Sei sulla pagina 1di 118

LOGISTICA INDUSTRIALE

Definizione di logistica
Pur riferendosi, in origine, al trasferimento di mezzi, uomini e risorse durante le campagne militari,
il termine logistica è stato, in seguito, applicato ai sistemi industriali e produttivi. I due settori, militare
e industriale, presentano analogie quali:
- Crucialità della combinazione tra uomini e mezzi. La produttività dei processi tende sempre più
a dipendere dalla dotazione di mezzi e non dal semplice impiego di uomini.
- Il lavoro su grandi masse e gli elementi di diversificazione delle risorse e dei fronti operativi. Ciò
presuppone strumenti che consistono in mezzi informativi di elevata potenza, in reti di
movimentazione e di stoccaggio molto estese, in modalità di calcolo abbastanza complesse per
ottimizzare l’efficienza delle varie mosse su tutto l’arco delle risorse.
- La capacità di reazione. La situazione di concorrenza oligopolistica è molto simile alla situazione
di confronto tra avversari militari. In entrambi i casi è necessario avere una mobilità sufficiente a
concentrare masse adeguate di risorse in tempi brevi su pochi punti di attacco, e a rivedere
prontamente i propri piani di impiego delle risorse in risposta a iniziative avversarie.

In ogni caso, nel campo della gestione d’impresa, definiamo funzione logistica il governo del sistema
dei flussi di materiali, che l’impresa organizza a partire da un insieme di fonti, attraverso processi che
impiegano risorse, fino a collocare i prodotti in una serie di canali di bocco. La logistica, quindi,
all’interno di un sistema produttivo gestisce il flusso di materiali dall’inizio alla fine delle
trasformazioni produttive subite dai materiali stessi.
Consideriamo ora un sistema produttivo e valutiamone lo SCHEMA GENERALE DELLA CATENA
LOGISTICA.
Esso è caratterizzato da un ingresso, una parte
interna e una uscita. A monte, la fabbrica
riceve materie prime dai fornitori, i quali
costituiscono sistemi esterni al nostro. Il nostro
sistema, infatti, ha inizio con il reparto approvvigionamento e stoccaggio delle materie prime o
semilavorati. A questo punto abbiamo reparto produzione in cui i materiali vengono sottoposti ai
processi di trasformazione. Infine abbiamo lo stoccaggio dei prodotti lavorati che costituisce il limite
a valle del sistema di produzione prima del mercato. Si sviluppa, quindi, un ciclo produttivo composto
da un flusso materiale e un flusso informativo. Quest’ultimo è fondamentale per la movimentazione
dei materiali.
La logistica, quindi, non si occupa esclusivamente delle operazioni fisiche di spostamento ma anche
di operazioni immateriali quali, ad esempio, programmazione della produzione, pianificazione
acquisti, pianificazione vendite, ecc. Nell’ambito della logistica dei sistemi produttivi, quindi, è
possibile distinguere le tre fasi di approvvigionamento a monte, di produzione, e di distribuzione dei
prodotti realizzati a valle.
In quest’ottica possiamo definire la logistica come la disciplina che tratta in maniera organica e
sistematica la gestione integrata dell’intero ciclo operativo dell’azienda, industriale o del terziario.
Tratta, dunque, la gestione dei materiali (approvvigionamento materie prime e componenti), la
gestione della produzione (programmazione, fabbricazione, assemblaggio e controllo), la gestione
della distribuzione fisica dei prodotti finiti (movimentazione, stoccaggio, trasporto, imballo,
ricezione, spedizione, assistenza post-vendita ai clienti). L’obiettivo fondamentale è garantire un
elevato livello di servizio ai clienti, fornendo prodotti di alta qualità, con rapidi tempi di risposta e a
costi contenuti.

Classificazione della logistica


E’ opportuno effettuare una distinzione tra i diversi tipi logistica esistenti nel mondo produttivo:
- Logistica Industriale
- Logistica dei Servizi (riferita al settore Terziario)
Nell’ambito della Logistica Industriale è possibile effettuare una ulteriore suddivisione tra:
- Logistica INTERNA allo stabilimento – gestisce i flussi informativi e di materiali necessari allo
svolgimento della fabbricazione, cioè della trasformazione delle materie prime in semilavorati o
dei semilavorati in prodotti finiti. Ciò si concretizza nella capacità di stoccaggio dei materiali,
nella gestione dei trasferimenti dei materiali attraverso i reparti e le macchine di produzione, e
nella gestione degli spazi per lo stoccaggio dei prodotti finiti.
- Logistica ESTERNA allo stabilimento – studia e organizza i flussi di materiali che convergono
sullo stabilimento (approvvigionamento-fornitori) e da questo si diramano verso i mercati di
sbocco (distribuzione-clienti).
A questi due settori della logistica corrispondono strumenti differenti. Tipici strumenti della Logistica
Interna sono i ‘’sistemi di trasporto” destinati a realizzare operazioni di prelievo, spostamento,
sollevamento, deposito materiali. Alcuni esempi sono: carrelli manuali, carrelli motorizzati, gru,
nastri trasportatori, sistemi pneumatici, flussi d’ari, robot. Classici strumenti della Logistica Esterna
sono i mezzi di trasporto stradale, navale, ferroviario e aereo.
Logistica dei servizi
Tipicamente rappresentata dalle attività di trasporto svolte nel settore postale, della sicurezza
(militare, protezione civile), del trasporto pubblico o privato di persone, della raccolta dei rifiuti. Non
si parla, quindi, di trasformazione dei materiali ma solo ed esclusivamente di spostamento di
materiali. I mezzi e i sistemi utilizzati sono tipicamente quelli su strada o ferrovia, navali e aerei.
Per alcuni settori del terziario in cui l’oggetto del trasporto è intangibile o costituito da una massa
continua (distribuzione energia, telecomunicazioni, acqua) la logistica esterna è realizzata tramite reti
infrastrutturali (impianti di teleriscaldamento, reti elettriche, reti di distribuzione del gas).

Logistica Industriale e Competitività


L’utilizzo dei sistemi di logistica industriale ha impatto sulla gestione dell’azienda. La logistica, di
conseguenza, è un FATTORE ESSENZIALE DI VANTAGGIO COMPETITIVO in quanto ha
effetto su:
- COSTI - tutti i sistemi della logistica hanno un costo in termini di investimento per il loro
acquisto, di energia necessaria al loro funzionamento, di ricambi, ecc. Una buona scelta tecnica
del sistema di trasporto aiuta nella gestione economica dell’impresa.
- GRADO DI UTILIZZO DELLE RISORSE - la logistica degli approvvigionamenti fa sì che le
materie prime arrivino nel più breve tempo possibile nello stabilimento.
- CAPACITA’ PRODUTTIVA DEGLI IMPIANTI - la logistica della produzione fa sì che le risorse
materiali vengano immediatamente processate rendendo efficiente il ciclo produttivo.
- TEMPI DI TRASPORTO - la distribuzione deve essere tale che i prodotti realizzati siano portati
a destinazione nel minor tempo possibile e con il minor costo possibile. Il prezzo di un prodotto
è dovuto sia al valore dei materiali e della manodopera necessari alla loro realizzazione sia al
costo del trasporto per portare le materie prime dalla fonte allo stabilimento e il prodotto finito
dallo stabilimento ai clienti.

Implicazioni economiche della Logistica


L’EFFICIENZA esprime la capacità dell’impresa di competere nel mercato. Si può affermare anche
che Efficienza = Produttività.
La Produttività esprime il rendimento economico dei processi ed è considerato come il rapporto tra
valore economico della produzione e valore delle risorse utilizzate per realizzarla. Può, quindi, essere
espressa dalla formula: Produttività = Vp / Vr, dove Vp = prezzo di vendita e Vr = costi di produzione
fissi (ammortamenti, interessi sul capitale immobilizzato in materie prime) e variabili (manodopera,
consumi energetici, manutenzione, ecc).
Obiettivo di ogni impresa è aumentare Efficienza e Produttività. Consideriamo Vp. Fissare un prezzo
troppo elevato rispetto ai concorrenti implica il rischio di mancata vendita del prodotto; fissare un
prezzo troppo basso implica il rischio di mancata copertura dei costi sostenuti per la produzione. Il
prezzo di vendita è, quindi, sostanzialmente stabilito dal mercato.
E’ chiaro, allora, che per aumentare l’efficienza è necessario agire su Vr, cioè sui costi di produzione,
riducendoli al minimo. Si considerano, tra le varie voci che influiscono sui costi di produzione,
sistemi di trasporto ottimali in termini di investimento ed efficienti in modo da ridurre il consumo
energetico.
Non bisogna confondere Produttività e Capacità produttiva. Quest’ultima indica la potenzialità
produttiva di un sistema, cioè il numero di prodotti che può produrre nell’unità di tempo.

Consideriamo ora la LEGGE DI LITTLE: , dove TH = Capacità produttiva, WIP (Work


In Progress) = quantità che si trova in stoccaggio nei diversi punti della lavorazione, e CT (Cicle
Time) = detto tempo di attraversamento del sistema, inizia quando incomincia il lavoro di
realizzazione del prodotto e termina quando l'elemento è pronto per la consegna.
Da questa formula si ricava: . Ciò significa che la quantità di materiale che si
trova nel sistema e che è in fase di processo è data dal prodotto tra la capacità produttiva del sistema
stesso e del tempo di attraversamento. Tale materiale in lavorazione costituisce un investimento.
Riducendo, quindi, il tempo di attraversamento a parità di produzione oraria, si ottiene una riduzione
della quantità di materiale che si trova all’interno del sistema e del fabisogno economico necessario
a tenere in funzione il sistema. Il trasporto interno al sistema influisce sul tempo di attraversamento
e, di conseguenza, sulla quantità di materiale che si trova all’interno del sistema in un dato momento.
La scelta di un sistema di trasporto in grado di ridurre il tempo di attraversamento del sistema influisce
anche sulla ELASTICITA’ del sistema di produzione, capacità dell’impresa di soddisfare
tempestivamente gli ordini dei clienti. L’elasticità, che è indiscutibilmente un fattore competitivo, è
espressa dal DELIVERY TIME (tempo di consegna), cioè l’intervallo di tempo tra il momento in cui
il cliente ordina un prodotto ed il momento in cui vuole che sia a lui consegnato.
E’ possibile affermare che il Delivery Time = Lead Time + Shipment Time, dove:
- il Lead Time rappresenta il periodo di tempo compreso tra l’inizio della prima attività e la fine
dell’ultima attività di un ciclo di produzione. E’ pari alla somma dei tempi necessari per compiere
tutte le attività sequenziali, incluse quelle operative, i set-up, i controlli, le attese ed i trasporti.
- Lo Shipment Time rappresenta il tempo di spedizione.
Ciò significa che il Delivery Time è influenzato dai sistemi di logistica sia interni che esterni, nonché
dalla distanza tra lo stabilimento produttivo e il mercato di riferimento. In quest’ultimo caso si
manifesta il problema della localizzazione degli stabilimenti industriali.

Logistica e ubicazione impianti


Il fattore competitivo relativo alla velocità di consegna dei prodotti è influenzato dal tempo di
realizzazione fisica del prodotto (Lead Time di produzione), dal tempo di trasferimento delle materie
prime dalle loro fonti allo stabilimento e dal tempo di trasferimento del prodotto finito dallo
stabilimento al cliente. Gli ultimi 2 elementi riguardano la Logistica Esterna al Sistema. I costi ed i
tempi relativi ai trasporti esterni all’azienda sono legati alla sua posizione rispetto ai clienti ed ai
fornitori delle materie prime.
In sede di creazione dell’azienda, è necessario, per essere competitivi, affrontare un problema di
UBICAZIONE, cioè scegliere dove l’azienda dovrà trovarsi sul territorio in modo da ottenere
condizioni di gestione favorevoli in relazione ai temi della logistica esterna.
Le problema ubicazionale viene affrontato su due livelli:
1) Scelta TERRITORIALE o UBICAZIONALE – scelta delle macro-aree (es. nazione) per
l’insediamento produttivo tali da avere una situazione ottimale per quanto riguarda il trasporto
delle materie prime o dei prodotti finiti. La scelta della macroarea dipende da:
o Politiche di sviluppo statali, regionali e territoriali (agevolazioni, contributi, ecc)
o Posizione dei mercati di sbocco (in senso geografico e volumetrico) – la scelta viene
effettuata ponendo attenzione alla riduzione degli oneri di distribuzione
o Disponibilità di materie prime – la scelta viene effettuata ponendo attenzione alla
riduzione dei costi di approvvigionamento. La scelta dipende anche dalla trasformazione
delle materie prime nel processo produttivo.
o Possibilità di esercitare il lavoro di impresa – la scelta viene effettuata in modo da
permettere allo stabilimento, nel suo complesso, di funzionare al meglio.
2) Scelta del TERRENO o LOTTO sul quale costruire lo stabilimento – è detta “scelta di
localizzazione” o di “microarea”.

Metodi di scelta ubicazionale


- Metodi di ANALISI DEL COSTO – metodo quantitativo semplificato;
- Metodi “A PUNTEGGIO” – metodo qualitativo;
- Metodi “logistici” – modello teorico di riferimento per la risoluzione del problema della
collocazione di un impianto in un’area piuttosto che in un’altra.
Metodo di analisi dei costi
Si tratta di una procedura di valutazione di massima, perché basata su un’analisi dei costi semplificata.
Si tratta di una procedura di valutazione e comparazione di diverse alternative nella quale vengono
presi in considerazione i principali costi che devono essere sostenuti per la realizzazione di uno
stabilimento. Tali costi si dividono in due classi:
- Costi di INVESTIMENTO – costi fissi, cioè costi di acquisto del bene ripartiti sulla durata del
bene stesso. Si riferiscono a Terreno, Fabbricati, Impianti, Opere stradali, ferroviarie.
- Costi di ESERCIZIO – costi variabili.
Ai fini del metodo, i costi di investimento sono considerati nel loro complesso senza tener conto degli
interessi passivi relativi al prestito che la banca concede per poter effettuare l’investimento, mentre i
costi di esercizio sono considerati su base annua senza tener conto della variazione cui possono essere
soggetti nel corso degli anni. Ciò comporta un problema di attualizzazione delle spese da un periodo
futuro al momento attuale.

Quando, come nel primo caso, l’analisi converge su un’unica ubicazione, la scelta della soluzione più
conveniente è semplice. A quel punto si entrerà più nel dettaglio della soluzione scelta individuando
la micro-area più conveniente in cui posizionarsi.
Quando, come nel secondo caso, l’analisi non converge su un’unica ubicazione, è necessaria una
valutazione di dettaglio con attualizzazione dei flussi di cassa e studio dei piani di ammortamento
pluriennali.

Metodo dei punteggi (qualitativo)


Tale metodo è caratterizzato da vari step:

- Individuazione dei fattori importanti per


un determinato tipo di produzione (energia
elettrica, approvvigionamento idrico,
viabilità, manodopera, ecc.). Vengono presi
in considerazione anche fattori di tipo
logistico come, ad esempio, posizione dei fornitori, ecc.
- Sulla base dell’esperienza, assegnazione, a ciascun fattore, di un ‘’peso’’ percentuale che indica
la sua importanza relativa rispetto ai costi totali di gestione.
- Assegnazione di una valutazione a ciascuno dei fattori in relazione a ciascuna delle alternative
ubicazionali considerate.
- Il prodotto del peso per la valutazione fornisce il punteggio per ciascuna soluzione ubicazionale.
- Il totale dei punteggi risultanti per singola voce costituisce il fattore decisionale. In linea di
massima verrà scelta la soluzione caratterizzata dal punteggio totale più elevato.

Metodo Logistico (quantitativo approssimato)


Mentre negli altri metodi si considerano i costi fissi e costi variabili relativi alla gestione totale
dell’azienda, questo metodo consente di individuare il punto più favorevole in cui collocare l’azienda
considerando come fattore fondamentale i costi di trasferimento delle materie prime allo stabilimento
e dei prodotti finiti ai mercati di sbocco. Il metodo è semplificato perché basato su 2 ipotesi:
- Il modello di riferimento è quello del “triangolo localizzativo” in cui sono presenti due fonti di
materie prime e un punto di destinazione dei prodotti.
- Le tariffe di trasporto sono le stesse in tutte le alternative valutate.
Dato che le tariffe di trasporto sono le stesse, il metodo si basa sulla valutazione dei costi di trasporto
dei materiali in base alle quantità, in peso, dei materiali da trasportare e alle distanze da percorrere.
Dato, quindi, che il trasporto è un’operazione che si svolge su distanze e riguarda le masse, possiamo
affermare che l’unità di misura più significativa per il trasporto è TONNELLATE * CHILOMETRO.
L’ubicazione ottimale (F) rispetto alle due origini (M1-M2) e alla
destinazione (C) si ricava minimizzando la sommatoria dei prodotti tra
masse da trasportare e distanze lungo le quali devono essere trasportate.
In genere l’ubicazione ottimale tende a localizzarsi in prossimità del
prodotto più pesante.
Conoscendo, quindi, le posizioni delle fonti e della destinazione e le quantità (in termini di peso)
convolte nei trasporti, il metodo consente di risolvere graficamente il problema ubicazionale
attraverso il TRIANGOLO DI WEBER (o localizzativo).
Essendo A e A’ le fonti e M la destinazione, per individuare il punto P in cui è
più conveniente posizionare lo stabilimento è necessario:
- Individuare l’ortocentro (O) del triangolo (intersezione delle altezze);
- Per ogni vertice tracciare vettore la cui direzione coincide con la congiungente
il punto O con il vertice considerato, orientato verso il vertice in questione e con
modulo pari alla quantità, in peso, da movimentare in relazione al vertice stesso.
- Calcolare la risultante dei tre vettori. Essa individuerà il punto ottimale di ubicazione P.
E’ bene considerare 2 aspetti:
- Le quantità, in peso, sono considerate in Kg o Tonnellate e vanno riferite al tempo (es. 1 anno).
- La quantità, in peso, della materia prima entrante, necessaria per realizzare i prodotti, non
necessariamente corrisponde alla quantità, in peso, di prodotto finito uscente dallo stabilimento.
Nel processo produttivo può, infatti, verificarsi una perdita/aumento di peso.

Il metodo ci consente di ottenere una soluzione teorica. Il triangolo deve essere posizionato su una
mappa per capire dove si trova fisicamente il punto P. E’ possibile che il risultato ottenuto tramite
l’applicazione del metodo corrisponderà ad una soluzione non praticabile (ad esempio il punto si
trova in cima ad una montagna). E’ necessario, quindi, considerare il posizionamento rispetto alle vie
di comunicazione, disponibilità di suoli edificabili, disponibilità di energia elettrica ecc.
A questo punto bisogna sviluppare l’analisi considerando le economie derivanti
da fattori diversi (costo del lavoro, altre economie territoriali). Tali valutazioni
aggiuntive possono essere svolte costruendo “linee di isocosto”
(“ISODAPANE”) che uniscono i punti geografici per i quali si registrano
identici incrementi di costo logistico rispetto alla localizzazione ottimale (P).
Ne risulta la descrizione grafica di come i costi unitari di trasferimento
crescono quando ci si allontana dall’ottimo P. E’ possibile, però, che in un punto del territorio diverso
da P esistano economie di altro genere (costo del lavoro, economie di scala, ecc.) che compensano o
superano l’aumento dei costi di trasferimento. Bisogna, quindi, considerare un eventuale
posizionamento in quel punto diverso da quello ottimale trovato attraverso il metodo. L’isodapana
critica è quella che seleziona l’area entro la quale il risparmio nei costi di esercizio è conseguito
attraverso lo spostamento dall’area di localizzazione dell’ottimo P individuata attraverso il metodo
logistico.

La Logistica Esterna
La logistica esterna ha come obiettivo la gestione ottimale degli approvvigionamenti e della
distribuzione, cioè dei flussi di materiali dai fornitori allo stabilimento e da quest’ultimo ai clienti.
Le problematiche logistiche degli approvvigionamenti e della distribuzione non sempre coincidono.
Infatti, la rete logistica relativa agli approvvigionamenti di materie prima è più semplice dal punto di
vista gestionale rispetto alla rete logistica della distribuzione. Ciò è dovuto al fatto che, di solito i
mercati di sbocco dei prodotti sono più numerosi e geograficamente più diffusi rispetto ai punti di
origine delle materie prime. Nonostante una diversa articolazione nell’organizzazione, gli strumenti,
le risorse ed i mezzi utilizzati sono sostanzialmente gli stessi in entrambi i casi.
A seconda della distanza tra stabilimento di produzione e
cliente finale abbiamo diverse soluzioni:
- Vendita diretta al pubblico;
- Vendita al dettaglio dei prodotti nei negozi.
A seconda della distanza tra punto di arrivo e punto di
partenza, i negozi possono ricevere la merce:
- Direttamente dallo stabilimento;
- Da uno o più grossisti – elemento intermedio tra
produttore e dettagliante che distribuisce i prodotti in una
certa area.
La rete distributiva si presenta strutturalmente differente da
quella di approvvigionamento. Ad esclusione di quelle che eseguono attività di assemblaggio (aziende
elettroniche – automobilistiche), in genere le aziende produttrici realizzano il prodotto a partire da
una gamma abbastanza ristretta di materie prime. Ciò implica un legame diretto tra fornitore/i di
materie prime e lo stabilimento o la presenza di un intermediario (grossista) tra i due soggetti.
Quest’ultimo, che cura le relazioni commerciali tra stabilimento e fonti di materie prime, viene preso
in considerazione nel momento in cui la distanza tra loro dovesse essere eccessiva.
Sia a valle che a monte, al posto dell’intermediario commerciale fisico è possibile considerare
l’agente intermediario, il quale non detiene fisicamente i materiali ma aiuta a creare rapporti di
fornitura.

La gestione delle reti di distribuzione e approvvigionamento


Le attività logistiche di distribuzione ed approvvigionamento possono essere gestite direttamente
dalle aziende o gestite tramite terzi (classica scelta Make or Buy). La gestione diretta dei canali di
vendita e approvvigionamento può portare all’impresa vantaggi economici solo se la dimensione
totale della domanda giustifica l’investimento necessario per realizzarla. Tali investimenti riguardano
acquisto dei mezzi, manutenzione (anch’essa svolta all’interno tramite officina propria o all’esterno),
sicurezza, aree per il deposito, ecc.
Al fine di acquistare una flotta di mezzi atta all’attività di trasporto è opportuno considerare che:
- La gestione di tale flotta di mezzi è abbastanza complessa.
- I costi fissi dovuti agli ammortamenti si riflettono sul conto economico e sul prezzo finale del
prodotto.
I fattori che contrastano la scelta di gestione diretta della logistica esterna:
- INSTABILITA’/DISCONTINUITA’ DEI FLUSSI DI MATERIALI - la gestione diretta è
sconsigliata in caso di quantità esigue per le quali si prevede una certa instabilità (forte
oscillazione) e discontinuità nel tempo.
- DISPERSIONE TERRITORIALE DELLE FONTI E DEGLI SBOCCHI – quando le fonti delle
materie prime e le destinazioni dei prodotti finiti sono numerose e caratterizzate da notevole
dispersione, la gestione delle attività di trasporto effettuate con mezzi propri diventa abbastanza
complessa.
- VARIABILITA’/INSTABILITA’ MERCATO MATERIE PRIME E MERCATO DI SBOCCO.

I Fattori che orientano verso la gestione diretta della rete logistica:


- STABILITA’/CONTINUITA’ DEI FLUSSI – la gestione diretta è opportuna in caso di quantità
significative per le quali si prevede una certa stabilità (non oscillino) e continuità nel tempo.
- CONCENTRAZIONE TERRITORIALE DI FONTI E SBOCCHI - quando le fonti delle materie
prime e le destinazioni dei prodotti finiti sono esigue e particolarmente concentrate, la gestione
delle attività di trasporto effettuate è più semplice.
- STABILITA’ MERCATO A MONTE E A VALLE
Tali fattori rappresentano le CONDIZIONI OTTIMALI PER IL TRASPORTO. Altri fattori che
orientano verso la gestione diretta sono:
- POLITICHE DI MARKETING (distribuzione)
- RAPPORTO DIRETTO CON LA CLIENTELA (distr.) – aumenta la fidelizzazione del cliente.
- GESTIONE DELL’ASSISTENZA TECNICA IN RELAZIONE AI PRODOTTI (distribuzione)
- CONTROLLO DIRETTO DEI TEMPI DI CONSEGNA (distr. / approvv.) –
- NECESSITA’ DI CONTROLLARE I COSTI DI FORNITURA ATTRAVERSO CONTRATTI
DI LUNGA DURATA – stabilendo rapporti continuativi e costanti con un determinato fornitore
si ottengono condizioni economiche più favorevoli e si creano condizioni logistiche positive in
termini di stabilità del fornitore, significatività delle quantità da trasportare.
- POSSIBILITA’ DI OTTIMIZZARE I TRASPORTI CONIUGANDO ESIGENZE DI
DISTRIBUZIONE E APPROVVIGIONAMENTO - nei casi in cui in un ambito territoriale
abbastanza ridotto troviamo sia la fonte delle materie prime sia lo sbocco dei prodotti finiti si
ottimizzano notevolmente gli spostamenti (nello stesso viaggio porto il prodotto finito a
destinazione e prendo le materie prime).
Il Trasporto Merci
Con riferimento ai processi logistici di approvvigionamento e distribuzione dei beni, il trasporto merci
è una parte della logistica esterna. In ambito di trasporto merci è opportuno considerare 2 questioni:
- Il MODO di trasporto – tipo di mezzi di trasporto da utilizzare;
- Distinzione dei sistemi i trasporto merci in
o Unità di carico (elemento fisico minimo oggetto del trasporto ed utilizzabile per la
movimentazione di una merce. Trattasi, quindi, di mezzi atti a semplificare il carico e
lo scarico delle merci dai mezzi di trasporto);
o Unità di trasporto (atte allo spostamento delle unità di carico);
o Unità di movimentazione (mezzi atti alla movimentazione, cioè dell’operazione di
spostamento delle merci dai magazzini ai mezzi di trasporto e viceversa).
In Europa il trasporto su strada è quello maggiormente
effettuato e negli anni il divario con quello su ferrovia è
costantemente aumentato. L’aumento del trasporto con
container ha portato all’incremento del trasporto di tipo
navale.
I grafici qui sotto dimostrano come in Italia il divario tra
trasporto su strada e quello ferroviario è ancor più evidente
rispetto a quello esistente in Europa.

Tale statistica risulta essere particolarmente negativa nel


momento in cui si riscontra come il trasporto su strada
sia quello maggiormente incidente in termini di
emissioni di gas serra e il consumo energetico di tale
trasporto risulti essere 6 volte superiore a quello del
trasporto ferroviario. Quest’ultimo risulta essere, inoltre, più sicuro rispetto a quello stradale, essendo
caratterizzato da una mortalità decisamente inferiore. Non è, però, il più sicuro. Tale primato spetta,
infatti, al trasporto aereo, il quale, però, è caratterizzato dal più alto tasso di consumo energetico.
Risultano necessari, quindi, forti investimenti, in tutta Europa, per invertire, o perlomeno arrestare, il
trend di crescita della percentuale di traffico stradale sia in termini di trasporto merci che di trasporti
delle persone. In tale ottica è possibile considerare:
- Il trasporto COMBINATO - combinazione di 2 soli di sistemi di trasferimento (sistema strada-
ferrovia);
- Il trasporto INTERMODALE - combinazione ottimale dei vari modi di trasporto nella catena del
viaggio fra l’origine e la destinazione. L’intermodalità è considerata attualmente la soluzione per
l’ottimizzazione del trasporto merci nell’ambito dell’Unione Europea.

Unità di carico
L’unità di carico è l’elemento fisico minimo oggetto del trasporto ed utilizzabile per la
movimentazione di una merce. Trattasi di mezzi atti a semplificare il carico e lo scarico delle merci
dai mezzi di trasporto. Nella realtà, viene considerata unità di carico il mezzo completo della merce,
oggetto della movimentazione, sistemata sul mezzo stesso (quindi il pallet da solo non è unità di
carico, il pallet + merce sistemata sul pallet è unità di carico). L’unità di carico è, dunque, un
raggruppamento di materiali disposto in modo da poter essere movimentato e trasportato mediante
mezzi di trasporto meccanici.
In teoria esistono infiniti tipi di unità di carico (U.d.C.), che rispondono a svariate esigenze di
movimentazione e confezionamento dei prodotti. Nella realtà, però, le U.d.C. effettivamente utilizzate
sono poche. Esse sono:
- PALLET – piattaforma d’appoggio sopraelevata per facilitare il sollevamento e l’impilamento
delle merci, le quali solitamente sono confezionate in colli. Può
essere in legno, plastica, metallo o cartone.
Il pallet può essere reversibile o non reversibile. Il pallet non
reversibile è costituito da tavole di legno fissate su tasselli. Il
piano superiore è l’unico utilizzabile per il carico della merce. In
caso di sovrapposizione di più pallet, il pallet non reversibile
presenta problemi di instabilità dovuti all’assenza di un piano
nella parte inferiore. Ciò dipende molto anche dalla continuità o
meno della superficie superiore dell’U.d.C. su cui sovrapporre i
pallet. In un pallet reversibile, invece, entrambe le facce sono
utilizzabili per il carico della merce. Si ha, di conseguenza, una
maggiore stabilità in caso di sovrapposizione di più pallet. Ovviamente il costo dei due tipi di
pallet è differente.
Il pallet può essere a 2 o a 4 vie a seconda del numero di lati da cui può essere afferrato per la
movimentazione. Quello a 4 vie consente di ridurre i tempi di posizionamento dei mezzi rispetto
al pallet per effettuare la movimentazione.
I pallet possono essere di differenti dimensioni. Quello maggiormente utilizzato è
l’EUROPALLET, pedana di forma rettangolare, di dimensioni 800 x 1200 mm, che ha
caratteristiche standard a livello internazionale. Essi sono movimentati
tramite carrelli elevatori.

Esistono U.d.C. particolari che non vengono realizzate con il Pallet ma


con materiale schiacciato in blocchi e rilegato con fili metallici.

- CONTENITORE (container) – cassa metallica speciale per il trasporto merci, rinforzata,


sovrapponibile, che può essere trasbordata verticalmente o
orizzontalmente. Nel contenitore trovano posto le merci anche sotto
forma di altre U.d.C. (ad esempio, l’U.d.C. pallet può essere caricato
nel contenitore). Sono sovrapponibili in quanto hanno caratteristiche
di resistenza meccanica adeguate a sopportare carichi notevoli. La sovrapponibilità non esclude
l’insorgere di problemi di stabilità. Esistono container di dimensioni differenti. Il container di
riferimento per le capacità di movimentazione è quello da 20 Piedi (lunghezza = 6096 mm). Di
conseguenza il traffico di contenitori si esprime in TEU (“Twuenty Feet Equivalent Unit”). In
questo modo è possibile comparare diversi sistemi di movimentazione.
Le dimensioni esterne del container sono fondamentali in relazione alle regole che disciplinano il
trasporto sui diversi sistemi. In Italia, ad esempio, esistono regole per quanto riguarda la sagoma
limite dei mezzi circolanti su strada. Il container, se sistemato su mezzo circolante su strada, deve
avere dimensioni compatibili con le suddette norme.
Le dimensioni interne determinano la quantità di merce che è possibile
inserire nel container. Inserendo europallet all’interno di un container da
20 piedi, si ha l’ottimizzazione del carico disponendo i pallet in due file
da 5, ciascuna delle quali è caratterizzata da un pallet d’angolo con lato
lungo parallelo al lato corto del container e dai restanti con lato lungo
parallelo al lato lungo del container.
Il container è caratterizzato da una singola apertura attraverso la quale inserire la merce, la quale
viene successivamente spinta sul fondo.
Esistono anche container per rinfuse solide e liquide e contenitori frigorifero.
I container sono muniti nella parte inferiore e superiore di 4 PEZZI (o
blocchi) D’ANGOLO di dimensioni unificate. Nella parte inferiore essi sono
atti al fissaggio del container sui carri ferroviari portacontenitori e sui pianali
dei veicoli stradali. Nella parte superiore, invece, i blocchi d’angolo sono
atti all’aggancio e alla movimentazione verticale.
Esistono diversi tipi di presa e movimentazione dei
contenitori. Il sistema più diffuso di aggancio e movimentazione dei
container è detto SPREADER. Esso è costituito fondamentalmente da un
telaio a forma di doppio T che contiene alle proprie estremità dei
“twistlocks”, cioè pinze che si collegano ai 4 blocchi d’angolo presenti nella
parte superiore del container. Gli spreader possono essere fissi (a varie misure), oppure
telescopici.

