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INVENTARE LABITARE

Indagine sullimpatto dellemergenza abitativa nel Comune di Roma. Valorizzazione delle buone prassi realizzate a livello locale ai fini dellelaborazione di proposte per un nuovo welfare regionale.

Consiglio Regionale del Lazio

Ass. Culturale Idealab_06

Coop. Inventare lAbitare

Indice: Introduzione Capitolo 1 Profili dellabitare metropolitano: dal mercato ai diritti 1.1 Il mercato immobiliare: rendita vs inclusivit 1.2 La lenta agonia delledilizia residenziale pubblica 1.3 Verso il Piano casa della Regione Lazio 1.4 Buone pratiche per il recupero urbano e il diritto allabitare Capitolo 2 Una ricerca quali-quantitativa nel contesto dellemergenza abitativa romana 2.1 Obiettivi della ricerca e contesto generale 2.2 Analisi dei risultati 2.3 Descrizione delle domande aperte Caso di studio 1 - La condizione abitativa di immigrati e rifugiati politici a Roma
Focus La buca degli afghani a via Ostiense Focus Lex ambasciata somala Focus Ponte Mammolo

7 9 9 13 15 17 21 21 22 25 42

Caso di studio 2 - Case senza gente e gente senza case: lItalia e il panorama europeo
Focus Empty Homes e lesperienza inglese Focus Lesperienza spagnola di Provivenda

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Appendice:

Testimoni privilegiati: intervista ad Antonello Sotgia e a David Romani

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INTRODUZIONE
Intorno al tema della casa e dellabitare si intreccia uno dei nodi fondamentali del ragionamento per un nuovo welfare, che sia in grado di bilanciare le esigenze di sostenibilit sociale con le sfide ambientali che i tempi ci impongono. La casa un bene primario in assenza del quale si cade in un meccanismo di profonda e perversa precariet esistenziale che investe tutti gli ambiti della propria vita. In questo senso la casa importante non solo per il tetto sulla testa, che pure rappresenta il bisogno in senso stretto, ma anche per tutta una serie di aspetti relazionali e sociali che fanno della propria abitazione un punto da cui partire per autodeterminare la propria esistenza a 360 gradi. Il fenomeno di una sempre pi marcata difficolt nellaccesso a questo bene primario da parte di numerosi e diversi soggetti sociali rappresenta dunque oggi la sfida centrale per un welfare inclusivo che permetta a tutti, al di l del mercato e dei suoi meccanismi, di avere la possibilit di un futuro che altrimenti verrebbe negato. Giovani precari, anziani pensionati, immigrati sono alcune tra le categorie maggiormente escluse dal mercato degli affitti e della compravendita. Privi delle garanzie bancarie necessarie per lacquisto di unabitazione, con redditi mensili insufficienti a pagare gli affitti sempre pi alti che caratterizzano le principale citt italiane, i precari della casa vivono in un limbo fatto di molti traslochi, di lunghi spostamenti dalle periferie remote delle metropoli, di contratti al nero, di morosit, fino alla vera e propria disperazione degli sfratti forzosi. Il dramma sociale rappresentato dallimpossibilit di avere una casa va dunque oggi ben al di l dello stereotipo del senza casa come soggetto svantaggiato, con handicap, anziano, disoccupato di lungo periodo o donna sola con figli a carico. Oggi sono privati della possibilit di accedere ad unabitazione anche i cosiddetti working poors soggetti che pur inclusi nel mercato del lavoro non hanno redditi continuativi e sufficienti per sostenere il costo dellaffitto o i tanti migranti che seppur regolari subiscono discriminazioni da parte di un mercato dellaffitto disposto a speculare anche su diffidenza e razzismo. Sono quasi 8 milioni le persone che in Italia vivono al di sotto della soglia di povert relativa (980 euro per le coppie), il 13% della popolazione totale per la quale ad oggi non si sta approntando nessun sostegno sul piano dellabitazione. Questa la panoramica di progressiva precarizzazione e finanche marginalizzazione di un sempre maggiore numero di persone afflitte dal problema casa che andremo ad analizzare nel presente contributo di analisi e di riflessione nel tentativo di restituire un quadro delle principali problematiche nonch delle pratiche e delle politiche potenzialmente in grado di invertire la tendenza in atto. Lattuale assetto delle politiche abitative risulta infatti del tutto inadeguato nel far fronte alle dimensioni e alle caratteristiche di quella che ormai da pi voci definita come emergenza abitativa. In realt il fenomeno che andremo ad indagare lungi dallavere le caratteristiche dellemergenza si configura piuttosto come strutturale nella maggior parte delle grandi e medie citt italiane che vedono il prezzo degli affitti crescere a dismisura nonostante lo stallo dei redditi e il gran numero di appartamenti invenduti e/o sfitti. In questo senso il problema dellaccesso allalloggio e di una garanzia del diritto allabitare nelle nostre citt risulta strettamente legato al ragionamento sul contenimento di un mercato immobiliare onnivoro ed incapace di offrire soluzioni ai soggetti caratterizzati da reddito basso o discontinuo. Mercato che invece ha assunto un ruolo di primo piano grazie allaffermarsi alla fine degli anni 90 di una cultura politica ultraliberista che ha prodotto unondata di liberalizzazioni e privatizzazioni in tutti i settori produttivi del paese, tra i quali non poteva ovviamente mancare il ricco ambito delledilizia pubblica e parapubblica. Si sono infatti promulgati in quegli anni provvedimenti come la legge 431 del 1998 per la liberalizzazione del mercato degli affitti o la chiusura del fondo ex Gescal quale principale canale di finanziamento delledilizia residenziale pubblica mentre nel frattempo si dato lavvio ai processi di dismissione del patrimonio pubblico che hanno progressivamente smantellato il preesistente sistema di protezione sociale creato dal patrimonio di case popolari ed enti pubblici previdenziali lasciando scoperte tra laltro proprio le categorie del ceto medio in via di impoverimento e precarizzazione. Il nostro vuole essere un modesto contributo che prova a fornire un quadro di quella che viene definita emergenza abitativa, in particolare nel Comune di Roma, attraverso uninchiesta quali-quantitativa condotta allinterno dei luoghi caratterizzanti lattuale emergenza abitativa romana come occupazioni di stabili in disuso ad opera di movimenti per il diritto allabitare, residence privati destinanti dal Comune di Roma allassistenza alloggiativa ed infine gli autorecuperi, sperimentazione ormai decennale che si data nella Regione Lazio e che metteremo al centro di una proposta di abitare inclusivo e sostenibile. Siamo convinti infatti che la programmazione di politiche non possa prescindere da unapprofondita conoscenza fenomenologica della emergenza abitativa e allo stesso tempo che oggi, in particolare dopo la riforma del titolo V della Costituzione, alle Regioni spetti un grande sforzo di ripensamento complessivo e di lungo periodo delle politiche abitative che scongiuri il rischio di un navigare a vista fatto troppo spesso di finanziamenti parziali e insufficienti per

valutare invece lipotesi di una nuova modalit di intervento pubblico volta a garantire il diritto allabitare per tutti attraverso la conservazione, il recupero e la valorizzazione del patrimonio pubblico con finalit sociali legate alledilizia pubblica e ai servizi. La riforma del titolo V della Costituzione inoltre non solo assegna in maniera esclusiva alle regioni la questione abitativa complessivamente intesa ed in quanto risultante dalle decisioni in tema di edilizia ed urbanistica, ma fa rientrare tra le competenze regionali, anche se in forma concorrente con la legislazione nazionale, la materia di pianificazione e governo del territorio. In questo mutato contesto normativo le Regioni divengono dunque lo snodo decisionale centrale di ogni intervento che possa rientrare nellambito delle cosiddette politiche abitative. Le responsabilit di governo delle politiche abitative oggi in capo alle Regioni sono rese pi ardue da un contesto sociale ricco di problematicit e che risulta aggravato dalle amare conseguenze di scelte politiche nazionali risalenti ad ormai pi di dieci anni fa che hanno progressivamente smantellato e destrutturato lapparato welfaristico precedentemente approntato a garanzia del diritto alla casa. La Regione Lazio, in particolare, governa un territorio gi altamente urbanizzato nel quale per mancano i requisiti basilari di unabitare sostenibile in primis nei termini di mobilit su rotaie e riduzione del consumo di suolo. Per questo crediamo che il governo regionale debba potersi avvantaggiare di unattenta e capillare analisi sulle caratteristiche dei fenomeni di sofferenza legati alla questione abitativa cos come si articolano nel proprio territorio per essere in grado di delineare le strategie di breve, medio e lungo periodo in grado di dare risposte pertinenti, sostenibili ed adeguate alle esigenze dei propri cittadini e dei residenti in termini di accesso e garanzia di un alloggio a partire proprio dalle esperienze che in questi anni sono maturate dal basso nei termini di recupero del patrimonio immobiliare dismesso.

CAPITOLO 1 - Profili dellabitare metropolitano: dal mercato ai diritti 1.1 Il mercato immobiliare: rendita vs inclusivit
E un dato ormai noto che la maggior parte delle famiglie in Italia ha scelto la strada dellacquisto dellalloggio: risultano infatti vivere in un alloggio di propriet circa l80% degli italiani convinti della convenienza di investire sul bene rifugio per eccellenza sottraendosi allo stesso tempo ad un mercato degli affitti con costi che molto spesso sono equiparabili alle rate di un mutuo. Il problema che comincia a farsi consistente risulta oggi, anche alla luce dello scoppio della bolla dei mutui subprime americani, quello dellaccesso al credito e della solvibilit. Laccesso al credito fortemente limitato dalla stretta creditizia che lattuale fase economica impone e chi si rivolge oggi alle banche per richiedere un mutuo per lacquisto di prima casa troppo spesso incontra lindisponibilit delle stesse a finanziare la totalit del prestito richiesto escludendo di fatto tutti coloro che non dispongono di una gi consistente liquidit di partenza. Secondo i dati della recente commissione parlamentare sul mercato immobiliare1 la concessione dei mutui alla famiglie infatti calata, nel primo semestre del 2009, del 23%. I cambiamenti nel mercato del lavoro e la diffusione sempre pi di massa di contratti di lavoro a tempo determinato o comunque a vario titolo precari ha inoltre contribuito ad aggravare la sofferenza delle famiglie: lABI stima in circa 360.000 nuclei familiari quelli a rischio insolvenza tanto da mettere in atto una proroga fino al luglio 2011 della possibilit di concordare una sospensione delle rate del mutuo gi prevista sin dal febbraio 2010. Tra il 13% di famiglie italiane che hanno un mutuo acceso, una su cinque non riesce a rimborsare le rate nei tempi previsti: tra le prime cause emerse da una ricerca di Banca dItalia ci sono la disoccupazione (19%), i redditi bassi (14,5%), single con figli (10%), i precari (8,5%) e i lavoratori part-time (7,9%). Tra le conseguenze pi lampanti di questa sofferenza c laumento vertiginoso delle procedure di pignoramento salite secondo lAdusbef del 70% nellultimo triennio coinvolgendo oggi circa 150.000 famiglie ovvero il 2,4% di quelle con un mutuo acceso. Nella citt di Roma il numero dei pignoramenti cresciuto nel trienno del 728%, seconda solo a Milano (+1.592) e Torino (+930). La tabella 1 riporta dati Eurostat rispetto al costo dellabitazione evidenziando come la maggior parte delle famiglie italiane percepiscono come un debito pesante quello contratto per laccensione del mutuo in misura molto maggiore da quello che risulta per gli altri paesi europei.

Commissione VIII: Indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, 29 luglio 2010

Tabella 1 - Percentuale di famiglie indebitate a causa del costo della casa (%)

2005
Famiglie con pesanti debiti finanziari
Austria Belgio Bulgaria Cipro Repubblica Ceca Danimarca Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Ungheria Irlanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Malta Olanda Polonia Portogallo Romania Repubblica Slovacca Slovenia Spagna Svezia Regno Unito 14.1 31.2 na 63.2 24.4 6.3 26.9 19.7 20.9 24.1 23.7 24.8 23.1 53.7 33.0 36.7 28.6 37.9 17.7 46.4 23.5 na 40.3 32.5 46.4 13.3 na

2008
Famiglie senza debiti Famiglie con pesanti debiti finanziari Famiglie con debiti finanziari Famiglie senza debiti

Famiglie con debiti finanziari

61.4 34.8 na 30.9 64.3 20.5 53.7 56.3 30.8 59.3 69.4 62.4 52.1 45.0 49.7 48.3 46.4 43.8 47.1 42.4 58.2 na 53.3 58.2 50.1 36.4 na

24.5 34.0 na 5.9 11.3 73.2 19.4 24.1 48.4 16.6 7.0 12.8 24.8 1.3 17.3 14.9 25.0 18.3 35.1 11.2 18.3 na 6.5 9.3 3.5 50.4 na

15.6 31.0 42.6 66.4 22.3 7.4 14.3 20.1 29.5 23.8 30.7 34.8 24.0 58.6 25.0 27.9 35.6 30.2 11.7 37.7 37.8 38.1 32.5 33.6 51.5 10.4 28.5

59.0 35.3 49.8 30.4 68.7 23.0 61.0 56.8 25.2 59.8 64.7 56.9 54.9 40.4 54.9 55.6 45.3 51.9 47.1 51.4 48.6 58.4 58.1 54.0 45.3 36.9 45.2

25.5 33.6 7.6 3.3 9.0 69.6 24.7 23.1 45.3 16.4 4.5 8.3 21.1 1.1 20.0 16.5 19.1 17.8 41.2 10.9 13.6 3.5 9.4 12.4 3.3 52.7 26.3

Fonte: Eurostat2

La decisione di acquistare una casa attraverso un mutuo risulta molto spesso una scelta obbligata dallassenza di unofferta di abitazioni in affitto ad un canone conveniente. Molto spesso infatti il costo mensile di un mutuo corrisponde o supera di poco quello del canone daffitto spingendo la maggior parte di coloro che hanno possibilit di garanzie bancarie e di accesso al credito bancario ad optare per la prima soluzione. Il Cnel3 in un recente studio sulle problematiche legate allabitare calcola per chi percepisce intorno ai 14.000 euro annui unincidenza delle spese abitativa che oscilla tra il 63 e il 94% del proprio reddito: un ammontare spropositato se si considera che una giusta incidenza stimata intorno al 30%. Per rientrare in questa soglia di costi le famiglie di questa fascia retributiva dovrebbero dunque poter accedere ad alloggi con un prezzo che oscilla tra i 250 e i 300 euro mensili ad oggi inesistenti nellofferta del mercato privato quanto da quella delledilizia pubblica. Gli attuali costi medi per un affitto vengono stimati dal Cnel tra i 740 euro mensili per un contratto in essere e i 1.100 euro dei nuovi contratti, appunto molto lontani dalla sostenibilit per la media delle famiglie italiane. Lo strumento del canone concordato non ha preso piede nel mercato della locazione arrivando al massimo a coprire il 15% dellofferta complessiva e comunque raggiungendo una diminuzione tra il 10 e il 20% del canone rispetto a quello di libero mercato. Questa situazione ha determinato lesplosione di un fenomeno di morosit da pi parti definito incolpevole proprio legato ad uninsostenibilit del sistema complessivo della locazione pi che ad una mancanza del singolo.. Le conseguenze pi drammatiche in termini sociali sono lenorme numero dei procedimenti di rilascio forzoso degli immobili: secondo dati del Ministero dellInterno nel 2009 gli sfratti sono cresciuti del 17,6% rispetto allanno precedente, per un totale di 61.484 provvedimenti emessi di cui 51.576 per morosit (questi ultimi aumentati rispetto allanno precedente del 25,8%). Complessivamente le richieste arrivate allautorit giudiziaria nel 2009 sono state 116.573 e 27.584 gli sfratti effettivamente eseguiti nello stesso periodo.

2 K.Dol, M.Haffner, Housing statistics in the European Union, OTB Research Institute for the Built Environment, Delft
University of Technology, Settembre 2010 3 CNEL, La crisi degli affitti e il piano di edilizia abitativa. Osservazioni e proposte, Roma, 21 luglio 2010

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Il maggior numero si concentra proprio nel Lazio con 9.622 provvedimenti (pari al 15,6% del totale nazionale), seguito dalla Lombardia con 9.364 (pari al 15,2%), dallEmilia Romagna con 7.016 (11,4%) e dalla Toscana con 6.411 (10,4%). In quanto a sfratti effettivamente eseguiti con lintervento dellUfficiale Giudiziario, il Lazio (con 2.910 pari al 10,5% del totale nazionale) invece terzo dopo la Lombardia (con 4.919 sfratti pari al 17,8%) e lEmilia Romagna (3.370, pari al 12,2%). A Roma e provincia si concentra il 91% del totale dei provvedimenti emessi nel Lazio pari a 8.729 di cui 6.455 per morosit (ovvero il 73%). La situazione degli sfratti assurta a questione di vera e propria emergenza nella capitale dove le famiglie interessate dal fenomeno sono 1 ogni 191 rispetto ad una media nazionale pari ad su 401. Cos come a livello nazionale il 52% dei provvedimenti emessi riguarda i comuni capoluogo di provincia anche su Roma si verifica che la maggior parte dei provvedimenti si concentra nel territorio metropolitano (87,2%) piuttosto che nella provincia (12,8%). Questa diffusa morosit incolpevole non beneficia di nessun sostegno stante lesclusione dai vari decreti di sospensione degli sfratti che si sono succeduti negli ultimi anni per le categorie protette e che hanno sempre e solo riguardato gli sfratti per finita locazione. Anche il sistema del buono affitto erogato dai comuni non sembra poter essere di alcuna utilit in questo contesto se si considera ad esempio che il Comune di Roma si accinge nella prima met del 2011 ad erogare i soldi spettanti ai vincitori del bando 2008. Alla morosit incolpevole si aggiungono numerose altre fattispecie di precariet abitativa: si calcola infatti che siano oltre 230.000 le famiglie che in Italia sono costrette alla coabitazione e 70.000 quelle in alloggi precari4 La tabella 2 sotto riportata indica la percentuale totale delle famiglie che in Europa vivono al di sotto della soglia di povert (calcolata in base al 60% del reddito medio nazionale) e quante di queste sono proprietarie della loro abitazione o invece in affitto. Al di l del dato allarmante della crescente povert relativa presente nel nostro paese, quello che risulta particolarmente significativo lelevata presenza di famiglie sotto la soglia di povert anche tra chi decide di acquistare casa. Infine la tabella riporta il dato percentuale delle famiglie che ricevono un sussidio per labitazione e il suo valore medio annuo.

4 Camera dei Deputati, Commissione VIII: Indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, Roma, 29 luglio 2010

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Tabella 2 - Famiglie a basso reddito tra proprietari e coloro che ricevono un sussidio per labitazione

% di persone che vivono in famiglie a basso reddito (2008)

% di famiglie che ricevono un sussidio per labitazione

Media annua del sussidio percepito (per famiglia)

Totale delle famiglie a basso reddito


Austria Belgio Bulgaria Cipro Repubblica Ceca Danimarca Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Ungheria Irlanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Malta Olanda Polonia Portogallo Romania Repubblica Slovacca Slovenia Spagna Svezia Regno Unito

12 15 22 16 10 12 19 13 13 15 20 12 18 20 21 19 14 14 10 17 18 25 11 12 20 11 19

Proprietari (% sul totale delle famiglie)

9 10 21 15 7 8 19 9 9 8 19 12 13 16 24 19 9 13 6 17 17 24 10

In affitto (% sul totale delle famiglie)

18 28 28 30 17 20 24 27 22 24 25 25 26 29 36 40 29 21 20 22 24 16 18 25 31 23 32

5,4 n.p. n.p. n.p. 3,0 20,8 n.p. 19,8 19,8 11,0 n.p. n.p. n.p. 5,5 4,0 n.p. n.p. 20,0 15,4 3,2 n.p. n.p. 1,7 n.p. n.p. 3,8 n.p.

1.622 n.p. n.p. n.p. 467 2.764 9 1.951 2.470 n.p. n.p. n.p. n.p. 1.188 125 n.p. n.p. 130 1.708 452 n.p. n.p. n.p. n.p. n.p. 1.979 n.p.

11 18 7 14 Fonte: Eurostat5

Le prospettive di allargamento del mercato delle locazioni e della sua accessibilit auspicate tra le premesse della legge 431 del 1998 non sembrano ad oggi aver dato riscontri positivi. Al contrario come si gi detto il mercato degli affitti continua ad essere fortemente subalterno a quello della compravendita e largamente inaccessibile proprio a molte di quelle categorie che trarrebbero maggior beneficio nella scelta dellaffitto piuttosto che dellacquisto. Il numero di abitazioni sul mercato degli affitti 4.400.000 pari al 18,8% del totale a fronte di un 57,3% della Germania, del 47,3% dellOlanda o del 40,7% della Francia. I dati finora presentati sullentit e la portata del fenomeno di sofferenza legato allaccesso ad un alloggio sono ancora pi significativi del mancato funzionamento del mercato immobiliare in termini di inclusivit se collocati allinterno di un contesto come quello capitolino dove permangono numerosissimi appartamenti sfitti (circa 270.000) mentre da un lato rimangono inalterati i prezzi di vendita e locazione e dallaltro si continua a costruire milioni di metri cubi di nuovo cemento pur essendo arrivato a quota 40.000 il numero di appartamenti di nuova costruzione rimasti inv-

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K.Dol, M.Haffner,cit.

enduti. Le politiche di nuova edificazione insistono infatti su un segmento di mercato, quello della compravendita di abitazioni residenziali per un ceto medio ancora abbiente, che sembra ormai aver da tempo saturato la sua domanda abitativa. A sostenere non gi le famiglie in difficolt bens i costruttori in fase di crisi economica arrivano allora provvedimenti come quelli dellattuale piano casa nazionale in corso di implementazione nelle varie regioni che, ispirandosi al modello del social housing, prevedono incentivi alla costruzione (in termini di aree e finanziamenti attraverso il fondo immobiliare pubblico-privato ad hoc gestito dalla cassa depositi e prestiti) per coloro che si impegnano a destinare temporaneamente il costruito alla locazione a canone calmierato rispetto a quello vigente sul mercato. Secondo lo studio del CNEL, il canone medio di locazione per gli alloggi in social housing non potr essere inferiore ai 500-600 euro con unincidenza dunque sul reddito mensile pari a non meno del 50%, ben oltre la soglia di sostenibilit sociale indicata come accettabile nella misura del 30%. Eppure il paradigma dellhousing sociale si va affermando come lultimo tassello di un processo di privatizzazione inteso come delega al privato e ai privati dei compiti e delle responsabilit che precedentemente erano pubbliche in tema di politiche abitative e persino urbanistiche. Ledilizia residenziale pubblica sembra cedere definitivamente il passo ai privati cui si delega il compito di individuare le aree dei nuovi insediamenti residenziali, il numero e la tipologia degli alloggi da realizzare e persino gli interventi di urbanizzazione da realizzare contestualmente. Si cerca insomma di creare nel mercato risposte ad esigenze che hanno a che fare proprio con lindisponibilit del mercato a venire incontro ad un determinato segmento di domanda. Possiamo far risalire proprio alla legge 431/98, che determin un significativo aumento dei canoni daffitto, lemergere di un meccanismo di messa a profitto degli alloggi al di l del loro valore sociale e duso. Proprio la possibilit di gestire il bene casa come un investimento tra i pi remunerativi in assoluto ha infatti spinto un gran numero di proprietari di appartamenti allinterno delle grandi citt, stante la legislazione vigente, a ritenere conveniente lasciare libero limmobile in un momento di bassa richiesta piuttosto che vincolarsi per diversi anni ad un contratto daffitto meno redditizio di quello che si potrebbe ottenere in una fase pi favorevole. Anche per questo motivo sono diffusissimi gli affitti al nero non registrati che, oltre a far risparmiare i soldi dovuti al fisco, soprattutto evitano al proprietario un vincolo che gli impedisce di alzare il tiro sui futuri guadagni: la commissione parlamentare stima che il loro numero si aggiri intorno alle 500.000 unit. A livello dei grandi proprietari immobiliari questo ragionamento si tradotto in un meccanismo chiamato securization volto a scorporare il patrimonio immobiliare dei grandi gruppi dalle loro attivit prettamente produttive attraverso la costituzione di apposite societ immobiliari con lobiettivo esclusivo di massimizzare la redditivit del patrimonio, ovviamente al di l delle esigenze abitative che si manifestino sui territori. Si dunque innescato un processo di finanziarizzazione del mercato immobiliare che negli ultimi anni ha assicurato i profitti a 3 cifre tipici delle bolle speculative che sono gi cresciute e scoppiate in altri paesi. Le conseguenze di questo sfruttamento intensivo della rendita immobiliare ha avuto anche un impatto molto pesante in termini di espansione urbanistica delle citt, basti pensare ai 66 milioni di metri cubi di nuovo residenziale autorizzati dal Piano Regolatore Generale di Roma approvato nel 2008, a cui gi la nuova amministrazione ha gi aggiunto ulteriori 17.600.000 metri cubi secondo una recente denuncia di Legambiente Lazio. Lespansione urbanistica, a dispetto di una sostanziale stabilit demografica e dellesodo di cittadini che la capitale verso i comuni limitrofi, ha conseguenze devastanti in termini di congestionamento della mobilit, mai adeguatamente sostenuta in termini infrastrutturali nei processi di espansione, oltre che di deterioramento del territorio, delle relazioni umane che in esso si instaurano e della qualit della vita complessivamente intesa.

