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LE SOLUZIONI E I METODI DI SEPARAZIONE DEI MISCUGLI

Le soluzioni sono i sistemi omogenei di maggior importanza. Delle due sostanze


mescolate che formano la soluzione, si definisce solvente il componente più
abbondante, che scioglie l’altro, E soluto il componente meno abbondante, che
viene sciolto. Le soluzioni possono essere ottenute con sostanze in qualsiasi stato
fisico. Per esempio, nelle leghe metalliche con cui sono coniate le monete Sia il
solvente sia il soluto sono metalli solidi. Quando solvente e soluto sono entrambi
liquidi, si può osservare una diminuzione del volume finale della soluzione rispetto
alla somma dei volumi dei due componenti. Questo fenomeno è dovuto dal fatto
che le particelle del soluto e quelle del solvente si dispongono in modo da
minimizzare sempre lo spazio occupato e guadagnare energia. Infatti, le particelle
del soluto si insinuano negli spazi tra quelle del solvente e stabiliscono con esse
delle interazioni più forte rispetto a quelle soluto-soluto solvente-solvente. I
miscugli, e natura, sono molto più comuni dei sistemi puri.
La concentrazione di una soluzione esprime la quantità di soluto disciolta in una
quantità unitaria di solvente o di soluzione. Quando la quantità di soluto è
abbondante rispetto al solvente, la soluzione è concentrata. Quando la quantità di
soluto è bassa, si ha una soluzione diluita. Diluire una soluzione significa quindi
aggiungere solvente o togliere soluto; concentrare una soluzione significa invece
aumentare il soluto o togliere solvente. Una sostanza solida che si scioglie in un
solvente, dando origine a una soluzione, è detta solubile in quel solvente; se, invece,
non si scioglie affatto, è detta insolubile. Nel caso di un soluto solido e di un solvente
liquido, si verifica prima o poi il fenomeno della saturazione: dapprima si ha un
aumento progressivo della sua concentrazione, ma a un certo punto lo zucchero non
si scioglie più e il soluto in eccesso si deposita sul fondo del recipiente come corpo di
fondo. Si definisce solubilità la quantità massima di soluto che si può sciogliere in
una definita quantità di solvente, a una data temperatura. Quando una soluzione
contiene la massima quantità possibile di soluto a una data temperatura è definita
soluzione satura. La saturazione può essere raggiunta non solo aggiungendo
progressivamente soluto al solvente, ma anche sottraendo solvente da una
soluzione inizialmente diluita, per esempio attraverso la sua evaporazione. A un
certo punto, il soluto non riesce più a restare in soluzione: si verifica il fenomeno
della precipitazione, con formazione del corpo di fondo. Se il processo di
solubilizzazione avviene molto velocemente, può accadere che si disciolga una
quantità di soluto superiore al valore massimo corrispondente alla saturazione, Si
forma così una soluzione sovrassatura. Questo tipo di soluzione, però, è instabile e
dopo un po' di tempo ritorna satura, con precipitazione del soluto in eccesso. La
solubilità dipende dalla natura chimica del soluto, da quella del solvente e dalla
temperatura della soluzione. Con pochissime eccezioni, nel caso di soluti solidi la
solubilità aumenta all'aumentare della temperatura. In sintesi, per permettere al
corpo di fondo di sciogliersi si può agire:
• aggiungendo solvente in modo da diluire la soluzione;
• aumentando la temperatura.
Nelle soluzioni il diametro delle particelle di soluto è normalmente inferiore a 1 nm,
cioè un milionesimo di millimetro. Per diametri superiori a questo valore, non si può
più parlare di soluzioni vere e proprie, ma di dispersioni colloidali o colloidi. In un
colloide le particelle disperse hanno un diametro compreso tra1 e 1000 nm.
