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GESTIONE DELLE IMPRESE

ANALISI DEI PROCESSI


Cos’è la gestione delle operations e dei processi? Una parte dell’impresa che realizza prodotti o servizi.

Processo: funzione che trasforma gli input in output (i quali auspicabilmente generano maggior valore per
l'impresa rispetto agli input originari) idonei a soddisfare i bisogni del cliente (interno o esterno).

 Il processo produttivo in senso stretto è il processo nel quale un insieme di risorse materiali e
immateriali vengono trasformate, assemblate e coordinate in modo da produrre beni e servizi richiesti
dai consumatori finali o da altre imprese. Fasi del processo produttivo:
1. Progettazione del processo produttivo in funzione degli obiettivi strategici dell'impresa;
2. Coordinamento con le fasi a monte/ gestione delle scorte;
3. Coordinamento con le fasi a valle;
4. Programmazione della produzione di breve, lungo e medio periodo;
5. Coordinamento delle diverse fasi produttive.

Operations: funzione costituita dalla sommatoria dei singoli processi che vengono svolti in un'impresa. In
una prospettiva più ampia, in un'impresa, ogni funzione governa e gestisce processi:
• Piani di marketing;
• Piani di sviluppo e strategie.

Diagramma di flusso dei processi:


Spesso attività correlate di un processo si influenzano
reciprocamente, tanto che bisogna considerare nello stesso
tempo le prestazioni di parecchie attività svolte
contemporaneamente. Analizzare un processo significa prima di
tutto costruire un diagramma che ne rappresenti gli elementi
chiave, normalmente operazioni, flussi e aree immagazzinamento
(le attività operative sono rappresentate con un rettangolo, i flussi
con una freccia e l'immagazzinamento con un triangolo
rovesciato). Tra gli elementi base ci sono task o operation, flussi
di materiali e clienti, punti di decisione, aree di stoccaggio e code.
Esempio di diagramma di flusso per una sala cinematografica:

Modello input – trasformazione – output:


Tutti i processi sono sistemi input-trasformazione-output che utilizzano le risorse “trasformanti” per operare
sulle risorse “trasformate” allo scopo di realizzare prodotti e servizi.

Elementi fondamentali di un processo:


 Input e output → I processi generano valore trasformando l'input in un output che svolge funzioni
utili per gli acquirenti.
Nel caso della sala cinematografica:
- Input: persone che intendono assistere alla proiezione ed entrano nel sistema accodandosi
alla biglietteria;
- Output: spettatori che hanno assistito alla proiezione;
- Valore creato: emozioni, idee, riflessioni generate dalla proiezione;
 Unità che attraversano il sistema (flow unit) → nel caso della sala cinematografica, le persone
che assistono alla proiezione;
 Rete di attività e buffer* → stoccaggio tra fasi, che permette a ciascuna di svolgersi
indipendentemente.
Nel caso della sala cinematografica abbiamo due attività e due buffer. Spesso, i sistemi sono più
complessi:
- Molteplici processi elementari;
- Interazioni difficili da decifrare;
 Risorse (trasformanti) → Beni tangibili, competenze e capacità individuali e capacità
organizzative che attivano e controllano lo svolgersi dei processi di trasformazione;
 Struttura informativa del sistema → Le prestazioni dei processi vengono monitorate e regolate
tramite una struttura informativa che genera tempestivamente conoscenze utili sullo stato del
sistema. Queste informazioni sono indispensabili per mantenere l’efficienza dei processi al livello
desiderato; inoltre guidano le decisioni sull’allocazione delle risorse.

*Buffer: siti, materiali o immateriali, nei quali le unità che confluiscono nel sistema attendono che il
processo in cui devono entrare sia disponibile per iniziare un nuovo ciclo di lavoro  sono tipologie speciali
di attività che svolgono la funzione di alterare i tempi di attraversamento delle flow unit.
Possono essere:
• Fisici: magazzini, corridoi
• Logici: memorie elettroniche
N.B.: le scorte sono una manifestazione congenita di ogni sistema che genera valore e un importante
indicatore dell’efficienza di ogni processo.
Tipi di processo:
1. Processi monofase  tutte le attività correlate si riducono a un'unica operazione
Processi multifase  prevedono diversi gruppi di attività, collegate attraverso flussi). Un processo
multifase può essere dotato di buffer.

 Quando un processo è multifase possono insorgere problemi di:


- Blocking: si verifica quando le attività di una fase devono interrompersi perché non vi è
luogo dove depositare l'articolo appena completato;
- Starving: si verifica quando le attività di una fase devono interrompersi perché non vi è
lavoro da compiere.
La fase che limita la capacità del processo è detta collo di bottiglia.
Esempio blocking:
 Fase 1: tempo ciclo di 30”; Esempio starving
 Fase 2: tempo ciclo di 45”.  Fase 1: tempo ciclo di 45”;
→ In assenza di buffer, la prima fase  Fase 2: 30”.
sperimenta blocking per 15”. Se l'obiettivo è di → il collo di bottiglia è la prima fase: la
produrre 100 unità, allora per ciascuna la fase 2 rimarrebbe in starving per 15”,
prima fase si blocca per 15 secondi. Se viene ma impiegherebbe sempre 4530” per
2. completare tutte le 100 unità.
Processi aggiunta un buffer? La fase 1 completa le
unità in 3000 secondi (30 secondi/ unità x 100
unità). Durante questi 3000 secondi però, la make-to-order (“su commessa”) 
fase 2 completa solo 66 unità (3000 – 30 vengono attivati solo in risposta a un
secondi / 45 secondi/ unità); questo vuol dire effettivo ordine; le scorte sono ridotte al
che tutte le unità saranno prodotte in 4530; minimo e i tempi di risposta sono
normalmente lunghi.
Processi make-to-stock (“per il magazzino”)  sono finalizzati a generare prodotti standard,
collocati in scorte di prodotti finiti e da lì prelevati per essere consegnati rapidamente al cliente (sono
particolarmente indicati per prodotti stagionali: nella stagione morta si producono le scorte da impiegare
durante il periodo di punta). Un simile processo viene governato sulla base della quantità effettiva o
desiderata di scorte a magazzino (è possibile, ad esempio, stabilire un livello desiderato di scorte per
attivare periodicamente il processo di produzione e soddisfare tale fabbisogno).
Processo ibrido: i prodotti vengono parzialmente prodotti e conservati in un dato momento del
processo, per poi essere completati solo in una fase conclusiva innescata dagli ordini ricevuti;

3. Tempo di ciclo e capacità del processo: il tempo ciclo è il tempo che trascorre tra il completamento
di un’unità ed il completamento dell’unità successiva. Rappresenta la domanda che il processo può
soddisfare e la capacità del processo stesso, oltre che il ritmo del processo (cadenzato o non
cadenzato). Calcolo del tempo ciclo:
• Unità: 1 dollaro
• Tempo ciclo: 15 secondi
Quante dollari vengono processati in un’ora? 60 secondi/ 15 secondi → 4 dollari all'ora. 4x60 = 240.

Misurare le performance dei processi (diversi criteri per calcolare le prestazioni dei processi):
 Tasso di utilizzo: rapporto temporale che esprime l’impiego effettivo di una risorsa in relazione al
tempo teoricamente disponibile allo scopo;
 Produttività: rapporto fra output e input. La produttività totale, di solito, è espressa in unità monetarie
(valore monetario dell'output/ costo di tutti gli input); la produttività dei fattori indica invece la quantità di
output ottenibile da un singolo input e non viene espressa in termini monetari;
 Rendimento (efficiency): rapporto tra l’output reale (effettivo) di un processo e vari parametri standard.
Esempio: macchina che confeziona 30 scatole al minuto; se durante il tempo di effettivo utilizzo
l’addetto produce in realtà 36 scatole, il rendimento è 36/30*100=120%;
 Tempo di produzione: tempo necessario per produrre un lotto di pezzi (tempo richiesto per produrre
ciascuna unità x dimensioni del lotto);
 Tempo di riattrezzaggio (set-up time): tempo richiesto per predisporre una macchina alla produzione
di un determinato articolo;
 Tempo effettivo di lavorazione = TP+TR.
Esempio: se una macchina che produce 30 scatole di cereali al minuto (tempo di produzione=2”) deve
essere reimpostata per operare con scatole da 300g e non più da 350g, con un tempo di riattrezzaggio
di 30 minuti, allora il tempo effettivo di lavorazione per 10000 confezioni da 300g è di 21800 minuti (30
minuti x 60 secondi/ minuto + 2 secondi x 10000 scatole);
 Tempo di attraversamento (flow time/ throughput time): comprende il tempo effettivo di lavorazione
cui è sottoposta un'unità, più il tempo di attesa dovuto a code;
 Throughput rate: ritmo atteso al quale il processo genera output in un orizzonte temporale definito;
Esempio:
- Processo a 6 fasi collegate;
- Tempo ciclo = 30”;
- Tempo attraversamento = 3 minuti; Calcolare il throughput rate in un'ora: TR = 1/tempo ciclo
Unità temporale = 1 ora
TR= 60*60/30 → 120 unità all'ora;
 Indice di flusso (o rapporto di attraversamento): rapporto fra il tempo di attraversamento totale e il
tempo a valore aggiunto, ovvero il tempo utile dedicato alla reale produzione di un'unità di prodotto.