- CASSA MOBILE – è un’U.d.C. per il trasporto merce non rinforzata particolarmente utilizzata
nel trasporto combinato strada-ferrovia e che può trovare, quindi, posto sul
pianale di carro ferroviario, di un autocarro o di un semirimorchio.
Caratteristica principale della cassa mobile è la leggerezza e l’assenza di
pareti rigide. Queste ultime sono costituite da teli. Ciò consente
un’agevole operazione di carico e scarico delle merci. A differenza del container, la cassa mobile
permette di lavorare su tutti i lati. La leggerezza della struttura implica che le casse mobili sono
sovrapponibili solo quando vuote. Se piene, invece, non sono assolutamente sovrapponibili.
In definitiva, la cassa mobile ha una minore tara e maggiore facilità di carico/scarico rispetto ad
un contenitore a scapito dell’impilabilità. Quest’ultima è necessaria nel trasporto via mare, ma
non nel trasporto combinato strada-ferrovia per ragioni di sagoma ammissibile sulle linee
ferroviarie. Questo significa che le casse mobili non sono mai utilizzate nel trasporto via mare e
frequentemente utilizzate nel trasporto stradale e ferroviario.
L’altezza della cassa mobile è indicativa ed è determinata dalla SAGOMA
LIMITE della linea ferroviaria da percorrere e dal tipo di carro ferroviario su
cui viene posizionata. La sagoma limite è la figure entro la quale deve essere
contenuta la sezione trasversale di un veicolo. Esse variano al variare della
linea ferroviaria considerata.
Essendo caratterizzate da maggiore larghezza interna, le casse mobili hanno il
vantaggio, rispetto ai contenitori, di una migliore utilizzazione dello spazio
interno se riempite con europallet (800x1200).
Altro vantaggio della cassa mobile è la presenta, nei modelli corti, di supporti
di stazionamento grazie ai quali può essere svincolata dal veicolo senza
l’utilizzo di un’unità di movimentazione. Ciò è possibile se il veicolo è
dotato di sospensioni pneumatiche che permettono l’abbassamento e
l’innalzamento dello stesso in fase di manovra.
Le casse mobili sono munite solo nella parte inferiore dei 4 blocchi d’angolo
per il fissaggio sui carri ferroviari e sui pianali dei veicoli stradali. Di
conseguenza non possono essere prese dall’alto. La movimentazione di queste
U.d.C. avviene effettuata verticalmente attraverso un sistema di pinze con
prese dal basso dette “piggy back”. E’ possibile utilizzare spreader con doppia
funzione in modo da poter essere utilizzate sia per la movimentazione dei
container sia per quella delle casse mobili.
Esistono casse mobili rigide atte a particolari utilizzi (es. compattazione
dei rifiuti). La differenza con la cassa precedente consiste nel sistema di
aggancio al mezzo. L’incarramento, cioè l’azione attraverso cui la cassa
mobile viene portata sul veicolo, avviene grazie all’ausilio di un braccio
meccanico, azionato idraulicamente, avente un gancio all’estremità, il quale si collega ad una
barra appartenente alla cassa stessa. Una volta posizionata sul mezzo, la cassa viene bloccata
tramite ganci che la stringono in modo da evitare i rischi di spostamento o sgancio. Tale U.d.C. è
provvista di un’apertura all’estremità che permette il carico e lo scarico (per gravità) della merce.
- SEMIRIMORCHIO
- AUTOARTICOLATO
Semirimorchi, Autoarticolati e autotreni possono essere utilizzati come U.d.C. Essi, però, sono
sostanzialmente delle unità di trasporto.

Qualsiasi sia il tipo di U.d.C., fattori fondamentali da considerare sono


- CAPACITA’ DI CARICO - cioè la quantità di merce che può essere sistemata al loro interno. Ciò
ha una notevole influenza sui COSTI del servizio di trasporto. L’incidenza del costo di trasporto
è determinata dalla ripartizione del costo stesso sulla quantità di merce trasportata. E’ chiaro che
maggiore è la quantità di merce che è possibile inserire all’interno di un’unità di trasporto,
maggiore sarà la quantità di merce su cui ripartire il costo del trasporto e, dunque, minore sarà
l’incidenza del costo del trasporto stesso.
- PORTATA UTILE – il peso della merce deve essere compatibile con le caratteristiche di
resistenza dell’U.d.C. in cui deve essere inserita.
Unità di trasporto
Le unità di trasporto (U.d.T.) sono atte allo spostamento delle unità di carico. Esistono diverse U.d.T.
a seconda del modo di trasporto, cioè del sistema di trasporto che si vuole utilizzare (Trasporto
stradale, Trasporto ferroviario, Trasporto combinato strada-ferrovia, Trasporto marittimo, Trasporto
aereo). La scelta del sistema di trasporto più opportuno da utilizzare è effettuata sulla base di fattori
quali:
- VOLUME DISPONIBILE PER LA MERCE – esso dipende dalla determinata unità di trasporto
scelta e dall’U.d.C. che l’U.d.T. deve trasferire.
- PORTATA UTILE DELL’U.d.T. – il peso dell’U.d.C. e della merce in esso contenuta, la quale
deve essere trasportata, deve essere compatibile con la portata trasportabile dall’U.d.T.

Unità di trasporto stradale


Per quanto riguarda il trasporto stradale, le U.d.T. sono caratterizzate da diversi fattori quali altezza,
lunghezza, larghezza, ecc. Vi sono, inoltre, due fattori molto importanti:
- Il PESO (massa) TOTALE A TERRA - il peso (massa) massimo che caratterizza l’insieme del
veicolo e della merce trasportata.
- La PORTATA UTILE – deriva dal peso totale a terra e dipende dal peso del mezzo. Maggiore è
il peso del mezzo, minore sarà la portata utile che è possibile sfruttare per il trasporto della merce.
Sia il p.t.t. che la portata dipendono dal numero di assi. Ad un numero maggiore di assi corrisponde
un minore peso che si scarica su ciascuno di essi. Ciò significa che ad un maggior numero di assi
corrisponde una maggiore portata utile del mezzo e un maggiore p.t.t.

Le principali U.d.T. stradale sono:


- AUTOCARRO – veicolo singolo per il trasporto merci dotato di trazione propria (lun. max 12m).
Il p.t.t. può essere di 18t – 26t – 32t a seconda che l’autocarro abbia 2
– 3 – 4 assi. La portata può essere di 7/8 t (2 assi) o di 14/16t (3 assi).
La dimensione dell’autocarro dipende dalle esigenze di trasporto.
Determinati tipi di autocarro, ad esempio quelli atti al trasporto dei
rifiuti, sono dotati di una pala compattatrice. L’utilizzo di tale pala
permette l’ottimizzazione del trasporto grazie all’aumento della quantità trasportata. Così facendo
si ottiene una riduzione dei costi per unità di materiale trasportato.

- AUTOTRENO – è costituito dalla combinazione di un AUTOCARRO, che funge da motrice, e


da un RIMORCHIO. Il p.t.t. è di 44t (5/6 assi) e la portata è di 28/30t. L’autotreno è caratterizzato
da una elevata versatilità. E’ possibile, infatti, utilizzare l’autotreno
sia nella configurazione motrice + rimorchio sia nella
configurazione che contempla la sola motrice staccando, quindi, il
rimorchio. Di conseguenza vi è versatilità nella capacità di trasporto: 30t per la configurazione
motrice + rimorchio, 15t per la configurazione solo motrice.

- AUTOARTICOLATI: complessi di veicoli costituiti da un trattore stradale e da un


semirimorchio. Le caratteristiche tecniche sono identiche a quelle
dell’autotreno: il p.t.t. è di 44t (5/6 assi) e la portata è di 28/30t. I
vantaggi dell’autoarticolato sono costituiti da una migliore
manovrabilità e da una migliore accelerazione rispetto agli autotreni. Lo svantaggio consiste in
una minore versatilità rispetto agli autotreni. L’autoarticolato, infatti, può essere utilizzato nella
sola configurazione trattore + semirimorchio. Non vi è, quindi, versatilità nella capacità di
trasporto. Di conseguenza, se non si in grado di utilizzare tutta la capacità di trasporto a
disposizione si avranno elevati costi di trasporto per unità di merce.
Il semirimorchio per autoarticolato è caratterizzato nella parte posteriore da ante da aprire e
chiudere in caso di movimentazione del carico, e sui lati da pareti rigide oppure da pareti flessibili
costituite da teloni scorrevoli. I semirimorchi con teloni prendono il nome di centinati. I teloni
possono vengono aperti nel momento in cui si inserisce l’unità di carico nel semirimorchio. Il
semirimorchio telato è, in pratica, identico alle casse mobili.
In un semirimorchio a pareti rigide il carico dei materiali pallettizzati avviene grazie all’ausilio di
carrelli elevatori. Questi ultimi possono collocare un numero limitato (4) di pallet nella parte più
vicina all’apertura del semirimorchio. Il materiale, però, deve occupare tutto il volume a
disposizione. E’ il pavimento del rimorchio a spostare il materiale verso il fondo del
semirimorchio. Il pavimento, infatti, è costituito da listelli metallici, i quali si muovono avanti e
indietro in gruppi alternati. Lo scarico della merce avviene nel medesimo modo.
Nel momento in cui è necessario caricare materiali sciolti (non pallettizzati) è possibile utilizzare
un semirimorchio caratterizzato da un’apertura sita sul tetto. Una volta caricato, il materiale deve
occupare tutto il volume a disposizione. Ciò è possibile grazie ad una paratia mobile sita sul fondo
del semirimorchio che si sposta avanti ed indietro. Tale paratia consente, chiaramente, anche lo
scarico della merce. Quest’ultima esce dal semirimorchio attraverso un carrello che viene
sollevato meccanicamente.
Unità di trasporto ferroviario
Il trasporto ferroviario consente di abbattere in maniera rilevante le emissioni ed è economico, in
quanto una sola motrice può muovere decine di container e, quindi, si avrà una ripartizione dei costi
su una quantità elevata di merce trasportata. I problemi sono costituiti dal fatto che la rete ferroviaria
non ha la stessa estensione della rete stradale ed i tempi di percorrenza della rete risultano essere
molto lunghi.
Tali problemi fanno sì che il trasporto ferroviario non sia utilizzato o che vengano prese in
considerazione soluzioni quali il trasporto combinato o il trasporto intermodale.
Si ha trasporto intermodale quando, nel percorso tra l’origine e la destinazione del trasferimento, si
utilizzano più modi di trasporto: strada-ferrovia-strada / strada-mare-strada.
Nel trasporto ferroviario e, quindi, anche nel trasporto combinato e intermodale, si considerano i
CARRI FERROVIARI. Esistono diversi tipi di carro ferroviario:
- CARRO PIANALE- carro ferroviario più semplice. Esso è costituito da un piano poggiato su due
carrelli atto al trasporto di contenitori e casse mobili. In
questo caso il passaggio da un determinato sistema di
trasporto a quello ferroviario è effettuato grazie all’ausilio
di unità di movimentazione, ad esempio gli spreader. Ciò comporta la necessità di strutture
all’interno delle quali queste movimentazioni possano avvenire. Tali strutture prendono il nome
di interporti.
- CARRO A TASCA FISSA – carro adatto al trasporto di semirimorchi. E’ detto “CARRO
POCHE” proprio perché caratterizzato da una tasca per l’inserimento
degli assi di un semirimorchio. In caso di trasporto combinato,
infatti, il semirimorchio può essere facilmente sganciato dal trattore
dell’autoarticolato per essere trasferito sul convoglio ferroviario, trasformandosi, quindi, da unità
di trasporto a unità di carico. Una volta che il treno arriva alla sua destinazione il semirimorchio
subirà il passaggio opposto. Il passaggio avviene all’interno di un interporto.
Il semirimorchio può essere sollevato con il sistema della cassa mobile. Viene, cioè, agganciato
con una pinza piggy-back e posizionato sul carro dall’alto tramite una gru. Si ha, quindi, il carico
e lo scarico dall’alto che prendono il nome di LIFT ON – LIFT OFF (Lo-Lo). Ciò avviene per
due ragioni: 1) il carro a tasca fissa non ha parti mobili; 2) il semirimorchio, sia esso telato o a
pareti fisse, non ha le caratteristiche di resistenza tali da resistere alla presa di uno spreader.
La presenza di piani di appoggio alle estremità fa sì che il carro poche sia adatto anche al trasporto
di contenitori e casse mobili.
- CARRO MODALOHR - si tratta di un carro con piano di carico molto basso e a caricamento
laterale. I piani di carico possono ruotare per portarsi in
corrispondenza di rampe, fisse sul terreno e presenti alla
sinistra e alla destra di ogni binario. A questo punto il
camion può scendere o salire per prelevare o depositare il
semirimorchio. L’operazione di trasferimento del semirimorchio sul carro è effettuata dal trattore
dell’autoarticolato. Ciò costituisce un vantaggio, in quanto si evita l’utilizzo delle attrezzature di
movimentazione necessarie nei casi precedenti, con conseguente semplificazione delle operazioni
di trasferimento del semirimorchio dal sistema stradale a quello ferroviario.
Ogni carro “modalohr”, inoltre, è atto al trasferimento di due motrici o di un semirimorchio.
Altro vantaggio è legato al fatto che i carri ‘’modalohr’’ permettono il
carico e lo scarico di più carri contemporaneamente. Ciò, però, è
legato alla realizzazione di diverse rampe lungo la banchina
ferroviaria.
Gli svantaggi sono legati al costo superiore di questo carro rispetto ai precedenti, al costo di
acquisizione e allestimento dei piazzali e al costo di realizzazione delle rampe. Questi costi,
chiaramente, si riflettono sul costo di trasporto.
In definitiva, se da un lato l’utilizzo di questi carri porta ad una riduzione dei costi di esercizio,
dall’altro si determina un aumento dei costi di investimento.
Una evoluzione del carro “modalhor” semplifica ulteriormente la gestione del
trasferimento. Il carro è dotato di un piano che può ruotare ed inclinarsi verso il
basso, diventando, quindi, una rampa. Anche in questo caso è il trattore
dell’autoarticolato a effettuare, in retromarcia, l’operazione di trasferimento del
semirimorchio. Questo tipo di carro “modalhor” ha un costo maggiore rispetto
al precedente.
- CARRI A TASCA MOBILE – carri sviluppati per consentire forme di intermodalità senza
l’utilizzo di unità di movimentazione. Il carro è
costituito da un piano che non ruota ma può abbassarsi
e sollevarsi. Grazie all’ausilio di un’unica rampa, l’autoarticolato può
salire e muoversi sul carro in modo che la motrice possa sistemare il
semirimorchio nella posizione prevista e successivamente
allontanarsi. Per bloccare in posizione sicura il semirimorchio, il
piano si inclina in modo che le ruote possano rimanere incastrate in uno spazio predefinito.
Si tratta, quindi, di un carro più semplice e meno costoso di un carro modalhor.
- CARRO WIPPEN – è un carro a tasca mobile particolarmente diffuso nella rete europea. Il
sistema è costituito da una coppia di semicarricarri permanentemente
collegati e atti al trasporto di due semirimorchi ad uno, due o tre assi. Il
caricamento “orizzontale” è effettuato mediante i trattori degli
autoarticolati.
La presenza di un’unica rampa determina che lo svantaggio del carro a
tasca mobile, e quindi anche del carro Wippen, rispetto a quello
Modalhor è rappresentato dai tempi di carico particolarmente lunghi.
- SEMIRIMORCHIO BIMODALE – Il concetto di base è che il semirimorchio è sia un’unità di
carico, sia un’unità di trasporto stradale e ferroviaria. I veicoli
bimodali sono semirimorchi particolari e muniti di attacchi per
carrelli ferroviari. Ciò significa che il semirimorchio può sostituire
in parte un convoglio ferroviario.
Questo tipo di semirimorchi è caratterizzato da una struttura robusta, rinforzata per resistere agli
sforzi longitudinali, il che li rende più costosi rispetto ai normali.
Il convoglio ferroviario viene realizzato abbinando alternativamente semirimorchi e carrelli. Il
carrello ferroviario è un sistema costituito da ruote e freni a contatto con le rotaie. Le estremità di
ogni semirimorchio vengono poggiate su due carrelli in modo da formare il carro ferroviario. Il
semirimorchio viene posizionato sul carrello dall’autoarticolato, il quale può essere portato sui
binari in quanto incassati nella pavimentazione. Il semirimorchio viene assicurato al carrello
grazie all’intervento di un sistema di aggancio. A questo punto il semirimorchio viene sganciato
dal trattore e poggiato temporaneamente sui propri supporti, fin quando non viene agganciata
anteriormente ad altri carrelli o alla motrice ferroviaria.
- AUTOSTRADA VIAGGIANTE –Si ottengono in questo modo le cosiddette Autostrade
Viaggianti. Esse sono costituite da treni composti da carri ultrabassi sui quali viaggiano gli interi
autoarticolati. Dunque, così come un semirimorchio può essere un’unità
di carico o un’unità di trasporto sia ferroviario che stradale, anche
l’intero autoarticolato (così come l’autotreno e l’autocarro) può essere
considerato un’unità di carico nel trasporto combinato strada ferrovia.
Tipico carro utilizzato in caso di autostrade viaggianti è il carro Saadkms (il prof. Stesso ha evitato
di dire il nome). E’ caratterizzato da ruote aventi diametro pari a 360 mm che risultano essere
piccolissime rispetto a quelle di un normale carro ferroviario, il cui diametro è di 900 mm. Il carro
viene realizzato in questo modo per consentire la facile salita e discesa dei mezzi stradali.
Sul medesimo trano viaggiano, in un’apposita carrozza, anche gli autisti degli autoarticolati. Si
parla, quindi, di traffico accompagnato.
Dal punto di vista economico il trasporto accompagnato è generalmente poco conveniente in
quanto immobilizza le motrici stradali e i propri conducenti per tutta la durata del percorso
ferroviario. Risulta necessario, però, nei percorsi nei quali il trasporto ferroviario è obbligato dai
vincoli, imposti dai vari Paesi, in relazione al traffico dei mezzi pesanti stradali (si pensi, ad
esempio, all’attraversamento dei valichi Alpini).
Le operazioni di carico e scarico avvengono sequenza, mediante una rampa molto bassa. E’
necessario, quindi, un tempo notevole per preparare il treno di un’autostrada viaggiante.

Il Trasporto Intermodale
Si è definito il trasporto Combinato come il trasporto effettuato con una combinazione di U.d.T.
Stradale e Ferroviario. Il trasporto Combinato è un sottoinsieme del Trasporto Intermodale.
Quest’ultimo è, a sua volta, un sottoinsieme del Trasporto Multimodale.
A differenza del trasporto Intermodale, in quello Multimodale è possibile
utilizzare svariate U.d.C., non necessariamente standardizzate.
Il trasporto INTERMODALE è dato dalla combinazione ottimale dei vari
modi di trasporto nella catena del viaggio fra l’origine e la destinazione. L’obiettivo è quello di
utilizzare ciascuna modalità per quel segmento di domanda in cui essa è preferibile rispetto alle altre
dal punto vista tecnico-trasportistico (integrità della merce trasportata, capacità di carico, ecc.),
economico, energetico e ambientale. Proprio la questione ambientale, attualmente di particolare
rilevanza, ha portato ad una spinta verso l’utilizzo del trasporto Intermodale. Rispetto al trasporto
stradale, infatti, quello intermodale genera un bilancio ambientale più positivo, grazie al
coinvolgimento di sistemi di trasporto a basso impatto ambientale.
Gli SVANTAGGI del trasporto Intermodale sono legati a:
- AUMENTO DEL COSTO DI TRASPORTO DOVUTO AI TRASBORDI DELLE UNITA’ DI
CARICO – è necessario considerare i tempi aggiuntivi relativi ai trasferimenti dell’unità di carico
da un sistema all’altro. E’ chiaro che ciò ha influenza sul costo del trasporto.
- MINORE AFFIDABILITA’ E SICUREZZA PER IL CARICO a causa dei trasbordi – ciò
riguarda sia l’integrità delle merci, che possono essere danneggiate durante i trasbordi, sia
l’eventuale sottrazione della merce da parte del personale addetto al trasbordo. Maggiore è il
numero degli operatori coinvolti nel trasporto, maggiori saranno le difficoltà di risalire ai
responsabili di eventuali sottrazioni.
- AUMENTO DEL TEMPO DI VIAGGIO - un sistema può essere più lento rispetto ad un altro
sia per la velocità di marcia del mezzo sia per i rallentamenti dovuti ai fermi durante il percorso.

I VANTAGGI, legati alle principali FINALITA’ del trasporto Intermodale, sono legati a:
- DIMINUZIONE DEI COSTI DI TRASPORTO attraverso lo sfruttamento di ECONOMIE DI
SCALA DI ALCUNI MODI O MEZZI DI TRASPORTO - l’utilizzazione di sistemi di trasporto
ferroviario o marittimo a corto raggio permettono lo sfruttamento di economie di scala dei modi
di trasporto. Rispetto al trasporto su strada, infatti, il trasporto ferroviario/navale permette lo
spostamento di un quantitativo maggiore di U.d.C. Si verifica, di conseguenza, una diminuzione
del costo di spostamento di un’U.d.C. per unità di lunghezza dello spostamento, in quanto il costo
viene suddiviso su un numero maggiore di U.d.C. relative a diversi operatori aventi le stesse
esigenze.
L’interesse per un determinato sistema di trasporto, inoltre, può variare anche in relazione al
mezzo di trasporto di quel sistema. Nell’ambito del sistema navale, ad esempio, è possibile
considerare convenienze diverse a seconda della nave utilizzata per effettuare lo spostamento.
Colui che, all’interno dell’azienda, si occupa del trasporto merci guarderà prevalentemente
l’aspetto della riduzione del costo specifico di trasporto ai fini della gestione dello spostamento
delle merci.
- DIMINUZIONE DEI COSTI ESTERNI DEI TRASPORTI – I costi esterni dei trasporti sono
costi relativi all’inquinamento, all’incidentalità, alla sottrazione del suolo ad usi alternativi. Tali
costi non sono considerati dalla singola azienda che effettua il trasporto merci ma dalle istituzioni,
le quali prendono decisioni riguardo la regolamentazione dei trasporti a livello nazionale o
internazionale. La riduzione dei Costi Esterni dei trasporti avviene attraverso il RIEQUILIBRIO
MODALE, cioè la diminuzione della aliquota di trasporto merci su strada. Le modalità di
trasporto ad economie di scala rispetto al mezzo di trasporto sono, infatti, caratterizzate da un
consumo energetico e da una incidentalità minore rispetto al sistema stradale.

Intermodalità Economica
La convenienza economica del trasporto intermodale rispetto a quello monomodale si evince
facilmente grazie all’utilizzo di un metodo grafico.
Consideriamo un’azienda che deve decidere se utilizzare un trasporto solo su strada, chiamato
trasporto “Tuttostrada”, o un sistema di trasporto combinato del tipo strada-ferrovia. Tale trasporto
viene organizzato facendo ricorso ad una società esterna specializzata in logistica stradale.
Consideriamo, quindi, un grafico che mette in relazione i costi del trasporto, espressi in euro, e il
viaggio, cioè la distanza tra punto di partenza (Origine) e punto di arrivo della merce (Destinazione).
La Destinazione delle merci, indicata dal punto D, si trovi ad una distanza d dal punto di partenza
delle merci, che corrisponde all’Origine degli assi. Avremo, quindi, la distanza d(OD).
Quantifichiamo, innanzitutto, l’importo che sarà speso per il trasporto di una U.d.C. ben definita (ad
esempio un container da 20 piedi) con il sistema stradale.
Si avrà una tariffa di trasporto unitaria relativa alla particolare U.d.C. da trasportare, detta COSTO
UNITARIO DI TRASPORTO SU STRADA (Cus = [€/km]). La tariffa è espressa in €/km e non è
riferita alla massa da trasportare in quanto si riferisce ad un mezzo la cui portata utile è compatibile
con le dimensioni dell’unità di carico già definita che deve essere trasportata. Il trasporto del container
da 20 piedi, ad esempio, può avvenire solo con un autoarticolato, il quale è caratterizzato da una
determinata tariffa di trasporto unitaria. Il contenuto in massa del container da 20 piedi non è
importante ai fini della definizione della tariffa di trasporto. Ciò che è importante è che il contenuto
in massa sia minore o uguale alla capacità massima del container stesso.
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO SU STRADA per portare l’unità
di carico dall’origine alla destinazione ha un andamento lineare ed è dato
da: Cts = Cus * d(OD) = [€/km] * [km] = [€].
Coefficiente angolare della retta è proprio il Cus.
Consideriamo ora la possibilità combinare i modi di trasporto stradale e ferroviario effettuando, tra
l’origine e la destinazione, il trasferimento dell’unità di carico dall’unità stradale a quella ferroviaria
e viceversa. Tale trasferimento è chiamato TRASBORDO dell’unità di carico. Il trasbordo viene
effettuato in enormi strutture chiamate INTERPORTI. Essi sono dotati di attrezzature e servizi
adeguati all’attività da svolgere, oltre a uffici doganali, aree riservate alla manutenzione dei mezzi,
alberghi per i conducenti dei mezzi, ecc.
Immaginiamo, quindi, che il primo Interporto si trovi in corrispondenza del punto A e, quindi, ad una
distanza d(OA) dall’Origine. Si ha, quindi: Cts (OA) = Cus * d(OA).
L’attività di trasbordo dell’unità di carico da un sistema all’altro ha un
costo, che prende il nome di COSTO DI TRASBORDO (Ct). Esso va a
sommarsi al Costo di Trasporto su Strada sostenuto per trasportare l’unità
di carico dall’origine al primo Interporto. A trasbordo effettuato, in
corrispondenza del punto A si sostiene un costo pari a: Cts (OA) + Ct.
Una volta effettuato il trasbordo, il trasporto dell’U.d.C. fino al secondo Interporto, sito il più vicino
possibile alla Destinazione, avviene con il sistema ferroviario. Si ha, quindi, una nuova tariffa di
trasporto unitaria relativo alla particolare U.d.C. da trasportare, che prende il nome di COSTO
UNITARIO DI TRASPORTO SU FERROVIA (Cuf = [€/km]).
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO SU FERROVIA per portare l’U.d.C. dal primo interporto,
sito in corrispondenza del punto A, al secondo interporto, sito in corrispondenza del punto B, ha un
andamento lineare ed è dato da: Ctf = Cuf * d(AB) = [€/km] * [km] = [€].
Coefficiente angolare della retta è Cuf. Dato che il sistema ferroviario
presenta economie di scala ed è caratterizzato da consumi energetici
inferiori rispetto a quello stradale, si ha che Cuf < Cus. Ciò significa che
la retta che caratterizza il trasporto ferroviario è caratterizzata da una
pendenza minore rispetto a quella che caratterizza il trasporto stradale.
Nel secondo interporto avviene una seconda attività di trasbordo
dell’U.d.C. dal sistema ferroviario a quello stradale. Si sostiene
nuovamente, quindi, il Costo di Trasbordo (Ct).
A trasbordo effettuato, in corrispondenza del punto B si sostiene un costo
pari a: Cts(OA) + Ct1 + Ctf(AB) + Ct2.
Effettuato il secondo trasbordo, il trasporto dell’U.d.C. fino alla Destinazione avviene con il sistema
stradale e sarà, quindi, caratterizzato dal Costo Unitario di Trasporto su Strada (Cus) iniziale.
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO SU STRADA per portare
l’U.d.C dal punto B alla destinazione ha un andamento lineare ed è dato
da: Cts = Cus * d(BD) = [€/km] * [km] = [€].
La pendenza di tale retta è uguale a quella della retta originaria.
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO INTERMODALE per portare l’U.d.C dall’Origine alla
Destinazione è dato da: C’ts= Cts(OA) + Ct1 + Ctf(AB) + Ct2 + Cts(BD).
Se C’ts > Cts: conviene effettuare il trasporto esclusivamente con il sistema Stradale.
Se C’ts < Cts: conviene prendere in considerazione il trasporto Intermodale.
La convenienza del Trasporto Intermodale rispetto a quello Stradale dipende da diversi fattori, quali:
- LUNGHEZZA DEL TRATTO FERROVIARIO DA PERCORRERE -
minore è la distanza tra gli Interporti e minore sarà l’incidenza del trasporto
ferroviario sull’abbassamento del costo totale del trasporto.
- POSSIBILITA’ DI EFFETTUARE IL TRASBORDO ALL’INTERNO
DELLO STABILIMENTO DI ORIGINE/DESTINAZIONE – la presenza
di raccordi ferroviari interni agli stabilimenti elimina la necessità di
sostenere i relativi costi di trasbordo.
- Ct NON ELEVATI – in modo da non annullare il vantaggio di costo derivante dal trasporto
ferroviario.
- AUMENTO DEL Cus – l’aumento del Cus porta ad una pendenza maggiore della retta relativa
al trasporto Tuttostrada. Si ha, quindi, un Cts molto maggiore del C’ts. In queste condizioni il
trasporto Intermodale viene chiaramente favorito. Il Cus dipende da numerosi fattori tra cui
pedaggio autostradale o accise sul carburante. L’aumento, da parte delle Istituzioni, del costo di
tali fattori è volto a scoraggiare il trasporto Stradale a favore di quello Intermodale in modo da
ridurre i Costi Esterni visti precedentemente.
- RIDUZIONE DEL Cuf – L’innovazione e il miglioramento dell’efficienza del sistema ferroviario
portano ad una riduzione delle tariffe. Si ha, quindi, una riduzione della pendenza della retta
relativa al trasporto ferroviario con conseguente riduzione del C’ts.

Sin ora abbiamo considerato una stessa distanza d(OD) tra Origine e Destinazione indipendentemente
dal sistema di trasporto adottato, sia esso Stradale o Intermodale. In realtà, considerando il trasporto
Intermodale, per raggiungere gli Interporti è necessario effettuare digressioni dal??? percorso che
comportano l’aumento della distanza da percorrere tra Origine e Destinazione. Ciò ha, chiaramente,
ripercussioni sui costi e sulla convenienza di un sistema rispetto all’altro.
Consideriamo, quindi, O origine del viaggio e D la destinazione.
Nel trasporto Tuttostrada la distanza da considerare è d(OD).
Nel trasporto Intermodale è, invece, necessario percorrere la distanza tra Origine e primo Interporto
d(OA), la distanza tra i due Interporti d(AB) e la distanza tra secondo Interporto e Destinazione
d(BD).
E’ necessario, quindi, percorrere la distanza d’(OD) = d(OA) + (AB) + d(BC), tale che d’(OD) >
d(OD).
Indichiamo, poi, con:
- Cm1 = costo unitario trasporto su strada;
- Cm2 = costo unitario trasporto per ferrovia o per mare;
- CC = costo di Carico dell’U.d.C. sull’U.d.T. all’interno dell’azienda di Origine;
- CS = costo di Scarico dell’U.d.C. dall’U.d.T. all’interno dell’azienda di Destinazione;
- Ct = costo di Trasbordo nei due Interporti (immaginiamo Ct1 = Ct2).
La condizione di convenienza economica del trasporto Intermodale si esprime attraverso la
diseguaglianza: C”tuttostrada” > C”intermodale”. Si ha, quindi, che:
CC + Cm1 * d(OD) + CS > CC + Cm1 * d(OA) + Ct + Cm2 * d(AB) + Ct + Cm1 * d(BD) + CS →
→ Cm1 * d(OD) > 2*Ct + Cm2 * d(AB) + Cm1 * [d(OA) + d(BD)] →
→ Cm1 * [d(OD) – d(OA) – d(BD)] > 2*Ct + Cm2 * d(AB).
Indichiamo con y = [d(OD) – d(OA) – d(BD)] e con x = d(AB) e
otteniamo: Cm1 * y > 2*Ct + Cm2 * x →
→ y > 2*(Ct/cm1) + (Cm2/Cm1) * x.
Si ha, di conseguenza, la rappresentazione della REGIONE DI INTERMODALITA’ ECONOMICA:

E’ necessario, però, considerare che portare la marce agli Interporti


comporta un allungamento dei percorsi.
Ciò si evince dal fatto che [d(OD) – d(OA) – d(BD)] < d(AB). Si
ottiene, di conseguenza, un altro vincolo: y < x.
Tale vincolo riduce notevolmente la regione pratica di convenienza
economica dell’intermodalità.

Per aumentare la regione di Intermodalità Economica è possibile:


- RIDURRE Ct – In caso di Interporto in Origine o in Destinazione, ad esempio, si ha una sola T e
non 2T e, di conseguenza si abbassa l’intercetta della retta sull’asse y. Tale riduzione si ottiene
anche rendendo l’attività di trasbordo sempre più automatizzata.
- RIDURRE Cm2 – ciò è possibile rendendo le tariffe del sistema di trasporto ad economie di scala
sempre più convenienti – si abbassa, così, il coefficiente angolare della retta.
- AUMENTARE Cm1 – ciò è possibile tassando il trasporto su strada. Si abbassa, così, il
coefficiente angolare della retta e la sua intercetta sull’asse y. Questa rappresenta la soluzione
MIGLIORE per incoraggiare il trasporto Intermodale.
- Agire sia su Cm1 e Cm2.
Abbassare l’intercetta della retta sull’asse y risulta essere di fondamentale importanza per aumentare
la regione di Intermodalità Economica.

Il Trasporto Intermodale risulta competitivo, in Europa, se la distanza tra Origine e Destinazione della
merce è di almeno 400-500 Km. Dai dati, però, si evince che solo il 37% del traffico stradale si volge
su distanze superiori ai 400 Km.
Struttura di Costo dell’Autotrasporto
La tariffa di trasporto unitaria relativa alla particolare U.d.C. da
trasportare, detta COSTO UNITARIO DI TRASPORTO SU
STRADA, espressa in [€/km], dipende da numerosi fattori. Tra
questi fattori, l’Incidenza di ritorni a vuoto indica l’incidenza di
costo derivante dalla possibilità, per il trasportatore, di viaggiare
con un carico sia all’andata che al ritorno. I fattori più importanti
sono:
- COSTI FISSI – costi la cui entità non dipende dall’attività che si svolge. Sono costi relativi
all’acquisto di risorse necessarie alla nascita e al funzionamento dell’azienda. Per quanto concerne
la logistica i principali costi fissi sono: Ammortamento dei veicoli, Oneri finanziari, Assicurazioni
(Rc, Furto, Incendio, merce, ecc.), Tasse di circolazione, Concessione, Carbon Tax, ecc.
- COSTI VARIABILI - costi la cui entità dipende dall’attività che si svolge. Esistono se i mezzi
vengono fatti funzionare. Se i mezzi restano fermi, invece, sono nulli. I costi variabili sono: il
costo del conducente (senza trasporto tale costo è nullo), carburante e lubrificanti (costo
lubrificante è in genere il 2,5% del consumo di carburante), manutenzione (se il mezzo è utilizzato
è calcolata sempre come percentuale annua del costo di acquisto del mezzo al quale si riferiscono),
pneumatici, pedaggi autostradali o per traghetti/trafori, spese di viaggio, trasferte, ecc.
- LAVORO DIPENDENTE O AUTONOMO – è un costo variabile e dipende da orario di lavoro
(settimana lunga o corta) e straordinari. Il costo orario di un autista dipendente è circa 60%
superiore rispetto a quello di un padroncino, cioè una persona che acquista un mezzo per svolgere
l’attività in proprio.

La tariffa unitaria di trasporto varia a seconda del mezzo


considerato.
Consideriamo 3 mezzi: un Furgone, cioè un mezzo leggero
avente portata pari a 15 quintali, un Autocarro, cioè un mezzo
medio avente portata pari a 90 quintali, e un Autoarticolato, cioè
un mezzo pesante con portata pari a 280 quintali.
E’ possibile notare come la tariffa unitaria di trasporto aumenti
passando dal mezzo leggero a quello pesante. Si passa, infatti, dai 0,58 €/km del Furgone, ai 0,90
€/km dell’Autocarro ai 1,17 €/km dell’Autoarticolato. Ciò è dovuto a:
- AUMENTO COSTO DEL MEZZO nel passaggio da mezzo leggero a mezzo pesante - la quota
di ammortamento è fondamentale nella composizione del costo per chilometro. A parità di tempo
di utilizzo del mezzo, la quota di ammortamento è maggiore in relazione a quello che costa di più.
- AUMENTO DEL CONSUMO DI COMBUSTIBILE nel passaggio da mezzo leggero (con bassa
cilindrata) a mezzo pesante (con cilindrata elevata).

