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Globalizzazione economica, outsourcing, offshoring e unbundling

Parliamo di Globalizzazione economica intesa come integrazione di economie nazionali in un’unica


economia internazionale attraverso scambi commerciali, investimenti diretti, flussi di capitale e di risorse
umane. La globalizzazione è sicuramente un fenomeno di grande attualità, ma non ha origini recenti:
possiamo parlare di globalizzazione, ad esempio, quando le prime navi europee salparono alla volta delle
Americhe, beneficiandone nelle loro economie. Oggi in particolare, però, è possibile notare una forte
accelerazione del fenomeno, con effetti importanti e immediati sulle imprese che devono saper adattarsi,
pena l’esclusione da questo nuovo sistema. Il motivo di questo forte impulso è da cercarsi nella caduta di
alcune barriere:

- Barriere di tipo logistico: i costi e i tempi di trasporto si sono ridotti notevolmente, rendendo più
agevoli gli spostamenti di prodotti e semilavorati tra aree geografiche anche distanti. In particolare
una delle innovazioni che in passato ha dato nuova linfa al fenomeno è stata l’introduzione dei
container per i trasporti marittimi.
- Barriere legate alla comunicazione: internet ha permesso una più semplice e immediata
comunicazione, anche a costo zero, a distanza. Inoltre la lingua inglese ha agevolato le
comunicazioni internazionali.
- Barriere doganali: grazie all’impegno di diverse associazioni, sono stati progressivamente aboliti i
dazi alle dogane, garantendo un commercio più libero. In realtà, un trend del momento è
rappresentato dal ritorno a politiche protezioniste, come quella promossa da Trump negli USA
(America First).
- Barriere di tipo culturale: usi e costumi differenti hanno sempre rappresentato un limite
all’internazionalizzazione. Si pensi ai Paesi arabi dove i prodotti esteri vengono visti in modo
diffidente se non posseggono la certificazione Halal.
- Barriere di tipo normativo: dovute alle differenti normative nazionali presenti, a cui lavorano
società nel tentativo di giungere a delle norme standardizzate.
- Barriere legate alle dimensioni dell’impresa: una società di piccole dimensioni difficilmente può
permettersi di riuscire a penetrare mercati lontani.

A fronte, dunque, del venir meno di tali barriere, oggi è sempre più vero che il mercato è il mondo,
costituendo un ambiente ipercompetitivo. Ciò costringe anche le imprese più periferiche ad allineare i
propri standard a quelli di mercato, costrette a pensare in modo globale.

Una maggiore vicinanza anche tra aree geograficamente distanti e l’abbattimento di barriere doganali ha
permesso la nascita di due nuove politiche:

- Politica di Outsourcing: contrariamente ai Paesi avanzati, i Paesi emergenti sono generalmente


specializzati su determinate produzioni, determinando rapporti qualità/prezzo inarrivabili. Ciò ha
spinto sempre più le grandi imprese ad acquistare componentistica a costi sempre più bassi presso
terzi. L’outsourcing differisce dalla subfornitura, in quanto l’impresa non vi ricorre per una
produzione suppletiva, ma perché non è in grado di svolgere individualmente l’attività.
- Politica di Offshoring: è sempre più frequente notare un passaggio dalle produzioni centralizzate,
dove tutte le fasi produttive venivano concentrate in siti geograficamente vicini, a sistemi
decentralizzati, in funzione a dove è maggiormente conveniente in termini di qualità e di costo.
Questo processo di frammentazione delle filiere produttive viene definito Unbundling da Baldwin.

Piccola, media e grande serie

Le attività di produzione discreta, in cui cioè è possibile distinguere i singoli prodotti finiti, si classificano in:

- Grande serie, caratterizzata da una bassa varietà di prodotti, ma da alti volumi (automobili).
- Media serie, caratterizzata da varietà e volumi produttivi medi (beni strumentali).
- Piccola serie, caratterizzata da un’elevata varietà produttiva, ma da volumi limitati (navi, moda).

Nelle produzioni di grande serie, i grandi volumi e la presenza prolungata nell’orizzonte temporale
consentono e giustificano dal punto di vista economico di investire in impianti dedicati alla produzione di
un dato prodotto. In questo senso, l’associazione fase produttiva-risorsa è statica, consentendo in fase di
realizzazione del layout del fabbricato di disporre un percorso unidirezionale delle risorse in relazione alla
sequenza delle fasi produttive (Layout per prodotto o in linea).

Nelle produzioni di piccola e media serie, l’alta varietà dei prodotti, unita ai bassi volumi produttivi, nonché
alla forte variabilità della domanda, non giustifica la realizzazione di impianti unicamente dedicati a un
determinato prodotto. Per saturare la capacità produttiva di un impianto, si rende dunque necessario
destinarlo a più prodotti, con fasi produttive differenti: non sarà, dunque, più possibile disporre le risorse in
modo statico e ciascun prodotto seguirà un percorso specifico dipendente dal proprio ciclo tecnologico.
Ogni risorsa svolgerà operazioni tecnologiche di natura diversa, in intervalli temporali diversi, su prodotti
diversi (layout per processo o per reparto). La produzione di prodotti differenti impone delle operazioni di
attrezzaggio che sottraggono disponibilità produttiva alla risorsa e comportano costi aggiunti. Per limitare
questi fattori, generalmente è preferibile produrre in lotti, la cui dimensione dipenderà proprio dai costi di
attrezzaggio.