1.2 - La lenta agonia delledilizia residenziale pubblica


Se si chiude il rubinetto prima o poi la vasca si svuota. Con la legge n112 del 1998 si decide di chiudere la sezione del fondo autonomo per ledilizia residenziale presso la Cassa Depositi e Prestiti che aveva sino ad allora gestito ed erogato i fondi ex Gescal per ledilizia sovvenzionata e i contributi statali per quella agevolata. A 13 anni di distanza, possibile trarre un bilancio degli effetti prodotti da questo drastico provvedimento che ha di fatto chiuso il rubinetto per il pezzo forte delle politiche abitative nel nostro paese senza indicare un nuovo corso, nuove forme di finanziamento o nuove forme di housing pubblico. Lo facciamo seguendo i dati Federcasa6, secondo la quale i Fondi ex-Gescal, fino al 1998, avevano garantito un finanziamento di 1,5 miliardi di euro annui al settore delledilizia sovvenzionata. La chiusura del fondo e lo spostamento delle rimanenti risorse sotto la gestione della Cassa Depositi e Prestiti (circa 11,5 miliardi di euro) ha permesso, ancora per

Federcasa, Anna Maria Pozzo, Finanziamenti per la casa e opportunit per ledilizia pubblica.

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qualche anno a seguire e fino ad esaurimento delle risorse, il finanziamento di programmi nazionali e regionali per la costruzione e la manutenzione straordinaria di edilizia sovvenzionata. Al 2001 le Regioni virtuose avevano gi per lo pi esaurito la quota parte loro destinata mentre rimanevano in cassa depositi e prestiti 878 milioni di euro. Quello che ne risulta ovviamente un brusco calo di edificazione di alloggi pubblici: se nel 1984 i nuovi alloggi di edilizia sovvenzionata, cio con lesclusivo finanziamento pubblico, sono stati 34.000 nel 2004 il loro numero sceso a 1.900 su tutto il territorio nazionale, mentre per ledilizia agevolata o convenzionata si passati da 56.000 alloggi costruiti con il contributo pubblico nel 1984 agli 11.000 edificati nel 2004 (come spiega il grafico che segue). Grafico 1 - Andamento delledificazione di edilizia residenziale pubblica
N. Abitazioni (000) 61 51 41 31 21 11 1

1984

1986

1988

1989

1992

1993

1995

1998

1999

2000

2003

1990

1994

1987

1997

Fonte: Federcasa

interamente pubblico

contributo pubblico

LItalia si colloca tra le ultime posizioni in Europa per numero di case popolari (stock) e per percentuale di queste ultime sul totale degli immobili residenziali. Nel 1980 le abitazioni sociali risultavano essere il 5% del totale dello stock immobiliare mentre nel 2008 la percentuale scende al 4%. Escludendo il confronto con i paesi di nuovo ingresso nellUE e con quelli scandinavi che hanno percentuali intorno al 30%, possiamo prendere a riferimento il dato francese che nel 2008 vede un 17% di abitazioni sociali sul totale di quelle esistenti7. A determinare questo arretramento delle politiche abitative italiane si aggiunta laltra gamba della politica di liberalizzazione, quella della grande operazione di dismissione del patrimonio pubblico partita con scip 1 e scip 2 alla fine degli anni 90. E ormai unanime il giudizio negativo sul mancato raggiungimento degli obiettivi finanziari delle operazioni di dismissione del patrimonio pubblico: solo per rimanere al dato degli alloggi di propriet ex Iacp venduti dal 1993 al 2006, Federcasa ci segnala 155.000 alloggi venduti per un introito complessivo di 3.665 milioni di euro pari ad una media inferiore ai 23.700 euro ad alloggio. Accanto alla perdita patrimoniale e finanziaria in conto capitale che questa vera e propria svendita del patrimonio pubblico provoca, deve oggi affiancarsi una valutazione sul suo impatto sociale e sulle conseguenze che ha provocato nelle funzioni in capo agli ex Iacp trasformati, senza una visione organica e complessiva, in agenzie per laffitto e gestori di un patrimonio ormai misto pubblico/privato (20.000 condomini hanno oggi queste caratteristiche) con tutte le difficolt che questo ha comportato e comporta in termini di aggravio dei costi per la gestione ordinaria e ancor pi per la manutenzione straordinaria e la ristrutturazione urbana. Gli Iacp, nati nel 1971 come referenti per lattuazione dei piani di edilizia residenziale pubblica, passarono alla fine degli anni settanta sotto il controllo delle Regioni che via via acquisirono la competenza esclusiva in tema edilizia e casa. Successivamente nel 1990 la legge 142, istituendo e delegando la funzione di gestione del servizio case popolari, incoraggi un processo di trasformazione non omogeneo degli ex Iacp che in molte regioni furono trasformati in enti pubblici economici ed assunsero la funzione Aziende Territoriali per ledilizia residenziale, mentre in altre regioni rimasero enti pubblici non economici e qualcuna ha scelto infine la costituzione di vere e proprie srl. Ad un cambiamento del ruolo degli ex Iacp non sembra essere seguito un conseguente investimento economico finanziario in grado di supportare questi enti nelle nuove funzioni loro assegnate. Dai primi anni del 2001 si sono infatti susseguiti provvedimenti che evidenziano una certa preoccupazione del legislatore per il fenomeno di crescente disagio abitativo come i numerosi decreti di sospensione degli sfratti che si sono prorogati fino al 2004. Questi provvedimenti per non accompagnati da alcuna copertura finanziaria n da progettualit in grado di risolvere la problematica sono stati og-

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Cfr.K.Dol,M.Haffner, cit.67,nel quale risultano invece non pervenuti i dati della Germania post-riunificazione.

2002

2004

1985

1991

1996

2001

getto di critiche sotto il profilo della costituzionalit proprio per la loro reiterazione a tempo indeterminato. Dal 2004 infatti i nuovi provvedimenti di sospensione degli sfratti hanno visto diminuire drasticamente la platea dei soggetti sottoposti a tutela prevista ormai solo per le categorie protette e solo per gli sfratti emessi per finita locazione, lasciando cos fuori tutti coloro che non riescono a pagare gli alti affitti richiesti per le abitazioni nelle principali citt del nostro paese.

1.3 Verso il Piano casa della Regione Lazio


Il primo nuovo stanziamento economico su un piano casa dopo la chiusura dei fondi ex Gescal fu quello previsto dalla legge 9 del 2007 che stanzi per ledilizia residenziale pubblica la cifra di 543 milioni di euro su scala nazionale, molto lontana dagli stanziamenti dei piani casa conosciuti in passato e assolutamente insufficiente rispetto al crescente fenomeno di disagio abitativo sotto gli occhi di tutti. Queste risorse inoltre dopo una prima ripartizione tra le regioni di soli 10 milioni di euro sono state distratte verso il fondo per ledilizia a canone agevolato istituito dal Piano Casa Berlusconi come da articolo 11 del decreto legge 112 del 2008. Il cosiddetto Piano Casa 1 ha sancito la scelta del modello del social housing come prospettiva strategica per fornire le risposte necessarie alla problematica abitativa. Nel citato articolo 11 si fa riferimento ad un piano nazionale di edilizia abitativa volto a superare il disagio sociale ed il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa attraverso lincremento di alloggi di edilizia residenziale. Le categorie di soggetti svantaggiati rispetto allaccesso al mercato vengono individuate come segue: nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito; giovani coppie a basso reddito; anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate; studenti fuori sede; soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio; altri soggetti in possesso dei requisiti di cui allarticolo 1 della legge n. 9 del 2007; gli immigrati regolari. Il vero elemento di novit che il piano introduce nella legislazione italiana quello della natura privata, anche se sostenuta economicamente dal pubblico, di queste nuove edificazioni. Le risorse economiche pubbliche previste per il piano vengono infatti allocate in un fondo immobiliare aperto alla partecipazione dei privati. Ma quello che probabilmente rappresenta lincentivo pi interessante per i costruttori che si candidano ad eseguire i lavori per le abitazioni da destinare alla locazione a canone convenzionato la possibilit di ottenere, attraverso accordi di programma o altro, nuovi diritti edificatori o laumento di quelli gi riconosciuti. E proprio in questa nuova frontiera di cemento autorizzato che si colloca il vantaggio per il costruttore che dunque pu costruire oggi anche laddove non aveva diritto a farlo e considerare la quota di case da destinare al canone convenzionato un investimento di lungo periodo dal momento che trascorsi i 25 anni potr disporne a piacimento sul libero mercato. Paradossalmente per questa parte del piano, immaginata pi come volano delleconomia a partire dal settore delle costruzioni che come misura di contrasto alla precariet abitativa, non sembra essere andata a buon fine. Il dossier sullo stato di attuazione elaborato dal Ministero delle infrastrutture spiega infatti che i 200 milioni di euro destinati ad interventi di immediata fattibilit da parte degli ex Iacp sono stati largamente e utilmente impiegati in progetti di nuova edificazione o di acquisizione di nuovo patrimonio immobiliare, nonostante le consuete disparit tra regione e regione che vedono la Lombardia in testa per numero di interventi intrapresi e pi arretrato il Lazio dove pure Roma ha ricevuto 42 milioni di euro (ovvero il 23% del finanziamento complessivo). Al contrario i 377,8 milioni di euro stanziati per i progetti privati derivanti da accordi di programma con le regioni giacciono ancora in attesa dellapprovazione da parte del Cipe. Nel frattempo inoltre solo 14 regioni hanno approvato il proprio piano casa in grado di recepire le indicazioni nazionali. Anche il Lazio tra quelle ancora in attesa di varare la nuova normativa che al momento in cui scriviamo in discussione al Consiglio Regionale. Nel frattempo arrivato anche il cosiddetto Piano Casa 2 che non si pone, nemmeno formalmente, lobiettivo di eliminare o ridurre il disagio sul versante abitativo ma piuttosto ha a che vedere con il rilancio del settore delle costruzioni nellattuale fase di crisi e recessione. Al termine della Conferenza Stato-Regioni (31 marzo 2009), le regioni si sono impegnate a regolamentare, con proprie leggi, interventi che incentivino il miglioramento della qualit architettonica (per esempio con rispetto alla normativa antisismica) e/o energetica degli edifici attraverso lattribuzione di premi di cubatura (dal 20 al 30 per cento). Un ampliamento fino al 50% inoltre previsto per chi demolisce e ricostruisce edifici, dismessi e non, anche di natura produttiva o turistico-ricettiva. Infine il piano per il rilancio del settore edile, come appare pi corretto definire, prevede un processo da parte delle regioni di semplificazione delle procedure necessarie per la dichiarazione di edificabilit. Su queste premesse poggia il piano casa della Regione Lazio dal titolo Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per ledilizia residenziale sociale che in nome della semplificazione burocratica apre la strada ad un

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depotenziamento degli strumenti pubblici per il governo del territorio. Le osservazioni presentate dallINU8 lanciano lallarme per una serie di deroghe ritenute eccessivamente lesive delle esigenze di tutela relativamente alle zone agricole e ai casali storici, alle fasce costiere, fluviali e lagunari, alle aree con vincoli paesaggistici. La percentuale di ampliamento di tutti gli edifici compresi quelli non residenziali viene aumentata dal 10 al 20%, anche in deroga al PRG vigente. Larticolo 3 ritenuto particolarmente problematico dagli urbanisti dellINU i quali denunciano la pericolosit della possibilit di mettere mano con lavori di ristrutturazione (anche demolizione e ricostruzione ex novo) di tutti gli edifici non residenziali fino a 20.000 mq. Il ricorso a piani integrati per il riordino urbano e delle periferie da effettuarsi anche in variante ai PRG permetter: di evitare un piano attuativo in variante e quindi il passaggio in consiglio comunale del procedimento urbanistico; di monetizzare le urbanizzazioni primarie (strade, fogne...) e secondarie (verde, scuole, parcheggi, servizi pubblici...). LINU dimostra come questa deroga agli strumenti urbanistici vigenti potrebbe consentire di costruire alloggi per 600 nuovi abitanti senza alcuna verifica degli standard urbanistici e di sostenibilit con gravi danni per la citt e i cittadini che la abitano. Inoltre la monetizzazione degli oneri urbanistici (utile agli enti locali per fare cassa) sar possibile per il 100% del dovuto per i comuni al di sopra dei 100.000 abitanti con levidente rischio di sovraccaricare i servizi esistenti senza aggiungerne di nuovi. Relativamente alla citt di Roma lapplicazione del piano con riferimento ai centri storici cos come individuati dal PTPR permette di ricomprendere i quartieri ormai centrali definiti dal PRG non coperti dal PTPR quali ad esempio Garbatella, Monteverde Vecchio, Borgo Pio, Prati, Flaminio, Salario, Nomentano, Montesacro vecchio, Piazza Bologna, Appio, EUR, Ostia storica. Ma il fatto davvero paradossale per quello che dovrebbe essere il piano casa regionale balza agli occhi leggendo larticolo 12 che apre il capo III Edilizia Residenziale Pubblica e Sociale dove al comma 1 si afferma di essere in attesa della disciplina organica in materia di edilizia residenziale e sociale mentre al comma 5 si stabilisce in 90 giorni il tempo utile per la definizione di un regolamento approvato dalla Giunta per la disciplina dei criteri di attuazione e gestione degli interventi di edilizia residenziale sociale, dei requisiti per laccesso e la permanenza nella stessa, dei criteri per la determinazione del canone sostenibile e dei criteri e delle modalit per liscrizione allelenco dei gestori di edilizia residenziale sociale e per la tenuta dello stesso. Dunque da un lato non dato conoscere nellambito del piano casa da mesi in discussione quale sia la definizione di edilizia residenziale sociale dallaltro si demanda alla Giunta un s gravoso compito da adempiere in soli 90 giorni. Nello specifico delle misure messe in campo dalla Regione per garantire i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo e in attesa della riforma generale delledilizia residenziale pubblica allarticolo 15 troviamo: a) interventi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata a totale carico del soggetto pubblico; b) interventi di edilizia agevolata e convenzionata; c) interventi di edilizia residenziale sociale destinata al conone sostenibile o al riscatto; d) interventi volti a sostenere le fasce sociali in difficolt nellaccesso alla prima casa sul libero mercato dellacquisto e della locazione. La vera novit di questo paniere di misure consiste in un finanziamento decennale previsto per ledilizia sovvenzionata che come abbiamo avuto modo di descrivere in precedenza stata per lungo tempo depotenziata proprio a causa della mancanza di risorse stanziate. E stato infatti previsto un finanziamento che deriva direttamente dalle entrate della tassa automobilistica regionale assicurando una costanza di risorse che potrebbe essere la condizione per un vero rilancio di questa misura fondamentale di sostegno per tutti coloro che rimarrebbero esclusi, anche in caso di sostegno economico, dal mercato dellaffitto e della compravendita. La realizzazione di questi interventi trover luogo attraverso vari meccanismi tra cui laumento della previsione edificatoria delle aree gi destinate ad edilizia residenziale pubblica e interventi di ristrutturazione urbanistica da effettuarsi con varianti ai piani di zona, programmi di zona e varianti urbanistiche. Per quanto riguarda invece ledilizia residenziale sociale complessivamente intesa si prevede anche il ricorso alla cessione a titolo gratuito di aree o immobili da parte di proprietari allamministrazione comunale (ex art.1 legge n244/2007). Degli interventi su queste aree cedute il comma 5 dellarticolo 18 prevede che almeno la met siano destinati ad edilizia sovvenzionata. La stessa percentuale minima di sovvenzionata allinterno della pi ampia definizione di edilizia sociale non per prevista per tutti le altre modalit di reperimento di aree o immobili da cui risulter invece il maggior numero di abitazioni sociali di quelle tra laltro reperite in zone diverse da quelle dei piani di zona. Linserimento della sovvenzionata in questi interventi oltre a favorire la capacit di spesa da parte delle amministrazioni comunali dei finanziamenti previsti 8 Istituto Nazionale di Urbanistica-Sezione regionale del Lazio, testo consegnato in occasione dellaudizione presso la commissione urbanistica e casa del Consiglio Regionale del Lazio, 11 novembre 2010, Roma

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dalla Regione potrebbe avere un sicuro effetto positivo nel contrasto al fenomeno di ghettizzazione dei ceti sociali pi deboli che ha in passato caratterizzato molti degli insediamenti di edilizia popolare.

1.4- Buone pratiche per il recupero urbano e il diritto allabitare


Come avremo modo di approfondire in seguito, uno dei pi evidenti paradossi delle grandi metropoli italiane la forte incidenza dei vani vuoti nel complesso del patrimonio immobiliare, tanto pubblico quanto privato. A fronte delle cifre dellemergenza abitativa e della carenza di sedi appropriate per distribuire i servizi su tutta la superficie urbana, appare incredibile che citt come Roma presentino una cifra considerevole di vani, o intere strutture, anche in buono stato, abbandonate. Circa 245.000 (secondo una stima riportata dal Corriere della sera del 17 settembre 2009). Cosa determina lo svuotamento, e successivamente, il mantenimento in stato di abbandono di queste strutture? Per quanto riguarda ledilizia privata a scopo abitativo, in fasi storiche come questa, limpossibilit a collocare sul mercato un bene cos oneroso come le case: interi quartieri di nuova edificazione stentano a popolarsi, con il conseguente espandersi di vere e proprie citt fantasma ai limiti dellespansione cittadina. Con le case spesso rimangono vuoti anche gli spazi per i servizi: scuole, vani commerciali. A Roma uno dei casi pi evidenti il quartiere di Porte di Roma, abitabile dal 20079. Qui, come ci ha anche dimostrato la recente cronaca nera cittadina, alla chiusura del centro commerciale che sovrasta il quartiere, larea diviene buia e pressoch inanimata. In alcuni momenti di stagnazione del mercato, tenere vuoti i vani abitativi ha anche lo scopo di determinare un apprezzamento degli immobili, da un lato attraverso un processo meramente speculativo che riduce artificialmente la disponibilit di case, cos da incrementarne il valore, dallaltro per il rifiuto dei proprietari di offrire sul mercato gli alloggi disponibili ad un prezzo inferiore. Oltre alle case vere e proprie, nelle nostre citt rimangono vuoti anche molti altri edifici: uffici, scuole, recentemente anche caserme dellesercito. A rendere non pi utilizzabile questo immenso patrimonio sono spesso trasformazioni produttive e sociali delle nostre citt e pi complessivamente del paese, rispetto alle quali, evidentemente, lamministrazione pubblica non riesce a stare al passo con proposte e soluzioni per la rifunzionalizzazione e il cambio di destinazione di queste strutture. Per un certo periodo uno dei fenomeni pi evidenti stata la grande disponibilit, nella citt di Roma, di un patrimonio scolastico inutilizzato. LItalia notoriamente ha vissuto una fase trentennale di calo demografico: nel Lazio, la cifra media di componenti per famiglia scesa tra i censimenti del 1961 e del 1981, da 3,7 a 3,0 persone10, nel 2003, la media di componenti per nucleo di 2,5 persone.11 Per i movimenti attivi sul fronte dellemergenza abitativa, questa grande disponibilit di immobili scolastici in disuso e in stato di abbandono in molti quartieri della citt, ha segnato unimportante stagione: le scuole abbandonate, anche di recente costruzione, sono divenute lo sbocco naturale di chi ha avuto necessit di occuparle per farne alloggi in attesa che le battaglie portassero ad assegnazioni di vere e proprie case popolari. Oggi, con la sospensione della leva obbligatoria, a partire dal 2006, anche le strutture militari vanno via via svuotandosi. Sono molte, oltre 200, quelle che, in tutta Italia, sono passate al demanio in virt della legge finanziaria del 2007. Nella sola citt di Roma si contano 15 siti militari tra quelli in disuso, anche da pi di dieci anni, e quelli in via di imminente chiusura. Si tratta di immobili ed aree di grandi estensione, inserite nel cuore della cosiddetta citt consolidata e molto spesso rappresentano un patrimonio di grande valore architettonico e culturale negli contesti cittadini in cui sono inseriti. E il caso ad esempio di Forte Boccea, famoso a Roma per essere il luogo dove avvenivano le fucilazioni dei partigiani nei mesi di occupazione nazista della citt. Da tempo un attivo gruppo di cittadini e associazioni del territorio ne chiede la riapertura come museo della memoria. Molte delle caserme rappresentano anche una grande ricchezza e per questo sono rientrate nella contabilit del federalismo fiscale che le assegna ai comuni per cercare di arginare i danni dei pesanti vincoli finanziari imposti dal patto di stabilit interna. Il caso di Roma ha per seguito un canale preferenziale e laccordo tra Comune e Governo ha previsto la costituzione di una Srl composta dal Comune stesso (nella quota del 20%) e dal Ministero della Difesa (per il restante 80%). La societ dovr massimizzare la vendita del patrimonio militare in dismissione e il Comune, in una sorta di conflitto di interessi pubblico, potr far salire le quotazioni di mercato degli immobili assecondando i desideri dei potenziali acquirenti circa il cambio di destinazione duso. E evidente ad esempio che comprare un immobile che sono obbligato a destinare interamente ad uffici potr rendere molto meno di uno che posso trasformare in case di pregio. Tutto il processo si attiver in base alle offerte degli acquirenti consegnando loro il coltello dalla parte del manico nella scelta delle trasformazioni urbane di immense ed importanti aree nel cuore dei quartieri romani. Ma il piatto molto ricco: lintera operazione potrebbe portare oltre

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C.De Leo, Apre Porte di Roma, il centro commerciale dei record, Corriere della sera, 26 luglio 2007 P.Ginsborg, Storia dItalia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 2006 http://demo.istat.it/bil2003/index.html

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3 miliardi di euro da dividere tra ministero della difesa e comune nelle percentuali su ricordate. Ricca per anche loccasione irripetibile per la citt di Roma di rifunzionalizzare le caserme in base ai numerosi ed importanti bisogni di servizi e alloggi popolari sempre pi pressanti nei quartieri metropolitani. Con un modesto investimento molte delle caserme potrebbero essere utilizzate per rispondere subito alle esigenze di servizi pubblici quali asili nido, centri anziani, biblioteche comunali e quantaltro. Con riferimento allemergenza abitativa, le caserme potrebbero rappresentare unimportante soluzione tanto nei termini di un loro impiego immediato per lassistenza alloggiativa (sotto forma di alberghi sociali, seconda assistenza per rifugiati politici, case famiglia...) quanto per una loro permanente destinazione a patrimonio residenziale pubblico. Una di queste strutture militare, lex deposito militare di via del Porto Fluviale occupata dal 2003 da oltre un centinaio di nuclei in emergenza abitativa che hanno avviato un processo di recupero in senso abitativo dello stabile e oggi chiedono allamministrazione comunale di non vanificare i loro sforzi e impegnarsi per portare a compimento lautorecupero. Parallelamente al paradosso del patrimonio inutilizzato, un altro fenomeno che incide in maniera pesante sullemergenza abitativa romana dato dal fenomeno di progressiva espulsione di sempre pi ampi settori sociali dalla citt consolidata dovuto a due principali fattori. Da un lato le pressioni del mercato immobiliare che rendono ormai zone di pregio anche le periferie storiche romane: in quartieri un tempo popolari come S. Lorenzo, Pigneto, Garbatella, oggi gli immobili arrivano a costare circa 4000 euro al mq.12 Dallaltro gli stessi piani di edilizia residenziale pubblica che prevedono assegnazioni in zone marginali e periferiche della citt in espansione per lo pi oltre il GRA, come nelle aree di Ponte di Nona e Casalmonastero. Tra la fine degli anni 90 e i primi 2000, era anche frequente la destinazione di buona parte delle famiglie assegnatarie verso i comuni della provincia. Proprio da queste premesse trae origine lidea, divenuta poi una sperimentazione reale, dellautorecupero nel contesto romano. Lautorecupero Nei primi anni 90 al quartiere Collatino, periferia est della citt, veniva costituita la cooperativa Trasformare ecologicamente casa, lavoro e territorio: lincontro tra 49 famiglie occupanti di uno stabile e lassociazione ambientalista Diametro. Nelle intenzioni della cooperativa, stava il recupero, attraverso forme ecocompatibili di edificazione, dello stabile occupato, in via Rinaldo Rigola. Lesempio di via Rigola, autorecupero realizzato tra il 1999 e il 2003, ha segnato il passo, nel corso degli anni 90 per altri 12 progetti di autorecupero. 8 di questi fanno riferimento alla cooperativa Inventare lAbitare, espressione di uno dei pi longevi movimenti per il diritto allabitare, il Coordinamento Cittadino di lotta per la casa, mentre altri due, a Trastevere, in via Gustavo Modena e al Trionfale, in via San Tommaso dAquino, sono stati portati avanti da cooperative legate al singolo edificio: rispettivamente Abitare2000 e Corallo.13 Nel dettaglio la cooperativa Inventare labitare, che conta oltre cento soci, tra single e famiglie, ha promosso otto interventi su edifici precedentemente occupati perch in disuso. Di questi otto, due sono conclusi e consegnati agli autorecuperanti: Via Isidoro Del Lungo a Monte Sacro stato consegnato nel gennaio del 2008, Via Colomberti, in zona Serpentara, nellagosto del 2009. Tre autorecuperi sono invece in fase di consegna: via Marica a Pietralata, Via De Grenet a Spinaceto e Via Saredo a Cinecitt. Altri cantieri di autorecupero devono ancora essere presi in consegna dalla cooperativa, in attesa che la ditta del Comune finisca i lavori esterni: Via di Grotta Perfetta in zona Ardeatina, in carico al Comune dal 2005, Via delle Alzavole a Torre Maura, sospeso prima di iniziare dal 2007, Via dei Lauri a Centocelle, iniziato nel 2004. La ripartizione dei lavori e dei relativi costi infatti divisa tra Comune (o altro ente proprietario) che si sobbarca i lavori di ristrutturazione esterna e delle parti comuni e la cooperativa che tramite un mutuo finanzia i lavori di ristrutturazione interna degli appartamenti da realizzare (dividendone poi il costo tra le famiglie assegnatarie in base ai metri quadri che andranno ad abitare). La proposta dellautorecupero nasceva in un momento particolarmente critico per ledilizia pubblica, con le prime grandi operazioni di dismissione del patrimonio pubblico, e lo spostamento di parti consistenti dellemergenza abitativa romana nei comuni della provincia. Da parte dei movimenti nasceva quindi lesigenza di costruire una proposta che non solo soddisfacesse il bisogno di casa, ma garantisse anche una qualit della vita, evitando lallontanamento dal tessuto urbano, dai servizi e dai flussi quotidiani. Inoltre gli autorecuperi inseriscono porzioni di edilizia residenziale pubblica proprio nel cuore di quelle aree che abbiamo visto essere particolarmente soggette alla crescita vertiginosa dei prezzi di mercato contrapponendosi al suddetto meccanismo di espulsione dei ceti meno abbienti dalla citt consolidata (fenomeno di cosiddetta gentrificazione). Nella prospettiva dei movimenti gli autorecuperi rappresentano anche uno strumento per intercettare lemergenza

