio di richiesta accettata dall’EFSA è quella dell’azienda Danone per il prodotto Danacol, il
quale presenta un effetto regolativo del colesterolo. Il Danacol è uno yogurt arricchito di fitosteroli,
un gruppo di steroli vegetali. L’azienda Danone avrebbe potuto scrivere sull’etichetta del prodotto
che esso è arricchito di queste sostanze, ma visto che ci sono studi scientifici sufficienti che provano
che assumere una certa quantità di fitosteroli abbassa il livello di colesterolo, l’azienda (visto che
produce un alimento che se consumato giornalmente fornisce la giusta quantità di fitosteroli) può
scrivere che riduce il colesterolo in un certo tasso di tempo. Dire che un alimento riduce il
colesterolo non è dare un’indicazione nutrizionale, ma salutistica. Si sta dicendo che l’alimento ha
un effetto benefico sulla salute.
Quando un’azienda riesce a ottenere un claim di questo tipo si troverà sicuramente avvantaggiata
sul mercato, facendo una presa importante sul consumatore.
Molte altre richieste sono state bocciate, come ad esempio quasi tutte quelle che riguardavano i
probiotici e l’azione rinforzante sul sistema immunitario. Sugli antiossidanti (polifenoli), nonostante
le centinaia di richieste, ne sono state approvate solo 2; una sull’olio d’oliva (che fa riferimento alla
protezione dei lipidi del sangue dallo stress ossidativo) e una sul cacao.
Facciamo ora cenno anche agli integratori
alimentari. Anche se si tratta di un comparto che va
ad incrociare il lavoro dell’industria alimentare con
quello dell’industria farmaceutica, in realtà
secondo la legislazione comunitaria gli integratori
alimentari non sono farmaci ma alimenti (e
ricadono dunque necessariamente nella
legislazione alimentare). La fusione con l’industria
farmaceutica nasce dal fatto che gli integratori
alimentari sono sostanze estratte dagli alimenti ma
sono venduti in formulazioni di tipo farmaceutico
come compresse, tavolette, bustini, flaconcini.
L’integratore alimentare per questo è sempre stato visto come prodotto a confine tra queste due
industrie. A risolvere il problema è stata sicuramente la legislazione.
Non essendo un farmaco, l’integratore non può
vantare in etichetta effetti curativi, ma nella
propria proposta commerciale può avere solo
indicazioni di tipo salutistico come quelle che
abbiamo visto per gli alimenti funzionali e per gli
alimenti arricchiti. Quello degli integratori
alimentari è poi un settore nel quale vi è un
mercato molto forte perché, facendo parte di
questa categoria di alimenti destinati a migliorare
lo stato benessere (assieme ad alimenti funzionali
e arricchiti), l’integratore ha un’ottima presa sul
consumatore, il quale è sempre più interessato al
proprio stato di benessere e alla propria salute.

L’integratore alimentare è un prodotto con un mercato sempre più in espansione e si tratta anche di
un prodotto che ha un prezzo al consumo altissimo. Trattandosi di estratti di alimenti, prodotti
concentrati, purificati e formulati, il prezzo è molto gonfiato dalle aziende. Una tendenza che si sta
sviluppando è quella di arginare lo spreco all’interno delle industrie alimentari tramite l’utilizzo degli
scarti per la produzione di integratori alimentari. Lo scarto in quanto tale non si può proporre come
alimento ma spesso lo scarto è un concentrato di sostanze che hanno un certo effetto sulla salute.
Questo aumenta il valore della filiera in modo esponenziale (si usano prodotti che andrebbero
sprecati per creare un prodotto venduto a un prezzo considerevole). Un esempio è rintracciabile
nella filiera del grano: nella produzione di farina viene scartata la parte della crusca, la quale,
essendo ricchissima di fibra, può essere utilizzata per produrre un integratore. Con questa logica si
stanno sviluppando sempre più prodotti; ad esempi dagli scarti delle bucce di pomodoro viene
estratto il licopene, una sostanza fortemente antiossidante spesso utilizzata per la protezione della
pelle dai raggi solari (come i carotenoidi). Questo discorso vale per moltissime filiere.