Dimensionamento:
• Potenzialità nominale: numero di unità prodotte per unità di tempo a massimo regime.
• Potenzialità operativa: numero di unità prodotte per unità di tempo durante il “normale” funzionamento
(soste programmate), calcolata su un ciclo produttivo completo.
• Produzione effettiva: media del numero di unità prodotte per unità di tempo in un definito arco
temporale (incluse soste non programmate).

Materiali: WIP e scorte:


In un sistema lineare semplice, i materiali possono trovarsi in uno dei due seguenti stati:
 In transito (work in process): è il materiale in movimento tra le diverse fasi di un processo;
 In stock (scorta): il materiale è tenuto in un’area di stoccaggio in attesa di essere lavorato.

Riduzione del tempo di attraversamento di un processo:
Più a lungo un materiale viene mantenuto in giacenza, più elevati sono i costi di mantenimento; allo stesso
modo, più un cliente attende più bassa è la customer satisfaction → ridurre il tempo di attraversamento di
un processo al minimo è essenziale. Qualche volta questo si può fare acquistando nuove attrezzature; altre
si può intervenire sulle fasi che compongono il processo:
o Esecuzione delle attività in parallelo → l'esecuzione di fasi sequenziali comporta un tempo di
attraversamento complessivo che è la somma di tutti i tempi di fase, più tempi di trasporto e di
attesa tra fasi. Un approccio in parallelo può ridurre il tempo di attraversamento dell'80% e oltre;
o Modifica della sequenza delle attività → in molti casi documenti e prodotti fanno la spola tra
macchine, reparti, uffici ecc. Modificando la sequenza di qualche attività, è possibile espletare
gran parte delle procedure relative al prodotto/ documento quando perviene in un reparto/ ufficio/
ecc. già la prima volta;
o Riduzione delle interruzioni → riduzione degli intervalli di tempo tra un'attività e l'altra.

Bilanciamento:
La potenzialità produttiva del processo nel suo complesso dipende non solo dal dimensionamento
dell’impianto, ma dal bilanciamento della produzione  adeguamento della potenzialità di ciascuna fase a
quella che segue e che precede.
• Bilanciare un processo significa:
– Fare in modo che non vi siano fermi produttivi a causa del fatto che una fase abbia una
capacità insufficiente ad alimentare con costanza la fase successiva à STARVING;
– Evitare che si formino accumuli di semilavorati (WIP) a valle perchè la fase successiva non
riesce a smaltire la produzione che le giunge dalla fase a monte à BLOCKING.
• Un processo è bilanciato se la prima unità e tutte quelle successive operano a pieno regime.

Come bilanciare? Con il Flusso Minimo di Pieno Impiego (FMPI)  minimo ammontare di produzione
che consente di saturare tutte le unità al 100% della rispettiva capacità produttiva ed è dato dal minimo
comune multiplo della capacità produttiva delle singole fasi, espressa in volumi prodotti nell’unità di tempo.

PROGETTAZIONE E SELEZIONE DEI PROCESSI NELLA


PRODUZIONE INDUSTRIALE
 Progettazione: attività tattica di concezione della forma, della struttura e dei meccanismi di un
processo. Come si progetta un processo?
– Posizionare il processo sulla base delle caratteristiche di volumi e varietà;
– Analizzare i dettagli operativi del processo per accertarsi che gli obiettivi siano
effettivamente raggiunti;
 Selezione: decisione strategica di lungo periodo relativa alla scelta della tipologia dei processi
produttivi da impiegare nella realizzazione di un prodotto/ nell'erogazione di un servizio.

Le 4 V dei processi:

SELEZIONE DEI PROCESSI:


Tipi di sistemi produttivi:
La classificazione dei sistemi produttivi può essere delineata seguendo diversi criteri; una prima
classificazione analizza:
 Le modalità con cui si forma la domanda:
o Su commessa singola → l'impresa riceve una serie di ordini diversi per singoli prodotti,
differenziati anche in misura notevole, per i quali la progettazione deve elaborare un
progetto (totale o parziale); altre volte è il cliente a fornire il progetto;
o Su commesse ripetitive → sia imprese sub-fornitrici che realizzano una gamma di prodotti
dalle caratteristiche definite per un gruppo di clienti più o meno stabile, sia imprese che
producono “su catalogo”, ma solo dopo il manifestarsi dell'ordine e per una clientela varia,
prodotti di cui sono definiti in anticipo progetto, cicli, attrezzature, materiali; La disponibilità o
meno del ciclo di lavorazione prima del manifestarsi dell'ordine cliente è uno degli elementi
discriminanti per parlare, rispettivamente, di produzioni su commesse ripetitive o su
commesse singole.
o Produzione per magazzino → l'impresa realizza, prima del manifestarsi degli ordini, volumi
elevati di prodotti (appartenenti a una gamma non molto ampia) che affluiscono attraverso
una rete di distribuzione a un gran numero di clienti anonimi.

 La modalità di realizzazione dell’output:


o Produzioni unitarie → l'attività produttiva è organizzata in funzione dell'ottenimento della
sola quantità richiesta dai singoli ordini;
o Produzioni intermittenti (a lotti) → i prodotti sono realizzati in lotti di entità superiore ai
fabbisogni immediati, in modo da formare scorte destinate ad essere utilizzate in seguito e
da ridurre l’incidenza del tempo di riattrezzaggio delle attrezzature;
o Produzioni continue → flusso ininterrotto prodotti con caratteristiche omogenee nel tempo.

 La struttura della distinta base del prodotto:


o Produzioni per processo (prodotto non scomponibile a ritroso) → produzione
caratterizzata da un ciclo tecnologico ben definito e vincolante (“ciclo tecnologico
obbligato”). Le produzioni per processo comportano in genere rilevanti problemi tecnologici
e di strumentazione di misura, perché trattano grande masse di materiale che subiscono
trasformazioni spesso irreversibili e quindi con alti rischi economici in caso di perdita di
controllo delle variabili rilevanti: è necessario che il controllo di processo sia molto efficiente
e che abbia tempi di risposta molto brevi;
o Produzioni per parti (prodotto smontabile) → il processo produttivo comprende di norma
sia le fasi di fabbricazione che le fasi di montaggio. Questo tipo di produzione è
caratterizzato da una grande varietà nei cicli di lavorazione delle parti componenti (“ciclo
tecnologico non obbligato”). Rispetto alle produzioni per processo, si incontrano maggiori
problemi di progettazione e gestione del sistema produttivo (i problemi di controllo delle
variabili di processo sono talvolta banali o inesistenti).

Un concetto chiave nel processo produttivo è quello di punto di disaccoppiamento fra ordine del cliente e
produzione → determina la posizione delle scorte lungo la supply chain. La scelta della posizione del punto
di disaccoppiamento è una decisione strategica che determina il lead time di risposta al cliente → più è
vicino al cliente, più veloce è la risposta all'ordine cliente, più alto è l'investimento di magazzino, dal
momento che le scorte di beni finiti sono più costose di quelle di materie prime.

Il punto di disaccoppiamento inoltre è importante in relazione ai diversi contesti produttivi:


 Make-to-stock → produzione in imprese che soddisfano la domanda dei clienti con le scorte di
prodotti finiti (tipo di produzione adatta a prodotti standard, a limitata complessità);
 Make-to-order → produzione di prodotti diversificati sin dalle prime fasi di lavorazione, per i quali la
produzione non può iniziare finché l'ordine del committente non viene acquisito;

A seconda del contesto operativo si può prevedere che le scorte siano concentrate a livello di prodotto
finito, a livello di materiali in corso di lavorazione o work-in-process, tra le materie prime in lavorazione,
presso il fornitore:
 In contesti make-to-stock il problema principale consiste nel trovare un equilibrio tra il livello di scorte
di prodotto finito e il livello di servizio al cliente → detenere elevati livelli di scorte di prodotto finito,
infatti, fa aumentare i costi, rendendo necessario un compromesso tra costi di magazzino e il livello
di servizio al cliente. In questo caso si può cercare di prevedere in modo più accurato la domanda,
velocizzare il trasporto, velocizzare o rendere più flessibile la produzione (produzione snella).
 In un contesto make-to-order il punto di disaccoppiamento può essere situato ancora più a monte, a
livello delle materie prime collocate presso l'impianto produttivo o persino presso le scorte del
fornitore.

ORGANIZZAZIONE DEI PROCESSI:


Matrice prodotto-processo:
E’ possibile definire una relazione tra la struttura del processo e i volumi produttivi: nella matrice prodotto-
processo vengono confrontate le caratteristiche dei prodotti processati in termini di mix e volumi, con le
specificità dei flussi idonei alla loro trasformazione.

Da una parte si procede lungo un processo di “standardizzazione”; dall'altra lungo la regolarizzazione del
flusso produttivo; Le realtà che giacciono sulla diagonale che congiunge il vertice alto a sinistra con quello
basso a destra sono tendenzialmente “fisiologiche”; i vertici opposti rappresentano collocazioni “incoerenti”
(l'utilizzo di linee rigide automatizzate nel caso di processi che realizzano gamme di prodotti in volumi
contenuti, ad esempio, significa oneri inutili; simmetricamente, realizzare ampi volumi di prodotti standard
con macchine disomogenee e flussi frammentari, comporta la rinuncia a soddisfare il mercato con
un'offerta maggiormente coerente).

