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BILANCIO IDROSALINO
CAPITOLO 20 – pagina 503
L’acqua rappresenta il principale costituente dell’organismo. Senza di essa, le cellule eccitabili non
funzionerebbero. Nel soggetto adulto l’acqua corporea totale (ACT) è compresa tra il 45 e il 75% del peso
corporeo in funzione del contenuto di t.adiposo dell’organismo (ne contiene solo il 10% del suo peso al
contrario del 75% degli altri tessuti).
Perspiratio insensibilis
Perdita
Cute Polmoni Sudore Feci Urine
totale
Temperatura normale 350 350 100 200 1500 2500
Ambiente caldo 350 250 1400 200 1200 3400
Esercizio pesante
350 650 5000 200 500 6700
prolungato
NEUROFISIOLOGIA GENERALE
CAPITOLO 1 - PAGINA 3
La neurofisiologia generale è quella parte della fisiologia che studia i fenomeni elettrochimici alla base del
funzionamento del sistema nervoso.
Gradienti passivi
Il concetto di gradiente è alla base del movimento di molecole tra due compartimenti separati da una
membrana semipermeabile. È una grandezza vettoriale definibile sulla base di tre caratteristiche fisiche:
intensità, direzione e verso. Si definisce come gradiente la forza (intensità) che tende a muovere una
molecola dal comparto a maggior concentrazione verso quello a minor concentrazione con una direzione
perpendicolare alla membrana e un verso indicante il comparto a minor valenza. Sono responsabili degli
spostamenti passivi di svariate sostanze in tutto l’organismo. I gradienti più noti coinvolgono variazioni di
pressione, cariche elettriche e/o di concentrazione. Questi ultimi attivano inoltre processi di osmosi
(passaggio di solventi) e di diffusione (passaggio di soluti).
Trasporto mediato (o facilitato)
Avviene se il trasferimento di una sostanza da un lato all’altro della membrana richiede o utilizza carrier.
Esso è dotato di alcune caratteristiche:
Velocità – a parità di caratteristiche chimico-fisiche, le sostanze trasportate con questo
meccanismo avranno una velocità maggiore.
Saturazione – la velocità di trasporto aumenta mano a mano che aumenta la sua concentrazione
finché, con il raggiungimento di un determinato valore, l’incremento diventa nullo e la velocità
invariata.
Specificità chimica – ogni carrier trasporta molecole con una determinata struttura chimica
Inibizione da molecole non simili – un composto dissimile si può legare al trasportatore riducendone
l’affinità per il normale substrato.
È un meccanismo che non consente il trasporto contro gradiente di concentrazione.
Trasporto attivo
Meccanismo che agisce contro gradiente di concentrazione e/o elettrochimico, per la cui attuazione è
necessario un consumo diretto di ATP (è quindi legato al metabolismo energetico cellulare). La sua
esistenza dipende dalla presenza di: substrati proteici di trasporto; cambio conformazionale delle proteine
trasportatrici a causa di processi regolativi di fosfo-defosforilazione dipendenti dall’idrolisi dell’ATP. Se l’ATP
fornisce direttamente energia al trasportatore, il meccanismo viene chiamato trasporto attivo primario.
Esempio.
In seguito a uno stimolo che ha causato un rimescolamento
elettrolitico tra i compartimenti intra- ed extracellulari interviene
la pompa Na+/K+-ATPasi (p. integrale che per ogni molecola di
ATP idrolizzata trasporta 3Na+ fuori dalla cellula e 2K+ dentro,
tutto contro gradiente) per ristabilire le condizioni precedenti lo
stimolo in cui il compartimento intraC è più negativo rispetto al
compartimento extraC a causa delle molecole proteiche con
carica negativa che sono intrappolate all’interno.
Se non viene utilizzata direttamente una fonte di energia il meccanismo viene chiamato trasporto attivo
secondario.
Esempio.
Il gradiente di concentrazione creato dalla
pompa Na+/K+-ATPasi ([Na+] extraC > [Na+]
intraC, per cui il Na+ è attratto all’interno) viene
utilizzato per trasportare altri soluti (es.
simporto Na+/glucosio) all’interno della cellula.
1.2 CANALI IONICI
Le correnti ioniche attraversano la membrana plasmatica per mezzo di p.canale. Esse sono strutture che
presentano peculiari caratteristiche chimico-fisiche, precisi meccanismi di regolazione e particolari gradi di
selettività. Ad eccezione di quelle che determinano il potenziale di riposo, esse possono fluttuare tra uno
stato di apertura e uno di chiusura. Quando vengono attivate, il flusso di correnti ioniche tra interno ed
esterno della cellula aumenta. Il flusso di corrente di un determinato ione attraverso il canale dipende dalla
forza motrice a cui esso è sottoposto. La forza motrice è determinata dalla combinazione di forze
elettrochimiche, tra le quali sono comprese il gradiente di concentrazione ionica ai due lati della
membrana, la differenza di potenziale di membrana (cioè la distribuzione delle cariche ai due lati della
membrana) e il potenziale di equilibrio dello ione considerato. Gli ioni fluiscono attraverso i canali aperti in
modo assolutamente passivo; la direzione del flusso non è data dal canale ma dal gradiente elettrochimico
dello ione esistente ai lati della membrana. La conduttanza (reciproco della resistenza) di un canale dipende
dalla sua permeabilità a un determinato ione che può essere considerata come una proprietà intrinseca e
dipende dalla sequenza e disposizione degli aminoacidi all’interno del lume. Un altro fattore che influisce
sulla permeabilità del canale è legato alla presenza di ioni in grado di attraversarlo. La natura e le
dimensioni dello ione, insieme con il suo gradiente elettrochimico, determinano l’entità e la velocità di
flusso attraverso il canale.
1.6.1 CLASSIFICAZIONE
Classificazione in base alla localizzazione
Basandosi sulla posizione che il sistema di ricezione occupa nell’organismo e analizzando l’origine dello
stimolo che può attivarlo, i recettori possono essere divisi in due grandi categorie:
Esterocettori: ricevono informazioni provenienti dall’ambiente esterno.
Interocettori: ricevono informazioni provenienti da perturbazioni interne.
Classificazioni in base alla forma di energia
Se si tiene conto della forma di energia verso la quale i recettori mostrano una soglia più bassa:
Chemiocettori: percepiscono variazioni chimiche. Sono in grado di dare informazioni precise sulle
caratteristiche organolettiche dell’ambiente esterno oppure sullo stato chimico-fisico di quello
interno.
Meccanocettori: distinguono variazioni di energia meccanica.
Termocettori: suddivisi in frigo- e calorecettori, captano le variazioni termiche sia dell’ambiente
interno che esterno.
Nocicettori: captano variazioni di sostanze chimiche rilasciate da cellule lesionate.
Comunque sia, la struttura responsabile del riconoscimento della sensazione non è il recettore, bensì la
fibra nervosa connessa al recettore in questione. La localizzazione dello stimolo è una proprietà peculiare
del SNC.
Inibizione dell’antagonista
Le afferenze di tipo IA non solo eccitano i motoN del muscolo da cui originano e quelli dei muscoli agonisti,
ma inviano prolungamenti anche a interN inibitori che vanno a “disfacilitare” i motoN dei muscoli
antagonisti (inibizione reciproca). In alcune condizioni però, quest’inibizione deve essere soppressa per
ragioni posturali e ciò si realizza attraverso sistemi (inibizione di Renshaw) che riducono la scarica degli
interN inibitori.
Riflesso inverso da stiramento
Gli organi muscolo-tendinei di Golgi sono localizzati nel tendine del muscolo, in serie con le fibre muscolari.
In relazione alla posizione e alla forma di questi recettori, la frequenza di scarica delle loro fibre afferenti IB
è proporzionale alla tensione muscolare. Queste raggiungono il midollo spinale attivando interN inibitori
connessi con i motoN dello stesso muscolo. L’attivazione di questi recettori, determinata dall’aumento di
tensione, provoca un riflesso inverso da stiramento che riduce la forza muscolare. In questo modo è
esercitato un fine controllo della contrazione muscolare e sono impedite variazioni di tensione muscolare
(feedback per il controllo della tensione).
Unità motoria
L’insieme del motoN e delle fibre muscolare che esso innerva è chiamata unità motoria (UM). L’insieme
nervo-muscolo opera con modalità del tipo tutto o nulla. Non è possibile graduare la forza che l’UM è in
grado di generare in seguito a una singola attivazione nervosa. Le UM si differenziano per estensione,
velocità di contrazione e resistenza alla fatica. Un solo motoN può innervare appena 5/10 fibre come anche
più di 1000 e può appartenere a UM rapide e affaticabili (fast-fatigable FF), a UM rapide ma resistenti alla
fatica (fast-fatigue resistant FFR) o a UM lente (slow S). le UM FF, caratterizzate da motoN grandi, ad alta
soglia, modestamente attivati dai FNM sono eccitate da stimolazioni intense e scaricano in modo fasico. Le
fibre muscolari sono di tipo IIB, con alto livello di attività dell’ATPasi miosinica, enzimi glicolitici molto attivi
e scarso metabolismo ossidativo. La contrazione muscolare che si sviluppa in seguito alla loro stimolazione
è estremamente rapida. Le UM S, piccole, a bassa soglia e fortemente attivate dai FNM, sono eccitate da
stimoli deboli e tendono a scaricare tonicamente. Le fibre muscolare sono di tipo I e hanno un basso livello
di attivazione dell’ATPasi miosinica, con scarsa attivazione degli enzimi glicolitici e alto metabolismo
ossidativo. La loro contrazione muscolare si sviluppa lentamente. Le UM FFR, che si pongono in posizione
intermedia, pur mantenendo un alto livello di velocità di contrazione possiedono un livello medio-alto di
metabolismo ossidativo. L’esistenza di diverse UM permette di rispondere adeguatamente alle varie
esigenze del sistema motorio. Inoltre la notevole plasticità delle fibre muscolare consente a queste di
adattarsi al tipo di comando motorio che subiscono. La possibilità di modulare la forza muscolare si attua
attraverso il coinvolgimento crescente di UM (reclutamento) o attraverso l’aumento della scarica delle UM.
