Sei sulla pagina 1di 15

12.

LA LOGISTICA

Per comprendere di quale sistema produttivo si deve dotare l’impresa, il


management deve affrontare le seguenti tipologie di decisioni:
• decisioni strutturali → l’impresa deve determinare il livello di integrazione
verticale dei processi produttivi, la capacità produttiva degli impianti, la
tecnologia dei processi, la struttura tecnica dei macchinari, la localizzazione
degli impianti e il layout delle macchine;
• decisioni infra-strutturali → l’impresa deve formulare scelte di
programmazione della produzione, controllo delle scorte, politiche logistiche,
struttura dei costi, il controllo della qualità, la scelta dei materiali, etc.

La funzione produttiva è fonte di vantaggio quando le sue leve strategiche


fondamentali sono l’efficienza, la qualità, la flessibilità e la gestione del tempo.
In base agli elementi che differenziano i numerosi processi produttivi (il prodotto,
tecnologia produttiva, volume, organizzazione del lavoro, etc.), esistono quattro
tipologie di sistemi produttivi: su progetto, su modello, a processo intermittente a
grandi lotti, a processo continuo.

Sulla base della diversa tecnologia del progresso i processi si distinguono:


• ciclo tecnicamente obbligato → ciclo che è imposto dalla tecnologia di
trasformazione. Può essere unitario (es. negli impianti petrolchimici, gli
impianti siderurgici), o composto da macchine distinte;
• ciclo tecnicamente non obbligato → l’impresa può scegliere il tipo di
lavorazione e la sequenza delle operazioni da svolgere, non essendo vincolata
dalla tecnologia di trasformazione.

A seconda della natura tecnologica del prodotto i processi si distinguono in:


• produzione a flusso, prodotti liquidi e semiliquidi (es. raffinerie) →una volta
ottenuto il prodotto finito, non è più possibile risalire ai materiali di origine, in
quanto il processo ne ha modificato le proprietà chimiche e fisiche;
• produzione per parti → il prodotto è ottenuto dall’assemblaggio di diverse
parti quindi tecnicamente scomponibile (es. industria automobilistica).

In base al volume di produzione ottenuto abbiamo invece:


• la produzione unitaria → si produce un unico grande prodotto. In questa
categoria rientrano beni eterogenei: grandi opere infrastrutturali (dighe,
ponti, centrali elettriche, etc.), beni di grandi dimensioni (navi);
• la produzione intermittente, con tante varianti → L’attività di produzione è
intermittente quando realizzato un determinato prodotto. Le macchine
vengono fermate e poi riattrezzate per svolgere un differente ciclo di
trasformazione relativo ad un altro elemento;
• la produzione continua → si ottiene una grande quantità dello stesso tipo di
prodotto, le operazioni produttive si svolgono in modo continuo non si
fermano mai.

Una scelta attinente al processo produttivo da adottare per un determinato output è


costituita dalla struttura e del layout delle macchine operatrici. Si ha dunque una
disposizione delle macchine:
• per reparto → le macchine vengono raggruppate e disposte in reparti
specializzati. È importante la rilevazione dei “tempi di lavorazione” richiesti a
ciascuna macchina dai vari “lotti”, vengono cos’ determinate le combinazioni
e la sequenza più convenienti dei vari cicli di trasformazione. L’obiettivo del
programma di produzione dello stabilimento è costituito da date quantità di
prodotti da ottenersi entro scadenze prefissate. Il problema tecnico
organizzativo principale deve essere affrontato nella disposizione delle
macchine per reparto, determinazione della più conveniente posizione
relativa dei vari reparti. Un fattore di attenzione di attenzione è costituito dal
costo di movimento dei materiali;
• a catena → le macchine sono collocate in base alla sequenza delle operazioni
richieste tecnologicamente dall’unico ciclo che viene effettuato; il pezzo in
lavorazione si trasferisce da una macchina all’altra, via via che si svolge il ciclo
di trasformazione. L’obiettivo dei programmi di produzione è l’ottenimento di
un certo flusso produttivo nell’unità di tempo . Il problema tecnico-
organizzativo principale è quello del “bilanciamento della linea di
produzione”, determinando l’uguaglianza delle quantità di pezzi lavorati in
una unità di tempo in ciascuna delle successive stazioni di lavoro della linea,
cercando di ridurre al minimo i tempi di inutilizzo delle singole macchine;
• a isole → una tipologia che si è diffusa negli anni 80’ 90’, il cui risultato è la
confluenza del layout a catena e del layout per reparto. L’adozione di questo
layout e conveniente quando volendo svolgere diversi cicli produttivi, è
possibile suddividere in fasi “tecnologicamente simili” i vari cicli e ottenere
volumi di produzione tali da garantire convenienti livelli di sfruttamento della
capacità produttiva installata in ciascun gruppo. Con la Group technology si
creano legami fra differenti macchinari, che vengono utilizzati per diversi cicli
di lavorazione.

