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1) DEFINIRE COSA RAPPRESENTA L’INDICATORE OEE DI NAKAJIMA (TIPO 2) E

COME È POSSIBILE CALCOLARLO


OEE = Disponibilità • Efficienza delle Prestazioni • Qualità
L’OEE di Nakajima è un indice di prestazione di efficacia di un sistema produttivo, ed
esprime il rendimento globale delle risorse produttive (umane o tecniche) durante il tempo
in cui questi sono disponibili a produrre.
Dall’espressione dell’ OEE si denota come dipenda da tre grandi aspetti:
- Disponibilità: essa può essere:
▪ A Guasto: tempi di inattività non pianificato
Dg = MTBF/(MTBF+MTTR)
▪ A Setup: tempo di inattività pianificato. I tempi dovuti a setup sono dei
tempi di installazione e regolazione utili al cambio prodotto
Ds = Tcar/(Tcar + Tsetup)
D = Dg • Ds
- Efficienza delle prestazioni: grandezza che viene influenzata da:
▪ Micro fermate: dovuti ad alimentazioni errate, flusso di processo poco
fluido …
▪ Produzione reale inferiore a quella pianificata: dovuta alla lentezza o
malfunzionamento delle apparecchiature o scarsa esperienza degli addetti
a lavori
EP = Microfermate + Rallentamenti
- Qualità: anch’essa decresce in base al rendimento ridotto delle lavorazioni, ma
soprattutto da errori di lavorazione che rendono difettosi i semilavorati e quindi costretti
a scartarli o rilavorarli
Q = 1 – s dove s’è il tasso di difettosità della risorsa che sta lavorando.
Q è il tasso di qualità, che rappresenta il tempo perso da una macchina per via di
difettosità di prodotto, provocato da scarti e rilavorazioni, i quali possono essere dovuti a
impostazioni errate della risorsa, umana e non.
2) DEFINIRE COSA RAPPRESENTA L’INDICATORE OEE MISURATO (TIPO 1) E
COME È POSSIBILE CALCOLARLO
OEE = Disponibilità • Efficienza delle Prestazioni • Qualità
Una volta definito l’OEE pianificato, entrando nel pratico, l’ OEE va riclassificato in
maniera più accurata. L’obiettivo è quello di organizzare e inserire le perdite nell'’indicatore
in relazione alle cause e non alla loro natura. Per calcolare l’OEE misurato, occorre quindi
ricorrere allo schema dei tempi, dunque bisognerà misurare: Perdite di Programma, Fermate
Programmate e non, Scarti e Rilavorazioni, mentre Microfermate e Rallentamenti vengono
riclassificate sotto la voce “altro” perché sono valori non misurabili (se lo fossero, sul
libretto macchina dovrebbero essere segnalate TUTTE le micro-inefficienze ma sarebbe
troppo oneroso). Inoltre, si misura il tempo disponibile e il totale dei prodotti buoni
realizzati.
La qualità sarà misurata in base agli scarti e alle rilavorazioni che vengono effettivamente
fatte e verrà misurata come il rapporto tra Tempo di Prod efficace (calcolato come TCt per
numero di prodotti buoni, perché in questo tempo la macchina lavora solo i prodotti buoni) e
Tempo operativo Netto (calcolato come TCt per la somma tra prodotti buoni, scarti e
rilavorazioni, ciò perché questo è il tempo in cui lavora tutti i prodotti)
L’efficienza delle prestazioni invece è calcolata come il rapporto tra Tempo operativo netto
(quello di prima) e Tempo Operativo (Tcar – Fermate Non Programmate). Per calcolare le
microfermate e i rallentamenti, dato che non sono misurabili, si valuta la differenza tra
Tempo Operativo e Tempo Operativo netto.
Infine, la disponibilità può essere calcolata come:
- Disponibilità = Tempo Operativo/Tempo Carico
- Disponibilità = Tempo Operativo/Tempo Disponibile
- Disponibilità = Tempo Operativo/Tempo Calendario
A seconda di come calcolo la disponibilità, l’OEE può assumere diversi significati: nel
primo caso considero nell'’indicatore solamente le fermate non programmate, nel secondo
considero anche quelle programmate e nell’ultimo prendo in considerazione anche le perdite
di programma. Considerare un tempo nell’OEE è fondamentale poiché tutti i tempi che non
considero li imputerò al grado di utilizzazione
3) DIFFERENZE TRA OOE PIANIFICATO E MISURATO
- Pianificato imputo per natura, misurato imputo per cause
- Pianificato basato su tempi teorici e medi, misurato basato su dati specifici alla
produzione
- Unkown dell’EP
4) DESCRIVERE IL RUOLO DEI BUFFER ALL’INTERNO DI UNA LINEA DI
PRODUZIONE
Un buffer costituisce uno strumento di protezione dal potenziale impatto dovuto alle
inefficienze dovute alle numerose variabili di rischio di un impianto. L’introduzione di essi,
nel caso specifico, permette di disaccoppiare le dinamiche (connessione Lasca), riducendo al
minimo il rischio associato alla dipendenza diretta dalle altre macchine (cosa che non
avverrebbe se fossi in connessione Rigida). Questo però deve essere dimensionato in modo
tale da essere abbastanza capiente da garantire: capienza per qualsiasi tipo di fermata;
materiale alla macchina per permettergli di lavorare quando la macchina a monte è in
starving; permettere alla macchina di lavorare anche nel momento in cui la macchina a valle
non riesce a ricevere materiale in quanto è in blocking. Un buffer in generale si differenzia
dai magazzini (ad esempio per setup) sia per la loro funzione sia perché questi ultimi
nascono tracciati, cioè posseggono un sistema informativo centrale in grado di farci
conoscere la merce che li risiede, mentre il buffer non lo è. I buffer da noi più utilizzati son
quelli inter-operazionali, che sono usati soprattutto in sistemi di tipo Push, dove si produce
per un magazzino seguendo un piano di produzione. La presenza di un buffer però comporta
dei costi da sostenere dovuti alle numerose scorte, ovvero tanto capitale immobilizzato.
Questi costi, spesso, dipendono dal valore del materiale a scorta, che comprende il costo del
capitale (poiché le scorte vengono pagate con capitale circolante), il costo dell’obsolescenza
e il costo della conservazione. Ovviamente i costi di giacenza dipendono anche
dall’ingombro massimo (costo dello spazio) e dai WIP.
5) EFFETTUARE UN CONFRONTO FRA I DUE INDICATORI GU ED OEE,
DEFINENDO SE POSSONO ESSERE CONSIDERATI COME INDICATORI DI
PERFORMANCE O MENO.
OEE = OVERALL EFFECTIVENESS EQUIPEMENT, GU = GRADO DI
UTILIZZAZIONE.
L’OEE è definito come prodotto tra D, EP, Q, mentre il GU è definito come il rapporto tra le
Unità Prodotte e la Capacità produttiva Reale su tutto il tempo di apertura, ed in genere
minore di uno a meno che la macchina non sia Collo di Bottiglia con Tcar > Tap
In particolare, tutte le perdite non imputate all’OEE verranno imputate al GU. L’ OEE è
generalmente considerato l’indicatore di performance principale, per cui è importante
considerare le perdite di tempo al suo interno, cosicché si possa dare un importanza
maggiore ad essi, e se possibile migliorarli.
In realtà, neanche l’OEE è un vero e proprio indicatore di performance per due motivi: la
valutazione dell’indicatore andrebbe fatta in un orizzonte temporale considerevole (Lungo
periodo); le perdite Programmate (ad esempio i setup) rappresentano una perdita che in
realtà deriva da una scelta. I setup, infatti, posso scegliere se farli o meno, e di conseguenza
non posso paragonare l’OEE di macchine gemelle se non hanno fatto lo stesso numero di
setup.
6) DESCRIVERE LE DIFFERENZE E I VANTAGGI DI UN SISTEMA PUSH E UN