Nel primo caso, con il crescere dell’intensità del comando centrale, sono attivati sempre più motoN a soglia
alta (motoN più grandi). Nel secondo caso, in cui aumenta la frequenza di scarica dei motoN, la forza
muscolare cresce per effetto della sommazione meccanica delle singole scosse muscolari generate
dall’arrivo nel muscolo di un impulso elettrico. Se l’intervallo tra gli impulsi è breve, le singole scosse
possono fondersi tra loro e generare uno stato di contrazione che è molto più ampio della singola scossa
semplice (tetano muscolare).
Elettromiografia
Attraverso essa è possibile conoscere lo stato di attivazione elettrica di un muscolo registrando i segnali
elettrici che si generano nel muscolo con elettrodi ad ago (rileva i singoli potenziali di UM costituiti dalla
somma di eventi di depolarizzazione della placca motrice e delle fibre muscolari attivate) o con elettrodi di
superficie (registra l’attività massiva dovuta all’insieme dei singoli potenziali delle UM attive).
FISIOLOGIA DEL MUSCOLO
CAPITOLO 2 PAGINA 55
Il tessuto muscolare è coinvolto in funzioni fondamentali e molto diverse tra loro, ed in relazione a ciò è
molto differenziato e diversificato. Esistono, infatti, tre tipi di muscoli con profonde diversità strutturali e
funzionali:
Muscoli scheletrici: implicati nel movimento del corpo e delle sue parti;
Muscolo cardiaco: determina il flusso sanguigno;
Muscolo liscio: sostiene la motilità degli organi interni.
Tutti i tipi di tessuto muscolare sono in grado di contrarsi sviluppando forza e accorciandosi e in tutti i casi
questa loro funzione è sostenuta da cellule contrattili.
Actina
L’actina è una proteina globulare (actinaG) presente in molti tessuti. Nelle cellule muscolari essa si trova in
forma polimerizzata (actinaF) che rappresenta la struttura di base dei filamenti sottili. Ogni molecola di
actinaG ha un sito che rende possibile l’aggancio con le teste della miosina.
Troponine
La troponina è una proteina formata da 3 sub-unità, la troponina C (TnC) che lega il calcio, la troponina I
(TnI), che lega il complesso troponinico all’actina e la troponina T (TnT) che lega il complesso troponinico
alla tropomiosina. È situata nei filamenti sottili a contatto con le molecole di tropomiosina. La TnC ha 4 siti
di legame per il calcio, 2 dei quali ad alta affinità (legano il Ca2+ anche a basse concentrazioni) e 2 a bassa
affinità (si legano al Ca2+ solo durante la contrazione). Il legame tra TnI e actina ha un’intensità che dipende
dalla presenza del calcio sui due siti di bassa affinità della TnC (legame forte quando i due siti non legano
calcio). Questo è un fenomeno fondamentale nell’attivazione della contrazione in quanto determina la
posizione della tropomiosina a coprire o meno i siti di interazione acto-miosinica.
2.2.4.3 PROTEINE STRUTTURALI
Le proteine strutturali costituiscono il citoscheletro della fibra muscolare formando l’impalcatura che
mantiene stabile la geometria dei filamenti contrattili. Tale citoscheletro è formato da elementi trasversali
(tengono assieme o ancorano i filamenti spessi e sottili: proteina M, miomesina e α-actinina) e longitudinali
(titina e nebulina). La titina unisce a ponte gli elementi trasversali della linea M con le linee Z. La nebulina
regola la lunghezza del filamento.
2.5.2.1 CONTRAZIONE
A causa del blocco “sterico” (teste della miosina impedite nel legame con
l’actina a causa della copertura dei siti di legame da parte della
tropomiosina) la contrazione è impossibilitata. Perché essa possa avvenire
è necessario che la tropomiosina liberi i siti di interazione acto-miosinici.
Perché la FM si contragga in modo
uniforme, il potAZ generato a livello
della placca motrice deve propagarsi sia
longitudinalmente verso le estremità
della fibra che trasversalmente, nella profondità della fibra (grazie ai
tubuli T). Quando il potAZ si propaga lungo i tubuli T, i recettori per
diidropiridina (situati lungo la membrana dei tubuli), aventi dei sensori di
voltaggio, reagiscono alla depolarizzazione andando incontro a una
modificazione conformazionale che li porta ad agire meccanicamente sui
“piedi” (strutture proteiche poste a ponte tra i tubuli T e le cisterne
terminali del RS) dei recettori della rianodina. Quest’azione causa
l’apertura della porzione del recettore che forma il canale del calcio del
RS, determinando la fuoriuscita del catione che si sposta seguendo il
gradiente di concentrazione.
Uscito dal RS, il calcio si lega alla TnC, causando il distacco del legame actina-TnI, il quale porta allo
spostamento del complesso troponinico e della tropomiosina (legata alla TnT) liberando i siti di legame
dell’actina per la miosina. Tale liberazione è immediatamente seguita dall’instaurarsi del legame acto-
miosinico e dall’inizio del processo contrattile.
2.5.2.2 RILASCIAMENTO
La durata del processo contrattile e la sua intensità sono determinate dal controllo nervoso. La fase di
rilasciamento, in cui la forza sviluppata gradualmente diminuisce ai valori di riposo e il muscolo torna alla
sua lunghezza di riposo può essere schematizzata come segue:
- Cessazione della stimolazione nervosa e recupero attivo di Ca2+ attraverso una pompa ATPasica
(localizzata nelle porzioni longitudinali del RS) che spinge il catione verso le cisterne terminali contro
gradiente di concentrazione;
- Diminuzione della [Ca2+] nel citoplasma;
- Distacco del Ca2+ dalla TnC;
- Spostamento della tropomiosina a coprire i siti di legame dell’actina per la miosina;
- Cessazione del processo contrattile rilasciamento.
Tipi di miosina
Le isoforme della miosina che, hanno un ruolo fondamentale nel determinare le grandi differenze di
velocità, nel consumo di energia e di potenza muscolare, giocano un ruolo limitato nel regolare la forza
sviluppata. Di conseguenza i muscoli scheletrici che sono composti in prevalenza da fibre lente non sono
intrinsecamente più deboli dei muscoli scheletrici composti principalmente da fibre veloci.
L’ RMS aumenta al crescere dell’intensità. Dipende dal n° di UM attivate e dalla loro frequenza di scarica, e
dalla distanza tra FM e l’elettrodo. È misurato in mV. Nella sua misura vi è un errore sistematico provocato
dal tessuto sottocutaneo interposto.
L’MF aumenta proporzionalmente all’intensità di contrazione. Dipende dalla velocità di conduzione e dal
grado di reclutamento delle UM. È misurata in Hz. Va calcolata poiché non facilmente ricavabile ad occhio.
La CV varia a seconda del contenuto di fibre glicolitiche nel muscolo. È estratta dall’angolo tra orizzontale e
linea che raggiunge i picchi delle onde. L’angolo aumenta all’aumentare dell’intensità di contrazione poiché
vengono attivate fibre via via più veloci. Viene misurata in m/s.
Vi sono due tipi di elettromiografia:
EMG ad ago: molto selettiva, misura l’attività elettrica della singola UM. È molto invasiva e
dolorosa.
EMG di superficie: poco selettiva, non invasiva e non dolorosa.
Nell’EMG di superficie è molto importante il posizionamento degli elettrodi per ottenere un segnale quanto
più attendibile. Anzitutto è necessario preparare la cute per ridurre l’impedenza del tessuto interposto:
togliere i peli ed eliminare le impurità attraverso l’utilizzo di un detergente. In seguito, gli elettrodi (dopo
aver scelto la dimensione dell’onda in base alla quantità di UM del muscolo) vanno posizionati sul ventre
muscolare nella porzione compresa tra l’inserzione tendinea e il punto motore in modo tale da ottenere la
rappresentazione della massima attività elettrica di quel muscolo. La schiera di elettrodi inoltre deve essere
posizionata parallelamente all’asse maggiore del muscolo, in modo che gli elettrodi si trovino
perpendicolari all’andamento delle fibre.
La tecnica di EMG può avere varie applicazioni in ambiti diversi:
Clinica: patologie neuromuscolari;
Riabilitazione:
- stima della CV in seguito a trattamenti riabilitativi;
- stima della fatica in diverse fasi del recupero funzionale;
- conteggio delle UM attivate durante la ripresa muscolare;
Sport:
-Determinazione della condizione muscolare;
-Studio della fatica muscolare e messa a punto di allenamenti mirati;
-Effetti dovuti a diete, farmaci;
-Valutazione delle percentuali delle diverse fibre che costituiscono un muscolo.
FUSI NEUROMUSCOLARI E ORGANI TENDINEI DEL GOLGI
I FNM e i GTO intervengono a regolare il 99% delle attività che eseguiamo. Tutto l’aspetto posturale risente
delle loro informazioni e relativi feedback.
La sostanza grigia all’interno del midollo spinale è funzionalmente suddivisibile in 3 parti: le corna posteriori
(zona sensitiva), la zona centrale e le corna anteriori (zona motoria). Intorno alla sostanza grigia è presente
la sostanza bianca, composta dagli assoni mielinizzati delle vie ascendenti e discendenti.