Le moderne imprese tendono ad adottare “produzioni snelle”che si fondano su due


principi: il Total Quality Control (TQC), e il Just in time (JIT).

Il JIT significa produrre la quantità giusta al momento giusto, con sistemi di


fabbricazione flessibili. Tale tecnica incrementa simultaneamente flessibilità,
efficienza e qualità del sistema, mediante un taglio drastico dei tempi produttivi (es.
Toyota Production System ).

Le caratteristiche di una produzione snella sono:


• taglio drastico dei tempi di produzione attraverso l’adozione di nuove specie
di macchine piccole e numerose, apprendimento continuo, riduzione dei
tempi di set-up (cioè di riatrezzaggio dei macchinari), e l’utilizzo di contenitori
per il trasporto di tipo standard;
• layout delle macchine con disposizione ad “U” riducendo le distanze fra i
macchinari, semplificando la comunicazione fra operai, rende più veloce il
ciclo di feedback, e facilita il passaggio da parte del personale da un
operazione all’altra. Unico svantaggio e per la diversificazione dei prodotti
(per la quale un layout per reparto rimane più valido).

Dalla produzione snella si è passati ad una produzione modulare. Il sistema


modulare di basa su due principi fondamentali:
• l’indipendenza dei moduli → ciò significa che eventuali modifiche apportate in
uno dei moduli non rendono necessari cambiamenti anche negli altri;
• l’interdipendenza tra i moduli → cioè la congruenza tra i moduli,
indispensabile per garantire l’integrità del sistema nel suo complesso.

Le interfacce sono caratteristiche che garantiscono la connessione (fisica e


informativa) fra i moduli indipendenti. Come approccio progettuale, la modularità
consente contemporaneamente lo sviluppo di diversi modelli di prodotto
(appartenenti alla stessa famiglia). Per piattaforma si intende il complesso degli
elementi principali di un prodotto che sono comuni a diversi modelli, da tale base
comune su può sviluppare una famiglia di prodotti, che condividono caratteristiche
progettuali, tecnologiche, metodi di produzione.
L’unico vincolo a cui queste imprese devono sottostare è il rispetto delle interfacce
standardizzate. Il produttore finale (manufacturer) si qualifica più precisamente
come “assemblatore” che, in funzione delle richieste della domanda, compone
l’offerta aggregando diversi moduli; i modular suppliers invece si specializzano nella
produzione dei singoli modi.

Un determinato stabilimento, che può risultare “ottimo” per una data impresa, può
invece non essere adatto per un’altra impresa dello stesso settore industriale, la
quale operi sul mercato con una diversa strategia. Molte imprese adottano diversi
tipi di processi caratterizzati da un diverso rapporto costi-fissi variabili. Passando
dagli impianti più piccoli agli impianti dotati di maggiore capacità produttiva,
vengono adottate tecniche della produzione di massa ottenibili gradi più elevati di
efficienza tecnico-economica. Il costo medio minimo di fabbricazione del prodotto
diminuisce all’aumento del grado di efficienza tecnico-economica. La differenza fra il
costo minimo di due impianti con differente capacità produttiva rappresenta
un’economia di scala “tecnologica”. L’andamento del costo medio produzione del
prodotto di “lungo periodo” varia in relazione alla capacità produttive degli impianti,
tra i quali l’impresa può scegliere.
Le economie di scala dunque danno origine alla diminuzione del costo medio di
fabbricazione del prodotto, fino a che si realizza l’impianto con efficienza minima.
Il livello di domanda che l’impresa vuol soddisfare è relativo alla scelta della capacità
produttiva più conveniente del sistema produttivo. Come prima cosa per la
programmazione della capacità produttiva si deve compiere un analisi e previsione
della domanda nel lungo-periodo, tipico delle ricerche di marketing. Il secondo
problema è che per evitare i cosiddetti “costi affondati”, l’impresa deve sfruttare
bene la capacità produttiva degli impianti visto la variabilità della domanda.
L’impresa, dopo aver previsto la tendenza di fondo della domanda aziendale, deve
decidere a quale volume di domanda conviene riferire la capacità produttiva
dell’impianto.