Particelle così grandi hanno superfici molto ampie, che riflettono la luce e rendono i
colloidi opalescenti, lattiginosi o torbidi. I diversi tipi di colloidi sono classificati in
base allo stato di aggregazione della fase dispersa ('analogo del soluto) e della fase
disperdente (l’analogo del solvente). Come esempi di dispersioni colloidali possiamo
citare le schiume e le emulsioni, come il latte e la maionese. Gli aerosol sono colloidi
in cui la fase disperdente è un gas: nel fumo la fase dispersa è un solido, mentre
nella nebbia sono disperse goccioline di liquido. Altri tipi di dispersioni sono
rappresentati dai sol e dai gel. Le dispersioni colloidali si distinguono facilmente
dalle soluzioni perché provocano la diffusione di un raggio luminoso che le
attraversi, un fenomeno chiamato effetto Tyndall. La luce, infatti, cambia traiettoria
quando collide con particelle di dimensioni confrontabili con la sua lunghezza
d'onda, come appunto le particelle dei colloidi. Se le particelle mescolate hanno
dimensioni superiori a 1000 nm, il sistema è instabile e i componenti tendono a
separarsi: non siamo più in presenza di una dispersione, ma di una sospensione.
Esempi comuni di sospensione sono quelle di solidi in acqua come il fango, formato
da argilla, sabbia fine e humus.
Tuttavia, per soddisfare le nostre necessità pratiche, abbiamo spesso bisogno anche
di sostanze pure. Occorrono quindi procedure e strumenti di laboratorio che
permettano di separare dai miscugli le sostanze pure che li costituiscono. I metodi di
separazione di un miscuglio permettono la separazione delle sostanze costituenti
sfruttando trasformazioni fisiche o mezzi meccanici. La separazione è più facile se le
proprietà delle sostanze sono molto diverse.
Le particelle solide sospese in un liquido con densità inferiore possono essere
separate per decantazione. Si lascia riposare la miscela torbida e dopo un certo
tempo le particelle solide sedimentano sul fondo del recipiente, mentre la parte
liquida sovrastante diventa limpida. Per avere una buona decantazione occorre che
il liquido sia privo di turbolenze. La decantazione trova importante applicazione nei
processi di depurazione per separare l’acqua dei fanghi, all’interno di speciali vasche
dette decantatori. Quando i componenti del miscuglio eterogeneo che si vogliono
separare sono formati da particelle mescolati tra loro e intimamente e con lievi
differenze di intensità, la decantazione richiederebbe troppo tempo. In questo caso
è conveniente fare ricorso al metodo della centrifugazione. Il miscuglio con le
particelle in sospensione viene versato in provette, che sono poi collocate negli
alloggiamenti di un blocco metallico all’interno della centrifuga. il blocco viene fatto
ruotare a grande velocità intorno al proprio asse. Le particelle sono spinte verso il
fondo delle provette, quando la centrifuga si ferma, le particelle si vengono a
trovare tutte al fondo delle provette in forma di precipitato, sotto un liquido limpido
che può essere prelevato con una pipetta e allontanato.
La filtrazione è un processo molto simile: separa le componenti di un miscuglio in
base alla grandezza dei materiali da separare, ossia alla dimensione delle particelle.
La sospensione viene fatta passare attraverso un filtro. In questo modo il filtro
trattiene le parti sospese (residuo), separandoli dalla fase liquida che viene raccolto
in un recipiente (filtrato). L’efficienza della filtrazione dipende dalle dimensioni delle
maglie del filtro scelto. Nel laboratorio di chimica, i filtri più semplici sono tenuti
ripiegando due volte a metà un dischetto di carta da filtro; per aumentare
l’efficienza della filtrazione, si possono separare i filtri a pieghe. In entrambi casi il
filtro viene poi applicato su un imbuto di vetro, nel quale si versa il miscuglio che si
vuole separare.