SISTEMA PULL
La produzione Push e quella Pull sono due modalità diverse di risposta alla domanda da un
punto di vista temporale. La produzione di tipo Push si basa sulla previsione della domanda
(forecasting), e sulla base di questa previsione verrà avviata la produzione. Alla fine di essa
la merce andrà nei magazzini adibiti ai prodotti finiti, attenderà l’arrivo dell’ordine e infine
sarà consegnato sul mercato. Questo tipo di produzione è definita Make To Stock. È un
sistema che ha come sue caratteristiche principali: l’elevata presenza di rimanenze (utile a
garantire il livello di servizio), la lavorazione di lotti di grandi dimensioni così da ridurre il
numero di setup, ma soprattutto un’elevata capacità di risposta alla domanda (dovuta alla
presenza, oltre che al magazzino prodotti finito, anche di buffer interoperazionali, che
permettono di alleggerire il bottleneck e di far lavorare continuamente tutte le macchine). Di
contro, però, è un sistema che prevede la presenza di WIP, e quindi capitale immobilizzato
(elevati costi di giacenza), e anche elevati tempi di attesa rispetto ai tempi di valore
aggiunto. I sistemi pull, invece, sono quei sistemi che lavorano seguendo la domanda reale,
cioè si adegua alle oscillazioni della domanda da parte del mercato. Come funziona: il
mercato effettua un ordine che arriva in fabbrica, la quale fa ordine di acquisto di materiale
alla Supply Chain con conseguente consegna da parte del fornitore, e solo in questo
momento parte la produzione e la successiva consegna del prodotto finito. È un sistema che
sostanzialmente produce solo successivamente all’arrivo dell’ ordine (Make To Order). Tale
approccio, ha il vantaggio non produrre WIP (non c’è capitale immobilizzato e quindi non ci
sono costi di giacenza), riducendo quindi il Throughput Time. D’altro canto, i grossi
svantaggi che risiedono in questi sistemi risiedono nel fatto che tutte le macchine risentono
delle inefficienze delle altre (connessione rigida), che esse stesse aumentano a causa della
domanda (perché l’impianto non lavora a velocità costante). La condizione necessaria per
lavorare in pull è che il Ptime < Dtime, dove il Ptime rappresenta il tempo che intercorre
dall’ordine fino alla sua evasione, e il Dtime è il tempo che il mercato è disposto ad
aspettare per l’evasione di quest’ultimo.
7) SISTEMI MISTI PUSH-PULL
La condizione necessaria per lavorare in pull è che il Ptime < Dtime. Ciò, però, non significa
che ogni volta che questo non accade devo lavorare in pull, poiché gli svantaggi del pull
possono essere superiori ai vantaggi. Se dividessi il Ptime in Approvvigionamento
(LTsource), Fabbricazione (LTmake), Consegna (LTdeliver), posso analizzare dei casi in
cui posso produrre in Push-Pull.
Se Ptime > Dtime > LTmake + LTdeliver: posso approvvigionarmi in Push, ma poi produrre
e consegnare in Pull, facendo così scorte di Mat Prime che hanno minor valore e quindi
minori costi di giacenza rispetto ai prodotti finiti.
Se LTmake + LTdeliver > Dtime > LTdeliver: posso approvvigionarmi e produrre in Push,
ma consegnare in pull. Ciò può essere importante quando ho richieste in diverse parti del
mondo. Tutto ciò comporta il fatto che è possibile scomporre il processo in due parti: la
prima parte, che sarà gestita in Push, mentre la seconda che sarà in pull. Ovviamente tra di
esse deve esserci un magazzino per i semilavorati.
Questi sistemi sono detti Make To Stock- Assemble To Order (MTS-ATO). I vantaggi
consistono nella possibilità di ridisegnare il processo in modo tale da avere semilavorati
indifferenziati fino al punto di cerniera e differenziazione solo a valle di esso, riducendo così
anche la quantità di scorta in giacenza e i relativi costi. La cerniera, e quindi le scorte,
devono essere poste a monte delle attività più costose, in modo tale che i materiali
immagazzinati abbiano meno valore. Un altro esempio di sistema misto è l’Hub & Spoke, in
cui sono creati magazzini regionali (hub) che vengono riforniti in pull, ma i prodotti
vengono fatti in Push.
8) SPIEGARE NEL DETTAGLIO COSA SONO LE TECNICHE SMED ED IN CHE MODO
É POSSIBILE APPLICARLE
Le tecniche SMED (Single Minute Exchange Of Dies) sono state sviluppate intorno agli
anni 50’ da Shingeo Shingo, per la riduzione drastica dei tempi di setup. Ridurre questi
tempi diventa fondamentale perché permette di ridurre il lotto minimo e quindi diventerà più
semplice lavorare sul lotto economico (sempre se Lmin < EBQ). In realta l’obiettivo dello
SMED non consiste nella riduzione dei costi (ma solo dei tempi), anzi talvolta li incrementa
o sono necessari degli investimenti. Le principali regole da rispettare per l’applicazione di
queste tecniche sono:
- Identificare tempi interni (tempi da fare necessariamente in MF) e tempi esterni (Tempi
da fare necessariamente in macchina accesa)
- Dividere i tempi esterni da quelli interni, raggruppando questi ultimi
- Parallelizzare i tempi esterni alla produzione (1ª Riduzione Tempi Setup)
- Trasformazione dei tempi interni in esterni (modificando macchinari o utilizzando
attrezzatura specifica). (2ª riduzione tempi di setup)
- Riduzione tempi interni rimanenti (eventualmente parallelizzando le attività) (3ª
riduzione di tempo di setup)
- Velocizzare il riavvio, poiché in genere, quando il prodotto nuovo riparte, perdo molto
tempo perché la macchina subisce rallentamenti
Le tecniche generiche SMED per la riduzione del tempo di setup prevedono la
standardizzazione del processo così da utilizzare il numero minimo di attrezzi,
facilitando anche gli smontaggi (ad esempio evitare bulloni) con meccanismi rapidi;
introduzione della gestione a vista; eliminazione di regolazioni di qualsiasi genere e
movimentazioni organizzate ed ottimali; utilizzo di risorse multiple.
I passi principali per l’attuazione delle tecniche SMED consistono nel valutare la
possibilità di non fare setup, così da ottimizzare il tutto senza investimenti per interventi
SMED. Nel caso non ci riuscissi si dovrebbe: misurare e osservare a video la durata e i
movimenti di riattrezzaggio, analizzare e discutere assieme agli operatori coinvolti,
applicare le regole e le tecniche SMED nel team, definendo nuovi standard e nuovi
processi di setup, apportando le modifiche “fisiche” all’attrezzatura. Infine, bisognerà
sperimentare, misurare, valutare le migliorie apportate, e nel caso di esito positivo
addestrare i dipendenti.
Lo SMED, quindi, è un miglioramento radicale che permette di ridurre drasticamente i
tempi dovuti al setup ad ogni applicazione (40%-70%), permette un incremento del
Throughput sul bottleneck, un notevole aumento della voce disponibilità dell’OEE.
Inoltre, fornisce la possibilità di ridurre i lotti di produzione (WIP), di ridurre i lotti
minimi di setup e da una maggiore flessibilità. Inizialmente lo SMED viene effettuato
con zero costi effettuando dei semplici Quick Fix, ad esempio introducendo nuovi
standard di lavoro, dopo di che se servono altri SMED occorre spendere più soldi poiché
sono necessari cambiamenti nel processo o addirittura miglioramenti tecnici.