In un contesto caratterizzato da una forte variabilità delle condizioni del mercato la


flessibilità del sistema produttivo diviene una condizione fondamentale. I sistemi
flessibili sono utili per ottenere elevati livelli di efficienza e idonei per ottenere
produzioni diversificate. Si tratta di sistemi di produzione basati su un largo impiego
delle tecnologie informatiche. Si collocano come soluzioni intermedie tra due
concezioni tecnologiche estreme:
• le macchine universali tradizionali → che offrono il massimo grado di
flessibilità produttiva, possono essere impiegate per ottenere molti prodotti
diversi;
• le linee transfer rigide → completamente specializzate e convenienti per
ottenere elevati volumi produttivi di uno o due prodotti.

I principali vantaggi dei sistemi di produzione flessibili sono i seguenti:


• estrema flessibilità;
• risposta rapida;
• maggiore controllo;
• riduzione degli sprechi; • maggiore prevedibilità; • lavorazione più
veloce.

Uno degli aspetti critici è un maggiore investimento iniziale, per un livello di


flessibilità elevata (con tecnologie sofisticate). Per un livello di flessibilità basso
abbiamo bassi investimenti iniziali, e costi di trasformazione elevati.
Dopo aver determinato la capacità produttiva dell’impianto da costruire e dopo aver
individuato le molteplici “operazioni elementari” e fasi di lavorazione in cui
scomporre il processo produttivo, è necessario effettuare una scelta delle fasi
produttive da svolgere internamente e individuazione di quelle che conviene
delegare all’esterno; dunque si valuta:
• l’integrazione verticale ascendente “a monte” oppure un integrazione
verticale discendente
“a valle” verso i mercati dei prodotti finiti;
• effetti su struttura e dimensione dell’impresa e sull’organizzazione del settore
industriale.

La scelta di internalizzare o esternalizzare le attività di produzione dipende


dall’analisi delle seguenti criteri:
• dal confronto tra costo di produzione interno e prezzo di acquisto sul
mercato;
• fabbisogno interno compatibile con la capacità produttiva ottima-minima
dell’impianto da integrare (sfruttamento di economie di scala tecnologiche);
• incremento dei profitti non inferiore a quello ottenibile da impieghi
alternativi.

L’integrazione verticale ascendente risulta economicamente conveniente quando si


verificano tre condizione seguenti:
• il fabbisogno interno del componente è compatibile con la capacità produttiva
ottimaminima dell’impianto da integrare;
• costo di produzione interno inferiore al prezzo di acquisto;
• profitto superiore a quello fatto con un’ ipotetico altro investimento.

Gli aspetti critici dell’integrazione verticale sono:


• vincoli tecnologici;
• caratteristiche economiche dei mercati di approvvigionamento (le aziende
fornitrici non garantiscono la fornitura nella quantità, nella qualità e nei tempi
richiesti);
• il mantenimento di specifiche “competenze” aziendali.

Il decentramento produttivo è una politica aziendale alternativa all’integrazione


verticale. Le ragioni che spingono al decentramento sono: la pressione competitiva,
recuperare flessibilità ed efficienza, accedere a risorse critiche.

Per meglio comprendere la complessità della programmazione della produzione è


opportuno considerare le tipologie di produzione in base ad almeno i seguenti
criteri:
• il rapporto temporale esistente tra la fabbricazione e la vendita del prodotto;
• il tipo di processo produttivo;
• la complessità del prodotto.