Indici di prestazione produttiva

Gli indici di prestazione produttiva sono utili per fissare specifici obiettivi nella progettazione e gestione dei
sistemi di produzione, nonché per consentire operazioni di benchmarking. Possiamo classificare gli indici in
due categorie:

- Indici relativi alle parti (j=1,…,H), definiti osservando il flusso delle parti attraverso il sistema e
studiando le modalità di attraversamento delle singole parti.
- Indici relativi alle risorse (i=1,…,M), definiti osservando le modalità con cui le risorse vengono
utilizzate durante il ciclo di lavorazione.

Si definisce throughput (o tasso di produzione) il rapporto tra il numero delle parti bj uscite dal sistema
durante il tempo di osservazione toss e il tempo di osservazione stesso. Indica cioè quante parti vengono
prodotte nell’unità di tempo. I valori dei throughput non sono sommabili, in quanto sono caratteristici di
una determinata parte. Se la linea produttiva è monoprodotto, il sistema è a regime e l’intervallo di uscita
tra due parti consecutive è costate, allora l’inverso del throughput viene definito come tempo di ciclo (tc). In
una linea monoprodotto, il throughput massimo teorico è limitato dal tempo di servizio della macchina
collo di bottiglia. Attraverso il throughput, avendo a disposizione la disponibilità produttiva, è possibile
determinare il volume della produzione. Il throughput è una variabile dinamica, in quanto dipende
dall’intervallo del tempo di osservazione prescelto. La curva corrispondente prende il nome di rampa di
produzione e il valore assunto in corrispondenza del valore finale di toss rappresenta il valore medio
dell’indice.

Si definisce tempo di attraversamento Ta la differenza tra l’istante di ingresso della parte grezza j nel
sistema e l’istante di uscita della stessa in corrispondenza del completamento del ciclo di lavorazione. Il
tempo di attraversamento è costituito da diverse componenti di tempo:

- Il tempo di attesa (W), dato dalla somma di tutti i tempi di attesa che la parte è costretta a subire
prima di essere accettata dalle risorse che deve visitare in accordo col ciclo di lavorazione.
- Il tempo di trasporto (TT), dato dalla somma di tutte le operazioni di trasferimento della parte tra le
risorse del sistema che la stessa deve visitare, in accordo col ciclo di lavorazione.
- Il tempo di occupazione delle risorse o tempo tecnologico (T) dato dalla somma di tutti i tempi
delle fasi del ciclo di lavoro. Possiamo suddividerlo in tempo macchina (TM), cioè il tempo in cui
viene effettivamente effettuata la lavorazione, e tempi ausiliari (Taux), dati dalla somma degli
eventuali tempi di attrezzaggio, posizionamento della parte e smontaggio del pezzo.

L’unica componente del Ta durante la quale si genera valore aggiunto è il tempo macchina. Durante gli altri
tempi, nonostante siano funzionali alla produzione, sosteniamo solo dei costi, senza aggiungere valore al
pezzo. Per tale motivo è opportuno definire un nuovo indice di prestazione produttiva, l’indice di flusso,
𝑇𝑀 +𝑇𝑎𝑢𝑥 𝑇𝑀
definito come 𝐼𝐹 = o 𝐼𝐹 = , che misura l’incidenza del tempo tecnologico (o del tempo
𝑇𝑎 𝑇𝑎
macchina) sul tempo di attraversamento. Chiaramente, più tale valore è prossimo a 1 tanto più alta è la
quota del tempo di attraversamento destinata a operazione che aggiungono valore. Con macchine
tradizionali, nei sistemi di piccola e media produzione, solo il 5% del Ta è destinato al tempo tecnologico, di
cui il 70% a sua volta è rappresentato da tempi ausiliari.

È possibile definire una relazione tra il throughput e il tempo di attraversamento, nota come Legge di Little
e paragonata alla seconda legge di Newton. Se il sistema è in equilibrio, cioè il tasso dei pezzi in ingresso è
uguale a quello dei pezzi in uscita, allora è vero che 𝑁 = 𝑋 ∙ 𝑇𝑎 , dove N è il work in process, cioè il numero
medio di pezzi un certo tipo di parte presenti nel sistema. La legge di Little può essere applicata a ogni
singola risorsa. Si noti che aumentando il WIP aumenta il prodotto 𝑋 ∙ 𝑇𝑎 e quindi in genere crescono sia il
throughput sia il tempo di attraversamento. Essendo presenti più parti nel sistema, infatti, il tasso di
produzione aumenterà, ma allo stesso tempo vi saranno più parti in attesa che aumenteranno le
componenti del waiting time.

Definiamo coefficiente di utilizzazione (U) della risorsa i la quota del tempo di osservazione destinata
𝑡𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑜
all’impiego della postazione, cioè 𝑈 = . È una misura dell’efficienza d’uso della risorsa, in quanto
𝑡𝑜𝑠𝑠
mette a confronto la disponibilità della risorsa col suo reale impiego. Se nella risorsa è presente una sola
unità di servizio, è possibile definire una variabile binaria che assume il valore 1 se la risorsa è impegnata, 0
altrimenti. Il coefficiente di utilizzazione medio sarà dunque pari a 𝑈̅ = 1 ∙ ∫𝑡𝑜𝑠𝑠 𝑢(𝑡)𝑑𝑡. Nel caso in cui
𝑡𝑜𝑠𝑠 0
siano presenti più unità di servizio, il coefficiente di utilizzazione potrà assumere anche valori maggiori di 1:
il coefficiente di utilizzazione medio della singola unità di servizio si può ottenere dividendo il coefficiente
della risorsa per il numero di unità di servizio.
Una risorsa in realtà può risultare occupata anche dopo aver terminato la lavorazione e ciò si verifica
quando è impossibilitata a cedere la parte alla risorsa successiva (blocking) o risultare libera non perché
non ci siano parti da lavorare, ma perché il sistema a monte non è in grado di rifornire la macchina
(starving). Questi due fenomeni limitano la produttività di un sistema e possono essere limitati attraverso
l’impiego di magazzini inter-operazionali che disaccoppiano il funzionamento delle risorse.
È facile ricavare una relazione tra il coefficiente di utilizzazione di una risorsa e il throughput. Si può notare,
infatti, che all’aumentare del tasso di produzione, aumenterà anche il coefficiente di utilizzazione 𝑈 = 𝑋 ∙ 𝑡.