I costi logistici si riflettono sulla determinazione del prezzo della merce trasportata. Nella
determinazione del prezzo della merce, il costo logistico viene riferito alla massa di prodotto
trasportato. Consideriamo, quindi, un altro indice economico fondamentale per la logistica, cioè il
COSTO DI TRASPORTO PER UNITA’ DI MASSA [€/Q.le]. Dalla tabella precedente si evince
come all’aumento di portata utile del mezzo corrisponda una riduzione del Costo di Trasporto per
unità di Massa (maggiore Portata Utile mezzo = Minore Costo unitario per Unità di Massa). Tale
riduzione di costo si amplifica all’aumentare della distanza considerata per il trasporto (maggiore
distanza = maggiore differenza di Costo unitario per unità di massa a favore del mezzo con portata
utile maggiore). E’ chiaro che, per sfruttare a pieno tale riduzione di costo, colmare l’intera portata
utile del mezzo scelto risulta essere di fondamentale importanza.

I Twistlock e i Costi di Trasbordo


Gli enti normatori stabiliscono le modalità di movimentazione dei Container e come essi devono
essere collegati tra loro.
I blocchi d’angolo (come quello in figura) sono posizionati nei 4 angoli della
cassa affinchè possa essere facilmente movimentata con le attrezzature delle
Unità di Movimentazione.
Esistono modalità standardizzate di impilamento. Tra i container impilati vi
sono corridoi in cui gli addetti alla movimentazione e allo stoccaggio si
muovono per controllare ed eseguire i collegamenti tra casse rigide.
I container vengono collegati l’uno all’altro in
sovrapposizione attraverso meccanismi di aggancio detti
Twistlock. Questi ultimi sono costituiti da punte a freccia
che ruotano per creare l’incastro all’interno dei blocchi d’angolo del container
inferiore e superiore in cui sono inseriti. Essi, quindi, rendono la pila di
Container un blocco unico, impedendo ai singoli elementi di sollevarsi.
I Twistlock possono essere Manuali, Semi-Automatici o Automatici. I primi sono dotati di leve che
portano gli elementi a freccia nella posizione di blocco o di sblocco. Si rende necessario, quindi,
l’intervento dell’operatore.
Il Semi – Automatico, invece, consente il blocco automatico nel momento in
cui il container superiore viene poggiato su quello inferiore. Lo sblocco viene
effettuato da operatori, che operano da terra o dall’alto all’interno di cestelli di
sicurezza, i quali sono dotati di aste con ganci attraverso cui tirano i pomelli di
sgancio.
L’Automatico è dotato di una “linguetta” che permette il facile impilamento dei Container e
minimizza l’intervento dell’operatore. Nella fase di impilamento, l’operatore si
occupa esclusivamente di sistemare i Twistlock in corrispondenza dei blocchi
d’angolo del Container inferiore. Nella fase di sollevamento lo spreader fa
ruotare leggermente il container provocandone lo sganciamento. La
minimizzazione dell’intervento dell’operatore comporta la RIDUZIONE DEI COSTI DI
TRASBORDO che incidono sull’economia del trasporto Intermodale.
ESERCITAZIONE LOGISTICA ESTERNA
Problema: determinare la soglia di convenienza economica, in termini di quantità annua di materiale
trasportato, per la scelta del mezzo di trasporto ottimale per carichi di rifiuti di cartone in balle.
Un’impresa organizza in proprio il trasporto ed ha la possibilità di scegliere tra 2 mezzi, uno pesante
e uno leggero. Si vuol capre se e come la quantità da trasportare in un determinato periodo influisce
sulla scelta del mezzo.
DATI DEL PROBLEMA
- Caratteristiche dimensionali e di peso (medio) dell’U.d.C. da trasportare - cartone schiacciato in
blocchi e rilegato con fili metallici.
o TIPOLOGIA: BALLE DI MATERIALE PRESSATO
o FORMA GEOMETRICA: PARALLELEPIPEDO
o ALTEZZA: 1,10 METRI
o LARGHEZZA: 1,10 METRI
o LUNGHEZZA: 2,00 METRI
o PESO: 1.100 Kg

- Dati geografici del trasporto - DISTANZA TRA ORIGINE E DESTINAZIONE (O-R) = 100 Km
- Mezzi di trasporto utilizzabili:
1) AUTOARTICOLATO
o U.d.T. = SEMIRIMORCHIO;
o LUNGHEZZA INT. LORDA: 13,60 METRI
o LUNGHEZZA INT. NETTA: 13,40 METRI (lunghezza da considerare ai fini del carico
in quanto tiene conto degli spazi esistenti tra le varie U.d.C.)
o LARGHEZZA INT. NETTA: 2,40 METRI
o ALTEZZA: 2,40 METRI
o PORTATA: 28/30 TONNELLATE
o PERCORRENZA MEDIA ANNUA: 60.000 Km/a
o VELOCITA’ MEDIA SU STRADA: 60 Km/h

2) AUTOCARRO A 3 ASSI
o U.d.T. = CASSA MOBILE
o LUNGHEZZA LORDA INT.: 7,00 METRI
o LUNGHEZZA NETTA INT.: 6,50 METRI
o LARGHEZZA NETTA INT.: 2,40 METRI
o ALTEZZA: 2,40 METRI
o PORTATA PER AUTOCARRO 3 ASSI: 15 TONNELLATE.
o PERCORRENZA MEDIA ANNUA: 60.000 Km/a
o VELOCITA’ MEDIA SU STRADA: 60 Km/h

- Dati ECONOMICI
1) AUTOARTICOLATO:
o COSTO DI ACQUISTO: 150.000 €
o ASSICURAZIONE E TASSA DI PROPRIETA’: 4.500 €/ANNO
o PERIODO DI AMMORTAMENTO: 5 ANNI

2) AUTOCARRO 3 ASSI:
o COSTO DI ACQUISTO: 100.000 €
o ASSICURAZIONE E TASSA DI PROPRIETA’: 3.000 €/ANNO
o PERIODO DI AMMORTAMENTO: 5 ANNI

- Dati tecnico-economici di esercizio:

LAYOUT CARICO SEMIRIMORCHIO: per sapere quanto materiale è possibile trasportare in un


viaggio con un mezzo e con l’altro, è necessario considerare la sistemazione del carico nei 2 mezzi.
Semirimorchio: h1 = 2,4 m; Lu1 = 13,4 m; La1= 2,4 m.
Quindi V1= 77,184 m^3.
U.d.C.: h2= 1,10m; Lu2= 2,00m; La2= 1,10m.
Quindi V2= 2,42m^3.
V1/V2 = 31,89. E’ possibile disporre 31 casse al max.
h1/h2= 2,4/1,10 = 2,18. E’ possibile considerare 2 file di casse in altezza.
Consideriamo di sistemare il lato lungo dell’U.d.C. parallelo al lato lungo del semirimorchio:
Lu1/Lu2 = 13,4/2= 6,7 → 6 casse in lunghezza
La1/La2 = 2,4/1,10 = 2,18 → 2 casse in larghezza.
In tutto è possibile sistemare (6 * 2) 12 casse a piano e 24 casse in totale.
Sistemiamo il lato corto dell’U.d.C. parallelo al lato lungo del semirimorchio:
Lu1/La2 = 13,4 / 1,10 = 12,18 → 12 casse in lunghezza
La1/Lu2 = 2,4 / 2 = 1,2 → 1 cassa in larghezza
In tutto è possibile sistemare (12 * 1) 12 casse a piano e 24 casse in totale.
Le 2 soluzioni portano allo stesso risultato e ottimizzano a livello geometrico il carico trasportabile
dal semirimorchio.
Quindi U.trasp.1= 24
E’ importantissimo ora fare la verifica sulle portate. Essendo P.u.car. = 1100 Kg si ha che:
P.car.1= U.trasp.1 * P.u.car = 24 * 1100 = 26400 Kg = 26,4 Tonn. < 28/30 Tonn. → OK!!

LAYOUT CARICO CASSA MOBILE:


Cassa mobile: h1 = 2,4 m; Lu1 = 6,50 m; La1= 2,4
m. Quindi V1= 37,44 m^3.
U.d.C.: h2= 1,10m; Lu2= 2,00m; La2= 1,10m.
Quindi V2= 2,42m^3.
V1/V2 = 15,47. E’ possibile disporre 15 casse al max.

h1/h2= 2,4/1,10 = 2,18. E’ possibile considerare 2 file di casse in altezza.


Consideriamo di sistemare il lato lungo dell’U.d.C. parallelo al lato lungo della cassa mobile:
Lu1/Lu2 = 6,50/2= 3,25 → 3 casse in lunghezza
La1/La2 = 2,4/1,10 = 2,18 → 2 casse in larghezza.
In tutto è possibile sistemare (3 * 2) 6 casse a piano e 12 casse in totale.
Sistemiamo il lato corto dell’U.d.C. parallelo al lato lungo del semirimorchio:
Lu1/La2 = 6,50 / 1,10 = 5,9 → 5 casse in lunghezza
La1/Lu2 = 2,4 / 2 = 1,2 → 1 cassa in larghezza
In tutto è possibile sistemare (5 * 1) 5 casse a piano e 10 casse in totale.
Essendo 10 < 12 è ovvio che la soluzione migliore è sistemare l’U.d.C. con il lato lungo parallelo al
lato lungo della cassa mobile.
Quindi U.trasp.2= 12
Essendo P.u.car. = 1100 Kg si ha che:
P.car.2= U.trasp.2 * P.u.car = 12 * 1100 = 13200 Kg = 13,2 Tonn. < 15 Tonn. → OK!!

DETERMINAZIONE COSTI FISSI ANNUI:


Autoarticolato: Acq1= 150.000 €; Amm.1= 5 anni; Ass1 = 4.500 4.500 €/anno; i%= interesse= 20%
CF1 = [Acq1 * (1+i%)/ Amm.1] + Ass1 = [(150000 * 1,20) / 5] + 4500 = 40500 €/anno.

Cassa mobile: Acq2: 100.000 €; Amm.2= 5 anni; Ass.2: 3.000 €/anno; i% = 20%
CF2 = [Acq2 * (1+i%)/ Amm.2] + Ass2 = [(100000 * 1,20) / 5] + 3000 = 27000 €/anno.

DETERMINAZIONE COSTI VARIABILI A VIAGGIO:


Autoarticolato:
- Gasolio a viaggio:
Viaggio= 2*dist.= 2*100Km= 200Km/viaggio; Cons.Gas1= 2 Km/litro; C.u.gas1= 1,4 €/litro →
C.Gas.1 = [Viaggio/ Cons. gas1] * C.u.gas1 = [200/2] * 1,4 = 140 €/viaggio

- Olio lubrificante:
Viaggio= 2*dist.= 200Km/viaggio; Cons.Lub1= 0,02 Kg/Km; C.u.Lub1= 4 €/kg →
C.Lub.1 = Viaggio * Cons.Lub1 * C.u.Lub1 = 200 * 0,02 * 4 = 16 €/viaggio

- Pneumatici a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Pn1= 300 €/pezzo; n1=12 pezzi/treno; Cons.Pn1= 40000 Km/treno
C.pn1= [(Pn1*n1)/Cons.Pn1]*Viaggio = [(300*12)/40000]*200= 18 €/viaggio

- Conducente a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; C.u.Cond1= 20 €/h; Vel.1= 60 Km/h; t.car/scar1 = 0,5h
C.cond1= [(Viaggio/Vel.1) + t.car/scar1]*C.u.Cond1= [(200/60)+0.5]*20= 77€/viaggio

- Manutenzione a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Perc.1= 60.000 Km/anno; Man.1= 7.500 €/anno
C.man1= (Man.1/Perc.1) * Viaggio= (7500/60000) * 200 = 25 €/viaggio

C.var.1= C.Gas.1+ C.Lub.1 + C.pn1 + C.cond1 +C.man1 = 140 + 16 + 18 + 77 + 25 = 276 €/viaggio


Autocarro:
- Gasolio a viaggio
Viaggio= 200 Km; Cons.Gas2= 3,3 Km/litro; C.u.gas2= 1,4 €/litro →
C.Gas.2 = [Viaggio/ Cons. gas2] * C.u.gas2 = [200/3,3] * 1,4 = 85 €/viaggio

- Olio lubrificante:
Viaggio= 2*dist.= 200Km/viaggio; Cons.Lub2= 0,01 Kg/Km; C.u.Lub2= 4 €/kg →
C.Lub.1 = Viaggio * Cons.Lub2 * C.u.Lub2 = 200 * 0,01 * 4 = 8 €/viaggio

- Pneumatici a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Pn.2= 300 €/pezzo; n2=8 pezzi/treno; Cons.Pn.2= 40000 Km/treno
C.pn1= [(Pn2*n2)/Cons.Pn2]*Viaggio = [(300*8)/40000]*200= 12 €/viaggio

- Conducente a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; C.u.Cond2= 20 €/h; Vel.2= 60 Km/h; t.car/scar2 = 0,3h
C.cond1= [(Viaggio/Vel.2) + t.car/scar2]*C.u.Cond2= [(200/60)+0.3]*20= 73€/viaggio

- Manutenzione a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Perc.2= 60.000 Km/anno; Man.2= 5000 €/anno
C.man1= (Man.2/Perc.2) * Viaggio= (5000/60000) * 200 = 17 €/viaggio

C.var.2= C.Gas.2+ C.Lub.2 + C.pn2 + C.cond2 +C.man2 = 85 + 8 + 12 + 73 + 17 = 195 €/viaggio

DETERMINAZIONE COSTI DI TRASPORTO A TONNELLATA


Autoarticolato:
C.var.1= 276 €/viaggio; P.car.1= 26,4 Tonn./viaggio
C.peso.1 = C.var.1/P.car.1= 276/26,4 = 10,45 €/Tonn.

Autocarro:
C.var.2= 195 €/viaggio; P.car.2= 13,2 Tonn./viaggio
C.peso.2 = C.var.2/P.car.2= 195/13,2 = 14,77 €/Tonn.
DETERMINAZIONE DELLA QUANTITA’ CRITICA
Consideriamo un grafico che mette in relazione i Costi annui e le Quantità annue da trasportare.
Sapendo che il Costo Totale è dato dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili, ed indicando con
Q la quantità annua da trasportare, possiamo scrivere:
Autoarticolato: CT1 = CF1 + C.peso1 * Q → CT1=40500[€/anno] + 10,45[€/Ton] * Q1 [Ton/anno]
Autocarro: CT2 = CF2 + C.peso2 * Q → CT2 = 27000[€/anno] + 14,77[€/Ton] * Q2 [Ton/anno]
Indichiamo con Q’ la quantità critica, cioè la quantità annua
di materiale trasportato in corrispondenza della quale i costi
totali annui di trasporto relativi ai due mezzi si equivalgono
(CT1=CT2). Tale quantità si individua, quindi, eguagliando
le due equazioni precedenti, ottenendo:
CF1 + C.peso1 * Q’ = CF2 + C.peso2 * Q’ →
Q’= (CF1 – CF2) / (C.peso2 – C.peso1) = (40500 – 27000) / (14,77 – 10,45) = 3.125 [Ton/anno]

RISULTATO
Dato che l’obiettivo è la minimizzazione dei costi, dal grafico si evince che:
- Per Q minori della quantità critica Q’ conviene utilizzare l’Autocarro. (Q < Q’ → Autocarro)
- Per Q maggiori di Q’ è conveniente utilizzare l’Autoarticolato. (Q > Q’ → Autoarticolato)
Area Media di Deposito
In un’area di deposito viene stoccato un certo numero di U.d.C. in un determinato arco di tempo. Data
una determinata area di deposito, maggiore è il suo coefficiente di utilizzo (in estensione ed in
altezza), migliori sono le condizioni economiche di gestione, in quanto il costo di stoccaggio si
ripartisce su un quantitativo maggiore di merce stoccata. Lo stoccaggio con sistemazione a “spina di
pesce” di semirimorchi e casse mobili, ad esempio, è il più efficiente in termini di utilizzazione degli
spazi, ma il meno vantaggioso dal punto di vista economico, in quanto si ha l’ottimizzazione dell’area
di deposito solo in estensione e non in altezza. Il problema di ottimizzazione dell’area di deposito si
riflette anche sulla scelta delle Unità di Movimentazione (U.d.M.) da adottare. Le U.d.M. sono
elementi utilizzati per posizionare le U.d.C. sulle U.d.T. nel trasporto Monomodale, per trasferire le
U.d.C. da un’U.d.T. all’altra nel trasporto Intermodale e per lo stoccaggio delle U.d.C.. Ogni U.d.M.
necessita di un determinato spazio per la mobilità ed è caratterizzato da un differente metodo di
stoccaggio delle U.d.C..
L’AREA MEDIA DI DEPOSITO è l’area necessaria per lo stoccaggio di un Contenitore Equivalente
(1 TEU). Corrisponde, quindi, all’inverso della densità di stoccaggio e si esprime in [m2/TEU].
L’Area Media di deposito è data da: dove
- Amod = area modulare comprensiva di deposito e spazi di circolazione delle U.d.M.;
- Vmod = numero massimo di contenitori depositabili nel modulo.
Immaginiamo di avere a disposizione una superficie pari a 1200 [m^2] in cui possono essere sistemati,
su un solo livello, 12 Container Equivalenti.
L’Area Media di Deposito è, quindi, data da: = 1200 / 12 = 100 [m^2/TEU].
Se consideriamo una seconda fila, a parità di area, vengono sistemati 24 Container Equivalenti.
L’Area Media di Deposito, in questo caso, è data da: = 1200 / 24 = 50 [m^2/TEU].
All’aumento del numero di file sovrapposte di Container, corrisponde la riduzione dell’Area Media
di Deposito e, quindi, l’area mediamente richiesta per il deposito di un contenitore.

L’INDICE DI UTILIZZAZIONE GLOBALE è adimensionale ed è dato dal rapporto tra l’Area Media
di deposito e l’area di base di un contenitore standard. Indicando con l’area di base del
contenitore standard [m^2/TEU], l’Indice di Utilizzazione Globale è espresso da: .
- u = 1 se l’Area Media di Deposito corrisponde all’area di base del contenitore standard. Ciò
avviene nel momento in cui l’Area di Deposito a disposizione è interamente occupata da un solo
livello di Container da 20 piedi.
- u < 1 se l’Area Media di Deposito è maggiore rispetto all’area di base del contenitore standard.
Ciò avviene, ad esempio, nel momento in cui l’Area di Deposito a disposizione non è interamente
occupata da un livello di Container da 20 piedi in quanto vengono considerati anche i corridoi per
il movimento delle U.d.M.
- u > 1 se l’Area Media di Deposito è maggiore rispetto all’area di base del contenitore standard.
Ciò avviene, ad esempio, nel momento in cui l’Area di Deposito a disposizione è occupata più
livelli sovrapposti di Container da 20 piedi, indipendentemente dalla presenza di corridoi per il
movimento delle U.d.M.
E’ chiaro che è preferibile tendere ad una situazione in cui u > 1.

Unità di movimentazione
Le U.d.M. sono elementi utilizzati per:
- Posizionare le U.d.C. sulle U.d.T. nel trasporto Monomodale;
- Trasferire le U.d.C. da un’U.d.T. all’altra nel trasporto Intermodale;
- Lo Stoccaggio delle U.d.C.
Le caratteristiche fondamentali delle U.d.M sono:
- CAPACITA’ DI CARICO o PORTATA cioè la quantità di materiale che una U.d.M. è in grado
di movimentare in un singolo “esercizio”.
- CAPACITA’ DI MOVIMENTAZIONE (Cm) cioè il numero di U.d.C che l’U.d.M. è in grado di
movimentare nell’unità di tempo [U.d.C./t; ad esempio se container TEU/h]. Si tratta, quindi, di
una velocità. A parità di altre condizioni, viene sempre scelta l’U.d.M. più veloce, cioè quella con
Capacità di Movimentazione maggiore. La Cm di una U.d.M. dipende anche dalla distanza
considerata per la movimentazione. Minore è la distanza da percorrere, maggiore sarà la Cm.
- CONSUMO DI CONBUSTIBILE
- COSTI sia fissi che variabili
- SICUREZZA – la probabilità di infortuni per gli operatori che adoperano le U.d.M. deve essere
ridotta al minimo.
- EFFETTO SUL LAYOUT DELLE AREE DI DEPOSITO – differenti U.d.M. consentono una
migliore/peggiore ottimizzazione di utilizzo degli spazi dell’Area di Deposito, cioè sono
caratterizzate da diversi Indici Utilizz. Globale. Ciò dipende anche dalla U.d.C. da movimentare.
Le principali U.d.M sono:
- CARRELLO ELEVATORE FRONTALE – si tratta di una U.d.M interna ed esterna. Innalza il
contenitore mediante movimentazione lungo linee fisse verticali. E’ una
U.d.M. di derivazione industriale molto utilizzata per la movimentazione
nei magazzini. E’ caratterizzato da versatilità in termini di Portata e
Capacità di Movimentazione. E’ costituito:
o Nella parte posteriore da una cabina posta su ruote;
o Nella parte anteriore da un telaio su cui sono posti montanti scorrevoli e attrezzature quali
le forche o pinze che permettono l’aggancio ed il sollevamento verticale della U.d.C..
Vantaggi: facilità di uso e la mobilità. Gli svantaggi invece, sono:
o Movimentazione assente a macchina ferma;
o Baricentro che si modifica tra fase di carico e fase di scarico – il carico sporgente rispetto
al mezzo aumenta il rischio di ribaltamento del carrello, riducendo la sicurezza
dell’operatore.
Il carrello elevatore classico è il classico ‘’fork-lift’’ con presa a forche dal basso. I Carrelli
elevatori frontali più moderni sono equipaggiati con uno speciale telaio di sollevamento al quale
è agganciato uno Spreader.
Esistono poi Carrelli per la movimentazione dei Container Vuoti (Empty Container Handler) e
Pieni (Loaded Container Handler). I primi sono caratterizzati da una portata di 7–10 ton e costruiti
per raggiungere un’altezza di 10 m, in modo da permettere la sovrapposizione di 4-5 container.
Possono avere diversi tipi di presa dei container che permettono l’aggancio dall’alto o frontale.
Quelli per la movimentazione dei Container vuoti sono più costosi rispetto ai precedenti e
caratterizzati da una portata di 36 – 45 ton.

- TRATTORE A RALLA PER TERMINALI (Terminal Tractor) – Si tratta di mezzi atti alla
movimentazione dei contenitori o semirimorchi all’interno dei
porti/interporti. Il Terminal Tractor traina i rimorchi (pianali) su cui i
contenitori o semirimorchi sono appoggiati. Per essendo simili ai
trattori degli autoarticolati, rispetto ad essi i Terminal Tractor permettono di eseguire velocemente
le manovre di aggancio e sgancio della U.d.C., sono caratterizzati da un numero inferiore di
marce, in quanto sono ottimizzati per un uso su brevi distanze, da una cabina particolarmente
aperta in modo da permettere una maggiore visuale da parte del conducente, e da un maggiore
raggio di sterzata, in modo da permettere una migliore manovrabilità in spazi ristretti. Nel caso di
navi Ro-Ro, il trattore può anche salire sulle navi per lasciare la U.d.C.
Esistono trattori ibridi, diesel-elettrici, che riducono l’impatto ambientale.

- MULTITRAILER – E’ costituito da un ‘’Terminal Tractor’’ a cui vengono agganciati più


rimorchi (‘’trailers’’), su cui sono poggiate le U.d.C.. Si tratta di mezzi simili a convogli ferroviari
che si muovono su gomma. Normalmente nei terminali è utilizzato per spostamenti su lunghe
distanze. Il trasferimento delle U.d.C. dal Multitrailer alle U.d.T e viceversa avviene grazie
all’utilizzo di altre U.d.M (es. gru con spreader).
Il multitrailer si guida come un normale mezzo per il trasporto di rimorchi.
Data la lunghezza del convoglio, le manovre di curvatura, ed in particolare
quella di inversione ad U, risultano essere piuttosto delicate.

- CARRELLO CAVALIERE (Straddle Carrier) – così chiamato perché si posiziona “a cavallo”


della U.d.C. da movimentare. Tipico impiego di questo mezzo è quello di supporto alle grandi
GRU DI BANCHINA. I carrelli cavalieri sono mezzi estremamente flessibili in quanto sono
utilizzati per:
o La movimentazione di Contenitori, semirimorchi e casse mobili;
o La movimentazione di U.d.C. tra le zone di carico/scarico adiacenti alle banchine (le
cosiddette aree di transito) e le zone di stoccaggio, ad alta densità, dei terminal marittimi,
alimentando le gru portuali.
o La gestione dello stoccaggio dei Container, operando la movimentazione e
l’accatastamento dei Container all’interno dei piazzali di stoccaggio dei terminal
marittimi.
o Lo scarico dei mezzi, sovrapponendosi ad un autoarticolato.
Il carrello è costituito da un telaio posto su ruote generalmente tutte sterzanti. All’interno dell’area
delimitata dal telaio trova posto l’U.d.C.. Quindi, a differenza delle altre
U.d.M., il Carrello Cavaliere innalza l’U.d.C. al proprio interno. In questo
modo il baricentro rimane all’interno delle aree di impronta delle ruote in
qualsiasi condizione di carico. Ciò aumenta la stabilità del mezzo e la
sicurezza dell’operatore.
I Contenitori vengono agganciati dall’alto attraverso gli Spreader, mentre i
semirimorchi e le casse mobili vengono agganciati dal basso attraverso le
pinze “piggy-back”.
Questo mezzo ha il vantaggio di potere sollevare l’U.d.C. verticalmente e di poterlo trasportare
orizzontalmente. Consente movimenti fino alla quarta altezza e, di conseguenza, l’impilamento
delle U.d.C. fino alla terza altezza. L’ultima, infatti, non può essere considerata per l’impilamento
perché è necessaria per la movimentazione.
In generale un Carrello Cavaliere ha una Capacità di sollevamento di 40 ton, e una Produttività
media di 7,6 TEUs/h su una distanza utile di 800m.
L’area di stoccaggio realizzata con un carrello cavaliere è caratterizzata da un layout che, in
pianta, prende il nome di LAYOUT A NASTRO, mentre in sezione permette la visione di 2 o 3
file di Container sovrapposti. Ai lati dei Container si trovano le corsie
necessarie al passaggio della struttura del Carrello Cavaliere.
Un ulteriore tipo di Carrello Cavaliere è in grado di spostare il
Contenitore al di fuori della sua struttura. In questo caso il mezzo
realizza l’impilamento pur non essendo in asse con la pila da
realizzare. L’area di stoccaggio realizzata con un carrello cavaliere di questo tipo è caratterizzata
da un’alternanza di NASTRI affiancati da CATASTE.

- GRU SEMOVENTE FRONTALE (IMPILATORE) – è un mezzo che ha la capacità di


movimentare le unità di carico sia verticalmente che orizzontalmente a
macchina ferma. La gru è, infatti, dotata di un braccio telescopico che le
consente, a macchina ferma, di portare indietro o avanti la U.d.C. Questa
caratteristica di movimentazione verticale-orizzontale costituisce il
principale elemento di differenziazione tra la gru frontale e il carrello
frontale, che permette esclusivamente la movimentazione verticale della U.d.C.. Tale
caratteristica, inoltre, rende la gru frontale un mezzo particolarmente utilizzato in caso di trasporto
ferroviario e trasporto combinato strada-ferrovia, in quanto permette di movimentare
velocemente, con macchina ferma, una U.d.C. da un convoglio ferroviario all’altro e dal pianale
di un autoveicolo a quello di un carro ferroviario.
La gru permette, inoltre, la gestione dello stoccaggio dei Container, operando la movimentazione
e l’accatastamento dei Contenitori all’interno dei piazzali di stoccaggio. I nuovi modelli
permettono l’impilamento fino alla quinta-sesta altezza.
La gru permette la movimentazione sia di Contenitori, agganciati dall’alto con gli Spreader, sia
di semirimorchi e casse mobili, agganciati dal basso attraverso le pinze “piggy-back”.
Gli svantaggi della gru sono legati ai problemi di stabilità del mezzo:
o In fase di aggancio la gru si deve porre sempre di fronte al lato lungo della U.d.C. da
movimentare, in modo da avvicinare il baricentro. Ciò determina un Area di Ingombro in
esercizio piuttosto ampia.
o Agganciata la U.d.C., man mano che essa si allontana dal mezzo
grazie all’utilizzo del braccio telescopico, la possibilità di ribaltamento
della gru aumenta. Ciò significa che la portata del mezzo si riduce
all’aumentare della distanza cui il braccio estensibile deve arrivare.
o Si ha variazione di portata anche in altezza. Il peso dei Container delle file inferiori è
maggiore del peso di quelli ad essi sovrapposti.
Negli ultimi due casi, è possibile considerare una portata maggiore (es.41000 – 43000) nel
momento in cui vengono utilizzati gli stabilizzatori, cioè supporti che aumentano a stabilità
del mezzo. Tali strumenti fuoriescono dalla parte anteriore del mezzo e toccano la
pavimentazione per sostenerlo durante le operazioni.
L’area di stoccaggio realizzata con una gru frontale è caratterizzata da un layout che, in pianta,
prende il nome di LAYOUT A BLOCCO. Ai lati dei blocchi si trovano corsie abbastanza
estese, necessarie al passaggio delle gru frontali. In sezione, invece, per questioni di stabilità,
si ha l’accatastamento di un numero maggiore di container man mano che ci si avvicina al mezzo.
Le casse mobili e i semirimorchi, movimentati con una gru o con un carrello cavaliere, non
essendo sovrapponibili, vengono stoccati adottando una sistemazione “a spina di pesce”.

- CARRELLO LATERALE – tale carrello consente di agganciare e posizionare il Container


disponendosi parallelamente e non frontalmente rispetto alla fila dei Container. Durante la
movimentazione il Container viaggia al di sopra del mezzo, per poi essere
spostato lateralmente in fase di impilamento. La larghezza dei corridoi di
passaggio dei mezzi deve essere di poco superiore alla larghezza del
carrello laterale. Si determina, quindi, una riduzione della dimensione dei
corridoi di passaggio dei mezzi rispetto al caso della gru frontale. Si ha,
di conseguenza una migliore ottimizzazione dell’utilizzo degli spazi
dell’Area di Deposito e un’Indice di Utilizzazione Globale maggiore. Questi Carrelli sono, però,
caratterizzati da un elevato costo, maggiore rispetto a quello delle gru frontali, e da problemi di
stabilità. Sopportano, infatti, altezze di impilamento e portate inferiori rispetto alle gru frontali.
La scelta del mezzo spesso dipende dalle caratteristiche della U.d.C. da movimentare.

- GRU A PORTALE (Transtainer) – Caratteristica di questo mezzo è quella di poter movimentare


le U.d.C. sia verticalmente che orizzontalmente, mantenendo, come il
carrello cavaliere, il baricentro all’interno della macchina. La gru può
avere, inoltre, uno sviluppo laterale che permette la movimentazione
delle U.d.C. anche al di fuori dell’area compresa tra i montanti.
Esistono due tipi di gru a Portale:
o con ruote in gomma – può muoversi liberamente all’interno dei piazzali;
o con ruote in acciaio su rotaia – installazione fissa che può muoversi solo sulla rotaia su
cui è posta.
Tali gru sono molto utilizzate nel caso di piazzali con notevole ricambio. Sono molto utilizzate,
infatti, nei terminali strada-rotaia dei grossi interporti per la formazione di treni blocco, per il
passaggio veloce di unità di carico da U.d.T. stradale a treni e viceversa o fra treni di tipo diverso.
Le gru a portale consentono di impilare fino alla quarta altezza utilizzando la sesta altezza per le
manovre. A differenza del Carrello Cavaliere, questa gru può realizzare blocchi di stoccaggio con
file di Container poste l’una accanto all’altra. Si passa, quindi, da nastri a cataste vere e proprie
con conseguente miglioramento dell’Indice di Utilizzazione Globale.
Con riferimento al trasporto ferroviario, la Gru a Portale è
particolarmente utilizzata in stazioni ferroviarie di confine
dette TERMINAL GATEWAY. In questi terminal:
o arrivano convogli provenienti da diversi Terminal di Origine, ciascuno dei quali trasporta
U.d.C. aventi differenti destinazioni;
o vengono realizzati “convogli dedicati per singola destinazione” su ciascuno dei quali
vengono trasferite le U.d.C. caratterizzate dallo stesso Terminal di Destinazione.
Tali convogli dedicati per singola destinazione vengono velocemente realizzati grazie all’ausilio
delle Gru a Portale.

- GRU PORTUALE PER CONTENITORI – si tratta di macchine che si muovono su rotaie e che
vengono utilizzate per le movimentazioni lungo il molo, e cioè per la
movimentazione dei contenitori da bordo nave a terra e viceversa. Ha
la stessa struttura di una gru a portale ed è caratterizzata da un braccio
sporgente rispetto al telaio che può raggiungere notevoli dimensioni
(50 – 60 m). Tale braccio sovrasta la nave portacontainer su cui è necessario sistemare le U.d.C.
La sequenza delle operazioni che una gru di questo tipo deve eseguire sono: aggancio del
contenitore, sollevamento, traslazione, messa sul molo (o direttamente sulla U.d.T.) e sgancio.
Per velocizzare le manovre alcune operazioni, come sollevamento e traslazione, possono essere
eseguite contemporaneamente.
I tempi medi di manovra dipendono dal tipo di nave: la traslazione, ad esempio, richiede un tempo
maggiore considerando una nave madre rispetto ad una nave di piccole dimensioni.
La Capacità di Movimentazione è di circa 30 TEU/ora per navi madre e di circa 40 TEU/ora per
navi feeder (di piccole dimensioni).
Attualmente si stanno diffondendo multi-lift spreader per velocizzare le operazioni di
carico/scarico. Sono installazioni più costose che, però, aumentano la Capacità di
Movimentazione del mezzo.