Riguardo al primo criterio, si possono presentare due tipologie produttive:


• produzione per magazzino → la fabbricazione precede il momento della
vendita e si basa sulla previsione della domanda. L’impresa sostiene dei rischi
di mercato investe nei fattori produttivi e realizza la produzione in un a
situazione di incertezza per i prodotti che effettivamente riuscirà a collocare
sul mercato e a i prezzi di vendita;
• produzione su commessa → la fabbricazione avviene dopo la vendita dopo
aver ricevuto l’ordine di acquisto dal cliente, ci sono qui dei rischi d’esercizio,
derivanti dall’incertezza relativa ai prezzi di acquisto dei fattori produttivi
necessari per ottenere il prodotto.
Riguardo alla tipologia del processo, bisogna fare la distinzione tra produzione
continua, intermittente e quella unitaria. Per la complessità del prodotto, va
osservato che la complessità della programmazione risulta tanto maggiore, quanto
più numerose e differenti sono le parti del prodotto per ottenere l’output finale. Con
la programmazione della produzione il management decide quali prodotti
fabbricare, in quali quantità, entro quali tempi e con quali modalità svolgere le
attività.
La programmazione della produzione si esplica nelle seguenti attività:
• definizione degli ordini di produzione, cioè stabilire la qualità di pesi da
fabbricare per ogni prodotto;
• assegnazione dagli ordini di produzione, cioè attribuire a ciascun reparto
operativo la lavorazione di determinati lotti di pezzi;
• pianificazione dei fabbisogni di componenti e materie prime, calcolare la
quantità richiesta dalle lavorazioni che devono essere svolte;
• definizione della sequenza delle lavorazioni sulle singole macchine.

Le principali categorie di costi relativi alla realizzazione dei piani di produzione sono:
• costi variabili di produzione;
• costi fissi di produzione;
• costo del lavoro straordinario;
• costi outsourcing, nel caso in cui l’impresa affidi lo svolgimento di varie attività
a terzi;
• costi mantenimento scorte;
• costi stockout, cioè i costi da sostenere quando la quantità dei pezzi
disponibili in magazzino non sono sufficienti a soddisfare la domanda.

Il punto di partenza del processo di programmazione della produzione è l’analisi


della domanda, che viene formalizzata nel piano della domanda che calcola il
volume di produzione richiesto dal mercato espresso dalla capacità produttiva
necessaria, il quale deriva:
• dagli ordini ricevuti dalla clientela (produzioni su commessa);
• dalle previsioni di vendita a breve/medio termine (produzione per
magazzino).

In una fase iniziale l’obiettivo principale della programmazione aggregata della


produzione è bilanciare la capacità produttiva disponibile con la capacità produttiva
necessaria, cioè accertare che il sistema operativo possieda le risorse necessarie per
soddisfare le richieste provenienti dal mercato.

“Capacità produttiva” e “produttività” sono due concetti diversi. La capacità


produttiva è la quantità di output ottenibile da un sistema produttivo in un
determinato periodo di tempo; la produttività è data dal rapporto tra l’output
ottenuto dal sistema produttivo in un periodo di tempo e le risorse consumate per
ottenerlo, dunque la produttività è un indice di efficienza.

Nel piano aggregato di produzione sono calcolate:


• le quantità annuali di pezzi da produrre;
• le qualità e quantità delle risorse produttive che devono esser impegnate per
ottenere quelle quantità.

Il piano principale di produzione consente una programmazione dettagliata della


produzione (quantità di ciascun prodotto) ed il suo oggetto varia in relazione alla
politica di produzione dell’impresa.

Si possono presentare le seguenti cinque politiche di produzione:


• MAKE TO STOCK → vendita successiva alla produzione (es. prodotti alimentari
non deperibili);
• ASSEMBLE TO ORDER → soltanto l’assemblaggio avviene dopo la vendita (es.
settore automobilistico);
• MAKE TO ORDER →soltanto il processo di produzione avviene dopo la
vendita;
• PURCHASE TO ORDER → solo la progettazione avviene prima della vendita;
• ENGINEERING TO ORDER → operations tirate dagli ordini dei clienti, esempio
sono le opera strutturali.

Lo scheduling operativo consente la determinazione del periodo di tempo


necessario per svolgere le attività produttive richieste dall’esecuzione di un dato
ordine di produzione. Assegna i singoli centri di lavoro gli ordini di produzione.