Le corna posteriori sono suddivise in più regioni: la testa, l’istmo e la base. Queste tre regioni ricevono tutte
le afferenze sensitive. La base è la zona destinata a ricevere le informazioni propriocettive, dove formano
un nucleo di fibre di tipo IA, IB. In particolare, le fibre IA terminano sul nucleo laterale e sul nucleo
mediano, mentre le fibre IB terminano quasi esclusivamente sul nucleo laterale.
Parte delle informazioni che arrivano a livello della base andranno a formare il riflesso, l’altra parte,
attraverso le vie ascendenti propriocettive (vie spino-cerebellari), andranno ad informare i centri superiori
in modo da adattare nella maniera più consona possibile lo stato muscolare, affinchè l’azione del muscolo
corrisponda al programma motorio scelto.
Le corna anteriori invece sono divise in due regioni: base e testa. A livello della base delle corna anteriori si
proiettano le informazioni provenienti dalle vie della regolazione motoria (corna posteriori, zona vegetativa
e sistema extrapiramidale).
FUSI NEUROMUSCOLARI
I FNM sono strutture specializzate distribuite nel parenchima
muscolare, in parallelo alle fibre dei muscoli scheletrici. Possono
essere suddivisi in 3 zone: una equatoriale sensitiva e due distali
motorie. Sono riccamente vascolarizzati e innervati. Le fibre che
li compongono sono dette intrafusali e si dividono in due gruppi:
fibre a catena di nuclei e fibre a sacco di nuclei. Entrambe sono
innervate da motoN gamma delle corna anteriori del midollo
spinale. Le fibre sensitive che originano dalla porzione
equatoriale sono di tipo IA; quelle che originano dalle porzioni
distali sono di tipo II.
Un brusco allungamento muscolare attiva i FNM, i quali
rispondono allo stimolo generando un potAZ che porterà le
informazioni inerenti l’allungamento al SNC, attraverso le fibre
afferenti IA e II. Nel SNC, le afferenze contraggono sinapsi sia con i motoN alfa che gamma. I motoN alfa
andranno ad eccitare le fibre extrafusali del muscolo allungato, producendo una contrazione che tende a
riportare il muscolo alla sua lunghezza originaria. I motoN gamma
invece svolgono una funzione essenziale per il mantenimento della
sensibilità dei FNM, poiché quando un muscolo si accorcia le fibre
intrafusali perderebbero la loro tensione, inattivandosi. Pertanto i
motoN gamma producono una contrazione localizzata alle estremità
polari delle fibre intrafusali, che a sua volta determina uno stiramento
della loro parte equatoriale, in modo tale da mantenere costante la
sensibilità del recettore ad ogni livello della contrazione.
Il riflesso miotatico tonico è presente nei muscoli che si oppongono alla
forza di gravità, la quale tende ad allungarli. Le fibre afferenti IA e II
attivano interN centrali che scaricano su motoN gamma facenti parte di
UM toniche, in grado di mantenere per periodi prolungati scariche a
bassa frequenza.
ORGANI TENDINEI DEL GOLGI
I GTO sono propriocettori posizionati a livello della giunzione muscolo-tendinea e nel tendine stesso in
modo trasversale rispetto alle fibre muscolari o connettivali, in serie rispetto agli elementi contrattili.
Sono deputati alla raccolta e alla trasmissione di dati inerenti la tensione sviluppata dai muscoli.
L’innervazione sensoriale è caratterizzata da un fascetto di fibre nervose appartenenti alla classe IB. A
differenza dei FNM sono privi di innervazione motoria.
I GTO si attivano durante una contrazione muscolare che sottopone il
tendine in cui sono presenti a un certo grado di stiramento. Tale
contrazione aumenta la pressione sulle afferenze sensoriali,
inducendole a “scaricare”. Gli impulsi generati arrivano al midollo
spinale, dove vanno ad eccitare interN che inibiscono l’azione dei
motoN alfa deputati all’innervazione dello stesso muscolo da cui è
partito il segnale, ed eccita il motoN del muscolo antagonista
aumentandone il potenziale contrattile.
Il processo prende il nome di riflesso miotatico inverso utile per
evitare le lesioni tendinee causate da una contrazione troppo violenta
e per preservare i muscoli dai danni associati al brusco decremento
del carico applicato.
Esso si oppone quindi a un eccessivo accorciamento, al contrario dei
FNM che si oppone ad uno stiramento.
Gli organismi viventi sono sistemi complessi che interagiscono con l’ambiente. Questa interazione è
indispensabile per la sopravvivenza di ciascun individuo, dal momento che ogni essere vivente ha bisogno di
ricavare dall’ambiente le fonti di energia per la propria vita e deve evitare quelle situazioni che mettono in
pericolo l’integrità dell’organismo. L’interazione con l’ambiente comporta l’esposizione del sistema a eventi
che ne alterano l’equilibrio e la necessità di risposte adeguate a queste perturbazioni. Le funzioni che
elaborano risposte adeguate a eventi incontrollabili rientrano nel dominio delle funzioni di controllo e
regolazione dell’organismo. Un sistema di regolazione può essere schematizzato come una porzione di
universo che riceve segnali in ingresso che alterano lo stato del sistema e dà risposte in uscita che riflettono
lo stato del sistema.
3.2.3 CERVELLO
La corteccia cerebrale è la parte più sviluppata del cervello. È formata da
una superficie di sostanza grigia pluristratificata che forma circonvoluzioni
e solchi. Gli emisferi cerebrali vengono suddivisi in lobi dai solchi più
profondi. I lobi principali sono: occipitale, parietale, frontale, temporale.
Colonne corticali
Molte aree corticali sono suddivise in unità anatomo-funzionali chiamate colonne, caratterizzate
funzionalmente per essere in relazione con una regione limitata della periferia, sensoriale o motoria, e per
essere attivata secondo modalità funzionali omogenee. Ogni colonna ha vie proprie d’ingresso e d’uscita,
mediante le quali è collegata con le altre colonne, della stessa o di altre aree. Nell’insieme, questa struttura
forma le complesse reti neuronali che attuano le funzioni della corteccia cerebrale.
3.2.4 DIENCEFALO
Il talamo è un importante complesso di circa 26 nuclei interposti tra telencefalo e strutture inferiori del
nevrasse. Anatomicamente si raggruppano per la loro posizione in nuclei anteriori o posteriori, dorsali o
ventrali, mediali o laterali, più un gruppo di nuclei intermedi chiamati intralaminari. Funzionalmente si
distinguono in nuclei specifici (o relais) che hanno connessioni con parti delimitate della corteccia cerebrale
svolgenti funzioni sensoriali motorie o associative, e nuclei aspecifici connessi con ampie parti della
corteccia i quali svolgono azioni generalizzate sull’attività elettrica di base della corteccia, essendo coinvolti
in funzioni di controllo degli stati di vigilanza.
L’ipotalamo, formato da un gruppo di nuclei, è considerato il “cervello viscerale” perché le sue funzioni
sono strettamente correlate con il controllo vegetativo ed endocrino del mezzo interno.
Il sistema nervoso vegetativo è considerato un sistema che provvede al controllo di funzioni viscerali
critiche per l’omeostasi, ovvero la tendenza al mantenimento delle funzioni dell’organismo attorno a uno
stato stabile.
È un sistema motorio viscerale, in larga misura involontario, e funziona sulla base di archi riflessi, che
possono essere modulati da vari stimoli, per poter garantire un preciso controllo omeostatico. Tale
controllo è esercitato sulla muscolatura liscia, cardiaca e sulle ghiandole esocrine. Inoltre, vari processi
metabolici sono secondariamente influenzati da questo sistema, attraverso la liberazione di ormoni.
È perciò un sistema effettore che possiede un’organizzazione simile a quella del sistema motorio somatico.
Sulla base di caratteristiche anatomiche, fisiologiche e chimiche, si possono riconoscere nel sistema
nervoso autonomo due divisioni principali: simpatica e parasimpatica. Una terza divisione, il sistema
nervoso enterico, costituito da un complesso insieme di cellule nervose localizzate nella parete del tratto
gastrointestinale, controlla il tono dei vasi sanguigni, la motilità e le secrezioni intestinali, svolgendo un
ruolo importante per il mantenimento dell’omeostasi.
4.4.1 NEUROTRASMETTITORI
Tutte le fibre preG, sia paraS che S, e le fibre postG paraS liberano ACh e sono pertanto denominate
colinergiche. La grande maggioranza delle fibre postG S libera noradrenalina e perciò denominate
noradrenergiche.
Tra le altre sostanze liberate dalle sinapsi del SNV si annoverano la dopamina e, tra i peptidi, il GnRH
(gonadotropin-releasing hormone), il CRH (corticotropin- releasing hormone), il VIP (vasoactive intestinal
peptide) e il neuropeptide Y.
Le azioni di tali peptidi sono spesso più lente di quelle di acetilcolina e noradrenalina e la loro liberazione
può dipendere dalla frequenza di stimolazione.
Questi neurotrasmettitori co-localizzati vengono immagazzinati all’interno delle terminazioni nervose in
vescicole separate.
4.6.1 CUORE
Le fibre simpatiche innervano il nodo SA, il sistema di conduzione del cuore, i vasi coronarici e sono
ampiamente distribuite alla muscolatura cardiaca, sia atriale che ventricolare. La loro attivazione determina
aumento dell’eccitabilità delle fibre miocardiche, della frequenza cardiaca, della velocità di conduzione
degli impulsi cardiaci e della contrattilità miocardica, nonché vasocostrizione coronarica.
Le fibre paraS dirette al cuore innervano i nodi SA e AV e la muscolatura atriale. L’innervazione paraS del
miocardio ventricolare e dei vasi coronarici appare poco rilevante. Il sistema paraS provoca una riduzione
della frequenza cardiaca.
4.6.2 OCCHIO
Le fibre preG paraS viaggiano nel nervo oculomotore e innervano il muscolo sfintere dell’iride che,
contraendosi, riduce il diametro della pupilla, provocando miosi.