9) INTRODURRE LA TEORIA TEMPI E METODI E I SUOI PRINCIPALI RISULTATI


La teoria dei tempi e metodi è una disciplina di analisi e di misura del lavoro atta a
migliorare i tempi mediante l’efficientamento dei metodi di lavorazione (ad esempio
ERGONOMIA). L’obiettivo consta nell’ottimizzazione del TC delle macchine (che ad
eccezione di quelle totalmente automatizzate o totalmente manuali, hanno bisogno sia della
risorsa umana che di quella meccanica). L’analisi si basa sulla combinazione del lavoro
umano e quello del macchinario all’interno del suo TCt. In particolare, valutando il TCt in
totale, esso si può distinguere in diverse fasi:
- MF : tempi di operazioni svolte dall’operatore con la macchina ferma (ad esempio il
carico e lo scarico dei pezzi)
- TM: tempo di effettiva lavorazione della macchina
- ML: tempi impiegato dall’operatore in ogni ciclo con la macchina in funzione (ad
esempio la conduzione)
- IU: Indice di utilizzo, (∑ TM) / (∑ TM + ∑ MF)
- TA: Tempo Attivo, ∑ MF + ∑ ML
- TP, Tempo Passivo, TC-TA = ∑ TM - ∑ ML
- S: Saturazione, TA/TC
Da questa analisi viene fuori che il TCt qui considerato, non è esatto, poiché per definizione
di tempi e metodi, quando li vado a misurare, prendo i tempi medi. Il TCt diventa TCt’
corretto dell’EP (= TCt/EP). Per quanto riguarda la disponibilità invece, l’analisi dei tempi e
metodi allunga il Tempo ciclo con: Tempo Ausiliario e Bisogni Fisiologici ad ogni ciclo,
spalmando in questo modo le perdite su più cicli.
In caso di guasti : Taus = MDT/(MTBF/Tciclo); dove Tciclo= ∑ MF + ∑TM se MTBF è su
macchine accese, ∑ TM se è sull’effettivo funzionamento della macchina.
In caso di Setup: T aus = TS/Q
BF = Bisogni fisiologici, fermate per riposo, in genere sono il 2-4% del tempo ciclo
Dato che MF, TM, ML sono tempi medi in qualche modo stiamo già considerano nel tempo
ciclo le perdite per micro-fermate e rallentamenti:
TCt’ = ∑ MF + ∑TM ≈ TCt/EP
TCt = ∑ MF + ∑TM + Taus + BF ≈ TCt/(EP • Dg • Ds)
Nel tempi e metodi non vengono considerate le perdite per qualità poiché esse vengono
considerate come “Devo fare più cicli dello stretto necessario a produrre un tot”. I due
metodi principali attuabili sono: Mascheratura (con l’obiettivo di ridurre il TCt così da
incrementare la capacità produttiva), Abbinamento (nel caso fosse prioritario incrementare
la Produttività degli operatori e quindi ridurre i costi, se esiste TP, si fanno condurre due
macchine che lavorano contemporaneamente condotte però da un uno stesso operatore)
10) DEFINIRE IN CHE MODO È POSSIBILE OTTENERE LA RIDUZIONE DEL TEMPO
CICLO
La mascheratura viene effettuata quando è necessario incrementare la capacità produttiva,
ovvero ridurre il tempo ciclo teorico, per cui invece di intaccare la Dg o la Q, si va a
modificare e ottimizzare il ciclo di lavoro. Essa consiste nel trasformare, in parte o del tutto,
i tempi di MF in ML, così da decrementare il TC = ∑TM + ∑MF. La mascheratura può
essere, ad esempio, effettuata quando abbiamo attività di carico/scarico parti (ad es.
mediante un dispositivo di carico scarico su base rotante è possibile fare in modo che mentre
il macchinario lavora un pezzo, esso già carica l’altro). Può anche essere effettuata quando
abbiamo attività di controllo qualità o di configurazione del macchinario, apportando
modifiche ai macchinari e trasformando attività di MF in ML. L’unico svantaggio che
potrebbe presentarsi è che questo tipo di approccio richiede la modifica del macchinario, che
non sempre risulta fattibile. La mascheratura, inoltre, fa mantenere il TA invariato (aggiunge
ML, ma toglie MF), fa diminuire il TC, e di conseguenza anche la saturazione (TA/TC).
Questo aumento di saturazione porta inevitabilmente ad un aumento della produttività della
manodopera.
11) RIPORTARE LE CONDIZIONI TEMPORALI SULL’ABBINAMENTO
L’abbinamento è un approccio di spinta verso la produttività degli operatori, e quindi legato
alla riduzione dei costi. Esso consiste nel ridurre il tempo passivo, nel caso in cui risulti
molto elevato, facendo condurre due o più macchine, che lavorano contemporaneamente, ad
un numero minimo di operatori (non uno per macchina), procurando un vantaggio
sostanziale, legato al fatto che sto raddoppiando/triplicando la produttività di uno stesso
operatore. Esistono delle condizioni grazie alle quali si riesca a fare tutto ciò:
• 𝑇𝐴𝐵 < 𝑇𝑃𝐴 -  T spost: il tempo attivo della seconda macchina deve essere
necessariamente minore del tempo passivo della prima tolti i tempi di spostamento
(l’operatore deve avere tempo di spostarsi, fare le operazioni legate alla prima macchina
e tornare prima che si faccia MF2)
• TP non frazionato
• Macchine almeno in grado di fermarsi da sola (perché si parla di tempi medi, quindi è
possibile che l’operatore non faccia in tempo a tornare)
• Macchine abbastanza vicine
• Lavorazioni simili