Quando infine inizia la fase di esecuzione prende avvio il controllo della produzione.
Esso consente di rilevare giornalmente lo stato di avanzamento delle lavorazioni per
garantire il rispetto dei piani, evidenziando e correggendo eventuali scostamenti

Si possono distinguere due tipologie di controllo:


• controllo di retroazione (o feedback) con rilevazioni di eventuali scostamenti
solo al termine delle operazioni di produzione;
• controllo di direzione (o feedforward), interviene prima dell’esecuzione del
programma.
L’intento di qualsiasi impresa è quello di poter effettuare un “controllo in real time”:
appena rilevato qualsiasi scostamento dal programma delle lavorazioni, l’operatore
può correggere tale scostamento in tempo utile.

Nella realtà, i sistemi di programmazione della produzione possono adottare due


logiche differenti:
• logica push → programmazione della produzione in base alle previsioni di
vendita,un problema del sistema è un rischio di mercato.
• logica pull →la produzione e l’acquisto sono tirati dagli ordini effettivi, il
rischio è minore in quanto non è necessario prevedere la domanda.
Storicamente le imprese sono passate dalla programmazione di tipo push alla
programmazione di tipo pull, adottando la tecnica gestionale del just in time.

La logistica è l’insieme delle decisioni e delle attività, che sono finalizzate a


un’efficace ed efficiente gestione del “flusso dei materiali”( materie prime,
semilavorati, componenti, prodotti finiti).

Le attività logistiche sono:


• programmazione degli acquisti;
• trasporto dei materiali, fornitore allo stabilimento;
• stoccaggio dei materiali nei magazzini;
• gestione della movimentazione interna dei materiali;
• stoccaggio dei prodotti in corso di lavorazione;
• stoccaggio dei prodotti finiti;
• programmazione delle consegne e trasporto dei prodotti finiti.
In un sistema logistico è possibile individuare tre componenti fondamentali:
• la componente infrastrutturale → cioè i vari stabilimenti di produzione e i
magazzini tra i quali circola il flusso dei materiali, prima di raggiungere il
mercato di riferimento;
• la componente informativa → la quale è data dal “flusso delle informazioni”
concernenti la gestione dei materiali. Il flusso informativo “anima” la rete
logistica, orientandola verso prefissati obiettivi di efficienza e di efficacia;
• la componente organizzativa → che attiene alle modalità con le quali le
responsabilità e i compiti sono ripartiti fra le diverse funzioni all’interno
dell’impresa.
La capacità di assicurare consegne veloci e affidabili e di “personalizzare” le modalità
di consegna consente all’impresa:
• di aumentare il prezzo del prodotto;
• di ottenere un aumento del volume delle vendite.

Le imprese separano spesso le attività logistiche in due parti:


• la gestione dei materiali;
• la distribuzione fisica dei prodotti.

L’approvigionamento comprende le seguenti attività principali: analisi dei mercati


d’acquisto; ricerca e valutazione preventiva di nuovi fornitori; selezione del fornitore
(in base al costo di acquisto, alle qualità del prodotto e alla tempestività e puntualità
delle consegne); progettazione degli strumenti di controllo delle prestazioni del
fornitore. La matrice di Kraljic (1983) individua quattro tipologie di acquisti in
funzione delle seguenti due variabili: l’importanza strategica/economica del
materiale acquistato nel processo produttivo dell’impresa cliente e il rischio di
approvvigionamento che attiene al livello di difficoltà che l’impresa acquirente
incontra nel reperire il componente sul mercato.

Possono essere individuate le seguenti tipologie di materiali:


• non critici → materiali e componenti che non presentano problemi di
reperibilità (prodotti da un elevato numero di fornitori), hanno un impatto
limitato sulla redditività dell’impresa cliente. L’obiettivo principale di questa
politica di approvvigionamento è la riduzione dei costi del processo di
acquisto, mettendo i concorrenza i fornitori dello stesso materiale;
• con effetto moltiplicativo → materiali prodotti da un numero elevato di
fornitori che sono molto importanti dal punto di vista dei costi dell’acquirente
(effetto leva). L’obiettivo di riduzione dei costi non si presenta facile da
raggiungere;
• a collo di bottiglia → materiali con un elevato rischi di approvvigionamento e
per una limitata importanza economica. Dato la scarsità dei fornitori
l’obiettivo di tale politica è concentrarsi sulla creazione delle scorte visto il
basso costo, per compensare eventuali ritardi o interruzione nelle forniture;
• strategici → componenti chiave per l’attività produttiva dell’azienda
acquirente, offerti in numero limitato, le azioni principali da svolgere sono
creare rapporti di lungo termine, collaborazione e controllo con l’impresa
fornitrice.