Il grado di congestione di una risorsa è definito come il numero di parti presenti in un dato istante nella
risorsa, sia in coda sia in lavorazione. Definiamo il valore medio del grado di congestione
1 𝑡
𝑄̅𝑖 = ∙ ∫ 𝑜𝑠𝑠 𝑞𝑖 (𝑡)𝑑𝑡. Ricordando che è possibile applicare la legge di Little a livello di singola risorsa,
0
𝑡𝑜𝑠𝑠
possiamo scrivere che 𝑄 = 𝑋 ∙ 𝑅, dove R è il tempo di attraversamento dello stadio generico composto da
una quota di tempo di attesa e una di tempo di servizio.

Servono indagini accurate per risolvere nel modo migliore i problemi ce si pongono nella progettazione e
gestionale, in seguito alle quali assumere decisioni può avere impatti significativi sulla vita aziendale. Per
tale motivo ci vengono in aiuto le tecniche modellistiche, che ci consentono di modellizzare il sistema su cui
ragionare, isolando la parte della realtà che è funzionale allo studio che intendiamo perseguire. L’impiego di
tali modelli consentirà la valutazione degli indici di prestazione produttiva, non tramite l’osservazione della
realtà, ma attraverso l’elaborazione di algoritmi. Attraverso tali algoritmi è possibile risolvere alcuni
problemi di progettazione, come dover definire il numero delle unità di servizio da assegnare a ogni risorsa
in funzione della capacità produttiva, definire il sistema di movimentazione e dunque layout e scelta della
capacità dei magazzini inter-operazionali, nonché il dimensionamento del parco pallet, ma anche alcuni
problemi di gestione, come dover stabilire la sequenza di caricamento delle parti nel sistema o gestire le file
d’attesa. Tra le tecniche di modellizzazione troviamo:

 Allocazione Statica
Prende in considerazione esclusivamente il carico di lavoro su ogni risorsa, tenendo conto
esclusivamente dei dati relativi ai tempi di servizio unitari e i volumi di produzione.
Le ipotesi sono che:
- il processo di assegnazione delle parti alle risorse sia indipendente dal tempo, cioè non è
importante la sequenza delle lavorazioni.
- ogni tipo di parte sia fabbricato in un unico lotto di dimensione Vj.
- assenza di guasti, starving e blocking.
- produzione portata a compimento.
Attraverso la matrice dei tempi di servizio è possibile calcolare i carichi di lavoro 𝐶𝐿𝑖 = ∑𝐻
𝑗=1 𝑡𝑖𝑗 ∙ 𝑉𝑗 .
È possibile identificare il tempo di osservazione del sistema come il massimo dei carichi di lavoro
max 𝐶𝐿𝑖
(makespan). Nel caso di si unità di servizio, sarà 𝑡𝑜𝑠𝑠 = .
𝑠𝑖
𝐶𝐿𝑖
È possibile calcolare esclusivamente il coefficiente di utilizzazione 𝑈𝑖 = e il throughput
𝐶𝐿∗
𝑉𝑗
𝑋𝑗 = . Le stime fornite sono stime ottimistiche, in quanto vengono trascurati i vincoli di
𝐶𝐿∗
precedenza tecnologica o di contemporaneità delle operazioni. E’ possibile inoltre
𝐶𝐿𝑖
determinare il numero di unità di servizio necessarie come 𝑠𝑖 = .
𝐷
 Mean Value Analysis
Questa tecnica si rivela essere molto robusta fornendo, cioè, risultati sufficientemente
rappresentativi del funzionamento del sistema reale pur non rispettando le ipotesi su cui è
formulato il modello. Consente di calcolare tutti e quattro gli indici di prestazione prima elencati,
fornendone valori medi (NO DINAMICA).
Per quanto riguarda le ipotesi di Reiser e Lavenberg si assume che:
- le modalità di arrivo delle parti coincidono con quelle di uscita e il WIP sia noto.
- le transizioni tra le risorse sono di tipo probabilistico.
- sono assenti fenomeni di blocking e starving.
- i tempi di servizio si distribuiscono secondo una distribuzione esponenziale.
- le file di attesa sono gestite col criterio FIFO
L’assenza dei fenomeni di starving e blocking portano a sovrastimare i tempi di attraversamento,
ma l’assunzione dei tempi di servizio esponenziali induce a sovrastimare i tempi di
attraversamento, giungendo a una compensazione.
Siano noti i tempi di servizio e il numero delle parti N presenti nel sistema. Definiamo il tempo di
attraversamento dello stadio i 𝑅𝑖 = 𝑡𝑖 + 𝑊𝑖 . La quota di attesa però non è nota, ma sappiamo
essere pari al prodotto del tempo di servizio dello stadio i per il numero delle parti in attesa. Reiser
e Lavenberg hanno dimostrato che il numero delle parti in attesa dello stadio i nella rete in cui
circolano N parti è uguale al numero delle parti che si trovano nello stesso stadio quando nella rete
circolano N-1 parti. Il numero di parti in attesa è dunque pari a Q(N-1). Noto dunque il tempo di
(𝑁)
attraversamento dello stadio i 𝑅𝑖 = 𝑡𝑖 + 𝑡𝑖 ∙ 𝑄(𝑁−1) , possiamo calcolare il tempo di
(𝑁) (𝑁)
attraversamento del sistema come 𝑇𝑎 = ∑𝐻
𝑖=1 𝑅𝑖 . Poiché il sistema è in equilibrio possiamo
𝑁
applicare la legge di Little per calcolare il throughput come 𝑋 (𝑁) = (𝑁) , ma anche
𝑇𝑎
(𝑁) (𝑁) (𝑁)
𝑄𝑖 = 𝑋 (𝑁) ∙ 𝑅𝑖 . Ricordiamo inoltre che 𝑈𝑖 = 𝑋 (𝑁) ∙ 𝑡𝑖 .
L’algoritmo invece proposto da Schweitzer e Bard si basa su una distribuzione iniziale delle N parti
tra le M risorse, per esempio che si distribuiscano equamente (se i tempi di servizio sono uguali).
𝑁 (𝑁−1) 𝑁−1
Possiamo scrivere dunque che 𝑄𝑖 = . Assunta come approssimazione che 𝑄𝑖 = ∙ 𝑄𝑖 ,
𝑀 𝑁
possiamo calcolare Ri, Ta e X. A questo punto possiamo calcolare un nuovo valore del grado di
congestione, utilizzando la legge di Little, dunque 𝑄𝑛𝑒𝑤 𝑖 = 𝑋 ∙ 𝑅𝑖 , ripetendo il procedimento fin
quando l’algoritmo non converge, cioè |𝑄𝑛𝑒𝑤 𝑖 − 𝑄𝑖 | < 𝜀. Gli indici di prestazione saranno quelli
calcolati nell’ultima iterazione.
 Mean Value Analysis multiprodotto
E’ possibile estendere l’algoritmo appena esplorato anche a reti multiprodotto, impiegando
l’approssimazione di Schweitzer e Bard. Si ripetono i procedimenti visti per quanto riguarda la MVA
monoprodotto, procedendo alla somma finale.
 SIMAN
Nella simulazione ad eventi discreti, il modello non è insito nell’algoritmo, ma deve essere
costruito. Per costruire il modello di simulazione viene impiegato lo strumento SIMAN,
gradualmente sostituto da ARENA. SIMAN è applicato a tutti quei sistemi che evolvono nel tempo
in modo continuo o discreto. Nella simulazione ad eventi discreti è necessario tenere conto della
sequenza con cui le operazioni si svolgono (matrice di routing). SIMAN è costituito da due parti: una
in cui viene discussa la logica e una in cui vengono inseriti i dati. A ogni blocco (logica) possono
essere associate più funzioni. Nel sistema arriveranno le entità e troveranno una fila d’attesa
(QUEUE), da cui vengono prelevate con criterio FIFO. Le entità passano poi in lavorazione, solo se la
risorsa è libera: vi è un blocco che impedisce l’accesso all’entità se la risorsa è occupata (SEIZE).
Quando l’entità è in lavorazione, vi è un blocco che ritarda il flusso delle entità successive per un
tempo pari al tempo di servizio (DELAY). Completata la lavorazione, la parte può uscire, a meno che
la risorsa successiva non sia occupata (RELEASE). Dobbiamo, però, prima creare il modello con cui le
parti arrivano nel sistema, attraverso il blocco create, attraverso il quale definiamo la dimensione
del lotto (BATCHSIZE), l’istante di creazione della prima entità (OFFSET), l’istante di tempo tra la
creazione di due entità successive (INTERVAL) e il numero massimo di lotti (MAXBATCHES). I blocchi
vanno messi nel system model. Nell’experimental frame mettiamo invece gli elementi. Il primo
elemento è PROJECT, che identifica il problema. Per calcolare gli indici di prestazione devo inserire
altri blocchi e altri elementi.
Per il throughput abbiamo bisogno di un bocco operation con la funzione COUNT, che conta le
parti, posizionato nel system model dopo il blocco release e un elemento COUNTERS
nell’experimental frame.
Per il tempo di attraversamento sfruttiamo il blocco TALLY, che ci consente di calcolare la
differenza tra il tempo di uscita Tnow e il tempo di ingresso conservato in un attributo del blocco
ASSIGN A(1)=Tnow, subito dopo CREATE. Nell’experimental frame inseriremo un elelemento
TALLIES.
Gli indici relativi alle risorse, invece, si calcolano con le discrete change variables, utilizzando
l’elemento D-STATS. In questo caso ne avrò bisogno di una per le parti in coda NQ e una per le
risorse occupate NR.
CREATE, 1, 0, 0 : 10, 100 ;
ASSIGN: A(1) = TNOW
QUEUE, 1, . , . ;
SEIZE, . : MAC, . ;
DELAY: 7, . ;
RELEASE: MAC, . ;
COUNT: 1, 1
TALLY, 1, TNOW – A(1)

PROJECT, S11, GIUSEPPE, 05/09/2018


RESOURCES: 1, MAC, 1
COUNTERS 1, USCP1, . , 1
TALLIES, 1, TATT, 2
D STATS 1, NQ(1), CODAMAC, 3
D STATS 2, NR(1), UTMAC, 4

Dai risultati che otteniamo, è possibile costruire le curve caratteristiche, che consentono di valutare le
scelte sul WIP, ovvero del numero di pallet circolanti in un sistema, in relazione alle prestazioni produttive
corrispondenti.

