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Definizione di logistica
Pur riferendosi, in origine, al trasferimento di mezzi, uomini e risorse durante le campagne militari,
il termine logistica è stato, in seguito, applicato ai sistemi industriali e produttivi. I due settori, militare
e industriale, presentano analogie quali:
- Crucialità della combinazione tra uomini e mezzi. La produttività dei processi tende sempre più
a dipendere dalla dotazione di mezzi e non dal semplice impiego di uomini.
- Il lavoro su grandi masse e gli elementi di diversificazione delle risorse e dei fronti operativi. Ciò
presuppone strumenti che consistono in mezzi informativi di elevata potenza, in reti di
movimentazione e di stoccaggio molto estese, in modalità di calcolo abbastanza complesse per
ottimizzare l’efficienza delle varie mosse su tutto l’arco delle risorse.
- La capacità di reazione. La situazione di concorrenza oligopolistica è molto simile alla situazione
di confronto tra avversari militari. In entrambi i casi è necessario avere una mobilità sufficiente a
concentrare masse adeguate di risorse in tempi brevi su pochi punti di attacco, e a rivedere
prontamente i propri piani di impiego delle risorse in risposta a iniziative avversarie.
In ogni caso, nel campo della gestione d’impresa, definiamo funzione logistica il governo del sistema
dei flussi di materiali, che l’impresa organizza a partire da un insieme di fonti, attraverso processi che
impiegano risorse, fino a collocare i prodotti in una serie di canali di bocco. La logistica, quindi,
all’interno di un sistema produttivo gestisce il flusso di materiali dall’inizio alla fine delle
trasformazioni produttive subite dai materiali stessi.
Consideriamo ora un sistema produttivo e valutiamone lo SCHEMA GENERALE DELLA CATENA
LOGISTICA.
Esso è caratterizzato da un ingresso, una parte
interna e una uscita. A monte, la fabbrica
riceve materie prime dai fornitori, i quali
costituiscono sistemi esterni al nostro. Il nostro
sistema, infatti, ha inizio con il reparto approvvigionamento e stoccaggio delle materie prime o
semilavorati. A questo punto abbiamo reparto produzione in cui i materiali vengono sottoposti ai
processi di trasformazione. Infine abbiamo lo stoccaggio dei prodotti lavorati che costituisce il limite
a valle del sistema di produzione prima del mercato. Si sviluppa, quindi, un ciclo produttivo composto
da un flusso materiale e un flusso informativo. Quest’ultimo è fondamentale per la movimentazione
dei materiali.
La logistica, quindi, non si occupa esclusivamente delle operazioni fisiche di spostamento ma anche
di operazioni immateriali quali, ad esempio, programmazione della produzione, pianificazione
acquisti, pianificazione vendite, ecc. Nell’ambito della logistica dei sistemi produttivi, quindi, è
possibile distinguere le tre fasi di approvvigionamento a monte, di produzione, e di distribuzione dei
prodotti realizzati a valle.
In quest’ottica possiamo definire la logistica come la disciplina che tratta in maniera organica e
sistematica la gestione integrata dell’intero ciclo operativo dell’azienda, industriale o del terziario.
Tratta, dunque, la gestione dei materiali (approvvigionamento materie prime e componenti), la
gestione della produzione (programmazione, fabbricazione, assemblaggio e controllo), la gestione
della distribuzione fisica dei prodotti finiti (movimentazione, stoccaggio, trasporto, imballo,
ricezione, spedizione, assistenza post-vendita ai clienti). L’obiettivo fondamentale è garantire un
elevato livello di servizio ai clienti, fornendo prodotti di alta qualità, con rapidi tempi di risposta e a
costi contenuti.
Quando, come nel primo caso, l’analisi converge su un’unica ubicazione, la scelta della soluzione più
conveniente è semplice. A quel punto si entrerà più nel dettaglio della soluzione scelta individuando
la micro-area più conveniente in cui posizionarsi.
Quando, come nel secondo caso, l’analisi non converge su un’unica ubicazione, è necessaria una
valutazione di dettaglio con attualizzazione dei flussi di cassa e studio dei piani di ammortamento
pluriennali.
Il metodo ci consente di ottenere una soluzione teorica. Il triangolo deve essere posizionato su una
mappa per capire dove si trova fisicamente il punto P. E’ possibile che il risultato ottenuto tramite
l’applicazione del metodo corrisponderà ad una soluzione non praticabile (ad esempio il punto si
trova in cima ad una montagna). E’ necessario, quindi, considerare il posizionamento rispetto alle vie
di comunicazione, disponibilità di suoli edificabili, disponibilità di energia elettrica ecc.
A questo punto bisogna sviluppare l’analisi considerando le economie derivanti
da fattori diversi (costo del lavoro, altre economie territoriali). Tali valutazioni
aggiuntive possono essere svolte costruendo “linee di isocosto”
(“ISODAPANE”) che uniscono i punti geografici per i quali si registrano
identici incrementi di costo logistico rispetto alla localizzazione ottimale (P).
Ne risulta la descrizione grafica di come i costi unitari di trasferimento
crescono quando ci si allontana dall’ottimo P. E’ possibile, però, che in un punto del territorio diverso
da P esistano economie di altro genere (costo del lavoro, economie di scala, ecc.) che compensano o
superano l’aumento dei costi di trasferimento. Bisogna, quindi, considerare un eventuale
posizionamento in quel punto diverso da quello ottimale trovato attraverso il metodo. L’isodapana
critica è quella che seleziona l’area entro la quale il risparmio nei costi di esercizio è conseguito
attraverso lo spostamento dall’area di localizzazione dell’ottimo P individuata attraverso il metodo
logistico.
La Logistica Esterna
La logistica esterna ha come obiettivo la gestione ottimale degli approvvigionamenti e della
distribuzione, cioè dei flussi di materiali dai fornitori allo stabilimento e da quest’ultimo ai clienti.
Le problematiche logistiche degli approvvigionamenti e della distribuzione non sempre coincidono.
Infatti, la rete logistica relativa agli approvvigionamenti di materie prima è più semplice dal punto di
vista gestionale rispetto alla rete logistica della distribuzione. Ciò è dovuto al fatto che, di solito i
mercati di sbocco dei prodotti sono più numerosi e geograficamente più diffusi rispetto ai punti di
origine delle materie prime. Nonostante una diversa articolazione nell’organizzazione, gli strumenti,
le risorse ed i mezzi utilizzati sono sostanzialmente gli stessi in entrambi i casi.
A seconda della distanza tra stabilimento di produzione e
cliente finale abbiamo diverse soluzioni:
- Vendita diretta al pubblico;
- Vendita al dettaglio dei prodotti nei negozi.
A seconda della distanza tra punto di arrivo e punto di
partenza, i negozi possono ricevere la merce:
- Direttamente dallo stabilimento;
- Da uno o più grossisti – elemento intermedio tra
produttore e dettagliante che distribuisce i prodotti in una
certa area.
La rete distributiva si presenta strutturalmente differente da
quella di approvvigionamento. Ad esclusione di quelle che eseguono attività di assemblaggio (aziende
elettroniche – automobilistiche), in genere le aziende produttrici realizzano il prodotto a partire da
una gamma abbastanza ristretta di materie prime. Ciò implica un legame diretto tra fornitore/i di
materie prime e lo stabilimento o la presenza di un intermediario (grossista) tra i due soggetti.
Quest’ultimo, che cura le relazioni commerciali tra stabilimento e fonti di materie prime, viene preso
in considerazione nel momento in cui la distanza tra loro dovesse essere eccessiva.
Sia a valle che a monte, al posto dell’intermediario commerciale fisico è possibile considerare
l’agente intermediario, il quale non detiene fisicamente i materiali ma aiuta a creare rapporti di
fornitura.
Unità di carico
L’unità di carico è l’elemento fisico minimo oggetto del trasporto ed utilizzabile per la
movimentazione di una merce. Trattasi di mezzi atti a semplificare il carico e lo scarico delle merci
dai mezzi di trasporto. Nella realtà, viene considerata unità di carico il mezzo completo della merce,
oggetto della movimentazione, sistemata sul mezzo stesso (quindi il pallet da solo non è unità di
carico, il pallet + merce sistemata sul pallet è unità di carico). L’unità di carico è, dunque, un
raggruppamento di materiali disposto in modo da poter essere movimentato e trasportato mediante
mezzi di trasporto meccanici.
In teoria esistono infiniti tipi di unità di carico (U.d.C.), che rispondono a svariate esigenze di
movimentazione e confezionamento dei prodotti. Nella realtà, però, le U.d.C. effettivamente utilizzate
sono poche. Esse sono:
- PALLET – piattaforma d’appoggio sopraelevata per facilitare il sollevamento e l’impilamento
delle merci, le quali solitamente sono confezionate in colli. Può
essere in legno, plastica, metallo o cartone.
Il pallet può essere reversibile o non reversibile. Il pallet non
reversibile è costituito da tavole di legno fissate su tasselli. Il
piano superiore è l’unico utilizzabile per il carico della merce. In
caso di sovrapposizione di più pallet, il pallet non reversibile
presenta problemi di instabilità dovuti all’assenza di un piano
nella parte inferiore. Ciò dipende molto anche dalla continuità o
meno della superficie superiore dell’U.d.C. su cui sovrapporre i
pallet. In un pallet reversibile, invece, entrambe le facce sono
utilizzabili per il carico della merce. Si ha, di conseguenza, una
maggiore stabilità in caso di sovrapposizione di più pallet. Ovviamente il costo dei due tipi di
pallet è differente.
Il pallet può essere a 2 o a 4 vie a seconda del numero di lati da cui può essere afferrato per la
movimentazione. Quello a 4 vie consente di ridurre i tempi di posizionamento dei mezzi rispetto
al pallet per effettuare la movimentazione.
I pallet possono essere di differenti dimensioni. Quello maggiormente utilizzato è
l’EUROPALLET, pedana di forma rettangolare, di dimensioni 800 x 1200 mm, che ha
caratteristiche standard a livello internazionale. Essi sono movimentati
tramite carrelli elevatori.
- CASSA MOBILE – è un’U.d.C. per il trasporto merce non rinforzata particolarmente utilizzata
nel trasporto combinato strada-ferrovia e che può trovare, quindi, posto sul
pianale di carro ferroviario, di un autocarro o di un semirimorchio.
Caratteristica principale della cassa mobile è la leggerezza e l’assenza di
pareti rigide. Queste ultime sono costituite da teli. Ciò consente
un’agevole operazione di carico e scarico delle merci. A differenza del container, la cassa mobile
permette di lavorare su tutti i lati. La leggerezza della struttura implica che le casse mobili sono
sovrapponibili solo quando vuote. Se piene, invece, non sono assolutamente sovrapponibili.
In definitiva, la cassa mobile ha una minore tara e maggiore facilità di carico/scarico rispetto ad
un contenitore a scapito dell’impilabilità. Quest’ultima è necessaria nel trasporto via mare, ma
non nel trasporto combinato strada-ferrovia per ragioni di sagoma ammissibile sulle linee
ferroviarie. Questo significa che le casse mobili non sono mai utilizzate nel trasporto via mare e
frequentemente utilizzate nel trasporto stradale e ferroviario.
L’altezza della cassa mobile è indicativa ed è determinata dalla SAGOMA
LIMITE della linea ferroviaria da percorrere e dal tipo di carro ferroviario su
cui viene posizionata. La sagoma limite è la figure entro la quale deve essere
contenuta la sezione trasversale di un veicolo. Esse variano al variare della
linea ferroviaria considerata.
Essendo caratterizzate da maggiore larghezza interna, le casse mobili hanno il
vantaggio, rispetto ai contenitori, di una migliore utilizzazione dello spazio
interno se riempite con europallet (800x1200).
Altro vantaggio della cassa mobile è la presenta, nei modelli corti, di supporti
di stazionamento grazie ai quali può essere svincolata dal veicolo senza
l’utilizzo di un’unità di movimentazione. Ciò è possibile se il veicolo è
dotato di sospensioni pneumatiche che permettono l’abbassamento e
l’innalzamento dello stesso in fase di manovra.
Le casse mobili sono munite solo nella parte inferiore dei 4 blocchi d’angolo
per il fissaggio sui carri ferroviari e sui pianali dei veicoli stradali. Di
conseguenza non possono essere prese dall’alto. La movimentazione di queste
U.d.C. avviene effettuata verticalmente attraverso un sistema di pinze con
prese dal basso dette “piggy back”. E’ possibile utilizzare spreader con doppia
funzione in modo da poter essere utilizzate sia per la movimentazione dei
container sia per quella delle casse mobili.