Le scorte sono costituite da tutti i materiali, di diversa natura, con differenti


motivazioni e con vari obiettivi, che si trovano fisicamente in locali di produzione o
di stoccaggio dell’impresa, la quale ne esercita anche il controllo.

Esistono le seguenti tipologie di scorte ai fini della programmazione della


produzione:
• materie prime → alimentano i processi produttivi dell’impresa industriale;
• i semilavorati → work in process, che comprendono che hanno subito
trasformazioni in seguito a lavorazione nel sistema produttivo;
• i componenti → quei particolari o moduli già finiti destinati a essere utilizzati
nelle linee o ne ireparti di assemblaggio;
• i prodotti finiti → beni che hanno terminato il proprio ciclo di trasformazione
e sono pronti per la consegna all’acquirente.

Secondo un’altra classificazione, fondata sulla funzione svolta dai materiali nel
sistema logistico, si rilevano:
• scorte di transito → costituite dai materiali trasferiti d un luogo all’altro
all’interno o all’esterno dello stabilimento;
• le scorte di sicurezza → dirette a fronteggiare gli effetti negativi di variazioni
non previste dalla domanda;
• le scorte speculative → che possono assicurare un maggior ricavo nel
momento della vendita (es. offerte 3x2).

Il material management consiste in un insieme di tecniche, che possono essere


utilizzate per la programmazione il controllo delle scorte. Le decisioni fondamentali
nella gestione della scorta di uno specifico materiale sono tre:
• quale livello massimo della scorta si deve programmare;
• quando ordinare, ossia il momento che occorre emettere l’ordine di
approvvigionamento;
• quanto ordinare la quantità da riordinare.

La gestione dei materiali viene in genere impostata secondo o la logica dello stock
control o la logica del flow control. La principale differenza consiste nel differente
momento in cui viene emesso l’ordine d’acquisto del materiale, rispetto al momento
del fabbisogno di tale materiale.
• la stock control prevede l’esistenza di una scorta reintegrata mediante il
lancio di un ordine di approvvigionamento, quando si accerta che il livello
dello stock è diminuito rispetto al fabbisogno previsto;
• nella logica del flow control l’attenzione si sposta dal controllo dello stock al
controllo del flusso di materiali, cioè il flusso che attraversa i vari stadi della
supply chain.
Riguardo la modalità organizzativa basata sulla pianificazione del fabbisogno dei
materiali, per sapere quale logica adottare per la gestione di ogni tipologia di
materiale si possono esaminare i seguenti fattori:
• il rapporto tra lead time e tempo di programmazione;
• il valore di impiego dei materiali;
• natura della domanda;
• frequenza d’uso del materiale.

Le tecniche di gestione sono per la logica stock control:


• tecniche di riordino “a quantità fissa” → si caratterizzano per il controllo
continuo del materiale in stock e, quando le scorte scendono a un
determinato livello minimo, avviene il reintegro, sempre della medesima
entità. Uno dei problemi di questa tecnica è quello di determinare la
dimensione del lotto che risulta economicamente più conveniente per
l’impresa, quantitativo costante da ordinare di volta in volta per ridurre al
minimo i costi totali di gestione delle scorte (costi di ordinazione + costi di
mantenimento);
• tecniche di riordino “a periodo fisso” → prevedono il controllo dello stock e
l’emissione degli ordini (di acquisto e di produzione) a intervalli di tempo
costanti(per esempio ogni settimana, ogni mese ecc.).

La determinazione del livello di riordino dipende essenzialmente da tre fattori:


• il tempo necessario per l’approvvigionamento; • il consumo di merce nel lead
time;
• la scorta di sicurezza.

Per la logica del flow control una tecnica di gestione dei materiali e il material
requirement planning che punta a far coincidere il momento in cui si manifesta il
fabbisogno di un dato materiale con il momento in cui il materiale è disponibile, al
fine di evitare inutili immobilizzi di scorte. Il funzionamento della tecnica MRP si
articola nelle seguenti fasi operative:
1. determinazione delle quantità da produrre e delle date di consegna per ogni
prodotto finito;
2. calcolo della quantità di ciascun materiale(materie prime, componenti,
semilavorati) necessaria per l’attuazione de programma di produzione;
3. determinazione del momento in cui dovranno essere inviati gli ordini di
acquisto e gli ordini di produzione, per i quantitativi di materiali in precedenza
calcolati.