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Borsino edilizia 2010 http://www.confedilizia.it/ A.Baduel, La mia casa di recupero, D di Repubblica, 14 luglio 2007

abitativa meno stringente, che, nonostante una certa stabilit economica o continuit di reddito, non riesce comunque a venire a capo del problema dellaffitto o del mutuo. Hanno infatti diritto ad accedere a questa forma di abitare i cittadini che hanno un massimo 66mila euro lanno di reddito, a fronte dei 18mila richiesti dallERP. Questo aumento delle fasce reddituali dovuto allimpegno economico che gli autorecuperanti devono sostenere per vivere negli alloggi loro assegnati che comunque rimangono nella disponibilit dellente pubblico proprietario (nei progetti della cooperativa Inventare labitare gli edifici sono tutti di propriet comunale e gli appartamenti realizzati rientrano nel patrimonio disponibile del Comune di Roma) . La cooperativa Inventare labitare, ad esempio, ha calcolato un spesa media, per i soci, tra i 18 e i 25 mila euro per ogni appartamento. Per gli autorecuperanti, che accendono un mutuo ventennale, la rata mensile si aggira dai 2,60 ai 3,14 euro al metro quadro, ci significa un canone di 150 euro al mese per 70 metri quadri. Gli strumenti dellautorecupero Nel 1998 la Regione Lazio ha istituito la legge n.55, su Autorecupero del patrimonio immobiliare in cui si d modo a Regione, province, ai comuni, agli istituti autonomi per le case popolari (ex-Iacp), alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), e agli altri enti pubblici territoriali di individuare immobili destinati a finalit differenti rispetto a quella alloggiativa, al fine di recuperarli. La legge autorizza questi enti ad agire non solo sugli immobili dismessi di loro propriet, ma anche su stabili, abbandonati o in evidente stato di degrado, di propriet pubblica o privata, prevedendone lacquisizione (art.1). E stata una conquista importante per i movimenti e le organizzazioni che promuovono lautorecupero: non solo si riconosce la legittimit di progetti che prevedono il riutilizzo di stabili e si costruisce unalternativa reale alla cementificazione e al nuovo consumo di suolo, ma anche perch si d modo alle associazioni cooperative di inquilini di poter partecipare alla spesa complessiva diminuendo lonere a carico della propriet, a cui competono solo le spese per le parti comuni e strutturali, secondo modalit descritte in dettaglio dalla stipula di una convenzione tra le parti (art.3). Le cooperative risultano assegnatarie di un progetto di autorecupero attraverso una regolare gara pubblica, e divengono il referente per lassegnazione degli alloggi da parte della propriet (art.6). Un dato importante, in una fase storica di crisi economica, di cui uno dei pi evidenti fenomeni linsostenibilit di prestiti e mutui per i privati cittadini, rappresentato dal meccanismo di garanzia che viene proposto dallautorecupero e che permette di superare per i singoli autorecuperanti lo scoglio della non solvibilit e dellimpossibilit di accesso al credito. Alla legge regionale, nel 2001, i movimenti sono riusciti ad aggiungere un protocollo dintesa tra comune, regione, ministero dei lavori pubblici, con il quale sono stati stanziati dei finanziamenti sia per l assegnazioni di case sia per la costruzione di altri 6 progetti di autorecupero, questa volta legati direttamente alla legge regionale. Lautorecupero come soluzione per lemergenza abitativa Perch promuovere i progetti di autorecupero? Quali sono gli aspetti positivi per la propriet e la cittadinanza? Dobbiamo tenere presente prima di tutto che in Italia sono soggetti a cementificazione, quotidianamente, circa 100 ettari di terreno: 100 campi di calcio che giornalmente vengono sottratti al patrimonio ambientale, alluso pubblico, che vanno a gravare ulteriormente sulle risorse a disposizione delle amministrazioni locali. Al di l dellimpatto ambientale gi grave in s, la cementificazione significa carico antropico crescente su porzioni sempre pi ampie di territorio: traffico e congestione di servizi, prima di tutto. Se, come abbiamo visto, centinaia di migliaia di vani (pari a circa 50.000 edifici14) sono tuttora lasciati allabbandono, significa che non solo possibile attutire limpatto ambientale e sociale di ulteriori espansioni urbane, ma che anche possibile ridare nuova vita a spazi altrimenti destinati al degrado, con un riscontro positivo immediato in termini di riqualificazione urbana per i quartieri nei quali sono collocati. Inoltre, gli autorecuperi permettono di progettare soluzioni integrate di edilizia pubblica, in cui ospitare, nella stessa struttura, sia abitazioni che servizi: la propriet pubblica delledificio garantirebbe una programmazione delle necessit legate al territorio, anche in funzione dellaumento di popolazione che le assegnazioni produrrebbero. Lautorecupero propone alternative ecosostenibili alledilizia tradizionale: la stessa legge n.55/1998 della Regione Lazio, prevede, alla definizione della graduatoria tra le cooperative partecipanti al bando per la realizzazione dei progetti, la preferenza per quelle cooperative che prevedano luso di materiali e tecnologie biocompatibile (art.5). Ad oggi, la bioedilizia ancora considerata un lusso, nel panorama delle tecnologie edili: finora solo nel progetto di

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A.Baduel,cit.

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Torre Maura stato possibile progettare forme di alimentazione attraverso pannelli fotovoltaici. Questo stato possibile grazie alla determinazione della cooperativa e dei suoi soci nei confronti dellamministrazione comunale, ed in ogni caso il costo aggiuntivo del fotovoltaico stato caricato interamente sulle famiglie assegnatarie. Il dato pi evidente per di carattere economico. Sappiamo che le amministrazioni pubbliche, specie nelle grandi citt, lamentano una strutturale carenza di fondi per intervenire sulle emergenze sociali. Nella citt di Roma, si da sempre fatto ricorso a molteplici provvedimenti legislativi nazionali di carattere eccezionale. Sono le molte leggi, pi o meno speciali per Roma Capitale, interventi legislativi che stanziano fondi straordinari per opere di pubblica utilit legate al ruolo di capitale nazionale della citt: per quella del 1990, legge n.396, i cui obiettivi sono stati solo in parte attuati (art.1), erano previste circa 80 miliardi di vecchie lire. Per la pi recente istituzione dellente Roma Capitale (decreto legislativo n.156 del 2010), il governo ha previsto il finanziamento di un fondo strutturale pari a circa 200 milioni di euro. Il gi ricordato fallimento delle operazioni di alienazione del patrimonio pubblico portate avanti con le operazioni SCIP 1 e 2 (2001-2009) ha portato ad una perdita di 1,7 miliardi di euro15, oltre a costi sociali estremamente pesanti: la dismissione di patrimonio pubblico ha intaccato ulteriormente le gi disastrose cifre delledilizia pubblica. LItalia fanalino di coda nelle statistiche europee riguardo a case popolari, con sole 4 abitazioni ogni 100 a prezzo di mercato16. Le citt, come gi ricordato, sono soggette ad unespansione rapida e decisamente squilibrata, rispetto alla capacit dei comuni di rispondere alla domanda di servizi. In questo contesto si pu meglio apprezzare limportanza dellautorecupero che, abbattendo i costi in capo ad amministrazioni ed enti pubblici, permette loro di disporre nuovamente di strutture altrimenti destinate allabbandono, convertendole alluso abitativo e con un evidente vantaggio nella valorizzazione del patrimonio stesso. Dalle prime stime sui progetti avviati, si evince che le amministrazioni proprietarie degli immobili da autorecuperare sostengono meno della met della cifra complessiva dei lavori, in quanto il 52%, corrispondente allincirca ai lavori dei singoli vani e degli interni, a carico delle cooperative e dei loro soci-inquilini. Con lulteriore vantaggio di stimolare processi partecipativi nella cittadinanza interessata da condizioni di emergenza abitativa, alla definizione delle soluzioni e delle forme dellabitare.

Nuovi orizzonti dellabitare pubblico: lautocostruzione Nonostante fosse gi prevista dalla sopra menzionata legge regionale 55 del 1998, solo recentemente a Roma si stanno finalmente aprendo spazi interessanti anche per la pratica dellautocostruzione. Lassessorato ai Lavori Pubblici del Comune di Roma ha infatti dato il via allelaborazione di una delibera quadro che definisca le modalit dellautocostruzione come strumento finalizzato al recupero delle strutture inutilizzate. Modellata sulla base delle normative regionali e comunali vigenti per lautorecupero, il meccanismo dellautocostruzione dovrebbe distinguersi per il fatto che le quote di impegno (finanziario e di conduzione dei lavori) da ripartire tra ente proprietario e cooperativa non saranno pi prestabilite dal dispositivo ma da concordare progetto per progetto. Se implementato questo strumento permetterebbe di riutilizzare le molte aree pubbliche lasciate inutilizzate allinterno del tessuto urbano cos come i numerosissimi edifici fatiscenti o costruiti con materiali tossici come lamianto non riutilizzabili attraverso un normale progetto di autorecupero e per i quali si renda invece necessaria la demolizione e la ricostruzione ex novo. Lautocostruzione, cos come finora sperimentata, viene ripresa dai modelli della cooperazione internazionale nei paesi in via di sviluppo e si caratterizza per la presenza fisica sui cantieri dei soci delle cooperative promotrici. I futuri inquilini si sperimentano direttamente sul campo supportati dalle competenze tecniche di aziende edili professionali. In Italia sono ad ora attivi 2 cantieri in Campania, 1 in Toscana e Veneto, 4 in Umbria, per un totale di 97 unit abitative (di cui oltre 27 sono gi state consegnate), 4 in Emilia Romagna (70 alloggi) e altrettanti in Lombardia (56 alloggi).17 Di particolare interesse, per il contesto in cui stato attivata, lesperienza di Pescomaggiore, comune dellaquilano colpito dal terremoto del 6 aprile 2009. Lorganizzazione della cittadinanza intorno al progetto di ecovillaggio, costruito con innovativi sistemi di bioedilizia, alimentato con fotovoltaico, ha permesso di abbattere tempi e costi della ricostruzione post-sisma: il prezzo di edificazione infatti di circa 650 euro al metro quadrato, un quinto del costo

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www.sbilanciamoci.info Intervista a W. De Cesaris, CubVideo, 29 Luglio 2009 Alisei Coop, Autocostruzione associata e assistita. Istruzioni per luso, Regione Campania, 2009

previsto dal progetto C.A.S.E.18 Lesperienza che si tenta di implementare a Roma parte da premesse differenti e come nel caso dellautorecupero non porter necessariamente ad un impiego diretto degli inquilini-assegnatari nel cantiere prevedendo piuttosto il loro coinvolgimento attraverso le cooperative e le modalit finora impiegate per lautorecupero.

CAPITOLO 2. Una ricerca quali-quantitativa nel contesto dellemergenza abitativa romana 2.1 - Obiettivi della Ricerca e contesto generale
La ricerca mira a valutare le condizioni dei soggetti che vivono in situazione di emergenza abitativa. Allinterno delle molteplici situazioni di emergenza abitativa nella citt di Roma, la ricerca stata delimitata ad alcuni ambiti specifici quali gli stabili occupati a scopo abitativo dai movimenti per il diritto allabitare, i residence utilizzati dal Comune di Roma per lassistenza alloggiativa e gli stabili dove riedono nuclei in attesa di auto recupero secondo le disposizioni della legge regionale 55/98. Questa scelta parte dal presupposto che la presente indagine non vuole analizzare tutti i singoli ambiti dellemergenza romana ma intende tracciare alcune problematiche generali di cui i soggetti in emergenza sono portatori. Nella prima parte di questo capitolo vengono introdotti gli obiettivi della ricerca, gli strumenti adottati e la metodologia utilizzata per la ricerca quantitativa e qualitativa. La parte centrale e quella conclusiva del capitolo approfondiranno lanalisi dei dati emersi combinate con le indicazioni emerse dalle risposte alle domande aperte. Il Questionario. Per la ricerca empirica abbiamo deciso di costruire un questionario semistrutturato composto da domande a risposta multipla e da domande aperte in cui lintervistato stimolato ad esprimere la propria opinione in merito ai temi proposti. Abbiamo suddiviso il questionario in tre aree: una prima area che raccoglie principalmente i dati anagrafici, la composizione del nucleo familiare, i percettori di reddito allinterno del nucleo, la professione svolta dal soggetto (considerando anche il tipo di contratto e il tempo di lavoro) e dove il soggetto vive. La seconda area riguarda le condizioni dellemergenza abitativa dove vengono chieste informazioni relative alla precedente situazione alloggiativa dellintervistato: si indaga la precedente residenza, in particolare si approfondiscono i termini di locazione dellalloggio, le eventuali condizioni di affitto e in caso di mancanza di contratto gli accordi informali tra il proprietario di casa e il locatario. Inoltre vengono esplicitati i motivi relativi al cambio di abitazione risalendo indietro fino alla terzultima residenza: lobiettivo di questarea quello di definire la storia di emergenza abitativa di ogni soggetto intervistato. La terza ed ultima parte del questionario analizza i fattori dellemergenza abitativa a partire dalla condizione e dalla valutazione soggettiva di ogni persona intervistata, arrivando infine alle risposte individuate dai soggetti per cercare di risolvere il proprio problema di casa e alla percezione degli stessi rispetto alla propria condizione attuale e alle politiche abitative in generale. In particolare le domande sulla percezione soggettiva dellemergenza abitativa e sui limiti delle politiche pubbliche locali e nazionali sono articolate sotto forma di domanda aperta: questo perch lobiettivo della ricerca anche quello di far emergere elementi qualitativi rispetto alle problematiche relative al diritto allabitare. Il campione e la somministrazione. Sono state intervistati 218 soggetti residenti nelle occupazioni abitative di via del Porto Fluviale 12, di via dei Radiotelegrafisti 44, di via Casale de Merode 8, di Corso dItalia 6, di via Scolari18 e di via della Vasca Navale 6, via del Policlinico 137, via Bruno Pellizzi 55; le strutture di assistenza alloggiativa interessate sono state quelle di via Tineo e di via di Campo Farnia. Infine, i nuclei in auto recupero intervistati sono quelli residenti nel contenitore di via Pollio e quelli residenti nelloccupazione di via Ostuni 9. I questionari sono stati somministrati presso le attuali abitazioni degli intervistati nelle diverse strutture sopra elencate. Questo ha permesso al soggetto una maggiore libert nelle risposte, trovandosi allinterno di un ambiente conosciuto, e la possibilit di esprimere incertezze o dubbi allintervistatore in caso di difficolt di comprensione della domanda. Molte delle famiglie intervistate sono straniere spesso con una limitata comprensione della lingua italiana:

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www.pescomaggiore.org

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ogni domanda del questionario stata pertanto formulata con un linguaggio semplice e comprensibile cercando di evitare parole che potessero creare confusione tra una domanda e laltra. Per lo stesso motivo, laddove si ritenuto necessario, il questionario stato compilato dallintervistatore insieme al soggetto intervistato. Prima di compilare il questionario, stata presentata la ricerca e i suoi obiettivi a ciascun soggetto ed stata garantito lanonimato come forma di tutela della privacy.

2.2- Analisi dei risultati


un dato ormai riconosciuto che la crisi produttiva degli ultimi anni e la conseguente flessione del tasso di occupazione ha avuto fortissime ripercussioni, oltre che sulla popolazione straniera (per la quale la riduzione delloccupazione stata del 2,5%, quasi il doppio rispetto a quella media italiana), sui giovani ovvero sulle classi di et comprese tra i 20 e i 34 anni, dove si registra una caduta del 6,3% (CIES Rapporto sulle politiche contro la povert e lesclusione sociale, anno 2010). In generale questa situazione ha prodotto come effetto immediato un aggravarsi delle condizioni di vita della popolazione, di cui lemergenza abitativa parte sostanziale e per questo oggetto di interesse di questa indagine. Uno degli obiettivi generali che la presente ricerca si propone pertanto quello di fotografare le condizioni economiche e reddituali allinterno di una popolazione di soggetti in emergenza abitativa per verificare quali aspetti della crisi abbiano influito o possano determinare linaccessibilit a un alloggio e pi in generale possano ostacolare il diritto allabitare. A fronte di ci vengono indagate nel campione in esame alcune dimensioni del mondo del lavoro quali la professione attuale (successivamente codificata nellinserimento dei dati come lavoro specializzato e lavoro non specializzato), la forma contrattuale nella quale il soggetto inquadrato (contratto dipendente a tempo indeterminato, contratto dipendente a tempo determinato, lavoro autonomo, contratti a progetto o altre forme di contratti precari, forme di lavoro al nero o senza contratto, altre tipologie di impiego), il tempo di lavoro (part time o full time). Viene inoltre indagato il numero di percettori di reddito allinterno del nucleo familiare e, nel caso di pi di un percettore oltre al soggetto intervistato, viene chiesto di indicarne la forma contrattuale .

Tabella 1. Italiani e lavoro Lavoro specializzato Lavoro non specializzato Disoccupati Pensionati Totale

20,83% 58,33% 18,75% 2,08% 100,00%

La Tabella 1 e la Tabella 2 evidenziano le caratteristiche delloccupazione nei nuclei in emergenza abitativa intervistati. Di essi il 58% dei lavoratori italiani svolge professioni a bassa qualificazione a fronte del 67% dei lavoratori stranieri. In particolare i lavori pi frequenti sono nel settore del commercio e dei servizi, specie nella ristorazione (cuoco, cameriera, banchista o commessa) e i lavori manuali quali facchinaggio, manovali in cantieri edili o di ristrutturazione , pulizie ecc.. Significativo anche il dato della disoccupazione che sfiora il 19% per gli italiani ed oltre l11% per i cittadini stranieri.

Tabella 2. Stranieri e lavoro Lavoro specializzato Lavoro non specializzato Disoccupati Pensionati Totale

16,39% 67,21% 11,48% 4,92% 100,00%

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Questo dato potrebbe essere attribuito agli effetti della crisi occupazionale che si ripercuotono con maggiore forza proprio su quelle fasce deboli , come la popolazione straniera e il segmento giovanile italiano in condizione lavorativa precaria. (CIES Rapporto sulle politiche contro la povert e lesclusione sociale, anno 2010). La percentuale di occupati italiani con un lavoro qualificato di quasi il 21%degli intervistati, a fronte del 16%circa dei lavoratori stranieri. Le professioni pi frequenti rimangono comunque nellambito delledilizia (operai specializzati) e del terzo settore, in particolar modo quello turistico e di assistenza e cura a categorie svantaggiate.

Tabella 3. Italiani e stranieri e contratto Dipendente a tempo indeterminato Dipendente a tempo determinato Lavoro autonomo Co.co.pro. o altri contratti precari senza contratto/al nero Totale

Italiani 24,32% 5,41% 5,41% 21,62% 43,24% 100,00%

Stranieri 45,10% 13,73% 13,73% 0,00% 27,45% 100,00%

Andando ad analizzare le differenti posizioni contrattuali degli intervistati possono essere messi in evidenza i seguenti dati: mentre il 43% circa degli italiani ha un lavoro senza nessuna forma contrattuale, il 45% degli occupati stranieri ha un contratto dipendente a tempo indeterminato. Inoltre, sempre per quanto riguarda gli stranieri, pi del 13% dichiara di avere una posizione di lavoro dipendente a tempo determinato mentre pi del 27% dichiara di essere in una condizione di lavoro al nero. Questo dato, molto significativo, evidenzia come la condizione migrante oscilli tra due polarit: da una parte fortemente condizionata dalla presenza del contratto di lavoro senza il quale le persone si ritroverebbero in una condizione di clandestinit. Infatti, con lintroduzione della legge Bossi-Fini del 2002 e del pi recente Pacchetto Sicurezza del 2009, il rilascio del permesso di soggiorno previsto esclusivamente alle persone che dimostrino di avere un lavoro per il proprio mantenimento economico. Considerando anche che il campione intervistato risulta per lo pi residente in Italia da diversi anni, si pu ipotizzare che la condizione lavorativa si sia almeno in parte stabilizzata nel tempo giustificando cos lalta percentuale di persone con un lavoro stabile. Dallaltra parte ancora una grossa fetta di popolazione migrante risulta non contrattualizzata, dato che riflette sia gli effetti generali della crisi occupazionale, sia la difficolt dello straniero a trovare un lavoro garantito attraverso i rari strumenti di regolarizzazione previsti dalle leggi italiane, quali sanatorie e decreti flussi, strumenti per lo pi inadeguati a far fronte alla domanda della popolazione migrante presente nel nostro paese. Infine possiamo notare come la percentuale di lavoratori autonomi stranieri sia di quasi il 14% del totale degli occupati, pi del doppio dei cittadini italiani intervistati che risultano poco pi del 5%: questo dato evidenzia unaltra caratteristica del lavoro migrante, spesso non sufficientemente tenuta in considerazione, ovvero la tendenza, soprattutto per chi in Italia da molto tempo, ad intraprendere esperienze commerciali private, siano esse piccole aziende o societ o, come in questo caso, attivit di vendita nei mercati della citt. Per quanto riguarda la componente italiana del campione, come detto in precedenza, il dato pi significativo risulta quello del lavoro non contrattualizzato che si attesta al 43% circa degli intervistati. Questo dato riflette in generale la flessione del mercato delloccupazione per cui a Gennaio 2011,secondo i dati ISTAT, gli occupati risultano in diminuzione dello 0,5% nel confronto con lanno precedente (-110 mila unit), diminuzione che riguarda sia la componente maschile che quella femminile portando il tasso di disoccupazione all8,6% con una crescita di 0,2 punti percentuali su base annua mentre, sempre in riferimento al mese di Gennaio 2011 gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano di 80 mila unit rispetto al mese precedente portando complessivamente il tasso di inattivit i al 37,8%, dopo tre mesi in cui risultava stabile al 37,6% (ISTAT occupati e disoccupati: stime provvisorie).