La problematica principale, però, consta nel fatto che molto spesso tutte le condizioni sopra
descritte non sono mai verificate tutte contemporaneamente. Esempi: se le macchine non
fossero vicine, si potrebbe pensare di modificare il layout, che per natura sono mobili; nel
caso in cui la prima condizione non fosse verificata, si potrebbe pensare di allungare il TC,
senza superare il Takt Time, facendola aspettare il ritorno dell’operatore (Tidle), fin tanto
che la macchina non diventi collo di bottiglia (nel caso di CP < D). Nel caso in cui
l’operatore fosse incaricato anche di interventi di manutenzione o di setup, abbinando più
macchine si sommano al TC anche i Taus, poiché ciascuna macchina si ferma sia per la
propria fermata, sia per quella dell’altra, perché lui non può tornare all’altra macchina
poiché è incaricato di fare manutenzione (N.B. Taus non può mai essere messo in
mascheratura poiché è un tempo fittizio). In realtà anche se l’operatore non fosse incaricato
di interventi di manutenzione, il tempo ciclo aumenta sempre perché aumenterebbero i BF,
ed inoltre, dato che MF, TM, ML, sono tempi medi, potrebbero risultare maggiori. Questo è
il motivo principale per cui è sconsigliabile fare abbinamento sul bottleneck. Altro aspetto
importante è quello di considerare tempi assoluti nell’ordine dei 10 minuti, poiché se fossero
nell’ordine dei secondi, anche se tecnicamente l’operatore ce la facesse, non risulterebbe
possibile a causa di una sincronizzazione irraggiungibile. Per concludere quindi
l’abbinamento permette di aumentare la produttività degli operatori e quindi risparmiare sui
costi di essi stessi. Per fare abbinamento è necessario mettere le operazioni in maniera tale
da minimizzare gli spostamenti (ergonomia)