Le fibre simpatiche innervano il muscolo dilatatore dell’iride, che contraendosi aumenta il diametro
pupillare, causando midriasi. La stimolazione di una o dell’altra branca del sistema nervoso vegetativo
dipende dall’intensità dello stimolo luminoso: se questa è elevata è attivato il sistema paraS; se bassa, il
sistema S.
Plasticità
Numerosi esperimenti clinici hanno dimostrato che l’organizzazione topografica della corteccia motoria può
modificarsi in seguito a lesioni o ad apprendimento. Ciò riveste un’importanza fondamentale nel consentire
almeno una parziale riabilitazione funzionale in pazienti che sono andati incontro a ictus o ad altri tipi di
lesioni cerebrali.
Il sangue è un particolare tipo di tessuto la cui parte liquida (matrice extracellulare) è costituita dal plasma,
mentre la componente cellulare (frazione corpuscolata) è rappresentata dagli elementi figurati del sangue.
9.1 FUNZIONI
Svolge principalmente una funzione di trasporto di sostanze, in esso disciolte o sospese, da e per i vari
organi e tessuti. Tra le varie sostanze troviamo nutrienti, ormoni, ossigeno e cataboliti (anidride carbonica e
urea).
9.2.2.1 EMOPOIESI
L’insieme di eventi che porta alla formazione dei
vari tipi di cellule ematiche prende il nome di
emopoiesi. Nelle fasi embrionali questo processo
ha sede per l’80% nel fegato e il restante 20% nella
milza. Dalla nascita, l’unica attività emopoietica ha
luogo nel midollo osseo delle vertebre, delle coste,
delle ossa craniali e della pelvi, e nell’epifisi
prossimale del femore e dell’omero.
Globuli rossi, bianchi e piastrine traggono origine
da uno stesso tipo di cellule staminali multipotenti
le quali, sotto l’azione di vari fattori di crescita
(citochine), si suddividono differenziandosi sempre
più e dando luogo alla fine alle diverse linee di
cellule ematiche specializzate.
Globuli rossi
I GR (eritrociti o emazie) sono cellule anucleate (non sono in grado riprodursi) con una morfologia discoide
e biconcava, la quale ne aumenta l’area di contatto con l’ambiente esterno e ne riduce la distanza interna
compresa tra le superfici, consentendo rapidità di passaggio intra- ed extraC per l’O2 e la CO2 favorendone il
legame con l’Hb. Inoltre li rende particolarmente resistenti alle deformazioni meccaniche cui vanno
incontro attraversando canali stretti come i capillari. Hanno una vita media di circa 120 giorni al termine dei
quali vengono distrutti a livello della milza (principalmente), fegato, midollo osseo e linfonodi
(emocateresi).
Emoglobina (Hb)
L’Hb è una struttura proteica formata da due coppie di catene globuliniche (α2β2). Può essere presente in
due forme isomeriche: deossiHb e ossiHb. Al centro di ognuna delle 4 catene polipeptidiche si trova una
molecola non proteica, l’eme, con al centro un atomo di ferro, il quale lega l’ossigeno, in quantità
dipendente dalla pressione parziale del gas nel sangue.
Globuli bianchi
I GB rappresentano nel loro insieme un sofisticato apparato di difesa
contro gli agenti patogeni. Sono tra i maggiori responsabili della
risposta infiammatoria, durante la quale, nella zona attaccata dai
patogeni si osservano vasodilatazione e aumento della permeabilità
capillare con diffusione di leucociti circolanti. Una volta usciti dai
capillari, si muovono per chemiotassi (seguendo un gradiente chimico)
raggiungendo il punto focale dove, attraverso fagocitosi, distruggono i
patogeni. I monociti usciti dai vasi si trasformano in macrofagi, cellule
che espongono sulla membrana il complesso maggiore di
istcompatibilità (MHC) per segnalare la presenza del microrganismo fagocitato in modo da permettere
l’inizio delle reazioni immunitarie da parte dei linfociti. Gli eosinofili aumentano il loro numero in condizioni
di allergia e di parassitosi. Tramite la chemiotassi, si portano nei luoghi di accumulo di tali formazioni,
distruggendo gli immunocomplessi. I basofili contengono eparina (anticoagulante) e istamina
(vasodilatatore) contribuendo alla reazione infiammatoria.
Piastrine
Le piastrine, o trombociti (tra 150.000 e 350.000/µl) sono piccoli corpuscoli dotati di membrana, che hanno
origine dalla frammentazione di grosse cellule, i megacariociti.
9.3 EMÒSTASI
L’emòstasi consiste in una serie di reazioni biochimiche e cellulari, sequenziali (è una catena di eventi) e
sinergiche (gli eventi hanno uno stesso fine), per impedire una perdita di sangue da vasi lesionati. Quindi è
un meccanismo di difesa attraverso il quale il corpo cerca di mantenere il volume ematico e la fluidità del
sangue.
La prima risposta a una lesione vasale è la vasocostrizione, finalizzata a diminuire il flusso di sangue verso
l’esterno, dovuta all’attivazione riflessa dell’innervazione ortosimpatica dei vasi, che provoca uno spasmo
della muscolatura liscia contenuta
nella loro parete.
Le cellule della parete vasale
danneggiata liberano ADP, che
funge da agente chemiotatico per
le piastrine, le quali aggregandosi
nel punto lesionato formano un
tappo.
Con la formazione del tappo, si
innesca il vero processo della
coagulazione, dato dall’interazione
di vari fattori, la quale porta alla
rigenerazione del tessuto nel punto
lesionato.
I tessuti lesionati rilasciano
la tromboplastina, la quale porta
alla formazione del fattore di
conversione della protrombina;
La protrombina (globulina
plasmatica prodotta dal fegato
grazie alla vit.K) si trasforma in
trombina (enzima capace di agire sul fibrinogeno);
Il fibrinogeno, in presenza di trombina si converte in fibrina, i cui monomeri, polimerizzandosi
formano una fine rete di fibre che, intrappolando GR e piastrine dà luogo a un coagulo stabile;
Una volta stabilizzato, inizia il processo di retrazione del coagulo, tramite il quale viene espulso il
siero e si avvicinano i lembi della lesione, grazie alla presenza di tromboestetina, fattore piastrinico
capace di accorciarsi come una proteina contrattile;
A questo punto vengono innescati i processi di riparazione del vaso e di dissoluzione del coagulo
che portano alla completa ristrutturazione del tessuto precedentemente lesionato. Questi processi
sono il risultato della degradazione della fibrina a opera dell’enzima plasmina (che deriva dal
plasminogeno).
Il cuore è l’organo muscolare con funzioni di pompa fasica che fornisce l’energia necessaria per muovere il
sangue.
10.3 ELETTROCARDIOGRAMMA
L’elettrocardiogramma (ECG) rappresenta la registrazione a livello cutaneo dell’attività elettrica globale del
cuore in funzione del tempo. Ciò è permesso dalla conducibilità elettrica offerta dall’acqua all’interno del
nostro corpo. L’attività elettrica globale del cuore registrabile a livello cutaneo è data dall’induzione del
campo elettrico generato dalla depolarizzazione dei miocardiociti, la quale però prima di arrivare in
superficie viene filtrata da tutti i tessuti attraverso cui viaggia, i quali riducono l’ampiezza del segnale. L’ECG
è in grado di ripulire il segnale dalle varie interferenze e di riprodurre il tracciato.
Le caratteristiche del campo elettrico generato sono: ampiezza (dipende dal n° di cellule attivate e dal loro
sincronismo), direzione (dipende dall’orientamento spaziale delle variazioni elettriche) e verso (dipende dal
segno dell’evento).
Queste caratteristiche formano un vettore, il quale sarà diverso per ogni depolarizzazione. Il segnale
registrato a livello cutaneo è la somma algebrica dei vari vettori, e quindi dei vari potAZ generati dal cuore:
il vettore cardiaco medio.
Il vettore cardiaco medio dà luogo a fluttuazioni cicliche e caratteristiche di tensione elettrica.
A seconda della posizione e della distanza dal cuore dell’elettrodo cambiano le variabili del vettore. Di
conseguenza anche la tipologia di registrazione che può essere visualizzata. Per riuscire ad ottenere
registrazioni comparabili è stato necessario standardizzare la posizione degli elettrodi.
I punti standardizzati su cui vengono orientati spazialmente gli elettrodi sono chiamati derivazioni. Esse si
trovano sia sul piano frontale (periferiche bipolari e unipolari) che trasversale (precordiali unipolari).
Derivazioni periferiche bipolari di Einthoven
Sono dette periferiche poiché lontane dal cuore e bipolari
perché costituite da due elettrodi, positivo e negativo, e un
terzo che costituisce la messa a terra che riduce le
interferenze prodotte da altre attività elettriche circostanti.
Il triangolo di Einthoven, che si assume sia equilatero, è
delimitato dalle due braccia e dall’arto inferiore sinistro, sui
cui vertici sono posizionati tre elettrodi di registrazione,
collegati all’elettrocardiografo. Il cuore occupa il centro di
questo triangolo.
Le derivazioni che otteniamo sono 3: I (braccio dx, braccio sx),
II (braccio dx, gamba sx), III (braccio sx, gamba sx).
Le derivazioni registrano le differenze di potenziale che
intercorrono tra i due elettrodi.
Il sistema cardiocircolatorio, è composto da un sistema di trasporto, il sistema circolatorio, e dal cuore, che
mette in movimento il sangue, il quale a livello capillare realizza scambi con il liquido interstiziale che bagna
tutte le cellule.
11.1.6 CAPILLARI
La pressione del sangue a livello dei capillari è regolata dal rapporto tra resistenze arteriolari e venulari: il
suo valore è critico per la determinazione del flusso netto di acqua tra i compartimenti intra- ed
extravasale. Questa contribuisce alla regolazione a breve termine del volume totale di sangue circolante.