Tabella 4. Fasce det e contratti Dipendente a tempo indeterminato Dipendente a tempo determinato Lavoro autonomo Co.co.pro. o altri contratti precari Senza contratto/al nero Disoccupati Totale

Meno di 30 anni 18,83% 4,17% 4,17% 10,33% 37,50% 25,00% 100,00%

Tra i 31 e i 45 anni 32,73% 14,55% 3,64% 9,09% 30,91% 9,09% 100,00%

Oltre i 45 anni 36,00% 0% 24,00% 4,00% 16,00% 20,00% 100,00%

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Nella Tabella 4 sono espresse le percentuali relative alla distribuzione delle diverse tipologie contrattuali nelle fasce det in cui stato suddiviso il campione in esame. I dati emersi confermano quanto precedentemente esposto: nella fascia det che comprende i giovani al di sotto dei 30 anni le percentuali pi significative emergono tra coloro che sono senza contratto (37,5%) e tra i disoccupati (25%) mentre circa il 10% circa degli intervistati dichiara di lavorare con contratti precari. Questa distribuzione riflette infatti i dati ISTAT secondo i quali prosegue la crescita del tasso di disoccupazione giovanile che raggiunge il 29,4% (ISTAT- dati provvisori su occupazione e disoccupazione, Gennaio 2011). Alta la percentuale di chi senza contratto anche nella seconda fascia det compresa tra i 31 e i 45 anni (30,91%) a fronte di una presenza significativa anche di soggetti occupati a tempo indeterminato (32,73%). In questa fascia det si concentra anche la presenza pi significativa dei lavoratori dipendenti a tempo determinato che risulta del 14,55% mentre il 20% circa del campione di questa et si distribuisce tra lavoratori con contratti precari e disoccupati. Appartengono invece alla terza fascia i soggetti che in assoluto hanno una pi alta frequenza di contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato (36%) e la maggioranza di coloro che dichiarano una posizione di lavoro autonomo (24%). Tuttavia si rileva anche in questa fascia det una percentuale molto significativa dei disoccupati che appartiene al 20% dei soggetti intervistati. Degli occupati inoltre, il 60% circa ha un tempo pieno di lavoro rispetto a chi impiegato solo part time. In generale si pu pertanto affermare che la fragilit del mercato del lavoro e il conseguente aumento della disoccupazione nel nostro paese negli ultimi anni ha portato moltissime persone a cercare possibilit diverse per sostenere la propria emergenza abitativa in situazioni quali le occupazioni o altre forme di assistenza alloggiativa con una fortissima motivazione economica come verr analizzato in seguito.

Tabella 5. Italiani stranieri e residenza Occupazione Residence Auto recupero Totale

e Italiani 54,17% 29,17% 16,67% 100,00%

Stranieri 77,05% 19,67% 3,28% 100,00%

A conferma di quanto emerso con i dati occupazionali, si pu evidenziare come il fattore economico risulti strettamente connesso alla attuale sistemazione alloggiativa. La Tabella 5 evidenzia come sia gli stranieri che i cittadini italiani intervistati risultano presenti in maggior parte negli stabili occupati e nei residence, sistemazioni temporanee ma che permettono nel contempo di fare fronte ad una sempre pi impellente necessit economica. A conferma di ci, si veda pi avanti lanalisi delle domande aperte sui fattori positivi dellattuale sistemazione (Tabella n.). Possiamo evidenziare inoltre da questi dati una differenza significativa tra gli italiani e le famiglie migranti che vivono in contenitori in attesa di progetti di auto recupero: i primi infatti risultano maggiormente coinvolti in questa relativamente nuova esperienza di riutilizzo del patrimonio immobiliare rispetto alle famiglie straniere che vengono coinvolte solo nel 3%circa dei casi analizzati. Questa discrepanza probabilmente dovuta sia a fattori temporali che economici. Lautorecupero infatti, previsto dalla legge regionale n.55/98, risulta unesperienza relativamente recente e che ha inizialmente coinvolto un numero esiguo di nuclei familiari, per lo pi di cittadinanza italiana. In questi anni, a seguito dei protocolli tra Regione Lazio e Comune di Roma, altri progetti sono stati approvati e finanziati per cui anche le famiglie straniere che sono da anni in attesa di una soluzione abitativa hanno potuto accedere a questa possibilit. Il fattore economico inoltre non secondario: laccesso allautorecupero basato su criteri di reddito pi alti rispetto allERP (66 mila euro invece di 14 mila) e in generale necessario un impegno maggiore rispetto a quello dellaffitto in case popolari in quanto gli inquilini sono coinvolti nelle spese dei lavori di recupero attraverso la sottoscrizione di un mutuo ventennale con canoni a metro quadro pi alti di quelli previsti dalledilizia pubblica. Per concludere una prima analisi rispetto alla situazione alloggiativa delle famiglie intervistate vengono esposti nella Tabella 6 i dati relativi al tempo di permanenza in occupazione, nei residence e in attesa di auto recupero.

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Tabella 6. Da quanto Da 0 a Da 3 a 5 Da 6 a 10 Oltre i 10 Totale tempo vivi nellattuale 2 anni anni anni anni sistemazione Residence 34,62% 42,31% 19,23 3,85% 100,00% Occupazione Auto recupero 33,48% 62,16% 15,22% 18,22% 4.05% 11,00% 0,00% 55.56% 100,00% 100,00%

Dalla tabella 6 emerge che i soggetti del campione che vivono nelle occupazioni sono l per la maggior parte da pi di 3 anni (62% circa) mentre il 33% circa degli intervistati, soprattutto appartenenti a esperienze giovanili pi recenti, risiede in occupazione da meno di due anni e nessun intervistato supera i dieci anni. Nelle prime due fasce si collocano principalmente anche coloro che vivono nei residence: pi del 34% vive l da meno di due anni, mentre il 42% circa da un tempo che non supera i 5 anni, tranne in pochissimi casi che dichiarano di avere avuto gi precedenti esperienze di assistenza alloggiativa in altri alberghi o residence, sintomo di una lunga e persistente situazione di emergenza. In ogni caso questo pu essere spiegato dal fatto che i questionari sono stati somministrati a persone che vivono in strutture attive da circa 5 anni, di cui una era in precedenza uno stabile occupato poi affittato dal Comune di Roma per far fronte allemergenza abitativa (residence di via di Campo Farnia). Infine salta agli occhi lalta percentuale di soggetti che risiedono in contenitori in attesa di auto recupero da pi di 10 anni, ovvero pi del 55% degli intervistati. Lesperienza dellautorecupero sul territorio romano infatti ha comportato, per i progetti finora realizzati, tempi di attesa relativamente pi lunghi rispetto allassegnazione di alloggi popolari in quanto sperimentazione nuova e necessariamente collegata ai tempi e in generale a procedure non rodate da parte delle amministrazioni pubbliche che vi partecipano. In generale possiamo affermare che i tempi di attesa per una soluzione definitiva verso alloggi popolari sono molto lunghi, tempi che diventano lunghissimi per i progetti di auto recupero che soffrono di continue fasi di avanzamento e blocco dei finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Tenendo conto che lultimo censimento da parte del Comune di Roma degli stabili occupati che comprendono le famiglie in emergenza abitativa risale al 2007 e non sono ancora state fatte se non pochissime assegnazioni di case per lo pi di risulta da parte del Comune stesso, evidente come la presenza di stabili occupati con centinaia di famiglie al loro interno rappresenti per la citt un tamponamento a costo zero per le casse pubbliche del dilagante fenomeno dellemergenza abitativa. Cosa che non pu dirsi per i residence che risultano essere costosissimi per la pubblica amministrazione: nei 22 residence presenti sul territorio romano abitano infatti circa 1400 famiglie, pari a 3000 persone, mediamente in mini appartamenti di circa 25/30 metri quadri. Per ogni persona nei residence il Comune paga mediamente 842 euro al mese. Per ogni famiglia mediamente 2140 euro al mese ma in qualche caso arriva fino a 4200 euro al mese (Inchiesta Unione Inquilini Roma, Dossier Residence , www.unioneinquilini.it ). Nella seconda area del questionario vengono indagate le precedenti sistemazioni alloggiative e i motivi per i quali i soggetti si sono trovati ad avere un problema di emergenza abitativa. Nella Tabella 7 sono esposti i dati sulle precedenti sistemazioni divisi per i cittadini italiani e stranieri. Il 20,41% degli italiani ha precedentemente vissuto in una casa di propriet, cosa che ha riguardato solo il 3% circa degli intervistati stranieri. Questo dato portato principalmente dalla fascia giovanile del campione che precedentemente viveva con il proprio nucleo familiare in una casa di propriet. A loro si sommano casi di persone che sono state negli anni impossibilitate a mantenere costante il pagamento di un mutuo ritrovandosi senza alcun tipo di sostegno n di garanzia, casi di scissione del nucleo familiare dovuti a separazioni ma anche a violenze domestiche. Le percentuali pi elevate sia per i cittadini italiani che per gli stranieri sono quelle di chi risiedeva in affitto: questo dato riguarda nello specifico il 51% degli italiani e quasi il 64% dei nuclei stranieri.

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Tabella 7. Italiani e stranieri e Italiani precedente sistemazione Casa di propriet Casa in affitto Ospite Presso il datore di lavoro Altro Totale 20,41% 51,02% 10,20% 0,00% 18,37% 100,00%

Stranieri 3,28% 63,93% 8,20% 4,92% 19,67% 100,00%

Da una recente indagine Istat risulta che nel 2009 la maggioranza delle famiglie con stranieri vive in affitto o subaffitto (58,7 % dei casi, contro il 16 % delle famiglie composte solamente da italiani), e il 23,1 % vive in abitazioni di propriet (contro il 71,6 % delle famiglie italiane) (Istat, Le famiglie con stranieri: indicatori di disagio economico, Febbraio 2011). Per quanto riguarda la categoria ospite, essa sembra distribuita in maniera pressoch omogenea tra italiani e stranieri,segno del fatto che, non essendo alloggi garantito dalle attuali politiche abitative comunali il passaggio da casa a casa, di fatto chiunque si sia trovato in una situazione di difficolt si necessariamente organizzato con amici e parenti dove ha ricevuto un temporaneo periodo di ospitalit. Dato relativo solo al campione migrante invece quello delle persone che dichiarano di aver vissuto in precedenza presso il proprio datore di lavoro, per lo pi come badanti o collaboratrici domestiche. Alta la percentuale anche di chi dichiara di venire da differenti sistemazioni, non categorizzabili con quelle sopraesposte: scomponendo il dato troviamo tra le persone straniere un alto numero viveva in situazioni di fortissimo disagio quali la strada,in roulotte, in case dove pagavano il posto letto, nei campi nomadi o in altre occupazioni abusive non appartenenti a movimenti di lotta organizzati. Soprattutto tra gli italiani sono invece frequenti provenienza da case famiglia e da altre tipologie quali case dello studente o subaffitti in case popolari. Possiamo intendere questi valori, entrambi non trascurabili, come lo specchio di una realt composta da una tale differenziazione di soluzioni alloggiative informali che risulta molto complicato riuscire a categorizzarle tutte: certo che,per moltissimi dei casi inchiestati, entrare in un meccanismo di organizzazione e trovare una sistemazione in stabili occupati in condizioni di vita ancora molto precarie, significa uscire da situazioni ancora pi dure, troppo spesso di totale esclusione sociale. Andando ad analizzare ulteriormente i soggetti che vivevano precedentemente in affitto, stato indagata la regolarit della posizione contrattuale dellalloggio.

Tabella 8. Italiani e stranieri Italiani senza contratto di affitto Senza contratto daffitto 39,39%

Stranieri 60,01%

Totale 100,00%

Come evidenzia la Tabella 8 la maggioranza delle persone senza contratto daffitto sono migranti: questo dato riflette la difficolt per queste persone, ancora di pi che per i cittadini italiani di regolarizzare la propria posizione alloggiativa, spesso a causa di complicazioni con i documenti di soggiorno che rendono il migrante ancora pi ricattabile e sotto scacco da parte del proprietario di casa. Rientrano tra questi soggetti coloro che accettano di vivere in condizioni di sovraffollamento e di estremo disagio, a volte pagando prezzi di affitto anche molto alti e rimanendo schiacciati in circuiti di sfruttamento e clandestinit senza riuscire invece ad accedere a nessun tipo di strumento per la regolarizzazione. Per moltissimi italiani daltra parte non avere il contratto daffitto registrato quasi la norma: gli affitti in nero, da

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sempre la piaga degli studenti fuorisede, sono spesso la regola anche per tante famiglie che accettano accordi informali con il proprietario di casa che dietro finte promesse di avere un prezzo pi agevolato o maggiore flessibilit negli accordi spesso nasconde il mero tentativo di evasione fiscale o peggio situazioni in cui la casa non potrebbe essere affittata perch alloggio pubblico in subaffitto. Si procede con lanalisi delle precedenti soluzioni abitative per valutare la condizione di sovraffollamento dei nuclei intervistati. Nel questionario la domanda che indicava la predente situazione alloggiativa veniva seguita da una richiesta di specificare il numero delle persone conviventi e in quanti metri quadri o in quante stanze. Le risposte sono state categorizzate in quattro fasce: da zero a due persone, da 3 a 5 persone, tra le 5 e le 10 persone e oltre le 10 persone. La distribuzione del campione su queste fasce rappresentata dal Grafico 1.

Grafico 1. Coabitazione

Coabitazione

Fascia 1 (0-2 persone) Fascia 2 (3-5 persone) Fascia 3 (5-10 persone) Fascia 4 (10+ persone)

Come il grafico evidenzia la percentuale pi significativa del campione intervistato viveva con un numero compreso tra le tre e le cinque persone, ovvero il 48,62%. Quasi il 35% invece viveva da solo o con al massimo altre due persone mentre il restante 15% si divide tra coloro che vivevano con numeri superiori alle cinque persone e oltre le dieci. Molti di questi soggetti coabitavano con altri nuclei familiari, spesso in affitto, come precedentemente esplicitato, o in altre situazioni. Si pertanto valutato di analizzare il dato complesso di coloro che vivevano insieme ad altri nuclei familiari incrociando questa percentuale con i metri quadrati dello spazio abitativo.

Tabella 9. Coabitazione Meno con altri nuclei familiari 30 mq / metri quadri Fascia 1 (0-2 persone) Fascia 2 (3-5 persone) Fascia 3 (5-10 persone) Fascia 4 (oltre 10 persone) 18,18% 5,56% 4,29% 0,00%

di Tra i 30 e i 60 Oltre i 60 Altro mq mq 45,45% 72,22% 57,14% 24,00% 27,27% 22,22% 38,57% 76,00% 9,09% 0,00% 0,00% 0,00%

Totale

100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

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Per valutare il dato di sovraffollamento nella precedente sistemazione alloggiativa del campione sotto esame si possono scegliere diversi criteri: lo standard previsto per labitabilit di un alloggio relativo a criteri regionali variabili sul territorio nazionale. Se si tiene in considerazione lo standard per alloggi ERP dellAter del Lazio, i criteri si abitabilit prevedono per un nucleo composto da una o due persone uno spazio non superiore a quarantacinque metri quadri, tra i quarantacinque e i sessanta metri quadri per nuclei da due o tre persone, tra i sessanta e i settantacinque per nuclei di quattro persone e non inferiore ai settantacinque per nuclei familiari oltre i 4 componenti (Regolamento regionale 20 Settembre 2000, n.2., Regolamento per lassegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata allassistenza abitativa ai sensi dellarticolo 17, comma 1, della Legge regionale 6 agosto 1999, n. 12). In base a i criteri Eurostat invece il dato di sovraffollamento pu essere considerato come la percezione che la persona intervistata ha rispetto alla disponibilit dello spazio dove vive1. Ancora diversi sono i criteri ASL che per un nucleo da una o due persone prevede uno spazio minimo di trentotto metri quadri. Questa difficolt nella definizione unitaria di quali siano i criteri di abitabilit di un alloggio permette di dare solo una parziale e indicativa descrizione dei dati emersi: si scelto quindi di tenere in considerazione, oltre al dato numerico dei metri quadrati riportati dagli intervistati, anche la percezione soggettiva delle persone che riferivano di aver vissuto una condizione di sovraffollamento abitativo. Facendo riferimento alla Tabella 7, per quanto riguarda la prima fascia, ovvero coloro che coabitavano da sole o con una persona, non risulta un vero e proprio sovraffollamento: infatti il 18% circa degli intervistati dichiara di aver vissuto in spazi fino a trenta metri quadri cio di poco al di sotto dello standard che prevede per 2 persone un alloggio di almeno 38 metri quadri. La maggioranza della prima fascia si colloca nella seconda colonna, ovvero dichiara di aver avuto a disposizione uno spazio compreso tra i trenta e i sessanta metri quadri, mentre una percentuale del 27% coabitava in spazi superiori ai sessanta metri quadri. Per quanto riguarda la seconda e la terza fascia si ha una concentrazione quasi esclusiva tra coloro che vivevano tra i trenta e i sessanta metri quadrati e chi viveva in uno spazio pi grande di sessanta metri quadrati. Una percentuale minima dichiara comunque di aver vissuto in spazi estremamente piccoli, ovvero al di sotto dei trenta mq in condizione di estremo sovraffollamento. Si tratta di coloro che hanno vissuto affittando un posto letto o in strutture abbandonate e successivamente occupate da numerose famiglie. Le persone che appartengono alla fascia due e dichiarano di aver vissuto in spazi non pi grandi di sessanta metri quadri potrebbero gi rappresentare potenzialmente un dato di sovraffollamento in quanto lalloggio previsto per cinque persone non dovrebbe essere al di sotto di 70 mq per come previsto dalla regolamentazione regionale. Daltra parte possibile acquisire come dato certo di sovraffollamento tutti coloro che appartengono alla terza e quarta fascia del campione e che dichiarano di aver sfruttato spazi che non superano i 60 mq: in questi casi allemergenza abitativa si associa spesso una condizione di assoluta invivibilit che riflette quelle situazioni pi drammatiche di coabitazione forzata e degrado.

Tabella 10. Italiani In meno di Tra i 30 e i Oltre i 60 Altro e sovraffollamento 30 mq 60 mq mq Fascia 1 21,74% 43,48% 17,39% 17,39% Fascia 2 Fascia 3 Fascia 4 1 2,27% 14,29% 0,00% 59,09% 57,14% 0,00% 36,36% 14,29% 100,00% 2,27% 14,29% 0,00%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

In accordo con la metodologia correntemente utilizzata da Eurostat, unabitazione viene considerata sovraffollata quando non ha a disposizione un numero adeguato di stanze, definite come: - una stanza per la famiglia; - una stanza per ogni coppia; - una stanza per ogni componente di 18 anni e oltre; - una stanza ogni due componenti dello stesso sesso di et compresa tra i 12 e i 17 anni di et; - una stanza ogni due componenti fino a 11 anni di et, indipendentemente dal sesso.

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Andando pi nello specifico possiamo ulteriormente discriminare tra cittadini italiani e stranieri nellanalisi di un eventuale dato relativo al sovraffollamento: gli italiani, come mostrato nella Tabella 10, si distribuiscono per la prima fascia maggiormente in spazi oltre i 30 mq ovvero in pi del 60% dei casi; quasi il 22% del campione rappresentato da coloro che invece vivevano in uno spazio molto piccolo sotto i trenta metri quadri da soli o in coabitazione che rappresentano lunico dato di sovraffollamento per questa prima fascia. Emerge infine una percentuale significativa di situazioni (17,39%) che non possono essere categorizzate perch afferenti ad altra sistemazione (strada, studentati,case famiglia). A fronte di questo, nella Tabella 11 dove sono esposti gli stessi dati relativi al sovraffollamento per i cittadini migranti, appare evidente come la percentuale di chi coabitava in poche persone sia meno della met rispetto agli italiani, ovvero l8% circa.

Tabella 11. Stranieri In meno di Tra i 30 e i Oltre i 60 Altro e sovraffollamento 30 mq 60 mq mq Fascia 1 Fascia 2 Fascia 3 Fascia 4 8,33% 16,67% 16,00% 0,00% 75,00% 53,33% 56,00% 11,11% 8,33% 26,67% 24,00% 78,67% 8,33 3,33% 4,00% 10,22%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

La sofferenza pi forte espressa da coloro che vivevano tra i 30 e i 60 mq condividendo lo spazio alloggiativo con pi di 5 persone: questo avviene nel 57% dei casi per gli italiani e nel 56% dei casi per i cittadini migranti. Unipotesi di situazioni alloggiative potenzialmente sovraffollate sono quelle evidenziate in giallo in entrambe le tabelle: ovvero coloro che in uno spazio compreso tra i 30 e i 60 mq vivevano con pi di 3 persone fino a un massimo di 5. Migranti e accesso allalloggio: alcune considerazioni qualitative. Presentiamo a questo punto la prima parte di analisi sulle risposte alle domande aperte presenti nel questionario che indagano la percezione del cittadino migrante di essere discriminato nella ricerca di un alloggio. Dalle risposte emerse osserviamo che tale percezione risulta positiva nei due terzi degli stranieri intervistati. Prima di capire meglio quali motivazioni vengono date dagli intervistati per descrivere il modo in cui si sono sentiti discriminati risulta necessario fare un paio di considerazioni rispetto alle persone che hanno risposto negativamente a questa domanda. Innanzitutto si nota una chiara polarizzazione rispetto allet delle persone che hanno risposto negativamente: infatti notiamo come, allinterno di questo gruppo che ha risposto negativamente un numero di persone di quasi due terzi hanno un et inferiore ai 35 anni, molti dei quali provenienti da paesi latinoamericani; un altro discreto numero di risposte negative alla stessa domanda sono state invece date da persone di pi di 60 anni. Ne possiamo trarre alcune ipotesi causali: le persone che si trovano in Italia da molti anni, quelle che ci sono nate o che comunque ci vivono sin dalla giovane et hanno una percezione diversa rispetto alla discriminazione nei loro confronti. Da un lato la lunga permanenza sul suolo italiano ha origine in periodi dove i flussi migratori erano di gran lunga inferiori a quelli degli ultimi anni, con una stigmatizzazione minore rispetto alla percezione della figura dello straniero, che oggi viene visto sempre pi spesso come linvasoreo comunque una figura sociale legata a criminalit e violenza. I ragazzi e le ragazze che invece si trovano qua dalla loro nascita o sin dalla giovane et hanno oggi molti pi strumenti e possibilit per costruirsi delle reti sociali solide che non li facciano sentire parte di un gruppo distinto e sottomesso dalla popolazione nativa. Anche lelemento della lingua sembra giocare un ruolo fondamentale rispetto alla percezione della discriminazione: come evidenziato in precedenza, molte delle persone che hanno detto di non essersi sentite discriminate provengono da paesi latinoamericani. Anche la quasi totalit delle persone di et compresa tra i 35 e i 60 anni che hanno dato la stessa risposta negativa provengono da paesi latinoamericani. E evidente che tra i diversi fattori che determinano una condizione di esclusione, la facilit con la quale le persone che parlano spagnolo come prima lingua hanno di apprendere litaliano e quindi di entrare in relazione con il mercato del lavoro, degli affitti e anche di avere accesso allinformazione e agli uffici pubblici, e di gran lunga superiore a quella di persone che parlano lingue molto diverse

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quali larabo per esempio, che obbliga ad un impegno di gran lunga maggiore per riuscire ad ottenere informazioni anche solo scritte. Restano comunque un grande numero di persone che hanno descritto diversi problemi legati al fatto di essere migranti. Analizziamo ora quali sono i principali. Vi sono molte motivazioni per le quali gli intervistati stranieri dicono di aver avuto problemi nella ricerca di un alloggio, motivi che possono essere divisi e organizzati in categorie quali atteggiamenti discriminatori e pregiudiziali, linaccessibilit al mercato degli alloggi e la discriminazione delle politiche amministrative locali e nazionali, da intendere queste ultime come tutte le deliberazioni normative e le disposizioni di legge nazionali che riguardano limmigrazione. I risultati emersi sono rappresentati nel Grafico 2.

Rispetto alla discriminazione nel rapporto diretto con i proprietari di casa nella ricerca di un alloggio, essa descritta esplicitamente nei questionari come razzismo: i pregiudizi e gli atteggiamenti di intolleranza sono quelli che ricorrono pi frequentemente nella percezione dei migranti, con alcuni esempi specifici rispetto al colore della pelle e alla mancanza di fiducia diffusa verso persone di origine diversa da quella Italiana. Uno degli aspetti citati in molti questionari e il fatto che molti privati non affittano a stranieri, ponendo questa discriminante prima ancora di capire se le persone in cerca di alloggio abbiano o meno le risorse sufficienti ad affrontare la spesa di un affitto: questa per molti intervistati, ritenuta uno dei motivi che alcuni intervistati citano come causa di situazioni di sovraffollamento e ricatto permanente in cui i migranti sono costretti a vivere. Diverse persone intervistate riportano anche la scelta di molte agenzie di non affittare a stranieri. Il dato che emerge in maniera significativa dalle risposte date e quello di prezzi maggiorati per gli stranieri, questione citata da circa un quarto delle persone che hanno risposto positivamente alla domanda sui problemi riscontrati nella ricerca di un alloggio. Anche la richiesta di molte pi garanzie rispetto agli italiani e la difficolt di ottenere un contratto regolare sono descritti come elementi caratterizzanti che compromettono una eguale accessibilit a parit di risorse economiche rispetto ai nativi bianchi. Questo forte elemento di discriminazione rafforza un processo di esclusione di tipo etnico dal mercato degli alloggi, che aggrava la condizione dei migranti in un mercato degli alloggi che e gi di per se escludente per larghe fasce della cittadinanza. Atteggiamenti discriminatori e razzisti emergono anche nella difficolt della ricerca di un lavoro e per quanto riguarda le retribuzioni pi basse per migranti a parit di impiego, elementi che incidono in maniera sostanziale nella ricerca di un alloggio. L inaccessibilit agli alloggi sopra descritta non dipende esclusivamente dai pregiudizi dei privati, ma come gi menzionato questo meccanismo viene implementato dalle politiche discriminatorie messe in atto dalle amministrazioni locali e dal governi che si sono succeduti negli anni. Rispetto alle politiche discriminatorie, lelemento che emerge in maniera pi decisiva dai questionari e legato ai molti requisiti specifici per gli stranieri richiesti per legge, non solo per poter affittare regolarmente un alloggio ma anche per poter accedere alle case popolari. Come conseguenza di queste politiche escludenti, diversi intervistati riportano un senso di sfiducia rispetto alle amministrazioni che utilizzano i migranti come fonte di sfruttamento e criminalizzazione, escludendoli dalle possibili soluzioni che le gi inade-

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guate politiche abitative offrono. Una pi bassa percentuale rappresentata anche da coloro che ritengono il fatto di avere dei figli a carico o comunque di essere parte di un nucleo numeroso elemento distintivo della percepita discriminazione di accesso allalloggio: questo dato rappresentato nel grafico 2 come altro e conferma la realt vissuta da molte famiglie, anche non migranti, di maggiore difficolt nel trovare un affitto con un nucleo di pi persone principalmente perch questo rappresenterebbe una problema in pi al momento di un eventuale rottura dei termini di affitto formali e non. Ritornando allanalisi quantitativa, il Grafico 3 mostra le principali motivazioni portate dagli intervistati sul motivo per cui hanno abbandonato la precedente sistemazione alloggiativa. Grafico 3. Perch hai lasciato la precedente sistemazione alloggiativa.