Esistono casse mobili rigide atte a particolari utilizzi (es. compattazione
dei rifiuti). La differenza con la cassa precedente consiste nel sistema di
aggancio al mezzo. L’incarramento, cioè l’azione attraverso cui la cassa
mobile viene portata sul veicolo, avviene grazie all’ausilio di un braccio
meccanico, azionato idraulicamente, avente un gancio all’estremità, il quale si collega ad una
barra appartenente alla cassa stessa. Una volta posizionata sul mezzo, la cassa viene bloccata
tramite ganci che la stringono in modo da evitare i rischi di spostamento o sgancio. Tale U.d.C. è
provvista di un’apertura all’estremità che permette il carico e lo scarico (per gravità) della merce.
- SEMIRIMORCHIO
- AUTOARTICOLATO
Semirimorchi, Autoarticolati e autotreni possono essere utilizzati come U.d.C. Essi, però, sono
sostanzialmente delle unità di trasporto.
Il Trasporto Intermodale
Si è definito il trasporto Combinato come il trasporto effettuato con una combinazione di U.d.T.
Stradale e Ferroviario. Il trasporto Combinato è un sottoinsieme del Trasporto Intermodale.
Quest’ultimo è, a sua volta, un sottoinsieme del Trasporto Multimodale.
A differenza del trasporto Intermodale, in quello Multimodale è possibile
utilizzare svariate U.d.C., non necessariamente standardizzate.
Il trasporto INTERMODALE è dato dalla combinazione ottimale dei vari
modi di trasporto nella catena del viaggio fra l’origine e la destinazione. L’obiettivo è quello di
utilizzare ciascuna modalità per quel segmento di domanda in cui essa è preferibile rispetto alle altre
dal punto vista tecnico-trasportistico (integrità della merce trasportata, capacità di carico, ecc.),
economico, energetico e ambientale. Proprio la questione ambientale, attualmente di particolare
rilevanza, ha portato ad una spinta verso l’utilizzo del trasporto Intermodale. Rispetto al trasporto
stradale, infatti, quello intermodale genera un bilancio ambientale più positivo, grazie al
coinvolgimento di sistemi di trasporto a basso impatto ambientale.
Gli SVANTAGGI del trasporto Intermodale sono legati a:
- AUMENTO DEL COSTO DI TRASPORTO DOVUTO AI TRASBORDI DELLE UNITA’ DI
CARICO – è necessario considerare i tempi aggiuntivi relativi ai trasferimenti dell’unità di carico
da un sistema all’altro. E’ chiaro che ciò ha influenza sul costo del trasporto.
- MINORE AFFIDABILITA’ E SICUREZZA PER IL CARICO a causa dei trasbordi – ciò
riguarda sia l’integrità delle merci, che possono essere danneggiate durante i trasbordi, sia
l’eventuale sottrazione della merce da parte del personale addetto al trasbordo. Maggiore è il
numero degli operatori coinvolti nel trasporto, maggiori saranno le difficoltà di risalire ai
responsabili di eventuali sottrazioni.
- AUMENTO DEL TEMPO DI VIAGGIO - un sistema può essere più lento rispetto ad un altro
sia per la velocità di marcia del mezzo sia per i rallentamenti dovuti ai fermi durante il percorso.
I VANTAGGI, legati alle principali FINALITA’ del trasporto Intermodale, sono legati a:
- DIMINUZIONE DEI COSTI DI TRASPORTO attraverso lo sfruttamento di ECONOMIE DI
SCALA DI ALCUNI MODI O MEZZI DI TRASPORTO - l’utilizzazione di sistemi di trasporto
ferroviario o marittimo a corto raggio permettono lo sfruttamento di economie di scala dei modi
di trasporto. Rispetto al trasporto su strada, infatti, il trasporto ferroviario/navale permette lo
spostamento di un quantitativo maggiore di U.d.C. Si verifica, di conseguenza, una diminuzione
del costo di spostamento di un’U.d.C. per unità di lunghezza dello spostamento, in quanto il costo
viene suddiviso su un numero maggiore di U.d.C. relative a diversi operatori aventi le stesse
esigenze.
L’interesse per un determinato sistema di trasporto, inoltre, può variare anche in relazione al
mezzo di trasporto di quel sistema. Nell’ambito del sistema navale, ad esempio, è possibile
considerare convenienze diverse a seconda della nave utilizzata per effettuare lo spostamento.
Colui che, all’interno dell’azienda, si occupa del trasporto merci guarderà prevalentemente
l’aspetto della riduzione del costo specifico di trasporto ai fini della gestione dello spostamento
delle merci.
- DIMINUZIONE DEI COSTI ESTERNI DEI TRASPORTI – I costi esterni dei trasporti sono
costi relativi all’inquinamento, all’incidentalità, alla sottrazione del suolo ad usi alternativi. Tali
costi non sono considerati dalla singola azienda che effettua il trasporto merci ma dalle istituzioni,
le quali prendono decisioni riguardo la regolamentazione dei trasporti a livello nazionale o
internazionale. La riduzione dei Costi Esterni dei trasporti avviene attraverso il RIEQUILIBRIO
MODALE, cioè la diminuzione della aliquota di trasporto merci su strada. Le modalità di
trasporto ad economie di scala rispetto al mezzo di trasporto sono, infatti, caratterizzate da un
consumo energetico e da una incidentalità minore rispetto al sistema stradale.
Intermodalità Economica
La convenienza economica del trasporto intermodale rispetto a quello monomodale si evince
facilmente grazie all’utilizzo di un metodo grafico.
Consideriamo un’azienda che deve decidere se utilizzare un trasporto solo su strada, chiamato
trasporto “Tuttostrada”, o un sistema di trasporto combinato del tipo strada-ferrovia. Tale trasporto
viene organizzato facendo ricorso ad una società esterna specializzata in logistica stradale.
Consideriamo, quindi, un grafico che mette in relazione i costi del trasporto, espressi in euro, e il
viaggio, cioè la distanza tra punto di partenza (Origine) e punto di arrivo della merce (Destinazione).
La Destinazione delle merci, indicata dal punto D, si trovi ad una distanza d dal punto di partenza
delle merci, che corrisponde all’Origine degli assi. Avremo, quindi, la distanza d(OD).
Quantifichiamo, innanzitutto, l’importo che sarà speso per il trasporto di una U.d.C. ben definita (ad
esempio un container da 20 piedi) con il sistema stradale.
Si avrà una tariffa di trasporto unitaria relativa alla particolare U.d.C. da trasportare, detta COSTO
UNITARIO DI TRASPORTO SU STRADA (Cus = [€/km]). La tariffa è espressa in €/km e non è
riferita alla massa da trasportare in quanto si riferisce ad un mezzo la cui portata utile è compatibile
con le dimensioni dell’unità di carico già definita che deve essere trasportata. Il trasporto del container
da 20 piedi, ad esempio, può avvenire solo con un autoarticolato, il quale è caratterizzato da una
determinata tariffa di trasporto unitaria. Il contenuto in massa del container da 20 piedi non è
importante ai fini della definizione della tariffa di trasporto. Ciò che è importante è che il contenuto
in massa sia minore o uguale alla capacità massima del container stesso.
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO SU STRADA per portare l’unità
di carico dall’origine alla destinazione ha un andamento lineare ed è dato
da: Cts = Cus * d(OD) = [€/km] * [km] = [€].
Coefficiente angolare della retta è proprio il Cus.
Consideriamo ora la possibilità combinare i modi di trasporto stradale e ferroviario effettuando, tra
l’origine e la destinazione, il trasferimento dell’unità di carico dall’unità stradale a quella ferroviaria
e viceversa. Tale trasferimento è chiamato TRASBORDO dell’unità di carico. Il trasbordo viene
effettuato in enormi strutture chiamate INTERPORTI. Essi sono dotati di attrezzature e servizi
adeguati all’attività da svolgere, oltre a uffici doganali, aree riservate alla manutenzione dei mezzi,
alberghi per i conducenti dei mezzi, ecc.
Immaginiamo, quindi, che il primo Interporto si trovi in corrispondenza del punto A e, quindi, ad una
distanza d(OA) dall’Origine. Si ha, quindi: Cts (OA) = Cus * d(OA).
L’attività di trasbordo dell’unità di carico da un sistema all’altro ha un
costo, che prende il nome di COSTO DI TRASBORDO (Ct). Esso va a
sommarsi al Costo di Trasporto su Strada sostenuto per trasportare l’unità
di carico dall’origine al primo Interporto. A trasbordo effettuato, in
corrispondenza del punto A si sostiene un costo pari a: Cts (OA) + Ct.
Una volta effettuato il trasbordo, il trasporto dell’U.d.C. fino al secondo Interporto, sito il più vicino
possibile alla Destinazione, avviene con il sistema ferroviario. Si ha, quindi, una nuova tariffa di
trasporto unitaria relativo alla particolare U.d.C. da trasportare, che prende il nome di COSTO
UNITARIO DI TRASPORTO SU FERROVIA (Cuf = [€/km]).
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO SU FERROVIA per portare l’U.d.C. dal primo interporto,
sito in corrispondenza del punto A, al secondo interporto, sito in corrispondenza del punto B, ha un
andamento lineare ed è dato da: Ctf = Cuf * d(AB) = [€/km] * [km] = [€].
Coefficiente angolare della retta è Cuf. Dato che il sistema ferroviario
presenta economie di scala ed è caratterizzato da consumi energetici
inferiori rispetto a quello stradale, si ha che Cuf < Cus. Ciò significa che
la retta che caratterizza il trasporto ferroviario è caratterizzata da una
pendenza minore rispetto a quella che caratterizza il trasporto stradale.
Nel secondo interporto avviene una seconda attività di trasbordo
dell’U.d.C. dal sistema ferroviario a quello stradale. Si sostiene
nuovamente, quindi, il Costo di Trasbordo (Ct).
A trasbordo effettuato, in corrispondenza del punto B si sostiene un costo
pari a: Cts(OA) + Ct1 + Ctf(AB) + Ct2.
Effettuato il secondo trasbordo, il trasporto dell’U.d.C. fino alla Destinazione avviene con il sistema
stradale e sarà, quindi, caratterizzato dal Costo Unitario di Trasporto su Strada (Cus) iniziale.
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO SU STRADA per portare
l’U.d.C dal punto B alla destinazione ha un andamento lineare ed è dato
da: Cts = Cus * d(BD) = [€/km] * [km] = [€].
La pendenza di tale retta è uguale a quella della retta originaria.
Il COSTO TOTALE DEL TRASPORTO INTERMODALE per portare l’U.d.C dall’Origine alla
Destinazione è dato da: C’ts= Cts(OA) + Ct1 + Ctf(AB) + Ct2 + Cts(BD).
Se C’ts > Cts: conviene effettuare il trasporto esclusivamente con il sistema Stradale.
Se C’ts < Cts: conviene prendere in considerazione il trasporto Intermodale.
La convenienza del Trasporto Intermodale rispetto a quello Stradale dipende da diversi fattori, quali:
- LUNGHEZZA DEL TRATTO FERROVIARIO DA PERCORRERE -
minore è la distanza tra gli Interporti e minore sarà l’incidenza del trasporto
ferroviario sull’abbassamento del costo totale del trasporto.
- POSSIBILITA’ DI EFFETTUARE IL TRASBORDO ALL’INTERNO
DELLO STABILIMENTO DI ORIGINE/DESTINAZIONE – la presenza
di raccordi ferroviari interni agli stabilimenti elimina la necessità di
sostenere i relativi costi di trasbordo.
- Ct NON ELEVATI – in modo da non annullare il vantaggio di costo derivante dal trasporto
ferroviario.
- AUMENTO DEL Cus – l’aumento del Cus porta ad una pendenza maggiore della retta relativa
al trasporto Tuttostrada. Si ha, quindi, un Cts molto maggiore del C’ts. In queste condizioni il
trasporto Intermodale viene chiaramente favorito. Il Cus dipende da numerosi fattori tra cui
pedaggio autostradale o accise sul carburante. L’aumento, da parte delle Istituzioni, del costo di
tali fattori è volto a scoraggiare il trasporto Stradale a favore di quello Intermodale in modo da
ridurre i Costi Esterni visti precedentemente.
- RIDUZIONE DEL Cuf – L’innovazione e il miglioramento dell’efficienza del sistema ferroviario
portano ad una riduzione delle tariffe. Si ha, quindi, una riduzione della pendenza della retta
relativa al trasporto ferroviario con conseguente riduzione del C’ts.
Sin ora abbiamo considerato una stessa distanza d(OD) tra Origine e Destinazione indipendentemente
dal sistema di trasporto adottato, sia esso Stradale o Intermodale. In realtà, considerando il trasporto
Intermodale, per raggiungere gli Interporti è necessario effettuare digressioni dal??? percorso che
comportano l’aumento della distanza da percorrere tra Origine e Destinazione. Ciò ha, chiaramente,
ripercussioni sui costi e sulla convenienza di un sistema rispetto all’altro.