Il sistema respiratorio svolge numerose funzioni, di cui la principale è certamente quella di prelevare
l’ossigeno dall’ambiente, di distribuirlo tramite il sangue a tutte le cellule dell’organismo e di asportare
dalle stesse l’anidride carbonica, prodotto terminale della combustione degli alimenti insieme all’acqua.
La respirazione, comunemente scambiata con la ventilazione (gli atti inspiratori ed espiratori) è l’utilizzo di
ossigeno con produzione di anidride carbonica a livello delle creste mitocondriali. Gli apparati che
permettono che ciò avvenga hanno una funzione respiratoria.
È suddivisibile in 4 processi, tra loro distinti ma correlati:
Respirazione esterna a livello dei polmoni: è data dall’assorbimento di O2 e l’eliminazione di CO2;
Respirazione interna a livello delle cellule: è data dall’utilizzo di O2 e l’eliminazione di CO2;
Funzione respiratoria a livello del sangue: è data dal trasporto di O2 e CO2;
Respirazione cellulare a livello delle cellule: data dal ruolo di O2 e CO2 nelle reazioni metaboliche.
12.1 IL POLMONE
Le funzioni principali del polmone sono:
Serbatoio per il sangue in condizioni di clinostatismo;
Metabolizzazione di molecole: l’angiotensina I a livello polmonare viene convertita in angiotensina
II, la quale ha effetto sull’aldosterone, andando a controllare la pressione arteriosa;
Modifica la qualità dell’aria inspirata che giunge agli alveoli grazie alle ciglia vibratili dell’epitelio
delle vie aeree;
Permette gli scambi gassosi di O2 e CO2 a livello della barriera alveolo-capillare
L’efficacia degli scambi gassosi è garantita dalla sincronizzazione di 3 meccanismi posti in sequenza:
1. Ventilazione: flusso di aria che entra ed esce dai polmoni, il quale ricambia l’aria alveolare;
2. Diffusione: L’O2 arriva agli alveoli, attraversa la membrana alveolo-capillare e diffonde ne l flusso
ematico;
3. Perfusione: flusso ematico polmonare.
L’alterazione di uno di questi meccanismi destabilizza gli scambi gassosi.
O2 e CO2 sono, per il loro ruolo, chiamati gas respiratori. Ogni minuto, in condizioni di riposo, l’individuo
fisiologico consuma circa 300ml di O2 e circa 240ml di CO2. Questi valori dipendono da variabili individuali.
Inoltre l’attività fisica li influenza pesantemente, tanto che il consumo di ossigeno, nell’esercizio massimale
può arrivare fino a 3-6L/min. La RER (VCO2/VO2) a riposo ha un valore di
0.8, mentre durante esercizio massimale 1.
La diffusione di un gas attraverso una membrana è definita dalla legge di
Fick. Il flusso di un gas attraverso una membrana è direttamente
proporzionale all’area della membrana e inversamente proporzionale al
suo spessore, ed è influenzato dal gradiente pressorio e da una costante
che tiene conto della solubilità del gas nel liquido e della radice quadrata
del peso molecolare del gas.
All’interno del volume toracico, l’unità funzionale del polmone, corrisponde alla struttura caratterizzante la
funzione del polmone stesso: l’unità alveolo-capillare. Queste unità sono circa 300mln. Gli alveoli sono
assimilabili a delle sfere, aventi ciascuno un diametro di circa 0.3mm. Essi sono costituiti da un singolo
strato di cellule epiteliali piatte, pneumociti di I ordine, con intercalati pneumociti di II ordine che
producono il sottile velo di liquido che riveste gli alveoli polmonari. Vi sono poi macrofagi sulla superficie
alveolare con funzioni di fagocitosi di batteri e particelle inalate. Attorno al singolo alveolo si dispongono
circa 1000 capillari. L’endotelio capillare è separato dall’epitelio alveolare dalla sola membrana basale,
comune quindi a entrambi. Gli alveoli possono arrivare a coprire un’area compresa tra i 50 e i 100metri2, in
un volume di appena 4L, favorendo enormemente la diffusione dei gas respiratori.
12.4 VOLUMI POLMONARI
I volumi polmonari sono i volumi d’aria all’interno dei polmoni durante attività respiratoria. Si suddividono
in statici e dinamici.
La quantità d’aria contenuta nel polmone dipende principalmente dalla statura e dalle condizioni di
allenamento e subisce sostanziali variazioni nello stesso soggetto in relazione alla profondità del respiro.
I volumi statici sono 4, a cui corrispondono altrettante capacità, date dalla somma di più volumi. Nel
soggetto seduto, al termine di una espirazione normale, il polmone contiene una quantità di gas
respiratorio il cui volume è mediamente 3L (con le variazioni dovute al singolo caso). Questa quantità di aria
prende il nome di capacità funzionale residua (CFR – volume d’aria presente nei polmoni alla fine di
un’espirazione tranquilla) ed è composta da due porzioni: il volume di riserva espiratoria (VRE – massimo
volume d’aria che si può espirare, con un’espirazione massimale forzata, a
partire da inspirazione tranquilla; 1.5L), la quale durante la respirazione a
riposo non viene utilizzata, e dal volume residuo (VR – volume d’aria che
rimane nei polmoni a fine espirazione massimale; 1.5L). Il volume residuo è
dato dalla compressione dinamica delle vie aeree, la quale non permette
che il sistema toraco-polmonare raggiunga valori tanto bassi da espellere
tutta l’aria. Il volume d’aria che il soggetto incamera nel polmone al termine
di una inspirazione a riposo è di 0.5L, e prende il nome di volume corrente
(VC o Vt , tidal volume). Al termine di una inspirazione a riposo, il soggetto
può ancora, con una inspirazione forzata, massimale, inspirare un volume di
aria di 2.5L. Questo è il volume di riserva inspiratoria (VRI – massimo
volume d’aria che si può introdurre oltre alla normale inspirazione). La somma dei due volumi precedenti ci
dà la capacità inspiratoria (CI – massimo volume d’aria che si può inspirare a partire dalla fine di
un’espirazione tranquilla; 3L). Pertanto la quantità di aria che il polmone può contenere, o capacità
polmonare totale (CPT – massima quantità di aria nei polmoni alla fine di un’inspirazione massimale),
derivata dalla somma di tutti i volumi, ammonta a 6L. Di questi 6L è possibile, attraverso una espirazione
forzata, espellere solo 4.5L, che corrisponde alla capacità vitale (CV – massimo volume di aria espirato,
attraverso un’espirazione forzata, a partire da un’inspirazione massimale). La CV è indice di funzionalità
respiratoria corretta. La CFR è importante meccanicamente perché il punto di fine espirazione tranquilla è il
punto di equilibrio toraco-polmonare, cioè il punto di equilibrio tra l’elasticità della gabbia toracica e
l’elasticità dei polmoni. In vivo, la pleura viscerale è a contatto con la pleura parietale, le quali si incollano a
causa del liquido pleurico. Ciò porta, durante l’espansione della parete toracica, all’espansione anche del
polmone, e al contrario, durante la compressione. La fine dell’espirazione tranquilla è la posizione di
equilibrio.
Nell’uomo supino la distribuzione è diversa a causa del fattore gravitazionale, pertanto si ridurrà la capacità
funzionale residua, con proporzionale incremento del volume di riserva inspiratoria. In stazione eretta i
visceri addominali stirano diaframma e polmone verso il basso, aumentandone il volume. Inoltre in
posizione clinostatica, rispetto a quella ortostatica, il volume di sangue a livello toracico è maggiore, fattore
che inibisce l’espansione degli alveoli polmonari.
I volumi polmonari si misurano attraverso lo
spirometro. Lo spirometro consiste in una
campana, connessa alla bocca attraverso un tubo
e immersa nell’acqua contenuta in un recipiente
cilindrico. La campana, mossa dalla ventilazione
del soggetto è controbilanciata da un contrappeso
collegato da un pennino scrivente su carta
millimetrata, dove registrerà una curva positiva
durante l’inspirazione, momento in cui viene tirata via aria dalla campana, che scende, e una curva negativa
durante l’espirazione, momento in cui viene immessa aria nella campana, che sale. In spirometri più
moderni, quelli elettronici, viene utilizzato un boccaglio, collegato allo strumento, il cui software, attraverso
calcoli e misurazioni restituisce i valori.
L’unico valore che risulta impossibile trovare attraverso il test spirometrico è il volume residuo, e di
conseguenza anche la capacità funzionale residua e la capacità polmonare totale. Il volume residuo viene
calcolato attraverso la tecnica di diluizione dei gas, di cui la più utilizzata è la termodiluizione dell’He,
poiché inerte verso l’uomo e non prende parte agli scambi respiratori. Nella termodiluizione dell’He, il
soggetto è connesso a uno spirometro, riempito precedentemente con una concentrazione nota (C 1) di elio
a un volume noto (V1). Al soggetto, dopo essergli stato applicato un tappa-naso, si chiede di fare alcuni
respiri in modo tale da miscelare l’elio con i gas alveolari. A questo punto, all’interno dello spirometro
avremo una concentrazione di gas diversa da quella di partenza
(C2). Pertanto, attraverso l’equazione C1*V1=C2*(V1+V2) possiamo
trovare V2, che corrisponde al volume d’aria che troviamo
all’interno dei polmoni (CFR).
V2= (C1*V1/C2) - V1
V2 = CFR
CFR – VRE = VR
CPT = CV + VR
I volumi polmonari variano con l’età: i valori di VRI e VRE
tenderanno ad diminuire, al contrario del valore di VR che
tenderà ad aumentare a causa della perdita di elasticità e forza dei muscoli respiratori che a mano a mano
perderanno la capacità di movimentare tutta l’aria alveolare.