12) TRIANGOLO DI HEINRICH


Il triangolo di Heinrich mostra un rapporto statistico tra incidenti di tre tipi: gravità totale
(mortale o quasi), grave, lieve. L’evidenza sul campo ha mostrato che esiste una relazione
tra questi tre livelli, rimanendo tra di loro sempre sulla stessa proporzione (1 gravità totale,
29 gravi, 300 lievi). Questo, quindi, dimostra la presenza di correlazione tra questi eventi,
cioè che dietro a questi incidenti apparentemente diversi, ci sono le stesse cause (gli
incidenti gravi sono combinazioni sfortunate dell’avvenimento di dei pericoli legati a quelli
lievi). Heinrich, quindi, spiega: lavorare per prevenire gli incidenti lievi, significa prevedere
e ridurre anche quelli di gravità maggiore. Negli anni lo schema impostato da Heinrich è
stato ridisegnato, mantenendo i primi tre livelli invariati, ma aggiungendo livelli più “bassi”,
detti connotatori di pericoli. I tre livelli in questione sono:
- NEAR MISS: quasi incidenti
- UNSAFE ACTION
- UNSAFE CONDITION
Il più grande problemi deriva dal fatto che questi NON incidenti, non sono registrati, per cui
l’obiettivo principale è quello di incentivare (sotto forma di premi) gli operatori, facendo
loro segnalare tutte le situazioni precedentemente descritte.
13) DEFINIRE LA SITUAZIONE DELLA SICUREZZA DEL LAVORO IN ITALIA, CON
RIFERIMENTO AI SUOI PROVVEDIMENTI PIÙ IMPORTANTI
La prima legge importante emanata in Italia, in merito alla salute e alla sicurezza sul lavoro,
è del 1994, legge D.Lgs. 626/94, che è riuscita a dare una forma organica alle normative
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. È un testo unificatore di una serie di normative
preesistenti. Il 626 però è stato superato nel 2008, quando fu emesso il DLgs.81/08, anche
detto “Testo Unico della Sicurezza sul lavoro (TUSL)”. Emesso con l’obiettivo di
raggruppare TUTTE le norme e leggi in merito alla gestione della sicurezza (poi sarà
migliorato con un addendum nel 2009). Una serie di normative, Direttiva Macchine,
integrano il TUSL, che riguardano la salute e la sicurezza sul lavoro rivolte ai costruttori e
progettisti di macchine.
Infine, la OHSAS 18001/ISO 45001 , è un altro blocco di norme (ad adesione facoltativa),
legato alla certificazione dei sistemi di gestione per la sicurezza.
1. TUSL
Il testo unico della sicurezza sul lavoro, D.Lgs. 81/08 in materia di salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro, ha riformato e unito tutte le disposizioni dettate da numerose precedenti
normative. I 5 pilastri del TUSL sono:
1. Figure Chiave:
- Lavoratori: sono co-responsabili della sicurezza assieme al datore di lavoro, per cui essi
hanno una grande e equamente ripartita responsabilità in merito a sicurezza. Ad
esempio, obbligo di segnalare le inefficienze della tecnologia che stanno utilizzando o
partecipare a programmi di formazione (ENORME NOVITÀ DEL TUSL)
- Datore di Lavoro: responsabile principale
- Dirigente: manager della sicurezza
- RSPP: figura prevista dalla legge, che sta gerarchicamente sotto il dirigente, ed è il vero
responsabile operativo, senza deresponsabilizzare gli altri.
- RSL: figura sindacale, che è il rappresentante dei lavoratori (limite: creare un resp. Dei
lavoratori rischi si far sentire meno responsabili gli altri).
- Medico Competente
Altre figure inerenti sono: autorità giudiziarie, Ministero della Salute, del Lavoro e
dell’Interno, ed altri enti come INAIL.
2. Formazione e informazione: in particolare il datore di lavoro deve garantire che i
lavoratori ricevano una formazione periodica e deve garantire che ciascun lavoratore riceva
un’adeguata informazione riguardo ai rischi che corre durante la sua attività lavorativa
3. Sistema di Gestione: la norma prevede ogni organizzazione provveda ad istituire un
sistema della gestione in merito alla sicurezza, con conseguente mantenimento nel tempo
delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Un sistema di gestione, quindi, è un
insieme di regole, prassi, documenti, risorse e procedure per prevedere, garantire e
migliorare la sicurezza sul lavoro
4. Sanzioni: la violazione degli obblighi di sicurezza previsti dal TUSL prevede sanzioni
amministrative e penale in base alla gravità di esse
5. DVR
DOCUMENTO VALUTAZIONE DEI RISCHI (DVR)
È un documento obbligatorio di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro,
in maniera tale da consentire al datore di lavoro di prendere misure necessarie al fine di
tutelare la S e S dei lavoratori. La valutazione dei rischi consiste nell’identificazione quali
eventi dell’attività lavorativa possono causare danni o lesioni, così da eliminarli quando
risulta possibile, e se non lo fosse, valutare quali misure di prevenzione e protezione adottare
per minimizzare il rischio. Il DVR deve essere necessariamente rielaborato nel caso di
modifiche progettuali o di qualsiasi altro genere. Possiamo distinguere i rischi in due diverse
tipologie:
- Rischi normati: rischi per cui esiste una legge su cui basarsi che indica la modalità di
valutazione, prevenzione e protezione di essi.
- Rischi non normati: famiglia dei rischi infortunistici. Sono valutati grazie alla creazione
di matrici di valutazione
La matrice di valutazione considera i fattori probabilità e danno, in cui il rischio può essere
definito come la probabilità del verificarsi di eventi negativi da cui possono derivare
conseguenze dannose. Sia P la probabilità e D l’entità del rischio: R=D•P
Se riduco P, sto facendo azioni di prevenzione, mentre se riduco D, azioni di protezione.
Esempio: Una possibile matrice di valutazione è la matrice che considera i fattori
probabilità e danno. In questo caso ogni rischio individuato viene valutato su un scala di
probabilità (P) e danno (D) associati al rischio stesso, tale valutazione viene effettata
basandosi su una scala di riferimento in maniera tale da dare una valutazione oggettiva, ad
esempio possiamo associare alla probabilità un valore da 1-4 (dove 1 indica un rischio
improbabile e 4 un rischio altamente probabile) e anche al danno (dove 1 indica un danno
lieve e 4 indica un danno gravissimo). Una volta definiti i livelli di P e D si definisce il
livello del rischio moltiplicando P X D, ovviamente i rischi più pericolosi sono quelli con
probabilità e danno alto.
In realtà tale sistema non è perfetto poiché associa la stessa importanza a due rischi di
uguale livello, ma in un caso tale livello può essere dovuto ad un probabilità alta e a un
danno basso, oppure ad una probabilità bassa ma un danno alto, questi ultimi sono
sicuramente più importanti in quanto nel momento in cui si dovessero manifestare possono
portare a conseguenze molto gravi. In base al livello di rischio ottenuto si definisce una
priorità nei provvedimenti da assumere per ridurre il rischio. Per ridurre il livello di rischio
possiamo agire in due modi o riduciamo la probabilità che il rischio si manifesti, mediante
misure di prevenzione, oppure riduciamo l’entità del danno associato al rischio stesso,
mediante misure di protezione. Le misure preventive possono essere messe in atto agendo su
fattori organizzativi (ad es. facendo formazione e informazione) oppure sviluppando delle
procedure per la sicurezza (possono includere segnali di divieto o avvertimento,) . Per
quanto riguarda invece le misure di protezione, possiamo distinguere in due tipologie, la
protezione attiva, la quale prevede un’azione senza la quale non c’è protezione, e protezione
passiva, la quale non prevede alcuna azione diretta (ad es. rilevatori di fumo, sensori
antincendio,..); possiamo agire sia mediante misure di protezione attiva che passiva e
possiamo inoltre sfruttare anche dei dispostivi di protezione individuale (DPI) (mascherina,
guanti, occhiali,..) oppure dei dispositivi di protezione collettiva (reti di sicurezza, parapetti,
cabine di sicurezza biologica,…). In linea generale per la gestione del rischio bisogna agire
nel seguente modo; la prima cosa da fare è valutare se il pericolo può essere eliminato, se
ciò non è possibile ci chiediamo se si può sostituire il pericolo (ad es. se ho pericolo di
sbattere al rialzo della cattedra, vedo se è possibile sostituirla con una rampa). Se neanche
ciò è possibile ci chiediamo se è possibile isolare le persone da quel pericolo (ad es.
mediante dispositivi di protezione collettiva). Se non siamo neanche riusciti a isolare le
persone dal pericolo vediamo se è possibile almeno cambiare il modo in cui le persone
lavorano, altrimenti cerchiamo di ridurre il danno associato al rischio stesso mediante
l’utilizzo di DPI.
2. OHSAS 18001
La OHSAS 18001 è un documento britannico, che specifica i requisiti di un sistema di
gestione della sicurezza e salute sul lavoro per consentire ad un’organizzazione di sviluppare
ed attuare una politica adeguata. l’OHSAS 18001 è una norma che permette di sviluppare un
buon sistema di gestione, che rispetti determinati standard e che di conseguenza può essere
certificato da organismi terzi riconosciuti (ACCREDIA), tale certificazione non è
obbligatoria però permette di dare una buona immagine dell’azienda sia nei confronti dei
lavoratori, in quanto stiamo dimostrando di fare più di quanto è previsto per legge, sia nei
confronti di potenziali clienti, poiché dal momento in cui un fornitore viene nella nostra
azienda siamo co-responsabili della sicurezza, di conseguenza un’azienda può stabilire la
regola di accettare solamente fornitori certificati. La logica di base è fondata sul ciclo di
Deming: l’azienda deve costantemente pianificare dei miglioramenti (PLAN), metterli in
pratica (DO), controllare di aver raggiunto i risultati previsti (CHECK) e agire di
conseguenza (ACT). Se raggiungo tutti gli obiettivi prefissati, me ne porrò di nuovi,
altrimenti cerco di capire il motivo per cui ho fallito e cerco di migliorare.
I vantaggi di un SGSL certificato sono: qualificazione dell’immagine istituzionale,
coinvolgimento dei dipendenti in un progetto motivante, garanzia del rispetto delle norme di
legge in materia, riduzione dei costi della non sicurezza, risparmio nei premi assicurativi
INAIL, riconoscibilità sul piano internazionale.