Consideriamo, quindi, O origine del viaggio e D la destinazione.
Nel trasporto Tuttostrada la distanza da considerare è d(OD).
Nel trasporto Intermodale è, invece, necessario percorrere la distanza tra Origine e primo Interporto
d(OA), la distanza tra i due Interporti d(AB) e la distanza tra secondo Interporto e Destinazione
d(BD).
E’ necessario, quindi, percorrere la distanza d’(OD) = d(OA) + (AB) + d(BC), tale che d’(OD) >
d(OD).
Indichiamo, poi, con:
- Cm1 = costo unitario trasporto su strada;
- Cm2 = costo unitario trasporto per ferrovia o per mare;
- CC = costo di Carico dell’U.d.C. sull’U.d.T. all’interno dell’azienda di Origine;
- CS = costo di Scarico dell’U.d.C. dall’U.d.T. all’interno dell’azienda di Destinazione;
- Ct = costo di Trasbordo nei due Interporti (immaginiamo Ct1 = Ct2).
La condizione di convenienza economica del trasporto Intermodale si esprime attraverso la
diseguaglianza: C”tuttostrada” > C”intermodale”. Si ha, quindi, che:
CC + Cm1 * d(OD) + CS > CC + Cm1 * d(OA) + Ct + Cm2 * d(AB) + Ct + Cm1 * d(BD) + CS →
→ Cm1 * d(OD) > 2*Ct + Cm2 * d(AB) + Cm1 * [d(OA) + d(BD)] →
→ Cm1 * [d(OD) – d(OA) – d(BD)] > 2*Ct + Cm2 * d(AB).
Indichiamo con y = [d(OD) – d(OA) – d(BD)] e con x = d(AB) e
otteniamo: Cm1 * y > 2*Ct + Cm2 * x →
→ y > 2*(Ct/cm1) + (Cm2/Cm1) * x.
Si ha, di conseguenza, la rappresentazione della REGIONE DI INTERMODALITA’ ECONOMICA:
Il Trasporto Intermodale risulta competitivo, in Europa, se la distanza tra Origine e Destinazione della
merce è di almeno 400-500 Km. Dai dati, però, si evince che solo il 37% del traffico stradale si volge
su distanze superiori ai 400 Km.
Struttura di Costo dell’Autotrasporto
La tariffa di trasporto unitaria relativa alla particolare U.d.C. da
trasportare, detta COSTO UNITARIO DI TRASPORTO SU
STRADA, espressa in [€/km], dipende da numerosi fattori. Tra
questi fattori, l’Incidenza di ritorni a vuoto indica l’incidenza di
costo derivante dalla possibilità, per il trasportatore, di viaggiare
con un carico sia all’andata che al ritorno. I fattori più importanti
sono:
- COSTI FISSI – costi la cui entità non dipende dall’attività che si svolge. Sono costi relativi
all’acquisto di risorse necessarie alla nascita e al funzionamento dell’azienda. Per quanto concerne
la logistica i principali costi fissi sono: Ammortamento dei veicoli, Oneri finanziari, Assicurazioni
(Rc, Furto, Incendio, merce, ecc.), Tasse di circolazione, Concessione, Carbon Tax, ecc.
- COSTI VARIABILI - costi la cui entità dipende dall’attività che si svolge. Esistono se i mezzi
vengono fatti funzionare. Se i mezzi restano fermi, invece, sono nulli. I costi variabili sono: il
costo del conducente (senza trasporto tale costo è nullo), carburante e lubrificanti (costo
lubrificante è in genere il 2,5% del consumo di carburante), manutenzione (se il mezzo è utilizzato
è calcolata sempre come percentuale annua del costo di acquisto del mezzo al quale si riferiscono),
pneumatici, pedaggi autostradali o per traghetti/trafori, spese di viaggio, trasferte, ecc.
- LAVORO DIPENDENTE O AUTONOMO – è un costo variabile e dipende da orario di lavoro
(settimana lunga o corta) e straordinari. Il costo orario di un autista dipendente è circa 60%
superiore rispetto a quello di un padroncino, cioè una persona che acquista un mezzo per svolgere
l’attività in proprio.
I costi logistici si riflettono sulla determinazione del prezzo della merce trasportata. Nella
determinazione del prezzo della merce, il costo logistico viene riferito alla massa di prodotto
trasportato. Consideriamo, quindi, un altro indice economico fondamentale per la logistica, cioè il
COSTO DI TRASPORTO PER UNITA’ DI MASSA [€/Q.le]. Dalla tabella precedente si evince
come all’aumento di portata utile del mezzo corrisponda una riduzione del Costo di Trasporto per
unità di Massa (maggiore Portata Utile mezzo = Minore Costo unitario per Unità di Massa). Tale
riduzione di costo si amplifica all’aumentare della distanza considerata per il trasporto (maggiore
distanza = maggiore differenza di Costo unitario per unità di massa a favore del mezzo con portata
utile maggiore). E’ chiaro che, per sfruttare a pieno tale riduzione di costo, colmare l’intera portata
utile del mezzo scelto risulta essere di fondamentale importanza.
- Dati geografici del trasporto - DISTANZA TRA ORIGINE E DESTINAZIONE (O-R) = 100 Km
- Mezzi di trasporto utilizzabili:
1) AUTOARTICOLATO
o U.d.T. = SEMIRIMORCHIO;
o LUNGHEZZA INT. LORDA: 13,60 METRI
o LUNGHEZZA INT. NETTA: 13,40 METRI (lunghezza da considerare ai fini del carico
in quanto tiene conto degli spazi esistenti tra le varie U.d.C.)
o LARGHEZZA INT. NETTA: 2,40 METRI
o ALTEZZA: 2,40 METRI
o PORTATA: 28/30 TONNELLATE
o PERCORRENZA MEDIA ANNUA: 60.000 Km/a
o VELOCITA’ MEDIA SU STRADA: 60 Km/h
2) AUTOCARRO A 3 ASSI
o U.d.T. = CASSA MOBILE
o LUNGHEZZA LORDA INT.: 7,00 METRI
o LUNGHEZZA NETTA INT.: 6,50 METRI
o LARGHEZZA NETTA INT.: 2,40 METRI
o ALTEZZA: 2,40 METRI
o PORTATA PER AUTOCARRO 3 ASSI: 15 TONNELLATE.
o PERCORRENZA MEDIA ANNUA: 60.000 Km/a
o VELOCITA’ MEDIA SU STRADA: 60 Km/h
- Dati ECONOMICI
1) AUTOARTICOLATO:
o COSTO DI ACQUISTO: 150.000 €
o ASSICURAZIONE E TASSA DI PROPRIETA’: 4.500 €/ANNO
o PERIODO DI AMMORTAMENTO: 5 ANNI
2) AUTOCARRO 3 ASSI:
o COSTO DI ACQUISTO: 100.000 €
o ASSICURAZIONE E TASSA DI PROPRIETA’: 3.000 €/ANNO
o PERIODO DI AMMORTAMENTO: 5 ANNI
Cassa mobile: Acq2: 100.000 €; Amm.2= 5 anni; Ass.2: 3.000 €/anno; i% = 20%
CF2 = [Acq2 * (1+i%)/ Amm.2] + Ass2 = [(100000 * 1,20) / 5] + 3000 = 27000 €/anno.
- Olio lubrificante:
Viaggio= 2*dist.= 200Km/viaggio; Cons.Lub1= 0,02 Kg/Km; C.u.Lub1= 4 €/kg →
C.Lub.1 = Viaggio * Cons.Lub1 * C.u.Lub1 = 200 * 0,02 * 4 = 16 €/viaggio
- Pneumatici a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Pn1= 300 €/pezzo; n1=12 pezzi/treno; Cons.Pn1= 40000 Km/treno
C.pn1= [(Pn1*n1)/Cons.Pn1]*Viaggio = [(300*12)/40000]*200= 18 €/viaggio
- Conducente a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; C.u.Cond1= 20 €/h; Vel.1= 60 Km/h; t.car/scar1 = 0,5h
C.cond1= [(Viaggio/Vel.1) + t.car/scar1]*C.u.Cond1= [(200/60)+0.5]*20= 77€/viaggio
- Manutenzione a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Perc.1= 60.000 Km/anno; Man.1= 7.500 €/anno
C.man1= (Man.1/Perc.1) * Viaggio= (7500/60000) * 200 = 25 €/viaggio
- Olio lubrificante:
Viaggio= 2*dist.= 200Km/viaggio; Cons.Lub2= 0,01 Kg/Km; C.u.Lub2= 4 €/kg →
C.Lub.1 = Viaggio * Cons.Lub2 * C.u.Lub2 = 200 * 0,01 * 4 = 8 €/viaggio
- Pneumatici a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Pn.2= 300 €/pezzo; n2=8 pezzi/treno; Cons.Pn.2= 40000 Km/treno
C.pn1= [(Pn2*n2)/Cons.Pn2]*Viaggio = [(300*8)/40000]*200= 12 €/viaggio
- Conducente a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; C.u.Cond2= 20 €/h; Vel.2= 60 Km/h; t.car/scar2 = 0,3h
C.cond1= [(Viaggio/Vel.2) + t.car/scar2]*C.u.Cond2= [(200/60)+0.3]*20= 73€/viaggio
- Manutenzione a viaggio:
Viaggio= 200Km/viaggio; Perc.2= 60.000 Km/anno; Man.2= 5000 €/anno
C.man1= (Man.2/Perc.2) * Viaggio= (5000/60000) * 200 = 17 €/viaggio
Autocarro:
C.var.2= 195 €/viaggio; P.car.2= 13,2 Tonn./viaggio
C.peso.2 = C.var.2/P.car.2= 195/13,2 = 14,77 €/Tonn.
DETERMINAZIONE DELLA QUANTITA’ CRITICA
Consideriamo un grafico che mette in relazione i Costi annui e le Quantità annue da trasportare.
Sapendo che il Costo Totale è dato dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili, ed indicando con
Q la quantità annua da trasportare, possiamo scrivere:
Autoarticolato: CT1 = CF1 + C.peso1 * Q → CT1=40500[€/anno] + 10,45[€/Ton] * Q1 [Ton/anno]
Autocarro: CT2 = CF2 + C.peso2 * Q → CT2 = 27000[€/anno] + 14,77[€/Ton] * Q2 [Ton/anno]
Indichiamo con Q’ la quantità critica, cioè la quantità annua
di materiale trasportato in corrispondenza della quale i costi
totali annui di trasporto relativi ai due mezzi si equivalgono
(CT1=CT2). Tale quantità si individua, quindi, eguagliando
le due equazioni precedenti, ottenendo:
CF1 + C.peso1 * Q’ = CF2 + C.peso2 * Q’ →
Q’= (CF1 – CF2) / (C.peso2 – C.peso1) = (40500 – 27000) / (14,77 – 10,45) = 3.125 [Ton/anno]
RISULTATO
Dato che l’obiettivo è la minimizzazione dei costi, dal grafico si evince che:
- Per Q minori della quantità critica Q’ conviene utilizzare l’Autocarro. (Q < Q’ → Autocarro)
- Per Q maggiori di Q’ è conveniente utilizzare l’Autoarticolato. (Q > Q’ → Autoarticolato)
Area Media di Deposito
In un’area di deposito viene stoccato un certo numero di U.d.C. in un determinato arco di tempo. Data
una determinata area di deposito, maggiore è il suo coefficiente di utilizzo (in estensione ed in
altezza), migliori sono le condizioni economiche di gestione, in quanto il costo di stoccaggio si
ripartisce su un quantitativo maggiore di merce stoccata. Lo stoccaggio con sistemazione a “spina di
pesce” di semirimorchi e casse mobili, ad esempio, è il più efficiente in termini di utilizzazione degli
spazi, ma il meno vantaggioso dal punto di vista economico, in quanto si ha l’ottimizzazione dell’area
di deposito solo in estensione e non in altezza. Il problema di ottimizzazione dell’area di deposito si
riflette anche sulla scelta delle Unità di Movimentazione (U.d.M.) da adottare. Le U.d.M. sono
elementi utilizzati per posizionare le U.d.C. sulle U.d.T. nel trasporto Monomodale, per trasferire le
U.d.C. da un’U.d.T. all’altra nel trasporto Intermodale e per lo stoccaggio delle U.d.C.. Ogni U.d.M.
necessita di un determinato spazio per la mobilità ed è caratterizzato da un differente metodo di
stoccaggio delle U.d.C..