Anche tra gli integratori alimentari possiamo fare delle distinzioni che vanno di pari passo con la
distinzione tra dieta bilanciata e dieta protettiva (o ottimale): si possono trovare integratori di
proteine, di vitamine, di minerali, ovvero integratori di sostanze nutritive che si devono
necessariamente assumere nella dieta. Sempre di più si trovano poi integratori di altre sostanze, che
non sono i nutrienti essenziali, ma hanno comunque un potenziale effetto salutistico. Questo si può
fare perché queste sostanze sono estratte da alimenti che noi già consumiamo (e fanno parte della
nostra quotidiana alimentazione) e dunque seppur concentrate in un integratore non hanno alcun
effetto negativo sulla salute. Non si tratta di sostanze sconosciute, ma di sostanze consumate
regolarmente.
Quindi, l’integratore alimentare è un prodotto dalla formulazione particolare classificato come
alimento. Per questo esso deve sottostare alle regole della legislazione alimentare e non
farmaceutica, anche se attualmente l’industria alimentare si sta appoggiando sempre più
all’industria farmaceutica in quanto si tratta di un settore che ha un valore aggiunto molto forte a
livello monetario. Ci sono aziende farmaceutiche che producono integratori e stanno cercando di
trascinare gli integratori all’interno del mondo farmaceutico perché in questo modo le aziende
farmaceutiche aumenterebbero considerevolmente i propri introiti.
Anche per questo motivo, al giorno d’oggi l’integratore alimentare viene anche definito come
nutraceutico (non esiste una definizione legale di questo termine), che mette insieme “nutrizione” e
“farmaceutico”.
Per terminare questo excursus sulle varie tipologie di alimenti, parliamo ora di novel foods. Oggi ciò
che è definito alimento per la legislazione alimentare è tutto ciò che è sempre stato consumato
nell’UE.
A volte però alcune aziende alimentari, sulla base di studi scientifici, vogliono proporre l’immissione
in commercio di prodotti che non sono mai stati consumati dalla popolazione europea. Un esempio
tra tutti è quello degli insetti: nella Comunità Europea l’entomofagia non è mai stata una pratica
diffusa come in altri Paesi. Seppur il consumo di insetti è normale in altri paesi, in UE
comporterebbe un rischio perché chi non ha mai consumato questi prodotti potrebbe sviluppare
delle reazioni allergiche o sentirsi male.
Un novel food è qualcosa che le industrie alimentari vogliono proporre come alimento, ma che
nessuno ha mai mangiato. Prima di autorizzare la commercializzazione di tale alimento, bisogna fare
degli studi in più rispetto a quelli fatti per alimenti di uso corrente. C’è tutto un sistema, valido a
livello comunitario, da rispettare per introdurre tale alimento in commercio. L’azienda deve produrre
degli studi scientifici che dimostrino che l’alimento non comporti un rischio per la salute, i quali
saranno valutati dall’EFSA. Attualmente l’EFSA sta reagendo in modo positivo all’introduzione di
questi prodotti sul mercato europeo; ci sono già 7 specie che hanno ricevuto un parere positivo e si
possono trovare in commercio a livello comunitario.
Quella dei novel foods è una categoria particolare di alimenti che sta avendo uno sviluppo enorme
in Europa ma non Italia. Qui abbiamo una cultura del cibo molto sviluppata (si farebbe molta fatica a
piazzare questi prodotti sul mercato) e una conformazione territoriale che ci permette di scegliere
tra tante materie prime valide. Tuttavia in altri paesi, come in Belgio e Olanda, molte aziende stanno
investendo sull’allevamento e sulla produzione di insetti.

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