Nell’estrazione si sfrutta la diversa solubilità dei componenti di un miscuglio in
solventi diversi, non miscibili tra loro. supponiamo di voler separare due soluti A e B.
il soluto A deve essere solubile solo in acqua, mentre B Deve esserlo anche in un
altro solvente non miscibile con l’acqua, per esempio l’esano. Si pone la soluzione
acquosa contenente A e B in un imbuto separatore, un contenitore di vetro conico,
dotato di tappo a un’estremità e, nel gambo, di un rubinetto. si aggiunge l’esano, poi
l’imbuto viene agitato vigorosamente. In questo modo, il soluto B passa in esano
mentre A non può che restare nella soluzione acquosa. Le due soluzioni sono
lasciate riposare, in modo che nell’imbuto separatore si separino due fasi distinte,
stratificate in base alla loro densità. Sul fondo si troverà la soluzione acquosa
contenendo il soluto A, mentre sopra ci sarà la soluzione di esano contenente soluto
B. La variazione di solubilità con la temperatura fornisce un altro metodo per
separare un soluto dal solvente: La cristallizzazione. Tale fenomeno è così
denominato per la formazione di solidi cristallini. Per raffreddamento della
soluzione, il soluto giunge a saturazione e precipita sul fondo dando origine a
strutture cristalline. I cristalli di solfato di rame sono tra i più facili da ottenere il
laboratorio. Per favorire la crescita del cristallo, spesso si utilizza un filo sottile con
un piccolo cristallo attaccato, che ha il ruolo di iniziare la cristallizzazione fornendo la
prima superficie su cui si depositano le particelle. Si parla in questo caso di germe
cristallino. Con la filtrazione possibile separare il corpo di fondo dal solvente.
La distillazione è il processo che permette di separare i componenti di un miscuglio
liquidò, sfruttando il loro diverso punto di ebollizione; i vapori via via ottenuti alle
diverse temperature vengono infatti condensare separatamente. La distillazione
semplice è impiegata per purificare un liquido che contenga disciolto un solido un
altro liquido. Per ottenere acqua pura dell’acqua di mare possiamo ricorrere alla
distillazione semplice usando un apparecchio chiamato distillatore. Esso è formato
da un recipiente, generalmente di vetro detto pallone da distillazione, chiusa la
sommità da un tappo, in cui si può infilare un termometro. Il pallone è collegato al
refrigerante, un tubo di vetro in cui circola continuamente acqua fredda. La funzione
di esso è quella di raffreddare i vapori che escono dal pallone: quando il liquidò
raggiunge la temperatura di ebollizione, il vapore acquo è costretto a lasciare la
soluzione e passa nel refrigerante. qui il vapore trova una temperatura inferiore,
condensa e forma acqua liquida pura, cioè acqua distillata. La distillazione frazionata
è molto usata e laboratori nelle industrie, quando da una soluzione composta da più
liquidi si vogliono ottenere i singoli costituenti allo stato puro. Il petrolio greggio è
sottoposto a distillazione frazionata, utilizzando torri di distillazione altre decine di
metri. La temperatura è massima la base della colonna e va diminuendo con
l’altezza. Il greggio riscaldato entra dal fondo e vaporizza; i vapori risalgono lungo la
colonna condensando a differenti altezze, permettendone la separazione. il residuo
rimane in fase liquida sul fondo e viene raccolta al termine del processo.
I metodi Cromatografici sono impiegati nella separazione di diversi componenti di
soluzioni sia liquide sia gassose. I criteri che regolano la separazione sono
essenzialmente riconducibili allo stesso principio dell’estrazione, cioè alla tendenza
delle sostanze di un miscuglio a interagire con le due fasi presenti. nella
cromatografia un opportuno solvente chiamato fase mobile o eluente, trascina i
componenti del miscuglio attraverso la fase stazionaria, o fase fissa. Come risultato, i
componenti del miscuglio si spostano nella fase stazionaria con velocità diversi,
trascinati dalla fase mobile, e possono quindi essere separati. La prima tecnica
cromatografica ideata nel 1903 e tuttora una delle più utilizzate è la cromatografia
di adsorbimento cosiddetta perché si basa sulla differente capacità di “adesione”
delle particelle dei diversi soluti alla superficie della fase stazionaria. In particolare,
quando la fase stazionaria è costituita da una striscia di carta si ha la cromatografia
su carta, mentre nella cromatografia su strato sottile la fase fissa è una lastrina di
vetro rivestita da una sostanza porosa come la silice. la fase stazionaria “caricata“
con il miscuglio viene poi immersa in una camera cromatografica, un recipiente di
vetro riempito e la parte inferiore con uno strato del solvente che costituisce la fase
mobile. il solvente risale lungo la fase stazionaria e nel risalire trascina con sé, in
modo differenziato, le particelle di soluti. La capacità di risalita dei singoli soluti è
diversa poiché influenzata dalla loro natura chimica. Le sostanze più fortemente
adsorbite sulla fase fissa risalgono più lentamente, quelle che invece interagiscono
maggiormente con la fase mobile risalgono più velocemente delle altre. In questo
modo, i diversi soluti si dispongono sulla carta o sulla lastrina ad altezze diverse. Il
tracciato a macchie così ottenuto è detto cromatogramma.