L’AREA MEDIA DI DEPOSITO è l’area necessaria per lo stoccaggio di un Contenitore Equivalente
(1 TEU). Corrisponde, quindi, all’inverso della densità di stoccaggio e si esprime in [m2/TEU].
L’Area Media di deposito è data da: dove
- Amod = area modulare comprensiva di deposito e spazi di circolazione delle U.d.M.;
- Vmod = numero massimo di contenitori depositabili nel modulo.
Immaginiamo di avere a disposizione una superficie pari a 1200 [m^2] in cui possono essere sistemati,
su un solo livello, 12 Container Equivalenti.
L’Area Media di Deposito è, quindi, data da: = 1200 / 12 = 100 [m^2/TEU].
Se consideriamo una seconda fila, a parità di area, vengono sistemati 24 Container Equivalenti.
L’Area Media di Deposito, in questo caso, è data da: = 1200 / 24 = 50 [m^2/TEU].
All’aumento del numero di file sovrapposte di Container, corrisponde la riduzione dell’Area Media
di Deposito e, quindi, l’area mediamente richiesta per il deposito di un contenitore.
L’INDICE DI UTILIZZAZIONE GLOBALE è adimensionale ed è dato dal rapporto tra l’Area Media
di deposito e l’area di base di un contenitore standard. Indicando con l’area di base del
contenitore standard [m^2/TEU], l’Indice di Utilizzazione Globale è espresso da: .
- u = 1 se l’Area Media di Deposito corrisponde all’area di base del contenitore standard. Ciò
avviene nel momento in cui l’Area di Deposito a disposizione è interamente occupata da un solo
livello di Container da 20 piedi.
- u < 1 se l’Area Media di Deposito è maggiore rispetto all’area di base del contenitore standard.
Ciò avviene, ad esempio, nel momento in cui l’Area di Deposito a disposizione non è interamente
occupata da un livello di Container da 20 piedi in quanto vengono considerati anche i corridoi per
il movimento delle U.d.M.
- u > 1 se l’Area Media di Deposito è maggiore rispetto all’area di base del contenitore standard.
Ciò avviene, ad esempio, nel momento in cui l’Area di Deposito a disposizione è occupata più
livelli sovrapposti di Container da 20 piedi, indipendentemente dalla presenza di corridoi per il
movimento delle U.d.M.
E’ chiaro che è preferibile tendere ad una situazione in cui u > 1.
Unità di movimentazione
Le U.d.M. sono elementi utilizzati per:
- Posizionare le U.d.C. sulle U.d.T. nel trasporto Monomodale;
- Trasferire le U.d.C. da un’U.d.T. all’altra nel trasporto Intermodale;
- Lo Stoccaggio delle U.d.C.
Le caratteristiche fondamentali delle U.d.M sono:
- CAPACITA’ DI CARICO o PORTATA cioè la quantità di materiale che una U.d.M. è in grado
di movimentare in un singolo “esercizio”.
- CAPACITA’ DI MOVIMENTAZIONE (Cm) cioè il numero di U.d.C che l’U.d.M. è in grado di
movimentare nell’unità di tempo [U.d.C./t; ad esempio se container TEU/h]. Si tratta, quindi, di
una velocità. A parità di altre condizioni, viene sempre scelta l’U.d.M. più veloce, cioè quella con
Capacità di Movimentazione maggiore. La Cm di una U.d.M. dipende anche dalla distanza
considerata per la movimentazione. Minore è la distanza da percorrere, maggiore sarà la Cm.
- CONSUMO DI CONBUSTIBILE
- COSTI sia fissi che variabili
- SICUREZZA – la probabilità di infortuni per gli operatori che adoperano le U.d.M. deve essere
ridotta al minimo.
- EFFETTO SUL LAYOUT DELLE AREE DI DEPOSITO – differenti U.d.M. consentono una
migliore/peggiore ottimizzazione di utilizzo degli spazi dell’Area di Deposito, cioè sono
caratterizzate da diversi Indici Utilizz. Globale. Ciò dipende anche dalla U.d.C. da movimentare.
Le principali U.d.M sono:
- CARRELLO ELEVATORE FRONTALE – si tratta di una U.d.M interna ed esterna. Innalza il
contenitore mediante movimentazione lungo linee fisse verticali. E’ una
U.d.M. di derivazione industriale molto utilizzata per la movimentazione
nei magazzini. E’ caratterizzato da versatilità in termini di Portata e
Capacità di Movimentazione. E’ costituito:
o Nella parte posteriore da una cabina posta su ruote;
o Nella parte anteriore da un telaio su cui sono posti montanti scorrevoli e attrezzature quali
le forche o pinze che permettono l’aggancio ed il sollevamento verticale della U.d.C..
Vantaggi: facilità di uso e la mobilità. Gli svantaggi invece, sono:
o Movimentazione assente a macchina ferma;
o Baricentro che si modifica tra fase di carico e fase di scarico – il carico sporgente rispetto
al mezzo aumenta il rischio di ribaltamento del carrello, riducendo la sicurezza
dell’operatore.
Il carrello elevatore classico è il classico ‘’fork-lift’’ con presa a forche dal basso. I Carrelli
elevatori frontali più moderni sono equipaggiati con uno speciale telaio di sollevamento al quale
è agganciato uno Spreader.
Esistono poi Carrelli per la movimentazione dei Container Vuoti (Empty Container Handler) e
Pieni (Loaded Container Handler). I primi sono caratterizzati da una portata di 7–10 ton e costruiti
per raggiungere un’altezza di 10 m, in modo da permettere la sovrapposizione di 4-5 container.
Possono avere diversi tipi di presa dei container che permettono l’aggancio dall’alto o frontale.
Quelli per la movimentazione dei Container vuoti sono più costosi rispetto ai precedenti e
caratterizzati da una portata di 36 – 45 ton.
- TRATTORE A RALLA PER TERMINALI (Terminal Tractor) – Si tratta di mezzi atti alla
movimentazione dei contenitori o semirimorchi all’interno dei
porti/interporti. Il Terminal Tractor traina i rimorchi (pianali) su cui i
contenitori o semirimorchi sono appoggiati. Per essendo simili ai
trattori degli autoarticolati, rispetto ad essi i Terminal Tractor permettono di eseguire velocemente
le manovre di aggancio e sgancio della U.d.C., sono caratterizzati da un numero inferiore di
marce, in quanto sono ottimizzati per un uso su brevi distanze, da una cabina particolarmente
aperta in modo da permettere una maggiore visuale da parte del conducente, e da un maggiore
raggio di sterzata, in modo da permettere una migliore manovrabilità in spazi ristretti. Nel caso di
navi Ro-Ro, il trattore può anche salire sulle navi per lasciare la U.d.C.
Esistono trattori ibridi, diesel-elettrici, che riducono l’impatto ambientale.
- GRU PORTUALE PER CONTENITORI – si tratta di macchine che si muovono su rotaie e che
vengono utilizzate per le movimentazioni lungo il molo, e cioè per la
movimentazione dei contenitori da bordo nave a terra e viceversa. Ha
la stessa struttura di una gru a portale ed è caratterizzata da un braccio
sporgente rispetto al telaio che può raggiungere notevoli dimensioni
(50 – 60 m). Tale braccio sovrasta la nave portacontainer su cui è necessario sistemare le U.d.C.
La sequenza delle operazioni che una gru di questo tipo deve eseguire sono: aggancio del
contenitore, sollevamento, traslazione, messa sul molo (o direttamente sulla U.d.T.) e sgancio.
Per velocizzare le manovre alcune operazioni, come sollevamento e traslazione, possono essere
eseguite contemporaneamente.
I tempi medi di manovra dipendono dal tipo di nave: la traslazione, ad esempio, richiede un tempo
maggiore considerando una nave madre rispetto ad una nave di piccole dimensioni.
La Capacità di Movimentazione è di circa 30 TEU/ora per navi madre e di circa 40 TEU/ora per
navi feeder (di piccole dimensioni).
Attualmente si stanno diffondendo multi-lift spreader per velocizzare le operazioni di
carico/scarico. Sono installazioni più costose che, però, aumentano la Capacità di
Movimentazione del mezzo.
BLOCK (a blocchi): i container sono sovrapposti fino a 4 livelli e posti uno accanto all’altro a formare
cataste. Ai lati dei blocchi si trovano corsie abbastanza estese, necessarie al passaggio delle U.d.M.
che, con un layout di questo tipo, spesso sono gru frontali. L’Indice di Utilizzazione è migliore
rispetto al caso precedente.
5) TIPO DI COMANDO – con manovratore a bordo, con manovratore a terra, senza manovratore,
automatici.
Con riferimento ai prodotti dell’area “II” si realizza un layout “per reparto”, raggruppando le risorse
produttive che eseguono lavorazioni dello stesso tipo (fresatura, tornitura, saldatura, ecc). In ogni
reparto, quindi, viene effettuata una sola attività.
E’ possibile altresì organizzare il layout a “posizione fissa”, in cui le risorse produttive confluiscono
nel punto in cui è posizionato il prodotto in lavorazione (ad es. costruzione navi, aerei, ecc). La
logistica interna in questo caso è data dall’insieme dei mezzi e delle macchine che stabilmente e in
modo ripetitivo collegano uno stadio produttivo al successivo.
Nell’area “III” del diagramma P-Q è possibile realizzare layout misti, in cui coesistono linee per
l’esecuzione di parti comuni dei cicli produttivi e reparti per le lavorazioni diversificate per prodotto.
Studio delle Soluzioni di Layout
Il problema dello studio delle soluzioni di Layout si pone per le lavorazioni per lotti o per commessa.
Le scelte riguardano sia la sistemazione delle macchine nei singoli reparti, sia la collocazione di un
reparto rispetto agli altri.
Esistono metodi semplificati di supporto al processo decisionale. Tutti i metodi disponibili si basano
sul concetto che è opportuno avvicinare tra loro le macchine e i reparti caratterizzati dal maggior
numero di collegamenti o trasporti. Si vuole, quindi, ottenere l’ottimizzazione della logistica interna
in modo da ridurre al minimo il COSTO TOTALE DEI TRASPORTI INTERNI. Il costo totale dei
trasporti interni è funzione delle quantità di materiali da movimentare e della distanza (baricentrica)
tra i centri (reparti) di lavoro.
Consideriamo, quindi, 2 matrici. Una indica la quantità di materiale che deve
essere trasferita dal reparto i al reparto j nell’unità di tempo( = [tonn]).
L’altra indica il costo di trasporto dell’unità di materiale per unità di distanza
tra i e j ( = [€ / (tonn * m)] ).
Essendo la distanza tra i reparti i e j, il Costo Totale di Trasporto è
dato da:
Minimizzando tale costo si ottiene:
Spesso la seconda matrice non viene sviluppata in quanto, considerando un
determinato sistema di trasporto dei materiali tra i reparti, non varia
indipendentemente dalle coppie di reparti e dal materiale oggetto del trasporto.
Tale metodo costituisce un’impostazione teorica e non viene messo in atto nella realtà. Si
considerano, invece, due metodi alternativi per orientarsi nella scelta del Layout: METODO DELLE
INTENSITA’ DI TRAFFICO e METODO DEL TRIANGOLO DI BUFF.
Il fattore determinante per il calcolo del Layout ottimale è sempre l’entità delle movimentazioni
tra un centro di lavoro e gli altri.
- METODO DEI MOMENTI – E’ utile sia per la sistemazione di macchine in reparto sia per quella
dei reparti nello stabilimento. I flussi tra centri di lavoro vengono
evidenziati attraverso l’ausilio di fasce. Lo spessore di queste ultime
è proporzionale all’entità dei flussi tra i centri di lavoro. Si ha,
quindi, una visione immediata dell’importanza della posizione
relativa tra i reparti. Si tratta, dunque, di un metodo che mette in
risalto con immediatezza la bontà delle soluzioni di layout. Tuttavia
si basa molto sull’esperienza degli esperti e sulla loro capacità di riconoscere criticità a partire dal
disegno.
Il costruttore realizza i carrelli esclusivamente con forche e indica sempre il valore della sua portata
nominale. Le forche costituiscono l’attrezzatura ottimale per la movimentazione di Pallet. Esistono,
però, attrezzature alternative utili alla movimentazione di altri tipi di U.d.C., ad
esempio blocchi di materiale. Si tratta di pinze costituite da bracci o palette verticali
che stringono la particolare U.d.C.
Le pinze sono caratterizzate da un peso proprio e costituiscono un carico ulteriore che il carrello deve
sollevare e un’ulteriore variabile da considerare in merito alla stabilità del mezzo. Il cambio di
attrezzatura comporta, quindi, una riduzione di portata utile del mezzo.
