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LE IMPOSTE

Tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi , devono pagare le imposte.


L'imposta è un prelievo coattivo di ricchezza che, sul piano della scienza delle finanze, si
caratterizza per essere espressione del potere d'imperio attribuito allo Stato, il quale per far fronte al
proprio fabbisogno di denaro ne preleva in forma obbligatoria una quantità variabile ad ogni
cittadino per finanziare pubblici servizi indivisibili (ad esempio la difesa, la ricerca, oppure la
costruzione delle strade).
Infatti, nello Stato moderno l’imposta è una prestazione in denaro, istituita e regolata dalla legge,
posta a carico dei contribuenti in relazione alla ricchezza di cui godono, secondo principi di equità.
Si distingue dalla tassa in quanto essa è il corrispettivo per un pubblico servizio richiesto in forma
individuale.
Le imposte sono il principale strumento di finanziamento della spesa pubblica nonché una misura
di politica economica e svolgono una duplice funzione:
 Strumento finanziario, poiché è la principale entrata finanziaria che copre il costo dei
servizi pubblici;
 strumento di intervento nel campo economico e sociale, per la realizzazione degli obiettivi
di politica economica e sociale.
Spetta alla legge definire il presupposto di imposta, ovvero quella situazione di fatto che determina,
in modo diretto ed indiretto, il sorgere del tributo e l’instaurarsi del rapporto giuridico tributario.
Essa stabilisce anche gli elementi della stessa:
 Soggetto attivo, cioè il creditore dell’imposta, colui che impone il tributo.
 Soggetto passivo, che è la persona fisica, giuridica o l’ente che paga l’imposta; in alcuni
casi però il contribuente non coincide con il soggetto passivo, si tratta dei cosiddetti sostituti
d’imposta, che pagano in tutto o in parte al posto del contribuente. Contrariamente, il
responsabile d’imposta, paga solidalmente l’imposta insieme al soggetto passivo.
 Oggetto è l’elemento naturale al quale si riferisce il presupposto di imposta e al quale essa si
applica.
 La base imponibile è il valore monetario o fisico, che determina l’imposta.
 L’aliquota è la percentuale che deve essere applicata alla base imponibile per determinarne
l’importo.

Esistono diversi tipi di imposta: sono dirette quelle che gravano sulle manifestazioni più evidenti
della capacità contributiva, come il reddito o il patrimonio; sono indirette le imposte che
colpiscono le manifestazioni meno evidenti della capacità contributiva ovvero consumi,
trasferimenti, scambi.
Sul piano dell'equità sono preferibili le imposte dirette che, commisurandosi alla ricchezza
posseduta, si adeguano meglio alla capacità contributiva del soggetto.
Come fonte di entrata, le imposte dirette risultano più reattive alla crescita economica, in quanto il
loro gettito aumenta quando un maggiore benessere fa incrementare i redditi della popolazione.
Le imposte indirette, invece, tendono ad incontrare meno resistenza al pagamento da parte del
contribuente. Le imposte dirette hanno un maggior effetto ridistributivo del reddito, assicurano una
continuità del gettito e sono economiche da riscuotere; tuttavia esse stimolano l'evasione fiscale,
sono rigide e il contribuente le sente in modo marcato, soprattutto sul lato psicologico. Le imposte
indirette, invece, sono elastiche, divisibili e, essendo incluse nel prezzo dei beni acquistati, sono
meno sentite dai contribuenti.
Le imposte dirette sono più difficilmente traslabili, ovvero rimangono a carico di chi è obbligato a
pagarle; quindi non provocano una variazione dei prezzi dei prodotti o dei fattori, ovvero non vi è
divario fra prezzi netti per il produttore e prezzi pagati dal consumatore . Le imposte indirette sui
consumi invece si trasferiscono da chi è tenuto a pagarle ad altri soggetti. Tali imposte possono
portare ad un divario tra prezzi netti per il produttore e prezzi pagati dal consumatore.
La capacità contributiva di un soggetto, dipende sia da elementi economici oggettivi, come la
ricchezza, che da condizioni soggettive, personali e familiari, che incidono sulla capacità di pagare
il tributo.
Le imposte reali, che colpiscono la ricchezza del contribuente senza alcun riguardo, non tengono
conto delle condizioni soggettive; contrariamente, le imposte personali, colpiscono la ricchezza
tenendo conto delle condizioni economiche , sociali e personali del contribuente.
L'imposta è generale quando colpisce uniformemente un certo tipo di operazioni in qualunque
settore economico; è speciale quando si riferisce ad un solo settore dell'economia oppure ad un solo
piccolo gruppo di manifestazioni della capacità contributiva.