Distinta base

La distinta base definisce la composizione del prodotto da fabbricare, rappresentandola graficamente


attraverso una struttura a più livelli che, a partire dal prodotto finito, procede a una scomposizione in
sottoinsieme via via più semplici. Per ogni componente del prodotto finito vengono riportate le seguenti
informazioni:

- Il codice e la descrizione del componente


- Il coefficiente d’uso del componente, cioè la quantità necessaria del componente per ogni
componente del livello superiore.
- Il lead time, cioè il tempo che intercorre tra l’emissione dell’ordine e l’arrivo del componente.
- La tipologia del prodotto, se è di tipo Make, cioè fabbricato in casa, o Buy, cioè acquistato da terzi.

MPS e buckets

L’MPS (master production schedule o piano principale di produzione) è derivato dalle previsioni di vendita.
Le informazioni sono riportate su una matrice che presenta come righe i prodotti finiti e come colonne i
buckets, cioè gli intervalli costanti di tempo in cui è stato suddiviso l’orizzonte di pianificazione. Ogni
elemento della matrice riporta i fabbisogni di prodotto finito necessari a soddisfare le richieste di ciascun
periodo.

Inventari di magazzino

Tutte le aziende utilizzano ormai dei sistemi informatici per la contabilità di magazzino che attraverso
semplici interrogazioni ci forniscono la quantità di prodotti presenti in magazzino in un dato istante
(giacenza contabile). Non è detto, però, che la giacenza contabile coincida con la giacenza fisica e ciò perché
l’aggiornamento della giacenza contabile potrebbe essere differita, rilevando uno scostamento da ciò che è
realmente presente in magazzino. È opportuno dunque procedere periodicamente con operazioni di
rettifica delle giacenze contabili attraverso conta fisica dei singoli prodotti (inventari), specialmente alla
fine di ogni esercizio, al fine della corretta valorizzazione delle rimanenze ai fini contabili.

Indice di rotazione e durata

Anche per la gestione dei materiali è possibile identificare degli indici di prestazione che consentono di
effettuare operazioni di benchmarking. Tra questi troviamo l’indice di rotazione a quantità (IR) che
definisce la velocità con cui le merci transitano da un magazzino, cioè il numero di volte in cui la scorta
𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜
media di magazzino si ricostituisce in un dato periodo. 𝐼𝑅 = . Un valore basso indica che le
𝑔𝑖𝑎𝑐𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎
scorte vengono ricostituite poche volte, dunque teniamo scorte eccedenti le reali necessità. Viceversa, un
valore elevato indica un’elevata attività di movimentazione, che può essere sintomo di un’alta incidenza dei
costi di riordino e di mancanza di prodotti in magazzino.
È possibile definire anche l’indice di rotazione a valore, che fa riferimento alle movimentazioni in termini
monetari, ricordando di valutare con lo stesso criterio le uscite e la giacenza media. Il vantaggio dell’IRV sta
nel fatto che è possibile esprimere una misura sintetica di tutti i prodotti del magazzino. L’inverso
dell’indice di rotazione viene definito come indice di durata ed esprime la frazione di periodo che
intercorre tra due ricostituzioni della scorta media, ovvero il tempo medio trascorso in magazzino da un
dato prodotto. È possibile esprimere l’indice di durata in giorni e in questo caso prende il nome di giorni di
copertura.
Un ulteriore indice di prestazione è, invece, il livello di servizio, che misura la capacità di risposta del
sistema di gestione dei materiali alla domanda di prodotti proveniente dai reparti a valle del magazzino.
Esistono diverse varianti di questo indice:
𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑖𝑛 𝑚𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑖𝑛𝑜
- 𝐿𝑆𝑎 =
365
Questo indice viene impiegato per i prodotti che hanno consumo continuo e misura indirettamente
il soddisfacimento di richieste di un prodotto.
𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑒𝑣𝑎𝑠𝑒
- 𝐿𝑆𝑞 =
𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑒
Confronta le quantità effettivamente consegnate con quelle richieste che possono essere maggiori
se non abbiamo il prodotto in magazzino.
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑒 𝑒𝑣𝑎𝑠𝑒
- 𝐿𝑆𝑣 =
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑒
Analogamente a LSq.

Operazioni elementari lavorazione per asportazione di truciolo

Per il completamento di un ciclo di lavorazione per asportazione di truciolo, si effettuano le seguenti fasi, a
ciascuna delle quali è associata una risorsa:

- Trasportare il pezzo da lavorare fino alla macchina


- Montare il pezzo sulla macchina effettuando le operazioni di posizionamento e bloccaggio
- Scegliere l’utensile adeguato e inserirlo nella macchina
- Stabilire i parametri di taglio
- Controllare il movimento relativo pezzo-utensile
- Cambiare la sequenza degli utensili
- Smontare il pezzo dalla macchina e avviarlo alla risorsa successiva.

Tutte queste operazioni vengono svolte in macchina tradizionali da un operatore. L’operazione sicuramente
più complessa è quella che prevede il controllo del movimento relativo pezzo-utensile, proprio per questo
l’evoluzione delle macchine utensili è partita proprio dall’innovazione di questa operazione (macchina a
controllo numerico).