In definitiva, la scelta di un carrello adeguato viene effettuata sulla base di informazioni che
riguardano le caratteristiche del Carrello, quelle dell’Attrezzatura e quelle di Carico:
La Portata Residua Netta Ammissibile del carrello su cui è stata montata la Nuova Attrezzatura è:
Qr = MR’/[(L/2)+C+(x-s)] = MR’/ l’’= 5605,3 [Kg*m] / 1,614 [m] = 3472,92 [Kg]
Come già affermato, gli elementi cardine della trazione elettrica sono gli accumulatori (o batterie).
Essi sono generatori di Corrente Continua formati da un insieme di “elementi”, ossia moduli o celle
elettrolitiche costituiti a loro volta da una serie di piastre metalliche “positive” e “negative” immerse
in una soluzione di acido solforico (elettrolita).
Nell’accumulatore carico la materia attiva della piastra positiva, che ha una struttura costituita da
barrette, è ossido di piombo (PbO2), mentre quella della piastra negativa, avente struttura a rete, è
piombo allo stato spugnoso (Pb).
L’elettrolita è costituito da soluzione di acido solforico H2SO4 in acqua con una densità di 1,26-1,27
kg/l a 30°C. Queste particolari caratteristiche devono essere tenute costantemente sotto controllo
affinché le prestazioni del carrello non subiscano un decadimento.
Consideriamo una batteria completamente carica.
In fase di scarica, il biossido di piombo si combina con l’acido solforico formando solfato di piombo
PbSO4, mentre l’ossigeno e l’idrogeno che si liberano dal biossido e dall’acido formano acqua. Sulle
piastre negative il Pb reagisce con l’H2SO4 per formare
altro PbSO4. Essendo prodotta H2O, in tale processo,
chiamato solfatazione, la densità dell’elettrolita si riduce
e parallelamente si riducono la tensione agli elettrodi e la
percentuale di carica. Le prestazioni della batteria, quindi,
variano nella fase di scarica.
La densità dell’elettrolita viene misurata attraverso il densimetro.
In genere il primo controllo di manutenzione che viene effettuato
riguarda la densità dell’elettrolita. L’indicazione, a batteria carica,
di una densità minore rispetto a quella prevista, è segnale di
malfunzionamento della batteria stessa.
In una cella, tutte le piastre positive e tutte quelle negative sono collegate rispettivamente
ad un polo positivo ed a uno negativo, i quali prendono il nome di terminali. Questi ultimi
vengono collegati tra loro attraverso una barretta metallica, Il parco delle piastre prende
posto in un contenitore metallico che contiene la soluzione di acido solforico. L’intero
blocco viene chiuso ermeticamente, lasciando all’esterno i soli terminali, e considerando
un’apertura, chiusa attraverso un tappo, che consente il rabbocco del livello dell’elettrolita.
Il rabbocco avviene con acqua distillata. I tappi consentono un
rapido accesso all’interno dell’elemento per effettuare le manutenzioni.
Esistono varie categorie di tappi ma, fondamentalmente, si dividono in due
classi: tappi semplici e tappi a rabbocco automatico.
Il processo di solfatazione avviene in ogni cella, cioè in ogni componente elementare della batteria.
Questi componenti elementari sono tra loro elettricamente collegati in serie. Questo significa che tra
il primo e l’ultimo elemento abbiamo una tensione data dalla somma delle d.d.p. di ogni singola cella
(in genere 2V per cella). Le connessioni, cioè i collegamenti elettrici con cui vengono costruite le
serie di elementi che compongono la batteria, avvengono collegando tra loro i poli di segno opposto
di diverse celle. I poli di ogni elemento possono essere, quindi, del tipo:
- IN PIOMBO A SALDARE – per collegare i vari elementi della batteria è
necessario saldarli assieme per mezzo di barrette di piombo, le quali
vengono fuse sulla testa del polo stesso
- A VITE - per collegare i vari elementi della batteria, apposite connessioni
di rame, rivestite di materiale isolante, vengono avvitate sul polo, che
racchiude un inserto filettato.
- CAPACITA’- è la quantità di corrente che la batteria può fornire all’utilizzatore prima che la
tensione scenda sotto il limite minimo di scarica. E’ data, quindi, dal prodotto tra Intensità di
corrente e tempo di scarica: C [Ah] = I [A] * tSCARICA [h]
Le condizioni di funzionamento di una batteria influiscono sulla capacità della stessa. Dal
diagramma di scarica si nota, infatti, che, a seconda della corrente erogata, la capacità varia dai
50 [Ah], con un tempo di scarica di ½ ora, a circa 120 [Ah], con tempo di scarica superiore alle
10 ore.
La capacità è riferita convenzionalmente ad una durata di scarica di 5 h, in quanto si ritiene che,
in un turno lavorativo di 8 h, l’effettivo utilizzo della batteria sia riconducibile ad una scarica
continuativa di 5 h. Tale capacità, riferita ad una durata di 5 h, è indicata con “C5”. E’ chiaro che,
conoscendo C5, si ricava facilmente, anche attraverso il diagramma, la corrente erogata da quella
determinata batteria.
Diversi fattori influenzano la capacità:
o Regime di scarica - La capacità resa a regimi di scarica elevati (alta intensità di corrente) è
inferiore a quella resa a bassi regimi. Ciò avviene a causa della corrente erogata dalla batteria
(può essere differente da quella relativa a C5), della solfatazione superficiale delle piastre, del
tempo di diffusione elettrolita insufficiente, ecc.
o Peso specifico elettrolita - All’aumentare del peso specifico diminuisce la capacità di
diffusione dell’elettrolita con conseguente aumento della viscosità. Si ha, di conseguenza,
riduzione della capacità elettrica. Per ogni centesimo di kg in più di densità, la capacità può
diminuire del 3%.
o Temperatura elettrolita - Influisce sulla viscosità. A maggiori temperature corrispondono una
riduzione della viscosità e maggiori capacità elettriche della batteria.
o Tensione finale di scarica: La tensione finale di scarica è convenzionalmente fissata a 0,3 V
in meno rispetto a quella nominale di 2 V. Valori diversi comportano capacità diverse. Ad
esempio, ad una tensione finale maggiore corrisponde una capacità inferiore.
o Tipo e numero di piastre della batteria: Queste caratteristiche influiscono sulla resa elettrica
dell’accumulatore in quanto incidono sulla qualità dei materiali e sulla quantità di materia
attiva presente sulle piastre negative e positive.
o Ore di utilizzo della batteria (durata): Normalmente le prestazioni elettriche rimangono stabili
per 1.000-1.500 cicli di lavoro (carica+scarica), oltre i quali cominciano a decadere.
La vita tipica di una batteria corrisponde a 1200 cicli di lavoro di circa 5 ore ciascuno, cioè
approssimativamente 6000 ore.
Se un carrello elevatore lavora con un ritmo di 24 ore settimanali, si ha un utilizzo annuo di
circa 1000 ore (1248 ore all'anno).
Il tempo di vita tipico della batteria rapportato al suo utilizzo annuo indica il momento in cui
il componente dovrà essere sostituito (VITABATT/TUTIL. = 6000/1248 = 4,8 anni).
E’ chiaro che la durata della batteria dipende da fattori quali modalità di scarica (utilizzandola
max all’80% della capacità e considerando che ad una riduzione della
profondità di scarica corrisponde un aumento del numero di cicli),
ricarica (evitando cariche eccessive e cicli di ricarica troppo brevi) e
manutenzione.
- DIMENSIONI – la capacità varia in relazione all’aumento del materiale attivo, presente nella
batteria, che partecipa al processo di generazione di energia elettrica.
- PESO
La scelta del sistema di ricarica incide notevolmente sulla gestione complessiva. Il tempo di ricarica,
infatti, determina il numero di carrelli che è necessario avere a disposizione in modo essi siano sempre
disponibili, e quindi con batteria completamente carica, per affrontare i turni di lavoro.
Consideriamo di effettuare 3 turni di lavoro al giorno di 8 ore ciascuno. Si vuole usufruire di due
carrelli, i devono essere alternativamente utilizzati nei 3 turni di lavoro. La batteria di ciascun carrello
si scarica al termine del turno di lavoro viene utilizzato. Quindi, il Carr.1 viene utilizzato e si scarica
dopo il Turno1, il Carr.2 viene utilizzato e si scarica dopo il Turno2. Il Carr.1 deve, dunque, essere
ricaricato in tempo per affrontare il Turno3, il che significa che il tempo di ricarica deve essere <= a
8 ore. E’ chiaro, quindi, che il metodo migliore di ricarica, in questo caso, è il WoWa. Il tempo di
ricarica del sistema Wa, invece, è tale che per affrontare il Turno3 si rende necessario l’acquisto di un
ulteriore carrello.
E’ possibile altresì considerare una soluzione che contempli più batterie in relazione ad un singolo
carrello. In questo modo la batteria scarica verrà sostituita con una carica e i turni possono essere
effettuati con un singolo carrello. In questo modo si riducono i costi di acquisto dei singoli carrelli.
Si va incontro, però, a problemi quali:
- Necessità di possedere un numero di batterie che sia funzionale ai turni da effettuare
- Acquisto dell’attrezzatura necessaria ad realizzare il cambio della batteria – ciò porta al problema
del ENDLING NESTING, che si riferisce alla movimentazione di batterie su U.d.M.
COSTI VARIABILI –
- COSTO VARIABILE COMBUSTIBILE
TEMPO LAVORO Carrello: t.lav.prev. = G.U.O.*TURNI/ANNO = 60% tturno* TURNI/ANNO
t.lav.prev.= 0,6*8[h/turno]* 2[turno/gg]*300[gg/anno]= 2880 [h/anno]
Consumo COMBUSTIBILE: Qcomb.= Comb.*t.lav.d. = 7,5 [l/h] * 2880 [h/anno] = 21600 [l/anno]
C.var.Comb. = Qcomb. * C.u.Comb. = 21600 [l/anno] * 1,3 [€/l] = 28080 [€/anno]
Dato che CTOTe. < CTOTd., la scelta ricade sul carrello elettrico.
Mezzi per la Movimentazione Interna
I Convogliatori
I trasportatori di tipo fisso sono installati in maniera permanente e caratterizzati da percorsi di
trasporto costanti. I trasportatori di tipo fisso con moto, spesso, continuo sono anche definiti
CONVOGLIATORI. Tra i convogliatori ricordiamo:
- Trasportatori a rulli (motorizzati o non);
- Trasportatori a nastro;
- Trasportatori a catena.
Tali trasportatori sono vantaggiosi per trasporti di tipo continuo o periodico di materiali tra ubicazioni
stabilite. Sono, inoltre, impiegati per:
- Fornire accumuli
- Stoccare U.d.C.
- Servire livelli diversi
- Costruire piani di lavoro (ad es. per gli assemblaggi o per la selezione/cernita di materiali)
I trasportatori offrono vantaggi quali:
- Continuità di trasporto
- Predisposizione per l’automazione
- Minima esigenza di personale
- Ottime prestazioni in condizioni gravose di esercizio (forti pendenze, carichi e velocità di
trasporto elevati)
Fase di scarico
In fase di scarico, l’uscita del materiale può essere naturale, come nel caso di materiali sfusi. In questo
caso, è possibile calcolare l’altezza del punto di distacco del materiale dall’estremità del nastro. Il
materiale, infatti, viene tenuto aderente al nastro dalla forza di gravità ed è caratterizzato da velocità
pari a quella del nastro. Nel momento in cui si ha eguaglianza tra forza di aderenza dovuta al peso e
forza centrifuga che il materiale subisce nel momento in cui inizia a ruotare insieme
al nastro, si ha il distacco del materiale. Imponendo tale uguaglianza è possibile
calcolare l’altezza del punto di distacco del materiale dal nastro.
Per l’uscita del materiale esistono, inoltre, sistemi semplici come i
DEVIATORI, cioè barriere fisse posizionate sul nastro con un certo
orientamento. Il materiale urta sulle barriere e viene espulso secondo la
direzione del deviatore. E’ possibile, però, che si crei attrito contro le barriere.
E’ possibile, quindi, considerare deviatori mortorizzati, cioè caratterizzati da cinghie in movimento
che aiutano il materiale ad uscire nella direzione voluta.
Ci sono anche sistemi perpendicolari ad intermittenza, cioè sistemi a
pistoni che, riconosciuto il passaggio di un determinato pezzo, si muovono
per spingerlo fuori dal nastro.
Il materiale sciolto, trasportato su nastri inclinati, tende a defluire. Per ostacolare il reflusso, i nastri
possono essere realizzati con particolari accorgimenti costruttivi. Tali accorgimenti sono costituiti da
sporgenze, trasversali o con profilo a V, sulla superficie del nastro. Tali elementi,
però, irrigidiscono il nastro e lo appesantiscono. Il peso del nastro influisce
sull’assorbimento energetico necessario al suo movimento.
