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SUPPLY CHAIN

La supply chain
Immagine D. Dibenski

come sistema compLesso adattivo


di M. Munaretti Michele Munaretti, consulente di sviluppo organizzativo, autore del libro Metaperformance La metamorfosi dellimpresa e delleBook Eccellenza integrale

Le colonie di insetti, gli stormi di uccelli e gli automi cellulari ci insegnano che bastano poche regole per coordinare efficacemente molti agenti in modo decentrato. Una supply chain agile e resiliente capace di reagire alla domanda finale richiede sei regole fondamentali: i) produzione snella; ii) condivisione delle informazioni; iii) postponement; iv) riduzione della variet non percepita dal cliente; v) sviluppo collaborativo di prodotto; vi) stessa visione e orientamento al cliente finale

n un contesto competitivo globale, in cui le dimensioni contano, necessaria la capacit delle imprese di sapersi aggregare e fare sistema, agendo come un unico organismo resiliente. Infatti, riferendoci alle

risultanze della Teoria del Sistema Generale di Ludwig Von Bertalanffy, dovremmo concepire il macro-processo di Supply Chain Management e i processi di business in generale come sistemi complessi adattivi.

Una supply chain intesa in questo modo capace di adattarsi dinamicamente alle fluttuazioni della domanda finale. Le simulazioni al computer delle colonie di insetti dimostrano che i sistemi complessi possono essere simulati
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>> La supply chain come sistema complesso adattivo Figura 1 semplificandone fortemente le componenti, ma non le interazioni. Insomma, i formicai e gli alveari ma anche gli automi cellulari e gli stormi di uccelli ci insegnano che bastano poche regole per coordinare efficacemente molti agenti in modo decentrato: cio possibile organizzare unazione collettiva emergente senza la necessit di un coordinamento centrale. Ci vale anche per la supply chain. Come illustrato in Figura 1, coordinare diverse imprese partner lungo la catena di fornitura per reagire prontamente alla domanda finale richiede sei regole fondamentali: 1. produzione snella; 2. condivisione delle informazioni; 3. postponement; 4. riduzione della variet non percepita dal cliente; 5. sviluppo collaborativo di prodotto; 6. stessa visione e orientamento al cliente finale. PRIMA REGOLA: PRODUZIONE SNELLA La prima regola per formare una supply chain agile, guidata dal cliente finale, consiste nelladozione di tecniche lean in tutti i nodi della catena. Le aziende coinvolte nella creazione di valore per il cliente finale dovrebbero abbandonare o quantomeno limitare allo stretto necessario le tradizionali tecniche di programmazione e rendendosi snelle cooperare secondo la logica Just In Time (JIT) con i propri clienti e fornitori. Come implementare un cambiamento cos radicale? Prima di tutto necessario mappare il flusso di valore allinterno dei confini aziendali, dal ricevimento della fornitura alla consegna del prodotto finito. La mappatura, che permette di vedere il valore ed eliminare gli sprechi, dovrebbe essere effettuata per famiglia di prodotto, raccogliendo e/o rilevando sul campo tutti i dati critici: tempo di ciclo, tempo di set up, affidabilit degli impianti, secondi disponibili, numero di turni, giorni di scorta di materie prime,
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Lo schema a nido dape presenta Le sei Leggi deLLa compLex adaptive suppLy chain.

I formicai e gli alveari ma anche gli automi cellulari e gli stormi di uccelli ci insegnano che bastano poche regole per coordinare efficacemente molti agenti in modo decentrato

semi-lavorati (Work-In-Process) e prodotti finiti. Alla fine possibile confrontare il lead time complessivo con il tempo delle attivit a valore, quelle per cui il cliente disposto a pagare. La tecnica del Value Stream Mapping utilmente coadiuvata dal cosiddetto diagramma a spaghetti, in modo tale da riproporre a livello grafico lintreccio spesso molto intricato dei flussi di materiale tra un reparto e laltro nel lay out di stabilimento. Come si sceglie il cluster di prodotti su cui mappare i flussi? Basta una cross analysis scorte-consumi, per evidenziare i prodotti ad alta rotazione che presentano un elevato livello di giacenze.