Modelli di sistemi produttivi → i format in base ai quali si struttura un impianto dipendono


dall'organizzazione del flusso del lavoro:
1. Processi a progetto (Postazione fissa) → struttura nella quale il prodotto resta fisso in una
posizione, mentre viene spostata l'attrezzatura necessaria alla sua produzione (in ragione delle
sue dimensioni e del suo peso).
ESEMPIO: costruzione edifici, navi…
– Produzione per unità singole  Elevata varietà, volumi estremamente bassi;
– Successione di prodotti sempre diversi  Personalizzazione del prodotto/servizio;
– Co-progettazione del cliente;
– Cicli di lavorazione non standardizzabili, impiego di risorse flessibili;
– Poiché i progetti che si susseguono sono uno diverso dall’altro, l’integrazione a monte è
una scelta improponibile;
– L’impresa che porta a termine un processo a progetto dovrà confidare sulle competenze di
una vasta rete di fornitori di beni e servizi;
– Le molteplici attività che si susseguono nello svolgimento del progetto devono essere
monitorate e coordinate (project management).

2. Processi per reparti (Job-shop) → macchinari/funzioni simili sono raggruppati in uno stesso
luogo e i prodotti si spostano in base alla sequenza di operazioni stabilita, da un reparto all'altro, a
seconda della collocazione dei macchinari necessari a ogni operazione (flussi fisici complessi).
ESEMPIO: sartorie.
– Attrezzature generiche, ma manodopera altamente qualificata e polivalente;
– Adatta per produzioni in quantitativi ridotti di prodotti non standard (opere su commessa)
 elevata personalizzazione del prodotto/servizio e flessibilità nella risposta alla
differenziazione dei bisogni dei clienti (varietà alta, bassi volumi).

Esempio Self-Service:
o Diversamente dal self-service tradizionale, in cui
le scelte sono relativamente obbligate, il cliente
può scegliere tra una maggiore varietà di cibi e
spesso può decidere sulla quantità prelevata;
o Il layout del ristorante è per reparto e i clienti,
ciascuno dei quali costituisce un job (che va
eseguito con modalità specifiche), si muovono
da un reparto all’altro per comporre il pasto
desiderato;
o La varietà dei prodotti/servizi è molto alta, non vi
sono sequenze rigide di lavorazione, le risorse
sono decisamente flessibili.

3. Processi a lotti/celle (Batch process) → le macchine sono organizzate per omogeneità di


prodotti lavorati e non esistono, in genere, flussi tra cella e cella; queste celle sono progettate per
eseguire una serie specifica di processi e si occupano di una famiglia limitata di prodotti;
ESEMPIO: abbigliamento.
– Il sistema di produzione è attraversato da successioni di lotti, ciascuno dei quali riferito a
modelli di prodotto diversi;
– Elevata varietà di modelli e prodotti, anche se inferiore ad un processo per reparti. I volumi
sono più elevati;
– Il sistema di produzione deve mantenere una elevata flessibilità sia in termini di mix di
produzione, sia di volumi globali;
– I flussi, anche se intermittenti in quanto interrotti da riattrezzaggi delle macchine, seguono
una “linea tipo” (seguono tutti lo stesso percorso da un reparto all’altro).

4. Processi di massa (Linea di assemblaggio) → i prodotti vengono costruiti spostandoli da una


postazione di lavoro all'altra a un ritmo controllato, seguendo la sequenza di produzione;
ESEMPIO: assemblaggio auto, elettrodomestici…
– Pochi modelli prodotti in quantità elevate  bassa varietà, elevati volumi;
– Le varianti sono codificate (il cliente non può chiedere modifiche);
– L’elevato investimento in capitale richiesto per dedicare una linea alla fabbricazione di
poche varianti di prodotto è giustificata dall’elevato rendimento fisico-tecnico di questa
organizzazione produttiva.

5. Processi in continuo → trasforma a ciclo continuo le materie prime in prodotti finiti (beni
standard).
ESEMPIO: industria chimica, petrolio, energia elettrica…
– Altamente automatizzata à un’unica grande macchina e di grande dimensione (alta
intensità di capitale investito);
– Ciclo tecnologicamente obbligato;
– Prevalgono le problematiche tecnologiche;
– Le imprese che operano con questi impianti seguono la strategia make-to-stock;
– I programmi di produzione trascurano le oscillazioni della domanda a breve.

Layout dei processi


Un progetto ben sequenziato di attività risulta inefficiente se le attività stesse sono fisicamente
posizionate in modo da comportare movimenti eccessivi di:
- Informazioni;
- Materiali;
- Clienti;
L’obiettivo della progettazione del layout è quello di minimizzare gli spostamenti.
Layout  disposizione planimetrica delle risorse impiegate nel processo.

Variabili da considerare nella progettazione del layout:


– Sequenza e criteri di accorpamento di attività;
– Organizzazione dei flussi e logistica interna;
– Predisposizione delle postazioni e delle attrezzature;
– Organizzazione delle mansioni;
– L’efficienza del processo dipende dal layout: efficienza nella movimentazione, flessibilità (più
lavorazioni per postazione), saturazione (diverse postazioni per la stessa lavorazione), ergonomia,
sviluppo e apprendimento da parte del personale.

1. Layout a postazione fissa → i materiali e i macchinari sono disposti concentricamente tutti attorno al
punto in cui avviene la produzione in ordine di utilizzo/difficoltà di spostamento/priorità di assemblaggio.
La variabile cruciale in questo tipo di progettazione è la pianificazione accurata dell’approvvigionamento
e della movimentazione delle risorse, la cui indisponibilità può bloccare il processo;
 ESEMPIO: prodotto statico come navi, film…  Tipica dei processi a progetto.

2. Layout per reparto → occorre disporre i reparti in modo da ottimizzare lo spostamento del materiale
(deve esserci un notevole flusso di merci tra reparti adiacenti).
 ESEMPIO: ospedale, supermercato…
– Vantaggi: grande flessibilità di risposta a richieste frazionate ed eterogenee,
personalizzazione, qualità elevata; 
– Svantaggi: bassa efficienza (impiego di risorse generiche), lunghi tempi di attraversamento,
cospicue risorse WIP.

3. Layout a celle → occorre posizionare macchinari diversi in celle progettate per lavorare su prodotti
simili che richiedono processi produttivi analoghi. L’input del processo viene dirottato verso quella cella
in cui si effettua la classe di attività richiesta dall’input. Rappresenta un buon compromesso tra varietà
ed efficienza (varietà, linearità dei flussi).
 ESEMPIO: industria meccanica, realizzazione chip…

4. Layout di linea (per prodotto) → realizzare un prodotto attraverso una serie di step, definiti “stazioni”,
collegati in genere da sistemi per la movimentazione del materiale. Generalmente, le linee sono a ritmo
imposto, ovvero progettate per avere un ritmo regolare che permette il controllo del tempo di
lavorazione in ciascuna stazione.
 ESEMPIO: assemblaggio di beni durevoli di consumo (auto, elettrodomestici…).

5. Layout per processo continuo → simile al layout di linea tranne per il fatto che il prodotto si muove
ininterrottamente lungo il processo.
 ESEMPIO: spesso beni liquidi come il petrolio.
PROGETTAZIONE DELLA SUPPLY CHAIN
 Come gestire la complessità delle relazioni di filiera?
 Quali sono le decisioni rilevanti per attivare rapporti di fornitura?
 Come si valutano le prestazioni e le competenze dei supplier?
 Come si identifica il fit tra supplier e fabbisogno dell’impresa?
 Quale ruolo rivestono i fornitori nella generazione di valore?

 Supply chain  concatenazione di imprese legate tra loro lungo una filiera.
 Supply chain management  consiste in un approccio sistemico alla gestione dell'intero flusso di
informazioni, materiali e servizi, dalle materie prime provenienti dai fornitori, attraverso le fabbriche e i
magazzini, fino ai clienti finali.

 Oggi, il SCM è un tema centrale visti i vantaggi competitivi ottenuti da alcune imprese dal modo in
cui configurano e gestiscono le proprie operations lungo la supply chain.
ESEMPIO: Dell Computer salta le fasi di distribuzione e vendita al dettaglio, tipiche della supply
chain di un produttore, piazzando gli ordini tramite vendita diretta/ raccogliendoli via Internet.

Un modello di supply chain valido per un'impresa può non funzionare in un'altra  il modello di
Dell, ad esempio, non può funzionare per imprese alimentari, per cui il costo di trasporto al
singolo cliente sarebbe superiore al costo del prodotto stesso.

Misurare le performance della supply chain:


Un modo per rappresentare la SC è quello di focalizzarsi sul ruolo delle scorte presenti nel sistema:
- Fungono da buffer;
- Poiché le scorte immobilizzano capitali, è importante minimizzare le dimensioni di questi buffer.

 L'efficienza della supply chain può essere misurata in base all'entità del relativo investimento in scorte,
misurato in relazione al costo totale delle merci fornite attraverso la supply chain.

Indici per valutare l'efficienza della supply chain:


1. indice di rotazione del magazzino = valore merci vendute/ valore medio scorte in magazzino;
2. indice di copertura (reciproco dell’indice di rotazione) = valore medio scorte in magazzino/ valore
merci vendute.

Valore merci vendute  costo annuo sostenuto dall'azienda per produrre i beni o servizi forniti al
cliente finale (non comprende costi connessi alla vendita né amministrativi)
Valore medio scorte in magazzino  valore totale di tutti gli articoli mantenuti a magazzino,
valorizzato al costo (comprende le materie prime, le scorte WIP, i prodotti finiti e le scorte della
distribuzione se di proprietà dell'azienda).

Strategie di progettazione della supply chain:


Marshall Fisher: “possono esistere relazioni antagoniste fra gli attori della supply chain, e anche prassi di
settore disfunzionali, quali il ricorso sistematico alle promozioni di prezzo”.