N.B DIFFERENZE TRA OHSAS E TUSL:


L’OHSAS 18001 ricopre tutto ciò che è presente nel TUSL, aggiungendo qualcosa in più, la
differenza tra i due è che l’OHSAS 18001 è facoltativa, mentre il TUSL è obbligatorio,
quest’ultimo prevede inoltre delle sanzioni penali e amministrative ed è penalmente
perseguibile per coloro che non rispettano quanto prescritto, mentre per l’OHSAS 18001 le
aziende che la rispettano sono certificate, ma non vi sono sanzioni per il mancato rispetto.
Inoltre, per quanto riguarda il TUSL definisce ruoli, compiti, obblighi e responsabilità e
prevede eventuali verifiche da parte di autorità competenti mentre l’OHSAS 18001 definisce
i principi e le modalità operative e organizzative dell’organizzazione e le aziende non sono
sottoposte a controlli ma ad audit da parte di organismi di certificazione. Chi si certifica
OHSAS 18001 è conferme al TUSL per quanto riguarda il sistema di gestione non è detto
che lo sia per tutto quanto ciò che è previsto dal TUSL.

3. DIRETTIVA MACCHINE
La direttiva macchine è un decreto legislativo che riguarda tutti i principi e i requisiti per la
salute e sicurezza sul lavoro alla progettazione e alla costruzione delle macchine. Essa
consiste in un insieme di regole definite dall’ UE che si applicano a: Macchine, Quasi
Macchine, componenti di sicurezza, accessori di sollevamento, catene funi e cinghie,
dispositivi amovibili di trasmissione meccanica. Una macchina è ritenuta sicura secondo la
direttiva macchine se la sicurezza è integrata sin dalla fase di progettazione, in particolare
chi le produce deve lavorare preventivamente sulla sicurezza eliminando i rischi, e se non è
possibile neutralizzarli o al peggio segnalarli all’interno del manuale di istruzioni. Essa è
composta da 19 articoli e 11 allegati. Negli articoli vengono stabiliti i comportamenti del
fabbricante; egli deve svolgere un’accurata valutazione dei rischi presenti ed identificare i
requisiti essenziali ad essa applicabili. Se tutti i requisiti sono verificati il fabbricante può
apporre la sigla CE sulla macchina. Inoltre, per dimostrare la conformità della macchina ai
requisiti della direttiva, il fabbricante deve costituire il fascicolo tecnico della costruzione, il
quale comprende: una descrizione generale della macchina, una documentazione relativa
alla valutazione dei rischi, relazioni tecniche che mostrano i risultati delle prove effettuate
dal fabbricante, istruzioni della macchina, copia della dichiarazione CE di conformità... Il
fascicolo tecnico può essere fondamentale nel momento in cui dobbiamo andare a sviluppare
il DVR, poiché contiene già tutti i rischi legati al funzionamento del macchinario. Per
quanto riguarda la valutazione dei rischi legati alle macchine, il documenti di valutazione
deve contenere i requisiti essenziali di sicurezza e le misure di prevenzione adottate per
ridurre i rischi o eliminare i pericoli identificati. Inoltre, i fattori che possono influenzare il
rischio possono essere: fattori legati alla macchina (tipo, funzionamento, manutenzione),
all’impiego (cicli di lavorazione, carico-scarico), all’uomo (attenzione, capacità di
intervento) e all’ambiente (illuminazione, rumore). Per la valutazione dei rischi occorre
determinare i limiti della macchina, identificare il pericolo, stimare il rischio, valutare il
rischio e la gravità delle possibili conseguenze.

14) DEFINIRE I CONCETTI DI DISPONIBILITÀ, AFFIDABILITÀ E MANUTENIBILITÀ


Disponibilità: la disponibilità al guasto di un sistema riparabile è misurata dal rapporto tra il
tempo per cui il componente può funzionare ed il tempo totale per cui è richiesto il servizio.
𝑈𝑝𝑇𝑖𝑚𝑒
𝑈𝑝 𝑇𝑖𝑚𝑒 + 𝐷𝑜𝑤𝑛 𝑇𝑖𝑚𝑒

La disponibilità a guasto di un sistema dipende, quindi, da quanto spesso il suo funzionamento


viene interrotto dai guasti, ovvero dalla affidabilità del sistema, e da quanto tempo è necessario
per ripristinare le condizioni di funzionamento del sistema, ovvero dalla manutenibilità del
𝑀𝑇𝐵𝐹
sistema. Essa può essere distinta in: Disponibilità Intrinseca, 𝑀𝑇𝐵𝐹+𝑀𝑇𝑇𝑅 dove MTBF è il tempo

medio di funzionamento che intercorre tra due guasti successivi, mentre l’MTTR, è il tempo
utile alla riparazione. L’aggettivo intrinseca sottolinea il fatto che non si tiene conto della
logistica della manutenzione, ma solo del tempo tecnico proprio di riparazione del pezzo;
𝑀𝑇𝐵𝑀
Disponibilità Operativa, , dove MTMB è il tempo necessario alla manutenzione, e
𝑀𝑇𝐵𝑀+𝑀𝐷𝑇

l’MDT è il tempo medio totale di fuori servizio, definito come somma di MTTR, dei tempi di
preparazione e di attesa.
A differenza dell’intrinseca, Ao dipende anche da grandezze sterne al sistema, dipendenti anche
dalle condizioni operative.
Affidabilità: è la probabilità che un sistema o un componente opererà nel modo richiesto per un
periodo di tempo prefissato, sempre se sarà impiegato nelle sue condizioni di lavoro ottimali.
Gli indicatori di affidabilità sono: MTBF e MTBM
Manutenibilità: è relativa alla facilità, all’economia e alla sicurezza dell’assolvimento delle
operazioni di manutenzione, ovvero al completamento di tutte quelle azioni tecniche e
amministrative corrispondenti, atte a conservare o ripristinare un oggetto in uno stato nel quale è
capaci di adempire alla funzione richiesta. Gli indicatori di manutenibilità sono MTTR e MDT
15) AFFIDABILITÀ DI UN COMPONENTE ISOLATO
Per affidabilità si intende la parte della statistica che studia le leggi di guasto di componenti,
macchine e sistemi al fine di ottimizzarne la durata di vita, la disponibilità operativa e il costo
del ciclo di vita.
Per studiare l’affidabilità di un componente isolato ( o di un sistema) è necessario andare a
comprendere il comportamento a guasto del componente (o del sistema) elaborando un
istogramma che permette di evidenziare il numero di guasti che sono avvenuti dopo determinate
ore di funzionamento. Dopo di che è possibile definire la probabilità di guasto (f), come la
probabilità che il componente (o sistema) si guasti ad un istante di tempo fissato a partire
dall’istante di inizio servizio (nuovo o ripristinato), pari al numero di guasti avvenuti
nell’intervallo che stiamo considerano diviso il numero di guasti totali. In questo modo è
possibile definire la probabilità cumulata di guasto (F) che invece rappresenta la probabilità che
il componente si guasti entro un determinato istante prefissato, ed è pari alla somma delle
frequenze relative ai diversi intervalli. Dato che l’affidabilità (R) rappresenta la probabilità che
il componente (o il sistema) funzioni correttamente per un periodo tempo fissato ed in
determinate condizioni ambientali, essa viene calcolata come R = 1- F; è il complemento a 1 di
F.
16) TASSO DI GUASTO E ANDAMENTO RELATIVO AD UN SISTEMA COMPLESSO
Il tasso di guasto è la probabilità che il componente o sistema, che abbia funzionato fino ad un
istante prefissato, si guasti nel periodo di tempo immediatamente successivo. È una funzione di
rischio immediato che tiene conto che il componente o il sistema ha già vissuto per un
determinato periodo di tempo. Viene calcolato come il rapporto tra il numero di guasti in
determinato intervallo di tempo e il numero degli individui ancora funzionanti all’inizio del
periodo considerato o in alternativa come la differenza tra la probabilità cumulata di guasto nei
due estremi dell’intervallo considerato, divisa per l’affidabilità all’istante iniziale.