Il materiale, inoltre, tende a debordare, cioè ad uscire lateralmente dal nastro.
Vengono, quindi, realizzate sponde caratterizzate da un particolare profilo
utile in fase di rotazione del nastro.
SCELTA DI UN NASTRO
I dati tecnici del nastro trasportatore vengono ricavati a partire dai seguenti dati di partenza:
- CARATTERISTICHE DEL MATERIALE DA TRASPORTARE
- POTENZIALITA’ DI TRASPORTO (Portata da realizzare) – la portata può essere sia in massa
(es. tonn/h) che volumetrica (es. l/s)
- DISTANZA DI TRASPORTO (lunghezza)
- EVENTUALI DISLIVELLI DA SUPERARE
Individuati tipo di materiale e portata da realizzare, si determina la VELOCITÀ DI TRASPORTO
OTTIMALE e si sceglie la LARGHEZZA DEL NASTRO.
Fissata la combinazione larghezza-velocità si calcolano la RESISTENZA AL MOTO, la POTENZA
ASSORBITA e la TENSIONE DEL NASTRO. Da quest’ultima si deduce il TIPO DI NASTRO da
utilizzare e, quindi, il numero di tele interne del nastro stesso.
Potenzialità di Trasporto
Nota la larghezza del nastro, il calcolo della potenzialità di trasporto nel caso di scatole, colli, cassette,
ecc. è abbastanza semplice. Si ha, infatti, che per:
a) Scatole, colli, cassette, ecc. - Q [kg/s] = q × B × v dove:
- q → carico distribuito sul nastro [kg/m2]
- B → larghezza del nastro [m]
- v → velocità del nastro [m/s]
mettere immagini quaderno. Per quanto riguarda i materiali alla rinfusa è possibile legare la portata
alla forma che il materiale assume sul nastro, cioè all’area trasversale formata dal materiale che viene
trasportato, e alla velocità del nastro. E’ necessario, però, fare alcune supposizioni. Dopo il carico, il
materiale alla rinfusa tende a distribuirsi sul nastro. Supponiamo, per semplicità, che il materiale
assumi, sul nastro, una forma rettangolare. All’istante t0, quindi, si avrà una determinata sezione di
materiale sul nastro. Il nastro si muove con velocità v espressa in m/s. Nell’unità di tempo (1[s]), la
sezione si sposterà in avanti di una quantità corrispondente alla velocità di movimento. Quindi, se il
materiale si muove con velocità pari a x [m/s], in 1[s] si sposta di x [m]. Nell’unità di tempo, quindi,
si ha a disposizione un volume pari al prodotto tra la sezione iniziale di materiale per lo spostamento,
pari alla velocità (V = A * v). Tale volume è esattamente la portata volumetrica del nastro.
Moltiplicando la portata volumetrica per il peso specifico del materiale si ottiene la portata in massa.
In definitiva, si ha che per:
b) Materiali alla rinfusa - Q [kg/s] = γ × A × v
- γ → peso specifico apparente del materiale trasportato [kg/m3]
- A → sezione media dello strato di materiale sul nastro [m2]
- v → velocità del nastro [m/s]
E’ chiaro che, grazie a questa relazione è semplice ricavare gli elementi che ci interessano a partire
da quelli a disposizione. Ad esempio, conoscendo portata in massa, velocità e peso specifico, la
formula: A = Q / (γ × v) ci permette di individuare la sezione che assume il materiale sul nastro.
Quest’ultimo è un elemento importante, in quanto è necessario che il materiale sia ben distribuito sul
nastro in modo da evitare debordamenti e altre problematiche.
Attrito della massa in moto del trasportatore (r1) - Il nastro poggia su rulli o su un piano. Si sviluppano,
quindi, forze di attrito. Si ha quindi che: r1 [kg] = f × qs × (l + l0) dove
f → coefficiente di attrito dei rulli (0,03) o del piano di scorrimento
qs → peso delle parti mobili del trasportatore espresso per ogni metro di nastro [kg/m]
l + l0 → lunghezza nastro (centro rulla traino più centro rullo rinvio) + lunghezza fittizia.
r1 viene poi ripartito in modo che r’= 1/3 r1 sia la resistenza della massa in moto del ramo inferiore e
r’’= 2/3 r1 quella del ramo superiore. Ciò è dovuto al fatto che le parti in movimento nella parte
inferiore sono meno numerose.
Attrito per il trasporto del materiale (r2) – in questo caso si considera l’effetto del peso del materiale
trasportato che, spingendo su rulli e cuscinetti, non fa altro che aumentare la resistenza al moto del
nastro. Si ha, quindi, che: r2 [kg] = f × qm × (lm + l0)
f → coefficiente di attrito dei rulli (0,03) o del piano di scorrimento
lm → lunghezza del tratto carico di trasportatore [m]
qm → densità del materiale trasportato per metro di nastro[kg/m]. Essendo la portata in massa
QP=γ*A*v, possiamo considerare qm = γ*A = QP/v.
Nota la resistenza, somma delle sue componenti, si vuol conoscere la forza, da applicare sul rullo di
traino, per generare il moto. E’ chiaro che il gruppo di comando del nastro fornisce una coppia, un
momento di rotazione. La forza tangenziale, applicata al rullo di raggio r, ci porta alla conoscenza
della coppia di rotazione da applicare al rullo di traino.
Immaginiamo di sezionare il nastro in corrispondenza del rullo di traino. Si
manifestano, di conseguenza, 3 forze: la tensione del nastro T2 relativa alla parte
superiore, la tensione del nastro T1 relativa alla parte inferiore e la forza
tangenziale F. Le tensioni T1 e T2 risultano essere la manifestazione delle forze
resistenti calcolate precedentemente. Essendo caratterizzate da stessa direzione e stesso verso, una
delle due è favorevole al moto mentre l’altra si oppone.
Eseguendo l’equilibrio dinamico alla rotazione del rullo, si ha che F*r + T2 *r = T1*r → F =T1 - T2.
Ciò significa che la forza F, da applicare in modo da vincere tutte le resistenze al moto, è pari alla
differenza tra le tensioni che si manifestano nei due rami del nastro.
Molto importante è l’individuazione della Tmax, in quanto porta all’individuazione delle
caratteristiche di resistenza che il nastro deve possedere per resistere a quel determinato sforzo. Ad
un maggiore sforzo corrisponde un nastro più resistente e, dunque, più costoso. Le forze, inoltre, si
scaricano sul rullo che collega i due tratti. Ad una tensione maggiore corrisponde il rischio che il
rullo, se non adeguatamente resistente, possa curvarsi, incidendo ulteriormente sui costi di gestione.
Essendo F = T-t, è possibile, ottenere lo stesso risultato con diversi valori delle tensioni (Ad esempio
10 = 20 – 10 o 10 =100 – 90). La situazione più conveniente, quindi, è quella in cui Tmax assume il
valore più basso possibile, in modo che il sistema non sia eccessivamente costoso.
Una ulteriore relazione che lega le tensioni è relativa all’equilibrio in un sistema ad avvolgimento.
Consideriamo un sistema in movimento costituito da una puleggia/cilindro su cui si avvolge una
cinghia/nastro in condizioni di aderenza perfetta. Si può, dunque, affermare che dove:
α = angolo di avvolgimento; μ = coefficiente di attrito nastro-puleggia.
La relazione indica che all’aumentare del coefficiente di attrito e dell’angolo di avvolgimento le
tensioni si riducono.
E’ possibile calcolare la tensione massima attraverso la formula T =
k1 * R. Il valore del coefficiente numerico k1 è ricavabile dal grafico,
il quale indica che all’aumento dell’angolo di aderenza (verso il
basso) e del coefficiente di attrito (verso destra) tra nastro e rullo
corrisponde una riduzione del valore di k1. Un nastro economico in
grado di fornire buone prestazioni è, quindi, caratterizzato da
elevato coefficiente di attrito ed elevato angolo di avvolgimento del
nastro sul rullo di traino, i quali forniscono una tensione non elevata.
I nastri commerciali sono caratterizzati da differenti modelli costituiti da diverso numero di inserti
resistenti. Scelto il tipo di nastro e nota la resistenza unitaria delle tele, si determina il numero di tele
del nucleo attraverso la formula N = T / (K * B) dove:
- K = resistenza di una tela espressa in [N/m]
- B = larghezza nastro (m)
La tensione sul lato inferiore del nastro non deve essere inferiore ad un certo minimo. Se lo fosse,
infatti, tra i rulli di supporto inferiori si potrebbe avere una curvatura eccessiva.
La tensione sul ramo inferiore è uguale a t = k2 * R, con k2 desumibile dalla tabella precedente.
A quel punto è necessario verificare la condizione di massima inflessione tra due rulli nel punto meno
teso. Deve risultare: t>tmin con tmin = 50*N*B, essendo N = numero di tele del nastro.
Per calcolare la portata di progetto, cioè quella da immettere sul nastro per ottenere
quella richiesta in uscita, è necessario tener conto dell’effetto del riflusso del materiale
verso il basso.
Tale effetto, dovuto all’inclinazione del nastro, viene quantificato mediante
l’applicazione di un coefficiente di riduzione della portata per i due tratti in salita. Per
avere una portata teorica di uscita di 50 [tonn/h], tenendo conto del reflusso, dobbiamo
avere una portata di progetto maggiore. Ad una angolatura maggiore corrisponde un coefficiente più
basso, perché minore è la percentuale di materiale di partenza che raggiunge la destinazione.
Essendo p1 = 0,85 e p2 = 0,91, si ha che:
PORTATA DI PROGETTO - Qm = q/(p1*p2) = 50/ (0,85 * 0,91) = 64,6 [tonn/h] = 18 [kg/s]
(si divide per il prodotto dei coefficienti perché i nastri sono in serie. Si divide per il prodotto dei
coefficienti anche con 2 nastri che hanno la stessa inclinazione)
Possiamo, quindi, considerare la portata volumetrica dividendo la portata in massa per il peso
specifico del materiale.
PORTATA VOLUMETRICA – Qv = Qm/γ = 64,6 [tonn/h] /2 [tonn/m3] = 32,3 [m3/h].
Assumiamo una velocità normale pari al 70% di quella massima, si calcola la sezione media di flusso
per la portata richiesta, verificando che non sia superiore a quella della portata di riferimento:
v = 0,7 * vmax = 2,0 [m/s] = 1,4 [m/s]
Am = Qv / v = (32,3 [m^3/h] /3.600[s/h]) / 1,4 [m/s] = 6,4 *10^(-3) [m^2]
La forza di resistenza al moto è data dalla somma delle componenti: (si consideri 1[kg] = 10 [N])
R1 = r1+ r2+ r3+ r4 = 185 + 61 + 530 + 1 = 777 [kg] = 7,77 [kN]
R2 = r1+ r2+ r3+ r4 = 170,5 + 55 + 371 + 1 = 597,5 [kg] =5,975 [kN]
Si può notare come la potenza necessaria a far funzionare il trasportatore è principalmente dovuta al
dislivello che deve essere superato.
Calcolata la forza resistente e considerando il rendimento del motoriduttore (0,8), è possibile ricavare
la potenza del motore:
P1 = R1*v/η = 7,77 * 1,7 / 0,8 = 16,5 [kW]
P2 = R2*v/η = 5,975 * 1,7 / 0,8 = 12,7 [kW]
Nota R, si procede con il calcolo delle tensioni nel tratto di andata e ritorno del nastro imponendo la
condizione limite di aderenza tra nastro e puleggia, essendo:
α = angolo di avvolgimento in radianti; μ = coefficiente di aderenza nastro-rullo
Aumentando α e μ si riducono le tensioni nel nastro (T e t), con vantaggi sulla scelta e sul costo del
nastro, sulla potenza di trazione (peso del nastro), sulle dimensioni dei rulli (diametro minimo) e sui
rischi di slittamento. Abbiamo quindi una riduzione dei costi di gestione. Un nastro economico in
grado di fornire buone prestazioni è, quindi, caratterizzato da elevato coefficiente di attrito ed elevato
angolo di avvolgimento del nastro sul rullo di traino, i quali forniscono una tensione non elevata.
Il coefficiente di aderenza può essere aumentato utilizzando rulli di trazione (in
genere metallici) rivestiti con idonei materiali (rulli “gommati”) e ricorrendo a
tenditori a contrappeso
L’angolo di avvolgimento può essere esteso mediante contro-rulli in prossimità
della testata del nastro oppure impiegando due tamburi motori.
Assumiamo α = 300° = 5,23[rad] e μ = 0,35 (rullo gommato con doppia
puleggia motrice).