LE LEGGI DEI GAS


Nel 1644, Evangelista Torricelli, allievo di Galileo Galilei, mise a punto il primo
barometro, dimostrando l'esistenza del vuoto e che l'aria ha un peso. Nel dispositivo
sperimentale messo a punto da Torricelli, un tubicino di vetro con un'estremità ,
veniva riempito di mercurio e capovolto in una bacinella, anch'essa piena di
mercurio, permettendo la fuoriuscita del liquido. Il tubicino, tuttavia, si svuotava
solo parzialmente. Torricelli pensò che lo spazio lasciato libero dalla discesa del
mercurio nel tubo fosse vuoto e che l'altezza della colonna di mercurio nel tubicino
dipendesse dalla pressione che l'aria esercitava sul mercurio nella bacinella. Durante
il Settecento gli studi sul comportamento dei gas si intensificarono e si giunse
all'individuazione dei principali componenti dell’atmosfera: l’azoto e l’ossigeno; da
quel momento fu chiaro che l'aria è una miscela di gas diversi. Gli studi sul
comportamento dei gas proseguirono poi per tutto il secolo seguente. Il
comportamento dei gas è descritto attraverso un modello di tipo teorico, detto
modello del gas ideale. Secondo questo modello:
1. le particelle di un gas sono tra loro identiche e indistinguibili;
2. ogni particella è considerata un punto materiale, cioè ha dimensioni trascurabili
rispetto al volume totale occupato complessivamente dal gas;
3. le particelle si muovono in modo continuo e senza nessuna direzione
preferenziale; il moto caotico permette alle particelle di raggiungere ogni porzione
di spazio del recipiente in cui sono contenute;
4. ogni particella è molto distante dalle altre e non è soggetta a forze di attrazione o
repulsione; proprio per questo si dice che il gas è «ideale»;
5. gli urti tra particelle sono elastici (senza perdita di energia cinetica totale)
Il volume di un gas ideale è il volume del recipiente che lo contiene. Inoltre poiché le
particelle dei gas sono molto distanti le une dalle altre, essi possono essere
compressi o dilatati se si diminuisce o si aumenta il volume del recipiente.
Osserviamo che il pistone del cilindro si sposta verso l'alto e il volume occupato dal
gas aumenta in funzione della quantità di gas immessa: in questo caso, poiché la
quantità raddoppia, anche il volume raddoppia. L'aumento di volume osservato è
direttamente proporzionale alla quantità di gas immessa e quindi al numero di
particelle presenti. Il volume occupato da un gas, a parità di temperatura e
pressione, è proporzionale alla quantità di sostanza presente, e quindi al numero
delle particelle.
La pressione di un gas è dovuta agli urti delle particelle contro le pareti da
recipiente. La pressione esercitata da un gas è il risultato degli urti delle sue
molecole contro le pareti del recipiente. Se aumenta il numero di particelle di gas
presenti nel recipiente, la probabilità che queste urtino le pareti nel corso dei loro
movimenti sarà maggiore. Di conseguenza, la pressione media all'interno del
sistema aumenterà. La pressione di un gas in un recipiente è direttamente
proporzionale al numero di particelle presenti. Questa proporzionalità può essere
espressa dalle seguenti relazioni: p:n=k V:n=k
dove p, n, V e k rappresentano rispettivamente i valori della pressione, della
quantità di sostanza, del volume e della costante di proporzionalità.