Standardizzazione del magazzino

L’operazione di standardizzazione del magazzino prevede l’eliminazione di ripetizioni di uno stesso articolo
e l’unione di prodotti che differiscono per particolari facilmente standardizzabili. Un’operazione di
standardizzazione consente di ottenere risparmi dovuti a:

- Un’effettiva diminuzione delle giacenze


- La possibilità di spuntare sconti dal fornitore dovuti a una richiesta meno varia, ma più numerosa
- La riduzione del numero dei fornitori
- La riduzione dei costi amministrativi e contabili per un minor numero di registrazioni e operazioni
da effettuare
- Un migliore controllo del magazzino individuando le obsolescenze

Adam Smith

Adam Smith era un grande sostenitore della divisione del lavoro. L’incremento della quantità di lavoro che
lo stesso numero di persone è in grado di svolgere, in conseguenza alla suddivisione del lavoro, è notevole e
dovuta a:

- Il miglioramento delle abilità di ogni singolo lavoratore che si specializza in una specifica operazione
- Il risparmio di tempo necessario a passare un’operazione a un’altra, dovendo cambiare attrezzi e
posto di lavoro
- L’automazione consentita dai progressi evolutivi dei macchinari

I fattori di successo industriale

La globalizzazione espone le imprese a livelli di concorrenza sempre più spinta. Solo i produttori portatori di
best practises riescono a mantenere le posizioni sui mercati. Tre sono i fattori si successo di un prodotto
industriale: i fattori costo, tempo e qualità.

- Il fattore costo
In un mercato di concorrenza perfetta a cui ci stiamo sempre più avvicinando grazie agli effetti della
globalizzazione economica, le imprese sono diventate delle price-taker e cioè i prezzi non vengono
più individuati garantendo un margine di guadagno sui costi industriali, ma sono imposti dal
mercato. Di conseguenza l’obiettivo delle imprese oggi è quello di risparmiare il più possibile sui
costi industriali, in quanto solo se questi sono più bassi del prezzo di mercato la società registrerà
un utile. Perseguire un’inarrestabile politica di riduzione dei costi è fondamentale per rimanere
competitivi.
- Il fattore tempo
Uno degli aspetti che determina l’atto di acquisto di molti beni è la capacità del produttore di
rendere disponibile il bene nel momento in cui il consumatore decide di acquistarlo (o di essere
estremamente puntuale). Per alcune tipologie di prodotto, se non troviamo un prodotto disponibile
o cerchiamo un prodotto sostitutivo o rinunciamo all’acquisto. Da ciò si evince dunque l’importanza
di gestire il fattore tempo, facendo sì che tutti i segmenti della catena produttiva siano
sincronizzati.
- Il fattore qualità
Qualità è sinonimo di soddisfazione del cliente durante il ciclo di vita del prodotto, nonché delle
capacità dell’impresa di rispondere alle aspettative del cliente. Oggi il consumatore è sempre più
esigente e pretende il massimo in relazione al prezzo pagato e non esita a manifestare disappunto
se le sue attese non trovano riscontro. La qualità attesa del prodotto è strettamente legata al
valore che il consumatore attribuisce al prodotto che, confrontato col prezzo, determina o meno la
convenienza della transazione.

Analisi di Pareto (A-B-C)

Quando il portafoglio prodotti di un’impresa è molto vasto, è impensabile poter trattare tutti i prodotti con
la stessa attenzione. Uno strumento molto utile per dosare l’importanza è l’analisi di Pareto. Si nota, in
generale, che il 70% del fatturato è garantito da una quota limitata di prodotti (circa il 20%) classificati
come A. Un’altra frazione del fatturato pari al 20% è da imputare al 30% degli articoli (B), infine il restante
10% è coperto dal restante 50% di articoli (C). La curva che ne viene fuori è detta curva di concentrazione,
che ha per coordinate la percentuale degli articoli cumulati e la percentuale del valore d’impiego (quantità
* valore unitario) cumulato. In questo modo è possibile determinare a quali articoli garantire la massima
attenzione gestionale.
Scorte, costi, quanto e quando ordinare

Le scorte servono quando la domanda non è sincronizzata con l’offerta. La gestione dei materiali ha,
dunque, la funzione fondamentale di disaccoppiare le fasi approvvigionamento-produzione-distribuzione.
Possiamo assimilare le scorte a un serbatoio in cui vi è dell’acqua entrante e uscente: la gestione delle
scorte, in questo caso, consiste nel mantenere l’acqua sempre al livello desiderato. Dipendentemente dalla
capacità, sarà possibile separare la fase di consumo da quella di approvvigionamento per un tempo più o
meno prolungato. Le scorte possono essere di materie prima, lavorazioni e prodotti finiti, ma dal punto di
vista finanziario, immobilizzano capitale, sottraendo liquidità all’azienda. Soltanto in condizioni di aumento
dei prezzi, l’investimento in scorte può essere considerato remunerativo. D’altro canto, grazie alle scorte è
possibile rispondere a uno dei fattori di successo della produzione industriale (il fattore tempo), è possibile
ottenere sconti per la quantità, riducendo l’incidenza unitaria, e disaccoppiare fasi con velocità di
produzione differenti.

Le scorte possono essere valorizzate al costo d’acquisto, se costante. In caso di variazioni dei costi, dovuti
ad acquisti spalmati nel tempo, utilizzeremo tre criteri: costo medio ponderale (CMP), LIFO e FIFO.

Oltre all’immobilizzazione di capitale, per la gestione delle scorte incorreremo in ulteriori costi, dovuti a:

- Acquisto
Dovuti all’acquisto dei materiali funzionali al processo produttivo e si ripercuotono direttamente
sul costo del prodotto finito. Possono dipendere dall’affidabilità e durata della relazione cliente-
fornitore, tempi e modalità di pagamento, rilevanza del cliente, capacità di negoziazione del cliente
e del fornitore. Il costo unitario di acquisto viene indicato con p.
- Mantenimento a scorta
Mantenere un prodotto a scorta costa, ma non aggiunge valore (tranne nei casi in cui il prodotto
deve stagionare). Rientrano tra questi costi quelli relativi agli oneri finanziari relativi al capitale
investito a scorta, alla logistica, alle assicurazioni e a obsolescenze. È solitamente calcolato
𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑚𝑎𝑛𝑡𝑒𝑛𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑎 𝑠𝑐𝑜𝑟𝑡𝑎
attraverso un coefficiente i riferito a un periodo. 𝑖 =
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑔𝑖𝑎𝑐𝑒𝑛𝑧𝑎
- Emissione degli ordini
Sono costi dovuti alla ricerca dei fornitori, agli uffici acquisti, costi di trasporto, di consegna. Sono
costi proporzionali al numero degli ordini stessi e vengono indicati attraverso un coefficiente ce.
- Rottura di stock
Sono costi relativi a svuotamento improvviso del magazzino e derivano da mancate vendite. Ciò è
possibile nel caso di perdita dei clienti che si rivolgono ad altri fornitori, o in seguito alla perdita
d’immagine dell’azienda. Sono più incidenti nel caso di piccoli lotti.