Dal grafico si ricava che:
k1 = 1,25
k2 = 0,25
Si procede, quindi, al calcolo delle TENSIONI:
per il nastro 1: per il nastro 2:
T1 = k1*R1 =1,25*7,77*10^3 [N] = 971 [kg] T2 = k1*R2 =1,25*5,975*10^3 [N] = 747 [kg]
t1 = k2*R1 = 0,25*7,77*10^3 [N] = 194 [kg] t2 = k2*R2 =0,25*5,975*10^3 [N] = 150 [kg]
La tensione τ permette di capire, consultando una tabella e riferendoci al carico di lavoro, la classe,
il numero di tele del nastro e il diametro minimo rullo
di trazione e di rinvio.
Il trasportatore 1 è un nastro in gomma e tela classe 200 a
2 tele con un carico di lavoro di 20 kg/cm e con diametro
minimo del rullo di trazione (e di rinvio) di 250 mm.
Il trasportatore 2 è un nastro in gomma e tela classe 160 a 2 tele con un carico di lavoro di 16 Kg/cm
e con diametro minimo del rullo di trazione (e di rinvio) di 200 [mm].
La larghezza dei rulli di testa e coda si calcola dalla tabella:
Larghezza del nastro b0 = 500 [mm] > 100 [mm]
Larghezza del tamburo b = (1,08 * b0) + 12 [mm] = (1,08 * 500) + 12 = 552 mm
Bisogna verificare che la tensione sul lato di ritorno sia maggiore del valore che evita inflessioni
eccessive: t > 50*n*B = 50*2*0,5 = 50 kg
t1 = 194 kg > 50 → OK!!
t1 = 150 kg > 50 → OK!!
Per il nastro 2 -
r’1 = 1/3*r1 = 1/3*170,5 [kg] = 56,83 [kg]
pn = peso nastro*B*l2*sin(α2) = 5,2 [kg/m^2]*0,5[m]*147[m]*sen(14) = 92,5 [kg]
To = t2 + r’1 – pn2 = 150 + 56,83 – 92,5 = 114,33 [kg]
W = 2 * To = 2 * 114,33 = 229 [kg]
Il peso del nastro è preso dalla tabella precedente relativa alla classe del nastro.
MEZZI PER LA MOVIMENTAZIONE INTERNA
Trasportatore a coclea
Il trasportatore a coclea o a vite è un sistema di traporto di tipo continuo,
prevalentemente in orizzontale, utilizzato spesso per materiali granulari. Il
trasportatore a coclea rientra, quindi, nella categoria dei convogliatori.
Lo strumento è costituito da un cilindro esterno, che funge da contenitore del sistema di trasporto,
all’interno del quale trova alloggiamento un albero su cui si avvolge un’elica realizzata in lamiera di
acciaio. Questo tipo di convogliatore viene utilizzato per il trasporto di materiali particolarmente fini.
Per il trasporto di materiali più grossolani, è possibile utilizzare sistemi senza albero, con l’elica che,
di conseguenza, non presenta il supporto centrale. Il principio di funzionamento di questo sistema di
trasporto è semplice: il materiale da trasportare subisce un’azione di spinta nel momento in cui viene
a contatto con l’elica, una volta che quest’ultima viene messa in rotazione. Dando rotazione continua
all’albero, si realizza un convogliatore con le seguenti caratteristiche:
- Stato del materiale movimentato - SOLIDO (alla rinfusa)
- Funzionamento – CONTINUO
- Energia Motrice – MOTORIZZATO (con motore elettrico)
- Tipo di Movimento - MEZZO DI TRASPORTO IN ORIZZONTALE. Sono consentite modeste
inclinazioni perché anche in questo caso può verificarsi un eccessivo ed inaccettabile reflusso
verso il punto di partenza. Inclinazione massima consentita è di 25-30°
- Tipo di Comando - SENZA MANOVRATORE
Molto importate è stabilire la potenzialità di trasporto del sistema. Pur essendo un sistema a rotazione,
il principio di calcolo della portata è sempre il prodotto di una sezione per una velocità. Per semplicità
possiamo supporre che la sezione utile dal punto di vista del calcolo della portata sia la sezione del
cilindro di contenimento. Ciò significa che per quanto riguarda la sezione l’albero non viene
considerato. Se l’involucro cilindrico ha diametro D la sezione è pari a
La velocità utile per il calcolo della portata è quella del punto, sito sulla superfice del cilindro, che
viene spinto dall’elica durante la rotazione. Essendo il passo d la distanza
tra 2 punti omologhi sul profilo dell’elica, a completamento di un giro, il
punto si sposta di una lunghezza pari al passo d. Dividendo il passo per il tempo necessario al
completamento di un giro si ottiene la velocità necessaria al calcolo della portata.
Velocità longitudinale=passo elica/tempo giro=d/(2πR/ωR) = dω/2π = d*2π*n/(60*2π) = d*n/60.
Moltiplicando tale velocità per la sezione si ottiene la portata volumetrica.
Il peso specifico γ permette il passaggio da portata in massa a portata volumetrica.
p è una costante che dipende dal materiale e dalla tipologia costruttiva del sistema. Essa indica che la
sezione non è occupata in maniera completa e quindi la portata deve essere parzializzata.
La portata ci permette di calcolare la potenza, attraverso la formula.
La potenza è legata ai consumi energetici del sistema.
L’elemento più importante del trasportatore, che ci guida nella scelta dello stesso, è la quantità di
materiale che può trasportare.
La potenza di azionamento del trasportatore a tazze si ottiene considerando che la forza verticale F di
sollevamento deve vincere:
- il PESO TOTALE in salita delle catene, delle tazze e del materiale trasportato: (Fp = H * P/d)
- gli ATTRITI (Fatt = 5% Fp)
- le RESISTENZE ACCIDENTALI (Facc = 1,4 Q [t/h])
Considerando la forza totale F come la combinazione dei componenti (F = Fp + Fatt + Facc), si ha che
la POTENZA DI AZIONAMENTO è: P [kW] = F [kg] * v [m/s] / (102 η)
Il 102 è un fattore di conversione che serve per passare da [kg*m/s] a [kW].
Tale potenza viene moltiplicata per il tempi di funzionamento per avere l’energia elettrica.
Il paranco elettrico:
- non può subire un numero di accensioni o di avviamenti troppo elevato – azionare frequentemente
un motore elettrico non è una soluzione ottimale. Il numero di avviamenti in un determinato tempo
deve essere limitato.
- la velocità di sollevamento è regolabile grazie all’utilizzo degli inverter. Ciò comporta un
notevole aumento dei costi.
- Dal punto di vista della capacità di sollevamento, cioè della portata del sistema, i motori elettrici
sviluppano potenze notevoli che ci permettono di superare le 10 Tonn di portata.
- è più economico rispetto quello pneumatico, e offre una vasta gamma di soluzioni.
Tipi di paranco
PARANCO FISSO – agganciato al palo orizzontale e, quindi assolutamente fisso,
è utilizzato esclusivamente per il sollevamento.
PARANCHI MOBILI SU ROTAIA SINGOLA O DOPPIA – la traslazione orizzontale è dovuta a:
- azione manuale - il movimento di traslazione è dovuto alla spinta operata da un operatore,
- a trazione meccanica – l’operatore per far muovere il paranco, in presenza di carichi pesanti,
agisce su una catena pendente, cioè su un riduttore di forza
- con motorizzazione per la traslazione.
Quando il paranco è montato su una trave il sistema è detto MONOROTAIA.
Quando il paranco si poggia su due guide il sistema è detto BIROTAIA.
Scelta di un paranco
Come per tutti i sistemi di trasporto, anche per il paranco dobbiamo capire come effettuare la scelta
in modo da soddisfare il fabbisogno di movimentazione. In genere, un paranco viene utilizzato per lo
spostamento di carichi vari. Raramente, infatti, è utilizzato per lo spostamento di un unico carico.
Dati i rischi di movimentazione con il paranco, tra i vari carichi da movimentare, è ovvio prendere
come riferimento il carico massimo. Considerando la situazione più gravosa, cioè quella di carico
massimo, ci si mette nelle condizioni cautelative.
Ovviamente la caratteristica principale di un paranco è la sua portata, cioè il numero max di kg o tonn
che il paranco può sollevare.
Trattandosi di mezzi di sollevamento e trasporto particolarmente rischiosi, le norme per la
realizzazione e la scelta sono abbastanza gravose. Tutti i meccanismi del paranco, i quali sono
particolarmente sollecitati dal punto di vista meccanico, hanno un numero predefinito di cicli o ore
di funzionamento rispetto ad un tempo di circa 10 anni. Ciò significa che in 10 anni di vita del paranco
il numero di cicli o ore di funzionamento è predeterminato. Tale numero non deve essere superato
anche se il limite viene raggiunto prima dei 10 anni. Ogni anno, quindi, è necessario effettuare
verifiche sulla sicurezza per capire se il limite stabilito dalle norme è stato raggiunto. Al
raggiungimento del 10° anno il paranco deve essere revisionato completamente e sottoposto a
interventi meccanici di manutenzione particolari.
Le norme che ci guidano nella scelta dei paranchi sono le norme F.E.M. Tali norme indicano che gli
elementi per la scelta di un paranco sono sostanzialmente 2:
- TEMPO DI FUNZIONAMENTO MEDIO DELLA MACCHINA
- TIPO DI CARICO AL QUALE LA MACCHINA È SOTTOPOSTA.
Questi due fattori non sono indipendenti l’uno dall’altro. Al contrario, essi sono strettamente correlati.
Un paranco, infatti, può lavorare a regimi differenti dal punto di vista del carico e del tempo: una
macchina può essere caricata poco e lavorare tanto o caricata molto e lavorare poco. Queste 2
situazioni sono paragonabili dal punto di vista delle sollecitazioni meccaniche, della resistenza dei
materiali e della durata del mezzo.
Il tempo medio di funzionamento di un paranco dedito AL SOLO SOLLEVAMENTO è dato da:
dove
- v [m/min] - VELOCITÀ DEL GANCIO – velocità di sollevamento e discesa del gancio
(generalmente sono uguali)
- h/g [h/gg] - NUMERO DI ORE LAVORATIVE AL GIORNO
- Hm[m] - CORSA O ALTEZZA DI SOLLEVAMENTO MEDIO DEL GANCIO – la corsa è un
elemento geometrico che contraddistingue il paranco. Si tratta del percorso
massimo che il gancio può effettuare. La posizione del gancio ha, infatti,
un punto di minimo in basso e un punto di massimo in alto. Si considera la
corsa media perché, a seconda della condizione di esercizio, la corsa
verticale può essere impiegata pienamente o parzialmente.
- C [#/h] - NUMERO DI CICLI ALL’ORA RICHIESTI –
Un ciclo operativo tipico di un paranco è solitamente costituito da alcune
fasi: fase di sollevamento, una volta agganciato il carico; fase di arresto per
un tempo variabile una volta effettuato il sollevamento; fase di discesa del
carico; nuova fase di arresto in modo da sganciare il carico e riportare il
paranco nella posizione iniziale. Questo ciclo si può sviluppare con corse diverse. Possiamo, infatti,
avere corse di salita e discesa uguali o diverse, sfruttando a pieno o meno l’intera corsa. I cicli sono
da studiare per bene ogni volta che ci troviamo di volta ad un problema del genere ad una scelta del
genere. Abbiamo le corse che possono essere diverse.
Per conoscere i cicli, dato fondamentale per il calcolo del tempo medio, è necessario studiare il ciclo
produttivo.
Se il paranco ha motore di traslazione, nel calcolo del tempo di funzionamento
è necessario tener conto anche delle operazioni di traslazione. Il tempo medio
per le operazioni di traslazioni si calcola attraverso la formula: dove
Pm = percorso medio = L/2 = metà della lunghezza della trave su cui il paranco si sposta
C/h = numero cicli di traslazione che si intende fare in un ora
Ti = tempo di impiego giornaliero
v [m/min] = velocità di traslazione
F.E.M. definisce 9 CLASSI di paranchi con riferimento al tempo medio di funzionamento giornaliero
(V0,06 - V0,12 - V0,25 - V0,5 – V1 - V2 - V3 – V4 – V5). La classi vanno da un tempo <= 0,12 ore
ad un tempo >= di 16 ore giornaliere di lavoro.
Scegliamo la portata nominale del paranco pari a 2.500 [Kg] > della massa da sollevare.
Calcoliamo FATTORE DI CARICO CUBICO “k” e TEMPO DI FUNZIONAMENTO MEDIO “T”
(sollevamento+traslazione).