Le grandezze macroscopiche come la temperatura, il volume e la pressione di un gas
riflettono il comportamento microscopico delle sue particelle. Dato che descrivono
lo stato fisico di un gas, la temperatura, il volume e la pressione sono chiamate
variabili di stato. A seconda della grandezza mantenuta costante si distinguono
quindi:
1.trasformazioni a temperatura costante;
2. trasformazioni a pressione costante;
3. trasformazioni a volume costante.
Temperatura costante
Prendiamo un recipiente a forma di cilindro a perfetta tenuta dotato di un pistone
che può scorrere al suo interno. Il recipiente ha un volume iniziale di 1 dm cubo ' e
sono presenti x molecole di gas; la pressione del gas è di 4 bar. Alzando il pistone in
maniera che il volume raddoppi e divenga 2 dm cubi mantenendo la temperatura
costante: stiamo eseguendo, perciò, una trasformazione isoterma. Il numero totale
di molecole di gas x non è cambiato, ma queste stesse molecole si trovano ora in 2
dm cubi per cui il numero di molecole per unità di volume è dimezzato.
Conseguentemente, si riduce la frequenza degli urti in ogni Istante contro le pareti e
quindi diminuisce la pressione. La pressione e il volume quindi sono inversamente
proporzionali. Il primo a tradurre in una relazione matematica questo
comportamento dei gas fu Robert Boyle (1627-1691), che nel 1662 esegui una serie
di esperimenti analoghi a quelli appena descritti e propose la legge isoterma: per
ogni quantità di gas a temperatura costante, il prodotto della pressione per il
volume è costante. Questa legge, conosciuta anche come legge di Boyle, può essere
espressa dalla relazione: cioè
p • V= k
Grazie alla legge di Boyle, se conosciamo la pressione di una certa quantità di gas e il
volume occupato a una data temperatura, è possibile ricavare la pressione
esercitata dal medesimo gas quando ne viene modificato il volume, applicando la
formula:
P2= p1 •V1\ V2
Analogamente, se variamo la pressione, è possibile calcolare il volume nelle
nuove condizioni; si ha infatti:
V2= p1 • V1 \ p2

Il grafico della pressione in funzione del volume è una curva detta ramo di iperbole
equilatera tipica delle relazioni di proporzionalità inversa. Per ogni temperatura si
ottiene una curva, detta curva isoterma, sempre più lontana dagli assi del grafico,
all'aumentare di T.
PRESSIONE COSTANTE
Prendendo un cilindro con pistone mobile visto precedentemente: al suo interno
sono presenti x molecole di un gas alla temperatura t=0 °C e a una certa pressione P,
per esempio I bar. In queste condizioni il volume del gas è V0=2 dm3. Questa volta,
durante la trasformazione, manteniamo costante la pressione p. A questo punto
poniamo il cilindro su una fonte di calore: la temperatura del gas aumenta e giunge
a un valore t. Con il riscaldamento, aumenta l'energia cinetica media delle molecole
che urtano, quindi con maggiore forza e con frequenza più elevata, le pareti del
recipiente e il pistone. La maggiore spinta sul pistone determina il suo spostamento
verso l'alto: il volume aumenta e passa da V0 a Vt. La trasformazione che abbiamo
eseguito è a pressione costante e prende il nome di trasformazione isobara.
Studiando le trasformazioni isobare, prima Jacques Charles (1746-1823) e poi
Joseph-Louis Gay-Lussac (1778-1850), entrambi fisici francesi, verificarono che tra
volume e temperatura esiste una relazione di proporzionalità e, in modo
indipendente, formularono la legge isobara o legge di Charles: il riscaldamento o il
raffreddamento di un gas a pressione costante provoca, per ogni grado di differenza
di temperatura, rispettivamente un aumento o una diminuzione di 1/273,15 del
volume occupato dal gas a 0 °C.
La legge isobara è espressa dalla formula:
V= V0 + (V0:273,15) • t
da cui Vt= V0 • (1+ t/273,15)
dove Vt, e V0, indicano i volumi occupati dal gas rispettivamente alla temperatura t
e alla temperatura di 0 °C. Se rappresentiamo questa relazione in un grafico
otteniamo una retta che interseca l’asse delle ascisse in corrispondenza del valore
t=-273,15 C .