Il tasso di guasto è fondamentale per comprendere il funzionamento del componente in quanto


ci permette di distinguere la natura dei guasti che stiamo considerando. Vi sono:
• Guasti accidentali (capita in maniera improvvisa ed il tempo trascorso da quando il
componente ha cominciato a funzionare è ininfluente (ad es. foratura pneumatico).
• Guasti non accidentali (avvengono per fenomeni di usura, corrosione... (ad es. filamento
lampadina)
Distinguere la natura del guasto è fondamentale poiché ci permette di comprendere che tipo di
manutenzione è più efficace, per un guasto accidentale non è una buona idea applicare
manutenzione preventiva, in quanto il tasso di guasto è costante, mentre per guasti non
accidentali il tasso di guasto è crescente di conseguenza ha senso pensare ad una manutenzione
preventiva.
In genere, specialmente nei sistemi complessi, il tasso di guasto assume un andamento a vasca
da bagno:
Da tale andamento è possibile comprendere quali sono gli interventi manutentivi da effettuare in
relazione alla fase del ciclo di vita del sistema in questione. In particolare nella prima fase del
ciclo di vita non ha senso fare manutenzione preventiva ma conviene effettuare manutenzione a
guasto perché le cause di guasto sono quelle legate alla mortalità infantile, quindi non c’è un
degrado ma problemi legati ad errori o installazioni non corrette; solamente nel momento in cui
siamo in grado di mettere in atto un sistema di monitoraggio che mi dice in tempo se il sistema
si sta per rompere è possibile effettuare una manutenzione su condizione in questa fase del ciclo
di vita. Nella seconda fase del ciclo di vita (fase di vita utile) il tasso di guasto è costante, di
conseguenza conviene effettuare interventi di manutenzione a guasto o su condizione perché
non vi è un degrado sensibile per cui vale la pena sostituire per tempo il componente, poiché la
probabilità che questo non funzioni tra un guasto e l’altro è sempre la stessa. Nella terza fase
(fase di usura) si sceglie se effettuare manutenzione a guasto, preventiva ciclica o su condizione
a seconda del costo dei vari interventi manutentivi.
In particolare la situazione progettuale ottimale è quella in cui ho un periodo molto lungo a tasso
di guasto costante.
In particolare per ogni fase del ciclo di vita di un sistema (mortalità infantile, vita utile, usura) è
necessario trovare una funzione che riesca a descrivere l’andamento nel tempo delle variabili,
come ad esempio l’affidabilità, la F e la f. Ad esempio nella fase di vita utile si ha una
distribuzione esponenziale negativa:

L’andamento del tasso di guasto cambia, a seconda della tipologia di componenti che stiamo
considerando.
17) AFFIDABILITÀ E DISPONIBILITÀ DI UN SISTEMA COMPLESSO
Un sistema è un oggetto composto da n componenti.
L’affidabilità del sistema dipende dall’affidabilità dei singoli componenti e da come sono messi
insieme tra loro per assicurare il funzionamento del sistema. I sistemi si classificano in base a :
• Livello di Ridondanza: ovvero se esistono uno o più componenti in grado di sopperire al
funzionamento del componente principale in caso di guasto (componenti di “riserva”)
• Riparabilità: ovvero la possibilità che le caratteristiche di un sistema possano essere
ripristinate.
Esempi di sistemi affidabilistici sono i Sistemi Serie e Sistemi Parallelo.
I sistemi tipo serie sono sistemi in cui il non funzionamento di ciascuno dei componenti
provoca il non funzionamento del sistema nel suo complesso (ad es. impianto di illuminazione
composto da interruttore), l’affidabilità di un sistema tipo serie è il prodotto delle affidabilità dei
componenti: Rserie= ∏ 𝑅(𝑡)
Di conseguenza, tanto maggiori sono i componenti in serie, tanto più il sistema è complesso e
minore sarà la sua affidabilità.
I sistemi di tipo parallelo ridondanti sono in cui il buon funzionamento del sistema è assicurato
dal buon funzionamento di solo 1 dei componenti in parallelo. L’inaffidabilità (probabilità di
guasto) di un sistema tipo parallelo è il prodotto delle inaffidabilità (probabilità di guasto) dei
componenti: Rserie= 1- ∏(1 − 𝑅(𝑡))
L’affidabilità di un sistema tipo parallelo è sempre maggiore della massima affidabilità dei suoi
componenti. L’affidabilità del sistema è sempre crescente, ma all’aumentare del numero di
componenti ridondanti cresce più lentamente.
Un particolare tipo di sistemi parallelo sono i sistemi k/n a ridondanza maggioritaria, in questo
caso affinché il sistema funzioni è necessario che funzionino almeno k degli n elementi in
parallelo. Il calcolo dell’affidabilità di questi sistemi è complesso (analisi di Markov). Nel caso
però in cui, il parallelo è di n componenti tutti uguali tra loro e di affidabilità R vale che:
Nei sistemi non riparabili si ragiona sull’affidabilità,
mentre in quelli riparabili si ragiona anche sulla
disponibilità, quindi bisogna tenere in considerazione
anche il tempo tecnico di intervento e le altre componenti del Down Time. Per la disponibilità
valgono le stesse formule che abbiamo visto sopra per l’affidabilità. Quando parliamo di sistemi
riparabili dobbiamo andare a capire per quanto tempo il sistema sarà stato funzionante rispetto
ad un tempo di riferimento, quindi quale parte del servizio ho erogato. Bisogna trovare un
compromesso tra il numero di macchine e il costo del disservizio.