Il Fabbisogno di Unità di Movimentazione


Si vuol conoscere il numero di U.d.M. necessarie ad effettuare la movimentazione di un determinato
carico. Gli elementi necessari sono:
- Q = CARICO DI TRAFFICO [es. TEU/ANNO] – numero di contenitori equivalenti da
movimentare in un determinato arco di tempo, cioè il fabbisogno di movimentazione;
- P = FATTORE DI SOVRACCARICO [%] - fattore correttivo cautelativo rispetto al fabbisogno;
- n = NUMERO DI TURNI DI LAVORO (n) [es. n/a]
- Pt = CAPACITA’ OPERATIVA UNITA’ [es. TEU/turno] – corrisponde alla Capacità di
Movimentazione calcolata (es.) rispetto al turno.
Il numero di U.d.M. necessarie per soddisfare il fabbisogno di movimentazione è espresso da:

Layout delle Aree di Deposito


HERRING BONE (a spina di pesce): questa configurazione viene usata per casse mobili,
semirimorchi o container depositati su sostegni senza sovrapposizione. E’ caratterizzato dal valore
minore di Indice di Utilizzazione Globale, con sicuramente u < 1. Nelle zone laterali troviamo corridoi
per ingresso e l’uscita dei mezzi.

BLOCK (a blocchi): i container sono sovrapposti fino a 4 livelli e posti uno accanto all’altro a formare
cataste. Ai lati dei blocchi si trovano corsie abbastanza estese, necessarie al passaggio delle U.d.M.
che, con un layout di questo tipo, spesso sono gru frontali. L’Indice di Utilizzazione è migliore
rispetto al caso precedente.

RIBBON (a nastro): è la configurazione tipica utilizzata quando si impiegano carrelli cavaliere.


Impilamento sino a 3 livelli per strisce parallele. Ai lati dei Container si trovano le corsie necessarie
al passaggio della struttura del Carrello Cavaliere. L’Indice di Utilizzazione Globale è migliore
rispetto al primo caso. In generale, in questo caso, l’indice varia a seconda dal tipo di Carrello
Cavaliere che viene utilizzato e dal numero di livelli di impilamento dei Container.
La logistica Interna: i Trasporti Interni
La logistica Interna riguarda la movimentazione di materiali di qualsiasi tipo e forma eseguita
all’interno degli stabilimenti, dall’arrivo delle materie prime alla spedizione dei prodotti finiti. Tali
Trasporti Interni comprendono:
- il trasferimento dei materiali nei reparti di lavoro e nei magazzini;
- le movimentazioni dei materiali che devono essere lavorati presso le postazioni di lavoro;
- le operazioni di carico e scarico dei materiali in arrivo e in partenza.
L’evoluzione del Trasporto Interno vede una riduzione sempre maggiore delle operazioni Manuali a
favore della Movimentazione Automatica. Se da un lato ciò implica una riduzione per quanto riguarda
i rischi per la sicurezza e la salute degli operatori, dall’altra implica un aumento dei Costi di Gestione
in termini di Investimenti (C.Fissi) per l’acquisto dei sistemi Automatizzati e di Energia (C.Variabile)
necessaria al loro funzionamento.
La riduzione del lavoro manuale operata dal Trasporto Interno attraverso la movimentazione
automatica ha come obiettivi:
- RIDUZIONE DI SCARTI E PERDITE – facilmente realizzabili con il trasporto manuale;
- RIDUZIONE DEI COSTI – riducendo scarti e perdite si ha la riduzione dei costi relativi al
peggioramento della Qualità. Con la movimentazione automatica, inoltre, si riducono i tempi di
Trasporto e, di conseguenza, la quantità di materiale in fase di lavorazione all’interno del sistema
ed i costi ad essa relativi.
- AUMENTO DELL’ERGONOMIA NEL TRASPORTO – con aumento di sicurezza e riduzione
della fatica dell’operatore.
- AUMENTO EFFICIENZA AZIENDALE.

Classificazione dei Trasporti Interni


I trasporti Interni possono essere classificati sulla base di numerosi fattori, quali:
1) STATO DEL MATERIALE MOVIMENTATO - Solido (Unità di carico, colli, alla rinfusa),
Liquido, Gassoso.

2) FUNZIONAMENTO - CONTINUO (nastri trasportatori, pneumatici, ecc.); DISCONTINUO


(carrelli elevatori, paranchi, …)

3) ENERGIA MOTRICE - TRASP. MANUALE (carrelli a spinta, piani a rulli, …);


MOTORIZZATI (carroponti, gru, …)
4) TIPO DI MOVIMENTO – Mezzi per il sollevamento verticale, mezzi di trasporto orizzontale,
mezzi di sollevamento e trasporto, mezzi dotati di moto vibratorio, mezzi dotati di moto rotatorio.

5) TIPO DI COMANDO – con manovratore a bordo, con manovratore a terra, senza manovratore,
automatici.

6) TIPO DI MOVIMENTO + FUNZIONAMENTO –

Impatto del Layout sulla Logistica Interna


Nella definizione del Layout degli stabilimenti industriali è di particolare rilevanza lo studio dei flussi
logistici interni. L’entità dei flussi che si sviluppano tra le diverse macchine, tra i diversi reparti o tra
le diverse postazioni di lavoro dipende dal tipo di produzione.
Se consideriamo la produzione di tipo continuo di uno o pochi prodotti, tutte le fasi del processo
risultano rigidamente concatenate l’una con l’altra. In questo caso, quindi, il tipo di produzione
costituisce l’elemento decisionale più importante per la disposizione delle macchine ed influenza la
scelta di un sistema di trasporto interno congeniale a quel tipo di layout (es. un nastro trasportatore).
Dunque, nel caso di produzione continua, il sistema di trasporto è subordinato a ciclo di produzione.
E’ in ogni caso ovvio che, in produzione continua, i limiti strutturali e geometrici dei sistemi di
trasporto utilizzati influiscono sulla disposizione plano-altimetrica dei macchinari. Si pensi, ad
esempio, ad un nastro trasportatore posto in posizione obliqua rispetto al suolo. L’angolo α che si
forma tra nastro e terreno non può superare un determinato valore in modo da evitare lo scivolamento
del materiale da esso trasportato. Ciò influenza la disposizione dei macchinari posti a monte e a valle
del sistema di trasporto.
Se, invece, consideriamo la produzione di tipo discontinuo di una vasta gamma di prodotti, i percorsi
seguiti dal materiale tra le diverse macchine dipendono dal determinato prodotto che si sta
realizzando. Si ha, quindi, una reciproca influenza tra sistemi di trasporto Interno e layout di impianto.
I sistemi di trasporto interno, infatti, sono scelti in base alle caratteristiche dei materiali da trasportare.
A differenza del primo caso, però, considerando questo tipo di produzione è necessario affrontare il
problema della minimizzazione dei costi di trasporto interno che inevitabilmente influenza la
disposizione delle macchine. La scelta del layout è, quindi, a sua volta influenzata da fattori logistici
interni quali tipologia dei mezzi di movimentazione e quantificazione delle esigenze di trasporto
interno.
Nello studio del layout di stabilimento si parte dall’analisi del “mix produttivo”, cioè dalla
quantificazione dei volumi di produzione per ciascun prodotto. Si costruisce, quindi, un diagramma
“Prodotti - Quantità”, noto anche come diagramma “P-Q”. Consideriamo
un grafico che mette in relazione i diversi prodotti della gamma da
realizzare e le quantità annue di fabbricazione per ogni prodotto della
gamma, indicate in ordine decrescente.
Il grafico viene sviluppato tracciando una curva che
permette di individuare tre aree del diagramma:
- Area I: Produzione di elevati volumi (“serie” o “linea”)
di una ristrettissima gamma di prodotti;
- Area II: Produzione di scarsi volumi (a “lotti” piccoli) di
una gamma di prodotti estremamente varia;
- Area III: Produzione di volumi medi (a “lotti” medi) di una gamma non estremamente varia di
prodotti.
Con riferimento ai prodotti dell’area “I”, la quantità prodotta giustifica una
disposizione delle risorse produttive “in linea”, secondo la sequenza del
ciclo produttivo. E’ tipicamente il caso della produzione di serie quale
quella delle linee di assemblaggio, degli impianti chimici o a produzione
“continua” in generale. Vengono, quindi, realizzati Layout dedicati “per
prodotto”, che sono: Layout Rettilineo, Layout a U e Layout a Zig-Zag.

Con riferimento ai prodotti dell’area “II” si realizza un layout “per reparto”, raggruppando le risorse
produttive che eseguono lavorazioni dello stesso tipo (fresatura, tornitura, saldatura, ecc). In ogni
reparto, quindi, viene effettuata una sola attività.
E’ possibile altresì organizzare il layout a “posizione fissa”, in cui le risorse produttive confluiscono
nel punto in cui è posizionato il prodotto in lavorazione (ad es. costruzione navi, aerei, ecc). La
logistica interna in questo caso è data dall’insieme dei mezzi e delle macchine che stabilmente e in
modo ripetitivo collegano uno stadio produttivo al successivo.

Nell’area “III” del diagramma P-Q è possibile realizzare layout misti, in cui coesistono linee per
l’esecuzione di parti comuni dei cicli produttivi e reparti per le lavorazioni diversificate per prodotto.
Studio delle Soluzioni di Layout
Il problema dello studio delle soluzioni di Layout si pone per le lavorazioni per lotti o per commessa.
Le scelte riguardano sia la sistemazione delle macchine nei singoli reparti, sia la collocazione di un
reparto rispetto agli altri.
Esistono metodi semplificati di supporto al processo decisionale. Tutti i metodi disponibili si basano
sul concetto che è opportuno avvicinare tra loro le macchine e i reparti caratterizzati dal maggior
numero di collegamenti o trasporti. Si vuole, quindi, ottenere l’ottimizzazione della logistica interna
in modo da ridurre al minimo il COSTO TOTALE DEI TRASPORTI INTERNI. Il costo totale dei
trasporti interni è funzione delle quantità di materiali da movimentare e della distanza (baricentrica)
tra i centri (reparti) di lavoro.
Consideriamo, quindi, 2 matrici. Una indica la quantità di materiale che deve
essere trasferita dal reparto i al reparto j nell’unità di tempo( = [tonn]).
L’altra indica il costo di trasporto dell’unità di materiale per unità di distanza
tra i e j ( = [€ / (tonn * m)] ).
Essendo la distanza tra i reparti i e j, il Costo Totale di Trasporto è
dato da:
Minimizzando tale costo si ottiene:
Spesso la seconda matrice non viene sviluppata in quanto, considerando un
determinato sistema di trasporto dei materiali tra i reparti, non varia
indipendentemente dalle coppie di reparti e dal materiale oggetto del trasporto.
Tale metodo costituisce un’impostazione teorica e non viene messo in atto nella realtà. Si
considerano, invece, due metodi alternativi per orientarsi nella scelta del Layout: METODO DELLE
INTENSITA’ DI TRAFFICO e METODO DEL TRIANGOLO DI BUFF.

Metodo delle Intensità di Traffico


Si parte dalla rappresentazione in forma chiara e concisa della sequenza delle
operazioni che caratterizzano un processo produttivo. Si ricava, quindi, la
quantità di materiale che perviene al singolo centro di lavoro nell’unità di
tempo fissata.
Si prosegue costruendo una tabella in cui si riportano
le operazioni produttive in sequenza inversa e si
inseriscono, nelle caselle ad incrocio tra due operazioni, le entità di traffico
determinate dai cicli di lavorazione. Nelle caselle sulla diagonale si riporta il
numero totale di operazioni che interessa il singolo centro di lavoro.
Si procede graficamente posizionando su un reticolo, al centro delle maglie,
i centri di lavoro. Devono essere posti più vicini tra loro i centri che
presentano maggiore intensità di traffico reciproca.
I punti vengono trasformati in sagome aventi le
stesse dimensioni in modo da arrivare ad una forma
regolare della pianta dello stabilimento. Ciascuna delle macchine rappresenta
una macchina. Quest’ultima ha le proprie
caratteristiche geometriche di superficie.
Si ridisegnano, quindi, le sagome rendendole proporzionali all’ingombro delle
varie macchine. L’allineamento delle sagome porta alla planimetria dell’area
disponibile o da procurare per avere una disposizione ottimale.

Metodo del Triangolo di Buff


E’ un metodo grafico. Si elencano i centri di lavoro in verticale e si
tracciano due fasci di rette parallele che formano un reticolo triangolare.
Nelle maglie si riportano le entità e le direzioni dei trasporti ricavabili
dai cicli di lavorazione. Si collocano quindi più vicini tra loro i centri
caratterizzati da maggiore intensità di traffico.

Studio del Layout Ottimale


Esistono metodi di II livello, cioè applicabili ad ipotesi di Layout sviluppate con i metodi di I livello
visti precedente, che conducono alla individuazione della soluzione ottimale di Layout:
- METODO DEI MOMENTI – considerato il layout di massima di partenza si vuol verificare la
posizione ottimale di ciascuna delle macchine rispetto alle posizioni individuate inizialmente. Ciò
è possibile attraverso vari step:
o Si esegue lo studio dei cicli di lavorazione di ciascun prodotto della gamma da realizzare.
(Es. 3 prodotti diversi vengono realizzati con cicli di
lavorazione differenti attraverso l’utilizzo di
macchine).
o Si costruisce una griglia Macchine/Quantità/Posizioni indicando, per ogni macchina, la
sommatoria delle quantità lavorate dalla macchina i con
riferimento alla posizione j. (Es: la macchina A si trova
1 volta in posizione 1 e 1 vlta in posizione 2 lavorando
rispettivamente 300 e 160 contenitori/anno. Quindi 460
contenitori/anno).
o Per ogni macchina si calcola l’INDICE DI POSIZIONE, cioè la media pesata rispetto alle
quantità e alle posizioni: [Σ(Qi,j * Pj)]/ ΣQi,j

o Sulla base dell’indice di posizione si esegue una


GRADUATORIA DI POSIZIONAMENTO e si provvede al
POSIZIONAMENTO DELLE MACCHINE.
Le macchine caratterizzate da un indice intero vengono
collocate nella posizione indicata dall’Indice stesso. Le altre
macchine vengono collocate in sequenza in relazione ai valori
crescenti dell’Indice.

Il fattore determinante per il calcolo del Layout ottimale è sempre l’entità delle movimentazioni
tra un centro di lavoro e gli altri.

- METODO DEI MOMENTI – E’ utile sia per la sistemazione di macchine in reparto sia per quella
dei reparti nello stabilimento. I flussi tra centri di lavoro vengono
evidenziati attraverso l’ausilio di fasce. Lo spessore di queste ultime
è proporzionale all’entità dei flussi tra i centri di lavoro. Si ha,
quindi, una visione immediata dell’importanza della posizione
relativa tra i reparti. Si tratta, dunque, di un metodo che mette in
risalto con immediatezza la bontà delle soluzioni di layout. Tuttavia
si basa molto sull’esperienza degli esperti e sulla loro capacità di riconoscere criticità a partire dal
disegno.

- METODO DELLE CURVE ISOOSTO - E’ utilizzato quando occorre aggiungere un centro di


lavoro ad un layout già esistente. E’ basato sulla costruzione grafica di curve che uniscono punti
di eguale costo di trasporto tra un centro di lavoro e quelli correlati. Disponiamo in un piano
cartesiano i punti relativi ai centri esistenti. Si vuol trovare il punto relativo al nuovo centro di
lavoro, tale da ottenere la minimizzazione della funzione che esprime il costo di trasporto tra il
nuovo centro di lavoro e quelli ad esso abbinati. Si adottano ipotesi semplificatrici:
o invarianza del costo di trasporto per unità di percorso
o quantità trasportate costanti
o trasporti lineari (rettilinei) tra i centri
La funzione è data da:
La minimizzazione si ottiene azzerando le derivate rispetto ad x e y:
Consideriamo il caso in cui il Layout presenti una sola macchina preesistente
e, rispetto ad essa, si voglia sistemare un’altra macchina. Le curve di isocosto
saranno, quindi, le circonferenze aventi centro corrispondente alla macchina
preesistente. In questo caso, infatti, le circonferenze uniscono i punti di eguale
costo di trasporto tra il nuovo centro di lavoro e quello già esistente.
In caso di due macchine preesistenti, invece, le curve di isocosto saranno
rappresentate da ellissi.
Ovviamente, maggiore è il numero di macchine preesistenti, più la costruzione grafica delle curve
diventa complessa e realizzabile grazie ad elaboratori.
La soluzione teorica individuata va verificata con i vincoli planimetrici, cioè con l’effettiva
disponibilità di spazi per la collocazione del nuovo centro di lavoro.
Se le quantità trasportate sono diverse, la funzione diventa: dove
Pi indica la quantità del determinato materiale trasportato.

Unità di Carico e Logistica Interna


La U.d.C. è un raggruppamento di materiali disposto in modo da poter essere movimentato e
trasportato mediante mezzi di trasporto meccanici (quindi l’U.d.C. è data da materiale da
movimentare + mezzo su cui è disposto per poter essere movimentato).
Le U.d.C. considerate nel campo della Logistica Interna devono essere:
- A costo minimo
- Accatastabili (impilabili)
- “forcolabili”
- Compatibili con sistema di immagazzinamento, sistema di movimentazione e sistema di trasporto.
Indicando con Q il peso totale della merce da movimentare e con q il peso della U.d.C., il numero n
di movimentazioni che è necessario effettuare è dato da: n= Q/q.
Pallet e Logistica Interna
Il Pallet è una piattaforma d’appoggio sopraelevata per facilitare il sollevamento e l’impilamento
delle merci, le quali spesso sono confezionate in colli (scatole in cartone). Può essere in legno,
plastica, metallo o cartone.
Il pallet è il tipico mezzo utilizzato per gestire i magazzini. Essi vengono, infatti, impilati, accatastati
e sistemati negli scaffali.
Nella formazione di una U.d.C. su pallet è necessario seguire alcune regole:
- La superficie scoperta del Pallet deve essere minima;
- I colli vanno appoggiati sulla faccia di maggiori dimensioni;
- In impilamento, i colli vanno disposti incrociati;
- L’altezza della U.d.C. caratterizzata da colli impilati non deve superare i 2 [m];

Si voglia ottimizzare la sistemazione di colli su Pallet. I dati a disposizione sono:


- le dimensioni dei colli (a x b)
- le dimensioni del Pallet (A x B, ricordando che le dimensioni degli EuroPallet sono
A= 800mm e B=1200mm).
La condizione ideale di sistemazione dei colli su Pallet è data da: essendo m,
n, r, s numeri interi.
Questa soluzione permette di utilizzare al massimo la superficie del Pallet.
Una volta ottimizzato l’utilizzo della superficie è possibile impilare i colli fino
a raggiungere i 2 m di altezza.
Nella soluzione ottimale ogni lato del pallet risulta interamente occupato dalla somma delle facce dei
colli posti su di esso.
Consideriamo la I equazione del sistema e sostituiamo X1= m*a e Y1= n*b.
Consideriamo la II equazione del sistema e sostituiamo X2=r*a e Y2= s*b.
Su un piano (x,y) si ottengono, quindi, le due rette (X1 + Y1= A) e (X2 + Y2 = B).
Costruiamo ora un reticolo ponendo sull’asse delle ordinate multipli di b e sull’asse
delle ascisse multipli di a.
Consideriamo il Punto P1 di coordinate (a,b). Per tale punto si ha
Le coordinate (a,b) possono essere lette come (1*a, 1*b).
Di conseguenza m = r =1 e n = s = 1. Ciò significa che: con
una disposizione fisica di questo tipo.
Tale soluzione, chiaramente, consente di sistemare i colli su
entrambi i lati del pallet, ma non consente l’ottimizzazione.
Con il punto P2 (a,2b) si ha che m=r=1 e n=s=2.
Si ottiene, quindi, che . Tale soluzione consente di sistemare
i colli esclusivamente sul lato lungo del pallet e, chiaramente non consente di
ottimizzare lo sfruttamento dei lati del pallet.
Con il punto P3 (a,3b) si ha che m=r=1 e n=s=3.
Si ottiene, quindi, che . Tale soluzione non consente di
sistemare i colli sul pallet.
Con il punto P4 (2a, b), di intersezione tra retta A e reticolo, si ha che m=r=2 e
n=s=1. Quindi e il lato A viene completamente
occupato dai colli.
Con il punto P5 (3a, b), di intersezione tra retta B e reticolo, si ha che
m=r=3 e n=s=1. Quindi si ha che e il lato B viene
completamente occupato dai colli.
La soluzione che contempla i punti P4 e P5 permette, quindi, ai colli di occupare
completamente i lati del pallet e, di conseguenza, consente la completa
ottimizzazione del perimetro del pallet stesso.
Per questioni di stabilità, gli strati successivi vengono disposti in maniera
inversa. Si ha, quindi, il ribaltamento della soluzione precedente.
In definitiva, maggiore sarà la distanza di un generico punto P dalle 2 rette, minore sarà il livello di
ottimizzazione della soluzione. I punti più vicini alle 2 rette, tali che uno sia inferiore e coincidente
con la retta A e l’altro sia inferiore o coincidente con la retta B, consentono di ottimizzare lo
sfruttamento dei lati del pallet. Il punto di intersezione tra reticolo e retta individua il numero di lati
lunghi e corti dei colli necessari a riempire un determinato lato del pallet, ottenendo la massima
ottimizzazione possibile. Individuata la soluzione migliore, gli strati successivi vengono disposti in
maniera inversa per questioni di stabilità.

Pallet e Convenienza Economica


Si vuol comprendere l’eventuale Convenienza Economica della movimentazione tramite utilizzo del
Pallet rispetto alla movimentazione dei singoli colli senza utilizzo di
Pallet.
Indipendentemente dall’utilizzo del pallet si sostengono:
- COSTI FISSI
- COSTI DI TRASPORTO UNITARI
In presenza di Pallet si sostengono 3 costi:
- COSTO ACQUISTO PALLET
- COSTO TRASPORTO PALLET
- COSTO RITORNO PALLET - Non si sostiene se pallet è in legno. Se, invece, i pallet sono in
metallo, vengono accatastati a destinazione. Raggiunto un numero di pallet sufficiente si
organizza un viaggio di ritorno.

La presenza di Pallet porta ad una variazione nel COSTO CARICO/SCARICO. Infatti:


- IN ASSENZA DI PALLET – i colli devono essere movimentati singolarmente;
- IN PRESENZA DI PALLET – si ha la movimentazione contemporanea di più colli, con
conseguente riduzione del tempo e del costo di carico/rispetto al caso precedente.

Si calcola, quindi, il differenziale di costo:


- : è conveniente considerare il Trasporto su Pallet. In genere con l’utilizzo del Pallet si
ha una tale riduzione dei tempi di carico/scarico che la differenza di costo di carico/scarico è
maggiore rispetto all’incremento di costo relativo alla gestione dei Pallet;
- : è conveniente il Trasporto senza ausilio di Pallet.

Mezzi per la Movimentazione Interna


I Carrelli
Si distinguono dagli altri mezzi di movimentazione interna per una serie di fattori:
- Stato del Materiale Movimentato – SOLIDO (in contenitori, su pallet).
- Funzionamento – INTERMITTENTE
- Energia Motrice
o MANUALE
o MOTORIZZATO (Elettricità, Motori a C.I.)
- Tipo di Movimento
o MEZZO DI TRASPORTO
o MEZZO DI SOLLEVAMENTO E TRASPORTO
- Tipo di Comando
o CON MANOVRATORE (A TERRA O A BORDO)
I Carrelli possono essere classificati in:
- CARRELLI A TRASLAZIONE MANUALE – a 2/4 ruote, atti alla
movimentazione ORIZZONTALE (non è possibile considerare altro tipo di
movimentazione).
- CARRELLI A TRASLAZIONE MOTORIZZATI – atti alla movimentazione
ORIZZONTALE.

- CARRELLI TRASPORTATORI-ELEVATORI AZIONATI


MANUALMENTE – caratterizzato da manubrio, utilizzato dall’operatore per
effettuare gli spostamenti, e da una parte anteriore, solitamente costituita da
forche, con possibilità di sollevamento tramite sistema idraulico azionato
dall’operatore.
- CARRELLI TRASPORTATORI-ELEVATORI MOTORIZZATI - carrelli dotati di forche per la
movimentazione, motorizzata, in orizzontale e in verticale. Sono caratterizzati da
Manovratore a TERRA o da Manovratore a BORDO. Questi ultimi sono caratterizzati
da diverse motorizzazioni: Elettrica o Diesel/Gpl. I carrelli
elettrici sono caratterizzati da una portata inferiore rispetto
a quelli con motore a combustione interna.
- CARRELLI A PORTALE – carrello abbinato ad un paranco per realizzare un sistema di
sollevamento e trasporto. Si tratta di strutture mobili su
ruote che possono essere abbinati ad altri sistemi di
movimentazione per realizzare sistemi più complessi.
Possono essere a traslazione manuale o motorizzati.

I Carrelli Elevatori (Forklift)


Si tratta del tipo di carrello più diffuso. Consentono di effettuare le operazioni di carico e scarico di
carichi unitizzati su palette o in contenitori. Possono avere manovratore a bordo o a terra.
La movimentazione orizzontale è realizzata tramite il movimento del carrello, quella verticale è
realizzata tramite forche, cioè due bracci in acciaio. Le forche sono montate su una piastra scorrevole
su un montante verticale. Il montante è fissato alla struttura del carrello.
Il sollevamento della piastra, e quindi delle forche montate su di essa, è
realizzato da due catene messe in movimento da attuatori idraulici.
Questi ultimi funzionano con olio messo in pressione da una pompa
idraulica messa in movimento dal motore a combustione interna. Oltre al movimento verticale delle
forche, il motore permette il movimento orizzontale del carrello, che avviene tramite una trasmissione
di tipo idrostatico nei carrelli Diesel (sistema pompa/motore) e digitale/elettrica in quelli Elettrici. La
discesa delle forche avviene in genere per gravità (il moto è però trattenuto).
Esistono montanti caratterizzati da una parte fissa e da una parte mobile. In questo caso si parla di
montanti periscopici.
Esistono carrelli con montante retrattile, i quali sono caratterizzati da ingombro minore
rispetto a quelli con montante fisso. Essi permettono, quindi, di realizzare magazzini
con elevato indice di stoccaggio. Tale peculiarità compensa il maggior costo rispetto ai
carrelli a montante fisso.
Il carrello trilaterale è caratterizzato da un montante che ha la possibilità di
ruotare in modo da sistemare lateralmente rispetto al mezzo la U.d.C. inforcata
frontalmente. Anche in questo caso il maggior costo di un carrello di questo
tipo è compensato dalla possibilità di realizzare magazzini caratterizzati da
maggiore indice di stoccaggio.

Caratteristiche Geometriche del Carrello Elevatore


Il carrello elevatore è un mezzo potenzialmente pericoloso se scelto e utilizzato in maniera impropria.
Il fatto che la U.d.C. sia posizionata sempre in posizione anteriore rispetto all’impronta definita dalle
ruote del corpo macchina espone il carrello a rischi di ribaltamento. La conoscenza delle
caratteristiche geometriche del mezzo risulta necessaria per perseguire la stabilità del mezzo stesso.
Le informazioni riguardanti le
caratteristiche geometriche sono
fornite dal costruttore.
In condizioni di carico standard,
il punto di contatto delle ruote
anteriori con il suolo rappresenta il PUNTO CRITICO DI
RIBALTAMENTO del mezzo.
La distanza “l” tra baricentro del carico, cioè il punto di applicazione
della forza, e il punto critico di ribaltamento
rappresenta il BRACCIO DEL MOMENTO RIBALTANTE.
Il MOMENTO RIBALTANTE è, dunque, dato da:
Il momento ribaltante deve essere bilanciato dal peso della struttura e dei
componenti contenuti nel corpo macchina.
Si considera, quindi, il MOMENTO EQUILIBRANTE dove P rappresenta il
peso della struttura e dei componenti contenuti nel corpo macchina, mentre e, braccio del momento
equilibrante, rappresenta la distanza tra baricentro del carrello e punto critico di ribaltamento.
Per evitare il ribaltamento è necessario che
Se la U.d.C. occupa l’intera lunghezza delle forche, Q sarà applicata nella mezzeria delle forche
stesse. La portata del mezzo si riduce man mano che il baricentro del carico si sposta verso la punta
delle forche.
Il BRANDEGGIO indica la possibilità del montante di inclinarsi in avanti ed indietro.
α = angolo di brandeggio in avanti (max 2-3°); β = angolo di brandeggio all’indietro (max 8-10°).

Il costruttore realizza i carrelli esclusivamente con forche e indica sempre il valore della sua portata
nominale. Le forche costituiscono l’attrezzatura ottimale per la movimentazione di Pallet. Esistono,
però, attrezzature alternative utili alla movimentazione di altri tipi di U.d.C., ad
esempio blocchi di materiale. Si tratta di pinze costituite da bracci o palette verticali
che stringono la particolare U.d.C.
Le pinze sono caratterizzate da un peso proprio e costituiscono un carico ulteriore che il carrello deve
sollevare e un’ulteriore variabile da considerare in merito alla stabilità del mezzo. Il cambio di
attrezzatura comporta, quindi, una riduzione di portata utile del mezzo.
In definitiva, la scelta di un carrello adeguato viene effettuata sulla base di informazioni che
riguardano le caratteristiche del Carrello, quelle dell’Attrezzatura e quelle di Carico:

Sostituendo le forche con un’altra


attrezzatura, cambiano le condizioni di
carico del mezzo.
Consideriamo il Carrello con forche. Essendo Q = Qc ed l=(c + x), si ottiene: MR= Q*l = Qc*(c + x).
Sostituendo le forche con un’altra Attrezzatura si ha che Q’ = M ed l’= [E+ (x-s)].
Il Momento Ribaltante dovuto esclusivamente alla nuova attrezzatura è dato da: Mr = M * [E+ (x-s)].
Il Momento Ribaltante dovuto al Carico di un carrello su cui è stata montata la Nuova Attrezzatura è
dato da: MR’= MR – Mr.
La Portata Residua Netta Ammissibile per un carrello su cui è stata montata la Nuova Attrezzatura,
essendo l’’= [(L/2)+C+(x-s)], è data da: Qr = MR’/[(L/2)+C+(x-s)]. E’ chiaro che Qr < Qc.
Prove di Stabilità
I Carrelli Elevatori sono sempre sottoposti a diversi test, statici o in movimento, in fase di collaudo
per verificarne la stabilità longitudinale e laterale. Il carrello, in determinate condizioni di carico,
viene posto su una piattaforma mobile cui viene assegnata una certa inclinazione.
Prova 1 - Stabilità longitudinale in impilamento
Q = portata massima (di progetto)
H2 = massima altezza delle forche
i = 4%

- Prova 2 - Stabilità longitudinale in movimento


Q = portata massima
H0 = 300 [mm]
α = massima inclinazione all’indietro delle forche
i = 18%

- Prova 3 - Stabilità laterale di impilamento


Q = portata massima
H2 = massima altezza delle forche
α = massima inclinazione all’indietro delle forche
i = 6%

- Prova 4 - Stabilità laterale in movimento (con carrello scarico)


H0 = 300 [mm]
α = massima inclinazione all’indietro delle forche
i = 40% per Q < 5 [t], 50% per Q > 5 [t]
ESERCIZIO:
Calcolare la portata residua per un carrello Linde H50D nel caso si voglia movimentare un carico di
2.000 kg con L=1.800 mm mediante una pinza per balle mod. 3.2232G.
E’ chiaro che la Portata residua che troveremo dovrà essere maggiore del peso del carico che si vuole
movimentare.
Dalle tabelle del fornitore del carrello e dell’attrezzatura si ricavano i dati utili del carrello e della
pinza (Q, c, x, s, M, E, C).

Il Momento Ribaltante del Carrello con forche è:


MR= Q*(c + x) = 5000 [kg] * (0,6 + 0,63) [m] = 6150 [kg*m]

Il Momento Ribaltante dovuto esclusivamente alla nuova attrezzatura è dato da:


Mr = M * [E + (x-s)] = 650 [Kg] * [0,268 + (0,63 – 0,06)] [m] = 544,70 [Kg*m]

Il Momento Ribaltante dovuto al Carico di un carrello su cui è montata la Nuova Attrezzatura è:


MR’= MR – Mr = 6150 [kg*m] - 544,70 [Kg*m] = 5605,3 [Kg*m]
Questo rappresenta il massimo momento (dovuto al carico) ammissibile in queste condizioni.
Il braccio del momento ribaltante dovuto al carico è dato da:
l’’= [(L/2)+C+(x-s)] = [(1,8/2) + 0,144 + (0,63 – 0,06)] [m] = 1,614 [m]

La Portata Residua Netta Ammissibile del carrello su cui è stata montata la Nuova Attrezzatura è:
Qr = MR’/[(L/2)+C+(x-s)] = MR’/ l’’= 5605,3 [Kg*m] / 1,614 [m] = 3472,92 [Kg]

Deve essere Qr < Q → 3472,92 < 5000→ OK!!!!