In tale fase utile effettuare una misurazione dei principali KPI logistici per quanto concerne linbound, le operations e loutbound. Quando lo scenario as-is appare sufficientemente chiaro, si passa al disegno della mappa to-be. Nel far ci, si deve eliminare la parcellizzazione dei processi, introducendo il flusso continuo. Laddove ci non possibile, necessario adottare sistemi pull come il supermarket. La produzione al processo pacemaker devessere livellata, in modo tale che lintera catena possa marciare al takt time: le operazioni di picking e la conseguente produzione sono innescate esclusivamente dal segnale kanban. In altri termini, il mercato a programmare la produzione. Occorre ridurre al minimo

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>> La supply chain come sistema complesso adattivo Figura 2 i due punti di disaccoppiamento (decoupLing point) presenti neLLa suppLy chain. punto della supply chain porterebbe al cosiddetto effetto dentifricio: situazioni di over stock si creerebbero come reazione up stream e down stream, presso clienti e fornitori. Lazienda si ritroverebbe nel proprio costo del venduto precisamente nella voce acquisti gli accresciuti costi di gestione dei fornitori; il livello di servizio erogato al cliente finale, obiettivo ultimo delle strategie di SCM, ne risentirebbe in termini di tempi, costi, qualit e flessibilit. In tale fase, i KPI(s) si misurano oltre i confini aziendali, inquadrandoli eventualmente allinterno del celebre modello SCOR Supply Chain Operations Reference Model in cui la catena di fornitura viene suddivisa in cinque processi chiave: Plan, Source, Make, Deliver, Return. Gli indicatori vengono poi inseriti in una SCOR chart, raggruppati in base agli obiettivi di costo, tempo, qualit e flessibilit. Se si desidera una soluzione pi organica possibile perseguire lallineamento dei KPI(s) ai rispettivi target mediante la costruzione di una Balanced Scorecard. Infine, per quanto concerne la logica di controllo, si consiglia di adottare un sistema di Activity Based Costing; tale approccio, in quanto basato sulle attivit, lideale per limplementazione di una supply chain guidata dagli ordini. SECONDA REGOLA: CONDIVISIONE DELLE INFORMAZIONI Se lobiettivo a cui si tende la condivisione dei dati di vendita raccolti nel POS (Point of Sale) lungo tutta la catena di fornitura, appare evidente la funzione critica dei sistemi informativi per limplementazione di un sistema demand driven. Trasformare una supply chain in ottica pull significa spostare quanto pi possibile allindietro il punto di penetrazione degli ordini (Order Penetration Point), ossia il punto nella catena in cui si passa da una produzione su previsioni a una produzione su ordini (Figura 2).
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Tutte le attivit doppie o non a valore aggiunto devono essere eliminate e i flussi di materiali allinterno dello stabilimento razionalizzati, passando da una struttura a reparti a una a linee
i tempi di set up e migliorare laffidabilit degli impianti (up time), grazie alla manutenzione preventiva. Tutte le attivit doppie o non a valore aggiunto devono essere eliminate e i flussi di materiali allinterno dello stabilimento razionalizzati, passando da una struttura a reparti a una a linee; eventualmente, pu essere utile riprogettare alcuni processi con le tecniche complementari di Business Process Re-engineering. Nel perseguimento dello stato futuro, oltre alla produzione Just In Time, si devono applicare gli altri cinque principi della lean enterprise: i) sicurezza, ordine e pulizia dellambiente di lavoro; ii) qualit a sei sigma, cio il 99.996% di parti non difettose; iii) delega e formazione del personale; iv) gestione visiva di giacenze e informazioni; v) ricerca continua della perfezione. In tal modo, si eliminano i sette sprechi identificati da Shigeo Shingo nel Toyota Production System: i) sovra-produzione; ii) difetti; iii) scorte non necessarie; iv) processi inappropriati; v) eccessivi trasporti; vi) attese; vii) movimenti non necessari. Per quanto riguarda i principali indicatori di performance, bisogna fissare dei target da raggiungere nello stato futuro, magari con una logica di benchmarking. Una volta che lo stato futuro stato implementato, lapproccio che il management dovrebbe adottare quello tipico del Total Quality Management, ben espresso dal cosiddetto ciclo PDCA di Deming: Plan, Do, Check, Act. In altri termini, lo stato futuro devessere continuamente corretto e migliorato nel tempo (kaizen). Allorquando si sono identificati gli attori chiave nella propria supply chain, la tecnica del Value Stream Mapping dovrebbe essere ripetuta per ognuno di essi. Lobiettivo quello di creare un flusso di valore continuo in tutta la supply chain, guidato dalla domanda del cliente finale. Anche i principali clienti e fornitori quelli strategici dovrebbero essere lean e le transazioni regolate da segnali kanban. In caso contrario, leliminazione delle scorte in un solo

