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LOCALIZZAZIONE: SIGNIFICATO DEL TERMINE E CRITERI DI SCELTA

La localizzazione, ovvero il luogo dove un’impresa decide di svolgere la propria attività, viene stabilita seguendo alcuni criteri di
scelta che tengono conto di una serie di vincoli e fattori, i quali possono essere suddivisi in due grandi gruppi:
- i vincoli ecologico ambientali, ossia tutte le caratteristiche naturali tipiche dei siti in cui sono situate le unità produttive
(disponibilità di risorse idriche, spazi adeguati, vicinanza al mare,caratteri geologici e morfologici del sito, smaltimento dei
rifiuti, pericolosità delle lavorazioni).
- i fattori funzionali, cioè le varie necessità tecniche ed economiche di ogni impresa (disponibilità di materie prime, fonti
energetiche, imprese fornitrici, mercato del lavoro, vicinanza ai mercati di sbocco per la distribuzione, trasporti, servizi e
infrastrutture).

A seconda del settore produttivo e del tipo di merci commercializzate, ogni impresa ha proprie esigenze che la portano a tenere in
maggior considerazione certi vincoli piuttosto che altri.

Oggi però, grazie all’introduzione delle nuove ed avanzate tecnologie, la natura non si presenta più come un elemento vincolante, ed è
quindi più consono parlare di condizionamenti ecologici che di vincoli ecologici.

La presenza di condizioni favorevoli facilità non solo l’attività delle imprese industriali, ma anche di conseguenza lo sviluppo
economico di un Paese.

Inoltre lo Stato e gli altri enti territoriali, al fine di stimolare gli insediamenti nelle zone più depresse, offrono alle imprese facilitazioni
fiscali e finanziarie come per esempio prestiti a tassi agevolati.

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Va detto infine che l’estensione delle telecomunicazioni e della telematica, l’accesso alle banche dati, e lo sviluppo ei trasporti (in
particolare dei collegamenti aerei), fanno si che oggi anche le imprese più periferiche riescano a comunicare con i mercati esteri,
favorendo quindi il processo di decentramento della produzione.

2. I MODELLI DI LOCALIZZAZIONE
I modelli di localizzazione industriale delle imprese produttive sono di due tipi: quello accentrato e quello diffuso.
La scelta tra i due dipende da diversi fattori, ma in particolare dall’organizzazione del territorio e dal sistema economico e sociale (per
esempio, se durante le prime fasi dell’industrializzazione quello di tipo accentrato era il principale, dopo la terza Rivoluzione
industriale si affermò quello del secondo tipo).
L’insediamento accentrato, era condizionato dai vincoli tecnologici del passato, e rendeva necessaria quindi indispensabile la
disponibilità idrica, quella di energia, la vicinanza alle materie prime (per esempio alle miniere) e alle linee ferroviarie.
Le imprese dello stesso settore tendevano quindi ad avvicinarsi l’una all’altra, e ciò giustificava l’intervento pubblico per la
realizzazione di infrastrutture e servizi, grazie alle quali le imprese potevano beneficiare di economie esterne.
Da questo tipo di insediamento trovarono maggior beneficio le aree urbane, perché la riduzione dei costi che derivava da questo
modello faceva si che si generassero le cosiddette economie di agglomerazione (ovvero quei vantaggi che le attività economiche
ottengono per il fatto di localizzarsi vicino alle altre, come per esempio la possibilità di acquistare prodotti intermedi di altre imprese,
condividere comuni attrezzature, ecc.., ed esse riguardano sia l’impresa che la popolazione).
Il modello di localizzazione diffuso è detto anche decentramento produttivo.
Le fabbriche della seconda Rivoluzione industriale spesso erano di grandi dimensioni ed erano ubicate nelle periferie delle città, e con
la crescita metropolitana queste vennero via via inglobate nel tessuto urbano, provocando effetti negativi sul piano sociale, ma non
solo.
Parallelamente cominciarono a sorgere diseconomie esterne dovute appunto ad un’organizzazione del territorio non specializzata,
caratterizzata
da un confuso mescolarsi di insediamenti industriali e abitazioni.