Il 30 % del campione afferma di aver lasciato la propria abitazione per motivi economici: questo dato rappresenta la conferma di un sostanziale impoverimento delle famiglie in particolare quelle pi numerose che, secondo i parametri Istat e Eurostat, tra gli anni 2008 e 2009, risultano sempre pi impossibilitate a far fronte a spese impreviste, mentre sono in aumento quelle che sono state in arretrato con debiti diversi dal mutuo (dal 10,5 del 2007 al 14,0 per cento di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate che sono arrivate al 16,5 per cento dal 14,8 di tre anni fa (Fonte Istat: distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia, Dicembre 2010). Il 16% rappresentato dalla parte giovanile del campione che afferma di aver lasciato la precedente sistemazione per fattori legati allemancipazione dal proprio nucleo familiare: anche in questo caso, la scelta di un alloggio in stabili occupati risiede nellimpossibilit a sostenere una spesa di affitto eccessivamente alta a fronte di nessun tipo di stabilit lavorativa e di reddito. L8% degli intervistati afferma di aver abbandonato al propria abitazione precedente perch troppo piccola, fatto dovuto principalmente all allargamento del nucleo familiare e ai ricongiungimenti familiari: moltissime delle famiglie migranti intervistate infatti, dopo un breve periodo di instabilit e dopo lunghi percorsi per la regolarizzazione del proprio titolo di soggiorno, scelgono di portare in Italia anche i figli minori o i coniugi o i parenti pi prossimi con la speranza di garantire loro una prospettiva futura nel nostro paese. In merito agli sfratti per morosit o per finita locazione, i dati emersi rilevano una minima percentuale di entrambi: il totale del 9% pu essere interpretato considerando che probabilmente i movimenti organizzati per il diritto allabitare non hanno intercettato queste fasce della popolazione che finora ha goduto di una situazione economica pi o meno stabile e che solo negli ultimi anni sta soffrendo di un forte fenomeno di impoverimento. Infine, una grossa fetta degli intervistati dichiara di aver lasciato la propria sistemazione alloggiativa per motivi che per semplicit sono stati accorpati nella categoria altro del Grafico 3 e che vengono esposti in particolare nel Grafico 3.1. Possiamo notare che il 14% dichiara che il proprio alloggio precedente non era vivibile: fanno parte di questa percentuale tutti coloro che dichiarano di aver dormito in stanze sovraffollate o perch affittavano in nero un posto letto. Un altro 14% rappresentato da coloro che in seguito alla preassegnazione della casa popolare si sono spostati da situazioni instabili in soluzioni di assistenza alloggiativa come i residence o gli alberghi pagati dal comune. Il 16% invece imputa alla perdita di lavoro e ai conseguenti problemi economici connessi a questo la perdita della precedente

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sistemazione: tra questi ritroviamo coloro che non sono riusciti a sostenere un mutuo gi aperto e coloro che hanno rinunciato allo spazio dove vivevano in affitto perch non pi capaci di sostenerne le spese. Infine un ulteriore 16% rappresentato da chi afferma di aver volontariamente lasciato il proprio alloggio perch voleva migliorare le proprie condizioni di vita in vista di una prospettiva di maggiore stabilit e sicurezza: di fronte allestrema difficolt di accesso al mercato degli affitti e dei mutui, queste persone hanno iniziato una battaglia per la rivendicazione di una pi alta qualit della vita per loro e per un futuro per i propri figli a partire dalla lotta per lassegnazione di una casa popolare. Volendo andare pi a ritroso nellanalisi della storia, a volte lunga, di ricerca di un alloggio e del percorso che queste persone hanno fatto per arrivare alla loro attuale situazione, si scelto di chiedere anche le precedenti sistemazioni. Riportiamo di seguito, nel Grafico 4 e nel Grafico 4.1, i dati emersi rispetto alle motivazioni legate al cambiamento di residenza ancora precedenti a quelle sopra riportate.

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Scegliendo di evidenziare solo i dati pi significativi, vediamo anche il 22% riporta ancora un fattore economico come motivo principale di spostamento alloggiativo, mentre il 13% ha avuto necessit di spazi pi grandi per la propria famiglia. L11% infine relativo a coloro che hanno scelto di emanciparsi dal proprio nucleo familiare mentre il 33% , definito come altro, si divide come rappresentato nel Grafico 4.1: anche in questo caso il 27%, che rappresenta la percentuale pi alta, di coloro che dormivano per strada o in baracche in condizioni molto difficili o impossibili di vita. Il 20%, rappresentato integralmente da donne straniere, dichiara di aver precedentemente abitato presso il proprio datore di lavoro, in quanto assunte come assistenti per anziani o disabili, colf o collaboratrici domestiche: secondo i dati Istat, nel 2009 in Italia questo ha riguardato una famiglia su cinque di stranieri che vivevano nel 60% dei casi a titolo gratuito presso queste famiglie (Istat, Le famiglie con stranieri: indicatori di disagio economico relativo allanno 2009, Febbraio 2011). Il 13% dei casi riportano di essere stati ospitati presso amici o parenti e la stessa percentuale riporta di aver vissuto in un centro di accoglienza per migranti o per richiedenti asilo. Purtroppo rimane un dato del 20% che non analizzabile in quanto non esplicitato nelle risposte. La terza area del questionario ha provato a definire quali percorsi nelle reti formali e informali le persone in emergenza abitativa hanno compiuto e quali risposte hanno ottenuto sia da parte degli enti pubblici preposti, quali il Comune e i servizi territoriali, sia dalle organizzazioni sindacali e di base.

Tabella 12. Quando ti sei trovato/a in Italiani emergenza abitativa a chi ti sei rivolto/a per primo? Comune 10,42% Servizi sociali del municipio Sindacato o associazioni degli inquilini Amici/ parenti Movimenti per il diritto allabitare Altro Totale 2,08% 2,08% 25,00% 56,25% 4,17% 100,00%

Stranieri

14,75% 6,56% 0,00% 27,87% 50,82% 0,00% 100,00%

La Tabella 12 descrive i risultati alla domanda Quando ti sei trovato/a in emergenza abitativa a chi ti sei rivolto/a per primo? distribuendo le percentuali tra i cittadini italiani e stranieri intervistati. La maggioranza sia dei primi che dei secondi indica i movimenti di lotta per la casa come referenti preferenziali per il proprio problema di emergenza abitativa: questo avviene nel 56,25% dei casi per gli italiani e in pi del 50% dei casi per i migranti. Questo dato cos definito pu essere interpretato in parte con una generale sfiducia verso gli attori istituzionali che per primi dovrebbero essere in grado di raccogliere un dato di disagio sociale: il Comune menzionato solo nel 10,42% dei casi per gli italiani e nel 14,75% dei casi per i cittadini stranieri. A questi possiamo aggiungere i servizi sociali del territorio che per rappresentano unopzione possibile solo in una misura molto limitata. A fronte di ci, emerge una netta preferenza per le reti informali pi o meno vicine. Al secondo posto infatti si collocano gli amici e i parenti come prima possibilit di aiuto e sostegno: questo vero nel 25% degli intervistati italiani e per oltre il 27% di quelli stranieri. proprio attraverso queste reti pi prossime che le persone entrano in contatto con i movimenti di lotta per la casa: spesso infatti hanno gi intrapreso questo percorso altri membri della famiglia ed quindi pi semplice avere accesso alle informazioni e alle possibilit di organizzazione, in maniera particolare per i migranti che sfruttano i luoghi di ritrovo della propria comunit per mettere in moto meccanismi di mutuo aiuto e scambio di informazioni.

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Come ultimo dato quantitativo viene presentata in Tabella 13 e nei grafici seguenti le forme di accesso che sia i cittadini migranti che quelli italiani hanno avuto a forme welfaristiche di sostegno al reddito in forma diretta o indiretta.

Tabella 13. Hai mai ricevuto forme pubbliche di Italiani sostegno al reddito? SI 19,15% NO 80,85% Totale 100,00%

Stranieri 14,75% 85,25% 100,00%

Dalla tabella evidente che la stragrande maggioranza del campione sia italiano che straniero non ha mai avuto accesso a forme di aiuto da parte del settore pubblico: questo vero per l85% degli stranieri, spesso esclusi da forme di sostegno pubbliche per motivi inerenti i tempi di soggiorno ma anche per pi dell80% degli italiani. Se andiamo a chiedere il motivo di tale esclusione dalle minime seppur esistenti forme di aiuto e sostegno al reddito diretto e indiretto, possiamo rilevare come il 43% del campione non ha mai presentato domanda, mentre il 40% pur avendola presentata non ha avuto risposta o ha ricevuto un diniego (Grafico 5). Grafico 5. Se non hai avuto sostegni pubblici, perch?

Non presentare domanda, non tentare nemmeno un accesso a piccoli sostegni economici, in particolar modo in un periodo di crisi occupazionale e da parte di nuclei gi in emergenza abitativa, ci d modo di percepire la sfiducia delle persone verso sussidi che non arrivano mai o che sono basati su criteri che riguardano una bassissima percentuale di persone. La stessa percezione di coloro che hanno effettivamente tentato di accedere a qualche tipologia di sussidio ma ne sono comunque rimasti esclusi. Per quei pochi che hanno invece potuto usufruire di minime forme di sostegno economico, essi sono rappresentati nel 24% dei casi da buono casa e forme di aiuto allaffitto, nel 18% dei casi allassistenza alloggiativa come rappresentato nel Grafico 6. Grafico 6. Se hai avuto accesso a forme di sostegno pubblico, quali?

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Un altro 18% rappresentato da coloro che hanno fatto recentemente richiesta per il reddito minimo, secondo la Legge regionale del 20 marzo del 2009, che risultano beneficiari ma che ancora non hanno ricevuto lerogazione. Il 41% categorizzato come altro invece riferito a diverse tipologie di assistenza, quali case famiglie, centri di rifugio per migranti, centri per richiedenti asilo.

2.3 Descrizione delle domande aperte

Nella costruzione del questionario da somministrare al campione preso in considerazione, sono state poste una serie di domande aperte per far emergere, oltre alle informazioni di tipo anagrafico e fattuale della condizione lavorativa, della composizione del nucleo e altre informazioni pratiche, anche degli elementi qualitativi che permettessero di analizzare che percezione hanno le persone sottoposte al questionario rispetto ad alcuni elementi difficilmente descrivibili in tabelle o attraverso delle risposte multiple. Verranno descritti in una prima parte gli aspetti significativi della percezione che i soggetti intervistati hanno rispetto alla propria attuale sistemazione, mentre in seguito cercheremo di capire che tipo di indicazioni emergono dai questionari rispetto alla percezione personale dellemergenza abitativa e ai limiti dellintervento delle istituzioni e alle possibili proposte. Aspetti positivi e negativi dellattuale sistemazione alloggiativa. La richiesta di menzionare due aspetti di carattere positivo e due aspetti di carattere negativo rispetto allalloggio che attualmente si abita, apre a valutazioni prevalentemente di tipo qualitativo: le risposte, di tipo aperto, offrono infatti un quadro che possiamo in parte suddividere in generiche categorie. La scelta di impostare le risposte in forma aperta, ha infatti necessariamente portato a definire delle aree di riferimento dei fattori espressi nei questionari: unarea che raccoglie i fattori economici, una rispetto alla relazionalit e ai meccanismi mutuali, una sulla progettualit e la prospettiva di attivazione politica che incentiva la partecipazione a movimenti di lotta per la casa. I dati rispetto alla percezione in negativo delle soluzioni alloggiative osservate, possono essere genericamente suddivise in fattori relazionali (in particolare rispetto alle differenze culturali di cui sono portatrici le tante nazionalit coinvolte nellindagine), in fattori riferibili al livello di impegno che la lotta per la casa richiede, e alle relazioni, non sempre scontate, con i territori in cui si vive. Anche la precariet degli alloggi rappresenta un elemento di disagio riscontrato frequentemente. Questo rispecchia in particolare due aspetti: lo stato strutturale di alcuni palazzi, sia occupati che assegnati, e il rischio, specie per le occupazioni pi giovani, di venir sgomberati dalla forza pubblica, con quanto consegue in termini di incolumit personale e dei propri cari, oltre che per la paura di ritrovarsi nuovamente in emergenza stringente. Per concludere, dobbiamo tenere in considerazione che ogni questionario aveva spazio per due risposte positive e due negative, per cui i dati vanno rapportati con questa scelta di metodo. Rispetto ai fattori economici, la percezione positiva delle soluzioni, per quanto precarie, abbastanza scontata: la scelta delloccupazione o la richiesta di unassistenza presso le istituzioni pubbliche, sono strettamente connesse ad una necessit economica. Se gi il nostro paese presentava una evidente fragilit dal punto di vista dellesclusione sociale ben prima della attuale crisi economica e finanziaria, landamento degli ultimi 3 anni rispetto al mercato del lavoro ha ulteriormente aggravato la situazione, con un calo delloccupazione del 2,4% tra il primo trimestre 2008 e lo stesso periodo del 2010 (CIES Rapporto sullesclusione sociale 2010). I fattori economici risultano infatti determinanti nel 33% dei casi circa del campione che li ritiene la motivazione pi importante della propria scelta abitativa. Gli spazi che ospitano lemergenza abitativa, siano occupazioni, residence, o strutture intermedie nel passaggio da occupazione ad assegnazione, sono spazi urbani, soggetti alle dinamiche di fiducia e paura che rappresentano, sinteticamente, lo spettro delle relazioni tra cittadini nelle metropoli globali (Baumann, 2005). Allinterno degli spazi dellemergenza abitativa, forse ancora pi facilmente che altrove, si mescolano stili di vita individuali, e identit collettive, che propongono modalit di relazione spesso inedite agli stessi soggetti che li abitano. I fattori relazionali legati alle condizioni di coabitazione e condivisione di spazi comuni sono tra i pi citati allinterno dellindagine.

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Dobbiamo prima di tutto riflettere su alcune questioni: la prima , appunto, la multiculturalit dei soggetti in emergenza abitativa, la seconda, importante dal punto di vista della relazione con lesterno, delle soluzioni alloggiative, il fattore comunitario sul quale va ricomponendosi la societ italiana negli ultimi 2 decenni. Rispetto alle problematiche di interesse collettivo, va infatti sempre pi diffondendosi la percezione locale, se non addirittura individuale, dellinteresse. Lattenzione dei cittadini sempre meno rivolta al funzionamento e allaccessibilit dei servizi in generale, e sempre pi alla qualit delle singole prestazioni che li riguardano da vicino: non chiedono la riforma del sistema della sanit, ma il funzionamento del loro ospedale; non chiedono la riforma del lavoro, ma il loro lavoro (Tremonti, 2009). Le occupazioni di casa al centro dellanalisi in questo non rappresentano propriamente un elemento di discontinuit, ma in se racchiudono esperienze e percezioni utili per una definizione alternativa dellabitare. Le condizioni materiali degli edifici, solitamente non destinati allabitazione allorigine, impongono, soprattutto nelle prime fasi della storia di occupazione, una condivisione dei servizi (bagni e cucine). A questo aspetto, che viene comunemente definito in negativo, fa per da contrappeso la possibilit, attraverso appunto la coabitazione, di intessere reti mutuali, che permettono la circolazione di informazioni, lallargamento di relazioni oltre il proprio nucleo familiare o comunitario, utili per laccesso al mondo del lavoro, la soluzione di problematiche quotidiane, l dove n i servizi pubblici, n le reti parentali, possono ovviare: evidente lutilit della comunit occupante per le madri single. Anche in questo caso la percentuale di coloro che ritengono le reti di mutualit un elemento positivo determinante nella propria scelta di pi del 36% dei casi. In una citt come Roma la dinamica del mercato degli affitti ha ristrutturato la composizione sociale dei territori e lorientamento produttivo. Se osserviamo il centro storico, si svuotato di oltre 250.000 persone in circa 50 anni, in parte a causa dellandamento demografico generale del paese, ma in misura ben superiore, per il processo di espulsione che ha accompagnato la richiesta di maggiori spazi per leconomia di servizi (Berdini 2008). Anche la periferia storica consolidata, quella sorta tra gli anni 20 e il secondo dopoguerra, sta vivendo, nellarco sud-orientale della citt, un meccanismo di apprezzamento degli immobili, che privilegia soluzioni in sovraffollamento (frequenti per esempio nel contesto giovanile e studentesco) o condanna a ulteriore allontanamento i cittadini. La stessa edilizia residenziale pubblica prevede lallontanamento, anche oltre il limite del GRA delle nuove edificazioni come la zona di Ponte di Nona. Roma si va ad equiparare con le altre metropoli europee, i cui flussi produttivi sono ormai allargati ben oltre gli stessi confini municipali. La soluzione delloccupazione, nella percezione del soggetto intervistato, rappresenta anche una maniera di migliorare la propria qualit della vita dal punto di vista degli spostamenti, della prossimit alle relazioni consolidate della propria esistenza, dellinserimento in territori dotati di servizi: Labitare e lappartenenza ad un territorio sono frutto delle relazioni con il territorio circostante, con gli altri cittadini, con il tessuto commerciale, i servizi, i collegamenti, le istituzioni e si riflette nei sogni e nei bisogni delle persone (Cortellesi, Venezia, Carelli 2007). Nel caso degli autorecuperi, ad esempio, la preservazione di queste relazioni rientra nel novero delle rivendicazioni che sottostanno alla scelta di questa soluzione abitativa. Altro aspetto relativo alla qualit della vita emerso tra i soggetti pi giovani, la possibilit di costruire in uno spazio abitativo sufficientemente grande, un progetto di esistenza autonomo dal nucleo familiare o in convivenza con il/ la partner. Prendendo in considerazione il Rapporto CIES sullesclusione, osserviamo che tra i dati pi evidenti della crisi in Italia abbiamo la flessione delloccupazione giovanile (20-34 anni), calata del 6,3% nel biennio 2008-2010 (CIES, Rapporto 2010), con una ricaduta evidente sulle possibilit di emancipazione per single e giovani coppie. Nel nostro campione, del 25%la percentuale che indica come un miglioramento della propria qualit di vita la possibilit di andare a vivere in occupazione poich essa considerata un passo verso la costruzione di un futuro di assegnazione dellalloggio. Il campione a cui stato sottoposto il questionario proviene da condizioni abitative che, per quanto precarie, sono inserite in un quadro generale di attivismo intorno al diritto allabitare. A Roma sono centinaia gli occupanti abusivi che agiscono individualmente. Quelle monitorate sono invece occupazioni che hanno a riferimento movimenti pi organizzati, che tengono insieme, in rete, numerosi spazi nella citt. Anche gli autorecuperi sono frutto di organizzazioni socio-politiche strutturate.

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Queste organizzazioni, animate principalmente dagli stessi soggetti che vivono nelle occupazioni o che hanno ottenuto una stabilit abitativa attraverso la mobilitazioni, sono percepite, oltre che come soluzione assistenziale, anche come spazio di attivazione e costruzione di consapevolezza delle problematiche abitative. Questa consapevolezza non riguarda unicamente laccesso agli alloggi popolari e alle forme di assistenza, ma anche in generale i processi che governano il mercato immobiliare e le politiche pubbliche. Nellultimo decennio i movimenti si sono aperti a reti pi ampie, aumentando lo spettro delle rivendicazioni e le alleanze, avvicinando anche soggetti e collettivit impegnate su altri versanti della partecipazione alle politiche urbanistiche locali e nazionali. Picchetti, tendopoli simboliche, manifestazioni sono divenute uno degli aspetti pi frequenti dello scenario politico capitolino, coinvolgendo tutti gli enti locali. Ne sono stati esempi in questi ultimi anni diverse iniziative svolte sotto lassessorato alla casa del Comune di Roma, come quello del Dicembre 2009 che ha visto centinaia di famiglie accampate sotto i portici di Lungotevere de Cenci in attesa di risposte da parte dellamministrazione capitolina sul piano casa della citt; oppure loccupazione di monumenti o siti particolarmente significativi quali il Colosseo nel mese di febbraio del 2010 o i tetti dei musei capitolini nel settembre del 2009 a seguito dello sgombero delloccupazione dellex ospedale Regina Elena. Queste mobilitazioni, proseguite per settimane, hanno coinvolto centinaia di persone residenti nelle occupazioni mettendo in piedi meccanismi di organizzazione e mutuo aiuto particolarmente onerosi. Tra gli intervistati, lattivazione percepita in maniera duplice: da una parte, positivamente, si constata la crescita individuale che viene prodotta dal dibattito interno alle occupazioni e ai movimenti, dallaltra per, emerge in maniera diffusa la fatica che la mobilitazione continua produce: i lavori precari, saltuari e part-time, frequenti tra chi si trova in emergenza abitativa, sono difficilmente compatibili con i tempi della lotta per la casa. Nel nostro campione infatti, quasi il 30% degli intervistati ha indicato lattivazione politica come risorsa e fattore positivo a fronte di un 16% circa che la indica come una scelta troppo onerosa e poco compatibile con la precariet di vita, in particolare con le difficolt legate alla ricattabilit sul posto di lavoro. Tuttavia in moltissimi casi la mobilitazione continua dei movimenti aut organizzati per il diritto alla casa diventa una scelta non opzionabile in quanto la necessit di avere un tetto sulla testa rappresenta la priorit anche di fronte alla precariet lavorativa. Per quanto riguarda lo stato delle strutture, esso indicato come fattore negativo da diversi intervistati: spesso infatti gli stabili occupati, dismessi da anni, presentano notevoli carenze dal punto di vista strutturale e impiantistico. Sono per lo pi le famiglie che li vanno ad occupare che si occupano di ristrutturare gli spazi e adeguarli alle necessit abitative dei nuclei in emergenza, anche se spesso alcune carenze permangono facendo si che la percezione della struttura sia comunque molto precaria. Per chi vive nei residence, questa problematica non centrale: gli spazi dellassistenza alloggiativa sono infatti nuovi e totalmente ristrutturati, anche se spesso si tratta di unit abitative piccole di 25/30 mq (Unione Inquilini, dossier residence). La problematica pi frequente quella della guardiania e del controllo rispetto alle persone che vi accedono: infatti in queste strutture presente una gestione esterna che limita la presenza di persone ospiti che ogni volta che si recano a trovare amici o parenti che risiedono nel residence, sono obbligate a consegnare il documento allingresso e a dichiarare il tempo di permanenza nella struttura. Limpossibilit per molti di ospitare la propria famiglia nellunica soluzione alloggiativa disponibile risulta pertanto una problematica forte, cosa che nelle occupazioni abitative non esiste in quanto le famiglie riescono ad organizzarsi autonomamente anche nella gestione dellospitalit a nuclei esterni. Come gi detto, la condizione di disagio che gli occupanti esprimono rispetto alla precariet della loro casa, va articolata anche rispetto al timore costante di essere sgomberati. Questa condizione non riguarda solo occupazioni giovani, ma anche quelle consolidate, dove, naturalmente, il rischio di perdere una stabilit acquisita e una qualit di vita migliore pi alto. Lesempio dellex ospedale Regina Elena occupato per oltre due anni e sgomberato il 1 settembre 2009, dimostra quanto concreto sia questo rischio: oltre 200 nuclei familiari divisi e spostati in strutture di accoglienza, solo in parte adeguate ad accogliere questo tipo di emergenze, in aree assai distanti dalledificio sgomberato (Monteverde, Vermicino, Grotte Celoni), con evidenti disagi per quanto riguarda il lavoro e la scolarizzazione. Percezione dellemergenza abitativa, i problemi delle politiche e le proposte dal basso. In questo paragrafo cercheremo di capire che tipo di indicazioni emergono dai questionari rispetto alla percezione personale dellemergenza abitativa ( Cos per te lemergenza abitativa?), ai limiti dellintervento delle istituzioni e alle possibili proposte ( Secondo te quali