L'imposta è:
 proporzionale quando l'aliquota è costante, ovvero l'imposta è direttamente proporzionale
all'imponibile;
 regressive quando, all'aumentare dell'imponibile, l'aliquota decresce (ovvero l'imposta
aumenta in misura meno che proporzionale rispetto all'imponibile);
 progressiva quando, all'aumentare dell'imponibile, l'aliquota aumenta (ovvero l'imposta
aumenta in misura più che proporzionale rispetto all'imponibile). L'IRPEF, ad esempio,
appartiene a quest'ultima categoria.
Esistono quattro tipi di progressività: continua, per classi, per scaglioni, per deduzione e detrazione.
 Progressività continua: si ha quando l'aliquota varia in maniera continua al variare della base
imponibile, quindi ad ogni livello di reddito corrisponde una specifica aliquota. Essa è stata
applicata fino al 1973.
 Progressività per classi: si ha quando la base imponibile viene suddivisa in "fasce", dette
classi. In base alla fascia di imponibile viene applicata una diversa aliquota, su tutto il
reddito;
 Progressività per scaglioni: si ha quando la base imponibile viene suddivisa in "fasce", dette
scaglioni, ad ognuno dei quali è associata una aliquota. L'aliquota superiore si applica solo a
quella dello scaglione e non a tutto il reddito;
 Progressività per deduzione o detrazione: si ha quando è possibile ridurre la base imponibile
prima di calcolare l'imposta (deduzione) oppure diminuire l'imposta una volta calcolata
(detrazione).
Per l’imposizione delle imposte, il legislatore deve tuttavia, attenersi a dei principi giuridici,
presenti nell’ articolo 53 della Costituzione:
 Principio di generalità, che prevede il pagamento delle imposte da parte di tutti;
 Principio di uniformità, tutti pagano in base alla loro capacità contributiva;
 Principio di progressività, secondo cui l’imposta aumenta con l’aumentare della ricchezza.
Purtroppo, un fenomeno molto diffuso è quello dell’evasione fiscale, ovvero il comportamento di
chi, violando la legge, si sottrae, in tutto o in parte, al pagamento delle imposte; per essi sono
previste sanzioni amministrative e sanzioni penali.
IL BILANCIO

I costi del personale, dei lavoratori quindi, sono inseriti in una voce ben precisa del Bilancio
d’esercizio aziendale.
Il bilancio è un documento contabile obbligatorio per le società di capitali (S.p.A. -S.r.l.), fornisce
in sintesi la situazione patrimoniale, la situazione finanziaria e il risultato economico dell’esercizio.
Il bilancio può svolgere una duplice funzione:
- Funzione conoscitiva in quanto è uno strumento di conoscenza della gestione e dei suoi risultati e
consente a coloro che ne sono interessati di esprimere un apprezzamento in merito.
- Funzione di controllo in quanto è uno strumento di controllo di informazioni di carattere
economico, finanziario e patrimoniale nei confronti dei vari soggetti esterni interessati agli
andamenti aziendali (banche, fisco, dipartimento finanziatori).
Per tutelare gli interessi dei terzi la redazione del bilancio è regolata dal codice civile che afferma, il
bilancio deve essere redatto con “chiarezza” e deve rappresentare in modo “veritiero” e “corretto” la
situazione patrimoniale, finanziaria e il risultato economico dell’esercizio.
Chiarezza vuol significare far capire come si è formato il reddito e quale sia il valore del
patrimonio.
Veritiero vuol significare il comportamento di buona fede da parte degli amministratori nel valutare
e nell’iscrivere le voci di bilancio; corretto vuol significare rispettare le regole tecnico-
ragionieristiche.
Il bilancio deve essere redatto secondo alcuni principi, i quali tendono ad assicurare una redazione
veritiera e corretta.
Tali principi sono:
“Principio della continuità aziendale” impone la redazione del bilancio secondo il principio della
continuità, ovvero l’azienda non è un fatto episodico o occasionale, ma un istituto economico
destinato a durare nel tempo. Tutte le valutazioni devono essere effettuate con il presupposto del
funzionamento aziendale, nella prospettiva che l'azienda continui nel tempo la sua attività nonché ,
tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato. Tutto
questo significa che le valutazioni non devono essere effettuate come se si volesse liquidare il
patrimonio vendendo tutti i beni, e pagando tutti i debiti, ma tenendo presente le evoluzioni future
cui parteciperanno i beni oggetto di valutazione.