Deve essere Qr > Q(carico) → 3472,92 > 2000→ OK!!!!
Carrelli Elevatori a Trazione Elettrica
Le soluzioni costruttive che adottano la trazione elettrica assumono sempre maggiore importanza e
diffusione nel quadro della “Green Logistics”.
L’utilizzo dei carrelli elevatori a trazione elettrica è preferibile per ragioni ambientali e/o economiche.
Nei momenti storici in cui il costo del combustibile risulta particolarmente elevato, l’utilizzo di
carrelli elettrici può essere economicamente conveniente.
Il loro utilizzo risulta, invece, necessario nel momento in cui si vogliono conseguire risultati quali
abbattimento delle emissioni gassose e bassa rumorosità per l’impiego in ambienti chiusi come i
magazzini.
Gli elementi cardine della trazione elettrica sono gli accumulatori (o batterie), nei quali è contenuta
l’energia necessaria per l’esecuzione del lavoro di movimentazione dei materiali.
I principali limiti di utilizzo di carrelli elevatori elettrici sono:
- LIMITI DIMENSIONALI DELLA BATTERIA RISPETTO AGLI OBIETTIVI DI POTENZA
DA EROGARE - per avere potenza elevata è necessaria batteria di grandi dimensioni. Ciò, però,
contrasta con la necessità di avere carrelli agili in grado di spostarsi in spazi stretti.
- MAX CAPACITA’ DI CARICO BASSA (normalmente non supera le 5 tonnellate) – dovuta alla
scarsa potenza erogata dalle batterie.
- DISCONTINUITA’ DI SERVIZIO - dovuta alla ridotta autonomia dei mezzi. L’autonomia dei
mezzi risulta inversamente proporzionale all’energia di movimentazione richiesta in un turno di
lavoro in termini di ore nette di utilizzo, complessità delle operazioni di movimentazione, carichi
trasportati nell’unità di tempo, distanza di movimentazione.
La trazione elettrica, inoltre, richiede la predisposizione di un sistema di gestione dei mezzi molto più
complesso rispetto a quello necessario per i carrelli a motore Diesel. L’utilizzo dei carrelli elettrici
implica essenzialmente due condizioni fondamentali:
- Realizzazione di aree dedicate per la ricarica degli accumulatori – si tratta di impianti di
rifornimento di energia collegati alle reti nazionali di fornitura di energia elettrica.
- Adeguata organizzazione delle attività di manutenzione e controllo delle condizioni degli
accumulatori – queste attività sono necessarie in quanto l’energia elettrica ed i gas infiammabili
che si sprigionano nella fase di carica degli accumulatori possono generare incendi o esplosioni;

Come già affermato, gli elementi cardine della trazione elettrica sono gli accumulatori (o batterie).
Essi sono generatori di Corrente Continua formati da un insieme di “elementi”, ossia moduli o celle
elettrolitiche costituiti a loro volta da una serie di piastre metalliche “positive” e “negative” immerse
in una soluzione di acido solforico (elettrolita).
Nell’accumulatore carico la materia attiva della piastra positiva, che ha una struttura costituita da
barrette, è ossido di piombo (PbO2), mentre quella della piastra negativa, avente struttura a rete, è
piombo allo stato spugnoso (Pb).
L’elettrolita è costituito da soluzione di acido solforico H2SO4 in acqua con una densità di 1,26-1,27
kg/l a 30°C. Queste particolari caratteristiche devono essere tenute costantemente sotto controllo
affinché le prestazioni del carrello non subiscano un decadimento.
Consideriamo una batteria completamente carica.
In fase di scarica, il biossido di piombo si combina con l’acido solforico formando solfato di piombo
PbSO4, mentre l’ossigeno e l’idrogeno che si liberano dal biossido e dall’acido formano acqua. Sulle
piastre negative il Pb reagisce con l’H2SO4 per formare
altro PbSO4. Essendo prodotta H2O, in tale processo,
chiamato solfatazione, la densità dell’elettrolita si riduce
e parallelamente si riducono la tensione agli elettrodi e la
percentuale di carica. Le prestazioni della batteria, quindi,
variano nella fase di scarica.
La densità dell’elettrolita viene misurata attraverso il densimetro.
In genere il primo controllo di manutenzione che viene effettuato
riguarda la densità dell’elettrolita. L’indicazione, a batteria carica,
di una densità minore rispetto a quella prevista, è segnale di
malfunzionamento della batteria stessa.
In una cella, tutte le piastre positive e tutte quelle negative sono collegate rispettivamente
ad un polo positivo ed a uno negativo, i quali prendono il nome di terminali. Questi ultimi
vengono collegati tra loro attraverso una barretta metallica, Il parco delle piastre prende
posto in un contenitore metallico che contiene la soluzione di acido solforico. L’intero
blocco viene chiuso ermeticamente, lasciando all’esterno i soli terminali, e considerando
un’apertura, chiusa attraverso un tappo, che consente il rabbocco del livello dell’elettrolita.
Il rabbocco avviene con acqua distillata. I tappi consentono un
rapido accesso all’interno dell’elemento per effettuare le manutenzioni.
Esistono varie categorie di tappi ma, fondamentalmente, si dividono in due
classi: tappi semplici e tappi a rabbocco automatico.
Il processo di solfatazione avviene in ogni cella, cioè in ogni componente elementare della batteria.
Questi componenti elementari sono tra loro elettricamente collegati in serie. Questo significa che tra
il primo e l’ultimo elemento abbiamo una tensione data dalla somma delle d.d.p. di ogni singola cella
(in genere 2V per cella). Le connessioni, cioè i collegamenti elettrici con cui vengono costruite le
serie di elementi che compongono la batteria, avvengono collegando tra loro i poli di segno opposto
di diverse celle. I poli di ogni elemento possono essere, quindi, del tipo:
- IN PIOMBO A SALDARE – per collegare i vari elementi della batteria è
necessario saldarli assieme per mezzo di barrette di piombo, le quali
vengono fuse sulla testa del polo stesso
- A VITE - per collegare i vari elementi della batteria, apposite connessioni
di rame, rivestite di materiale isolante, vengono avvitate sul polo, che
racchiude un inserto filettato.

Caratteristiche delle Batterie di Trazione


Gli accumulatori sono caratterizzati sempre da 4 grandezze:
- TENSIONE NOMINALE – importantissima nella scelta della batteria. E’ espressa in Volt e
rappresenta la d.d.p generata dall’accumulatore misurata ai capi dello stesso, e cioè tra il primo
terminale e l’ultimo della serie. Poiché la tensione nominale standard di un singolo elemento, a
batteria carica, è 2V, quella della batteria è pari al doppio del numero degli elementi che la
compongono (2V * n). Il limite di utilizzo di una batteria è quello stabilito dalla tensione più bassa
dei suoi elementi. A batteria carica, la tensione di un elemento standard è 2V, a batteria scarica,
invece, la tensione di un elemento standard non può scendere al di sotto di 1,7V. La tensione,
come la densità dell’elettrolita, quindi, diminuisce continuamente durante la fase di erogazione
dell’energia elettrica. La diminuzione di tensione da 2V a 1,7V varia, però, a seconda del regime
di scarica. Ciò significa che la velocità con cui si manifesta la caduta di tensione di una batteria è
direttamente proporzionale all’entità di corrente che deve erogare. Quindi, se una batteria eroga
una corrente molto elevata, la caduta di tensione sarà molto rapida. Se, invece, la stessa batteria
eroga una corrente più bassa, la caduta di tensione sarà più lenta. Tutto ciò è visibile nel
DIAGRAMMA DI SCARICA di una
batteria. Nel diagramma viene inserito un
altro fattore molto importante per la
valutazione delle prestazioni di una batteria,
cioè il tempo di scarica. Dal diagramma si
nota che la batteria cui è richiesto di erogare
una corrente di 100 Amp. è caratterizzata da
una caduta di tensione molto rapida e si scarica in ½ ora, mentre la batteria cui è richiesto di
erogare una corrente di 11 Amp. è caratterizzata da una caduta di tensione molto lente e si scarica
in circa 10 ore. La valutazione del tempo di scarica è molto importante, perché è necessario
considerare condizioni di esercizio del carrello tali da permettere il funzionamento dello stesso
durante un turno di (generalmente) 8 ore.

- CAPACITA’- è la quantità di corrente che la batteria può fornire all’utilizzatore prima che la
tensione scenda sotto il limite minimo di scarica. E’ data, quindi, dal prodotto tra Intensità di
corrente e tempo di scarica: C [Ah] = I [A] * tSCARICA [h]
Le condizioni di funzionamento di una batteria influiscono sulla capacità della stessa. Dal
diagramma di scarica si nota, infatti, che, a seconda della corrente erogata, la capacità varia dai
50 [Ah], con un tempo di scarica di ½ ora, a circa 120 [Ah], con tempo di scarica superiore alle
10 ore.
La capacità è riferita convenzionalmente ad una durata di scarica di 5 h, in quanto si ritiene che,
in un turno lavorativo di 8 h, l’effettivo utilizzo della batteria sia riconducibile ad una scarica
continuativa di 5 h. Tale capacità, riferita ad una durata di 5 h, è indicata con “C5”. E’ chiaro che,
conoscendo C5, si ricava facilmente, anche attraverso il diagramma, la corrente erogata da quella
determinata batteria.
Diversi fattori influenzano la capacità:
o Regime di scarica - La capacità resa a regimi di scarica elevati (alta intensità di corrente) è
inferiore a quella resa a bassi regimi. Ciò avviene a causa della corrente erogata dalla batteria
(può essere differente da quella relativa a C5), della solfatazione superficiale delle piastre, del
tempo di diffusione elettrolita insufficiente, ecc.
o Peso specifico elettrolita - All’aumentare del peso specifico diminuisce la capacità di
diffusione dell’elettrolita con conseguente aumento della viscosità. Si ha, di conseguenza,
riduzione della capacità elettrica. Per ogni centesimo di kg in più di densità, la capacità può
diminuire del 3%.
o Temperatura elettrolita - Influisce sulla viscosità. A maggiori temperature corrispondono una
riduzione della viscosità e maggiori capacità elettriche della batteria.
o Tensione finale di scarica: La tensione finale di scarica è convenzionalmente fissata a 0,3 V
in meno rispetto a quella nominale di 2 V. Valori diversi comportano capacità diverse. Ad
esempio, ad una tensione finale maggiore corrisponde una capacità inferiore.
o Tipo e numero di piastre della batteria: Queste caratteristiche influiscono sulla resa elettrica
dell’accumulatore in quanto incidono sulla qualità dei materiali e sulla quantità di materia
attiva presente sulle piastre negative e positive.
o Ore di utilizzo della batteria (durata): Normalmente le prestazioni elettriche rimangono stabili
per 1.000-1.500 cicli di lavoro (carica+scarica), oltre i quali cominciano a decadere.
La vita tipica di una batteria corrisponde a 1200 cicli di lavoro di circa 5 ore ciascuno, cioè
approssimativamente 6000 ore.
Se un carrello elevatore lavora con un ritmo di 24 ore settimanali, si ha un utilizzo annuo di
circa 1000 ore (1248 ore all'anno).
Il tempo di vita tipico della batteria rapportato al suo utilizzo annuo indica il momento in cui
il componente dovrà essere sostituito (VITABATT/TUTIL. = 6000/1248 = 4,8 anni).
E’ chiaro che la durata della batteria dipende da fattori quali modalità di scarica (utilizzandola
max all’80% della capacità e considerando che ad una riduzione della
profondità di scarica corrisponde un aumento del numero di cicli),
ricarica (evitando cariche eccessive e cicli di ricarica troppo brevi) e
manutenzione.
- DIMENSIONI – la capacità varia in relazione all’aumento del materiale attivo, presente nella
batteria, che partecipa al processo di generazione di energia elettrica.
- PESO

Modalità di Ricarica degli Accumulatori


La durata delle batterie dipende diversi fattori. Essa, però, dipende in maniera determinante dalle
modalità di ricarica.
Esistono 2 diversi metodi di ricarica:
- Wa (A corrente decrescente) – il grafico mostra l’andamento della corrente di ricarica e della
tensione durante la ricarica. A T0, dato che la batteria è
scarica, la tensione di partenza V0= 1,7V. Per
raggiungere la ricarica completa Vf >2V. Il caricabatteria
eroga inizialmente una corrente di ricarica Ic pari al 16%
della capacità nominale C5. Durante la ricarica la
tensione aumenta. Al raggiungimento della tensione di 2,4 V entra in azione un temporizzatore
che disinserisce la batteria dopo T=3,5 h. Il tempo totale di carica è di 12-14 h.
- WoWa (A corrente decrescente in due fasi) – In questo caso la corrente iniziale erogata dal
caricabatteria è più elevata, essendo Ic circa il 23% di C5.
Rispetto al precedente, dunque, questo metodo permette
di abbreviare la prima fase di ricarica. Durante la ricarica
la tensione aumenta fino ai 2,4 V. A questo punto il
temporizzatore interviene disinserendo la batteria dopo
T=4 h. Si ottiene, quindi, un tempo totale di ricarica di circa 8-9 h.
Quindi, a parità di profondità di scarica della batteria, il tempo di
ricarica della stessa con un sistema WoWa è sempre minore rispetto
al sistema Wa.

La scelta del sistema di ricarica incide notevolmente sulla gestione complessiva. Il tempo di ricarica,
infatti, determina il numero di carrelli che è necessario avere a disposizione in modo essi siano sempre
disponibili, e quindi con batteria completamente carica, per affrontare i turni di lavoro.
Consideriamo di effettuare 3 turni di lavoro al giorno di 8 ore ciascuno. Si vuole usufruire di due
carrelli, i devono essere alternativamente utilizzati nei 3 turni di lavoro. La batteria di ciascun carrello
si scarica al termine del turno di lavoro viene utilizzato. Quindi, il Carr.1 viene utilizzato e si scarica
dopo il Turno1, il Carr.2 viene utilizzato e si scarica dopo il Turno2. Il Carr.1 deve, dunque, essere
ricaricato in tempo per affrontare il Turno3, il che significa che il tempo di ricarica deve essere <= a
8 ore. E’ chiaro, quindi, che il metodo migliore di ricarica, in questo caso, è il WoWa. Il tempo di
ricarica del sistema Wa, invece, è tale che per affrontare il Turno3 si rende necessario l’acquisto di un
ulteriore carrello.
E’ possibile altresì considerare una soluzione che contempli più batterie in relazione ad un singolo
carrello. In questo modo la batteria scarica verrà sostituita con una carica e i turni possono essere
effettuati con un singolo carrello. In questo modo si riducono i costi di acquisto dei singoli carrelli.
Si va incontro, però, a problemi quali:
- Necessità di possedere un numero di batterie che sia funzionale ai turni da effettuare
- Acquisto dell’attrezzatura necessaria ad realizzare il cambio della batteria – ciò porta al problema
del ENDLING NESTING, che si riferisce alla movimentazione di batterie su U.d.M.

Problematiche Gestionali della Trazione Elettrica


- SCELTA DEL CARICABATTERIA – soluzione Wa o WoWa. La scelta del
caricabatteria, in termini di corrente di ricarica, può essere effettuata con
riferimento alla seguente regola pratica: 16A ogni 100 Ah di capacità C5. Ad
es., per una batteria da 500 Ah si dovrà scegliere un caricabatteria con corrente
di ricarica da 80 A e con una tensione pari al doppio degli elementi della
batteria. Un caricabatteria, quindi, è identificato univocamente attraverso 2
fattori: la TENSIONE che deve fornire, pari al doppio del numero delle celle dell’accumulatore,
e la CORRENTE che deve erogare per caricare l’accumulatore, nota applicando la regola
precedente.
- SVILUPPO DI GAS DURANTE LA RICARICA - Durante il processo di ricarica della batteria
si sviluppano idrogeno e ossigeno, che costituiscono una miscela gassosa esplosiva e sottraggono
H2O all’elettrolita. E’ importante, quindi, contrastare il rischio di incendio o esplosione, dovuto
sia alla emissione di gas infiammabili sia alla presenza degli impianti elettrici, realizzando
apposite misure di prevenzione e protezione. I gas prodotti durante la ricarica hanno peso
specifico minore dell’aria e, di conseguenza, tendono a salire. E’ importante, quindi, evitare che
i soffitti delle aree di ricarica presentino convessità nelle quali si formerebbero sacche di gas
altamente pericolose. Dato che il rischio di incendio o esplosione è proporzionale alla
concentrazione dei gas nei locali, è bene che quest’ultima sia ridotta al minimo. Ciò significa
disperdere i gas attraverso una adeguata ventilazione e ricambio d’aria. La portata (Q) del
ricambio volumetrico dell’aria (in mc/h) riferibile alla singola batteria in carica si ottiene
attraverso la formula (indicata anche delle norme CEI): , dove
0,05 = fattore numerico di sicurezza;
I = corrente di carica in Ampere raggiungibile durante la fase finale della carica. Essa è pari al
4% circa della capacità nominale C5 dell’accumulatore;
n = numero degli elementi in serie costituenti la batteria e sottoposti a ricarica.
Nota la portata d’aria da garantire per la ricarica di una batteria, le superfici nette di ventilazione
naturale di entrata e di uscita si calcolano attraverso la formula:
In presenza di N accumulatori identici da ricaricare, le superfici di ventilazione sono pari a N*Ae/u.
In presenza di accumulatori diversi da ricaricare è necessario considerare la Σi=1→n [Ae/u(i)].
Non sempre però è possibile o conveniente realizzare aperture nelle pareti
o nelle coperture delle sale di ricarica. Si ricorre, quindi, ad impianti di
estrazione forzata. Anche il sistema di aspirazione viene dimensionato
sulla base della portata (Q) del ricambio volumetrico dell’aria (in mc/h)
riferibile alla singola batteria in carica. Gli impianti sono costituiti da una
rete di tubazioni opportunamente disposta che si sviluppa in parte all’interno ed in parte
all’esterno della sale di ricarica, con punti di captazione dei gas, i quali, grazie alla
depressione, vengono convogliati all’esterno fuoriuscendo da un camino. La
depressione è realizzata attraverso un ventilatore antidefragrante, attraversato da aria e
gas. Esistono sistemi a calate, cioè tubazioni verticali che raggiungono la postazione di
ricarica, e sistemi a cappe, dispositivi che si trovano più in alto rispetto alla posizione di ricarica.
Il gas viene trasferito dalle batterie ai tubi attraverso tubicini flessibili in gomma. Per evitare che
l’elevata concentrazione dei gas nei tubi possa divenire troppo elevata e, quindi, potenzialmente
pericolosa, essa viene ridotta tramite aria, che entra nei tubi attraverso raccordi a 45°.
- RABBOCCHI DI ACQUA DEMINERALIZZATA NELLA BATTERIA – durante il processo di
ricarica si verifica, un effetto di evaporazione dell’acqua distillata
dell’accumulatore. Le conseguenze sono un aumento della densità dell’elettrolita,
con conseguente riduzione della capacità, il rischio di incendio
e la possibilità che gli elementi attivi della batteria non siano
completamente sommersi dalla soluzione acida. Questo problema può essere
risolto attraverso sistemi (tappi) di rabbocco automatici che consentono anche
la fuoriuscita dei gas prodotti durante la ricarica.
- MANIPOLAZIONE DI ACIDI – l’elettrolita è un acido solforico estremamente pericoloso. In
caso di sversamento dell’elettrolita, per limitare il rischio di ustione, si utilizzano sacche di
sostanze assorbenti.
- PRESENZA DI ELEMENTI IN TENSIONE (380 V) – si ha la necessità di realizzare impianti
elettrici trifase in bassa tensione. Ciò comporta un costo di realizzazione abbastanza elevato
rispetto agli impianti domestici.
- MOVIMENTAZIONE BATTERIE – dato che le batterie hanno un peso rilevante, nella
sostituzione di un accumulatore scarico con uno carico si rende necessario l’utilizzo di mezzi di
movimentazione asserviti alla U.d.M. principale, cioè il carrello elevatore. Tale problema prende
il nome di HANDLING NESTING. Ci si interroga, quindi, su come estrarre dal carrello
l’accumulatore scarico, come portare quest’ultimo nella zona in cui deve essere ricaricato, e come
sostituirlo con un accumulatore carico.
Il sistema più idoneo per la sostituzione della batteria è la GRU A BANDIERA. Si
tratta di uno strumento in acciaio costituito da un braccio collegato ad un montate,
rispetto al quale ruota, e su cui si muove un PARANCO. Quest’ultimo in grado di
muoversi lungo il braccio. Il PARANCO è un mezzo di sollevamento che utilizza funi o catene
con ganci alle estremità. I ganci vengono collegati ad occhielli realizzati nella cassa di
contenimento delle celle. A questo punto la batteria viene portata sul suo
alloggiamento, sito al di sotto del posto di guida, o sganciata dallo stesso grazie ad
un’apertura, presente sul tetto del carrello, atta al passaggio della catena.
Per accelerare le operazioni di sostituzione dell’accumulatore, è possibile
utilizzare particolare sistema di movimentazione (con operatore a bordo). Si
tratta di un carrello dotato di: 1) braccio provvisto di ventosa, la quale aderisce
alla parete esposta della batteria ed esercita la forza di trazione necessaria
all’estrazione della batteria; 2) rulli, motorizzati o non motorizzati, che consentono lo scorrimento
della batteria. Ciò consente di sistemare/estrarre la batteria nella/dalla sua postazione di ricarica
ed estrarla/inserirla dall’/nell’alloggiamento presente nel carrello.
Esistono, inoltre, sistemi costituiti da gru a cavalletto che si muovono su guide
grazie all’intervento dell’operatore. Le gru presentano, sulla traversa, un
paranco dotato di attrezzatura costituita da una barra rigida con ganci laterali.

- REALIZZAZIONE DI IDONEI LOCALI DI RICARICA E DELLA RETE DI


ALIMENTAZIONE ELETTRICA – I carrelli elettrici non sono atti all’utilizzo esterno ma solo
all’utilizzo INTERNO. Essendo elettrici, infatti, devono essere utilizzati
quanto più lontano possibile dall’acqua. E’ necessario, quindi, realizzare
sale di ricarica in cui portare i carrelli. Se si hanno a disposizione batterie
di riserva, inoltre, è necessario realizzare locali in cui vengono
immagazzinate per la ricarica. All’interno delle sale sono, quindi, posti i
mezzi di movimentazione asserviti all’U.d.M. principale necessari ad
effettuare lo scambio delle batterie, oltre alla strumentazione ed alle linee elettriche atte alla
ricarica degli accumulatori. Tutto ciò ha influenza sui costi di magazzino in cui confluiscono sia
i costi di investimento e costi di gestione.
In fase di ricarica le batterie vengono posizionate su superfici isolanti al di sotto delle quali sono
presenti vaschette di contenimento. Queste ultime sono atte alla raccolta di eventuali perdite di
elettrolita.
Le sale di ricarica presentano, oltre ai sistemi di rilevazione ed estrazione dei gas pericolosi, delle
postazioni di lavaggio delle batterie. In caso di perdita dell’elettrolita, la soluzione di acido
solforico tende a corrodere la parte superiore delle celle. E’ possibile, inoltre, che la batteria si
scarichi se dovesse formarsi una patina continua di elettrolita, il quale è un ottima conduttore.
Risulta, quindi, opportuno effettuare periodicamente il lavaggio della batteria. Il lavaggio può
essere effettuato con acqua in quanto gli elettrodi delle celle sono coperti e i collegamenti tra i
poli sono sempre protetti.
Nelle sale di ricarica troviamo, inoltre, tutti le attrezzature di soccorso atte a garantire la sicurezza
degli operatori. Esse sono costituite fondamentalmente da fontanelle o docce per il lavaggio
immediato delle parti del corpo venute a contatto con l’acido.
Il Consumo di Energia per l’Alimentazione dei Carrelli Elettrici e Diesel
Il CONSUMO DI ENERGIA è una voce fondamentale dei Costi di Gestione di un Carrello Elevatore.
Tale consumo risulta differente nel momento in cui ci si riferisce ad un carrello Diesel o Elettrico. Il
consumo di energia dipende dal motore e dalla modalità di utilizzo del carrello (utilizzo
continuo/intermittente/nullo durante il turno di lavoro; utilizzo a pieno carico/a carico ridotto). Data
l’enorme variabilità delle condizioni di esercizio di un carrello
elevatore, per calcolare il consumo di energia è necessario fare
riferimento condizioni standard di utilizzo. Il CONSUMO
STANDARD DI RIFERIMENTO viene riferito, quindi, al CICLO DI
LAVORO STANDARD, detto ciclo VDI, che prevede che in 1h un carrello effettui per 60 volte
operazioni elementari di sollevamento ed abbassamento della sua portata nominale tra 2 postazioni
poste a 30 m l’una dall’altra. Il Consumo Standard di energia risulta, di conseguenza, rapportato
all’unità di tempo, pari ad 1h (l/h o KWh/h). Tale dato, inserito nella scheda tecnica di ogni carrello,
permette di:
- SCEGLIERE, tra carrelli di fornitori diversi, quello caratterizzato dal CONSUMO MINORE;
- Effettuare una STIMA RAGIONEVOLE del consumo in condizioni di esercizio REALI –Nel
mondo reale, un carrello, durante i suoi turni, non lavora nel modo intensivo descritto dal ciclo
VDI. Partendo dal valore standard, però, una stima ragionevole del consumo di energia può essere
fatta presumendo che il carrello possa lavorare in media solo per il 60% del tempo, o, in alternativa
per 4,8 ore al giorno.
In fase di progettazione (non conoscendo le unità da movimentare ed il tempo necessario per una
movimentazione) i costi totali per il consumo di energia possono essere calcolati con diversi passaggi:
1) Si rileva il Consumo Standard di Energia riportato sulla scheda tecnica del carrello (es.[l/h])
2) Si moltiplica tale valore per il costo unitario della fonte di energia del carrello (es. [l/h]*[€/l]];
3) Si stimano le h al giorno di funzionamento del carrello (Es. 60%di un turno di 8h= 4,8h →
[l/h]*[€/l]*[h/turno]);
4) Si moltiplica il valore per il numero di turni effettuati in un anno (es.260→
[l/h]*[€/l]*[h/turno]*[turni/anno]).
Attrezzature Ausiliarie per Carrelli Elevatori
Esistono diverse attrezzature compatibili con i carrelli elevatori che vengono utilizzate per la
movimentazione. Ogni attrezzatura è caratterizzata da un costo da aggiungere a quello del carrello.
Esse vengono comunque prese in considerazione per 2 motivi:
- consentono la movimentazione di U.d.C. non movimentabili con le forche
(ad es. pinze per fusti, pinze rotanti atte a svuotare fusti, pinze a forche rotanti atte a
svuotare i contenitori);
- comportano un vantaggio in termini di riduzione del numero di
movimentazioni da eseguire e del tempo necessario ad effettuarle.
ESERCIZIO COSTI DI GESTIONE CARRELLO DIESEL - CARRELLO ELETTRICO
Si deve effettuare l’analisi di convenienza relativa all’acquisto di due carrelli che hanno la STESSA
PORTATA: un carrello Diesel e un carrello Elettrico.
Di solito, nella realtà, il costo di acquisto di un carrello elettrico è maggiore rispetto a quello di un
carrello Diesel. Tale costo maggiore è, però, compensato da un minor costo di gestione. Tale regola
deve essere verificata di volta in volta. Nell’esempio seguente, ad esempio, il costo di acquisto del
carrello D. superiore rispetto a quello E. Si considerino, quindi, le seguenti ipotesi:
Caratteristiche Carrello DIESEL Carrello ELETTRICO
PORTATA CARRELLO Qc = 50 [q] = 5 [t] Qc = 50 [q] = 5 [t]
PORTATA PINZA per Balle Qp = 3200 [kg] Qp = 3200 [kg]
TURNI/ANNO 2 [turni/gg] * 300 [gg/a] 2 [turni/gg] * 300 [gg/a]
DURATA TURNO tturno = 8 [h/turno] tturno = 8 [h/turno]
Grado Utilizzo Operativo
60% tturno 60% tturno
(effettivo utilizzo carrello)
AMMORTAMENTO Mezzi =5; Impianti = 10 [anni]; Mezzi = 5;Impianti = 10 [anni];
INTERESSI SUL CAPITALE i = 2% i = 2%
ASSICURAZIONE 2% Costo carrello 2% Costo carrello
Consumo orario Comb. = 7,5 [l/h] Energ. = 14,5 [KWh/h]
Tempo Usura Treno Gomme t.prev.treno = 2000 [h/treno] t.prev.treno = 2000 [h/treno]

COSTI CARATTERISTICI CARRELLO DIESEL CARRELLO ELETTRICO


Acquisto Acq.d.=90.000 € Acq.e.=80.000 €
Pinza per Balle Pinza = 6.000 € Pinza = 6.000 €
Batteria Batt. = 7.500 €
Caricabatteria Carica =3.500 €
Gru cambio batteria Gru =20.000 €
ImpiantoElettrico Imp.el. =10.000 €
ImpiantoVentilazione Imp.vel. =5.000 €
GommaSuperelastica C.u.Gomma = 350 € C.u.Gomma = 350 €
EnergiaElettrica C.u.Ener. = 0,15 [€/kWh]
Gasolio C.u.Comb. =1,3 [€/l]
Manutenzione (per l’anno) 5/8% Acq. 5/8% Acq.
La scelta è effettuata a seguito del confronto tra i costi ANNUALI di gestione relativi ai due carrelli.
Per il calcolo dei costi è necessario fare attenzione ai costi fissi e variabili. Il contenuto di tali voci è
differente in riferimento ai due carrelli in esame. Per il carrello D., ad esempio, i costi Fissi, nella
maggior parte dei casi, saranno costituiti dal solo costo di acquisto del carrello. Per il carrello E.,
invece, i costi Fissi saranno costituiti, oltre che dal costo di acquisto, dal costo della batteria
aggiuntiva, dal costo del caricabatteria, dal costo della gru a bandiera, dal costo dell’impianto
elettrico/di ventilazione e, se non è già esistente ma deve essere realizzato, il costo di realizzazione
del locale di ricarica.
Nel calcolo dei costi di gestione, una voce importante è rappresentata dal Costo del Personale. Se si
effettua un confronto tra 2 soluzioni, e si ipotizzano le stesse condizioni di esercizio per entrambe,
tale voce di costo può essere trascurata.
CARRELLO DIESEL:
COSTI FISSI –
INVESTIMENTO: Inv.d. = [(Acq.d + Pinza)*(1+i)]/t amm. = [(90000 + 6000)*1,2]/5 = 23040 [€/anno]
ASSICURAZIONE: Ass.d. = Acq.d. * 0,02 = 90000 * 0,02 = 1800 [€/anno]
CFd. = Inv.d. + Inv.d. = 23040 + 1800 = 24840 [€/anno]

COSTI VARIABILI –
- COSTO VARIABILE COMBUSTIBILE
TEMPO LAVORO Carrello: t.lav.prev. = G.U.O.*TURNI/ANNO = 60% tturno* TURNI/ANNO
t.lav.prev.= 0,6*8[h/turno]* 2[turno/gg]*300[gg/anno]= 2880 [h/anno]
Consumo COMBUSTIBILE: Qcomb.= Comb.*t.lav.d. = 7,5 [l/h] * 2880 [h/anno] = 21600 [l/anno]
C.var.Comb. = Qcomb. * C.u.Comb. = 21600 [l/anno] * 1,3 [€/l] = 28080 [€/anno]

- COSTO VARIABILE MANUTENZIONE


C.var.Man. = 5%(Acq.d + Pinza) = 0,05 * (90000 + 6000) = 4800 [€/anno]

- COSTO VARIABILE GOMME


C.var.gomme = n * C.u.Gomma (t.lav.prev.d./t.prev.treno)
C.var.gomme= 4[gomme/treno] *350[€/gomma] *(2880[h/anno] / 2000[h/treno]) = 2016[€/anno]

CVd.= C.var.Comb. + C.var.Comb. + C.var.gomme = 28080 + 4800 + 2016 = 34896 [€/anno]

COSTO TOTALE DI GESTIONE


CTOTd. = CFd. + CVd. = 24840 [€/anno] + 34896 [€/anno] = 59736 [€/anno]
Per quanto riguarda il carrello elettrico è necessario innanzitutto verificare che la batteria in dotazione
sia in grado di affrontare i due turni di lavoro. Normalmente una batteria dura 6 ore. Quindi,
considerando l’effettivo utilizzo del carrello (G.U.O.), alla fine del primo turno la batteria è quasi
scarica. Ciò significa che è necessario acquistare una ulteriore batteria e, di conseguenza, il
caricabatteria, la gru, ecc. Se, invece, il turno di lavoro fosse stato 1, non ci sarebbe stato bisogno
dell’altra batteria. (lui non ha fatto la parte su carrello elettrico. La faccio nei prox giorni e confronto
risultato)
C.var.Ener.= C.u.Ener.* Ener.* t.lav.prev. =0,15[€/kWh] *14,5[KWh/h] *2880[h/anno] = 6264 [€/anno]
CTOTe. = 42755 [€/anno]

Dato che CTOTe. < CTOTd., la scelta ricade sul carrello elettrico.
Mezzi per la Movimentazione Interna
I Convogliatori
I trasportatori di tipo fisso sono installati in maniera permanente e caratterizzati da percorsi di
trasporto costanti. I trasportatori di tipo fisso con moto, spesso, continuo sono anche definiti
CONVOGLIATORI. Tra i convogliatori ricordiamo:
- Trasportatori a rulli (motorizzati o non);
- Trasportatori a nastro;
- Trasportatori a catena.
Tali trasportatori sono vantaggiosi per trasporti di tipo continuo o periodico di materiali tra ubicazioni
stabilite. Sono, inoltre, impiegati per:
- Fornire accumuli
- Stoccare U.d.C.
- Servire livelli diversi
- Costruire piani di lavoro (ad es. per gli assemblaggi o per la selezione/cernita di materiali)
I trasportatori offrono vantaggi quali:
- Continuità di trasporto
- Predisposizione per l’automazione
- Minima esigenza di personale
- Ottime prestazioni in condizioni gravose di esercizio (forti pendenze, carichi e velocità di
trasporto elevati)

Tipologie di nastro trasportatore


- TRASPORTATORI A GRAVITA’- permettono il passaggio del materiale tra livelli
dello stabilimento siti a diverse quote. Sono utili quando i materiali sono trasportati
su brevi distanze e con tracciati semplici. Esempi:
o Scivoli a gravità - Il materiale posto sul trasportatore può muoversi grazie
al proprio peso.
o Trasportatori a rulli
o Trasportatori a rotelle
- TRASPORTATORI ORIZZONTALI MOTORIZZATI – sono impiegati in molte possibili
configurazioni. Esempi:
o Trasportatori a rulli
o Trasportatori a nastro
o Trasportatori a catena
- CONVOGLIATORI AEREI MOTORIZATI – consentono di superare i vincoli di
layout semplificando i tracciati. Esempi:
o Trasportatori a catena aerea – alla catena è agganciata un’attrezzatura atta a
contenere il materiale. Quest’ultimo viene trasportato da una fase all’altra
della lavorazione grazie al movimento, fisso e continuo, della catena.
o Trasportatori a carrelli con rotaia
- TRASORTATORI VERTICALI – hanno lo scopo di modificare il livello dei carichi in modo
continuo. Esempi:
o Trasportatori a nastro
o Trasportatori a tazze
o Trasportatori a tapparelle

Il Trasportatore a Nastro (o convogliatore a nastro)