Fattore di carico cubico:
β1 = Carico utile /Carico Nominale = 2000 [kg]/2500 [kg] = 0,8
γ = Peso Accessori/Carico Nominale = 50 [kg] /2500 [kg] = 0,02
essendo il denominatore lo stesso possiamo considerare:
β1+ γ = (2.000+50) / 2.500 = 0,82
Individuiamo la CLASSE FEM grazie alla tabella, entrando con Tm e Classe di carico k. (fig 1 sotto)
Dal catalogo, quindi, si individuano i paranchi disponibili per tipo di classe FEM e per PORTATA
NOMINALE RICHIESTA. Dal catalogo risultano disponibili, per la portata di 2.500 kg e per la classe
1Am, paranchi a 4 e a 2 tiri. (fig 2 sotto)
Gli elementi principali dell’impianto possono essere disposti in modo diverso all’interno del circuito.
Ciò comporta la definizione di diversi tipi di impianti pneumatici:
- IMPIANTI IN DEPRESSIONE
- IMPIANTI IN PRESSIONE
- IMPIANTI MISTI
La disposizione degli elementi, che porta alla definizione del tipo di impianto, è dovuta a due fattori:
tipo di utilizzo dell’impianto, cioè numero di punti di carico e scarico del sistema, e esigenze di
trasporto, le distanze di trasporto del materiale.
E’ possibile, infatti, considerare un solo punto di carico ed un solo punto di scarico, diversi punti di
carico ed una sola destinazione o diverse origini e diverse destinazioni. Ognuno dei tre sistemi è
idoneo per un determinato tipo di esigenza.
Sistema in Pressione
In un sistema in pressione la centrale di compressione dell’aria è situata a monte del circuito. Il
compressore genera il flusso di aria compressa, imprimendo all’aria velocità e
pressione. Subito a valle del compressore c’è il punto di immissione del
materiale nella rete di tubazioni. Tale sistema è caratterizzato da un solo punto
di carico e uno o più punti di scarico. Generando pressioni elevate (P ≤ 9-
10[bar]) è possibile soddisfare esigenze di trasporto su distanze notevoli (fino
2.000 m). Subito dopo il punto di immissione si sviluppa la tubazione o le
tubazioni, a seconda del numero di destinazioni.
Al termine del percorso, in corrispondenza del punto di scarico troviamo l’elemento di separazione
del materiale dall’aria, cioè il ciclone. In questo elemento l’aria assume un moto circolare riducendo
la propria velocità. Il materiale, quindi, perde l’energia acquisita durante il trasporto e va a depositarsi
sul fondo, cioè in una parte tronco conica che serve a suo accumulo. L’aria, espulsa invece dalla parte
superiore del ciclone, viaggia verso dei filtri, di solito in tessuto, disposti in una camera di filtraggio.
L’aria, attraversando i filtri, deposita sulla superficie esterna di questi ultimi il materiale che non si è
separato nel ciclone. A questo punto l’aria fluisce liberamente nell’atmosfera.
Il problema principale di questo sistema consiste nella difficoltà di immissione di materiale nel
circuito. Considerando il punto di immissione del materiale come una feritoia nella tubazione, l’aria
in pressione tenderebbe naturalmente a fuoriuscire da tale punto, contrastando, di conseguenza
l’inserimento del materiale. E’ necessario, quindi, utilizzare sistemi di immissione del materiale che
contrastino la fuoriuscita dell’aria del serbatoio. Un sistema molto vantaggioso, in quanto
semplicissimo, sfrutta un principio di fisica chiamato Effetto Venturi. Consideriamo una corrente
d’aria all’interno di una tubazione che ha un certo diametro. Essendo la portata uguale a sezione per
velocità, affinché essa rimanga costante, in corrispondenza di un restringimento della sezione si ha
un aumento della velocità. Misurando la pressione, nel punto di sezione minima essa sarà minore di
quella a monte. L’effetto Venturi, quindi, indica che nella strozzatura della tubazione troviamo una
depressione che può assumere valori molto elevati. Montando, sulla sezione più piccola, un serbatoio
che contiene il materiale da trasportare, la depressione può essere tale da
risucchiare il materiale. Quindi, posizionando al di sopra del tratto in cui si
restringe la sezione un serbatoio, il peso stesso del materiale che vi si accumula è sufficiente a
garantire che non ci siano perdite d’aria. La depressione, che si forma nella parte inferiore, risucchia
il materiale, il quale scende ed entra naturalmente nel circuito. Non essendoci parti in movimento che
spingono il materiale all’interno del circuito, tale sistema può essere utilizzato anche per materiali
abrasivi. L’unico limite consiste nel fatto che, per una buona realizzazione dell’effetto Venturi, è
necessario considerare portate di materiale limitate e portate d’aria elevate. Realizzare portate d’aria
elevate significa dover immettere una quantità elevata di energia all’interno del sistema, il che implica
costi di gestione elevati.
L’ugello venturi viene comunque utilizzato per materiali abrasivi con portate abbastanza basse.
Poi ci sono dei sistemi discontinui a serbatoio. In un serbatoio in cui c’è aria,
inizialmente sconnesso dal sistema di trasporto pneumatico, viene immesso il
materiale da caricare nel circuito. Una volta immesso il materiale, il serbatoio
viene chiuso e viene mandata dell’aria in pressione tale che il contenuto venga miscelato e mandato
in pressione. Nel momento in cui la pressione è al valore giusto, si apre una valvola di scarico e il
materiale viene scaricato nel circuito del trasporto pneumatico. Torniamo indietro. Questo è il
sistema in pressione. Quindi un punto di carico come abbiamo detto e uno o più punti di scarico del
materiale. Se per esempio abbiamo diversi magazzini in cui il materiale viene stoccato noi possiamo
pensare di avere un sistema di trasporto pneumatico in pressione per prelevare il materiale da uno di
questi magazzini, per esempio con il sistema venturi, mettendo il sistema venturi sul fondo di un
serbatoio in cui arriva il materiale, e collegando poi la tubazione a diversi punti di scarico che ci
consentono di trasferirlo su diversi mezzi di trasporto. Possiamo avere diverse postazioni in cui i
mezzi si posizionano. Questi mezzi possono essere caricati dall’alto attraverso le diverse uscite di un
sistema di trasporto pneumatico in pressione. Questo è un esempio in cui vedete il serbatoi di
accumulo del grano, lo scarico dalla parte bassa con un sistema a cella rotante o venturi, l’immissione
nella tubazione in pressione, poi al di sopra di ogni mezzo di trasporto un sistema di separazione a
ciclone, e poi il filtro per l’aria che ha ormai abbandonato il materiale.
Sistema in depressione
Il sistema in depressione è utilizzato nel momento in cui si hanno più punti di origine e una sola
destinazione. Il principio di funzionamento è quello dell’aspirapolvere. In
questi sistemi il compressore o l’elemento che crea il flusso d’aria è sempre
posizionato nel punto finale del circuito, a valle anche del sistema di
filtraggio. Il sistema in depressione sfrutta l’effetto di depressione in
aspirazione. Per questo motivo la rete di tubazioni viene collegata al
compressore dal lato in cui quest’ultimo aspira l’aria. In questo sistema
l’immissione del materiale è molto più semplice. In questo caso, infatti, l’aria
viene naturalmente attratta nel circuito. Il materiale, dunque, verrà assorbito
automaticamente attraverso il punto di immissione. Quindi basta avere un’apertura nel punto in cui
voglio caricare il materiale. Per realizzare l’immissione del materiale si utilizzano dei terminali, simili
a tubi flessibili. Una estremità del terminale è collegata alla tubazione di acciaio mentre l’altra è aperta
ed è atta all’aspirazione del materiale. Nel momento in cui la bocca del terminale viene calata nel
mucchio di materiale, potrebbe verificarsi un intasamento a causa della resistenza all’aria dovuta al
materiale stesso. Questo rischio è scongiurato grazie all’utilizzo di SUCCHIERUOLE A DOPPIO
CORPO, così chiamate perché formate da due pareti cilindriche concentriche. In quella interna si
realizza il flusso di materiale. Tra i due tubi si realizza, invece, il passaggio di aria, la quale giunge
da un punto superiore rispetto al mucchio di materiale. L’aria penetra dall’alto nell’intercapedine
esistente tra un cilindro e l’altro, scende ed entra nel cilindro interno dalla parte più
bassa e attraverso diverse feritoie presenti sulle pareti dello stesso. Questo flusso
d’aria crea una corrente continua e, di conseguenza l’aspirazione del materiale,
evitando gli intasamenti. Regolando il flusso dell’aria, attraverso apposite valvole,
possiamo avere una maggiore o minore aspirazione.
Una volta aspirata, la miscela di materiale e aria percorre le tubazioni e arriva nel ciclone. Qui il
materiale scende verso il basso, mentre l’aria perde velocità e prosegue il suo percorso attraverso il
filtraggio.
Pur essendo un impianto molto comodo per l’immissione del materiale, il limite di questo impianto è
la distanza di trasporto che è possibile coprire. Mentre con l’impianto in pressione noi possiamo
installare compressori che ci danno pressioni molto elevate in modo da vincere le varie resistenza e
percorrere distanze notevoli, il sistema in depressione è caratterizzato dal limite costituito dalla
depressione massima, cioè 0 bar. Tale limite consente di percorre distanze limitate.
Impianti misti
Gli impianti misti sono una combinazione degli impianti precedenti. Essi permettono di effettuare il
prelievo di materiale da più punti, tipico degli impianti in depressione, e lo scarico dello stesso in più
destinazioni, tipico degli impianti in pressione. Permettono, quindi, di sfruttare la comodità
dell’aspirazione e il vantaggio delle lunghe distanze di trasporto. Negli impianti misti il compressore
è posto nella parte centrale dell’impianto. E’ chiaro che il ramo di aspirazione è in depressione, in
modo che si possa aspirare il materiale da più punti attraverso il terminale di aspirazione, mentre il
ramo di mandata, che raggiunge le diverse destinazioni, è in pressione.
Con questo schema di impianto il materiale dovrebbe attraversare il compressore. Questa è una
situazione che nella realtà esiste. Si possono, però creare dei problemi dovuti a due fattori:
1) Il compressore in esame è un compressore centrifugo che ha una girante con palette caratterizzate
da determinati profili. Il materiale può dunque passare attraverso la macchina se ha pezzatura
compatibile con i canali del compressore centrifugo. Se la pezzatura è incompatibile si andrebbe
incontro a vari problemi.
2) Il passaggio del materiale attraverso il compressore comporta urti violenti e, di conseguenza, il
deterioramento sia della macchina che del materiale.
Le perdite dovute al materiale sono sostanzialmente le stesse, fatta eccezione per le ultime due. Il
materiale, arrivato al ciclone viene separato dall’aria. Quindi non subisce la resistenza dovuta alla
presenza del ciclone e del filtro.
- Energia di avviamento (h1m) - Quando il sistema si ferma, il materiale si accumula nelle tubazioni.
Per rimettere il sistema in funzione, dobbiamo risollevare il materiale accumulato in modo da
rimetterlo in movimento. L’aspetto dell’avviamento è, dunque, molto importante.
- Ingresso nel circuito (h2m)
- Attrito nei condotti (h3m) – molto importante, in questo caso, è l’angolo di scorrimento.
Immaginiamo di posizionare il materiale su un piano. L’angolo di scorrimento è quello minimo
che il piano realizza con l’asse orizzontale, in corrispondenza del quale il materiale comincia a
scorrere su di esso. Tale angolo influisce sulla resistenza nelle tubazioni.
- Dislivelli (h4m)
- Perdite localizzate (h5m)
Si consideri che HTOTm = h1m + h2m + h3m + h4m + h5m
Sommando tutti questi elementi abbiamo la perdita di carico totale, espressa come pressione.
HTOT = HTOTm + HTOTa [kg/m2]
Le perdite, moltiplicate per la portata d’aria [m3/s] e divise per il rendimento (meccanico ed elettrico
del compressore), ci portano alla potenza da assorbire dalla rete per tenere in funzione l’impianto.
P = Qa * HTOT / η [kg*m/s].
Supponiamo che il sistema sia in funzionamento continuo (24 h/g per 365 g/anno). Moltiplicando il
tempo di funzionamento per la potenza otteniamo la potenza annua richiesta dal sistema, da esprimere
in [kWh/anno].
Moltiplicando il costo di ogni kWh (25 cent) per la potenza annua, otteniamo il costo dell’energia,
cioè la principale voce di costo.
Altre voci di costo sono gli investimenti e la manutenzione.
La manutenzione è dovuta all’abrasione. Nel trasporto il materiale urta sulla
superficie, si accumula sulla parte esterna e, quindi, si realizzano le
abrasioni. Per evitare questo fenomeno si utilizzano raggi di curvatura
molto grandi in modo che la curva effettuata dal materiale sia graduale. In
questo modo si evita che il materiale vada a corrodere la tubazione per azione meccanica.