“Principio della prudenza” impone di prendere in considerazione perdite presunte non ancora
verificatesi e assolutamente di non prendere in considerazione eventuali utili sperati, di
contabilizzare componenti positivi solo se effettivamente realizzati alla chiusura dell'esercizio e non
contabilizzare utili derivanti da incrementi patrimoniali che non siano certi e durevoli. Si deve tener
conto dei rischi e delle perdite di competenza anche se conosciuti dopo la chiusura dell'esercizio
“Principio della competenza economica” impone di determinare tutte le entrate e le uscite
competenti nell’anno in corso, tenendo in considerazione gli oneri e i ricavi, indipendentemente dal
pagamento e dall'incasso, solamente se imputabili economicamente all'esercizio; i costi di
competenza sono quelli maturati nell'esercizio relativi a beni e servizi utilizzati nel periodo
considerato; i ricavi si considerano di competenza quando sono maturati nell'esercizio e hanno
avuto il correlativo costo.
“Principio della costanza” impone ad utilizzare sempre gli stessi criteri di valutazione in modo da
rendere i bilanci comparabili nel tempo. Infatti, per limitare la possibilità di manovra, (cambiare di
anno in anno a seconda della convenienza, i criteri di valutazione) di coloro che redigono il bilancio
e per consentire la comparabilità dei bilanci nel tempo e fra aziende dello stesso settore, non è
consentito, se non in casi eccezionali, di modificare i criteri di valutazione.
Prevalenza della sostanza sulla forma : Introdotto con D. Lgs. n.6/2003 e diffuso nei principi
contabili nei Paesi di diritto anglosassone (substance over form), afferma che la valutazione delle
voci nelle quali registrare le operazioni è determinata dalla loro funzione economica: se il rapporto
tra le parti si svolge nel rispetto del contratto sottoscritto ma in modo da realizzare un altro tipo di
contratto sotteso (eventualmente in presenza di altri contratti che valutati tutti assieme equivalgono
ai flussi finanziari di una operazione differente), la contabilizzazione è determinata da quest'ultimo.
Il bilancio di esercizio è, infine, composto da tre documenti:
-Stato Patrimoniale;
-Conto Economico;
-Nota Integrativa.
Lo stato patrimoniale è il documento che definisce la situazione patrimoniale di una società in un
determinato momento. Esso è costituito da sezioni contrapposte: a sinistra vi è registrato l'attivo e a
destra il passivo. Nella sezione dell’ attivo vengono inserite le attività o investimenti, nel passivo le
fonti di finanziamento, ossia le passività e il capitale netto.
Il conto economico è il documento del bilancio che contiene i costi e i ricavi di competenza
dell'esercizio preso in considerazione dal bilancio. E’ un documento scalare che fornisce
gradualmente i totali e i parziali che aiutano nella realizzazione dello stesso. La differenza tra
ricavi e costi illustra il risultato economico conseguito dalla società: se positivo, è detto utile e, se
non distribuito, va ad incrementare il capitale netto, se negativo è detto perdita e va a decrementare
il capitale netto.
La nota integrativa è il documento che illustra le decisioni prese dagli amministratori dell'impresa
nel redigere il bilancio, in modo da favorirne l'intelligibilità, spiegando dettagliatamente le voci
inserite nello stato patrimoniale e nel conto economico.
Lo stato patrimoniale è la prima parte del bilancio e si presenta tra i documenti obbligatori.
Lo stato patrimoniale si presenta a sezioni contrapposte:
Attività (dette anche impieghi o investimenti) e passività (dette anche fonti di finanziamento).
Le attività sono formate da crediti verso soci, da immobilizzazioni , attivo circolante e da ratei e
risconti.
Le passività sono formate da Patrimonio Netto , da fondi rischi ed oneri, da TFRL, da debiti e da
ratei e risconti.
Il conto economico è la seconda parte del bilancio e si presenta tra i documenti obbligatori e si
presenta a valore e costi della produzione, scelto dal nostro ordinamento tra quelli proposti: a valore
aggiunto e a ricavi e costi del venduto.
Inoltre, il conto economico si presenta in forma scalare in modo da ottenere risultati intermedi ed è
strutturato per aree di gestione: area caratteristica o della produzione, area finanziaria e area fiscale.
E’ possibile ottenere valutazioni sulle prospettive future della gestione, mettendo a confronto
bilanci riferiti ad anni differenti (bilancio pluriennale).
La nota integrativa è la terza parte del bilancio e si presenta tra i documenti obbligatori, ha la
funzione di fornire informazioni aggiuntive, esplicative e complementari ai contenuti dello stato
patrimoniale e del conto economico.
Inoltre abbiamo un'altra relazione, quella rilasciata dal revisore o società di revisione che attesta o
meno l’attendibilità del bilancio, ossia il rispetto dei principi contabili e la correttezza del processo
di formazione dei conti.
Infine abbiamo il verbale di approvazione del bilancio dell’assemblea dei soci o del consiglio di
sorveglianza.
Le analisi di bilancio sono procedimenti che mediante confronti tra valori patrimoniali, finanziari ed
economici, facilitano l’interpretazione dei dati contenuti nei prospetti di bilancio.