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sono i limiti dellintervento dello Stato e degli enti locali rispetto al diritto alla casa e quali le possibili proposte?). Le due domande aperte volte a far emergere gli aspetti pi soggettivi della condizione di emergenza abitativa hanno portato alla luce elementi comuni. La scelta di formulare domande le cui risposte potevano andare a sovrapporsi stata basata sulla necessit di fornire diversi spunti ai soggetti con lobiettivo di raccogliere dei dati qualitativi lasciando pi spazio agli intervistati per esprimere pi liberamente possibile le proprie conoscenze ed opinioni rispetto alle questioni pi generali relative alle politiche abitative locali e nazionali. Alcuni dei limiti delle politiche pubbliche in tema di diritto allabitare e delle proposte vengono menzionati attraverso una percezione che parte da un punto di vista della propria esperienza personale, cos come questultima rimane centrale per immaginare da quali interventi le amministrazioni potrebbero dovrebbero ripartire per affrontare il diritto alla casa per tutte e tutti. Gli elementi qualitativi rispetto alle risposte date emergono dallanalisi combinata dei dati delle due domande, che ci offre un quadro complessivo rispetto alle molte questioni toccate. Laver posto queste domande in maniera aperta ha fatto s che fossero molte le questioni affrontate dai diversi intervistati. Alcune tendenze generali sono comunque osservabili. Limiti dellintervento pubblico e possibili proposte. Sono molteplici i problemi menzionati dagli intervistati rispetto allintervento delle amministrazioni locali o nazionale, risaltano pero almeno tre aspetti che emergono in maniera distinta dalle risposte dei questionari. Laspetto pi citato e sicuramente quello della speculazione e la cementificazione con alcune specifiche menzioni rispetto ad una percepita corruzione da parte degli organi competenti. Un altro aspetto, che lascia trapelare tra le altre cose una buona consapevolezza rispetto alle responsabilit della gestione pubblica dellemergenza abitativa, e una diffusa percezione della mancanza di un piano di edilizia popolare ed un quadro di politiche abitative adeguate ad affrontare lemergenza abitativa. Diverse persone hanno inoltre esplicitamente fatto riferimento allinsufficienza dei fondi stanziati per affrontare tale emergenza e la svendita del patrimonio pubblico. Il terzo aspetto che trova una diffusa percezione da parte degli intervistati e la mancanza di concretizzazione degli impegni che le amministrazioni prendono e la distanza dai cittadini. E questo un ambito che sembra essere legato alla specifica condizione di soggetti in emergenza abitativa legati ai movimenti per il diritto allabitare che molto spesso hanno a che fare con le amministrazioni; che sembrano voler ascoltare le istanze dei movimenti ma che spesso finiscono per temporeggiare nellattuazione concreta delle innumerevoli promesse fatte durante le manifestazioni; promesse che una volta disattese creano un diffuso senso di sfiducia nei confronti degli interlocutori istituzionali come molti intervistati riferiscono. Rispetto alle possibili proposte dintervento, gli ambiti che sono stati menzionati pi spesso dagli intervistati sono un paio: da un lato un gran numero di persone ha parlato della necessita di costruire case pubbliche/popolari, con molte articolazioni pi specifiche rispetto al fatto che questi alloggi dovrebbero essere costruiti per i soggetti che vivono una condizione di precariet generalizzata (nuclei monoreddito, giovani single, disoccupati etc.). Laltro ambito di proposta uscito in maniera significativa dalle risposte quello del recupero e della riqualificazione di spazi in disuso da attuarsi nelle forme di autorecupero e autocostruzione, due proposte concrete che molti intervistati sembrano conoscere direttamente, per conoscenza di progetti gi esistenti o come proposte di alcuni movimenti per il diritto allabitare. Il grande numero di edifici vuoti e abbandonati viene menzionato molte volte come uno dei problemi legato ai limiti dellintervento pubblico. Pi Case, meno Profitto. Dallanalisi dei questionari, nellambito delle possibili proposte per le amministrazioni, sono descritte una serie di proposte che partono da un senso pragmatico molto diffuso, infatti nella formulazione di una possibile proposta molti intervistati non descrivono quello che vorrebbero e basta, ma, probabilmente coscienti del fatto che le casse pubbliche non hanno mai fondi sufficienti per soddisfare tutte le richieste che vengono fatte alle amministrazioni, pongono delle possibili proposte nella formula di pi case al posto di..., proponendo diverse possibilit di inversione di investimenti economici per soddisfare la richiesta di case pubbliche. In diverse occasioni si trovano proposte pi generali nella formula pi case, servizi e beni comuni al posto di..., ma la maggior parte delle risposte degli intervistati punta a chiedere maggiori investimenti nelle case popolari. Tra le proposte fatte da molti intervistati c quella di costruire pi case invece di sprecare fondi pubblici nei residence, spesso descritti come uno

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spreco enorme di soldi che potrebbe servire appunto per costruire nuove case. Questo tipo di proposta emerge in maniera molto diffusa nei questionari somministrati nei residence stessi, proposta descritta spesso in relazione ad un senso di frustrazione nel sapere dei costi elevatissimi di una sistemazione temporanea che non sembra offrire n prospettive n tranquillit temporanea da parte di chi ci abita. Molti intervistati invece propongono come soluzioni possibili per le amministrazioni di costruire pi case al posto di costruire nuovi centri commerciali e grandi opere, esempi che fanno emergere la percezione di sproporzione tra le pochissime risorse investite nellemergenza casa e le dimensioni faraoniche di questi tipi di costruzione e invasione della citt con tutti i costi esorbitanti annessi alla loro realizzazione. Alcuni intervistati hanno esplicitato la proposta di veder costruire pi case invece degli investimenti militari, proposta che ha trovato probabilmente diversi sostenitori in un momento in cui il comune di Roma si appresta a svendere molti stabili e caserme per finanziare il ministero della difesa. Il fatto che alcune delle persone intervistate vivessero in una di queste caserme (quella di via del Porto Fluviale) ha offerto la possibilit recente per queste famiglie di immaginare una proposta di recupero dello spazio alternativa alla valorizzazione del Comune di Roma che tenga dentro unidea di finalit sociale e abitativa per queste famiglie e per la citt tutta. Laltra possibile soluzione proposta da molte persone legata non solo ad un fattore economico, indirettamente legato alla proposta, ma ad un elemento geografico. Infatti c un numero considerevole di persone che propone di costruire o ricavare pi case nelle zone centrali della citt. La questione della distanza dai centri produttivi della citt posta in molti casi da persone che hanno abitato per anni in zone con elevata accessibilit ai servizi e si trovano adesso a vivere in strutture pi distanti e isolate, o viceversa, dopo anni di lunghi spostamenti per raggiungere i posti di lavoro sono riusciti ad avvicinarsi alle altrimenti inaccessibili zone pi interne grazie alla scelta di aver occupato e non vorrebbero doversi allontanare nuovamente dai territori dove si stanno costruendo una vita con tutte le relazioni sociali che questo comporta. La questione della gentrificazione sembra assumere un ruolo sempre pi importante in anni dove si pensa ad allargare le citt a dismisura con la pianificazione di nuovi quartieri satellite sempre pi distanti e scollegati dalla citt e dai servizi. Esempi come quello di Ponte di Nona dove sono state consegnate le ultime case popolari costruite dal Comune di Roma lasciano sempre pi persone col dubbio quanto davvero sia meglio avere una casa popolare a 50 km dal proprio lavoro piuttosto che nelle occupazioni spesso collocate in zone centrali dove semplice avere accesso a servizi, lavoro e scuole. Percezione dellemergenza abitativa. Da una prima osservazione delle risposte su cosa sia per gli intervistati lemergenza abitativa, la mancanza di un posto dove vivere, limpossibilit di arrivare a fine mese e il non poter pagare laffitto o un mutuo sono gli elementi caratterizzanti che il maggior numero di intervistati ha nominato, lasciando ad intendere che la maggior parte delle persone che si trovano in emergenza abitativa percepiscono tale emergenza come un problema del singolo soggetto o nucleo. Da una pi attenta ed approfondita osservazione delle risposte, emerge invece un quadro diverso. Anche se durante la somministrazione del questionario si chiesto di partire dalla propria esperienza per descrivere lemergenza abitativa, molti intervistati hanno voluto evidenziare elementi di carattere pi generale, parlando di aspetti non immediatamente riconducibili allemergenza abitativa quali un pi generale senso di precariet di vita di cui lemergenza abitativa una parte sostanziale. Diverse sono invece le risposte che legano lemergenza abitativa direttamente alla crisi economica e finanziaria come per esempio il calo delloccupazione e il problema della continuit del reddito. Precariet e Lavoro. Molti intervistati hanno nominato la questione della precariet e del lavoro per descrivere lemergenza abitativa, in particolare la precariet diffusa sembra essere un elemento caratterizzante dellemergenza abitativa per molti intervistati, cos come la mancanza di lavoro. Elementi che vengono nominati da molte persone anche in relazione ai problemi relativi allintervento pubblico e alle possibili soluzioni. Rispetto alla precariet come elemento descrittivo di una condizione generale di vita, alcuni esempi specifici emersi sono quello della precariet per le famiglie monoreddito, gi menzionato rispetto alla proposta di costruzione di case popolari per soggetti con queste caratteristiche. Altro elemento descritto spesso esplicitamente come caratterizzante dellemergenza abitativa in relazione alla precariet la mancanza di un reddito minimo garantito, elemento che

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ritroviamo sia nelle possibili proposte come necessit di welfare per giovani, lavoratori precari, sia nella parte legata ai problemi dellintervento pubblico delle istituzioni, dove diverse risposte parlano appunto della mancanza di un welfare per i single, studenti e disoccupati tra le categorie maggiormente nominate. Diversi intervistati parlano pi in generale della redistribuzione delle ricchezze come proposta per risolvere lemergenza abitativa. Per tornare invece alla questione del lavoro, la perdita del lavoro, limpossibilit di combinare lo studio con il lavoro e in maniera predominante il ricatto costante del lavoro da dover accettare a tutte le condizioni per poter pagare un affitto, sono aspetti emersi nella descrizione dellemergenza abitativa, ma anche nellambito delle proposte la richiesta di un lavoro un tipo di proposta concreta che esce da molti questionari. Affitti e Sfratti. Il problema degli affitti come gi detto risulta essere uno degli elementi predominanti nel descrivere la percezione di che cosa sia lemergenza abitativa, molte volte menzionato come il maggior fardello economico per riuscire ad arrivare a fine mese. Sono frequenti i riferimenti ad un mercato degli affitti troppo alto o alla sproporzione tra stipendi e affitti. Sproporzione che diventa insormontabile nei molti esempi dati da intervistati con famiglie con monoreddito, persone che hanno perso il lavoro, si sono separate dal coniuge, emancipate dal nucleo familiare o anche semplicemente in pensione. Come conseguenza dellimpossibilit di pagare laffitto viene menzionata la questione degli sfratti sia come limite dellintervento pubblico dove viene menzionato spesso il grande numero degli sfratti senza possibili alternative per chi si trova in mezzo ad una strada sia come elemento caratterizzante dellemergenza abitativa. E nellambito delle proposte che invece i questionari rivelano un dato significativo nel un numero significativo di persone intervistate propone tra le possibili soluzioni per risolvere lemergenza abitativa il ribasso degli affitti e lo stanziamento di fondi per regolare il mercato degli affitti. Migranti e diritti. Nonostante lelevato numero di persone migranti intervistate, la maggior parte delle risposte alle domande aperte sulla condizione di emergenza abitativa non hanno in prima battuta esplicitato problemi relativi alla condizione di migrante, anche se alcuni aspetti hanno trovato comunque spazio nelle risposte date. In particolare, laspetto nominato pi spesso quello della mancanza di diritti su un piano generale, dentro il quale ricompreso il diritto allabitare per tutti, italiani e migranti, Anche la ricattabilit sul posto di lavoro, gi descritta prima, viene elencata molte volte come elemento distintivo, anche se non esclusivo, della percezione dellemergenza abitativa da parte dei migranti. Altre menzioni vengono fatte alla precariet legata ai documenti cos come per alcuni allinaccessibilit agli affitti regolari per chi non ha i documenti: la ricattabilit dettata da una condizione di irregolarit di soggiorno costringe spesso le famiglie straniere a accettare di vivere in situazioni di grave deprivazione abitativa. Secondo i dati Istat, particolarmente significativo per la condizione abitativa lindice di sovraffollamento per le famiglie migranti che su un dato nazionale arriva fino al 37,2% contro il 14,6% delle famiglie italiane (Istat, Le famiglie con stranieri: indicatori di disagio economico per lanno 2009). Solo in pochi intervistati, nellambito delle proposte concrete parlano di un aiuto per gli stranieri. Queste considerazioni si aggiungono a quelle fatte precedentemente sulla percezione da parte dei migranti di una vera e propria discriminante etnica sullaccessibilit agli alloggi siano essi in affitto o in altre forme di locazione. Futuro e Dignit. Un altro aspetto che viene menzionato molte volte con formulazioni diverse quello dellincertezza per il futuro; lelemento che nella descrizione dellemergenza abitativa viene esplicitato come mancanza di prospettive o limpossibilit di sviluppare progetti di vita, per i migranti diventa anche limpossibilit di radicare il proprio progetto migratorio nel nostro paese. Lo stesso aspetto emerge anche alle risposte sui limiti dellintervento pubblico, dove lincertezza per il futuro viene nominata esplicitamente come conseguenza delle carenze delle amministrazioni che non prospettano soluzioni che guardino al futuro per risolvere lemergenza abitativa. La diffusa sensazione di precariet ricorre spesso nei termini di mancanza di una stabilit, cosi come limpossibilit di costruirsi una prospettiva dignitosa. Lespulsione forzata dalla citt, anche se gi stata ricompresa tra gli aspetti legati ai limiti dellintervento pubblico, rappresenta un elemento ricorrente anche tra le risposte circa la percezione di incertezza per il futuro in quanto costringe ad interrogarsi circa la qualit della vita e delle relazioni umane e sociali che si andranno ad incontrare nei quartieri di edilizia popolare cui si destinati. Per concludere lanalisi dei dati relativi alla domanda sui limiti dellintervento pubblico, occorre sottolineare come

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emerga costantemente da un lato un senso di sfiducia generalizzato verso le istituzioni e dallaltro la voglia di prendere parola e partecipare alla costruzione e ridefinizione del proprio futuro. Possibilit che molti intervistati percepiscono di poter attuare allinterno di un processo collettivo di costruzione di alterit come quello dei movimenti per il diritto allabitare in funzione di una proposta di soluzione per il loro problema abitativo. In questo senso le occupazioni di stabili abbandonati rappresentano una soluzione che, seppur temporanea, risulta efficace per tamponare la propria emergenza abitativa mentre si costruiscono insieme ad altri degli strumenti per proporre soluzioni concrete, senza attendere che queste arrivino dallalto.

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CASO DI STUDIO 1 : La condizione abitativa di immigrati e rifugiati politici a Roma


Per la prima volta nella storia dellumanit la met della popolazione mondiale vive in aree urbane (UN- Habitat, 2006). Inoltre, secondo le ultime stime delle Nazioni Unite nei prossimi 25 anni la crescita della popolazione mondiale si concentrer soprattutto nelle aree urbane. Da una parte questo potrebbe essere considerato come un trend positivo dal momento che le citt sono state per lungo tempo celebrate come i motori della crescita e lurbanizzazione stata vista come processo indispensabile per lo sviluppo di una nazione. Tuttavia con il 31,6% della popolazione urbana che vive in aree urbane informali (urban slums) (Un-Habitat 2003), pi che motori della crescita sembra che le citt siano diventate discariche umane (Davis, 2006). In questo complesso scenario, le migrazioni internazionali pongono nuove sfide per quanto riguarda la gestione delle citt. La multi-etnicit oggi costituisce una delle principali caratteristiche della citt contemporanea. Tuttavia, le citt sembrano tendere non allintegrazione dei migranti ma al contrario alla loro esclusione e segregazione allinterno di aree informali. I crescenti flussi di migrazioni internazionali e lintensificazione dei problemi di povert urbana costringono la maggior parte dei migranti a dover trovare soluzioni alloggiative informali e non adeguate, che tendono a rafforzare il circolo vizioso della povert e delle divisioni della societ. Al momento ci sono circa 214 milioni di migranti internazionali (Caritas e Migrantes, 2010), la maggior parte dei quali si dirige verso le aree urbane dove le possibilit di trovare un lavoro sono maggiori (Balbo 2005). Come sottolinea le Gales (2002) la traduzione urbana dellimmigrazione ben nota: gli immigrati si installano massicciamente nelle grandi citt1 dove posso accedere pi facilmente alleconomia informale, ed a network di conoscenze. Molti dei migranti giunti in citt in cerca di lavoro sinsediano stabilmente modificando la morfologia sociale, la struttura economica e anche la configurazione fisica della citt (Alessandria, 2006). Grazie alle migrazioni internazionali le citt sono ormai diventate il luogo dincontro delle diversit, dindividui originari di molti paesi e di coesistenza di molte culture (Sassen, 2006). Tuttavia molto spesso le tradizioni culturali, sociali e religiose dei migranti differiscono da quelle del paese ospitante, cosa che rende la loro integrazione allinterno del contesto urbano pi difficoltosa. Molti dei migranti una volta arrivati in un nuovo contesto urbano preferiscono stabilizzarsi allinterno di comunit di persone provenienti dalla stessa area geografica, che possono fornire il sostegno ed i network informali che generalmente le istituzioni locali sono incapaci di fornire (Balbo, 2005). Spesso tra le comunit immigrate si organizzano veri e propri spazi sociali con propri codici, gerarchie e pratiche (Le Gales, 2002). Questi network informali sono di vitale importanza per i migranti perch appena arrivati in un nuovo contesto urbano li aiutano a trovare una abitazione a basso ed un lavoro. Tuttavia se da una parte i network informali sono importanti per linserimento abitativo e lavorativo dei migranti dallaltra tendono a creare comunit chiuse e a rafforzare la segregazione urbana. Inoltre la maggior parte dei migranti solitamente si va ad aggiungere ai livelli pi poveri della popolazione urbana ed, in particolare, sembra che invece di essere inclusi allinterno delle citt i migranti vengano segregati sia economicamente che socialmente ai margini delle stesse. Per tutte queste ragioni ci sembra quindi fondamentale che i decisori delle citt garantiscano condizioni materiali ed organizzative adeguate ad accogliere ed integrare i nuovi cittadini. I dati riguardanti la presenza di immigrati presenti in Italia mostra un aumento esponenziale a riprova di un fenomeno ormai di primaria importanza ed in rapida crescita. Negli ultimi venti anni la popolazione immigrata in Italia cresciuta di quasi venti volte: nel 1990 erano presenti circa mezzo milione di immigrati, mentre allinizio del 2010 erano 4 milioni e 919 mila persone (1 immigrato ogni 12 residenti) (dati Caritas e Migrantes 2010). La presenza di immigrati nella citt di Roma la pi elevata dItalia, con una popolazione straniera nel 2010 di 320.409 persone, il 9% in pi rispetto a gennaio del 2009 (dati Caritas 2010). Roma appare essere quindi essere ormai una citt multi-etnica, tuttavia questo non si traduce con la presenza di pari opportunit per cittadini italiani e stranieri. Infatti gli immigrati costituiscono oggi in Italia la parte pi consistente dellesclusione abitativa. Lultimo ventennio italiano stato caratterizzato da una parte dalla crisi delledilizia residenziale pubblica e dallaltra da una crescente difficolt di accedere ad una casa sul mercato sia della vendita che dellaffitto. Dal 1984 al 2004 c stato un drammatico calo nella produzione di edilizia pubblica, fino ad arrivare nel 2004 alla costruzione di solamente 1.900 alloggi in tutto il paese. La mancanza di edilizia pubblica particolarmente grave in un contesto come quello romano in cui 32.000 persone sono in lista per una casa popolare (sito del Comune di Roma). A questo scenario si uniscono le difficolt economiche dei costi dellacquisto dellabitazione primaria oppure dal pagamento dellaffitto, tanto pi che a rivolgersi al mercato dellaffitto sono proprio le fasce pi deboli della popolazione. Ormai a Roma le difficolt ad accedere una casa non riguardano una fascia ristretta dei cittadini, ma lemergenza abitativa coinvolge circa 40 mila famiglie, circa 100 mila persone (dati Caudo e Sebastianelli 2007) tra immigrati, famiglie sotto sfratto, famiglie

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a basso reddito, giovani precari ed anziani. Il fenomeno dellimmigrazione in Italia stato considerato per molto tempo come un fenomeno temporaneo, al quale destinare di conseguenza un numero limitato di risorse. Tuttavia la stabilizzazione negli ultimi anni del fenomeno migratorio e la sua intensificazione ha portato ad un aumento della domanda di abitazioni a basso costo da parte degli immigrati che si andata ad aggiungere alla domanda, ancora non soddisfatta, di molti cittadini italiani. Questo ha portato ad una sorta di concorrenza tra nuclei familiari a basso reddito italiani ed immigrati nella difficile ricerca di abitazioni a basso costo (Asal 2001) e vista la mancanza di case popolari, attualmente la ricerca di una casa passa inevitabilmente attraverso il libero mercato. Quindi i nuclei familiari pi vulnerabili sia italiani che stranieri devono concorrere tra loro nel libero mercato per la ricerca di unabitazione. Tuttavia, nel libero mercato gli immigrati vengono discriminati sia per quanto riguarda laffitto che lacquisto di una abitazione. Baldini e Federici (2010) con la loro ricerca2 hanno testato la disponibilit dei proprietari ad affittare a stranieri, arrivando alla conclusione che esiste una chiara discriminazione nei confronti degli immigrati e che una parte dei proprietari non disposta a concedere una casa in affitto agli stranieri. Gli immigrati risultano quindi svantaggiati nella ricerca della casa rispetto ai nuclei familiari italiani. Il buon funzionamento del mercato degli affitti fondamentale per favorire lintegrazione degli immigrati e di conseguenza queste prassi discriminatorie non hanno permesso, in questi anni di continui e consistenti flussi migratori, una soddisfacente integrazione nel tessuto sociale urbano, originando tensioni specialmente in alcune zone generalmente povere della citt. Ci ha influito negativamente anche sullunit familiare dato che una delle condizioni prevista dalla normativa per richiedere il ricongiungimento familiare la disponibilit ad un alloggio autonomo (Caritas e Migrantes, 2010: 196). Anche per quanto riguarda laccesso alle case popolari, in base alla legge n.189 del 2002 (legge Bossi-Fini), si richiede che lo straniero sia in possesso di carta di soggiorno, di permesso di soggiorno di almeno due anni e che eserciti regolare attivit lavorativa autonoma o subordinata o sia titolare dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria (Caritas 2010). Di conseguenza tutti i migranti regolari che lavorano nel mercato nero o coloro che non hanno un regolare permesso di soggiorno sono esclusi dalledilizia residenziale pubblica. Viste le difficolt ad accedere ad una abitazione sul mercato e la mancanza di assistenza da parte dello Stato, i migranti illegali sono solitamente costretti a vivere in urban slums3 (abitazioni informali) senza servizi sanitari o educativi, negli argini dei fiumi, lungo le rotaie, in fabbriche o edifici occupati. La difficolt o limpossibilit di accedere ad un alloggio, non solo per la mancanza di risorse finanziare, anche se la povert sicuramente un fattore che intensifica i disagi abitativi dei migranti, un importante fattore di non integrazione, di esclusione e di mancanza di coesione sociale (Coin, 2004). Infine, se si esamina la condizione abitativa degli immigrati si nota la tendenza ad una polarizzazione delle situazioni abitative: da un lato, gli immigrati di vecchio insediamento che negli anni sono riusciti a stabilizzare la propria condizione abitativa, dallaltro si assiste ad una persistente precariet o ad un peggioramento per le componenti pi deboli ed allinizio del proprio percorso migratorio (Asal 2001), come ad esempio i rifugiati politici.

Le condizioni abitative dei rifugiati politici presenti a Roma


Secondo la Convenzione sullo status di rifugiato firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, un rifugiato colui che, (...) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalit, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui cittadino e non pu o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non pu o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. I rifugiati politici sono quindi costretti a lasciare il proprio paese di origine e quello che contraddistingue il rifugiato dal migrante tout court la mancanza di un progetto migratorio in termini di prospettive di lavoro e di reti di lavoro e ci rende il percorso individuale pi complicato (Caritas 2009: 274). In Italia sono presenti circa 38 mila rifugiati richiedenti asilo politico a livello nazionale, circa 10 mila sarebbero ospitati nel Lazio, di cui 6 mila nella sola capitale. La situazione abitativa dei rifugiati presenti a Roma particolarmente critica, da una parte per la mancanza di un sistema di accoglienza adeguato e dallaltra per la difficolt a trovare alloggi a basso costo sul mercato e la difficolt di trovare un lavoro. Per legge i rifugiati hanno diritto ad un periodo di accoglienza di circa un anno allinterno del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR). A Roma esistono 22 strutture per laccoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in convenzione con il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma per un totale di 1.366 posti. Nel 2008 sono stati accolti 1.435 persone: 381 afghani, 178 eritrei, 107 dalla Guinea, 65 ivoriani, 569 iracheni e 43 fra etiopi e nigeriani. Tuttavia i posti allinterno dei centri di accoglienza sono insufficienti ed a Novembre 2009 risultano essere 3.426 le persone in attesa di essere accolte in una delle 22 strutture di romane (Corriere della Sera, 11 Maggio 2010).