Il trasportatore a nastro può essere classificato in questo modo: si tratta di un convogliatore, e dunque
un sistema FISSO, che permette di effettuare uno spostamento ORIZZONTALE o OBLIQUO (quindi
combinato orizzontale-verticale) del materiale. Lo spostamento obliquo verso l’alto è caratterizzato,
però, da limiti determinati dal fatto che, oltre un determinato angolo di inclinazione, il materiale, a
causa della forza di gravità, tende a tornare verso il punto di partenza.
Lo stato del materiale movimentato è SOLIDO. In particolare vengono trasportati materiali alla
rinfusa o colli.
Il funzionamento dei nastri, negli stabilimenti in cui vengono utilizzati, è CONTINUO. Il movimento
del nastro è determinato da una UNITA’ DI TRAINO costituita da un MOTORE ELETTRICO,
ELEMENTO DI TRASMISSIONE DI POTENZA (riduttore ad ingranaggi, trasmissione a cinghia),
che adatta la velocità di rotazione del motore elettrico alla velocità di rotazione del sistema di
trascinamento, e dal TAMBURO MOTORE. Le potenze da trasmettere sono di solito relativamente
basse (0,5 – 5 kW). Il sovraccarico all’avviamento viene ridotto utilizzando opportuni dispositivi di
avviamento graduale.
A differenza dei carrelli, quindi, il funzionamento del sistema è INDIPENDENTE DALLA
PRESENZA DI UN MANOVRATORE.
Analizziamo gli elementi caratteristici di un nastro trasportatore. Il nastro trasportatore è
fondamentalmente un nastro di materiale plastico (normalmente
PVC), di larghezza variabile a seconda delle esigenze di trasporto,
rinforzato con inserti non visibili dall’esterno, e chiuso ad anello. Il
nastro viene, quindi, fatto aderire a due rulli che ne determinano il
movimento: il rullo di traino (1), ed il rullo di rinvio (2). Questi ultimi vengono allontanati in modo
da porre il nastro in tensione. Tale tensione è costante quando il nastro è fermo mentre varia quando
è in movimento.
Sul rullo di traino (indicato con il simbolo ) agisce la forza derivante dal motore. Il rullo di
rinvio, invece, non ha funzione dinamica ma ruota liberamente attorno al proprio asse.
I nastri muoversi sempre in un unico senso oppure possono essere reversibili, muovendosi nei due
sensi a seconda della esigenze di produzione. Il cambio di senso si realizza cambiando fase al motore.
La TESTA del nastro rappresenta la parte di uscita del materiale, mentre la CODA del nastro è la
parte in cui il materiale viene caricato.
Per un funzionamento migliore, nei nastri che si muovono in un unico senso, di solito, il rullo di traino
si trova in testa. In presenza di nastri reversibili o con nastri molto lunghi, è preferibile porre il rullo
di traino al centro del lato inferiore.
Il nastro può raggiungere lunghezze elevate. Quando sul nastro viene posto del materiale, la parte
caricata, e cioè quella superiore, può essere soggetta a deformazioni. Sorge, dunque, la necessità di
inserire, al di sotto del lato carico, un sostegno. Quest’ultimo può essere costituito da un piano di
scorrimento (3) o da rulli di supporto (4). Il primo costituisce una superficie di appoggio regolare. Il
problema è costituito dall’attrito che si sviluppa tra la superficie inferiore del nastro in movimento ed
il piano di scorrimento fisso. In presenza di carichi elevati, quindi, il consumo di energia richiesto per
vincere la forza di attrito e mettere in moto il sistema sarebbe eccessivo. Un’umidità eccessiva tra il
piano ed il nastro aumenta l’adesione (effetto ventosa) porta ad un
peggioramento delle condizioni di esercizio. In questi casi la presenza di
scanalature sul piano di scorrimento può fornire un drenaggio efficace e
porre rimedio al problema. Se le scanalature sono orientate a “V”, o a spina di pesce, si può ottenere
contemporaneamente anche un effetto positivo di centraggio del nastro.
In presenza di trasportatori lunghi e carichi grandi/pesanti si utilizzano i rulli di supporto, più piccoli
di quelli di testa e rinvio. Tali rulli riducono la perdita per attrito e la
potenza richiesta per il traino. La distanza tra i rulli di supporto deve essere
inferiore alla metà della lunghezza delle U.d.C. trasportate, in modo da
evitare l’effetto di spinta verso il basso del nastro. In questo modo si è
sicuri i prodotti appoggino sempre su almeno due rulli, evitando l’effetto di spinta verso il basso che
provoca continue deformazioni del nastro, le quali riducono la sua vita utile.
L’elemento di rotolamento dei rulli è costituito da cuscinetti, posti alle estremità del rullo stesso, e
che possono essere esterni o interni. Le estremità dei rulli sono collegate, quindi, al telaio in due
differenti modi: in caso di rullo con cuscinetto esterno, attraverso una boccola che contiene il
cuscinetto, in caso di rullo con cuscinetto interno, attraverso una sporgenza
metallica. Il rullo è montato in modo che la posizione possa essere regolata.
I rulli di supporto, posti sul lato scarico del nastro, sono atti ad evitare
l’inflessione dello stesso dovuta al proprio peso. Sul lato scarico, quindi, sono
più rarefatti rispetto al lato carico.
I rulli di supporto, infine, contrastano il cosiddetto sballamento del nastro, fenomeno che si verifica
soprattutto in presenza di nastri lunghi. Le vibrazioni prodotte durante il funzionamento, infatti,
portano il nastro ad assumere posizioni diverse rispetto a quello iniziale. I rulli, a contatto con il
nastro, orientati diversamente rispetto all’asse longitudinale dello stesso, provocano un effetto di
correzione dello sballamento.
Consideriamo ora due fattori. Innanzitutto, se il nastro non fosse messo in tensione non si avrebbe
movimento, in quanto il rullo di testa scivolerebbe sul nastro. In secondo luogo, le caratteristiche di
plasticità del nastro portano la tensione a variarne le caratteristiche di lunghezza nel tempo. E’
importante, quindi, adottare metodi che consentano di variare la tensione in al variare delle
caratteristiche del nastro. Il tensionamento viene realizzato agendo sul rullo di tensionamento (7),
indicato con il simbolo , il quale ha libertà di movimento in
quanto le sue estremità sono poste su guide. Sul rullo viene esercitata, in
modo assistito o automatico, una forza di tensionamento diretta in
direzione orizzontale o verticale. Tale forza può essere esercitata da una
zavorra collegata al rullo di tensionamento oppure grazie all’avvitamento (o lo svitamento) di una
boccola filettata su una piastra fissata alla struttura del nastro. A differenza
di quest’ultimo caso, in cui risulta necessario l’intervento di un operatore,
il metodo a zavorre permette di mettere il sistema automaticamente in
tensione al variare delle caratteristiche di lunghezza del rullo.
Spesso, per ottenere l’effetto desiderato, il rullo di tensionamento deve essere accoppiato ai rulli di
controflessione (6), i quali permettono al nastro di avvolgersi attorno al rullo di tensionamento.
E’ importante anche l’indicazione del senso di movimento del nastro.

Di seguito sono presentati alcuni esempi:


Nastro con rullo di traino in testa, in quanto il materiale esce
dalla parte in cui è presente tale rullo. Il tensionamento del nastro
è ottenuto agendo sul rullo di rinvio, presente in coda al nastro
stesso, sul quale è esercitata una forza in direzione orizzontale.
Sistema con rullo di traino in testa. Tensionamento effettuato
con rullo aggiuntivo posto sul lato scarico, sul quale è esercitata
una forza in direzione orizzontale, ed obbligando il nastro a
seguire un certo percorso tramite rullo di controflessione.
Sistema con rullo di traino in testa (il senso di avanzamento del
nastro porta il materiale verso il rullo stesso). Tensionamento
effettuato tramite rullo aggiuntivo, posto su lato scarico, su cui
agisce una forza in direzione verticale determinata dal peso di
una zavorra, ed obbligando il nastro a seguire un determinato
percorso attraverso rulli di controflessione.
Sistema con rullo traino posto sul lato scarico del nastro. Il
tensionamento è effettuato agendo sul rullo posto in coda al
nastro, su cui agisce una forza in direzione orizzontale
determinata dal peso di una zavorra o dall’avvitamento di una
boccola. Il nastro è obbligato a seguire un determinato percorso attraverso rulli di controflessione.

Il centraggio del nastro


Il nastro dovrebbe essere sempre perfettamente centrato sui rulli di traino e di rinvio. Il
CENTRAGGIO è il complesso di accorgimenti ed azioni volte a far assumere al nastro tale posizione.
Innanzitutto, i piccoli spostamenti del nastro durante il moto possono essere compensati dalla
maggiore larghezza del rullo su cui il nastro stesso poggia.
Lo sbandamento del nastro si verifica a causa dell’imperfezione nel
montaggio dei rulli. Se i rulli di testa e di rinvio non risultano paralleli
ma leggermente divergenti o convergenti, infatti, si crea un effetto di
spostamento del nastro. Tali imperfezioni comportano un continuo
intervento di manutenzione. Una possibile soluzione consiste nell’utilizzo di rulli con profilo non
perfettamente cilindrico ma con estremità tronco coniche. Tali rulli
prendono il nome di RULLI CONICI. Sulle estremità dei rulli si
sviluppano forze, dirette verso il centro del rullo, proporzionali alla
quantità di superficie a contatto con il nastro. Se il nastro è centrato, tali forze si equilibrano. In caso
di sbandamento, il nastro aumenta, su un lato, la sua superficie di aderenza e, di conseguenza, si crea
una forza che tende a far rientrare il nastro. In definitiva, in caso di sbandamento, con i rulli conici si
ha un effetto di CENTRAGGIO AUTOMATICO. Tale soluzione implica un aumento dei costi di
acquisto, dovuto ad un maggior costo dei rulli di questo tipo, ma una riduzione dei costi di esercizio,
in quanto si riducono i costi di manutenzione.
Altro sistema, che implica un maggiore costo di acquisto, consiste nell’utilizzo di nastri e rulli dal
profilo particolare. Il nastro è caratterizato, nella parte centrale, da
un dente che trova alloggiamento in una scaffanalatura dei rulli
conici. Il dente, quindi, costiuisce un impedimento per un eventuale spostamento del nastro. Questa
soluzione è particolarmente utilizzata in presenza di nastri di dimensioni notevoli o che devono
sopportare carichei estremamente variabili.
Esistono, infine, sistemi di correzione eletronica della posizione del nastro caratterizzati da sensori di
posizione e rullo di correzione. Quest’utimo può cambiare elettronicamente la sua posizione e, di
conseguenza, quella del nasto cui aderisce.

Fase di carico del nastro


Nella fase di carico del nastro, al fine di limitare l’usura dello stesso, è importante:
- Scaricare il prodotto centrato sull’asse del nastro - Con materiali alla rinfusa
il sistema più semplice per caricare il nastro è uno scivolo, cioè un piano
obliquo sul quale scorre il materiale da trasportare
- La velocità di deposito deve essere vicina a quella di scorrimento del nastro
- Alimentazione deve essere regolare
- Evitare urti dei blocchi sul nastro - Il punto di nastro su cui cade il materiale scaricato dallo scivolo
è particolarmente sollecitato. Quindi, sotto il nastro, in corrispondenza di quel punto, risulta
opportuno porre un piano di sostegno del nastro o un numero maggiore di rulli.
- In caso di granulometria variabile depositare prima il materiale fine che funga da supporto per i
pezzi di dimensioni regolari – per questo scopo si utilizza uno scivolo in cui si trovano delle
feritoie. Il materiale fine passa attraverso le feritoie e viene caricato sul nastro
prima delle parti più grandi, costituendo un letto smorzatore per queste
ultime. In questo modo le parti più fini di materiale attutiscono gli urti causati
dalla caduta dei pezzi di grandi dimensioni sul nastro.

Fase di scarico
In fase di scarico, l’uscita del materiale può essere naturale, come nel caso di materiali sfusi. In questo
caso, è possibile calcolare l’altezza del punto di distacco del materiale dall’estremità del nastro. Il
materiale, infatti, viene tenuto aderente al nastro dalla forza di gravità ed è caratterizzato da velocità
pari a quella del nastro. Nel momento in cui si ha eguaglianza tra forza di aderenza dovuta al peso e
forza centrifuga che il materiale subisce nel momento in cui inizia a ruotare insieme
al nastro, si ha il distacco del materiale. Imponendo tale uguaglianza è possibile
calcolare l’altezza del punto di distacco del materiale dal nastro.
Per l’uscita del materiale esistono, inoltre, sistemi semplici come i
DEVIATORI, cioè barriere fisse posizionate sul nastro con un certo
orientamento. Il materiale urta sulle barriere e viene espulso secondo la
direzione del deviatore. E’ possibile, però, che si crei attrito contro le barriere.
E’ possibile, quindi, considerare deviatori mortorizzati, cioè caratterizzati da cinghie in movimento
che aiutano il materiale ad uscire nella direzione voluta.
Ci sono anche sistemi perpendicolari ad intermittenza, cioè sistemi a
pistoni che, riconosciuto il passaggio di un determinato pezzo, si muovono
per spingerlo fuori dal nastro.

Elementi costitutivi di un nastro trasportatore


La sezione del nastro presenta rinforzi interni in tessuto o in metallo.
La sporcizia del nastro e la conseguente pulizia dello stesso, soprattutto in caso di trasporto di
materiale sfuso, rappresentano un ulteriore problema di manutenzione e, quindi, di gestione. E’
possibile adottare sistemi specifici che consentono di mantenere al massimo la pulizia del nastro. I
sistemi maggiormente utilizzati sono spazzole o raschiatori.
I raschiatori sono piastre o denti che possono essere montati sia sulla superficie
esterna sia su quella interna del nastro. Il raschiatore può essere sempre in
contatto con il nastro o entrare in funzione se necessario. Il contrasto tra
raschiatore e nastro crea una ulteriore difficoltà di movimento per il nastro.
Le spazzole sono dotate di motorizzazione propria. Le spazzole sono montate
su una serie di ruote che vengono mosse da un albero e da un motore specifico
dedicato a questo sistema.
Questi sistemi, quindi, sono caratterizzati da due svantaggi:
- se, per funzionare, necessitano della propria alimentazione elettrica, comportano l’aumento
dell’assorbimento energetico.
- quando sono a contatto con il nastro, contribuiscono allo sviluppo di ulteriori forze di resistenza
al moto del nastro.

Il materiale sciolto, trasportato su nastri inclinati, tende a defluire. Per ostacolare il reflusso, i nastri
possono essere realizzati con particolari accorgimenti costruttivi. Tali accorgimenti sono costituiti da
sporgenze, trasversali o con profilo a V, sulla superficie del nastro. Tali elementi,
però, irrigidiscono il nastro e lo appesantiscono. Il peso del nastro influisce
sull’assorbimento energetico necessario al suo movimento.
Il materiale, inoltre, tende a debordare, cioè ad uscire lateralmente dal nastro.
Vengono, quindi, realizzate sponde caratterizzate da un particolare profilo
utile in fase di rotazione del nastro.

SCELTA DI UN NASTRO
I dati tecnici del nastro trasportatore vengono ricavati a partire dai seguenti dati di partenza:
- CARATTERISTICHE DEL MATERIALE DA TRASPORTARE
- POTENZIALITA’ DI TRASPORTO (Portata da realizzare) – la portata può essere sia in massa
(es. tonn/h) che volumetrica (es. l/s)
- DISTANZA DI TRASPORTO (lunghezza)
- EVENTUALI DISLIVELLI DA SUPERARE
Individuati tipo di materiale e portata da realizzare, si determina la VELOCITÀ DI TRASPORTO
OTTIMALE e si sceglie la LARGHEZZA DEL NASTRO.
Fissata la combinazione larghezza-velocità si calcolano la RESISTENZA AL MOTO, la POTENZA
ASSORBITA e la TENSIONE DEL NASTRO. Da quest’ultima si deduce il TIPO DI NASTRO da
utilizzare e, quindi, il numero di tele interne del nastro stesso.

Potenzialità di Trasporto
Nota la larghezza del nastro, il calcolo della potenzialità di trasporto nel caso di scatole, colli, cassette,
ecc. è abbastanza semplice. Si ha, infatti, che per:
a) Scatole, colli, cassette, ecc. - Q [kg/s] = q × B × v dove:
- q → carico distribuito sul nastro [kg/m2]
- B → larghezza del nastro [m]
- v → velocità del nastro [m/s]

mettere immagini quaderno. Per quanto riguarda i materiali alla rinfusa è possibile legare la portata
alla forma che il materiale assume sul nastro, cioè all’area trasversale formata dal materiale che viene
trasportato, e alla velocità del nastro. E’ necessario, però, fare alcune supposizioni. Dopo il carico, il
materiale alla rinfusa tende a distribuirsi sul nastro. Supponiamo, per semplicità, che il materiale
assumi, sul nastro, una forma rettangolare. All’istante t0, quindi, si avrà una determinata sezione di
materiale sul nastro. Il nastro si muove con velocità v espressa in m/s. Nell’unità di tempo (1[s]), la
sezione si sposterà in avanti di una quantità corrispondente alla velocità di movimento. Quindi, se il
materiale si muove con velocità pari a x [m/s], in 1[s] si sposta di x [m]. Nell’unità di tempo, quindi,
si ha a disposizione un volume pari al prodotto tra la sezione iniziale di materiale per lo spostamento,
pari alla velocità (V = A * v). Tale volume è esattamente la portata volumetrica del nastro.
Moltiplicando la portata volumetrica per il peso specifico del materiale si ottiene la portata in massa.
In definitiva, si ha che per:
b) Materiali alla rinfusa - Q [kg/s] = γ × A × v
- γ → peso specifico apparente del materiale trasportato [kg/m3]
- A → sezione media dello strato di materiale sul nastro [m2]
- v → velocità del nastro [m/s]
E’ chiaro che, grazie a questa relazione è semplice ricavare gli elementi che ci interessano a partire
da quelli a disposizione. Ad esempio, conoscendo portata in massa, velocità e peso specifico, la
formula: A = Q / (γ × v) ci permette di individuare la sezione che assume il materiale sul nastro.
Quest’ultimo è un elemento importante, in quanto è necessario che il materiale sia ben distribuito sul
nastro in modo da evitare debordamenti e altre problematiche.

Dimensionamento del Nastro


La scelta degli elementi essenziali di un nastro si sviluppa attraverso una procedura ripetitiva.
- Si parte dalla portata Qv.
- Individuiamo, attraverso un’apposita tabella, la larghezza di nastro B
relativa alla portata. In tabella difficilmente sarà
riportato il valore della nostra portata Qv. Andiamo,
quindi, ad individuare una portata Q>Qv.
Identifichiamo, quindi, il valore di B relativo a Q.
Non è possibile scegliere un nastro di qualsiasi larghezza, in quanto
sussiste una relazione tra nastro e sezione del materiale. A parità di
portata, un nastro stretto implica una sezione di materiale particolarmente sviluppata in altezza.
Ciò è sconveniente perché comporta problemi di sbandamento.
- A questo punto, si individua, attraverso un’ulteriore tabella, la
velocità del nastro in relazione la sua larghezza B e alle
caratteristiche del materiale. Tale velocità rappresenta la vmax per
quel tipo di nastro.
- La velocità vmax permette di conoscere la sezione di riferimento A, anch’essa massima, attraverso
la formula A=Q/vmax. La sezione corrisponde alla forma che il materiale assume sul nastro.
- Tutto ciò è, però, riferito a portata Q maggiore rispetto a quella di cui abbiamo bisogno, cioè Qv.
Una portata inferiore implica una velocità inferiore. Considero, quindi, una velocità v<vmax.
- Effettuiamo il calcolo dell’area Am= Qv/v ponendo attenzione a verificare che Am<A. Se ciò si
verifica, tutti gli elementi essenziali del nastro sono stati identificati.
- Se la verifica fallisce, cioè Am>A, è necessario ridurre l’area a parità di portata. Ciò è possibile
aumentando la velocità, facendo attenzione a tenerla inferiore a quella max. In questo modo si
riduce l’altezza del materiale sul nastro.
- Se non è possibile aumentare v rimanendo al di sotto di quella max, allora è necessario aumentare
B e procedere nuovamente coi passaggi.

Esistono altre tabelle utili per la procedura. Una tabella, ad esempio,


mette in relazione le caratteristiche dei materiali (materiali asciutti o
umidi e peso specifico) con la massima inclinazione che il nastro
trasportatore può assumere. L’inclinazione è, infatti, legata alle
caratteristiche del materiale, in quanto questi ultimi, a seconda delle
oro caratteristiche, tendono più o meno a refluire.

Forze in un nastro trasportatore


La forza per mettere e tenere in moto il nastro deve essere tale da vincere la RESISTENZA AL
MOTO, la quale è pari alla somma di una serie di componenti: R = r1 + r2 + r3 + r4 dove
r1 → Attrito della massa in moto del trasportatore. E’ l’attrito dovuto al peso proprio degli elementi
in moto che costituiscono il nastro, come i rulli di rinvio, di traino, di supporto superiori e inferiori.
r2 → Attrito per il trasporto del materiale
r3 → resistenza dovuta agli eventuali Dislivelli
r4 → resistenza dovuta agli Scaricatori o
Deviatori se sono presenti

Componendo queste voci si arriva alla forza complessiva.

Valutiamo singolarmente le resistenze che compongono quella complessiva:


Resistenze fisse (r0) – Oltre a quelle già citate è presente una ulteriore componente dovuta alle
resistenze fisse. Si tratte delle forze esercitate dal raschiatore o dalle spazzole supponendole sempre
a contatto con il nastro. Sono calcolate, in maniera abbastanza semplificata, andando ad incrementare
di una quantità l0 fittizia, la lunghezza del nastro, la quale influisce sulle forze in gioco. Si ha, quindi,
che l0 = 60 – 0,2 × l dove l → lunghezza del nastro trasportatore.

Attrito della massa in moto del trasportatore (r1) - Il nastro poggia su rulli o su un piano. Si sviluppano,
quindi, forze di attrito. Si ha quindi che: r1 [kg] = f × qs × (l + l0) dove
f → coefficiente di attrito dei rulli (0,03) o del piano di scorrimento
qs → peso delle parti mobili del trasportatore espresso per ogni metro di nastro [kg/m]
l + l0 → lunghezza nastro (centro rulla traino più centro rullo rinvio) + lunghezza fittizia.
r1 viene poi ripartito in modo che r’= 1/3 r1 sia la resistenza della massa in moto del ramo inferiore e
r’’= 2/3 r1 quella del ramo superiore. Ciò è dovuto al fatto che le parti in movimento nella parte
inferiore sono meno numerose.

Attrito per il trasporto del materiale (r2) – in questo caso si considera l’effetto del peso del materiale
trasportato che, spingendo su rulli e cuscinetti, non fa altro che aumentare la resistenza al moto del
nastro. Si ha, quindi, che: r2 [kg] = f × qm × (lm + l0)
f → coefficiente di attrito dei rulli (0,03) o del piano di scorrimento
lm → lunghezza del tratto carico di trasportatore [m]
qm → densità del materiale trasportato per metro di nastro[kg/m]. Essendo la portata in massa
QP=γ*A*v, possiamo considerare qm = γ*A = QP/v.

Resistenza dovuta agli eventuali Dislivelli (r3) -


r3 [kg] = ± qm * H dove:
qm → densità del materiale trasportato per metro di nastro [kg/m]
H → dislivello da superare [m]
Consideriamo un dislivello H da superare. Il materiale parte dal punto A e viene scaricato nel punto
B. Siamo in presenza di un angolo di inclinazione α<αmax consentito per quel tipo di materiale. La
lunghezza AB rappresenta la lunghezza del nastro. Il materiale è distribuito sulla superfice con densità
qm epressa in [Kg/m]. Rappresentiamo il peso del materiale attraverso la risultante p applicata nella
mezzeria. Il peso p è dato dal il prodotto tra la densità del materiale sul nastro e la lunghezza del tratto
carico del materiale, cioè p=qm*l. La componente della risultante che si oppone al moto del materiale
è quella parallela a l. Si ha quindi che r3=p*sin(α) = qm*l*sin(α) = qm*H.
Dunque r3= qm*H è la componente che si oppone al moto dovuta al peso del materiale distribuito sul
nastro.
Il segno +- indica che la componente può essere di opposizione al moto (+), se il moto sul nastro
inclinato è verso l’alto, o a favore del moto (-), se moto sul nastro è verso il basso.

Dispositivi di scarico (r4)


Scaricatori fissi → r4 [kg] = a × qm
Scaricatori mobili → r4 [kg] = b

Il diagramma mostra 2 aspetti:


1) In condizioni di funzionamento il nastro è caratterizzato da tensione interna che cambia nel
passaggio da rullo di traino a rullo di rinvio.
2) La differenza tra tensione massima e minima risulta essere la manifestazione delle forze resistenti
calcolate precedentemente.
Nella parte di nastro ADERENTE AL RULLO DI TRAINO, infatti, la tensione varia dal valore max
T, nel punto in cui il nastro si aggancia al rullo, al valore minimo t, nel punto in cui esce dal rullo.
Partendo dal valore min e procedendo lungo la parte inferiore del nastro, la tensione aumenta a causa
delle resistenze al moto r’ dovute ai rulli di supporto. Mentre sul rullo di traino agisce una coppia atta
a generare il moto, sul rullo di rinvio non sono applicate forze. In ingresso ed in uscita dal rullo di
rinvio, quindi, agisce la stessa tensione t+r’. Procedendo lungo la parte superiore del nastro, la
tensione aumenta nuovamente a causa delle resistenza al moto dovute ai rulli di supporto, al trasporto
di materiale, ai dislivelli ecc., assumendo il valore T.

Nota la resistenza, somma delle sue componenti, si vuol conoscere la forza, da applicare sul rullo di
traino, per generare il moto. E’ chiaro che il gruppo di comando del nastro fornisce una coppia, un
momento di rotazione. La forza tangenziale, applicata al rullo di raggio r, ci porta alla conoscenza
della coppia di rotazione da applicare al rullo di traino.
Immaginiamo di sezionare il nastro in corrispondenza del rullo di traino. Si
manifestano, di conseguenza, 3 forze: la tensione del nastro T2 relativa alla parte
superiore, la tensione del nastro T1 relativa alla parte inferiore e la forza
tangenziale F. Le tensioni T1 e T2 risultano essere la manifestazione delle forze
resistenti calcolate precedentemente. Essendo caratterizzate da stessa direzione e stesso verso, una
delle due è favorevole al moto mentre l’altra si oppone.
Eseguendo l’equilibrio dinamico alla rotazione del rullo, si ha che F*r + T2 *r = T1*r → F =T1 - T2.
Ciò significa che la forza F, da applicare in modo da vincere tutte le resistenze al moto, è pari alla
differenza tra le tensioni che si manifestano nei due rami del nastro.
Molto importante è l’individuazione della Tmax, in quanto porta all’individuazione delle
caratteristiche di resistenza che il nastro deve possedere per resistere a quel determinato sforzo. Ad
un maggiore sforzo corrisponde un nastro più resistente e, dunque, più costoso. Le forze, inoltre, si
scaricano sul rullo che collega i due tratti. Ad una tensione maggiore corrisponde il rischio che il
rullo, se non adeguatamente resistente, possa curvarsi, incidendo ulteriormente sui costi di gestione.
Essendo F = T-t, è possibile, ottenere lo stesso risultato con diversi valori delle tensioni (Ad esempio
10 = 20 – 10 o 10 =100 – 90). La situazione più conveniente, quindi, è quella in cui Tmax assume il
valore più basso possibile, in modo che il sistema non sia eccessivamente costoso.

Una ulteriore relazione che lega le tensioni è relativa all’equilibrio in un sistema ad avvolgimento.
Consideriamo un sistema in movimento costituito da una puleggia/cilindro su cui si avvolge una
cinghia/nastro in condizioni di aderenza perfetta. Si può, dunque, affermare che dove:
α = angolo di avvolgimento; μ = coefficiente di attrito nastro-puleggia.
La relazione indica che all’aumentare del coefficiente di attrito e dell’angolo di avvolgimento le
tensioni si riducono.
E’ possibile calcolare la tensione massima attraverso la formula T =
k1 * R. Il valore del coefficiente numerico k1 è ricavabile dal grafico,
il quale indica che all’aumento dell’angolo di aderenza (verso il
basso) e del coefficiente di attrito (verso destra) tra nastro e rullo
corrisponde una riduzione del valore di k1. Un nastro economico in
grado di fornire buone prestazioni è, quindi, caratterizzato da
elevato coefficiente di attrito ed elevato angolo di avvolgimento del
nastro sul rullo di traino, i quali forniscono una tensione non elevata.

I nastri commerciali sono caratterizzati da differenti modelli costituiti da diverso numero di inserti
resistenti. Scelto il tipo di nastro e nota la resistenza unitaria delle tele, si determina il numero di tele
del nucleo attraverso la formula N = T / (K * B) dove:
- K = resistenza di una tela espressa in [N/m]
- B = larghezza nastro (m)

La tensione sul lato inferiore del nastro non deve essere inferiore ad un certo minimo. Se lo fosse,
infatti, tra i rulli di supporto inferiori si potrebbe avere una curvatura eccessiva.
La tensione sul ramo inferiore è uguale a t = k2 * R, con k2 desumibile dalla tabella precedente.
A quel punto è necessario verificare la condizione di massima inflessione tra due rulli nel punto meno
teso. Deve risultare: t>tmin con tmin = 50*N*B, essendo N = numero di tele del nastro.

La t è necessaria anche per calcolare il contrappeso che mette in tensione il nastro.


Per studiare l’equilibrio del rullo di rinvio supponiamo di tagliare il nastro subito prima del rullo di
rinvio. Su quest’ultimo non agiscono forze atte a generare il moto. In ingresso ed in uscita dal rullo
di rinvio, quindi, agisce la stessa tensione t+r’. Affinché il rullo rimanga in posizione le tensioni
devono essere bilanciate. L’equilibrio del rullo è dato
dal suo fissaggio su supporti oppure viene garantito
da una zavorra. Nel momento in cui il nastro dovesse
allentarsi, la zavorra muove il rullo mettendolo
automaticamente in tensione.
Il contrappeso applica, quindi, una forza calcolabile in questo modo W = 2 To = 2*(t+r1’).

La POTENZA ASSORBITA dal nastro è uguale a:


ESEMPIO DI SCELTA DI UN NASTRO TRASPORTATORE
Si voglia dimensionare un sistema di trasporto a nastro per il trasferimento continuo di 50 [t/h] di
argilla idratata a fronte di un dislivello di 85 [m] e su una distanza planimetrica di 300 [m].

I dati tecnici di partenza che consentono il dimensionamento del nastro sono:


- Caratteristiche del materiale da trasportare – ARGILLA IDRATATA
- Potenzialità di trasporto (Portata da realizzare) – q = 50 [t/h]
- Distanza di trasporto - d = 300 [m]
- Dislivello da superare – h = 85 [m]
La distanza ed il dislivello indicati in partenza sono importanti ma non sufficienti se non accoppiati
alle le condizioni plano altimetriche dell’ambiente di lavoro.
Nella realtà, infatti, il profilo da superare può essere caratterizzato da un tracciato lineare, cioè quello
ideale per unire il punto di origine a quello di destinazione con un nastro trasportatore, o irregolare.
Se il tracciato è lineare, i dati riguardanti il dislivello sono sufficienti per calcolare la pendenza
necessaria a raggiungere la destinazione. Se il tracciato non è regolare, in quanto il profilo presenta
punti di convessità o di picco rispetto all’ andamento lineale, il dislivello di partenza potrebbe subire
modifiche:
non subisce modifiche se il profilo si mantiene sempre al di sotto del tracciato lineare
subisce modifiche se profilo presenta convessità sporgenti rispetto all’andamento lineare.
Nel caso in esame l’inclinazione relativa al tracciato
lineare non è sufficiente al raggiungimento della
destinazione, in quanto nel percorso è presente una
sporgenza da superare. Considerando, però, l’angolo
di inclinazione maggiore lungo tutto il percorso, si
ottiene un dislivello maggiore rispetto a quello richiesto. In realtà, nel momento in cui supero
l’ostacolo non è necessario mantenere la pendenza del nastro che è servita per superarlo. Si considera,
quindi, una pendenza maggiore di quella teorica fino al superamento dell’ostacolo. A quel punto la
pendenza viene ridotta in modo da ridurre il dislivello riportandolo al valore iniziale. Ciò, però,
implica l’utilizzo di due nastri diversi. Il primo atto a superare l’ostacolo, il secondo per giungere a
destinazione.
Anche distanze di trasporto elevate implicano l’utilizzo di più nastri. Per tenere in movimento un
nastro di lunghezza elevata è necessario un motore molto grande che eroghi una potenza eccessiva, il
che comporta costi esorbitanti. In caso di trasportatori molto estesi, quindi, pur mantenendo un’unica
pendenza, conviene suddividere l’intera lunghezza del nastro in tratti diversi utilizzando 2 o 3 nastri.
Con un profilo come questo è ragionevole pensare all’utilizzo di due nastri trasportatori. E’ chiaro
che, in relazione ad essi, dovremo considerare lunghezze e dislivelli diversi, in quanto il primo nastro
deve essere tale da superare la cresta, che si trova nel punto P posto ad una certa altezza rispetto al
punto di partenza, il secondo nastro deve essere tale da arrivare a destinazione.
Dividiamo il dislivello h in due segmenti: h1 = 50 [m] per il 1° nastro e h2 = 35 [m] per il 2° nastro.
Dividiamo, quindi, la distanza orizzontale in 2 segmenti: d1 = 158 [m] e d2 = 142 [m].
Possiamo, quindi, ricavare le pendenze dei nastri, facendo attenzione a verificare che le inclinazioni
siano compatibili con il materiale da trasportare. Oltre certi limiti di pendenza il materiale sul nastro
tende a refluire verso il basso quando viene sollevato.
- 1°trasportatore (h1 = 50 [m]; d1 = 158 [m]) →
- 2°trasportatore (h2 = 35 [m]; d2 = 142 [m]) →
E’ necessario verificare che le inclinazioni siano compatibili con il materiale da trasportare. Oltre
certi limiti di pendenza, infatti, l’effetto di reflusso del materiale sul nastro diventa inaccettabile.
Consultiamo, quindi, la tabella che fornisce, in relazione al tipo di materiale, l’indicazione del peso
specifico (anche se è massa specifica) e delle pendenze
massime accettabili.
Nel caso dell’argilla umida il peso specifico γ = 2000 kg/m3 e
αmax=20-22° → α1 < αmax e α2 < αmax → OK!!
(Se α < αmax, la disposizione dei nastri dovrebbe essere
cambiata in modo da intervenire sulle quote o trovare percorsi
diversi o considerare sistemi aggiuntivi rispetto al nastro).