18) CLASSIFICAZIONE DELLE POLITICHE DI MANUTENZIONE


La politica di manutenzione è il modo in cui si decide di rispondere ad un guasto, l’obiettivo
di tale politica è quello di minimizzare i costi totali.
Esse vengono classificate secondo la norma UNI in:
MANUTENZIONE A GUASTO: è il metodo più antico di fare manutenzione, si agisce
solo dopo che il macchinario si è guastato. L’evento che innesca la manutenzione è il
guasto, il manutentore deve cercare di capire cosa si è rotto, quindi intervenire a sorpresa.
Un certo livello di manutenzione a guasto è sempre presente perché dei guasti imprevedibili
sono sempre possibili. Dal punto di vista economico, la gestione è molto complessa in
quanto siamo in mano al fato. Il costo di mancanza deriva dal fatto che si guasta il
macchinario e l’impianto è fermo, non produce e di conseguenza non si guadagna, inoltre si
potrebbero avere delle penali. Il costo può aumentare se quel guasto può causare un guasto a
cascata.
MANUTENZIONE PREVENTIVA CICLICA (anche detta sistematica o statistica):
consiste nell’eseguire una manutenzione preventiva periodicamente con l’obiettivo di
ridurre la probabilità di guasto o la degradazione del funzionamento dell’impianto. Spesso si
è assistito ad un utilizzo eccessivo di questa tipologia. Questo tipo di manutenzione, in
genere, è richiesta per legge sotto forma di controlli o norme di sicurezza. Un intervento può
essere quello della sostituzione periodica di un componente, ma esistono una serie di
interventi che permettono di far durare di più il componente, tra questi: - Pulizia periodica
delle attrezzature, - Lubrificazione ed ingrasso dei componenti meccanici, - Visite
sistematiche, limitate o generali, per regolazioni, riavvitamenti bulloni, ecc. - Revisioni
sistematiche che includono la sostituzione periodica di alcuni elementi. Queste sono state le
prime attività affidate agli operatori anziché ai manutentori, in quanto molto semplici da
fare. La sostituzione ha il vantaggio di far risparmiare sui costi di mancanza. Ma fare una
valutazione economica ha senso se la sostituzione è effettivamente in grado di ridurre la
probabilità di guasto. Per le componenti che hanno un picco dell’aumento del tasso di
guasto, è facile individuare un tempo prima del quale ho una probabilità di guasto
trascurabile e dopo una probabilità molto elevata di rottura, per queste risulta conveniente
fare manutenzione preventiva. A differenza, per quei componenti in cui il tasso di guasto
aumenta lentamente nel tempo in quanto diventa difficile individuare un tempo in cui
effettuare la sostituzione. Possiamo dividere in manutenzione preventiva ciclica a data
costante (ogni elemento viene sostituito al termine di un periodo d’uso, anche se a causa di
un guasto è già stato sostituito nel frattempo), a età costante (ogni elemento viene sostituito
dopo un periodo d’uso, almeno che non si sia già guastato nel frattempo). I vantaggi:
consente di trovare in maniera molto semplice un’ottima gestione del guasto ma serve anche
per evitare grossi deterioramenti dei componenti, riduce il costo del guasto, riduce i rischi. I
limiti: si può applicare in maniera efficacie solamente su un numero limitato di casi, per i
componenti che hanno un comportamento ad usura, con un picco finale del tasso di guasto.
MANUTENZIONE PREVENTIVA SU CONDIZIONE: consiste nell’ intervenire in un
momento poco prima del verificarsi del guasto. Si basa sul fatto di aver determinato, durante
un’ispezione, un segnale debole, ovvero aver osservato che un parametro abbia superato la
soglia limite. Questi segnali possono essere: emissioni acustiche, vibratorie, termiche,
relative ai fluidi o al prodotto.
MANUTENZIONE PREVENTIVA PREDITTIVA: A differenza di quella su condizione
è effettuata a seguito dell’individuazione e misurazione di uno o più parametri e
dall’estrapolazione, secondo i modelli appropriati, del tempo residuo prima del guasto. Non
è più on-off, ovvero devo aver superato un limite ed essere in grado di misurare
effettivamente il valore del parametro; e non si decide in base al superamento di una soglia
ma devo avere dei modelli matematici/fisici che sono in grado di predire la vita utile
rimanente grazie ai parametri che sto inserendo. Si basa su una misura strumentale dei
segnali deboli. Come si agisce: si osservano i sintomi, si trasmette un segnale di allarme, si
registrano le informazioni, si effettua una diagnosi e si decide come e quando intervenire. I
mezzi per individuare le anomalie sono: per primo l’uomo (operatori e manutentori che
lavorano a stretto contatto con il macchinario), è però un mezzo soggettivo che può portare a
falsi allarmi. L’alternativa è utilizzare dei mezzi di controllo, alcuni che richiedo l’uomo e
altri invece totalmente automatizzati.
MANUTENZIONE MIGLIORATIVA (O PROATTIVA): forma di manutenzione che
non sostituisce le altre ma le integra. La manutenzione migliorativa è un’azione di
miglioramento che va a modificare di poco il macchinario senza incrementarne il valore ma
migliorandone i parametri di performance, rende il sistema più manutenibile. Queste azioni
ci permettono di aumentare l’MTBF e di conseguenza di diminuire il tasso di guasto
riducendo quindi la necessità di fare manutenzione e liberare più tempo per queste piccole
forme migliorative.
MANUTENZIONE PRODUTTIVA: Insieme di azioni volte alla prevenzione. L’idea è
quella di unire il termine manutenzione a quello della produzione quindi enfatizzare il ruolo
della prevenzione e miglioramento continuo e della manutenzione autonoma, ovvero il
trasferimento di funzioni elementari di manutenzione a chi conduce le entità.
MANUTENZIONE OPPORTUNISTICA: Si decide di fare manutenzione nel momento
che si ritiene più opportuno.
A questa classificazione si aggiunge la MANUTENZIONE PRESCRITTIVA: una forma
di manutenzione che usufruisce dei big data analytics per evolversi. L’analisi dei dati può
avere scopi descrittivi, per esempio per prendere delle decisioni di tipo statistico, o scopi
diagnostici, quindi si può usare per cercare di rispondere a domande del tipo: “perché è
accaduto?”, quindi cercare di comprendere bene il meccanismo di guasto e passare da una
valutazione di tipo ciclico verso una predittiva, ovviamente si ha bisogno di usare l’analisi
dei dati per fare delle previsioni. Infine, c’è quella prescrittiva in cui l’analisi dei dati da un
punto di vista manutentivo oltre a dirmi quando accadrà il guasto dà anche informazioni su
cosa bisogna fare.

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