Ciò che si ricerca è la minimizzazione della somma di questi costi. Sono stati sviluppati svariati modelli, tra
cui quello di Wilson (1930). Si fonda sulle seguenti ipotesi:

- La domanda D è nota e costante durante il periodo T.


- Il costo unitario del bene è costante p.
- Il lotto d’acquisto Q (quantità acquistata) arriva in un’unica soluzione.
- Il lead time è noto e costante e pari a ta.
- Si escludano fenomeni di rottura di stock.
- Sia noto il costo unitario di emissione dell’ordine ce.
- Sia noto il costo unitario di mantenimento a scorta, i.
𝑄
E’ possibile ricavare il costo di mantenimento a scorta complessivo come 𝐶𝑚 = 𝐺𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 ∙ 𝑝 ∙ 𝑖 = ∙ 𝑝 ∙ 𝑖.
2
Il costo di emissione degli ordini, invece, è dato dal numero degli ordini nel periodo per il costo unitario di
𝐷
emissione 𝐶𝑒 = 𝑛°𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑖 ∙ 𝑐𝑒 = ∙ 𝑐𝑒.
𝑄
Al netto dei costi d’acquisto, il costo totale per la gestione dei materiali sarà pari a 𝐶 = 𝐶𝑚 + 𝐶𝑒 . L’obiettivo
2∙𝐷∙𝑐𝑒
è minimizzare tale espressione, calcolando il lotto economico d’acquisto. Si ricava che 𝑄∗ = √ , il
𝑝∙𝑖
𝐷
minimo cioè si ha quando 𝐶𝑚 = 𝐶𝑒 , il numero ottimo di ordini vale 𝑛∗ = , mentre la giacenza media del
𝑄∗
𝑄∗
periodo sarà pari a 𝐺𝑀 = .
2

Quando si tratta, però, di dover dimensionare un ordine di produzione interno, a causa di vincoli relativi alla
capacità produttiva dei macchinari, la fase di approvvigionamento avverrà in un intervallo di tempo
determinato dal throughput. Definita con K la capacità produttiva nel periodo T, con K>D,
l’approvvigionamento del lotto Q avverrà in un periodo di produzione Tp, durante il quale si avrà un
accumulo (K>D) al tasso K-D. Anche in questo caso vogliamo pervenire alla dimensione del lotto che
minimizza il costo di gestione, che prende il nome di lotto economico di produzione. In questo caso p sarà
il costo di produzione unitario e ce il costo del lancio della produzione.
(𝐾−𝐷)∙𝑇𝑝
Il costo di mantenimento a scorta sarà dunque 𝐺𝑚 = 𝐺𝑀 ∙ 𝑝 ∙ 𝑖 = ∙ 𝑖 ∙ 𝑝.
2
𝐷
Il costo di lancio produzione sarà invece 𝐶𝑒 = 𝑛°𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑖 ∙ 𝑐𝑒 = ∙ 𝑐𝑒.
𝐾∙𝑇𝑝
2∙𝐷∙𝑐𝑒
Dato che 𝑄 = 𝐾 ∙ 𝑇𝑝 , possiamo minimizzare la funzione di costo rispetto a Tp, ottenendo che 𝑄 ∗ = √𝐾−𝐷 .
∙𝑝∙𝑖
𝐾
Da ciò si evince che il lotto economico d’acquisto è una particolarità del lotto economico di produzione con
𝐾 → ∞.

Abbiamo determinato quanto ordinare, ci occuperemo adesso di capire quando ordinare. Si noti che
possono essere impiegati due criteri. Un ordine di acquisto viene lanciato o perché si è previsto che in un
istante futuro ci sarà un determinato fabbisogno (look ahead o gestione a fabbisogno) o a seguito di
successivi prelievi effettuati per fronteggiare i fabbisogni dei periodi passati che hanno reso la scorta troppo
piccola rispetto al consumo che si prevede (look back o gestione a scorta). La gestione a fabbisogno non
può essere sempre applicata, ma è necessario soddisfare determinati requisiti:

- Gli articoli siano a domanda dipendente, cioè la cui domanda dipende da quella degli articoli posti a
livello superiore nella distinta base.
- Gli articoli appartengano alla classe A o B, cioè quelli con più alto valore di impiego, in quanto la
gestione a fabbisogno consente una minore immobilizzazione di capitale.
- In presenza di consumi regolari è più opportuno procedere con la gestione a scorta, al contrario, in
presenza di consumi irregolari una gestione a fabbisogno tenderà ad approvvigionare gli articoli in
prossimità del loro utilizzo.
- Definito tempo di programmazione (T) l’intervallo di tempo che intercorre tra quando ci
accorgiamo che avremo bisogno di un quantitativo di un articolo e la data in cui questo deve essere
consegnato, se questo è maggiore del lead time (L) possiamo utilizzare la tecnica di gestione a
fabbisogno, viceversa quella di gestione a scorte.