PROBLEMA:
Bullwhip effect: descrive la variabilità della domanda che aumenta man mano che ci si muove dal cliente
finale al produttore lungo la supply chain.
 Segnala la mancanza di sincronizzazione tra gli attori della filiera (persino una lieve variazione nelle
vendite al consumatore si ripercuote a ritroso, ampliando via via le oscillazioni a monte).
 Poiché il comportamento dell'offerta non rispecchia il comportamento della domanda, in certe fasi ne
derivano accumuli di scorte e, in altri, carenze e ritardi.
SOLUZIONE:
Continuous replenishment (CR): tecnica di gestione delle scorte tra produttore e dettagliante per livellare
il flusso di materiali lungo la supply chain:
 Il dettagliante mette a disposizione del produttore quotidianamente dati riguardanti il suo magazzino e le
vendite effettuate.
 Il produttore usa queste informazioni per prevedere la domanda futura e mantenere le scorte del
dettagliante ad un livello congiuntamente stabilito.
– Per realizzare questo sistema occorre implementare dei sistemi, a volte complessi, per lo
scambio di informazioni;
– Il vantaggio per il produttore è in termini di efficienza della supply chain;
– Il vantaggio per il dettagliante è rappresentato dalla conseguente riduzione di scorte.

 Fisher ha ideato uno schema per aiutare i manager a definire la natura della domanda dei loro prodotti,
al fine di configurare la supply chain più adatta  ha classificato i prodotti in due categorie:
1. Prodotti prevalentemente funzionali: articoli con distribuzione intensiva, che rispondono a
bisogni base che non mutano nel tempo (domanda stabile).
La loro stabilità genera concorrenza e si associa a margini ridotti.
Gli specifici criteri proposti da Fisher per identificare i prodotti funzionali sono:
- Durata del ciclo di vita del prodotto superiore a due anni;
- Margine di profitto dal 5 al 20%;
- Modifiche di prodotto comprese tra 10 e 20;
- Errore di previsione all'atto di produzione del 10%;
ESEMPIO: negozi di alimentari…
2. Prodotti prevalentemente innovativi: presentano innovazioni/ variazioni rispetto alla
concorrenza al fine di evitare i bassi margini tipici dei prodotti funzionali.
Hanno un ciclo di vita breve, elevata incertezza e difficile prevedibilità (devono essere
costantemente innovati poiché i competitori erodono velocemente il vantaggio competitivo).
ESEMPIO: capi di abbigliamento firmati, pc…

 Lee ha approfondito queste idee, soffermandosi sugli elementi di incertezza che concernono l'“offerta”:
1. Supply process stabili: il processo produttivo e la tecnologia sottostante sono giunti a maturità
(la complessità della produzione risulta generalmente ridotta o gestibile, con processi
manifatturieri altamente automatizzati) e il sistema di offerta è ben delineato (contratti di fornitura
a lungo termine);
2. Supply process in evoluzione: il processo produttivo e la tecnologia sottostante sono ancora in
fase di sviluppo/ rapido cambiamento, il che può comportare un'offerta limitata (sotto il profilo
delle dimensioni e dell'esperienza)/ non affidabile perché connotata da fornitori spesso ancora
impiegati in innovazione di processo.

 Secondo Lee, tendenzialmente i prodotti funzionali hanno supply process più maturi e stabili.

Lee ha individuato quattro alternative strategiche per la supply chain:


1. Supply chain efficienti: puntano alla massima efficienza in termini di costo:
–Eliminando le attività non a valore aggiunto;
–Perseguendo economie di scala;
–Sviluppando tecniche di ottimizzazione volte a massimizzare l'utilizzo delle capacità produttive/
distributive;
–Attivando collegamenti informatici che assicurino lo scambio di informazioni lungo la supply
chain nel modo migliore;
2. Supply chain orientate alla copertura del rischio: utilizzano strategie mirate a porre in
compartecipazione le risorse all'interno della filiera, così da condividere anche il rischio di
interruzione della fornitura e i costi di mantenimento. Questo approccio strategico è piuttosto
diffuso nel dettaglio, dove più rivenditori o concessionari attingono da scorte comuni; l'information
technology è fondamentale al fine di contenere i costi connessi alla gestione e al trasferimento di
merci fra partner che condividono le medesime scorte;
3. Supply chain reattive: utilizzano strategie basate sulla reattività e sulla flessibilità allo scopo di far
fronte alla varietà e variabilità dei bisogni della clientela. Per essere reattive, le imprese si servono
di approcci build-to-order e di mass customization, adatti a soddisfare le specifiche richieste del
mercato;
4. Supply chain agili: utilizzano strategie volte alla reattività e alla flessibilità, in cui le scorte di
magazzino e altre risorse di capacità sono condivise per far fronte al rischio di mancanza di scorte
o di interruzione dell'offerta → attuano strategie che assommano i punti di forza delle supply chain
“orientate alla copertura” e di quelle “reattive”.

Aspetti chiave nella gestione della filiera:


 Make or buy? → insourcing vs. outsourcing:
Numerosi fattori concorrono al posizionamento dell’impresa nella propria filiera (passato, know-how,
valutazioni economiche...) → Il posizionamento dell’impresa nella propria filiera è una delle fonti del
vantaggio competitivo;
 Se “Buy”:
- Selezione dei fornitori;
- Politiche di fornitura.
 la valutazione basata sui costi di fornitura è un criterio sempre valido?

Outsourcing:
 scelta di demandare determinate attività e responsabilità decisionali interne all'azienda a fornitori esterni
 non comporta solo il trasferimento delle attività, ma anche delle risorse (personale, strutture,
attrezzature, tecnologia, ecc.) e delle responsabilità decisionali.

Motivazioni e benefici dell'outsourcing:


• Motivazioni aziendali generali:
– Incremento di efficacia in virtù della focalizzazione su ciò che si sa fare meglio
– Aumento della flessibilità per adeguarsi al mercato
– Trasformazione dell’organizzazione aziendale
• Il miglioramento:
– Migliora le prestazioni operative (qualità, produttività, tempi-ciclo)
– Garantisce competenze, abilità e tecnologie non reperibili facilmente
– Migliora la gestione ed il controllo interni
– Migliora la gestione del rischio
– Permette di acquisire idee innovative
• Motivazioni finanziarie:
– Riduce investimenti in asset
– Genera liquidità trasferendo asset al fornitore
• Incremento dei ricavi:
– Aumenta il potenziale di accesso a nuovi mercati attraverso la rete del fornitore
– Accelera l’espansione grazie all’utilizzo di capacità “pronta”
– Sfrutta competenze commerciali esistenti
• Costi:
– Riduzione dei costi (compressione costi fornitore)
– Converte i costi fissi in variabili
I costi di fornitura:
- Costi di transazione: avvio della relazione, sostituzione del fornitore, coordinamento e
negoziazione…;
- Costi di gestione delle scorte: costi di mantenimento a scorta, costo/opportunità delle
immobilizzazioni, obsolescenza e deperimento...;
- Costo di qualità della fornitura: difettosità, livello tecnico, capacità innovativa...;
- Costi di competitività?

Obiettivi del fornitore vs. obiettivi del cliente:


Il cliente chiede al fornitore: Il fornitore chiede al cliente:
- Soluzioni chiavi in mano; - Condivisione del market intelligence;
- Condivisione strategie sviluppi futuri; - Assicurazioni su durata/ sviluppi della relazione;
- Assunzioni rischi R&D e contributo sviluppo nuovi - Protezione opere dell'ingegno;
prodotti; - Incentivi alla R&D;
- Elevata performance; - Condivisione dei rischi dell'innovazione
- Prossimità logistica e “spirituale”

Schema decisionale per strutturare le relazioni con i fornitori: cosa esternalizzare?


La decisione si spinge ben al di là dell'idea che le competenze core debbano essere mantenute sotto il
controllo diretto del management e che le altre attività debbano essere esternalizzate  Lo spazio
decisionale è costituito da un ampio intervallo che va dall'integrazione verticale alla relazione tra entità
indipendenti. Un'attività può essere valutata sulla base di:
 Coordinamento richiesto  maggiore o minore difficoltà di integrare un’attività all’interno del
processo complessivo (le attività incerte che richiedono scambi continui di informazione non
dovrebbero essere date in outsourcing);
 Controllo strategico  gravità della perdita che la società potrebbe subire se il rapporto con il
partner fosse interrotto (investimenti che non possono essere recuperati come collocazione di
stabilimenti specializzati, programmi di R&S specializzati…);
 Proprietà intellettuale: potenziale rinuncia attraverso la relazione con i fornitori.

Global sourcing:
Le aziende cui toccano una serie di decisioni riguardo il sourcing, la produzione e la distribuzione devono
ponderare i costi relativi a materiali, trasporto, produzione, magazzino e distribuzione per sviluppare una
rete infrastrutturale globale volta a minimizzare i costi.

Ted Levitt (1983): “globalizzazione come omogeneizzazione degli stili di vita dei consumatori dovuto al
rapido sviluppo dei sistemi di comunicazione e alla convergenza verso standard di consumo (e reddito).”
 Il concetto ha assunto, negli anni e secondo i contesti, diversi significati, il cui minimo comune
denominatore è di natura economica: «The most common or core sense of globalization refers
to the observation that in recent years quickly rising share of economic activity in the world
seems to be taking place between people who live in different countries».