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Lintegrazione dei sistemi informativi e la condivisione delle informazioni lungo la catena di fornitura sono requisiti fondamentali per la cooperazione tra partner lungo la filiera. importante abbattere i silos informativi sia allinterno dellazienda passando da una gestione per funzioni a una per processi sia in ottica interorganizzativa, seguendo il ben noto paradigma dimpresa estesa (extended enterprise). Possiamo identificare un climax di complessit nellintegrazione dei flussi: fase della logistica parcellizzata, in cui la logistica una funzione isolata dalle altre. Ciascuna funzione ottimizza se stessa e subottimizza il sistema (scarsa complessit); fase della logistica integrata, in cui la logistica una funzione aziendale integrata a tutte le altre. Le decisioni sono prese da team inter-funzionali (media complessit); fase del Supply Chain Management, in cui i flussi scorrono liberamente tra le funzioni aziendali e lungo la catena di fornitura. Lobiettivo creare valore e quindi soddisfazione per il cliente finale (alta complessit). In questultima fase, la collaborazione pu riguardare una porzione pi o meno ampia della supply chain come evidenziato in Figura 3. Si passa dalla cosiddetta supply chain diretta, che integra soltanto il primo livello di fornitori e clienti, alla cosiddetta supply chain estrema che prevede lintegrazione di tutta la catena di fornitura, dal fornitore di materie prime fino al cliente finale, inclusi i fornitori di servizi. Allinterno di una strategia di Supply Chain Management i rapporti di filiera passano dalla transazione alla relazione: fornitore e cliente non instaurano pi un rapporto conflittuale basato sul potere contrattuale (gioco a somma zero), bens le rispettive funzioni aziendali (R&D,
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Figura 3

i diversi LiveLLi di compLessit sistemica in una strategia di suppLy chain management.

Si passa dalla cosiddetta supply chain diretta, che integra soltanto il primo livello di fornitori e clienti, alla cosiddetta supply chain estrema che prevede lintegrazione di tutta la catena di fornitura
produzione, marketing, ecc.) sono tra loro integrate. Il risultato un gioco a somma positiva (win-win). La relazione va ben oltre i sistemi informativi, impattando anche su variabili organizzative: ci che succede nel rapporto tra industria e GDO, in cui lintegrazione coadiuvata dalla relazione tra Key Account Manager (KAM) e Category Manager (CM). Altro esempio sono i cosiddetti supplier park, diffusi nel settore automotive, in cui lo stabilimento dei fornitori contiguo a quello dei clienti. Per quanto riguarda il B2C, la diffusione di Internet e lutilizzo di configuratori ha facilitato le logiche dellassemble to order: il cliente configura il proprio prodotto in tempo reale, lordine entra nel sistema ERP aziendale ed inviato direttamente in produzione come distinta base. Per quanto riguarda il B2B, una tecnica particolarmente nota quella del Vendor Managed Inventory (VMI), grazie alla quale i magazzini diventano trasparenti. Il fornitore ha piena visibilit sul livello di giacenze del cliente e quando queste ultime scendono sotto una predeterminata soglia, si procede al replenishment in automatico. Unaltra particolarit del VMI che il sistema pu essere esteso anche ai pagamenti: il cliente riceve la merce, ma paga soltanto quando viene effettivamente utilizzata. Una migliore gestione dei flussi informativi nella supply chain potrebbe essere raggiunta anche attraverso la partnership con un infomediario ad esempio un e-marketplace