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Lintero sistema italiano di accoglienza dei rifugiati si basa su soluzioni temporanee ed emergenziali, fin dallapprovazione della prima legge in materia di rifugiati la legge 39/90 (chiamata anche legge Martelli), in cui non solo non si parlava di case per i rifugiati o di soluzioni di lungo periodo, ma al contrario si preoccupava che lintervento per i rifugiati non si configurasse come abitativo. Con i finanziamenti della legge Martelli sono stati costruiti i primi centri di accoglienza, che hanno una utilit nel breve periodo. Nel lungo periodo al contrario, essi contribuiscono a cronicizzare il ricorso a soluzioni di emergenza e rischiano di sostituire quelle definitive (Coin 2004: 145). I centri di accoglienza danno solo una risposta di breve periodo ai problemi abitativi dei rifugiati politici, ma mancano completamente percorsi di autonomia individuale per i rifugiati, di formazione professionale e linguistica, che permettano di integrarli veramente allinterno della citt e di renderli indipendenti dal punto di vista abitativo e lavorativo. Di conseguenza, una volta finito il periodo di permanenza nei centri, i rifugiati si trovano senza un alloggio e senza la possibilit economica di trovarne uno sul mercato e sono costretti a trovare soluzioni abitative alternative ed informali: dalla costruzione di piccole baraccopoli alloccupazione di edifici in disuso. Il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, Christopher Hein ha denunciato come fossero almeno duemila i richiedenti asilo a Roma che vivono in condizioni di alloggio e sanitarie drammatiche; si tratta di sudanesi, etiopi, somali, eritrei e afgani che avrebbero diritto ad essere assistiti ma che non hanno alcun aiuto dallo Stato e dallamministrazione4. Inoltre lassociazione Medici per i Diritti Umani (Medu) ha segnalato come quasi tutti i rifugiati politici della Capitale (il 93%) sono senza fissa dimora e comeil 21% soffre di malattie allapparato respiratorio dovute a condizione abitative precarie. A gravare sulla situazione dei rifugiati, inoltre,influisconoanche i tempi per ottenere laccoglienza che si aggirano allincirca intorno ai6 mesi. Nonostante la Convenzione sullo status dei rifugiati sancisca lequiparazione fra i cittadini dello Stato ospitante e i rifugiati in materia civile, di esercizio della professione e di assistenza, tutto questo nella realt non avviene ed i rifugiati, categoria vulnerabile per eccellenza, nella maggior parte dei casi sono costretti a vivere in insediamenti informali per anni. Di seguito sono riportati tre approfondimenti sulle condizioni abitative di alcuni rifugiati afghani, eritrei e somali presenti a Roma.

Focus La Buca degli Afghani ad Ostiense


Tipologia di insediamento: Vera e propria baraccopoli Numero di abitanti: circa 150 persone Nazionalit: Afghanistan Breve storia: Questa comunit formata da circa 150 persone, sono per lo pi giovani di etnia pashtun, hazara, tagika, tutti uomini. Sono arrivati quasi tutti attraverso la Grecia. Sono richiedenti asilo o titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari e come tali hanno diritto a unassistenza sociale e sanitaria parificata a quella dei cittadini italiani. E da anni, fin dal 2006, che i profughi afghani che arrivano a Roma si accampano nei pressi dellAir Terminal, nei pressi della Stazione Ostiense. Per anni hanno vissuto in quella che poi stata sopranominata buca, lo scavo di un cantiere per la costruzione di un edificio, in cui hanno costruito baracche o hanno vissuto in tende, senza acqua, elettricit e servizi igienici. Quando il 23 Ottobre 2009 la propriet del cantiere dove sorgeva la buca ha deciso di sgomberarli per poter procedere con i lavori iniziato il loro iter tra centri di accoglienza, ricostruzione del campo ad Ostiense e nuovi sgomberi. Per trovare una soluzione almeno temporanea il Comune di Roma il 12 Novembre 2009 ha portato i rifugiati afghani che vivevano nella buca presso il CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Castelnuovo di Porto, in provincia di Roma. Il primo Dicembre 2009 sono stati spostati al campo allestito allEx-Fiera di Roma per lEmergenza Freddo. Tuttavia con la fine dellinverno gli afghani sono tornati nella zona dellAir Terminal ed hanno costruito un nuovo accampamento sempre allinterno del cantiere ma non pi nella buca. Allinizio hanno vissuto in tende, ma con il passare dei mesi hanno ricostruito le baracche. La propriet dei cantieri a Luglio 2010 ha chiuso lunico rubinetto di acqua potabile nel campo e ha nuovamente dato un ultimatum di poche settimane dopo di che avrebbero provveduto allo sgombero del campo per poter continuare i lavori. Il 14 Luglio 2010 le associazioni umanitarie ed i profughi afghani hanno occupato lassessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma per chiedere una soluzione al problema ed un incontro con lassessore Sveva Belviso. Nellincontro stato deciso che il 19 Luglio 2010 il campo degli afghani ad Ostiense sarebbe stato sgomberato dal Comune di Roma ed i profughi afghani portati in due centri di accoglienza: il Forlanini e la Casa della Pace in cui sarebbero potuti rimanere fino al 30 Settembre per dare tempo alle Istituzioni (Comune, Provincia e Regione) di trovare una soluzione di lungo periodo. Da allora, i rifugiati condotti nei centri di accoglienza continuano a vivere in una situazione di forte precariet, mentre alla Stazione Ostiense gli arrivi non si arrestano: abbattuto linsediamento informale degli afghani la situazione non

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infatti cambiata, continuando ad arrivare giovani afghani in fuga dal loro paese in guerra, con le istituzioni incapaci di trovare soluzioni di lungo periodo alla questione. Secondo Eva Gilmore di Yo, Migro! il flusso non si ferma perch la stazione Ostiense ormai un punto di arrivo e di transito noto da parte dei richiedenti asilo che vengono dalla rotta dellest quindi in particolare afghani ma anche curdi, irakeni, iraniani, pakistani. La stazione Ostiense un punto di riferimento dove chi arriva pu trovare quanto meno una rete primaria di aiuto da parte di chi vive la nella loro stessa situazione, lo da tanti anni e continuer ad esserlo. E un punto nella mappa di chi fugge dalle guerre, e c bisogno di costruire degli interventi specifici sul campo ad Ostiense che vanno dallaccoglienza primaria allorientamento sui diritti dei rifugiati politici. Quindi gli arrivi continuano ed da anni che funziona cos perch da anni che puntualmente si ricrea un insediamento, si crea il caso, lemergenza, si interviene con soluzioni pi o meno parziali, il campo viene sgomberato e tempo sei mesi il problema si ricrea. Al momento la stazione Ostiense continua ad essere una tappa fissa per gli afghani che arrivano in Italia, con la differenza che, rispetto al recente passato, non essendoci pi linsediamento informale i nuovi arrivati sono costretti a dormire sui binari della stazione.

Focus Ex-Ambasciata Somala


Tipologia di insediamento: edificio occupato Numero di abitanti: circa 140 persone Nazionalit: Somalia Breve storia Lambasciata somala stata chiusa nel 1990 in seguito alla caduta del governo di Mogadiscio. Gi dal 2003 ledificio ormai abbandonato stato occupato da rifugiati politici somali, che non avendo nessun altro posto hanno deciso di dormire nella loro ex-ambasciata. Lex-ambasciata somala si trova in una delle zone pi belle di Roma piena di verde e bei palazzi. Se dal di fuori sembra di trovarsi davanti ad un elegante palazzo, dentro dopo 7 anni di abbandono, senza manutenzione ed elettricit, le condizioni di degrado sono indescrivibili:senza corrente elettrica, con solo due bagni a disposizione, in unatmosfera irrespirabile per la puzza, tra i topi che circolano in mezzo ai materassi umidi adagiati sui pavimenti (La Repubblica 30 Dicembre 2011). In seguito ad un recente fatto di cronaca (lo stupro il 26 febbraio di una ragazza allinterno delledificio dellambasciata) lex-ambasciata stata sgomberata e come racconta un giornalista di Repubblica: i rifugiati sono stati abbandonati a se stessi in mezzo alla strada, braccati dalle forze di polizia che non permettevano loro di stazionare in nessuna area, senza che venisse predisposto dal Comune e dalla altre istituzioni, un minimo piano di accoglienza in qualche struttura (La Repubblica, 27 Febbraio 2011).

Focus Ponte Mammolo


Tipologia di insediamento: vera e propria baraccopoli Numero di abitanti: circa 100 persone Nazionalit: Eritrea Breve storia In un terreno vicino alla fermata della Metro di Ponte Mammolo da sette anni si insediato un gruppo di rifugiati eritrei, che negli anni ha costruito delle abitazioni con legno, lamiera e in qualche caso mattoni. La comunit di Ponte Mammolo una comunit ormai stabile che si data anche un nome portatore di un messaggio di sperata integrazione: Comunit La Pace. La comunit negli anni cresciuta e si auto-organizzata per lapprovvigionamento di acqua ed elettricit: stato acquistato un generatore comunitario e periodicamente viene comprata la benzina per farlo funzionare. Lelettricit arriva tutti i giorni dalle 8 di sera a mezzanotte. Nel 2006 a causa di un incendio la maggior parte delle baracche sono bruciate, e gli abitanti con grandi sacrifici hanno dovuto ricostruirle. Infine recentemente la comunit ha anche costruito due bagni in muratura. Nonostante rispetto ad altri insediamenti informali quello di Ponte Mammolo sia ben organizzato, comunque una soluzione emergenziale e Simon, uno degli abitanti racconta: io sono arrivato in Italia 7 anni fa, dopo essere stato 3 giorni a Crotone, sono arrivato a Roma. Non avevo nessun posto dove dormire cos insieme ad altri 500 ragazzi provenienti dal Corno dAfrica siamo andati a dormire alla stazione Tiburtina. Fino a quando un amico non mi ha detto che altri rifugiati eritrei si erano insediati in un terreno a Ponte Mammolo. Sono andato la anche io e piano

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piano mi sono costruito questa casa in legno. Fino a quando non trover unaltra soluzione migliore rimarr qua, ma questa non il mio posto, una soluzione di emergenza.

Riflessioni conclusive
La casa un presupposto fondamentale per linclusione degli immigrati allinterno della societ, secondo Somma (2004) la casa ha la funzione di favorire leducazione e lemancipazione dei lavoratori[] quindi unindispensabile premessa alla loro integrazione. Lattuale situazione abitativa di molti immigrati e della maggior parte dei rifugiati politici presenti a Roma quindi un chiaro segnale di mancanza di integrazione allinterno della citt. Le societ sono costruite anche spazialmente, e le modalit in cui le citt vengono costruite e abitate influenza anche la societ e pu amplificare certe tendenze e ridurne altre. Le citt sono quindi il risultato fisico delle diverse politiche urbane (Piles, 1999) ed importante considerare che il modo in cui le citt vengono pianificate influenza le dinamiche sociali dal momento che le relazioni sociali sono inevitabilmente correlate alle relazioni spaziali (Peach, 1975). La concentrazione di popolazione disagiata e vulnerabile produce effetti di chiusura e contribuisce a rafforzare la ghettizzazione e la segregazione urbana degli abitanti. quindi di fondamentale importanza analizzare e risolvere il problema abitativo di immigrati e rifugiati politici. E indiscutibile che le politiche per risolvere la condizione abitativa degli immigrati non siano adeguatamente affrontate, tant che oggi limmigrato ad adattarsi al mercato e non viceversa (Caritas e Migrantes, 2010: 196). La domanda abitativa degli immigrati e dei rifugiati politici si distingue per la complessit dei fattori che concorrono a determinarla, dati dalla capacit di reddito, dalla composizione del nucleo famigliare, dalla rete di relazioni, dalla nazionalit, dalle specificit e dalla durata del progetto migratorio e dal grado di integrazione sociale. Ad esempio le tre situazioni sopra riportate dei rifugiati afghani, somali e eritrei sono tre insediamenti informali che presentano caratteristiche estremamente diverse, a testimonianza del fatto che la domanda di abitazioni a basso costo da parte di immigrati sia una domanda variegata, che rispecchia esigenze diverse. Linsediamento di Ponte Mammolo una comunit stabile e auto-organizzata, mentre linsediamento degli afghani non ha avuto la possibilit di stabilizzarsi e quindi i suoi abitanti si trovano dopo anni in una situazione ancora estremamente precaria ed emergenziale. Laccampamento dei profughi afghani ad Ostiense (la cui storia e caratteristiche sono riportate nel primo approfondimento), svolgeva sia funzione di prima accoglienza per i nuovi arrivati, che anche quella di rifugio di lungo periodo per i profughi afghani che non hanno un lavoro e quindi la possibilit di pagare un affitto. Linsediamento sorgeva allinterno di un cantiere, di conseguenza non si pu pensare ad una soluzione di recupero dellinsediamento in situ, ma si dovrebbe prevedere una strategia di breve periodo per laccoglienza dei nuovi arrivi giornalieri, ed una strategia di lungo periodo per i rifugiati politici che intendono restare nella citt di Roma. Mentre per linsediamento di Ponte Mammolo di rifugiati eritrei, dove da sette anni sono state costruite delle piccole baracche e si formata una comunit stabile, in un terreno inutilizzato, se ci fosse la volont politica si potrebbe pensare ad un progetto di auto-costruzione di case in situ affidata direttamente ai rifugiati eritrei. E importante sottolineare che non esistono soluzioni standard ai problemi abitativi di immigrati e rifugiati politici, ma ogni tipo di intervento deve essere multi-settoriale, e deve essere pensato in base al contesto di riferimento. Tuttavia, la condizione sine qua non per trovare una soluzione al problema ci sembra essere la volont politica di trovare soluzioni di lungo periodo, piuttosto di mettere in atto politiche repressive di sfratti e sgomberi forzati.

Caso di studio 2 - Case senza gente e gente senza case: lItalia e il panorama europeo 2.1) Case senza gente e gente senza case
Lattuale crisi abitativa non dovuta, come nel dopo guerra, alla mancanza di case, ma ha radici pi profonde da trovare nellattuale sistema neoliberista, che ha messo in crisi la pianificazione delle citt ed ha trasformato le citt da bene comune a bene di consumo. A partire dalla seconda met degli anni 90 una parte del sistema imprenditoriale e finanziario, complici le banche e la liberalizzazione degli affitti, ha puntato sullaumento spropositato dei valori immobiliari. Il crescente numero di persone che non riescono ad accedere al bene casa non quindi dovuto alla mancanza di abitazioni. Infatti negli ultimi 50 anni lo stock abitativo in Italia pi che raddoppiato, passando da una situazione di deficit di abitazioni nel 1951, in cui erano presenti 11.814.402 famiglie per 11.410.685 abitazioni, ad una situazione di netto surplus nel 2001, in cui troviamo 21.810.767 famiglie per uno stock abitativo di 27.291.993 abitazioni.

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Tabella 1:

Questi dati, quindi, dimostrano in maniera inconfutabile come in Italia ci siano molte pi abitazioni che famiglie: 27 milioni di abitazioni contro 22 milioni di famiglie. Considerando poi che in economia al crescere dellofferta di un determinato bene ci dovrebbe essere una conseguente diminuzione del prezzo di quello stesso bene risulta che, nonostante laumento delle abitazioni costruite, non ci sia stata una riduzione dei valori immobiliari, ma al contrario si assistito a un trasferimento di ricchezza verso la rendita immobiliare (Berdini 2008: 125). Secondo dati Ance e Nomisma (riportati da Berdini 2008) in meno di 10 anni, dal 1996 al 2006 il valore medio degli immobili su scala nazionale aumentato del 69%. Le citt sono quindi diventate un bene economico. A riprova di questa affermazione lEconomist ha stimato che nei paesi occidentali, tra il 1997 ed il 2007, il valore degli immobili cresciuto esponenzialmente passando da 30 trilioni di dollari a 70 trilioni di dollari. Un incremento tale non ha precedenti nella ricchezza prodotta da nessunaltra attivit produttiva. Il mutato rapporto tra economia e citt ha trasformato questultima in una sorta di banca dalla quale attingere risorse economiche (Caudo 2010, 9). Secondo Berdini (2008) il rilancio delledilizia invece di dare una casa a chi ne ha bisogno solo servito ad aumentare le speculazioni immobiliari nella citt di Roma. La lobby della rendita ha evidentemente un peso troppo grande in Italia (ibid. 142). Lurbanistica quindi invece di frenare la finanziarizzazione delle citt servita ad assecondarla. In questa situazione di surplus di abitazioni e di finanziarizzazione della citt si continua a costruire invece di utilizzare lo stock abitativo esistente. Di conseguenza in Italia, come in molti Paesi dEuropa, crescente la preoccupazione per il fenomeno del consumo di suolo. Non consumare territorio non vuol dire non costruire. Vuol dire solo passare dal nuovo al recupero Non consumare territorio potr servire inoltre a contrastare la deriva di un eventuale protagonismo degli operatori immobiliari (Consumo di suolo zero, 2010). Non consumare territorio vuol dire riutilizzare spazi vuoti gi urbanizzati, recuperare edifici e fabbriche in disuso, rimettere sul mercato le migliaia di abitazioni sfitte presenti in Italia, arrivare ad una piena utilizzazione del patrimonio edilizio privato e pubblico. In Europa, la Germania si data lobiettivo quantitativo di ridurre del 75% gli attuali consumi di suolo entro il 2020. Il Regno Unito ha messo in campo una serie di azioni che vanno dalla costituzione di green belt, alladozione di limiti minimi di densit per le aree di nuova crescita urbana (Vitilio 2010).

E a Roma qual la situazione?


A Roma, su 1.715.000 abitazioni, 245.000 abitazioni, una su sette, sono oggi vuote (La Stampa, 22 Luglio 2009) a fronte di una emergenza abitativa che sfiora le 100.000 unit tra immigrati, famiglie sotto sfratto, famiglie a basso reddito, giovani precari ed anziani (Caudo e Sebastianelli 2007). Ci troviamo quindi in una situazione paradossale di case senza gente e gente senza case. Tuttavia rimettendo sul mercato questo enorme patrimonio sfitto (e quindi inutilizzato) si potrebbe: da una parte dare una casa a prezzi calmierati a coloro che al momento sono esclusi dal mercato dellaffitto e dallaltra aumenterebbe il reddito delle migliaia di famiglie che mantengono le loro abitazioni vuote per paura di un mercato dellaffitto sregolato. In conclusione, per arrivare ad una piena utilizzazione del patrimonio (sia pubblico che privato) si dovrebbe: Prevedere sanzioni per i proprietari di immobili vuoti, incentivando in questo modo il mercato dellaffitto;

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Legalizzare loccupazione di immobili inutilizzati, come in Inghilterra dove lo squatting non un crimine, ma una controversia del diritto civile (Sezione 6 dellAtto di Legge Criminale 1977), che deve quindi essere risolta tra gli occupanti e i proprietari. Inoltre, gli occupanti dopo 10 anni diventano proprietari dellimmobile; Attivare un meccanismo simile a quello degli Empty Home Officers in Inghilterra; Creare Organizzazioni di intermediazione immobiliare sociale come Provivenda in Spagna.

2.2) Buone pratiche in Europa Focus Empty Homes e lesperienza inglese


La Empty Homes, creata nel 1992, una Organizzazione Non Profit che ha come obiettivo principale quello di rendere di nuovo disponibili le case vuote per coloro che vivono in condizione di emergenza abitativa. Fin dalla sua nascita Empty Homes si impegnata in campagne di sensibilizzazione e di lobbying riguardo alla necessit di utilizzare le case vuote e nella realizzazione di studi e ricerche a riguardo. Empty Homes diventata il punto di riferimento delle amministrazioni locali durante le operazioni condotte dagli Empty Houses Officers, uffici locali che hanno il compito di monitorare le case lasciate sfitte da pi di sei mesi, le abitazioni pericolanti e quelle in disuso. Infatti secondo la Regulatory Reform Housing Assistance del 2002, ogni ente locale deve garantire il riutilizzo delle case disabitate promuovendo investigazioni patrimoniali e visite presso i proprietari degli stabili, e proporre sussidi per la messa a norma e la ristrutturazione delle case lasciate in disuso da molto tempo. Nel Regno Unito se qualcuno viene a conoscenza di una casa vuota pu rivolgersi allEmpty Houses Officer, il quale cercher il proprietario per convincerlo dei vantaggi di rimettere sul mercato labitazione. Se questa contrattazione non andasse a buon fine, il governo locale ha il potere di decidere: la vendita coatta dellabitazione o di comprare labitazione senza il permesso del proprietario. Se invece labitazione vuota del governo si pu procedere con una Public Request to Order Disposal che obbliga le autorit pubbliche a vendere gli edifici non utilizzati. Inoltre, il 21 Ottobre 2010, Eric Prickles, il Ministro delle Comunit Locali, ha dichiarato che il governo ha stanziato 100 milioni di sterline per riportare in uso le case vuote. Questa iniziativa fa parte del National Affordable Housing Programme, programma governativo lanciato nel 2008, che ha come obiettivo quello di mettere a disposizione 155.000 nuove abitazioni ogni anno.

Focus Lesperienza spagnola di Provivenda


Mentre in Italia il mercato abitativo caratterizzato dalla mancanza di una componente non-profit privata, in molti paesi europei invece presente ed di fondamentale importanza nella tutela delle fasce pi deboli. La mancanza dello scopo di lucro delle Organizzazione Non Profit assicura che venga perseguito linteresse delle fasce pi deboli della popolazione, mentre la mancanza della burocrazia statale rende pi semplice il processo decisionale e pi brevi i tempi di gestione e realizzazione. Germania, Olanda, Regno Unito, Austria e Svezia hanno quote consistenti di abitazioni in affitto sociale, non solo perch hanno costruito molte abitazioni di edilizia pubblica, ma anche perch sono riusciti a creare un sistema di regole che ha portato una quota di operatori privati ad investire nelledilizia sociale (Somma, 2004: 139). Lesempio di Provivenda in Spagna un esempio positivo di una organizzazione che si occupa di instaurare uno scambio fiduciario tra proprietari e inquilini. Grazie alla intermediazione immobiliare sociale in Spagna Provivenda ha rimesso sul mercato pi di 30.000 abitazioni ad affitti calmierati. Provivenda una organizzazione Non Profit spagnola nata nel 1999 che promuove programmi di alloggio di carattere sociale per gruppi con problemi di accesso alla casa come giovani, immigrati ed altri gruppi di persone. Provivenda fa da mediatore tra gli affittuari ed i proprietari degli appartamenti, a cui fornisce una assicurazione sulla casa, e garantisce il pagamento dellaffitto. La ricerca delle case e la contrattazione per il loro affitto viene effettuata da Provivienda, che poi le cede agli inquilini. In alcuni casi, il proprietario contratta direttamente con linquilino e Provivienda garantisce per il primo anno, il pagamento della rendita. Tutte le procedure necessarie per la contrattazione vengono effettuate da Provivienda senza costi n per il proprietario n per l inquilino. Inoltre, Provivenda offre gratuitamente ai proprietari delle case: Unassicurazione contro ogni genere di rischio; Assistenza tecnica: ogni mese, puntualmente, la rendita viene riscossa dagli inquilini e accreditata ai proprietari. Inoltre, gli inquilini vengono istruiti sulluso e la manutenzione della casa, delle sue attrezzature e degli elettrodomestici e sono previsti interventi immediati in caso di guasti, attraverso il ricorso allassicurazione, che a questo scopo viene

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stipulata. In caso di mancato pagamento, si inizia il procedimento giudiziale. Assistenza sociale agli inquilini. Provivenda solo a Barcellona ha recuperato circa 30.000 appartamenti sfitti e invenduti trovando alloggio a pi di 67.000 persone (Vita, 24 Dicembre 2010).

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TESTIMONI PRIVILEGIATI: DAVID ROMANI Chi sei? Di cosa ti oc cupi o si oc cupa la struttura di cui fai parte? Cosa ti lega alla problematica dellabitare a Roma?
Sono David Romani operatore sociale che lavora in un centro di accoglienza del Comune di Roma per immigrati, in particolar modo per rifugiati. Chiaramente il fatto dellaccoglienza e il fatto che le persone, le famiglie si fermino a vivere un tot di tempo in questi posti gi un primo tentativo di risolvere la problematica dellabitare. Poi chiaramente ci si scontra con i limiti di questa citt e quindi con quella che la fuori uscita da questi posti e quindi labitare vero, quello ognuno nella sua casa.