Calcoliamo, quindi, le lunghezze dei nastri:


- 1° nastro → l1 = h1 / sin(α1) = 166 [m]
- 2° nastro → l2 = h2 / sin(α2) = 147 [m]

Per calcolare la portata di progetto, cioè quella da immettere sul nastro per ottenere
quella richiesta in uscita, è necessario tener conto dell’effetto del riflusso del materiale
verso il basso.
Tale effetto, dovuto all’inclinazione del nastro, viene quantificato mediante
l’applicazione di un coefficiente di riduzione della portata per i due tratti in salita. Per
avere una portata teorica di uscita di 50 [tonn/h], tenendo conto del reflusso, dobbiamo
avere una portata di progetto maggiore. Ad una angolatura maggiore corrisponde un coefficiente più
basso, perché minore è la percentuale di materiale di partenza che raggiunge la destinazione.
Essendo p1 = 0,85 e p2 = 0,91, si ha che:
PORTATA DI PROGETTO - Qm = q/(p1*p2) = 50/ (0,85 * 0,91) = 64,6 [tonn/h] = 18 [kg/s]
(si divide per il prodotto dei coefficienti perché i nastri sono in serie. Si divide per il prodotto dei
coefficienti anche con 2 nastri che hanno la stessa inclinazione)
Possiamo, quindi, considerare la portata volumetrica dividendo la portata in massa per il peso
specifico del materiale.
PORTATA VOLUMETRICA – Qv = Qm/γ = 64,6 [tonn/h] /2 [tonn/m3] = 32,3 [m3/h].

Con la portata volumetrica, si procede con la scelta della


larghezza del nastro e della velocità massima di
trasferimento. Tali valori sono riferiti alla portata
immediatamente superiore rispetto a quella calcolata.
Quindi Qrif = 38 [m^3/h]; vmax = 2 [m/s]

Assumiamo una velocità normale pari al 70% di quella massima, si calcola la sezione media di flusso
per la portata richiesta, verificando che non sia superiore a quella della portata di riferimento:
v = 0,7 * vmax = 2,0 [m/s] = 1,4 [m/s]
Am = Qv / v = (32,3 [m^3/h] /3.600[s/h]) / 1,4 [m/s] = 6,4 *10^(-3) [m^2]

Arif = Qrif / vmax = (38/3.600) / 2 = 5,3 *10^(-3) [m^2]

Poiché Am > Arif → si aumenta v tenendolo minore di vmax → v =1,7 [m/s]:


Am = Qv / v = (32,3 [m^3/h] /3.600[s/h]) / 1,7 [m/s] = 5,2 *10^ (-3) [m^2]
Am < Arif → OK!!!!
Si passa quindi al calcolo della potenza di trazione valutando la forza alla
periferia del rullo motore.
La forza è data dalla somma delle sue 4 componenti.
Resistenza massa in moto del nastro
Per nastro 1: Per nastro 2:
r1 = f × qs1 × (l1 + l0) = r1 = f × qs2 × (l2 + l0) =
= 0,03*32*(166+26,8) = 185 [Kg] = 0,03*32*(147+30,6) = 170,5 [kg]
f = 0.03 f = 0.03
l0 = 60 – 0,2 × l1 = 26,8 [m] l0 = 60 – 0,2 × l2 = 30,6 [m]
qs1 = peso parti mobili (in tabella con larghezza nastro) = 32 qs2 = qs1 = 32
Resistenza dovuta al materiale trasportato:
per nastro 1 per nastro 2
r2 = f×qm×(lm1+l0) = r2 [kg] = f × qm × (lm2 + l0) =
= 0,03*10,6*(165+26,8) = 61 [Kg] = 0,03*10,6*(146+26,8) = 55 [Kg]
f = 0,03 f = 0,03
lm1 = lunghezza tratto carico di nastro = l1 -1= 165 [m] lm2 = l2 – 1 = [146 m]
qm = densità del materiale per metro → qm = γ*A1 = Qm/v = 18 [kg/s]/1,7 [m/s] = 10,6 [kg/m]

Resistenza dovuta al dislivello:


per nastro 1 per nastro 2
r3 [kg] = ± qm * h1 = r3 [kg] = ± qm * h2 =
= 50*10,6 = 530 [Kg] = 35 *10,6 = 371 [Kg]

Resistenza dovuta a scaricatori fissi:


Per nastro 1 Per nastro 2
r4 [kg] = a1×qm = 0,09*10,6 = 1[kg] r4 [kg] = a2×qm = 0,09 * 10,6 = 1 kg
a1=a2 da tabella

La forza di resistenza al moto è data dalla somma delle componenti: (si consideri 1[kg] = 10 [N])
R1 = r1+ r2+ r3+ r4 = 185 + 61 + 530 + 1 = 777 [kg] = 7,77 [kN]
R2 = r1+ r2+ r3+ r4 = 170,5 + 55 + 371 + 1 = 597,5 [kg] =5,975 [kN]
Si può notare come la potenza necessaria a far funzionare il trasportatore è principalmente dovuta al
dislivello che deve essere superato.

Calcolata la forza resistente e considerando il rendimento del motoriduttore (0,8), è possibile ricavare
la potenza del motore:
P1 = R1*v/η = 7,77 * 1,7 / 0,8 = 16,5 [kW]
P2 = R2*v/η = 5,975 * 1,7 / 0,8 = 12,7 [kW]

Nota R, si procede con il calcolo delle tensioni nel tratto di andata e ritorno del nastro imponendo la
condizione limite di aderenza tra nastro e puleggia, essendo:
α = angolo di avvolgimento in radianti; μ = coefficiente di aderenza nastro-rullo
Aumentando α e μ si riducono le tensioni nel nastro (T e t), con vantaggi sulla scelta e sul costo del
nastro, sulla potenza di trazione (peso del nastro), sulle dimensioni dei rulli (diametro minimo) e sui
rischi di slittamento. Abbiamo quindi una riduzione dei costi di gestione. Un nastro economico in
grado di fornire buone prestazioni è, quindi, caratterizzato da elevato coefficiente di attrito ed elevato
angolo di avvolgimento del nastro sul rullo di traino, i quali forniscono una tensione non elevata.
Il coefficiente di aderenza può essere aumentato utilizzando rulli di trazione (in
genere metallici) rivestiti con idonei materiali (rulli “gommati”) e ricorrendo a
tenditori a contrappeso
L’angolo di avvolgimento può essere esteso mediante contro-rulli in prossimità
della testata del nastro oppure impiegando due tamburi motori.
Assumiamo α = 300° = 5,23[rad] e μ = 0,35 (rullo gommato con doppia
puleggia motrice).
Dal grafico si ricava che:
k1 = 1,25
k2 = 0,25
Si procede, quindi, al calcolo delle TENSIONI:
per il nastro 1: per il nastro 2:
T1 = k1*R1 =1,25*7,77*10^3 [N] = 971 [kg] T2 = k1*R2 =1,25*5,975*10^3 [N] = 747 [kg]
t1 = k2*R1 = 0,25*7,77*10^3 [N] = 194 [kg] t2 = k2*R2 =0,25*5,975*10^3 [N] = 150 [kg]

La TENSIONE DI LAVORO NEL NASTRO PER UNITÀ DI LUNGHEZZA vale pertanto:


Per il nastro 1 - per il nastro 2 -
τ = T1/B = 971 [kg]/50 [cm] = 19,5 [kg/cm] τ = T2/B = 747 [kg]/50[cm] = 15 [kg/cm]

La tensione τ permette di capire, consultando una tabella e riferendoci al carico di lavoro, la classe,
il numero di tele del nastro e il diametro minimo rullo
di trazione e di rinvio.
Il trasportatore 1 è un nastro in gomma e tela classe 200 a
2 tele con un carico di lavoro di 20 kg/cm e con diametro
minimo del rullo di trazione (e di rinvio) di 250 mm.
Il trasportatore 2 è un nastro in gomma e tela classe 160 a 2 tele con un carico di lavoro di 16 Kg/cm
e con diametro minimo del rullo di trazione (e di rinvio) di 200 [mm].
La larghezza dei rulli di testa e coda si calcola dalla tabella:
Larghezza del nastro b0 = 500 [mm] > 100 [mm]
Larghezza del tamburo b = (1,08 * b0) + 12 [mm] = (1,08 * 500) + 12 = 552 mm

Bisogna verificare che la tensione sul lato di ritorno sia maggiore del valore che evita inflessioni
eccessive: t > 50*n*B = 50*2*0,5 = 50 kg
t1 = 194 kg > 50 → OK!!
t1 = 150 kg > 50 → OK!!

Con la tabella, si calcola l’interasse dei rulli superiori e inferiori:

Si calcola, infine, il contrappeso per il tensionamento del nastro considerando la condizione:


W = 2*To = 2*(t + r’1 – pn)
per il nastro 1-
r’1 = 1/3*r1 = 1/3*185 [kg] = 62 [kg]
pn1 = peso nastro*B*l1*sin(α1) = 7,4 [kg/m^2]*0,5[m]*166[m]*sen(18) = 185 [kg]
To = t1 + r’1 – pn1 = 194 + 62 – 185 = 71 [kg]
W = 2 * To = 2 * 71 = 142 [kg]

Per il nastro 2 -
r’1 = 1/3*r1 = 1/3*170,5 [kg] = 56,83 [kg]
pn = peso nastro*B*l2*sin(α2) = 5,2 [kg/m^2]*0,5[m]*147[m]*sen(14) = 92,5 [kg]
To = t2 + r’1 – pn2 = 150 + 56,83 – 92,5 = 114,33 [kg]
W = 2 * To = 2 * 114,33 = 229 [kg]
Il peso del nastro è preso dalla tabella precedente relativa alla classe del nastro.
MEZZI PER LA MOVIMENTAZIONE INTERNA
Trasportatore a coclea
Il trasportatore a coclea o a vite è un sistema di traporto di tipo continuo,
prevalentemente in orizzontale, utilizzato spesso per materiali granulari. Il
trasportatore a coclea rientra, quindi, nella categoria dei convogliatori.
Lo strumento è costituito da un cilindro esterno, che funge da contenitore del sistema di trasporto,
all’interno del quale trova alloggiamento un albero su cui si avvolge un’elica realizzata in lamiera di
acciaio. Questo tipo di convogliatore viene utilizzato per il trasporto di materiali particolarmente fini.
Per il trasporto di materiali più grossolani, è possibile utilizzare sistemi senza albero, con l’elica che,
di conseguenza, non presenta il supporto centrale. Il principio di funzionamento di questo sistema di
trasporto è semplice: il materiale da trasportare subisce un’azione di spinta nel momento in cui viene
a contatto con l’elica, una volta che quest’ultima viene messa in rotazione. Dando rotazione continua
all’albero, si realizza un convogliatore con le seguenti caratteristiche:
- Stato del materiale movimentato - SOLIDO (alla rinfusa)
- Funzionamento – CONTINUO
- Energia Motrice – MOTORIZZATO (con motore elettrico)
- Tipo di Movimento - MEZZO DI TRASPORTO IN ORIZZONTALE. Sono consentite modeste
inclinazioni perché anche in questo caso può verificarsi un eccessivo ed inaccettabile reflusso
verso il punto di partenza. Inclinazione massima consentita è di 25-30°
- Tipo di Comando - SENZA MANOVRATORE

Molto importate è stabilire la potenzialità di trasporto del sistema. Pur essendo un sistema a rotazione,
il principio di calcolo della portata è sempre il prodotto di una sezione per una velocità. Per semplicità
possiamo supporre che la sezione utile dal punto di vista del calcolo della portata sia la sezione del
cilindro di contenimento. Ciò significa che per quanto riguarda la sezione l’albero non viene
considerato. Se l’involucro cilindrico ha diametro D la sezione è pari a
La velocità utile per il calcolo della portata è quella del punto, sito sulla superfice del cilindro, che
viene spinto dall’elica durante la rotazione. Essendo il passo d la distanza
tra 2 punti omologhi sul profilo dell’elica, a completamento di un giro, il
punto si sposta di una lunghezza pari al passo d. Dividendo il passo per il tempo necessario al
completamento di un giro si ottiene la velocità necessaria al calcolo della portata.
Velocità longitudinale=passo elica/tempo giro=d/(2πR/ωR) = dω/2π = d*2π*n/(60*2π) = d*n/60.
Moltiplicando tale velocità per la sezione si ottiene la portata volumetrica.
Il peso specifico γ permette il passaggio da portata in massa a portata volumetrica.
p è una costante che dipende dal materiale e dalla tipologia costruttiva del sistema. Essa indica che la
sezione non è occupata in maniera completa e quindi la portata deve essere parzializzata.
La portata ci permette di calcolare la potenza, attraverso la formula.
La potenza è legata ai consumi energetici del sistema.
L’elemento più importante del trasportatore, che ci guida nella scelta dello stesso, è la quantità di
materiale che può trasportare.

MEZZI PER LA MOVIMENTAZIONE INTERNA


Trasportatore a tazze
Il nastro trasportatore è caratterizzato da un limite fondamentale: l’inclinazione che può assumere per
superare un dislivello caratterizzato da un determinato profilo ha un punto di massimo oltre il quale
il reflusso di materiale diventa inaccettabile. Tale limite può essere superato grazie all’ adozione di
sistemi realizzati per il trasporto di materiale lungo percorsi completamente verticali.
Il trasportatore a tazze è impiegato per il trasporto verticale di materiali sciolti. Il sistema ha le
seguenti caratteristiche:
- Stato del materiale movimentato - SOLIDO (alla rinfusa)
- Funzionamento – CONTINUO
- Energia motrice - MOTORIZZATO (motore elettrico e riduttore meccanico)
- Tipo di movimento - MEZZO DI SOLLEVAMENTO
- Tipo di comando - SENZA MANOVRATORE

Esistono diversi tipi di trasportatori a tazze. Una tipologia è costituita da un nastro


trasportatore, posizionato in verticale, sul quale vengono posizionati i recipienti. Tale
soluzione è ottima per il trasporto di materiali leggeri, in quanto il collegamento tra tazze
e nastro risulta debole.
Per il trasporto di materiali più pesanti, il sistema è costituito da tazze collegate
lateralmente a catene. Il movimento della catena provoca la salita e la discesa
delle tazze. Per effettuare la trazione, la catena trova alloggiamento su una
ruota/puleggia di traino e su una di rinvio. Le ruote possono essere caratterizzate
da scanalature nelle quali si inseriscono gli anelli verticali della catena, oppure
da denti che si inseriscono negli anelli orizzontali della catena.
Nella parte inferiore le tazze raccolgono del materiale, mentre nella parte superiore lo scaricano. Nella
parte inferiore abbiamo, quindi, il punto di immissione, il quale potrebbe essere il punto di scarico di
un nastro trasportatore, sulla sommità abbiamo il punto di scarico.
Anche in questo caso è importante capire la potenzialità del trasportatore. La massa da trasportare
non è distribuita in maniera uniforme sulla lunghezza del trasportatore. E’ possibile, però, utilizzare
una semplificazione per giungere a questa situazione. Immaginiamo che le tazze siano disposte a
distanza costante l’una dall’altra. Definiamo, quindi, il passo d come la distanza tra due tazze.
Riferiamo il contenuto di una tazza a metà dello spazio che la precede e metà dello spazio che la
segue. Ciò significa che la quantità di materiale presente in una tazza viene riferita ad un tratto del
trasportatore pari al passo tra le tazze. In questo modo passiamo da una distribuzione di materiale
concentrata nelle tazze lungo il tratto di salita ad una distribuzione uniforme.
Il volume delle tazze non si riempie del tutto, nonostante siano realizzate con una sagoma e un profilo
ottimale al fine del totale riempimento. Si considera, quindi, il coefficiente di riempimento medio
delle tazze p.
Essendo P il peso del materiale che riempie una tazza, P*p = peso del materiale che si trova
effettivamente in una tazza tendo conto del riempimento parziale.
Dividendo questa quantità per il passo d tra due tazze si ottiene la densità del materiale sul
trasportatore, cioè i [kg] di materiale che si trovano su ogni [m] di tratto carico del trasportatore
[kg/m]. Conoscendo la velocità del trasportatore, il flusso di materiale nell’unità di tempo è pari al
prodotto tra la velocità e la densità precedente ([kg/m]*[m/s] = [kg/s]).
Si identifica così la PORTATA: Q= p* v* P/d = p*γ*v*C/d dove
- Q [kg/s] = potenzialità del trasportatore
- p = coefficiente di riempimento medio delle tazze
- γ [kg/m3] = densità apparente del materiale
- P [kg] = peso del materiale contenuto in una tazza
- C [m3] = volume della singola tazza
- d [m] = distanza tra le tazze (passo)
- v [m/s] = velocità dell’elevatore
γ e C permettono il passaggio da portata in massa a portata volumetrica.

La potenza di azionamento del trasportatore a tazze si ottiene considerando che la forza verticale F di
sollevamento deve vincere:
- il PESO TOTALE in salita delle catene, delle tazze e del materiale trasportato: (Fp = H * P/d)
- gli ATTRITI (Fatt = 5% Fp)
- le RESISTENZE ACCIDENTALI (Facc = 1,4 Q [t/h])
Considerando la forza totale F come la combinazione dei componenti (F = Fp + Fatt + Facc), si ha che
la POTENZA DI AZIONAMENTO è: P [kW] = F [kg] * v [m/s] / (102 η)
Il 102 è un fattore di conversione che serve per passare da [kg*m/s] a [kW].
Tale potenza viene moltiplicata per il tempi di funzionamento per avere l’energia elettrica.

MEZZI PER LA MOVIMENTAZIONE INTERNA


Paranchi
I paranchi sono mezzi di trasporto molto diffusi all’interno degli stabilimenti
industriali. La sostituzione della batteria di un carrello elevatore, ad esempio,
avviene tramite utilizzo di una gru a bandiera che contiene un paranco. Il paranco è
un mezzo dedito al solo sollevamento o al sollevamento e trasporto del materiale.
Le caratteristiche del paranco sono:
- Stato del Materiale Movimentato – SOLIDO
- Funzionamento – INTERMITTENTE
- Energia motrice - MOTORIZZATO (motore elettrico o ad aria compressa) o MANUALE
- Tipo di Movimento - MEZZO DI SOLLEVAMENTO (Paranchi e argani fissi) o MEZZO DI
SOLLEVAMENTO E TRASPORTO (Paranchi e argani su rotaia o su carroponte)
- Tipo di Comando - CON MANOVRATORE
Il paranco è costituito sostanzialmente da un tamburo su cui si avvolge e si svolge una catena o fune
che presentano un gancio all’estremità. Il tutto è messo in moto da un’unità motrice con un dispositivo
di comando. Il principio di funzionamento dei paranchi è quello delle taglie, cioè dei sistemi di
carrucole con ingranaggi che consentono di sollevare un peso riducendo la forza necessaria al
sollevamento.
Il tamburo deve essere messo in rotazione per realizzare l’avvolgimento della fune. Il modo in cui
viene realizzato l’avvolgimento porta alla distinzione tra paranchi manuali e motorizzati.
Il paranco MANUALE è costituito da una catena che presenta
all’estremità un gancio per il collegamento al carico. La catena si
avvolge su un disco opportunamente sagomato. L’azionamento
avviene ad opera di un manovratore che agisce su una seconda catena. Quest’ultima è collegata ad un
ingranaggio atto a ridurre la forza da applicare alla catena di comando per sollevare il carico.
I paranchi MOTORIZZATI sono di due tipi: elettrici o pneumatici.
I PARANCHI PNEUMATICI
Sono caratterizzati da un sistema motore ad aria compressa. L’alimentazione della macchina avviene
attraverso una rete di aria compressa. Il motore, tramite la forza dell’aria compressa, mette in
movimento il tamburo in modo che avvenga il sollevamento.
I paranchi pneumatici sono caratterizzati da:
- portata regolabile con continuità - il motore pneumatico è idoneo in caso di elevata frequenza dei
cicli di sollevamento. La velocità di sollevamento è importantissima perché determina il tempo
dedicato alla movimentazione il costo del personale. Con il sistema pneumatico è facile ottenere
velocità di sollevamento regolabili a seconda delle esigenze.
- resistono bene a umidità, polveri e vapori - Il motore pneumatico non provoca scintille ed è idoneo
negli ambienti particolarmente a rischio di esplosione o incendio.
- sono poco soggetti ad avarie;
- hanno portate limitate - limiti di portata da 3 a 5 tonn;
- hanno costi a parità di portata maggiori rispetto a quelli elettrici;
- hanno costi di esercizio elevati - il motore ad aria compressa è molto oneroso così come è elevato
l’investimento per la rete di distribuzione dell’aria compressa.

Il paranco elettrico:
- non può subire un numero di accensioni o di avviamenti troppo elevato – azionare frequentemente
un motore elettrico non è una soluzione ottimale. Il numero di avviamenti in un determinato tempo
deve essere limitato.
- la velocità di sollevamento è regolabile grazie all’utilizzo degli inverter. Ciò comporta un
notevole aumento dei costi.
- Dal punto di vista della capacità di sollevamento, cioè della portata del sistema, i motori elettrici
sviluppano potenze notevoli che ci permettono di superare le 10 Tonn di portata.
- è più economico rispetto quello pneumatico, e offre una vasta gamma di soluzioni.

Un paranco elettrico è solitamente costituito da:


- CARCASSA protezione ed attacco
- TAMBURO SCANALATO su cui si avvolge fune o catena
- FUNE - La fune si deve avvolgere in maniera regolare sul tamburo. Ciò è possibile grazie
all’utilizzo di un anello di guida che accompagna la fune lungo tutta la lunghezza del
tamburo. Per motivi di sicurezza, le funi devono essere tenute sotto controllo per
evitare anomalie quale ruggine, schiacciamento o usura.
- CATENA – alternativa alla fune. Nei paranchi a catena non c’è avvolgimento su tamburo
dell’elemento di trazione. Il tratto scarico della catena viene raccolto in un apposito
contenitore rigido o flessibile. La catena va ad avvolgersi su un disco che ha un profilo
caratterizzato da scanalature in cui trovano alloggiamento gli anelli verticali della catena
oppure sagome per l’alloggiamento degli anelli orizzontali.
- MOTORE ELETTRICO e ingranaggio che serve a ridurre i giri dell’albero del motore elettrico e
per trasmettere la forza atta al sollevamento.
- RIDUTTORE MECCANICO per la trasmissione motore tamburo
- APPARECCHIATURA DI COMANDO pensile dal paranco o a parete
- BOZZELLO - è l’insieme del gancio e pulegge di rinvio attorno alle quali si
avvolgono le funi del paranco. Lo scopo è quello di ridurre, tramite il sistema di
pulegge, la forza di azionamento necessaria al sollevamento del carico.
- I paranchi elettrici possono avere 1 - 2 - 4 - 8 TIRI DI FUNE. Con il termine tiri di fune si indicano
le funi coinvolte nelle operazioni di sollevamento quando abbiamo delle serie di
pulegge. Il paranco a due tiri di fune è costituito da gancio collegato ad una
puleggia, a sua volta collegata al tamburo tramite fune a due rami.

La Sicurezza del Paranco


Un paranco solleva carichi molto pesanti a 2 - 3 m di altezza. E’ necessario, quindi, adottare misure
di sicurezza adeguate.
A tal fine è possibile utilizzare motori elettrici “autofrenanti”
conici o cilindrici. Questi motori sono caratterizzati da rotore
conico e freno a disco incorporato. A motore spento, una molla
elicoidale pressa il freno contro una frizione, in modo da creare attrito e bloccare il tamburo. Lo
sblocco del freno viene provocato dallo spostamento assiale del rotore all’inserimento della tensione.
Questa modalità di funzionamento la massima sicurezza in quanto in assenza di alimentazione
elettrica il freno è sempre innestato. Il freno si disinnesta solo dando tensione per effettuare lo
spostamento.
E’ possibile, inoltre, utilizzare motori con freni a disco in C.C.. Il freno elettromagnetico può essere
alimentato in corrente alternata o in corrente continua. In quest’ultimo caso è presente un
raddrizzatore. Normalmente la tensione al freno è in serie con quella del motore.

Tipi di paranco
PARANCO FISSO – agganciato al palo orizzontale e, quindi assolutamente fisso,
è utilizzato esclusivamente per il sollevamento.
PARANCHI MOBILI SU ROTAIA SINGOLA O DOPPIA – la traslazione orizzontale è dovuta a:
- azione manuale - il movimento di traslazione è dovuto alla spinta operata da un operatore,
- a trazione meccanica – l’operatore per far muovere il paranco, in presenza di carichi pesanti,
agisce su una catena pendente, cioè su un riduttore di forza
- con motorizzazione per la traslazione.
Quando il paranco è montato su una trave il sistema è detto MONOROTAIA.
Quando il paranco si poggia su due guide il sistema è detto BIROTAIA.

Scelta di un paranco
Come per tutti i sistemi di trasporto, anche per il paranco dobbiamo capire come effettuare la scelta
in modo da soddisfare il fabbisogno di movimentazione. In genere, un paranco viene utilizzato per lo
spostamento di carichi vari. Raramente, infatti, è utilizzato per lo spostamento di un unico carico.
Dati i rischi di movimentazione con il paranco, tra i vari carichi da movimentare, è ovvio prendere
come riferimento il carico massimo. Considerando la situazione più gravosa, cioè quella di carico
massimo, ci si mette nelle condizioni cautelative.
Ovviamente la caratteristica principale di un paranco è la sua portata, cioè il numero max di kg o tonn
che il paranco può sollevare.
Trattandosi di mezzi di sollevamento e trasporto particolarmente rischiosi, le norme per la
realizzazione e la scelta sono abbastanza gravose. Tutti i meccanismi del paranco, i quali sono
particolarmente sollecitati dal punto di vista meccanico, hanno un numero predefinito di cicli o ore
di funzionamento rispetto ad un tempo di circa 10 anni. Ciò significa che in 10 anni di vita del paranco
il numero di cicli o ore di funzionamento è predeterminato. Tale numero non deve essere superato
anche se il limite viene raggiunto prima dei 10 anni. Ogni anno, quindi, è necessario effettuare
verifiche sulla sicurezza per capire se il limite stabilito dalle norme è stato raggiunto. Al
raggiungimento del 10° anno il paranco deve essere revisionato completamente e sottoposto a
interventi meccanici di manutenzione particolari.
Le norme che ci guidano nella scelta dei paranchi sono le norme F.E.M. Tali norme indicano che gli
elementi per la scelta di un paranco sono sostanzialmente 2:
- TEMPO DI FUNZIONAMENTO MEDIO DELLA MACCHINA
- TIPO DI CARICO AL QUALE LA MACCHINA È SOTTOPOSTA.
Questi due fattori non sono indipendenti l’uno dall’altro. Al contrario, essi sono strettamente correlati.
Un paranco, infatti, può lavorare a regimi differenti dal punto di vista del carico e del tempo: una
macchina può essere caricata poco e lavorare tanto o caricata molto e lavorare poco. Queste 2
situazioni sono paragonabili dal punto di vista delle sollecitazioni meccaniche, della resistenza dei
materiali e della durata del mezzo.
Il tempo medio di funzionamento di un paranco dedito AL SOLO SOLLEVAMENTO è dato da:
dove
- v [m/min] - VELOCITÀ DEL GANCIO – velocità di sollevamento e discesa del gancio
(generalmente sono uguali)
- h/g [h/gg] - NUMERO DI ORE LAVORATIVE AL GIORNO
- Hm[m] - CORSA O ALTEZZA DI SOLLEVAMENTO MEDIO DEL GANCIO – la corsa è un
elemento geometrico che contraddistingue il paranco. Si tratta del percorso
massimo che il gancio può effettuare. La posizione del gancio ha, infatti,
un punto di minimo in basso e un punto di massimo in alto. Si considera la
corsa media perché, a seconda della condizione di esercizio, la corsa
verticale può essere impiegata pienamente o parzialmente.
- C [#/h] - NUMERO DI CICLI ALL’ORA RICHIESTI –
Un ciclo operativo tipico di un paranco è solitamente costituito da alcune
fasi: fase di sollevamento, una volta agganciato il carico; fase di arresto per
un tempo variabile una volta effettuato il sollevamento; fase di discesa del
carico; nuova fase di arresto in modo da sganciare il carico e riportare il
paranco nella posizione iniziale. Questo ciclo si può sviluppare con corse diverse. Possiamo, infatti,
avere corse di salita e discesa uguali o diverse, sfruttando a pieno o meno l’intera corsa. I cicli sono
da studiare per bene ogni volta che ci troviamo di volta ad un problema del genere ad una scelta del
genere. Abbiamo le corse che possono essere diverse.
Per conoscere i cicli, dato fondamentale per il calcolo del tempo medio, è necessario studiare il ciclo
produttivo.
Se il paranco ha motore di traslazione, nel calcolo del tempo di funzionamento
è necessario tener conto anche delle operazioni di traslazione. Il tempo medio
per le operazioni di traslazioni si calcola attraverso la formula: dove
Pm = percorso medio = L/2 = metà della lunghezza della trave su cui il paranco si sposta
C/h = numero cicli di traslazione che si intende fare in un ora
Ti = tempo di impiego giornaliero
v [m/min] = velocità di traslazione

F.E.M. definisce 9 CLASSI di paranchi con riferimento al tempo medio di funzionamento giornaliero
(V0,06 - V0,12 - V0,25 - V0,5 – V1 - V2 - V3 – V4 – V5). La classi vanno da un tempo <= 0,12 ore
ad un tempo >= di 16 ore giornaliere di lavoro.

Se l’attrezzatura di sollevamento per i diversi tipi di carico, il secondo fattore critico è il


COEFFICIENTE DI CARICO CUBICO MEDIO, calcolabile attraverso la formula
A differenza del tempo di funzionamento, espresso in ore, il
fattore di carico cubico è un fattore relativo, cioè un numero puro
compreso tra 0 e 1. Il fattore è, infatti, un indice di utilizzazione
relativo alla capacità di sollevamento che ci dice quanto è
utilizzato il paranco rispetto alla sua capacità nominale.
(ad es. il paranco è utilizzato per una capacità inferiore a quella
prevista o per la capacità massima).
A seconda del valore del fattore, le norme individuano 4 tipi di carico:
- k1 ≤ 0,5 → CARICHI LEGGERI (L1) - Sollecitazioni correntemente molto basse, quasi mai
massime.
- 0,5 < k2 ≤ 0,63 → CARICHI MEDI (L2) - Sollecitazioni correntemente basse, spesso massime.
- 0,63 < k3 ≤ 0,80 → CARICHI PESANTI (L3) - Sollecitazioni sovente massime, correntemente
medie.
- 0,8 < k4 ≤ 1 → MOLTO PESANTI (L4) - Sollecitazioni di norma vicino alle massime casi a
seconda del valore del fattore.
Le classi si possono essere identificate in
maniera grafica. Consideriamo un diagramma
che mette in relazione tempo di funzionamento
% e carico % rispetto al carico nominale. Se il paranco viene utilizzato per tutto il tempo con il carico
massimo, il diagramma è tutto pieno. Se il paranco viene utilizzato per il 50% del tempo con il carico
massimo e per il 50% del tempo con il carico medio, il diagramma sarà pieno per metà e parzialmente
riempito per l’altra metà. In pratica è possibile determinare il PROFILO DI CARICO, che è il senso
grafico del fattore k.

Una volta individuato fattore di carico e tempo medio di


funzionamento possiamo individuare la classe di robustezza
dei gruppi meccanici che costituiscono il nostro paranco.
A seconda delle classificazioni (FEM-ISO) le classi sono:
A parità di profilo di carico, all’aumento del tempo di funzionamento corrisponde un aumento della
classe. Le classi sono, invece, costanti in diagonale. Questo vuol dire che la stessa classe corrisponde
ad un tempo di utilizzo molto breve con profili di carico alti ed a tempi di utilizzo più elevati con
profili di carico minore. Nelle tabelle dei fornitori considereremo il
paranco caratterizzato da portata nominale relativa alla nostra massima
esigenza di sollevamento insieme alla classe individuata.
ESEMPIO DI SCELTA E VERIFICA
DI UN PARANCO
Si voglia scegliere un paranco per la movimentazione di batterie di carrelli elevatori aventi peso
unitario di 2.000 kg con una frequenza di 1 cambio/h. La disposizione planimetrica è quella della
figura seguente, in cui si prevede l’utilizzo di un paranco mobile su monorotaia sospesa di lunghezza
pari a 4 m.

DATI DEL PROBLEMA


- Carico da movimentare: 2 tonn
- Corsa salita/discesa del gancio: 1 m
- Tipologia paranco: a fune a 4/2 tiri su rotaia
- Velocità di sollevamento: 4 m/min
- Velocità di traslazione: 8 m/min
- Peso delle attrezzature di sollevamento: 50 kg
- Cicli orari di lavoro per ogni cambio batteria: 4 sollevamento – abbassamento + 2 traslazione = 6
Dalla posizione inizio ciclo il paranco si porta nella posizione carrello. A quel
punto per estrarre la batteria il bozzello con l’attrezzatura scende. Quindi
aggancio e salita. (1° ciclo discesa – arresto – salita). Il paranco trasla verso la
posizione di riposo, effettua la discesa per abbassare il carico, sgancia il carico e effettua la salita
per tornare in riposo. (2° ciclo discesa – arresto – salita). La nuova batteria viene agganciata
(3°ciclo discesa – arresto – salita), trasportata sul carrello e inserita nel carrello (4°ciclo discesa –
arresto – salita). Dobbiamo considerare anche i cicli di traslazione. Per staccare batteria scarica
abbiamo 1° ciclo di traslazione (Traslazione a vuoto – togliamo batteria – Traslazione con batteria
scarica). Per inserire batteria carica abbiamo 2° ciclo di traslazione (Traslazione con batteria
carica – mettiamo batteria – Traslazione a vuoto). Se noi guardiamo l’operazione complessiva di
cambio che avviene in un’ora abbiamo fatto 4 cicli sollevamento e 2 cicli traslazione.
Il paranco, per effettuare le operazioni, effettua una traslazione di 2 m, esattamente la metà della
lunghezza della trave lunga 4m. Questa situazione è casuale. Bisogna fare attenzione al fatto che ai
fini del calcolo del tempo medio di funzionamento dobbiamo sempre considerare L/2, cioè la metà
della lunghezza della trave. Se, in questo caso, la trave fosse stata lunga 5 m, per il tempo medio di
funzionamento avremmo dovuto considerare una traslazione di 2,5 m, nonostante l’indicazione
dell’effettivo spostamento.