Al contrario, l’esercizio fisico tende ad incrementare i vari volumi (VC, VRE, VRI) e a diminuire il volume
residuo.
Per compliance s’intende il rapporto tra capacità elastiche e forza dei muscoli.
I volumi dinamici inseriscono la variabile temporale. Quindi corrisponderanno ai volumi statici distribuiti
nell’unità di tempo. Essi vengono espressi in percentuale rispetto al massimo, che corrisponde alla capacità
vitale forzata (CVF o FEV – forced expiratory volume), dando in questo modo un’idea sulla funzionalità dei
nostri polmoni. In un tracciato del volume nel tempo troveremo quindi le seguenti informazioni:
VEMS0.5: volume espiratorio massimo valutato al termine del mezzo secondo (FEV0.5); circa 60%CVF;
VEMS1: volume espiratorio massimo valutato al termine del secondo (FEV1); circa 70-80%CVF;
CVF: quantità d’aria che riesco ad espellere dai polmoni al termine di una espirazione forzata,
preceduta da inspirazione massima. Nei soggetti sani si completa in 2-2.5’’.
Attraverso la curva flusso-volume, che definisce in termini dinamici quelli che sono le capacità polmonari,
possiamo trovare PEF (velocità di picco con cui l’aria esce dai polmoni durante un’espirazione forzata;
riflette il diametro delle vie aeree) e PIF (indica la velocità di picco con cui l’aria entra nei polmoni durante
inspirazione forzata).
L’indice di Tiffanau si esprime attraverso il rapporto tra VEMS e CVF. Questo rapporto deve rimanere
compreso tra valori di 0.7 e 0.8. Valori superiori o inferiori sono indice di patologie. Nello specifico, valori
inferiori sono indice di patologie ostruttive, legate quindi a masse che impediscono il passaggio dell’aria
rendendo difficile la fase respiratoria e riducendo i flussi. In questi casi aumentano le resistenze polmonari,
la VEMS risulta molto ridotta, mentre la CVF solo leggermente. Valori superiori invece sono indice di
patologie restrittive, nelle quali risultano lese strutture di base, di conseguenza abbiamo una riduzione
della capacità polmonare per riduzione dell’espansibilità toraco-polmonare. In questi casi diminuisce l’aria
di scambio insieme alla capacità polmonare totale e i volumi statici, ed i valori della CVF risultano molto più
ridotti rispetto a quella della VEMS.
12.4.3 SPAZIO MORTO, VENTILAZIONE POLMONARE E VENTILAZIONE ALVEOLARE
Dalla trachea ai bronchioli respiratori le vie aeree non hanno alveoli e pertanto non avvengono scambi
gassosi: spazio morto anatomico (150ml). Sottraendo questo valore alla CFR si ottiene il volume alveolare
(VA), che rappresenta la quota d’aria soggetta agli scambi con il sangue. Al termine dell’inspirazione, dei
500ml del VC, 150ml rimangono nello spazio morto, così come durante l’espirazione. Ai fini degli scambi
gassosi l’aria dello spazio morto (Vsm) non è utilizzabile. Pertanto alla ventilazione polmonare (Vp),
prodotto della frequenza respiratoria (Fr) per VC, deve essere sottratta la ventilazione dello spazio morto
(Vsm) per ottenere la ventilazione alveolare (VA), unica efficace ai fini degli scambi gassosi.
Vp = Fr*VC
VC = Vsm + VA
Vp = (Fr*Vsm) + (Fr*VA) = Vsm + VA
VC circa 0.5L; Fr circa 15 atti al minuto.
In pratica a riposo, la ventilazione polmonare è di 7.5 l/min e quella alveolare di 5.25 l/min, con ampie
variazioni.
Esiste poi lo spazio morto fisiologico, che, in condizioni appunto fisiologiche corrisponde a quello
anatomico, ma in caso di anomalie è maggiore. Come per esempio se un polmone risulta ostruito o in casi
di edema polmonare (eccessiva presenza di acqua che non permette all’ossigeno di diffondere nonostante
siano presenti gli alveoli).
Durante esercizio fisico, la Vp, in soggetti molto allenati può arrivare anche a 180-200 l/min. Questo
aumento sarà a carico sia della VC (che arriva fino a valori di 4.5/5 l/min, corrispondenti alla capacità vitale)
che della Fr (si arriva a 40-50-60 atti al minuto). L’aumento del VC però è dovuto principalmente dal VA (che
passa da 0.35 a 3-4 l/min) e relativamente poco dal Vsm (da 0.15 a 0.5 l/min).
La VA è misurabile attraverso l’equazione della ventilazione alveolare.
VA = VCO2 / FACO2 * k (costante trascurabile durante la triennale)
FACO2 è la frazione alveolare dell’anidride carbonica, detta anche concentrazione alveolare di CO2.
Attraverso metabolimetro e analizzatori di gas possiamo quindi facilmente determinare VA.
Questa equazione fa capire che a parità di CO2 prodotta la VA è inversamente proporzionale alla PACO2: se
aumento la VA riduco la PACO2 (iperventilazione, maggiore eliminazione di anidride carbonica); se riduco la
VA aumento la PACO2 (ipoventilazione, minore eliminazione di anidride carbonica).
In seguito, vedremo come le variazioni della ventilazione influenzino l’equilibrio acido-base dell’organismo.
12.5.2 POLMONE
Il polmone in vivo ha una forma e una dimensione diversa rispetto quella che assume estratto dalla gabbia
toracica. Il volume d’aria che contiene una volta estratto (250ml) corrisponde a quella intrappolata negli
alveoli stessi: nel collasso del polmone si chiudono i bronchioli più piccoli prima che tutta l’aria contenuta
negli alveoli possa uscirne. In vivo il contenuto aereo del polmone dipende fortemente dalle dimensioni
della gabbia toracica e in particolare dalla statura del soggetto.
TENSIONE SUPERFICIALE
La tensione superficiale è un fenomeno che altera l’elasticità del parenchima polmonare, ed è dovuto alla
forza di attrazione che le molecole di H2O esercitano l’una sull’altra. Pertanto l’acqua presente sulla
superficie interna degli alveoli esercita una forza sulle pareti alveolari, tendendo a ridurne il volume, e
quindi globalmente a retrarre il polmone.
Attraverso la legge di Laplace sappiamo che la pressione all’interno dell’alveolo è uguale al rapporto tra il
doppio della tensione superficiale e il raggio dell’alveolo.
P = 2T / r
Pertanto sappiamo che la pressione dell’alveolo è inversamente proporzionale al suo raggio: tanto minore è
il raggio quanto maggiore è la pressione.
Se un alveolo piccolo e uno grande avessero un punto di contatto, la differenza di pressione vigente tra i
due genererebbe un flusso. Per la legge di Laplace, l’alveolo piccolo tenderebbe svuotarsi in quello grande
fino ad equilibrio delle pressioni. Pertanto dovremmo avere pochi alveoli, ma giganti.
In vivo tuttavia, la tensione superficiale è contrastata da una molecola tensioattiva, il surfattante. Il
surfattante è un fosfolipide prodotto dagli pneumociti di II tipo durante il 7° mese della gravidanza. Se il
feto non producesse surfattante, alla nascita i suoi muscoli respiratori non potrebbero vincere la tensione
superficiale che si oppone all’espansione dell’alveolo. Pertanto, grazie al surfattante, il polmone è
facilmente distensibile.
Maggiore è la concentrazione di surfattante, minore è la tensione superficiale esercitata sulle pareti
dell’alveolo. Dato che la quantità prodotta della molecola è costante, la sua concentrazione si modifica in
base alle dimensioni dell’alveolo. In quelli grandi, il surfattante risulta più rarefatto e la sua azione sulla
tensione superficiale è minore; al contrario, in quelli piccoli, essendo più concentrato, eserciterà un’azione
maggiore. L’entità dell’azione del surfattante sulla tensione superficiale, secondo la legge di Laplace, andrà
ad influire in modo proporzionale sulla pressione vigente all’interno dell’alveolo, pertanto in vivo, il flusso
generato dalla differenza di pressioni sarà indirizzato verso l’alveolo più piccolo fino a raggiungere
l’equilibrio (stesso raggio alveolare).
Durante un’inspirazione, la concentrazione di surfattante diminuisce poiché aumenta il volume alveolare.
Ciò fa sì che il ritorno alla posizione di riposo, corrispondente alla capacità funzionale residua, sia dato dalla
somma della forza elastica con la tensione superficiale aumentata.
FLUSSO LAMINARE
Il flusso d’aria si dispone in cilindri concentrici che scorrono nel condotto a velocità diverse: massima al
centro e minima in corrispondenza delle pareti a causa degli attriti. Per scoprire le resistenze al flusso viene
applicata la legge di Poiseuille:
R = (8 * η * l) / (π * r4)
Dove,
l = lunghezza del condotto;
η = viscosità del fluido; la viscosità di un fluido rappresenta la forza necessaria a far ruotare un cilindro
posto all’interno di un altro, tra i quali è posto il fluido di cui si vuole calcolare la viscosità.
r = raggio del condotto.
È da notare come il raggio giochi un ruolo importantissimo: se si dimezza, la resistenza aumenta di ben 16
volte!
Il flusso laminare si trova nelle vie aeree probabilmente solo a livello dei bronchioli più piccoli dove la
velocità è molto bassa.
FLUSSO DI TRANSIZIONE
Il flusso di transizione si ha in corrispondenza della biforcazione delle vie aeree. I vortici che si formano
scompaiono appena superata la biforcazione stessa.
FLUSSO TURBOLENTO
Il flusso turbolento è caratterizzato dal movimento disordinato dei gas e della formazione di vortici. La
turbolenza si verifica soprattutto quando la velocità del flusso è alta e il raggio del condotto è grande,
pertanto esso si manifesta, a riposo, in trachea e nei bronchi più grossi. Con l’esercizio fisico, la zona di
flusso turbolento si sposta progressivamente verso i bronchi di minori dimensioni.