Nell’ultima fase è indispensabile conoscere:


• il lead time di produzione → cioè la durata di ogni fase di lavorazione per
produrre ciascun componente;
• il lead time di approvvigionamento → periodo di tempo tra l’emissione
dell’ordine e la consegna del materiale rispetto al momento del suo utilizzo.

Il just in time è una tecnica di gestione delle scorte che:


• si basa sul principio di produrre i prodotti che servono nel momento e nella
quantità in cui sono richiesti;
• consente di rendere minime le scorte, incrementare la produttività, migliorare
il servizio al cliente;
• si basa sulla tecnica del kanban; questa tecnica si basa su un principio molto
semplice produrre il minimo indispensabile, per evitare l’accumulazione di
scorte fra una stazione di lavoro all’altro.
Lo strumento fondamentale di questa tecnica è il cartellino o scheda (kanban). Nella
versione più diffusa il sistema funziona in base a due tipi di schede: il kanban di
movimentazione, che accompagna i materiali nei loro movimenti, e quello di
produzione, che autorizza il centro precedente a produrre il pezzo, dopo che si è
sviluppato il fabbisogno al centro di lavorazione seguente.

Il process re-engineering introduce un ripensamento fondamentale della struttura


dei processi (produttivi, organizzativi, informativi, decisionali) con cui l’azienda
organizza la propria attività. Tale ripensamento è finalizzato ad ottenere radicali
miglioramenti nelle performance dell’impresa sotto il profilo dei costi, della qualità,
del servizio, della tempestività, etc.

La qualità è diventato elemento fondamentale del vantaggio competitivo. In passato


assicurare la qualità ha significato prevalentemente garantire la conformità alle
specifiche di progettazione di un dato bene a una serie standard. Ora il
management aziendale deve quindi comprendere anche il punto di vista del
consumatore; le caratteristiche del prodotto devono ottenere il soddisfacimento
delle aspettative del “cliente” (customer satisfaction).
Il Total Quality Management è un approccio gestionale per l’ottenimento di un
elevato livello di soddisfazione dei clienti e consiste in un insieme di azioni, quali
programmi di miglioramento continuo a tutti i livelli e coinvolgimento alla qualità
dell’intera azienda e delle singole persone. Durante gli anni ‘90 grande diffusione ha
avuto l’istituto della Certificazione della Qualità; la certificazione è l’attestazione,
rilasciata da un ente super partes, che un prodotto o il sistema di qualità
dell’impresa è conforme ai requisiti, contenuti nelle norme o regole definite da enti
specializzati. La certificazione consente all’impresa di ottenere una maggiore
credibilità, in quanto la qualità viene valutata in base a criteri oggettivi e da enti
esterni all’impresa: ciò produce effetti positivi sull’immagine aziendale.

L’Information and Communications Technology sono l'insieme dei metodi e delle


tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di
informazioni (tecnologie web e digitali comprese), ampiamente diffusisi a partire
dalla cosiddetta Terza rivoluzione industriale.
Verso l’interno del sistema azienda abbiamo:
• applicazione dell’ICT al sistema informativo aziendale;
• gestione informatizzata delle attività logistico-produttive. Verso l’esterno
distinguiamo in base ai destinatari:
• clienti → controllo degli ordini;
• fornitori → verifica scorte e tempestività delle forniture;
• integrazioni con i partner.
Le potenzialità delle tecnologie informatiche nella gestione della produzione si
esprimono in:
• velocità dei processi decisionali;
• riduzione del lead time dei processi aziendali;
• miglioramento della capacità di risposta ai cambiamenti dell’ambiente; •
miglioramento della produttività del lavoro e dell’efficienza del sistema.

La time-based competition vede la “riduzione del tempo” come fattore competitivo


dell’impresa che può avvenire attraverso:
• riduzione del ciclo di sviluppo di nuovi prodotti e del ciclo di fabbricazione.
• in particolare la riorganizzazione delle diverse aree della produzione: impianti,
layout, gestione dei materiali, programmazione, controllo delle scorte
la quick response che è una tecnica di gestione del flusso delle informazioni che
accompagna quello dei materiali. È simile come principio al just in time.

Potrebbero piacerti anche