Nel caso di gestione a scorta esistono due approcci:

- Punto fisso di riordino


L’ordine dell’articolo viene emesso ogni volta che il livello della giacenza fisica raggiunge un
prefissato livello di riordino. Poiché la domanda è generalmente variabile, è necessario introdurre il
𝐷
tasso costante di domanda 𝑑 = , attraverso il quale possiamo calcolare il livello di riordino come
365
𝐿 = 𝑑 ∙ 𝑡𝑎 . A causa però di tale approssimazione dovuta a un’elevata variabilità della domanda e
del lead time, è necessario incrementare tale livello di una quantità detta scorta di sicurezza.
- Ciclo fisso di riordino
L’ordine avviene a intervalli di tempo prefissati. È utile quando devono essere effettuati più ordini
presso lo stesso fornitore.

Nel caso di gestione a fabbisogno, invece, terremo conto dell’MRP e dell’MRP II.

L’MRP (Material Requirement Planning), ovvero la pianificazione del fabbisogno dei materiali, si è
sviluppata negli USA intorno al 1960. La tecnica ha il merito di razionalizzare l’uso delle informazioni
disponibili nell’area gestione dei materiali per i conseguenti lanci degli ordini di acquisto o di produzione.
Nelle tecniche di gestione a scorta si perdono le informazioni circa le relazioni esistenti tra i vari livelli della
distinta base che porta a inefficienze come la presenza di materiale non richiesto e viceversa. Le
indisponibilità di materiale determina rallentamenti nel processo e il mancato rispetto della consegna porta
a costi aggiuntivi di straordinari. Per tale motivo si cerca sempre di innalzare il livello medio delle giacenze,
con conseguenze negative finanziarie sull’azienda.
L’MRP si propone di superare queste problematiche attraverso la lettura di informazioni provenienti dalla
distinta base, dalla movimentazione del magazzino e dal piano di produzione di periodo.
L’MRP opera sulla base delle informazioni provenienti dalla distinta base, dal Master Production Schedule e
dall’Inventory Transaction (IT) che riporta articolo per articolo lo stato dei valori di magazzino all’inizio della
programmazione, consentendo di calcolare i fabbisogni netti. In questo modo è possibile tempificare i
fabbisogni e determinare le azioni gestionali relative alle operazioni di approvvigionamento. Identificati i
fabbisogni netti, esistono molti modi per soddisfarli. Possono essere adottate politiche:

- Lancio dell’ordine di una quantità prefissata e costante per tutti gli ordini, tenendo conto del lead
time.
- Lotto per lotto, cioè la quantità dell’ordine che viene emesso ogni volta è pari al fabbisogno netto
che si verifica.
- Copertura temporale fissa, che provvede alla copertura dei fabbisogni netti per intervalli di tempo
definiti e costanti.

Tuttavia i fabbisogni previsti potrebbero essere errati, i tempi di approvvigionamento potrebbero subire
variazioni, la distinta base potrebbe subire modifiche e i dati relativi alle giacenze contabili potrebbero non
coincidere con le giacenze fisiche. Tutto ciò richiede un aggiornamento continuo dell’MRP (giri di MRP). Il
limite evidente di questa tecnica è che si presuppone una risposta al sistema produttivo,
indipendentemente dai vincoli di capacità produttiva, senza tenere conto della disponibilità delle risorse:
non consideriamo i cicli di lavorazione delle parti di tipo Make, trascurando dunque la verifica della capacità
produttiva.

Proprio questo limite ha portato allo sviluppo dell’MRP II di seconda generazione (Manufacturing Resource
Planning) in grado di eseguire una pianificazione integrata dei materiali e delle risorse di produzione.
All’MRP sono state aggiunte funzioni in grado di:

- Confrontare la capacità produttiva richiesta e quella effettiva


- Pianificare l’uso delle risorse di produzione durante l’orizzonte di pianificazione.

Proprio per la possibilità di verificare se la capacità richiesta eccede quella effettiva, l’MRP II viene anche
detto MP a capacità finita. In un primo momento si effettua una verifica di massima sulla disponibilità delle
risorse necessarie per soddisfare il piano di produzione. Nella prima fase si ragiona sui valori dei fabbisogni
lordi, calcolando i carichi di lavoro per ogni risorsa in ciascun bucket. Ciò consente di tracciare delle curve di
carico, che possono essere confrontate con quelle della disponibilità delle risorse, concludendo se il piano è
sostenibile. Se in alcuni periodo le curve di carico stanno al di sopra della disponibilità bisogna condurre
delle analisi più approfondite: ricordiamo, infatti, di aver ragionato sui fabbisogni lordi, disponendo dunque
di un margine di sicurezza.
Nel caso in cui il piano sia, dunque, insostenibile, si provvederà a rivederne gli obiettivi (spostando ad
esempio date di consegna), aumentare la disponibilità delle risorse ricorrendo a straordinari o affidando la
lavorazione a terzi.
Nel caso di piano realizzabile, invece, si prosegue con la temporizzazione delle attività, pianificando l’uso
delle risorse. Noti regole di assegnazione dei carichi e lead time di produzione, si può proseguire in due
modi:

- Caricamento in avanti, cioè il carico viene assegnato partendo dalla data di inizio al più presto. È
chiaro che se già in questo caso sforiamo la data di consegna, accumuleremo necessariamente un
ritardo.
- Caricamento all’indietro, cioè il carico viene assegnato a ritroso partendo dalla data di consegna.

Occorre infine tenere conto della gestione dei magazzini che determinano il fabbisogno netto di capacità
produttiva.

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