Utilizzando la temperatura assoluta T anziché la temperatura in gradi Celsius,t, la
legge di Charles può essere espressa in modo più semplice in forma di
proporzionalità diretta di tipo
V= k•T Vt= V0•(1+ t: 273,15) può essere scritta Vt= V0 • ( 273,15+t) : 273,15
in cui, sostituendo T a (273,15+t) e T0 a 273,15 si ottiene:
Vt= V0• T:T0 e cioè in generale V1:T1=V2:T2
Il volume di un gas a pressione costante è direttamente proporzionale alla
temperatura assoluta.
Volume costante
Prendiamo ora un cilindro munito di pistone mobile a tenuta e introduciamo al suo
interno una certa quantità di gas, alla temperatura iniziale di 0°C e alla pressione Po.
In queste condizioni il volume del gas è V. Questa volta, blocchiamo il pistone in
modo che non possa scendere o salire e di conseguenza il volume rimanga costante.
Riscaldiamo ora il gas e portiamolo alla temperatura t. Con il riscaldamento,
aumenta l'energia cinetica delle molecole, che quindi urtano con maggiore forza
sulle pareti del recipiente; inoltre, avendo maggiore velocità, producono più urti
nell'unità di tempo. L'aumento della temperatura fa aumentare sia il numero degli
urti sia l'energia delle particelle; di conseguenza, aumenta anche la pressione del
gas, che raggiunge il valore p. Abbiamo effettuato una trasformazione isocòra, cioè a
volume costante. Gay-Lussac verificò che tra pressione e temperatura c'è una
relazione lineare, simile a quella che lega volume e temperatura e nel 1802 formulò
la legge isocora: il riscaldamento o il raffreddamento di un gas a volume costante
provoca, per ogni grado di differenza di temperatura, rispettivamente un aumento o
una diminuzione di 1/273,15 della pressione esercitata dal gas a 0 °C. Questa legge,
nota anche come legge di Gay-Lussac, è espressa dalla formula:
pt= p0+ (p0:273,15)•t da cui pt= p0•(1+t:273,15)
In pratica, la pressione del gas aumenta all’aumentare della temperatura, mentre
diminuisce se si ha un raffreddamento. può essere espressa utilizzando la
temperatura assoluta al posto di quella in gradi Celsius:
P=k• T cioè P1:T1= P2:T2
In altre parole, la pressione di un gas a volume costante è direttamente
proporzionale alla temperatura assoluta.
Prendiamo tre recipienti di volume uguale, in cui introduciamo tre gas diversi, alla
stessa temperatura e con un uguale numero di molecole, per esempio I mol (6,022 •
1023 molecole) di idrogeno, di ossigeno e di azoto. A parità di temperatura, le
molecole dei tre gas hanno la stessa energia e urtano le pareti del recipiente con la
stessa forza: di conseguenza, la pressione esercitata risulta la stessa. In entrambi gli
esperimenti abbiamo riscontrato una corrispondenza tra pressione, volume,
temperatura e quantità di sostanza. Se tre di queste grandezze sono uguali, anche la
quarta lo è. Il volume occupato da un gas, nelle stesse condizioni di temperatura e
pressione, dipende esclusivamente dalla quantità di sostanza presente (numero di
moli), non dalla natura del gas. La conclusione a cui siamo giunti alla luce delle leggi
dei gas corrisponde al principio enunciato da Amedeo Avogadro. Prendiamo, infine,
una mole di idrogeno, una di ossigeno e una di azoto e le poniamo separatamente in
tre recipienti, alla stessa temperatura e alla stessa pressione. In base al principio di
Avogadro, i tre gas vanno a occupare lo stesso volume, pari al volume molare.
In particolare, se le condizioni di temperatura e pressione sono quelle STP, cioè 0 °C
e 1 atm, il volume occupato sarà il volume molare standard, pari a 22,414 L.

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