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LA FILOSOFIA STOICA NELL’OPERA DI SENECA.

Seneca è un convinto sostenitore della filosofia stoica; l’uomo deve inseguire la virtù, ovvero, secondo gli
stoici deve accettare il proprio destino ed agire secondo la legge naturale del mondo, la ragione. E’ saggio
colui che agisce razionalmente ed evita di abbandonarsi alle passioni, considerate una malattia dell’anima
che bisogna evitare. Che le passioni siano una malattia ne è prova l’ira, che nel “De ira” è definita dal
filosofo come un impulso che offusca la ragione e che deve essere quindi prevenuta e placata. Più l’uomo è
saggio e più si rende conto di quanto sia necessario ragionare ed evitare le emozioni. Nel “De vita beata”,
sostiene la dottrina morale stoica facendo consistere la felicità nel vivere secondo ragione e indicando il
sommo bene nella virtù. Secondo gli stoici, venendo meno, per ragioni storiche, l’impegno che
caratterizzava il negotium, l’uomo può scegliere di intraprendere la via dell’otium, cioè dell’accrescimento
morale perseguito nella sfera individualistica. Un esempio è uno dei dialoghi-trattati, cioè il “De otio” in cui
Seneca sostiene la validità della scelta dell’otium, sostenendo la scelta stoica, secondo cui il saggio deve
impegnarsi politicamente, a meno che le circostanze glielo impediscano.
Il vero saggio è colui che pratica l’autarkeia, cioè colui che è indipendente e autosufficiente, poiché
allontana da sé ciò che è inutile ed è volto solo alla ricerca del bene che può essere meglio attuata durante i
periodi di otium, come afferma Seneca nelle “Epistole Ad Lucilium”.

Seneca inoltre, nella “Consolatio Ad Helviam matrem”, sostiene che l’esilio non è altro che un semplice
mutamento di luogo, che non può togliere all’uomo l’unico vero bene, cioè la virtù; d’altra parte il saggio
secondo la dottrina del cosmopolitismo stoico, ha come patria il mondo intero.

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