Le 10 forze che hanno appiattito il mondo secondo T. Friedman sono: il crollo del Muro, Netscape,
Automazione, Open Sourcing, Outsourcing, Offshoring, Supply chaining, insourcing, informing, gli “steoridi”
(computer, reti e telefoni).
 La tecnologia è l'elemento principale del quadro delineato da Friedman, aumentando la
connettività globale.

Facendo una stima dell'internazionalizzazione di una serie di attività quotidiane e di business si è notato
che in realtà il mondo non è piatto.

Mass customization (personalizzazione di massa):


 capacità di offrire prodotti/servizi altamente personalizzati a diversi clienti in tutto il mondo, da parte di
un'azienda.

La chiave è il postponement  la differenziazione del prodotto è lasciata all’ultimo punto utile della supply
chain (→ riconfigurazione dell'intero supply network).

La mass customization è possibile se:


1. Modularità nella produzione: un prodotto è progettato in modo da consistere in moduli
indipendenti, i quali possano essere assemblati facilmente ed economicamente in forme diverse;
2. Modularità nei processi: i processi produttivi e di erogazione del servizio devono consistere di
moduli indipendenti, i quali possano essere spostati o riconfigurati facilmente, per supportare
diversi progetti di rete distributiva;
3. Il supply network (posizionamento delle scorte e localizzazione, numero e caratteristiche delle
infrastrutture di servizio, di produzione e dei centri di distribuzione) è progettato in modo da:
– Essere in grado di fornire il prodotto base alle strutture adibite alla personalizzazione in
maniera economicamente efficiente;
– Avere la flessibilità/ reattività necessarie ad acquisire gli ordini di ogni singolo cliente e
consegnare il prodotto finito personalizzato rapidamente.

La mass customization permette a un'impresa di:


– Offrire al segmento o al singolo individuo un prodotto differenziato;
– Contenere i costi (conseguendo economie di scala, ma mantenendo una presenza locale);
– Produrre industrialmente e non artigianalmente prodotti personalizzati.

GESTIONE STRATEGICA DELLA CAPACITÀ


La pianificazione della capacità richiede decisioni di investimento in capacità produttiva che allineino la
capacità delle risorse impiegate alla domanda prevista sul lungo periodo → quantità di output che un
sistema è in grado di realizzare in un dato tempo.
o Quanto tempo per portare la nuova capacità a regime?
o Quali conseguenze del non avere capacità sufficiente per un prodotto promettente?
o È opportuno ricorrere a partner esterni?

Nel gestire la capacità solitamente le imprese la fissano ad un livello base che viene poi aggiustato per
rispondere alle fluttuazioni della domanda  il livello base viene deciso guardando alle tendenze di fondo
della domanda, mentre gli aggiustamenti riflettono variazioni stagionali e di breve-brevissimo periodo

Aspetti da considerare nella pianificazione della capacità produttiva:


1. Economie di scala: all'aumentare delle dimensioni dello stabilimento il costo medio per unità
diminuisce.
 In parte ciò si deve alla riduzione del costo di esercizio e del costo del capitale investito (perché
una macchina con capacità doppia rispetto a un'altra non ha costo di acquisto doppio);
 Gli stabilimenti guadagnano in efficienza quando raggiungono dimensioni tali da poter sfruttare
pienamente le risorse destinate ad attività;
 Se lo stabilimento si sviluppa oltremisura, può insorgere il problema delle diseconomie di
scala. Cause:
 Raggiungere il livello di domanda necessario a mantenere operativo un impianto
enorme può richiedere significativi sconti sul prodotto;
 Impiego solo parziale di macchine ad alta capacità.
 In molti casi la dimensione dell'impianto può essere influenzata da fattori diversi da quelli interni
(es: il costo di trasporto delle materie prime da e per l'impianto).

2. Curva d'esperienza → più producono, più gli stabilimenti acquisiscono esperienza circa i metodi di
produzione migliori, riducendo così in misura stimabile i costi di produzione  ogni volta che la
produzione cumulata di uno stabilimento aumenta, i suoi costi di produzione scendono di una specifica
percentuale (tasso di apprendimento).

Stabilimenti più grandi possono quindi godere di un duplice vantaggio sulla concorrenza  non solo
uno stabilimento più grande beneficerà di economie di scala, ma produrrà anche in quantità maggiori,
acquisendo un ulteriore vantaggio in termini di curva di esperienza.
Per il suo successo, tuttavia, sono necessarie due condizioni:
- Il prodotto deve essere idoneo alle richieste della clientela
- La domanda deve essere sufficientemente elevata da giustificare le dimensioni dell'impianto.

3. Capacità produttiva flessibile → capacità di aumentare o diminuire rapidamente i livelli di produzione,


o di trasferire speditamente la capacità produttiva da un prodotto/ servizio all'altro.
Si raggiunge per mezzo di:
 Stabilimenti flessibili: riconfigurazione in tempo zero grazie ad apparecchiature mobili, pareti
smontabili…;
 Processi flessibili: caratterizzati dal ricorso a macchinari a riattrezzaggio rapido (tipico delle
economie di scopo);
 Forza lavoro flessibile: possiede competenze plurime e la capacità di muoversi facilmente tra
una mansione e l'altra (richiede una formazione più estesa della forza lavoro specializzata, e ha
bisogno che i manager e il personale di staff ne agevolino la pronta riassegnazione ad altri
incarichi).

Aumentare la capacità produttiva:


Al momento di incrementare la capacità produttiva vanno considerati, oltre alle economie di scala, alle
curve di esperienza e alla flessibilità, tre aspetti basilari:
1. Mantenimento dell'equilibrio di sistema: in uno stabilimento perfettamente bilanciato, l'output
di ciascuna fase è esattamente uguale all'esatto fabbisogno di input per la fase successiva.
Nella prassi operativa, di solito, questa prassi non è possibile/ auspicabile (perché il livello
operativo ottimale varia da fase a fase e la variabilità nella domanda di prodotto e negli stessi
processi provoca squilibri).
Metodi per governare lo squilibrio:
 aggiungere capacità alle fasi che sono collo di bottiglia (attraverso misure temporanee
come la programmazione di straordinari, il noleggio di attrezzature, l'acquisto di
capacità addizionali mediante subforniture);
 predisporre scorte polmone presso il collo di bottiglia, di modo che in quella fase non
avvengano mai interruzioni;
 raddoppiare le strutture di un reparto dal quale dipende un altro reparto.

2. Frequenza dell'incremento di capacità: due ordini di costo:


 adeguamenti troppo ravvicinati sono dispendiosi (rimozione e sostituzione delle vecchie
apparecchiature, formazione degli addetti preposti alle nuove, costo di acquisto delle
nuove attrezzature, costo opportunità derivante dal mancato utilizzo dell'impianto/ della
struttura erogante il servizio);
 aggiornamenti scarsamente frequenti che comportano l'acquisto di capacità in porzioni più
massicce sono altrettanto dispendiosi perché la capacità in esubero deve essere
mantenuta insatura fino al suo ottimale utilizzo;

3. Fonti di capacità esterne: in alcune situazioni può essere più conveniente usare qualche fonte
di capacità esterna già esistente. Due strategie comunemente utilizzate sono:
- Outsourcing
- condivisione delle capacità.

Determinare il fabbisogno di capacità produttiva:


→ bisogna saper prevedere la domanda, compiendo i seguenti passi:
1. Usare tecniche di previsione, per prevedere le vendite dei singoli prodotti di ogni linea di prodotto;
2. Calcolare il fabbisogno di attrezzature/ manodopera;
3. Proiettare tale disponibilità di attrezzature/ manodopera lungo l'orizzonte di pianificazione.
Al fine di ridurre i rischi, spesso l'impresa decide di mantenere una certa capacità cuscinetto (intermedia
fra le proiezioni del fabbisogno e la capacità reale, ossia eccedente la domanda attesa).

Pianificare capacità produttiva nei servizi:


Rispetto al settore manifatturiero, dipende maggiormente dai fattori:
 Tempo: non potendo essere conservati per un uso futuro richiedono una capacità produttiva
immediatamente disponibile all'occorrenza;
 Luogo: la capacità nei servizi deve essere localizzata presso il cliente quando gli occorre;
 Volatilità della domanda → significativamente superiore rispetto a un sistema di produzione
manifatturiera per tre ragioni:
– I servizi non possono essere conservati, quindi le scorte non possono soddisfare la domanda;
– I clienti interagiscono con la produzione (hanno esigenze diverse, sperimentano diversi livelli di
esperienza, possono richiedere diversi quantitativi di transazioni);
– Influenza diretta del comportamento del consumatore sulla domanda stessa (condizioni
metereologiche, cause di forza maggiore…).
Nei servizi è essenziale considerare l’effetto delle variazioni della capacità sulla qualità del servizio offerto.
Gestire il mismatch tra domanda e capacità:
Tre metodologie “standard” per rispondere alla variabilità della domanda:
 Livellamento: la capacità dei processi viene fissata ad un livello costante per il periodo di
pianificazione prestabilito, mentre le fluttuazioni della domanda non sono prese in considerazione
(assorbe le fluttuazioni).
- Vantaggi: utilizzo costante e razionale delle risorse;
- Svantaggi: costi legati all'investimento in scorte di prodotti finiti e sottoutilizzo;
 Inseguire la domanda: adeguamento della capacità per seguire le fluttuazioni della domanda
(comporta variazioni del n. di addetti, dei turni e degli orari di lavoro, delle dimensioni degli impianti).
- Vantaggi: riduzione delle scorte di prodotti finiti;
- Svantaggi: complessità nella gestione di variazioni di organico e gestione “flessibile” della
forza lavoro;
 Gestire la domanda: tenta di modificare la domanda per ridurre le fluttuazioni e per avvicinarla il più
possibile alla capacità produttiva, con varie azioni di marketing:
- Politiche di prezzo;
- Politiche commerciali e pubblicità;
- Vincolare l'accesso/ Liste d’attesa (backlog);
- Prodotti complementari.