Rispetto a quello laminare genera un lavoro respiratorio maggiore.
Il N° di Reynolds, ottenuto attraverso un’equazione, determina se il flusso è laminare, di transizione o
turbolento.
12.6.3 LOCALIZZAZIONE DELLE RESISTENZE NEL SISTEMA RESPIRATORIO
Le resistenze sono massime nei bronchi di dimensioni intermedie (3a-5a generazione) e minime nei bronchi
terminali. Mediamente, sono distribuite per il 50% nelle cavità nasali, per il 30% nei bronchi fino a 2mm di
diametro e solo il 20% delle resistenze totali si trova nelle vie aeree di diametro inferiore a 2mm.
Le resistenze nelle vie aeree sono influenzate da vari fattori, prima tra i quali il volume del sistema toraco-
polmonare.
Poiché la muscolatura liscia delle vie aeree è controllata dal SNA, l’attivazione paraS e ortoS sono in grado
di modificare fortemente il calibro delle vie di minori dimensioni. La stimolazione paraS (vagale) determina
una contrazione della muscolatura liscia e un’ipersecrezione bronchiale, mentre l’attivazione ortoS,
adrenergica, provoca un rilasciamento della muscolatura liscia con relativa broncodilatazione e inibizione
della secrezione delle ghiandole bronchiali.
LAVORO RESPIRATORIO
Il lavoro respiratorio, analogamente al cuore, può essere calcolato grazie al grafico P/V.
Il lavoro respiratorio, incide pochissimo sul consumo di O2 complessivo del corpo fin quando la ventilazione
rimane sotto i 50L/min. Oltre il costo energetico dei muscoli respiratori aumenta in maniera esponenziale.
Ciò significa, che se per un esercizio blando, i muscoli respiratori non sottraggono ai muscoli periferici una
quota importante di ossigeno in entrata, durante esercizi ad intensità massimali, essi cominciano a
consumare molto O2, rendendone disponibile ai muscoli periferici che devono compiere l’esercizio una
quota inferiore, diminuendo quindi l’efficacia della prestazione.
Pertanto, l’allenamento che ha come target la muscolatura respiratorio, è necessario a renderla più
efficiente, cioè in grado di ventilare la stessa quantità di aria nel tempo ma consumando meno ossigeno. In
questo modo, i muscoli periferici ne hanno a disposizione una quantità maggiore.
12.8 SCAMBI GASSOSI ALVEOLO-CAPILLARI
Per comprendere gli scambi gassosi a livello polmonare è necessario conoscere le proprietà fondamentali
dei gas.
I gas respiratori, composti da ossigeno, azoto e anidride carbonica, seguono l’equazione di stato dei gas,
espressa dalla formula PV=nRT (P=pressione, V=volume, n=n° di molecole del gas, R=costante dei gas, T=
temperatura assoluta). Questa formula risulta dalla combinazione delle leggi di Boyle, di Charles e di Gay-
Lussac.
A livello del mare l’aria ambiente secca, alla normale pressione atmosferica, esercita una pressione di
760mmHg ed è composta da una miscela di gas che comprende ossigeno, anidride carbonica, azoto, e
tracce di altri gas.
Secondo la legge di Dalton, in una miscela di gas ciascun componente esercita la pressione parziale che
eserciterebbe se occupasse da solo lo stesso volume. Di conseguenza, ciascun componente esercita una
pressione parziale proporzionale alla sua concentrazione, ricavabile con: Pgas= Ptot* frazionegas. La somma
delle pressioni parziali esercitate da ciascun gas che forma una miscela è uguale alla pressione totale della
miscela stessa.
L’aria atmosferica, inalata attraverso la mucosa delle vie aeree, è riscaldata a 37° e umidificata (si satura di
vapore acqueo al 100%) a causa dell’epitelio, che è molto umido e lubrificato. Alla temperatura corporea, la
pressione parziale del vapore acqueo è di 47 mmHg, per cui la pressione totale dell’aria secca presente
nelle vie aeree a livello del mare ha un valore di (760-47) 713mmHg.
Attraverso la legge di Henry e la legge di diffusione di Graham sappiamo che l’anidride carbonica è circa 24
volte più solubile in acqua dell’ossigeno e diffonde circa 20 volte più velocemente.
L’aria atmosferica è costituita da O2 per il 20.93%, N2 per il 79.01%, CO2 per lo 0.03/4% e tracce di altri gas.
La pressione totale esercitata da questa miscela è detta pressione atmosferica e, a livello del mare, se la
temperatura è di 0° e non è presente umidità, ammonta a 760mmHg (aria STPD – standard temperature
and pressure dry). Ciascun gas contribuisce a determinare la pressione totale della miscela in modo
direttamente proporzionale alla sua percentuale nella miscela stessa. Pertanto, PO2=159mmHg
(760*20.93/100); PN2=596mmHg; PCO2=0.3mmHg. L’aria che respiriamo tuttavia, ha in genere una
temperatura diversa da 0°C e può contenere una certa quantità di vapore acqueo. Diventa allora necessario
considerare anche l’aria a temperatura ambiente e a pressione satura con vapore acqueo (ATPS – ambient
temperature and pressure saturated).
Durante l’inspirazione, l’aria, dopo aver attraversato le cavità nasali e/o la bocca, la faringe e la laringe
entra in trachea, che costituisce la prima parte delle vie aeree intrapolmonari. La trachea si suddivide in due
bronchi principali e quindi in una serie di condotti che diventano via via più numerosi per continue divisioni
(generazioni bronchiali) e sempre più corti e di lume minore man mano che si avvicinano agli alveoli.
Le prime 16/17 generazioni, non essendoci presenti alveoli, non vi è possibilità di scambio di O2 e di CO2.
Esse hanno la sola funzione di trasporto dei gas, pertanto verranno chiamate vie aeree/zone di conduzione.
Queste vie aeree rappresentano lo “spazio morto” anatomico, in quanto appunto il gas contenuto non può
scambiarsi con il sangue venoso. Nell’adulto il volume è di circa 150ml, con un minimo incremento (10%)
alle elevate ventilazioni, a causa di una modesta broncodilatazione.
A partire dalla 17-18a generazione iniziano ad apparire i primi alveoli, che aumentano di numero fino alla
23a dove tappezzano tutti i bronchioli, terminando in cavità a fondo cieco: i sacchi alveolari. In queste
generazioni i gas sono in grado di interagire con il sangue, in quanto i singoli alveoli sono ricoperti da
capillari a formare l’unità alveolo-capillare. Pertanto sono dette zone respiratorie/di scambio.
I condotti, dalla trachea all’alveolo, sono in serie, ma grazie alle continue suddivisioni, anche in parallelo.
Una struttura del genere fa sì che la sezione trasversa totale con il procedere delle generazioni bronchiali
sia sostanzialmente sempre in aumento. Poiché il flusso d’aria di ciascuna sezione trasversa delle vie aeree
è costante (ventilazione polmonare), a partire dalla 4a generazione la resistenza al flusso è sempre minore
man mano che si procede verso l’alveolo. Il volume totale d’aria contenuta negli alveoli polmonari è circa 3L
ed è proprio la pressione parziale di O2 e CO2 che permette l’ossigenazione del sangue e la rimozione
dell’anidride carbonica.
Giunti agli alveoli, la temperatura è di 37°C e la pressione totale della miscela di gas, in condizioni di assenza
di flusso, è uguale a quella atmosferica e l’aria è satura di vapore acqueo (BTPS – body temperature
pressure saturated). Il vapore acqueo a questa temperatura ha una pressione parziale di 47mmHg. Pertanto
la pressione totale esercitata dai gas è di 713mmHg, valore a cui dovrà essere riferita la loro concentrazione
per il calcolo delle pressioni parziali. Le percentuali di O2, N2 e CO2 nell’aria alveolare, a causa dei continui
scambi coi capillari, sono diverse: 13.8%, 80.6% e 5.6% rispettivamente. Le relative pressioni parziali
saranno quindi di 100mmHg, 574mmHg e 40mmHg.
A livello alveolare, perché possa avvenire la diffusione dei gas respiratori, la pressione parziale parziale a
monte del gas dovrà essere maggiore della pressione parziale a valle. Pertanto ci dovrà essere un gradiente
pressorio positivo, sia per l’ossigeno che per l’anidride carbonica. Dato che la pressione parziale
dell’ossigeno presente nel sangue venoso misto (è la media degli scambi periferici di tutti i distretti
corporei) è di circa 40mmHg avremo un gradiente pressorio ad inizio capillare di (100-40) 60mmHg, che
tenderà via via a diminuire fino ad annullarsi in corrispondenza della fine del capillare. Per quanto riguarda
la pressione parziale dell’anidride carbonica presente nel sangue venoso misto invece è di circa 46mmHg.
Pertanto avremo un gradiente pressorio di (46-40) 6mmHg.
Il valore della pressione parziale dell’ossigeno è ricavabile anche attraverso l’equazione dell’aria alveolare,
per la quale: PAO2= PIO2 – PACO2/QR (PAO2= pressione parziale dell’ossigeno a livello alveolare; PIO2=
pressione parziale dell’ossigeno a livello delle zone di conduzione, 150mmHg; PACO2= pressione parziale
dell’anidride carbonica a livello alveolare, 40mmHg; QR= quoziente respiratorio). Il QR o R o RER
(respiratory exchanged ratio) è il rapporto tra CO2 prodotta e O2 consumato a livello mitocondriale. Può
essere calcolato a livello della bocca, attraverso un metabolimetro, dove, seppur con una certa latenza (2-
3’) riflette ciò che avviene a livello mitocondriale quando siamo in uno stato stazionario, che sia a riposo o
durante attività ciclica a carico costante. Il QR ha valori compresi tra 0.7 (100% lipidi) e 1 (100% glucidi), in
funzione della percentuale dei substrati utilizzati per ricavare energia. A riposo è circa 0.8; durante esercizio
massimale è di 1, dove avremo una ventilazione espiratoria/t uguale alla ventilazione inspiratoria/t.