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Tutto ciò comportò un grave degrado ambientale, causato dal rumore, dal traffico e dall’inquinamento dell’aria, fattori che
comportarono un peggioramento nella qualità della vita dei cittadini.
Con il tempo il binomio industrializzazione-urbanesimo andò in crisi, e questa rottura fu accelerata negli anni ’70 con la crisi
petrolifera e la terza Rivoluzione industriale. Aumentarono moltissimo i costi per l’energia e gli enormi complessi industriali si
rivelarono dispendiosi e spesso inefficienti. Il primo Paese a costruire impianti i minori dimensioni fu il Giappone, anche nei settori
maggiori come la siderurgia o la chimica di base, dimostrando che una maggior flessibilità aveva effetti positivi sui costi.
Con l’introduzione delle nuove tecnologie, quindi dell’informatica della robotica e in particolare della telematica, si rivelò possibile
frazionare le grandi unità produttive nelle quali erano accorpate tutte le funzioni (direzionale, commerciale, produttiva).
Da questo ha avuto inizio un processo di decentramento produttivo, che ancora oggi coinvolge i maggiori Paesi ad avanzato sviluppo
economico-sociale.

Il trasferimento delle imprese al di fuori delle aree urbane ha però comportato il conseguente problema della riqualificazione delle aree
liberate.
Per esse infatti si può scegliere tra due opzioni:
- il riuso adattativo, che prevede la conservazione delle strutture (almeno di quelle esterne, ovvero dei muri perimetrali), che per
il loro valore architettonico sono negli anni diventate patrimonio sociale e culturale;
- la riconversione dell’area dismessa, che coinvolge i vari operatori (pubblici e privati) in un progetto di riqualificazione (ad
esempio spiagge dove prima erano locate fabbrica, ora sono di nuovo aperte alla balneazione).

Comunque, la decisione di decentrare la produzione diventa per l’impresa un finanziamento indiretto, in quanto vi è una notevole
differenza tra l’alto costo dell’area urbana dimessa e del nuova area agricola acquistata (il ricavo netto diventa infatti un ulteriore
stimolo alla rilocalizzazione).

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3. LA DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA: SIGNIFICATO DEL TERMINE E COME SI REALIZZA
TECNICAMENTE LA DELOCALIZZAZIONE

La delocalizzazione è quel fenomeno moderno che vede, in particolare le grandi imprese, trasferire le loro attività in Paesi come quelli
del Sudest asiatico, del Nord Africa, del Sud America e del Est Europeo dove il costo della manodopera è molto basso.

Oggi infatti, molti prodotti finiti che vengono collocati sul mercato, sono il risultato di lavorazioni realizzate in più paesi, quindi, come
spesso accade, esso può essere costituito da componenti fabbricate parte in Cina, parte in Corea e così via.

Sul piano tecnico, la delocalizzazione può realizzarsi attraverso:

1. come detto prima, la costituzione di filiali nei Paesi dove i costi per la produzione sono più convenienti;
2. accordi di sub-fornitura con imprese che offrono parti componenti del prodotto finito a prezzi più vantaggiosi;
3. acquisizione di pacchetti azionari di società che producono beni complementari, già esistenti, nel Paese che offre migliori
opportunità.

4. DIFFERENZA TRA DELOCALIZZAZIONE, OUTSOURCING E MULTINAZIONALI

Molto spesso, per meglio definire il significato della parola delocalizzazione, ad essa vengono affiancati termini come outsourcing e
multinazionali.

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La delocalizzazione è un processo che si realizza quando l’impresa trasferisce in blocco la propria attività all’estero per motivi di
convenienza.

Nell'outsourcing internazionale, al contrario, per la produzione del bene o la fornitura del servizio ci si rivolge ad un'altra impresa
che opera fuori dai confini nazionali. In questo senso l'attività produttiva fuoriesce sia dai confini nazionali che da quelli dell'impresa.

Le multinazionali infine, sono imprese caratterizzate da un chiaro ed effettivo "orientamento internazionale", ma limitato dal fatto che
la sede dei processi decisionali rimane all'interno del paese d'origine, anche se di fatto essa possiede o controlla attività di produzione
di beni o servizi in vari paesi.

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