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specializzato nella fornitura di soluzioni web based di tipo settoriale. Ricoprono un ruolo importante nellimplementazione dellextended enterprise anche gli strumenti EDI o Web-EDI, grazie ai quali ordini, bolle di consegna e fatture sono scambiati in automatico tra sistemi informativi. Per concludere, ricordiamo lutilit ai nostri fini dei sistemi RFID Radio Frequency Identification che abilitano leffettuazione di tracking & tracing lungo la supply chain e che facilitano, riducendone tempi e costi, le operazioni di transito, stoccaggio e picking tra un attore e laltro della filiera. TERZA REGOLA: POSTPONEMENT Una terza regola lutilizzo del postponement, il secondo decoupling point nella catena, che devessere spostato quanto pi possibile a valle nella supply chain (Figura 2): i prodotti assumono la loro configurazione finale soltanto nelle ultime fasi del processo produttivo e distributivo. In magazzini e depositi vi sono soltanto giacenze di semilavorati, non di prodotti finiti. La logica quella di assemble to order. La tintura in capo di Benetton un chiaro esempio di postponement. In taluni casi lassemblaggio finale dei prodotti ha luogo in outsourcing, a opera dei 3PL provider nelle piattaforme logistiche o negli interporti; in tal senso, un esempio classico il montaggio degli optional come i fendinebbia nelle autovetture. La pratica del postponement grandemente agevolata nel caso di prodotti modulari, in quanto il lead time di produzione richiesto diminuisce sensibilmente. Quali sono i vantaggi del postponement? Mantenendo le giacenze in stato grezzo si evita il rischio di obsolescenza, si tagliano i costi operativi e si contiene il CCN, in quanto le scorte sono valorizzate a importi minori.

QUARTA REGOLA: RIDUZIONE DELLA VARIET NON PERCEPITA DAL CLIENTE Una quarta regola, strettamente legata al tema del postponement, la riduzione della complessit, possibile mediante la semplificazione delle distinte base e la conseguente riduzione del numero di codici in magazzino (Variety Reduction Program VRP). Ci pu essere perseguito attraverso la struttura modulare dei prodotti. La modularit devessere presente a partire dal product concept, fase in cui dovrebbero essere coinvolti anche i fornitori strategici. Assemblare prodotti modulari significa utilizzare come si usa nel settore automotive le cosiddette piattaforme, abilitando la logica dellassemble-to-order e riducendo scorte, costi di gestione e tempi di fulfillment. Ridurre la complessit significa anche progettare secondo le celebri tecniche di mistake proofing o poka yoke, che consentono leliminazione degli errori di assemblaggio. La riduzione della complessit rappresenta lobiettivo primario nella fase di sviluppo del prodotto. QUINTA REGOLA: SVILUPPO COLLABORATIVO DI PRODOTTO Una quinta regola consiste nello sviluppo collaborativo dei prodotti. Date le caratteristiche di variabilit e autopropulsivit della domanda, unaltra sfida da cogliere per giungere allo stato di agilit consiste nella riduzione del time to market e del break even time; per giungere a questi obiettivi sar necessario sviluppare il prodotto a partire da team inter-funzionali, in cui tutte le dimensioni del business sono presenti. Andranno coinvolti nel processo di Product Development Management anche i fornitori strategici, per inglobare conoscenze e competenze specialistiche (vedi a tal proposito le teorie evolutive dellimpresa, sviluppate nel corso degli anni Ottanta).

Lobsolescenza programmata una strategia che appartiene al passato. Le imprese competono sulla velocit dintroduzione nel mercato dei nuovi prodotti, spesso aggirando la fase di testing; in alcuni settori infatti, come quello informatico, il prodotto viene testato direttamente sul cliente finale. Si capisce allora come la capacit di coinvolgere i fornitori nello sviluppo dei nuovi prodotti sia un fattore critico di successo. Sempre di pi le imprese razionalizzano la propria base di fornitori, riducendone il numero nellalbo e qualificandoli in base a flessibilit, capacit di processo e innovazione: i tre parametri classici tempi, costi e qualit sono in molti casi considerati una commodity. SESTA REGOLA: STESSA VISIONE E ORIENTAMENTO AL CLIENTE FINALE Una sesta regola lallineamento in termini di visione e orientamento al cliente (Supply Chain Orientation). In uniniziativa di ottimizzazione della supply chain, i processi interorganizzativi devono essere adeguatamente accompagnati dalla dimensione culturale. Fattore critico di successo per tali iniziative la compatibilit culturale delle organizzazioni partner lungo la supply chain. Ci non significa omologazione. Significa invece che, pur conservando le rispettive diversit, le aziende coinvolte necessitano di una medesima visione della supply chain, in cui lultimo anello della catena il cliente finale il vero protagonista. Soltanto tale allineamento sistemico al cliente finale pu garantire un rapporto evoluto di partnership profittevole e duraturo nel tempo. Pertanto, nellintraprendere un progetto di filiera, necessario verificare e sviluppare adeguatamente la dimensione culturale per creare consapevolezza condivisa e favorire i necessari comportamenti di cooperazione.
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