La composizione dell’aria alveolare non è una costante fisiologica, ma varia secondo il ciclo respiratorio e la
localizzazione polmonare. In condizioni di equilibrio l’aria inspirata si mescola con l’aria alveolare,
rimpiazzando l’O2 ceduto al sangue e diluendo la CO2 entrata negli alveoli. Una parte di questa miscele è
eliminata con l’espirazione.
O2 PO2 CO2 PCO2 PH2O Durante l’espirazione, la
(%) (mmHg) (%) (mmHg) (mmHg) percentuale di O2 nell’aria
Aria atmosferica 20,93 159 0,03 0,3 / alveolare diminuisce e quella di
Aria alveolare 13,8 100 5,6 40 47
CO2 aumenta, fino alla
Aria espirata 16,4 118 4,1 30 39
Sangue arterioso 20 100 48 40 47 successiva inspirazione. Ciò
Sangue venoso misto 15 40 52 46 47 dipende da due fattori che si
influenzano reciprocamente:
l’effetto del metabolismo che per mezzo del sangue che scorre nei capillari polmonare continuamente
libera CO2 nell’aria alveolare e assorbe O2; e la periodica e parziale sostituzione e diluizione dell’atmosfera
gassosa alveolare con aria ambiente fresca, mediante il processo della ventilazione.
La concentrazione e la pressione parziale dei gas nell’aria espirata sono diverse da quelle riscontrate sia
nell’aria inspirata sia nell’aria alveolare. Infatti, poiché dei 500ml di aria espirata (volume corrente) 350ml
provengono dagli alveoli e 150ml dallo spazio morto (vie che non partecipano allo scambio gassoso),
rispetto all’aria alveolare, l’aria espirata ha una concentrazione più elevata in O2, che sarà del 16.4% e più
bassa in CO2, che sarà del 4.1% circa, mentre quella di N2 è del 79.5%. Le rispettive pressioni parziali
saranno dunque 118mmHg, 30mmHg e 573mmHg.
12.8.3 SCAMBI GASSOSI A LIVELLO POLMONARE
Gli scambi gassosi avvengono a livello della membrana alveolo-capillare. Essa ha uno spessore di circa
0.5μm ed è formata da: uno strato liquido che riveste l’alveolo dove è presente il fattore surfattante;
l’epitelio alveolare (dove sono presenti pneumociti di I e II ordine); la membrana basale dell’epitelio; uno
spazio interstiziale; la membrana basale del capillare; l’endotelio capillare. I capillari ricoprono gli alveoli a
rete. I gas diffondono attraverso il lato sottile della membrana basale. La diffusione è legata a fattori fisici e
avviene passivamente. La fonte di energia è costituita dall’energia cinetica delle molecole; esse infatti sono
costantemente in movimento. Se la pressione parziale di un determinato gas è maggiore in una regione
piuttosto che in un’altra, il risultato dei movimenti di tutte le sue molecole è che esse si spostano dai punti
in cui la pressione è maggiore ai punti in cui questa è minore, sino all’equilibrio. Il movimento dei gas
attraverso la membrana respiratoria dipende dal gradiente di pressione dei gas, dalla solubilità dei gas nei
liquidi, dal peso molecolare del gas e dalle proprietà della membrana ed è regolato dalla legge di Fick sulla
diffusione, espressa dalla formula:
Vgas = Dgas * SA * ΔP / d
Vgas: volume di gas che diffonde nell’unità di tempo;
Dgas: coefficiente di diffusione del gas;
d: spessore medio della membrana;
SA: area della superficie di scambio;
ΔP: gradiente pressorio ai lati della membrana.
La legge di Fick dice, quindi, che la quantità di gas che nell’unità di tempo attraversa la membrana è
direttamente proporzionale all’area SA attraverso cui lo scambio avviene, al coefficiente di diffusibilità e al
gradiente di pressione parziale dei gas ai due lati della membrana e inversamente proporzionale allo
spessore della membrana stessa. Pertanto le quantità di O2 e CO2 trasferite nell’unità di tempo
rispettivamente dall’alveolo al sangue e dal sangue all’alveolo sono influenzate da: gradiente delle pressioni
parziali dei gas negli alveoli e nel sangue capillare; spessore della membrana alveolo-capillare; area della
superficie di scambio; coefficiente di diffusione dei gas. Altri fattori molto importanti sono: tempo di
transito del sangue sulla superficie di scambio e volume di sangue esposto sulla superficie di scambio.
Il gradiente di pressione è dato dalla differenza tra le pressioni parziali del gas nell’aria alveolare e nel
sangue venoso ad inizio capillare polmonare. il gradiente di pressione per l’O2 è di (100-40) 60mmHg, quindi
passerà dagli alveoli al sangue. Per la CO2 è di (46-40) 6mmHg (a causa della sua maggiore diffusibilità), e
passerà dal sangue agli alveoli.
Poiché la velocità di diffusione attraverso la membrana è inversamente proporzionale allo spessore della
membrana stessa, qualunque causa che determini un aumento del suo spessore può influenzare il normale
scambio di gas respiratori (edema polmonare).
L’area della superficie di scambio è costituita dall’area degli alveoli adeguatamente ventilati a contatto con
i capillare normalmente perfusi. L’area totale della superficie alveolare è di circa 70m2 e la superficie del
letto capillare polmonare è di circa 100m2. In alcuni casi quest’area può risultare diminuita (enfisema).
Quando è ridotta a 1/3 o ¼ del normale, gli scambi gassosi sono ostacolati anche a riposo. Durante
l’esercizio fisico intenso, anche la più modesta riduzione della superficie di scambio può comportare una
seria diminuzione dell’entità dello scambio.
Il coefficiente di diffusione dei gas dipende dalla solubilità del gas nella membrana ed è inversamente
proporzionale alla radice quadrata del suo peso molecolare (la diffusibilità della CO2 è circa 20 volte
maggiore di quella dell’O2).
Il tempo di transito del sangue nei capillari polmonari è di circa 0.75’’ in condizioni di riposo, ma scende a
0.25-0.35’’ in condizioni di attività fisica. Il tempo che serve al sangue per ossigenarsi, e quindi venga
raggiunto un equilibrio tra le pressioni parziali ai due lati della membrana alveolo-capillare, è di 0.25’’-
0.30’’, ovvero nel primo terzo del capillare. Esiste quindi un margine temporale di sicurezza (0.45-50’’) che
permette di compensare situazioni anormali. Se la diffusione però risultasse fortemente anormale, il
margine risulterebbe comunque insufficiente per ossigenare completamente il sangue. Questo margine
temporale, oltre a sopperire situazioni di alterazione di diffusione, serve anche in condizioni fisiologiche di
sforzo massimale. Durante uno sforzo molto intenso infatti, la gittata cardiaca può arrivare fino a 25 l/min,
di conseguenza la velocità di scorrimento nel sangue aumenterebbe, contemporaneamente a una
diminuzione del tempo di transito (circa 0.25’’). Visto il diminuito, ma comunque sufficiente, tempo di
transito, a livello del mare, in condizioni fisiologiche, durante sforzo intenso, riusciamo ad avere una
completa ossigenazione del sangue. In questo caso, se la diffusione fosse alterata, il margine non sarebbe
sufficiente per avere un’ossigenazione completa. La differenza tra la pressione parziale di O2 presente nel
sangue a fine capillare e quella presente nell’alveolo è detta gradiente alveolo arterioso (PaO2 – PAO2). Nel
caso in cui ci sia un gradiente alveolo arterioso è presente una situazione di ipossiemia.
Durante esercizio fisico la gittata cardiaca aumenta a causa delle maggiori richieste metaboliche da parte
dei muscoli scheletrici e di conseguenza aumenta l’estrazione periferica di O2. Se aumenta l’estrazione di O2
all’inizio dei capillari polmonari avremo una PṼO2 più bassa rispetto alle condizioni normali. Inoltre durante
esercizio iperventiliamo, pertanto, a parità di produzione di CO2 la PACO2 sarà inferiore (30-35mmHg) e la
PAO2 maggiore (100-110mmHg). A causa di questa iperventilazione il gradiente pressorio aumenta e di
conseguenza anche la velocità di diffusione.
In alta quota, dove la PIO2 è inferiore, anche la PAO2 sarà minore (es. 50mmHg) e di conseguenza il sangue
arterioso risulterà meno ossigenato a livello periferico. In questo caso, anche la PṼO2 risulterà più bassa
(20mmHg) e il diminuito gradiente pressorio causerà la diminuzione della velocità di diffusione. Il sangue
quindi impiegherà un tempo maggiore per entrare in condizione di equilibrio con la PAO2 (0.5’’). In
condizioni normali, in alta quota, il sangue ha comunque margine temporale per ossigenarsi (per quanto sia
possibile vista la diminuita pressione parziale). In condizioni anormali, o durante esercizio fisico invece,
sicuramente si creerà un gradiente alveolo arterioso, e di conseguenza avremo ipossiemia.
Nel caso della CO2 invece, la diffusione completa avviene in 0.3-0.4’’ a riposo. Nel caso di forti anomalie se
la PaO2 fosse maggiore rispetto alle aspettative (40 mmHg) avremmo una situazione di ipercapnia.
Ventilazione polmonare e pH ematico sono sottoposti a un costante controllo da parte dell’organismo onde
evitarne variazioni che condurrebbero a effetti deleteri.