Altri metodi:
• Lavoro straordinario
• Fornitori esterni (terzisti)
• Scorte  l’impresa può utilizzare la capacità in eccesso per accumulare scorte di prodotto finito che
verranno utilizzate nelle fasi in cui la capacità è inferiore alla domanda;
• Backorders (consegne dilazionate)  nelle fasi di picco, i clienti possono accettare di essere
inseriti in lista d’attesa purché ciò non implichi eccessive dilazioni nei tempi di consegna
• Assunzioni o licenziamenti  l’impresa può accrescere la capacità assumendo nuovi addetti o
diminuirla licenziandoli.

Yield management:
Perché il vostro vicino di aereo ha pagato il biglietto la metà rispetto a voi?
Perché la camera prenotata last minute costa meno di quella prenotata sei mesi prima?
 Lo YM è il processo mediante il qual il “tipo giusto” di capacità viene destinato al tipo giusto di
clientela, al prezzo giusto, con il costo giusto, allo scopo di massimizzare le entrate o il rendimento.
 Necessariamente, lo YM esiste in quanto è limitata la capacità di servire i clienti. Esempio: Revenue
management di compagnie aeree; elementi fondamentali:

Problematiche di YM:
- Struttura di prezzo che deve apparire logica al cliente;
- Capacità produttiva: sconti per stimolare la domanda nei periodi di bassa stagionalità o per spostare
la domanda da periodi di congestione;
- Riserve di capacità e preparazione del personale.

JUST-IN-TIME E LEAN SYSTEM


Excursus storico: le origini del JIT risalgono all'inizio del Novecento  Henry Ford utilizzò i concetti del
JIT per sveltire le catene di montaggio impiegate nella fabbricazione delle sue auto. Elementi del JIT
compaiono anche nell'industria giapponese degli anni Trenta, ma l'approccio è perfezionato negli anni
Settanta, quando Taichi Ohno, di Toyota, ricorre al JIT per conseguire il primato nella puntualità di
consegna/ qualità. Il termine lean ha progressivamente sostituito l'espressione JIT, per evidenziare
l'obiettivo di eliminare sistematicamente qualsiasi spreco.

Definizione: insieme integrato di attività progettato per ottenere elevati volumi di produzione usando scorte
minime di materiale, WIP e scorte di prodotto finito. L'obiettivo è quello di non produrre niente che non sia
richiesto dal mercato  le parti arrivano alla stazione di lavoro successiva “just in time”, dopodiché sono
lavorate e fluiscono rapidamente attraverso la fabbrica.
 Quando un articolo viene venduto, il mercato “tira” una richiesta dall'ultima stazione del sistema;
questa innesca l'ordine alla linea di produzione, dove un addetto “tira” un'altra unità da una
stazione a monte nel flusso per rimpiazzare l'unità fuoriuscita. La stazione a monte, a sua volta,
“tira” dalla stazione immediatamente a monte, e così a ritroso fino al punto di immissione delle
materie prime nel flusso. Sono necessari elevati livelli di qualità a ogni stadio.

Obiettivi:
– Focalizzazione sulle fasi produttive ad alto valore ed incremento di quest’ultimo
– Eliminazione delle fonti di inefficienza
– Snellimento delle procedure decisionali

Sistema di produzione Toyota: innestato su due filosofie cardine della cultura nipponica:
1. Eliminazione degli sprechi*: nella definizione del presidente Toyota “qualsiasi cosa diversa dal
quantitativo minimo di attrezzature, materiali, parti e addetti (ore di lavoro) che sono assolutamente
necessari alla produzione”. Esistono sette principali tipi di spreco:
• Sovra-produzione;
• Tempi d’attesa;
• Trasporti;
• Scorte;
• Processi;
• Movimentazioni;
• Difettosità;
2. Rispetto per le persone: garantire quante più assunzioni “a vita” possibili e puntare a mantenere il
livello dei salari anche in caso di congiunture sfavorevoli → i lavoratori dipendenti, avendo la sicurezza
del posto di lavoro, tendono a essere più flessibili, a rimanere fedeli alla stessa azienda e a fare tutto
quanto in loro potere per supportarla nel conseguimento dei suoi obiettivi.
Un altro elemento sono i premi/ bonus, che nelle annate buone vengono dati a tutti i dipendenti → i
lavoratori sanno che, se l'azienda va bene, riceveranno i bonus, e ciò li incoraggia a migliorare la
produttività.
Infine, la Toyota da grande peso ai network di subfornitori, instaurando partnership di lungo periodo.

*Value stream mapping


 Tecnica sempre più usata per eliminare gli sprechi in un processo. È un metodo grafico utilizzato per
analizzare i punti di processo in cui si effettuano attività a valore aggiunto e non.

Strumenti del value stream, che conducono all'eliminazione degli sprechi:


1. Network di fabbriche focalizzate: si prediligono piccoli impianti specializzati;
2. Group technology: accorpare in gruppi omogenei le parti simili e organizzare i processi produttivi di
tali parti in celle di lavoro specializzate, eliminando i tempi di movimentazione/ coda fra operazioni,
riducendo le scorte e il numero di addetti necessari (che devono essere polivalenti per poter gestire
più macchine e processi diversi).
 invece di spostare i lotti da un reparto specializzato all'altro, si integra il ciclo di operazioni
necessario per produrre una parte e si aggregano i materiali necessari.
3. Qualità alla fonte: gli operai di fabbrica sono direttamente responsabili della qualità dei loro output e
sono tenuti a bloccare immediatamente il processo se il ritmo è eccessivamente veloce, se viene
riscontrata una non conformità, se viene scoperto un problema di sicurezza, ecc.;
4. Produzione JIT: produrre solo quanto occorre quando occorre  si applica a produzioni ripetitive.
In ambiente JIT la dimensione ideale del lotto è uno  i fornitori possono effettuare consegne ai
propri clienti anche più volte al giorno, per mantenere ridotte le dimensioni dei lotti e delle scorte.
Lo scopo è di portare a zero tutte le scorte in coda, minimizzando in tal modo gli investimenti in
giacenze e accorciando i lead time.
Mantenendo il livello di scorte basso, inoltre, è possibile evidenziare e correggere da subito le
imperfezioni;
5. Livellamento dei carichi di stabilimento: livellare i flussi di produzione per ridurre le variazioni nella
programmazione (es: produrre poco ogni giorni così da avere un po’ di tutto sempre per
fronteggiare variazioni della domanda);
6. Controllo di produzione, attuato con sistemi kanban (“segnale” in giapponese): sistemi di controllo
delle scorte che utilizzano dispositivi segnaletici per regolare i flussi. Kanban pull system: sistema di
controllo kanban in cui l'autorizzazione a produrre/ a fornire pezzi proviene dalle operazioni di valle;
7. Minimizzazione dei tempi di riattrezzaggio: le macchine devono essere riattrezzate velocemente per
produrre in modalità mixed model: i set-up interni devono essere compiuti a macchina ferma, quelli
esterni possono essere compiuti con macchina in marcia.
Requisiti per l'applicazione della lean production:
 Layout e progettazione flussi → esige un layout di stabilimento progettato in modo da garantire un
flusso produttivo bilanciato e la minimizzazione del WIP: le capacità produttive sono bilanciate come
in una catena di montaggi, i reparti sono legati da approcci di gestione pull; oltre a ciò il progettista
deve tenere in considerazione i legami tra layout e profili rilevanti della logistica interna ed esterna.
Manutenzione preventiva: ispezioni e riparazioni periodiche progettate per mantenere l'affidabilità
dei macchinari. Anche il contenimento dei tempi di riattrezzaggio e di changeover è necessario per
mantenere i flussi livellati;
 Applicazione della LP nei flussi in linea → quando un prodotto/ un componente viene “tirato” da
valle, le operations di monte “tirano” a loro volta un'unità di reintegro (modalità di gestione a ritroso);
 Applicazione della LP nei flussi job-shop (bassi volumi e grande varietà) → è possibile applicare
le tecniche lean se la domanda può essere stabilizzata così da ottenere un processo di
fabbricazione ripetitivo;
 Total quality control → si basa sulla costruzione della qualità lungo il processo e non considera la
qualità come il frutto di controlli ispettivi. Teorizza che gli addetti siano responsabili del proprio
lavoro  quando gli operai sono responsabili della qualità, la lean production funziona al meglio
perché solo i prodotti di buona qualità sono “tirati” lungo il sistema (se tutti i prodotti sono conformi
inoltre, non occorrono sovra-scorte “just in case”).
 Programmazione stabile → la lean production richiede una programmazione stabile, proiettata su
un arco temporale considerevole. Questo risultato è frutto di:
- Scheduling livellato: i materiali devono essere “tirati” nelle fasi finali di assemblaggio con una
cadenza sufficientemente uniforme da consentire alle varie risorse produttive di rispondere
ai segnali pull;
- Orizzonte congelato: identifica il periodo di tempo durante il quale la programmazione è
congelata (confermata) e non sono ammesse ulteriori variazioni;
- Sovra-capacità: la copertura dei problemi produttivi è fornita da lavoro straordinario e non da
scorte;
 Lavorare con i fornitori → se un'azienda rende i fornitori partecipi del proprio fabbisogno di risorse,
questi disporranno di una previsione di domanda a lungo termine da impiegarsi nel loro sistema
produttivo e distributivo. Confidando nell'impegno del fornitore sull'affidabilità delle consegne,
l'azienda può anche permettersi di ridurre le scorte buffer;
 Costruire una lean supply chain → linee guida per l'implementazione di una lean supply chain:
- Il valore e il costo devono essere definiti per ciascuna linea di prodotto;
- Tutte le imprese lungo il value stream devono realizzare un rendimento adeguato sugli
investimenti relativi al value stream;
- Le imprese devono collaborare per ridurre gli sprechi e raggiungere l'obiettivo di costo
complessivo;
- Al raggiungimento degli obiettivi di costo, le imprese devono immediatamente condurre nuove
analisi per identificare sprechi residui e fissare nuovi obiettivi;
- Tutte le imprese partecipanti hanno il diritto di esaminare tutte le attività di tutte le imprese
rilevanti per il value stream.