Quali sono i soggetti sociali di cui ti oc cupi e che incontri nella tua attivit di ricerca o di iniziativa politica e sociale? Di quali problematiche specifiche sono portatori?
Nel centro dove lavoro vengono accolte famiglie principalmente di rifugiati e quindi c tutta la problematica dellassenza in questo paese di una legge sullasilo politico e tutte le problematiche legate al primo ingresso in questa citt la lingua, i problemi sanitari, le questioni relative alla scuola tutta una serie di questioni burocratiche che come centro aiutiamo a svolgere allinterno di un principio di integrazione. Ovviamente la problematica specifica sulla questione dellabitare inizia nel momento della fuoriuscita dal centro. Qui hanno una serie di aiuti, minimi, miserabili ma che in un modo o nellaltro riescono a farli sopravvivere almeno fino a quando sono nel centro. In teoria questi centri dovrebbero garantire laiuto nella ricerca di una casa e di un lavoro ma qui ci veniamo scontrare con i limiti di una citt come questa dove trovare una casa una cosa particolarmente complessa sia per un italiano che comunque ha garanzie, relazioni e rapporti, figuriamoci per una famiglia di migranti che deve garantire comunque un reddito che difficilmente riesce a garantire. Quindi raramente il passaggio dal centro di accoglienza verso una casa in affitto o cose del genere, purtroppo spesso e volentieri, soprattutto in questa fase economica dove la crisi sta tagliando le gambe a tutti i settori pi deboli, si rientra nel circuito dellassistenza ed difficile uscirne. Si rientra in altri centri, poi si passa il tempo, poi si torna in altri centri finch alla fine vengono messi in un modo o nellaltro per strada. La difficolt legata alla ricerca di una abitazione e quindi alla chiusura di una fase di assistenza legata comunque alle contraddizioni di una citt come questa. Intanto spesso noi supportiamo queste persone nella ricerca e sono tantissimi gli annunci di affitti che non vogliono stranieri. Anche l dove non esplicitato nulla sullannuncio, la maggior parte delle volte quando si tratta di famiglie migranti senza busta paga gi pronta difficile che comunque possano decidere di affittare. Le possibili soluzioni che abbiamo individuato, almeno per la mia esperienza sono raramente la possibilit di affittare una casa a meno che non si cerchi nellestrema periferia fuori dal raccordo dove si possono abbassare un po i prezzi, perch possano essere accessibili. Altrimenti altre soluzioni sono quelle di prendere casa insieme ad altre famiglie e quindi comunque coabitazioni forzate che spesso arrivano a creare diversi problemi, diverse difficolt. Qualcuno si va a far sfruttare per cui magari manda la famiglia nel meccanismo assistenziale che magari per madre e bambino pi accessibile e si va a infilare in un appartamento in 6 o 7 persone pagando prezzi incredibili. Altra soluzione che riscontriamo praticata da queste persone loccupazione delle case. Esistono diverse realt che si muovono in questa citt a da questo punto di vista e raccolgono tanta di quella che la domanda di emergenza abitativa dei migranti, ovvero delle persone che attraversano questi centri. Unaltra problematica specifica che queste persone che arrivano in Italia da paesi diversi spesso arrivano qui con professionalit e studi che qui non vengono riconosciuti e quindi con delle competenze specifiche con le quali non possono fare niente, come per esempio ingegneri che lavorano ai mercati generali o cose del genere. Quindi per quanto potrebbero avere un lavoro da professionista o le competenze per farlo non gli sono riconosciuti gli studi e quindi anche questo un problema. Stessa cosa per la patente, alcuni paesi hanno accordi con lItalia per utilizzare qui la patente di guida, per altri questa possibilit non esiste. Questo dipende dagli accordi tra i vari paesi: se non c laccordo su quella questione non sono riconosciuti n gli studi n la patente. Ovviamente questo significa che ci sono delle relazioni politiche che influenzano questa possibilit e che vanno ben al di l delle esigenze delle singole persone.

Quali sono le principali caratteristiche della metropoli Roma e quali i processi di trasformazione urbana in atto? In che modo incidono sullac cessibilit degli alloggi?
I processi urbanistici di questa citt sono molto simili a quelli di altre capitali europee. Si va verso la definizione di una

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metropoli con un centro-vetrina e lespulsione degli abitanti verso la periferia. Roma ha una ulteriore particolarit che quella di essere fatta a scacchiera per cui esistono quartieri che vengono rivalutati in virt della svalutazione dei quartieri che ci sono accanto. Chiaramente la popolazione migrante non pu accedere che a questi settori pi svalutati. Per assurdo, per quelli che sono i meccanismi commerciali, anche questa presenza diventa un fattore svalutante per la vendita del patrimonio che esiste in questi quartieri. Quindi abbiamo delle grosse concentrazioni in alcuni quartieri particolari che spesso offrono dei meccanismi di sfruttamento come le coabitazioni di cui parlavamo prima ma che in qualche modo tollerano la presenza di una concentrazione di diversi. Altri quartieri della Roma bene non potranno mai tollerare la presenza di realt disagiate o comunque semplicemente di popolazioni diverse. Lesempio dei nomadi lampante ma vale anche per le diverse etnie che attraversano questo paese. I migranti in generale quando arrivano in Italia, e di solito arrivano nelle isole nel sud Italia o comunque arrivano attraverso delle vie di ingresso ben precise, tendono ad andare nelle metropoli, nei grossi centri urbanizzati o altrimenti spesso e volentieri provano a passare per lItalia, ad usare lItalia come via di transito e quindi provano poco a radicarsi, a fermarsi e quindi anche labitare. Purtroppo per quanto riguarda i rifugiati questo un problema perch se si chiede lasilo in Italia poi bisogna rimanere e non ci si pu muovere, per altri tipi di migranti magari le mete sono il nord Europa quindi Svezia, Germania, Danimarca dove esistono garanzie maggiori a livello di tutele dove esistono delle leggi per lasilo politico che qui non ci sono , esistono solo delle possibilit a livello locale. Poi c una gran massa di migranti che non riesce a trovare soluzioni di nessun genere, n nellaccoglienza, n nelle occupazioni e in un modo o nellaltro si va a stanziare nelle zone libere della citt, in maniera assolutamente casuale l dove pensano che ci sia un minimo di tranquillit. Il livello di urbanizzazione della citt e lesigenza di avere una citt vetrina fa si che questi insediamenti vengano spostati regolarmente dalle zone dove comunque non sono graditi. Oggi in particolare c la questione di rom e questo peregrinare da posto abbandonato a posto abbandonato che non ha fine. Chiaramente si continuano a cacciare da ogni parte e continueremo a vederli spuntare da ogni quartiere se non vengono fatte delle proposte reali in merito.

Quali sono le politiche abitative poste in essere dal governo centrale e dalle amministrazioni locali? Quali sono a tuo avviso i principali limiti di questi interventi?
Rispetto alle politiche abitative in generale mi sembra che in questa fase non ci sia nulla di propositivo o comunque mi sembra che per il momento ci siano solo delle ipotesi che non mi sembra possano essere risolutive di nulla. Posso dire invece che quello che stato fatto fino ad adesso sul problema della casa sono stati una serie di provvedimenti che hanno reso ancora pi difficile laccesso alle categorie pi svantaggiate e questo stato fatto attraverso la svendita del patrimonio che ha permesso alla speculazione privata di determinare i prezzi degli affitti che sono oggi il vero limite rispetto alle categorie pi deboli. A livello centrale, rispetto alla questione dei rifugiati in particolare, dei piccoli provvedimenti a livello locale per il sostegno e laiuto allaffitto ma talmente tanto piccoli che probabilmente non affrontano nemmeno una piccola parte di quello che il fenomeno dei migranti in questa citt.

Quali pensi possano essere gli interventi pubblici prioritari al fine di garantire un diritto allabitare per tutti?
Interventi specifici sullabitare dei migranti non sono mai stati fatti. C da registrare la capacit di organizzazione di alcuni settori e alcune piccole vittorie non certo dati da interventi del governo centrale ma bens rivendicati e vinti tramite delle battaglie. Mi viene in mente quella che fu la situazione di via Capo dArmi, una occupazione di Ostia dove cerano 250 famiglie di almeno 23 etnie diverse che, dentro una battaglia pi larga, sono riusciti ad ottenere le case popolari per tutti i 250 nuclei. Ci sono altre realt di movimento che in un modo o nellaltro si organizzano insieme alla popolazione migrante e sono le uniche realt che riescono a dare un minimo di prospettive, di soluzione. Per cui o ci si integra ad un certo livello, per cui trovi un lavoro che ti permette di pagare una caparra e mantenere un affitto, cosa complicatissima per un italiano, per una persona che ha tutta una serie di relazioni e sostegni, figuriamoci per un migrante per cui laccesso allaffitto rimane un problema insormontabile. In linea generale gli unici interventi che ci sono sulla popolazione di migranti sono interventi che tendono pi che altro a complicare la vita a queste persone piuttosto che a semplificarla e quindi un eccesso di burocratizzazione porta ad allontanare da quelli che poi sono i diritti che ogni cittadino ha. Quindi al contrario, piuttosto che delle politiche che possano agevolare per esempio laccesso ad una abitazione piuttosto che la ricerca di questo, ci sono dei meccanismi che rendono tutto pi complicato, parlo della legge Bossi-Fini, del pacchetto sicurezza, delle garanzie che bisogna dare per un ricongiungimento familiare anche soltanto rispetto ai metri quadri dellabitazione rispetto ai redditi, una serie di difficolt in pi che allontanano dai diritti, compreso quello dellabitare. Per quanto riguarda gli interventi che potrebbero cambiare lo stato delle cose, per quanto riguarda labitare sicura-

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mente la costruzione, lacquisizione di patrimonio e quindi anche lo stop alla svendita delle case popolari che permette comunque di gestire da parte delle amministrazioni tutte la questione degli affitti. Poi sicuramente sarebbe necessaria una legge sullasilo che permetta di definire gli interventi a favore della popolazione rifugiata o richiedenti asilo e comunque, per quanto riguarda i migranti la semplificazione delle procedure burocratiche che in questo momento rendo impossibile laccesso ai diritti.

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Intervista ad Antonello Sotgia, architetto Chi sei? Di cosa ti occupi o si occupa la struttura di cui fai parte?
Sono un architetto di 62 anni. Con Rossella Marchini, ci siamo fin dai tempi della nostra formazione interessati al costruire sociale. Da sempre nei movimenti, abbiamo partecipato come studenti della Facolt di Architettura, nel 1970, alle battaglie per la casa a Roma e in Italia dove fino a quellanno 50 mila persone vivevano ancora in baracche e borghetti. Con noi studenti era impegnato in questa lotta il CAB (movimento a sinistra del PCI) che pi tardi conflu nel Manifesto e in parte in Lotta continua. Da allora, come tecnici, abbiamo lavorato intorno ai temi dellabitare impegnandoci i prima persona in alcuni progetti ed elaborazioni. Nel 1988, con la Lega delle Cooperative e comunit nomadi, abbiamo studiato un prototipo per abitazioni nomadi come attuazione di una legge statale mai realmente decollata. Abbiamo lavorato quasi esclusivamente per edifici pubblici (scuole, piazze, strumenti urbanistici in molti parti dItalia) e a Roma in due significative esperienze legate al recupero abitativo di edifici occupati da parte dei movimenti per la casa. Significativa stata lesperienza di auto recupero della scuola di via Colomberti (Municipio IV) dove da un anno 10 famiglie vivono in uno spazio mai diventato il servizio promesso ( scuola materna) con un progetto realizzato con elementi bioedili e lesperienza del recupero a fini abitativi di 104 alloggi comunali a via Masurio Sabino (X Municipio) oggi in fase di consegna degli ultimi 34 alloggi . La progettazione di questintervento stata accompagnata da un processo di partecipazione che ci ha visti impegnati con tavole e disegni in entusiasmanti giornate con gli occupanti assegnatari che, oltre definire i programmi generali servito per decidere i particolari abitativi. Questo ha permesso di assicurare a tutti le medesime condizioni (affacci, disposizione della cucina, rapporto con lesterno...). In realt non apparteniamo a nessuna struttura anche se spesso molte delle strutture romane ci chiedono di partecipare a riflessioni collettive sullabitare sulle trasformazioni nei nostri territori.

Cosa ti lega alla problematica dellabitare a Roma?


Un sogno. Un sogno in cui voglio viverci caparbiamente dentro. Che labitare nella nostra citt e nel territorio riesca a precedere il costruire . Finalmente invertendo ci che avvenuto fin oggi dove sempre avvenuto il contrario. Faccio un esempio per capirci meglio e capire il periodo in cui stiamo vivendo. C anche una citt dietro il modello Marchionne. La sua teoria della fabbrica insegue gli operai anche fuori del luogo del lavoro. Insieme ai diritti tende a distruggere le forme dellabitare. Il nuovo orario di lavoro, oltre dellimpossibile fatica, parla del vivere. In un territorio che si vuole ridisegnare con il sistematico impossessamento del patrimonio comune. La citt di Marchionne quella della sopravvivenza e della contrapposizione, dove sopravvivere illusoriamente, affrontandosi lun laltro. Chi lavorer con quei ritmi, solo in una condizione per qualche tempo migliore di chi non lavorer affatto, destinato a essere trascinato verso le volute condizioni di precariet. Uguali per tutti. La fondazione di questa citt nuova vede nella contrapposizione il suo cemento; pensa al territorio, ancora una volta, come terreno dato. Per riuscire nellimpresa deve continuare, in un pianeta che consuma se stesso, a considerare il territorio come luogo indifferente ad accogliere nuovi scenari. Un indifferenza che, se pu valere per chi vuole rinchiuderci e schiacciarci nei luoghi della precariet , dovr, dai movimenti prima di tutto, essere messa in discussione a partire dalla costruzione dellambiente sociale e naturale in cui vogliamo vivere. E necessario un nuovo punto di vista che trovi nella definizione del bene comune la capacit di intessere un diversa narrazione del mondo che vorremmo abitare. Dobbiamo riuscire a trovare le parole. Dobbiamo affrancarci dalla lettura simmetrica con cui definiamo il comune. Quando tendiamo a far coincidere il comune con il proprio ecosistema di riferimento. Quando privilegiamo le forme della produzione umana anche di tipo immateriale quali la creativit, i saperi, affetti e relazioni sociali. Possiamo farlo pensando al territorio come sommatoria tra natura e cultura, legato a fenomeni globali e locali, luogo della memoria e prefigurazione del futuro. A Roma questo , io credo, un compito che i movimenti possono assumersi in prima persona, Quali sono i soggetti sociali di cui ti occupi e che incontri nella tua attivit di ricerca o di iniziativa politica e sociale? Di quali problematiche specifiche sono portatori? Sino principalmente i componenti di comunit insorgenti colpiti sia dal fenomeno della precarizzazione che dellesclusione e delle nuove povert. Questi soggetti hanno il merito di non richiedere e lottare per la soddisfazione di un diritto, ma di costruire le condizioni di un altro abitare. Per questo la nostra non unattivit di supplenza, ma pi in generale di costruzione di unalternativa che certo non facciamo da soli. Non siamo i tecnici dei movimenti (anche se la partecipazione a Presa Diretta di Riccardo Iacona lo scorso anno, non volendo ci ha accreditato come tali) ma parte di chi lotta per la costruzione di uno scenario territoriale dove rendere evidente lidea di altra societ dove lavoratori, precari, senza casa, migranti possano trovare un primo momento nellopporsi a forme di sfruttamento privato delle risorse. Per ridefinire il proprio abitare e, con questo, il lavoro quale forma di liberazione e connessione

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con gli altri. Per questo partecipiamo a una rete nazionale che si batte contro il consumo di suolo e il recupero di quanto costruito e tenuto criminalmente inutilizzato. Nella nostra attivit incontriamo e abbiamo incontrato molti dei movimenti che si sono opposti alla deriva liberista voluta dalle varie giunte per la trasformazione della nostra citt. Tra questi ricordo la stagione esaltante contro il PRG di Veltroni dove con; cittadini, movimenti, tecnici (pochi) animammo la Rete per un Piano Regolatore Partecipato che riusc a stoppare il piano in fase di adozione, ma che nulla ha potuto contro lo strapotere dei partiti (tutti) in fase di approvazione. Una sconfitta che brucia e che permette ad Alemanno oggi di attualizzare gli strumenti eversivi di quel piano a partire dalle forme compensative destinate a perpetuare forme di rendita senza soluzione di continuit ai soliti noti. La questione della rendita il tema specifico di cui personalmente mi occupo studiando, attraverso il recupero edilizio, forme di contenimento e ridistribuzione sociale. E questo un tema che i movimenti dovrebbero far proprio anche se, lo debbo dire onestamente, a volte presi dallemergenza, si vedono costretti a subire limitazioni del danno come successo con la proposta di piano casa della giunta Marrazzo che con la promessa di dare il via a un processo di edilizia sociale (poi disatteso), ha strappato una sostanziale benevolenza. Oggi la Polverini trasforma questi danni ridotti in un saccheggio perpetuo e l Housing sociale di Alemanno una truffa a partire da quanto vorrebbe fare a Tor bella Monaca. Insomma io penso che i movimenti dovrebbero riuscire a imporre come senso comune ai pi che i processi di valorizzazione edilizia (penso alle trasformazioni delle caserme) debbano essere prima di tutto processi di valorizzazione sociale. Quali sono le principali caratteristiche della metropoli Roma e quali i processi di trasformazione urbana in atto? In che modo incidono sullaccessibilit degli alloggi? E difficile, con appena due milioni e seicentomila abitanti pensare a Roma come metropoli rapportandola al numero degli abitanti delle altre citt. Roma, infatti un centro che, nel panorama mondiale, occupa solamente il 76 posto nella hit delle citt maggiormente abitate. Non ha i numeri, ma ha come proprio paesaggio di riferimento alcuni tra i principali fenomeni che caratterizzano lo scenario metropolitano a partire da fortissimi fenomeni di polarizzazione sociale che determinano e continuano a determinare una costante espulsione dei propri abitanti verso lesterno anche oltre larea metropolitana. Negli ultimi anni Roma ha perso oltre 300mila residenti. Questo non ha impedito il dispiegarsi costante della rendita che ha prodotto case che non potranno essere abitate dai pi. Roma rappresenta oggi un caso esemplare dove le trasformazioni urbane, il bruciare disinvoltamente parti del territorio, lespandersi senza limite, costituisce ancora, il modello per i prossimi quarantanni. A partire dal consumo di suolo record che Alemanno sta stirando incrementando, progetti( intenzioni di progetto ) di un pi 27% rispetto i gi sconvolgenti 70 milioni della cubatura targata Veltroni. La vicenda di Tor bella Monaca sta a significare che per Alemanno c sempre tanto spazio. Lui non se ne accorge, ma oggi parlare di citt vuol dire innanzitutto riconoscere che sono saltate due delle condizioni che nel tempo le hanno definite. La prima rappresentata dalla rottura dellequilibrio alimentare che porta il mondo a consumare, e sprecare, in maniera maggiore di quanto riusciamo a trarre dalla terra e, poich i grandi agglomerati urbani saranno abitati, tra solo trenta anni, dall80% dellintera popolazione mondiale, servir una quantit di cibo che non saremo in grado di fornire. La seconda condizione rappresentata dalla crisi del progetto del moderno e della sua volont di poter indirizzare con coerenza lo sviluppo urbano. Per Alemanno irresponsabilmente c solo cemento che per valere deve proprio rendere inaccessibili gli alloggi e labitare. Per questo, socialmente, Alemanno deve accompagnare la vetrina degli eventi con prove di forza muscolari (quali lallontanamento forzato dalla citt delle comunit rom, la repressione verso le occupazioni e le forme del protagonismo sociale. Ora poi con Roma Capitale e i poteri assoluti che gli saranno conferiti ecco la novit. Io la chiamo Consigli per gli acquisti. Veltroni era costretto a rivolgersi a migliore offerente prefigurando un piano regolatore delle offerte in cui leggere la normativa tecnica come consigli per gli acquisti. Alemanno quando parla di abbattere case, spostare palazzi per ricostruirli secondo modelli estensivi devastanti non parla da sindaco ma da ingegnere istituzionale. Non dimenticandosi di sedurre le periferie giocando sulle effettive difficolt del loro vivere. Lo fa attraverso la truffa dellhousing sociale che la cambiale con cui deve ripagare i piccoli costruttori che lo hanno portato al Campidoglio.

Quali sono le politiche abitative poste in essere dal governo centrale e dalle amministrazioni locali? Quali sono a tuo avviso i principali limiti di questi interventi?
Il devastante Piano casa che voluto dal governo Berlusconi stato pressoch recepito da tutte le Amministrazioni regionali che di loro hanno stravolto al rialzo le indicazioni iniziali. Insomma una marmellata edilizia pensata per rendere possibile costruire tutto con punte di delirio cementizio come si legge nel testo in discussione alla regione Lazio. Con il Piano casa, scompare la citt pubblica sia come esito edilizio ( la sovvenzionata inesistente) che come capacit di programmare citt in cui i cittadini siano anche abitanti. Per farlo io penso che dobbiamo ripensarci attraverso una

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proposta radicale: il consumo di suolo zero. Questo non significa non costruire, ma far rivivere le aree urbane abbandonate e prendersi cura degli spazi comuni e della bellezza dei luoghi. C poi un punto, a mio avviso, fondamentale: non esiste nel nostro paese una legge sul regime dei suoli ( vigente ancora la legge del 1942! ) e i Comuni per sopravvivere sono costretti (sic) ad alienare il proprio patrimonio immobiliare e vendere cubature. Lassenza di una legge sui suoli permette il prosperare della rendita e la nascita di palliativi tipo lhousing sociale che, cos come stato pensato e proposto, anche nella proposta di legge della Polverini, si basa su un dispositivo che vede le Amministrazioni cedere gratuitamente i terreni ai costruttori, far loro costruire case che potranno affittare a canoni definiti sociali, ma elevati per chi precario non pu permettersi di pagare affitti che incidono oltre il 70% del proprio salario , per poi riprendere dopo 20 anni quanto costruito per immetterlo nel mercato libero! Pi che limiti direi che queste politiche non fanno altro che rafforzare quella forma di dominio che, strada dopo strada, citt dopo citt si stretta intorno ai nostri corpi, alla nostra vita attraverso lorganizzazione del tempo e del lavoro. Sono proposte esemplari per la citt che vuole Marchionne che vorrebbe veder consegnare alle imprese da ognuno di noi il proprio tempo di vita per poi trovarcelo spiattellato, secondo univoche decisioni, sui luoghi del lavoro.

Quali pensi possano essere gli interventi pubblici al fine di garantire un diritto allabitare per tutti?
Innanzitutto promuovere una legge (anche diniziativa popolare)che affronti il problema della riforma del regime dei suoli. Per punti schematici indico alcuni punti per me assolutamente prioritari che la legge dovrebbe affrontare: Interrompere la dismissione del patrimonio residenziale pubblico; Stimare attraverso periodiche ricognizioni regionali il numero esatto del fabbisogno abitativo e individuare nel costruito non utilizzato, da recuperare,il luogo della realizzazione degli alloggi di edilizia pubblica; Solo in casi in cui non sussistesse la condizione precedente, il costruito potr essere realizzato solo in aree gi urbanizzate; Ogni intervento dovr essere autorizzato dalla reale analisi del fabbisogno abitativo e non dallofferta guidata dalla previsione di rendita; Prevedere lobbligo per tutti i Comuni, al fine del calmieramento del mercato immobiliare, di destinare tra tutte le realizzazioni del mercato immobiliare una quota pari al 30% di quanto previsto da destinare esclusivamente alledilizia sovvenzionata pubblica; Il diritto alla casa non una rivendicazione astratta, ma da legare in modo indissolubile allabitare,al reddito, alla mobilit sostenibile, alla tutela ambientale e storica del territorio,al suo indirizzo pubblico,alla salvaguardia e allinserimento nel tessuto delle citt e dei territori di spazi di socialit e cultura. E questo non solo una questione di legge e su questo i movimenti possono dire molto. Roma, 22 febbraio 2011

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Ringraziamo tutte le persone intervistate, che ci hanno ospitato nelle loro abitazioni agli orari pi diversi, dimostrando che la generosa ospitalit non dipende dalla casa che hai; Gianluca Faberi e Roberto Pusceddu per lelaborazione grafica e lediting; Paolo Berardi per laiuto nellelaborazione dei dati; la Cooperativa Inventare lAbitare per le informazioni legate allautorecupero e allautocostruzione; i testimoni privilegiati esponenti dei movimenti per il diritto allabitare ed in particolare il coordinamento cittadino di lotta per la casa; i consiglieri regionali Ivano Peduzzi e Fabio Nobile per le informazioni relative al Piano Casa del Lazio attualmente in discussione; la rete di Abitare nella crisi per gli interessanti spunti e la condivisione. Un ringraziamento infine ai movimenti per il diritto allabitare di tutta Italia, per la determinazione nel costruire quotidianamente nuovi modelli di citt come beni comuni.

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Consiglio Regionale del Lazio

Ass. Culturale Idealab_06

Coop. Inventare lAbitare

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