Scegliamo la portata nominale del paranco pari a 2.500 [Kg] > della massa da sollevare.
Calcoliamo FATTORE DI CARICO CUBICO “k” e TEMPO DI FUNZIONAMENTO MEDIO “T”
(sollevamento+traslazione).
Fattore di carico cubico:
β1 = Carico utile /Carico Nominale = 2000 [kg]/2500 [kg] = 0,8
γ = Peso Accessori/Carico Nominale = 50 [kg] /2500 [kg] = 0,02
essendo il denominatore lo stesso possiamo considerare:
β1+ γ = (2.000+50) / 2.500 = 0,82

T1 =testrazione (salita+traslazione+discesa) + tinserim.(salita+traslazione+discesa) =


= 2*[Ce/Ve + Ctr/Vtr + Ce/Ve] = 2*[1/4 + 2/8 + 1/4] = 1,5 [min]
Ta = tfunzionamento senza carico (traslazione+discesa+salita + discesa+salita+traslazione) =
= Ctr/Vtr + Ce/Ve + Ce/Ve + Ce/Ve + Ce/Ve + Ctr/Vtr = 2/8 + 1/4 + 1/4 + 1/4 + 1/4 + 2/8 = 1,5 [min]
Ttot = T1 + Ta =3 [min]
t1 = T1/Ttot = tempo di funzionamento del mezzo con il carico / tempo totale di funzionamento
t1 = 1,5/3 = 0,5
ta = Ta/Ttot = tempo di funzionamento del mezzo senza il carico / tempo totale di funzionamento
ta = 1,5/3 = 0,5
Il nostro caso è semplificato perché consideriamo un carico che ha sempre lo stesso peso. La formula
che utilizziamo, dunque, è:
= 0,65
Quindi 0,63 < k ≤ 0,80 → Regime di carico “PESANTE” L3

Calcoliamo il TEMPO MEDIO DI FUNZIONAMENTO GIORNALIERO


- Per le operazioni di SOLLEVAMENTO è: Tm soll = Ce * C/h * Ti / (30 * Ve)
Tm soll = 1[m] * 4 [cicli/h] * 24 [h/giorno] / (30 * 4 [m/min]) = 0,8 [h/giorno]
Nel nostro caso la corsa di sollevamento e discesa è sempre pari ad un [m] e quindi Ce = 1[m]. Se
però le corse effettuate dal paranco non fossero tutte uguali, Ce = media delle corse effettuate.
C/h = 4 [ciclisoll/h] perché in 1h si effettua 1 solo cambio che prevede 4 cicli di sollevamento,
quindi C/h=1[cambio/h]*4 [ciclisoll/cambio]. Se, invece, in 1h si avessero 2 cambi batteria si
avrebbe C/h=2*[cambio/h] * 4 [ciclisoll/cambio] = 8 [ciclisoll/h].

- Per le operazioni di TRASLAZIONE è: Tm trasl = Ctr * C/h * Ti / (30 * Vtr)


Tm trasl = 2 [m] * 2 [ciclitrasl/h] * 24 [h/giorno] / (30 * 8 [m/min]) = 0,4 [h/giorno]
Ctr = L/2 per definizione = 4 / 2 = 2 [m]
C/h = 2 [ciclitrasl/h] perché in 1h si effettua 1 solo cambio che prevede 2 cicli di traslazione, quindi
C/h=1[cambio/h]*2 [ciclitrasl/cambio]. Se, invece, in 1h si avessero 2 cambi batteria si avrebbe
C/h=2*[cambio/h] * 2 [ciclitrasl/cambio] = 8 [ciclitrasl/h].

TEMPO MEDIO FUNZIONAMENTO GIORNALIERO: Tm =Tm soll + Tm trasl


Tm =0,8+0,4=1,2[h/giorno]

Individuiamo la CLASSE FEM grazie alla tabella, entrando con Tm e Classe di carico k. (fig 1 sotto)
Dal catalogo, quindi, si individuano i paranchi disponibili per tipo di classe FEM e per PORTATA
NOMINALE RICHIESTA. Dal catalogo risultano disponibili, per la portata di 2.500 kg e per la classe
1Am, paranchi a 4 e a 2 tiri. (fig 2 sotto)

Tm e Classe di carico k servono anche ad


individuare i LIMITI DI UTILIZZO degli
apparecchi di sollevamento. Il tecnico deve
verificare che quel limite non venga superato.
Superato il limite il mezzo deve essere
revisionato.
Costi di Esercizio del Paranco
Per quanto riguarda i costi fissi, bisogna considerare che, per utilizzare un paranco, non è sufficiente
acquisire soltanto la macchina che effettua il sollevamento. E’ necessario anche considerare la trave
su cui il paranco è fissato o si muove, realizzare la strutture adeguate a sostenere il paranco e il carico
da sollevare. Oltre all’acquisizione del macchinario, quindi, è necessario sostenere costi di
investimento per la realizzazione di tali strutture, da ripartire sugli anni di vita utile del mezzo di
sollevamento. Si tratta, quindi, di costi fissi.
Un costo fondamentale, relativo all’utilizzo del paranco, è quello del personale. Il paranco è purtroppo
un mezzo che richiede l’intervento dell’operatore per le operazioni di movimentazione.
Altra voce di costo molto importante è quella relativa alla manutenzione. Come già detto, le norme
prevedono un numero massimo di cicli o di ore di funzionamento nell’arco di dieci anni. E’ necessario
verificare il raggiungimento del limite oltre il quale bisogna effettuare la revisione del mezzo.
Non bisogna trascurare i costi di consumo energetico del mezzo. Individuata la classe, in base alla
portata, al fattore di carico ed al tempo medio di funzionamento, il catalogo del fornitore indica il
modello che ci interessa, la potenza del motore elettrico di azionamento del paranco e quella del
motore di traslazione. Per valutare il costo annuo di esercizio relativo al consumo energetico
dobbiamo associare il dato relativo alla potenza al tempo di utilizzo del mezzo. E’ chiaro che, per il
calcolo del tempo di utilizzo, ci si riferisce tempo totale di utilizzo che troviamo nel fattore di carico
cubico, che ci indica un tempo effettivo, e non tempo al tempo medio di funzionamento, che è un
dato fittizio. Moltiplicando il tempo effettivo di funzionamento nell’arco di una giornata per le ore di
lavoro al giorno e per i giorni di lavoro all’anno si ottiene tempo annuo di funzionamento.
Moltiplicando quest’ultimo dato per la potenza del motore elettrico si ottiene il valore
dell’assorbimento annuo energetico, espresso in [kWh].
Un costo fondamentale, relativo all’utilizzo del paranco, è quello del personale. Il paranco è purtroppo
un mezzo che richiede l’intervento dell’operatore per le operazioni di movimentazione. Cio significa,
però, che è possibile associare il tempo di funzionamento del paranco, visto precedentemente, al costo
del personale. Il tempo di funzionamento, infatti, deve necessariamente coincidere con il tempo di
presenza dell’operatore. Moltiplicando quest’ultimo dato per il suo costo orario, si ottiene il costo
della manodopera. Questa è, però, una valutazione semplificata. L’operatore, infatti, oltre ad essere
presente anche quando il paranco è in stato di arresto durante i cicli di funzionamento, si occupa del
cambio del carico e di altre operazioni accessorie. Il calcolo effettuato precedentemente ci porta,
quindi, ad un costo minimo.
Costo del personale e di manutenzione vengono, quindi, calcolati come percentuale del costo annuo
di acquisto del mezzo (6-7-10%).
MEZZI PER LA MOVIMENTAZIONE INTERNA
Trasportatori Pneumatici
I trasportatori pneumatici sono un sistema di trasporto continuo che lavora quasi completamente su
materiali sfusi o parti con dimensioni definite.
Il sistema di trasporto pneumatico, sfrutta un principio molto semplice, cioè quello del trascinamento
del materiale mediante una corrente d’aria di sufficiente velocità. Come il sollevatore a tazze, questo
sistema ci permette di spostare materiale sia in verticale che in orizzontale e, quindi, di seguire
percorsi abbastanza complessi.
Il materiale viene movimentato all’interno di tubazioni a sezione circolare mediante una corrente
d’aria di adeguata velocità. Caratteristiche principali di questo sistema di trasporto sono:
- Stato del materiale movimentato –
o SOLIDO (alla rinfusa, in polvere o in grani)
o SOLIDO (forma cilindrica – “BUSSOLOTTI”)
- Funzionamento – CONTINUO
- Energia Motrice – ARIA
- Tipo di Movimento - MEZZO DI SOLLEVAMENTO E TRASPORTO
- Tipo di Comando - SENZA MANOVRATORE – il che rende la gestione economica
dell’impianto molto interessante.
Questo sistema è particolarmente utilizzato per il trasporto di cereali, caffè, cemento, scorie, inerti
come l’argilla, trucioli metallici, scaglie in plastica, sale, sabbia.

I VANTAGGI relativi all’utilizzo di questo sistema sono:


- RIDUZIONE MANODOPERA
- RISPARMIO NELL’ACQUISTO DI MATERIALI (no confezionamento!)
- POSSIBILITÀ DI EFFETTUARE PERCORSI MOLTO COMPLESSI
- POSSIBILITÀ DI SUPERARE DISLIVELLI (sino a 100 m) – questo sistema permette il
trasporto di materiale sia in verticale che in orizzontale.
- SEMPLICITÀ DELL’IMPIANTO – di solito è costituito da una rete di tubazioni metalliche,
generalmente in acciaio, all’interno delle quali si sviluppa una corrente d’aria atta al trasporto del
materiale. Non si tratta di un sistema costoso, a meno che non si debbano trasportare portate molto
elevate di materiale o materiali particolarmente pesanti.
- FACILITÀ DI MONTAGGIO DELL’IMPIANTO
- LIMITATO INGOMBRO DELLE TUBAZIONI
- ISOLAMENTO DEL MATERIALE DALL’ESTERNO
Non si tratta di un sistema costoso, a meno che non si debbano trasportare portate molto elevate di
materiale o materiali particolarmente pesanti.

Gli SVANTAGGI sono invece dovuti a


ELEVATI COSTI DI ESERCIZIO - Per mettere in movimento la massa d’aria sufficiente a realizzare
la portata che vogliamo è necessaria una quantità di energia adeguata. Per darle la giusta velocità per
il trasporto, l’aria deve essere messa in pressione. E’ necessario, quindi, installare compressori d’aria
caratterizzati da assorbimenti di energia molto significativi. Inoltre, dopo aver trasportato il materiale,
è necessario che l’aria esca dalla rete di tubazioni. In uscita dalla rete, quindi, l’ara deve essere filtrata
per 2 motivi:
o deve avere caratteristiche adeguate di compatibilità con l’ambiente
o evitare che, insieme ad essa, si abbia fuoriuscita di materiale.
- DISTANZE LIMITATE PER ALCUNI TIPI DI IMPIANTI
- RISCHIO DI CREAZIONE DI ATMOSFERE POTENZIALMENTE ESPLOSIVE - Alcuni
materiali in polvere, come lo zolfo, ad elevate temperature possono innescare incendi. Tali
problemi possono essere evitati considerando un gas neutro per il trasporto al posto dell’aria.
- INTASAMENTO TUBAZIONI – è necessario, infatti, porre molta attenzione nella fase di
dimensionamento dell’impianto, scegliendo sezioni delle tubazioni e velocità dell’aria che non
consentano al materiale di accumularsi in punti del circuito. E’ altresì necessario tenere sotto
controllo le caratteristiche del materiale da trasportare. Alcuni materiali, ad esempio quelli con
un certo grado di umidità, tendono ad agglomerarsi ed a compattarsi maggiormente rispetto ad
altri, portando al rischio di intasamento delle tubazioni. L’intervento di disostrusione è abbastanza
semplice, ma non deve avvenire con troppa frequenza
- RISCHIO ROTTURA DEI GRANI DEL MATERIALE – gli urti del materiale contro le pareti
delle tubazioni durante il trasporto possono causare la sua disaggregazione. Esso, dunque,
potrebbe presentarsi in uscita con una pezzatura diversa rispetto all’originale. Nel momento in cui
questo effetto dovesse essere intollerabile è necessario studiare opportunamente le dimensioni
delle tubazioni e le velocità affinché tale fenomeno non avvenga.
- ABRASIONE DELLE PARTI INTERNE DEL TRASPORTATORE – sempre dovuta agli urti
del materiale contro le pareti delle tubazioni.

I principali elementi che costituiscono questo sistema di trasporto sono:


1. MACCHINA DI COMPRESSIONE – in genere un compressore centrifugo
2. PUNTO DI IMMISSIONE – in modo da unire il materiale da trasportare al vettore, cioè l’aria.
3. TUBAZIONE –percorsa da aria e materiale
4. PUNTO DI DECANTAZIONE – in cui avviene la separazione dell’aria dal materiale
5. PUNTO DI SCARICO/FILTRAGGIO – punto di uscita del materiale e punto di filtraggio
dell’aria in modo da ridurre perdita di materiale ed impatto ambientale.

Gli elementi principali dell’impianto possono essere disposti in modo diverso all’interno del circuito.
Ciò comporta la definizione di diversi tipi di impianti pneumatici:
- IMPIANTI IN DEPRESSIONE
- IMPIANTI IN PRESSIONE
- IMPIANTI MISTI
La disposizione degli elementi, che porta alla definizione del tipo di impianto, è dovuta a due fattori:
tipo di utilizzo dell’impianto, cioè numero di punti di carico e scarico del sistema, e esigenze di
trasporto, le distanze di trasporto del materiale.
E’ possibile, infatti, considerare un solo punto di carico ed un solo punto di scarico, diversi punti di
carico ed una sola destinazione o diverse origini e diverse destinazioni. Ognuno dei tre sistemi è
idoneo per un determinato tipo di esigenza.

Sistema in Pressione
In un sistema in pressione la centrale di compressione dell’aria è situata a monte del circuito. Il
compressore genera il flusso di aria compressa, imprimendo all’aria velocità e
pressione. Subito a valle del compressore c’è il punto di immissione del
materiale nella rete di tubazioni. Tale sistema è caratterizzato da un solo punto
di carico e uno o più punti di scarico. Generando pressioni elevate (P ≤ 9-
10[bar]) è possibile soddisfare esigenze di trasporto su distanze notevoli (fino
2.000 m). Subito dopo il punto di immissione si sviluppa la tubazione o le
tubazioni, a seconda del numero di destinazioni.
Al termine del percorso, in corrispondenza del punto di scarico troviamo l’elemento di separazione
del materiale dall’aria, cioè il ciclone. In questo elemento l’aria assume un moto circolare riducendo
la propria velocità. Il materiale, quindi, perde l’energia acquisita durante il trasporto e va a depositarsi
sul fondo, cioè in una parte tronco conica che serve a suo accumulo. L’aria, espulsa invece dalla parte
superiore del ciclone, viaggia verso dei filtri, di solito in tessuto, disposti in una camera di filtraggio.
L’aria, attraversando i filtri, deposita sulla superficie esterna di questi ultimi il materiale che non si è
separato nel ciclone. A questo punto l’aria fluisce liberamente nell’atmosfera.
Il problema principale di questo sistema consiste nella difficoltà di immissione di materiale nel
circuito. Considerando il punto di immissione del materiale come una feritoia nella tubazione, l’aria
in pressione tenderebbe naturalmente a fuoriuscire da tale punto, contrastando, di conseguenza
l’inserimento del materiale. E’ necessario, quindi, utilizzare sistemi di immissione del materiale che
contrastino la fuoriuscita dell’aria del serbatoio. Un sistema molto vantaggioso, in quanto
semplicissimo, sfrutta un principio di fisica chiamato Effetto Venturi. Consideriamo una corrente
d’aria all’interno di una tubazione che ha un certo diametro. Essendo la portata uguale a sezione per
velocità, affinché essa rimanga costante, in corrispondenza di un restringimento della sezione si ha
un aumento della velocità. Misurando la pressione, nel punto di sezione minima essa sarà minore di
quella a monte. L’effetto Venturi, quindi, indica che nella strozzatura della tubazione troviamo una
depressione che può assumere valori molto elevati. Montando, sulla sezione più piccola, un serbatoio
che contiene il materiale da trasportare, la depressione può essere tale da
risucchiare il materiale. Quindi, posizionando al di sopra del tratto in cui si
restringe la sezione un serbatoio, il peso stesso del materiale che vi si accumula è sufficiente a
garantire che non ci siano perdite d’aria. La depressione, che si forma nella parte inferiore, risucchia
il materiale, il quale scende ed entra naturalmente nel circuito. Non essendoci parti in movimento che
spingono il materiale all’interno del circuito, tale sistema può essere utilizzato anche per materiali
abrasivi. L’unico limite consiste nel fatto che, per una buona realizzazione dell’effetto Venturi, è
necessario considerare portate di materiale limitate e portate d’aria elevate. Realizzare portate d’aria
elevate significa dover immettere una quantità elevata di energia all’interno del sistema, il che implica
costi di gestione elevati.
L’ugello venturi viene comunque utilizzato per materiali abrasivi con portate abbastanza basse.

Esistono poi sistemi di immissione a tenuta meccanica caratterizzati da parti in


movimento che agiscono meccanicamente sul materiale per portarlo all’interno del
circuito. Consideriamo le valvole rotanti a stella. Si tratta di casse cilindriche,
posizionate sul punto di immissione del materiale. All’interno della cassa,
caratterizzata da un’apertura nella parte superiore ed una nella parte inferiore, troviamo un albero su
cui sono montate delle palette radiali. Le palette sono realizzate in modo da avere il bordo a contatto
con la superficie interna della cassa cilindrica. Mettendo in rotazione l’albero, il materiale, caricato
dall’alto, entra nelle celle che si creano tra le palette, e viene trascinato verso il basso dalle palette
stesse. Le palette sono rivestite con guarnizioni elastiche per 3 motivi:
- limitare l’usura dovuta allo strisciamento dei bordi delle palette contro la superficie cilindrica;
- evitare la fuoriuscita di materiale dalle celle;
- limitare le perdite evitando che l’aria riesca facilmente a refluire verso l’alto.
Questo sistema si utilizza esclusivamente con materiali non abrasivi. Non è possibile l’utilizzo con
materiali abrasivi, perché lo strisciamento tra materiale e componenti meccaniche può portare
all’usura delle parti in contatto tra loro.

Altro sistema per immettere materiale nel circuito in pressione è il famoso


trasportatore a coclea, già visto come trasportatore continuo. Il trasportatore
a coclea è costituito da un albero attorno al quale si avvolge un’elica.
Consideriamo di far coincidere il punto di scarico della coclea con il punto di immissione del sistema
pneumatico. Mettendo in rotazione la coclea, il materiale viene trasportato dal punto di immissione
fino alla tubazione nella quale circola l’aria che è stata messa in pressione. Essendo un sistema
continuo, la coclea ci garantisce una certa continuità di immissione. L’elica della coclea ha il bordo
a contatto con la superficie della cassa cilindrica entro la quale si muove. Se sul dorso dell’elica viene
posto un rivestimento elastico otteniamo un sistema a tenuta che impedisce la fuoriuscita dell’aria in
pressione. Se, inoltre, consideriamo una coclea a passo decrescente, nel movimento si realizza lo
schiacciamento del materiale, il quale tende ad aderire alle pareti della cassa cilindrica e, quindi, a
fare tenuta. Il passo decrescente della coclea, quindi, aiuta ulteriormente a contrastare l’effetto di
ritorno dell’aria in pressione dalla tubazione.

Poi ci sono dei sistemi discontinui a serbatoio. In un serbatoio in cui c’è aria,
inizialmente sconnesso dal sistema di trasporto pneumatico, viene immesso il
materiale da caricare nel circuito. Una volta immesso il materiale, il serbatoio
viene chiuso e viene mandata dell’aria in pressione tale che il contenuto venga miscelato e mandato
in pressione. Nel momento in cui la pressione è al valore giusto, si apre una valvola di scarico e il
materiale viene scaricato nel circuito del trasporto pneumatico. Torniamo indietro. Questo è il
sistema in pressione. Quindi un punto di carico come abbiamo detto e uno o più punti di scarico del
materiale. Se per esempio abbiamo diversi magazzini in cui il materiale viene stoccato noi possiamo
pensare di avere un sistema di trasporto pneumatico in pressione per prelevare il materiale da uno di
questi magazzini, per esempio con il sistema venturi, mettendo il sistema venturi sul fondo di un
serbatoio in cui arriva il materiale, e collegando poi la tubazione a diversi punti di scarico che ci
consentono di trasferirlo su diversi mezzi di trasporto. Possiamo avere diverse postazioni in cui i
mezzi si posizionano. Questi mezzi possono essere caricati dall’alto attraverso le diverse uscite di un
sistema di trasporto pneumatico in pressione. Questo è un esempio in cui vedete il serbatoi di
accumulo del grano, lo scarico dalla parte bassa con un sistema a cella rotante o venturi, l’immissione
nella tubazione in pressione, poi al di sopra di ogni mezzo di trasporto un sistema di separazione a
ciclone, e poi il filtro per l’aria che ha ormai abbandonato il materiale.

Sistema in depressione
Il sistema in depressione è utilizzato nel momento in cui si hanno più punti di origine e una sola
destinazione. Il principio di funzionamento è quello dell’aspirapolvere. In
questi sistemi il compressore o l’elemento che crea il flusso d’aria è sempre
posizionato nel punto finale del circuito, a valle anche del sistema di
filtraggio. Il sistema in depressione sfrutta l’effetto di depressione in
aspirazione. Per questo motivo la rete di tubazioni viene collegata al
compressore dal lato in cui quest’ultimo aspira l’aria. In questo sistema
l’immissione del materiale è molto più semplice. In questo caso, infatti, l’aria
viene naturalmente attratta nel circuito. Il materiale, dunque, verrà assorbito
automaticamente attraverso il punto di immissione. Quindi basta avere un’apertura nel punto in cui
voglio caricare il materiale. Per realizzare l’immissione del materiale si utilizzano dei terminali, simili
a tubi flessibili. Una estremità del terminale è collegata alla tubazione di acciaio mentre l’altra è aperta
ed è atta all’aspirazione del materiale. Nel momento in cui la bocca del terminale viene calata nel
mucchio di materiale, potrebbe verificarsi un intasamento a causa della resistenza all’aria dovuta al
materiale stesso. Questo rischio è scongiurato grazie all’utilizzo di SUCCHIERUOLE A DOPPIO
CORPO, così chiamate perché formate da due pareti cilindriche concentriche. In quella interna si
realizza il flusso di materiale. Tra i due tubi si realizza, invece, il passaggio di aria, la quale giunge
da un punto superiore rispetto al mucchio di materiale. L’aria penetra dall’alto nell’intercapedine
esistente tra un cilindro e l’altro, scende ed entra nel cilindro interno dalla parte più
bassa e attraverso diverse feritoie presenti sulle pareti dello stesso. Questo flusso
d’aria crea una corrente continua e, di conseguenza l’aspirazione del materiale,
evitando gli intasamenti. Regolando il flusso dell’aria, attraverso apposite valvole,
possiamo avere una maggiore o minore aspirazione.
Una volta aspirata, la miscela di materiale e aria percorre le tubazioni e arriva nel ciclone. Qui il
materiale scende verso il basso, mentre l’aria perde velocità e prosegue il suo percorso attraverso il
filtraggio.
Pur essendo un impianto molto comodo per l’immissione del materiale, il limite di questo impianto è
la distanza di trasporto che è possibile coprire. Mentre con l’impianto in pressione noi possiamo
installare compressori che ci danno pressioni molto elevate in modo da vincere le varie resistenza e
percorrere distanze notevoli, il sistema in depressione è caratterizzato dal limite costituito dalla
depressione massima, cioè 0 bar. Tale limite consente di percorre distanze limitate.

Impianti misti
Gli impianti misti sono una combinazione degli impianti precedenti. Essi permettono di effettuare il
prelievo di materiale da più punti, tipico degli impianti in depressione, e lo scarico dello stesso in più
destinazioni, tipico degli impianti in pressione. Permettono, quindi, di sfruttare la comodità
dell’aspirazione e il vantaggio delle lunghe distanze di trasporto. Negli impianti misti il compressore
è posto nella parte centrale dell’impianto. E’ chiaro che il ramo di aspirazione è in depressione, in
modo che si possa aspirare il materiale da più punti attraverso il terminale di aspirazione, mentre il
ramo di mandata, che raggiunge le diverse destinazioni, è in pressione.
Con questo schema di impianto il materiale dovrebbe attraversare il compressore. Questa è una
situazione che nella realtà esiste. Si possono, però creare dei problemi dovuti a due fattori:
1) Il compressore in esame è un compressore centrifugo che ha una girante con palette caratterizzate
da determinati profili. Il materiale può dunque passare attraverso la macchina se ha pezzatura
compatibile con i canali del compressore centrifugo. Se la pezzatura è incompatibile si andrebbe
incontro a vari problemi.
2) Il passaggio del materiale attraverso il compressore comporta urti violenti e, di conseguenza, il
deterioramento sia della macchina che del materiale.

Esiste però una soluzione che evita il passaggio del


materiale attraverso la macchina. Nel ramo in depressione,
prima del compressore, si inserisce un ciclone, che separa
il materiale dall’aria. Il compressore, quindi, aspira l’aria direttamente dal ciclone. Un sistema
adeguato (una rotocella o un sistema venturi) posizionato sotto il separatore immette il materiale a
valle del compressore, nel tratto in pressione. In questo modo si evita che il materiale passi attraverso
il compressore, soprattutto nei casi in cui la sua pezzatura risulti incompatibile con la macchina.

Scelta del trasportatore pneumatico


Le domande da porsi, tipiche della logistica in riferimento ai sistemi continui, sono
- CARATTERISTICHE MATERIALE TRASPORTATO
o Dimensione grani: d – questa domanda viene posta perché oltre una certa granulometria ci
possono essere dei problemi.
o Peso specifico apparente del materiale: γm
- PORTATA RICHIESTA: Q – non è espressa in termini di peso del carico da sollevare, come nel
caso del paranco, ma in termini di flusso, quindi i [kg/s] [kg/h] o [tonn/h].
- LAYOUT DEL CIRCUITO - lo spostamento del materiale avviene secondo percorsi
ingarbugliatissimi con traiettorie estremamente complesse. Abbiamo tratti in orizzontale e tratti
in verticale.
Per realizzare il trasporto è necessario tener conto dei numerosi elementi in gioco. In una tubazione
orizzontale, in cui si tenta di spostare il materiale attraverso la forza dell’aria, la forza peso del
materiale è fondamentale. In una tubazione orizzontale, infatti, la forza peso tende a far accumulare
il materiale nella parte più bassa, creando degli strati.
Per quanto riguarda il principio di funzionamento, è necessario partire dal concetto che la forza agente
su un elemento contrapposto ad una corrente d’aria dipende dalla densità dell’aria, dalla superficie
che si oppone ortogonalmente al flusso dell’aria e dal quadrato della velocità relativa tra gli oggetti.
Questo semplice principio si applica anche nel trasporto pneumatico. L’aria ha un densità ben precisa.
Per quanto riguarda la velocità relativa tra gli oggetti, il materiale immesso nel circuito ha velocità
zero. Quindi, in questo trasporto la velocità dell’aria gioca un ruolo fondamentale. Il flusso di
materiale all’interno della tubazione dipende estremamente dalla velocità dell’aria e, quindi, dalla
forza con cui può essere trascinato.
Il grafico mostra che nelle tubazioni si possono determinare 3
situazioni a seconda dei valori di pressione e velocità dell’aria:
Trasporto in fase fluida, trasporto in fase densa e trasporto in fase
mista.
Nel trasporto in fase fluida, che avviene con velocità dell’aria molto elevata, le particelle di materiale
sono in vera e propria sospensione. Dunque non si creano accumuli o ristagni di materiale.
Nel trasporto in fase densa, che si realizza con velocità piuttosto basse, il materiale si sposta in modo
compattato o comunque addensato. Quando il materiale riempie completamente la tubazione e viene
spostato in blocco in avanti si può avere il cosiddetto trasporti a tappi. Il rischio Con una fase densa
di questo tipo vi è il rischio di frequenti intasamenti.
E’ ovvio, quindi, che si cerchi di lavorare con una fase fluida e con una velocità del gas piuttosto alta
in modo tale che il materiale sia sempre in sospensione.

Un fattore importante nella scelta è rappresentato dal cosiddetto RAPPORTO ARIA/MATERIALE,


cioè il rapporto portata volumetrica dell’aria / portata in massa del materiale. Questo valore è un
valore che dettato dall’esperienza di gestione di questi impianti che ci aiuta per effettuare la scelta.
Uno dei problemi principali di questi impianti è il consumo di energia. Il consumo di energia dipende
dalla potenza elettrica assorbita dal motore che fa funzionare il compressore. Il compressore ha il
compito di comprimere l’aria in modo da imprimerle la velocità necessaria al trasporto e la pressione
necessaria per vincere le perdite di carico.
Attraverso la portata d’aria è possibile conoscere le perdite di energia durante il tragitto e, di
conseguenza, la potenza. Supponiamo di aver scelto la tipologia di impianto pneumatico da realizzare
(in pressione/in depressione/misto). Sulla base della tipologia di impianto, una tabella indica, in
relazione al peso specifico del materiale da trasportare, la velocità dell’aria
necessaria ad effettuare il trasporto nonché il rapporto aria/materiale.
Conoscendo il rapporto aria/materiale e la portata di materiale che si vuole
realizzare, è possibile ricavare la portata di aria. Dato che la portata è il
prodotto di una sezione per una velocità, conoscendo la portata e la velocità
dell’aria è possibile ricavare la sezione e, di conseguenza, il diametro della
tubazione dell’impianto. In questo modo è possibile orientarsi nella scelta
di un sistema di trasporto di questo tipo.
Esistono, inoltre, diverse relazioni per il calcolo delle velocità che è opportuno usare per un
determinato materiale. La velocità suggerita per il trasporto è sempre proporzionale al peso specifico
del materiale. Maggiore è il peso specifico del materiale, maggiore sarà la velocità da imprimere
all’aria per effettuare trasporto.
Una volta calcolati gli elementi precedenti possiamo procedere con il calcolo delle perdite di energia
che determinano la potenza elettrica del sistema di compressione ed i conseguenti costi di energia del
sistema.
I fattori che concorrono alla generazione delle resistenze nel circuito sono 2: fattori legati al percorso
compiuto dall’aria e fattori legati al materiale che deve essere trasportato.
Per quanto riguarda l’aria 7 voci di perdite, cioè 7 voci di resistenza da vincere attraverso l‘energia
da fornire all’aria:
- Resistenza di avviamento del flusso (h1a)
- Resistenza dovuta all’ingresso del flusso d’aria nel circuito (h2a)
- Attrito nei condotti (h3a) – cioè l’attrito che si sviluppa tra aria e tubazione, dette anche perdite
distribuite. Esse sono direttamente proporzionali al quadrato della velocità e inversamente
proporzionali al diametro delle tubazioni. Maggiore è, infatti, il diametro, minori sono gli attriti.
Se si mantiene la velocità costante, all’aumento del diametro corrisponde una riduzione delle
perdite di carico e, quindi, una riduzione dell’energia che è necessario assorbire. Una tubazione
di grande diametro ha, però, un costo elevato.
- Dislivelli (h4a)
- Perdite localizzate (h5a) - perdite di attrito dovute a raccordi, valvole, innesti, curve, in cui si
realizza perdita di pressione. Questi punti vengono resi equivalenti ad un tratto di tubazione
rettilineo fittizio.
- Ciclone (h6a)
- Filtro (h7a)
Tutte queste perdite sono principalmente legate alla velocità dell’aria. Maggiore è l velocità dell’aria
maggiori sono le perdite.
Si consideri che HTOTa = h1a + h2a + h3a + h4a + h5a + h6a + h7a

Le perdite dovute al materiale sono sostanzialmente le stesse, fatta eccezione per le ultime due. Il
materiale, arrivato al ciclone viene separato dall’aria. Quindi non subisce la resistenza dovuta alla
presenza del ciclone e del filtro.
- Energia di avviamento (h1m) - Quando il sistema si ferma, il materiale si accumula nelle tubazioni.
Per rimettere il sistema in funzione, dobbiamo risollevare il materiale accumulato in modo da
rimetterlo in movimento. L’aspetto dell’avviamento è, dunque, molto importante.
- Ingresso nel circuito (h2m)
- Attrito nei condotti (h3m) – molto importante, in questo caso, è l’angolo di scorrimento.
Immaginiamo di posizionare il materiale su un piano. L’angolo di scorrimento è quello minimo
che il piano realizza con l’asse orizzontale, in corrispondenza del quale il materiale comincia a
scorrere su di esso. Tale angolo influisce sulla resistenza nelle tubazioni.
- Dislivelli (h4m)
- Perdite localizzate (h5m)
Si consideri che HTOTm = h1m + h2m + h3m + h4m + h5m
Sommando tutti questi elementi abbiamo la perdita di carico totale, espressa come pressione.
HTOT = HTOTm + HTOTa [kg/m2]
Le perdite, moltiplicate per la portata d’aria [m3/s] e divise per il rendimento (meccanico ed elettrico
del compressore), ci portano alla potenza da assorbire dalla rete per tenere in funzione l’impianto.
P = Qa * HTOT / η [kg*m/s].

Supponiamo che il sistema sia in funzionamento continuo (24 h/g per 365 g/anno). Moltiplicando il
tempo di funzionamento per la potenza otteniamo la potenza annua richiesta dal sistema, da esprimere
in [kWh/anno].
Moltiplicando il costo di ogni kWh (25 cent) per la potenza annua, otteniamo il costo dell’energia,
cioè la principale voce di costo.
Altre voci di costo sono gli investimenti e la manutenzione.
La manutenzione è dovuta all’abrasione. Nel trasporto il materiale urta sulla
superficie, si accumula sulla parte esterna e, quindi, si realizzano le
abrasioni. Per evitare questo fenomeno si utilizzano raggi di curvatura
molto grandi in modo che la curva effettuata dal materiale sia graduale. In
questo modo si evita che il materiale vada a corrodere la tubazione per azione meccanica.

Potrebbero piacerti anche