CONTROLLO DELLE SCORTE


Scorta  giacenza di qualsiasi articolo o risorsa impiegati in un'azienda.
Causa delle scorte  squilibrio (a livello temporale) tra flussi di domanda e flussi d’offerta  mismatch.

Scorte: utili o no?


Bisognerebbe considerare le scorte come cumuli di denaro ammassati su scaffali  comportano costi,
dovuti a obsolescenze, assicurazioni, costi opportunità, ecc.

Tuttavia, hanno funzioni utili → l’impresa deve perciò comprendere se l’investimento che fa in scorte è
giustificato dalla sua funzione utile.

Scopi delle scorte:


 Garantire indipendenza tra fasi:
- stante la presenza di un costo di set-up, le scorte permettono di ridurre il n° di riattrezzaggi;
- poiché diverse unità richiedono tempi di fase diversi, può essere opportuno inserire scorte
polmone tra una fase e l'altra, in modo da bilanciare i tempi ciclo.
 Far fronte a variazioni nella domanda di prodotto;
 Garantire la flessibilità al piano di produzione: la disponibilità di scorte allenta la pressione sul
sistema produttivo: ne derivano lead time più estesi, che consentono di pianificare la produzione
con flussi più regolari e di produrre a costi inferiori, grazie alle maggiori dimensioni dei lotti.
(Es. costi di set-up elevati inducono a produrre lotti più consistenti e richiedono quindi scorte per
pianificare la produzione con flussi regolari).
 Per cautelarsi contro le variazioni nei tempi di consegna delle materie prime;
 Per sfruttare la dimensione ottimale dell'ordine di acquisto.

Classificazione delle scorte:


1. Scorte di sicurezza → proteggono l'impresa da varie incertezze;
2. Scorte di ciclo → permettono l'emissione di ordini di approvvigionamento/ produzione per
quantità economicamente convenienti (superiori al fabbisogno a breve termine);
3. Scorte di anticipazione → servono a fronteggiare variazioni previste della domanda (picchi
stagionali) o dei prezzi materiali (scorte speculative);
4. Scorte di transito → emergono nel tragitto lungo la catena di fornitura tra l'emissione di un
ordine di approvvigionamento e la consegna al punto di utilizzo.

Costi di gestione delle scorte:


• Costi di giacenza (o mantenimento)  costi di magazzino + costo opportunità del capitale;
• Costi di set-up (o di cambio di produzione)  realizzare un prodotto differente implica la necessità
di ottenere materiali, riattrezzare le macchine, gestire ordini e compilare documentazione,
impegnare tempo e materiali, sgombrare le rimanenze delle produzioni precedenti;
• Costi di emissione dell’ordine  per le attività gestionali/ amministrative che presiedono alla
preparazione dell’ordine di produzione/ acquisto;
• Costi di mancanza (stockout)  se esaurisco un articolo, l’ordine che mi hanno richiesto di
quell’articolo deve attendere fino a quando reintegro tale articolo o essere annullato.

Altri costi:
• Rallentano la produttività dei processi: mentre è in giacenza, una scorta non è lavorata né crea valore
aggiunto;
• Nascondono i problemi: disaccoppiano le fasi adiacenti nascondendo i problemi “locali”;
• Possono diventare obsolete o deteriorarsi;
• Possono essere pericolose da immagazzinare.

Sistemi di gestione delle scorte:


 politiche/ controlli che monitorano le quantità a magazzino e stabiliscono quale livello mantenere,
quando ordinare e quanto ordinare.
 Regolano l’emissione degli ordini e il ricevimento delle merci, registrando cosa è stato ordinato, in che
quantità, quando, a chi…

Possono essere:
 A periodo singolo (caratterizzati da una decisione d'acquisto attraverso una soluzione unica);
 A periodo multiplo (la decisione riguarda un articolo che verrà periodicamente riacquistato,
mantenuto a magazzino e impiegato su domanda).

Sistemi di gestione delle scorte a periodo multiplo:


 progettati per garantire la disponibilità costante di un articolo
Due tipi:
1. Modello Q (modelli a quantità d’ordine fissa)  attivato dall’evento, ossia quando le scorte
scendono sotto una quantità specifica detta scorta di sicurezza (punto di riordino R).
 Sistema di revisione continua del magazzino  esige l'aggiornamento degli archivi ogni volta
che si preleva/carica per capire se si ha raggiunto R  più dispendio di tempo;
 Più indicato per gli articoli più costosi (perché la quantità media di scorte è inferiore) o importanti
(come i pezzi di ricambio critici, perché esiste un più stretto controllo e dunque una più rapida
reazione al potenziale stockout).
2. Modello P (modelli a tempo fisso)  attivati dal tempo, ossia solo alla fine di un ciclo predefinito;
 Calcolo delle quantità solo nel momento del reintegro (no revisione);
 Maggiore quantità media di scorte (perché deve proteggere anche dal pericolo di sottoscorta
durante l’intervallo di revisione o reintegro T).

Modello a Q fissa:
Mira a stabilire lo specifico punto R (definito da un numero specifico di unità) in coincidenza del quale
emettere un ordine e le dimensioni dell’ordine Q;
 Si basa sul principio di determinare la Q ottimale dell’ordine di un materiale che consente di
minimizzare il costo di gestione delle scorte.
Per Q ordinata intendiamo:
 Ordini di approvvigionamento (fornitore esterno);
 Ordini di produzione (centro di produzione interno).

Ipotesi:
– L’impresa emette un ordine relativo al materiale M per una quantità pari a Q;
– L’impresa impiega questo materiale nei propri processi. Il tasso di impiego di M è pari a D
unità/giorno. Il ritmo d’impiego rimane costante;
– L’impresa ordina il materiale con anticipo sufficiente a fare sì che il materiale arrivi esattamente
nel momento in cui le scorte di M si azzerano (tenuto conto il tempo dell’approvvigionamento);
– Il fornitore consegna il lotto Q in una soluzione unica (non frazionata in consegne più piccole);
Tutte le ipotesi precedenti sono note con certezza.

Determinare la Q:
 La determinazione di Q dipende dai costi di ordinazione e di mantenimento delle giacenze;
 La Q ottimale ordinata è quella che minimizza i costi di gestione delle scorte:
 Costi di ordinazione
Varie componenti accomunate dalla circostanza di costituire un costo fisso indipendente dalla
quantità ordinata → nell’arco di un periodo, ad esempio un anno, i costi di ordinazione
varieranno con il numero di ordini emessi:
– Costi di ricerca e selezione dei fornitori;
– Costi amministrativi legati alla preparazione dell’ordine;
– Costi amministrativi legati alle procedure di pagamento del fornitore.
 Costi di mantenimento:
1. Costi tangibili di mantenimento: costi operativi emergenti con la gestione delle scorte in
uno spazio fisico determinato (costi di affitto del magazzino, costi di assicurazione, costi
legati alla movimentazione fisica, costi di obsolescenza);
2. Costi opportunità legati all’investimento di capitale nelle giacenze.

Calcolare i costi delle scorte:


• Conviene calcolare la stima dei costi di mantenimento come percentuale del valore tenuto a scorta;
• Ciò succede a causa della varietà delle componenti che incidono sul costo di mantenimento;
• I costi di mantenimento aumentano con la Q ordinata perché al crescere di questa cresce il livello
medio delle giacenze.

Modelli price-break:
Si basano sull’ipotesi che il prezzo di vendita di un articolo varia al variare delle dimensioni dell'ordine.
 La variazione è «a gradini», non marginale;
Per calcolare la Q ottimale è necessario calcolare il lotto economico d’acquisto per ciascun livello di
prezzo e valutare se la quantità sia ammissibile: si comincia dal prezzo più basso e si valuta l’ammissibilità.

Esempio:
Considerare il seguente caso, in cui:
 D = 10000 unità (domanda annuale);
 S = 20 $ per l'emissione di ciascun ordine;
 i = 20% del costo (mantenimento annuale, magazzino, interesse, obsolescenza, ecc.);
 C = costo unitario (a seconda della quantità ordinata: 0-499 unità → 5,00 $ all'unità; 500-999 → 4,50
all'unità; 1000 in su → 3,90 $ all'unità;
Qual è la quantità da ordinare? Parto dal costo più basso:
 C=3,90: Q= √2*10.000*20/0,2*3,9 = 716 → NON AMMISSIBILE.
 C=4,50 Q= 666 → AMMISSIBILE.

Analisi ABC delle scorte:


Riferimento al principio di Pareto: pochi elementi hanno una grande rilevanza e molti hanno
un'importanza scarsa;

Il controllo dell'inventario coinvolge così tanti articoli che non è conveniente modellare uno specifico
approccio gestionale per ciascuno di essi → per superare il problema, lo schema di classificazione ABC
divide i beni stoccati in tre gruppi:
1. A elevato valore d'impiego (A);
2. A medio valore d'impiego (B);
3. A basso valore d'impiego (C).

La classificazione ABC ha lo scopo di stabilire un appropriato grado di controllo su ogni articolo.


 Adottando un approccio periodico, per esempio, è possibile controllare gli articoli di classe A a
intervalli di reintegro settimanali, i B con intervalli bisettimanali, i C con ordini mensili/ bimestrali.

N.B. Il costo unitario di un articolo non ha nessun nesso con la sua classificazione: un articolo di classe A
può avere un elevato valore di impiego per la combinazione di un basso valore e un significativo utilizzo, o
di un elevato valore e un impiego rarefatto nel tempo.

Inventario ciclico:
Di norma il magazzino contabile diverge da quello reale e fisico (affidabilità dei dati di inventario).
 Ogni sistema produttivo deve presentare una certa omogeneità, delimitata da margini di tolleranza
predefiniti, tra dichiarato contabile e quantità di fatto presenti.

Ragioni di tale discordanza:


 Un'area di magazzino aperta potrebbe consentire il prelievo di articoli per scopi sia autorizzati sia non
autorizzati;
 Alcuni articoli potrebbero trovarsi in locazioni errate;
 Sono stati registrati ordini di reintegro ma in realtà la merce non è mai pervenuta.

Per mantenere i dati affidabili un'impresa deve:


 “Chiudere a chiave” il magazzino;
 Informare tutti i dipendenti dell'importanza di registrazioni scrupolose, confidando nella loro piena
collaborazione;
 Garantire il conteggio frequente delle giacenze fisiche e il confronto con quelle contabili
→ un sistema largamente diffuso è l'inventario ciclico: tecnica per facilitare la verifica fisica delle
giacenze per cui gli articoli vengono contati con notevole frequenza. Oggi, quasi tutti i sistemi di
gestione delle scorte sono informatizzati; il sistema può essere programmato per segnalare la
necessità di conteggio secondo diversi criteri:
– Quando le registrazioni segnalano una presenza di scorte nulla o insufficiente;
– Quando le registrazioni segnalano disponibilità sufficiente, ma back-orders;
– Dopo aver raggiunto un determinato livello di attività;
– Suggerendo un controllo basato sulla criticità dell'articolo.

Il momento migliore per il conteggio fisico è quando l'attività di magazzino o di fabbrica è ferma.

Il conteggio ciclico dipende inoltre dalla disponibilità di personale: in alcune aziende i magazzinieri sono
preposti a effettuare il conteggio nelle fasi di fermo della normale giornata lavorativa; altre impiegano
operatori esterni; altre ancora impiegano addetti a tempo pieno che non fanno altro che controllare le
scorte e rimediare alle discrepanze con i dati contabili.

Material Requirements Planning


Dall’MRP all’MRP II:
• L’MRP originariamente si limitava a pianificare i materiali necessari a produrre un determinato bene;
• La crescente potenza degli elaboratori e lo sviluppo di nuovi software portarono ad una sua
evoluzione  L’MRP si estese alla pianificazione delle risorse diventando MRP II: integra finanza,
contabilità, fornitori e altri processi aziendali nelle funzioni programmazione della produzione e
controllo sulle scorte tipiche di un sistema MRP.
 Oggi impatta su tutta la gestione del sistema aziendale, comprendendo tecniche JIT, quali
il kanban, e rappresenta un esempio di CIM (computer-integrated manufacturing).

Dov’è impiegabile l’MRP?


• È efficace nei sistemi industriali in cui diversi prodotti vengono prodotti per lotti usando le stesse
risorse di produzione;
• Raggiunge i migliori risultati nell’assemblaggio e i minori nella fabbricazione;
• Non è indicato per le aziende che producono poche unità  per i prodotti complessi e costosi, frutto
di ricerche e progetti avanzati, i lead time tendono a dilatarsi e divenire incerti e la configurazione
dei prodotti troppo complessa

Livelli di pianificazione e controllo della produzione:


1. Piano aggregato di produzione (medio/ lungo termine)  indica il volume complessivo di
produzione, ossia delle famiglie di prodotto in generale e non dei singoli articoli per prodotto;

2. Piano principale di produzione – MPS (breve termine)  contiene gli ordini di produzione di
ogni articolo: cosa, quanto produrre e entro quando per ogni prodotto finito (se questo è
complesso può riguardare i componenti). La somma dei MPS deve essere coerente con il piano
aggregato (verifica di fattibilità).

PIANO PRINCIPALE (MPS)


Settimana 1 2 3 4 5 6 7 8
PIANO AGGREGATO Modello A 200 400 200 100
Mese 1 2 Modello B 100 100 150 100
3. Materassi 900 950 Modello C 100 200 200
Piani operativi (MRP)  basandosi su applicativi software, programma le parti e i materiali richiesti,
le quantità necessarie e le date in cui bisogna ordinarli/ riceverli per produrre gli articoli indicati
nell’MPS.
 Presuppone l’esistenza di file di dati che si possono verificare ed aggiornare quando
si lancia il programma;
 Scopo  controllare i livelli delle scorte, definire le priorità operative per gli articoli,
pianificare la capacità di carico del sistema di produzione (“avere i materiali giusti, nel
giusto posto, al momento giusto”);
 Obiettivo  migliorare la customer satisfaction, minimizzare l’investimento in scorte,
massimizzare l’efficienza operativa della produzione.

Piano principale di produzione (MPS):


I numeri indicano le quantità di ogni prodotto che l’azienda intende assemblare all’inizio della settimana
indicata  ES.: l’impresa intende cominciare il processo di assemblaggio di 120 sedie da cucina all’inizio
della quarta settimana. Per farlo deve disporre all’inizio della settimana di tutti i materiali inclusi nella
distinta base nelle quantità appropriate (coeff. di impiego).

- È uno dei livelli del processo di pianificazione e controllo della produzione;
- Ha un orizzonte temporale tipicamente di tre mesi con finestre temporali di settimane (periodo di
tempo, stabilito dal management, entro il quale il cliente o il marketing della stessa azienda può
o non può introdurre una determinata variazione);
- Viene rilasciato dopo una verifica della capacità produttiva disponibile;
- Le quantità inserite nelle finestre del piano si riferiscono all’istante in cui partono le operazioni di
montaggio finale.

Sistema di pianificazione dei fabbisogni di materiali (MRP):


Fonti di dati dell’MRP:
- MPS: indica quanti prodotti sono da produrre per determinati periodi di tempo;
- Distinta base (BOM): elenca i materiali e le quantità necessari per formare ogni singolo articolo;
- Archivio dati di magazzino (Inventory Record File, IRF): contiene le registrazioni di dati, quali il
numero di unità disponibili e ordinate.

→ Sulla base di queste fonti, l'MRP “esplode” il piano di produzione MPS e lo converte in un piano di
dettaglio per la programmazione degli ordini, lungo tutta la sequenza di produzione.

1. Domanda di prodotto → proviene da due fonti principali:


 Ordini di clienti noti  hanno una data di consegna promessa (non richiedono
previsioni);
 Previsioni di domanda riferite a clienti anonimi.
Combinando queste due fonti si origina un input per l'MPS. Oltre che prodotti finiti poi, i clienti
possono domandare anche parti/ componenti specifici (di solito non viene inclusa nell'MPS ma
direttamente nell'applicazione MRP).

2. Distinta base → Bill Of Materials (BOM): contiene la descrizione completa del prodotto (materiali,
parti e componenti, sequenza di assemblaggio dei sottogruppi che compongono il bene, ecc.):
 Elenco di tutti i materiali necessari per realizzare un prodotto;
 Relazioni gerarchiche tra i materiali posti ai diversi livelli della distinta base;
 Coefficienti di impiego (indicano la quantità di un codice necessaria per realizzare
un’unità del codice-genitore posto al livello superiore).
Graficamente, può essere rappresentata in diversi modi:
– Struttura scalare (ogni rientro corrisponde a un livello della struttura del prodotto);
– Modello ad albero;
– Struttura mono-livello.
Per trattare i problemi dei prodotti con numerose varianti e personalizzazioni si usano distinte di
pianificazione (raggruppamenti artificiali di codici utilizzati per facilitare la pianificazione della
produzione e degli acquisiti di componenti)  Family bill, Super
bill…

3. Informazioni sulle scorte → nozioni fondamentali:


– Fabbisogno lordo: fabbisogno totale costituito dalla
somma dei fabbisogni per tutti i prodotti in cui il codice
compare;
– Ordini aperti: ordini emessi nei confronti dei fornitori o di
centri interni di produzione, ma non ancora consegnati;
– Scorte esistenti: scorte che si prevede esisteranno in ogni settimana dell’orizzonte di
pianificazione. Esistono, talvolta, delle scorte iniziali (ereditate dai periodi precedenti);
– Ricevimenti pianificati: quantità che è necessario ricevere in determinate settimane per far
fronte ai fabbisogni netti (per impedire di cadere in situazioni di fuori scorta);
– Ordini rilasciati: ordini per quantità corrispondenti ai ricevimenti pianificati emessi tenendo
conto del lead time del materiale.

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