Inoltre è possibile ottenere valutazioni sulle prospettive future della gestione, mettendo a confronto
bilanci riferiti ad anni differenti (bilancio pluriennale).
L’ETA’ GIOLITTIANA

Il passaggio tra XIX e XX secolo, molto importante per i lavoratori italiani.


Dopo la crisi economica che colpì il mondo intero negli ultimi venticinque anni dell'Ottocento, ci fu
una fase di crescita globale, che gli storici chiamano Belle époque. Questa epoca fu definita “Bella”
soprattutto quando fu paragonata alla tragedia della prima guerra mondiale.
I primi anni del secolo, fino alla Prima guerra mondiale, in Italia furono monopolizzati dalla figura
di Giovanni Giolitti e proprio per questo furono chiamati “Età giolittiana”.
Sono anni molto difficili per il Regno d’Italia che fu investito da parecchi moti popolari spontanei,
per protestare contro l'aumento del prezzo del pane. In uno di questi, a Milano, i governi
conservatori, presieduti da Pelloux e da Rudinì, fecero prendere a cannonate la folla, uccidendo
parecchi dimostranti. Nel 1900 proprio per vendicare i morti di Milano, un anarchico uccise il re
d'Italia Umberto I.
Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, si mostrò propenso ad assecondare alcune richieste dei riformisti
portando ad un profondo cambiamento verso l’ industrializzazione e l’ ammodernamento. Giolitti
assunse per la prima volta la carica di capo del governo nel 1892, ma l’anno successivo fu costretto
a dimettersi per il suo coinvolgimento nello scandalo della Banca romana, nel quale fu accusato di
corruzione.
Giolitti tornò al governo nel 1903 e cercò l'accordo sia con i socialisti che con i cattolici, i quali,
seguendo gli ordini del papa, non partecipavano alla vita politica italiana. Giolitti credeva che non si
poteva negare agli operai di riunirsi per ottenere migliori condizioni salariali e orari di lavoro più
leggeri, a patto che il sindacato non avesse assunto posizioni violente o contrarie alle leggi. Secondo
Giolitti, infatti, se lo scontro tra borghesia industriale e masse lavoratrici fosse rimasto all’interno
della legge, lo Stato sarebbe dovuto rimanere neutrale. Questa “neutralità” era un grandissimo passo
in avanti, anche a livello europeo, se si considera che fino a qualche anno prima l’esercito sparava
cannonate contro le masse cittadine che chiedevano migliori condizioni di vita. Per indebolire il
movimento operaio, Giolitti propose una serie di riforme a favore delle classi più basse della
popolazione: rese obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ridusse l’orario
giornaliero di lavoro delle donne a 12 ore, vietò il lavoro dei bambini al di sotto dei 12 anni. Inoltre
nel 1912 Giolitti approvò il suffragio universale maschile: tutti gli uomini che sapevano leggere e
scrivere avrebbero potuto votare, mentre gli analfabeti lo avrebbe fatto dopo i trent’anni di età. Fino
a quel momento votava meno del 5% della popolazione. Tutte queste riforme, compreso il suffragio
universale, però non ebbero l'effetto sperato e infatti il sindacato si diffuse ancor di più e il partito
socialista vide aumentare gli iscritti e i voti. Giolitti cercò di coinvolgere i cattolici nella politica
italiana che non partecipavano attivamente al nuovo Regno, da quando, nel 1870, la città di Roma
fu conquistata dallo Stato italiano. Il papa Pio IX, offeso per l’oltraggio ricevuto, aveva scritto
l’enciclica Non expedit nella quale vietava a tutti i cattolici di prendere parte alla vita politica
italiana. Nel 1912 Giolitti firmò un accordo con il leader cattolico Gentiloni, appunto chiamato
“Patto Gentiloni” con cui i cattolici si impegnavano a votare i politici liberali, a patto che questi
avessero rispettato i valori cristiani.
Un altro grande successo del periodo giolittiano fu l’avvio dell’industrializzazione in Italia
limitatamente alla zona del triangolo industriale, cioè la zona compresa tra Milano, Genova e
Torino. Questa scelta di limitare l’industrializzazione soltanto a quella zona ha fatto molto discutere
gli storici e per questo motivo Giolitti è stato accusato di essere antimeridionale. In realtà il
“triangolo industriale” era la zona più progredita d’Italia, con una borghesia manifatturiera attiva sin
dal Settecento. Questa scelta alla lunga ampliò il divario nord-sud, ma non fu presa per penalizzare
deliberatamente una zona a scapito di un’altra. Nonostante le opposizioni accusarono Giolitti di
preferire il nord a scapito del sud, Giolitti favorì molte leggi speciali anche per il Mezzogiorno,
come la costruzione dell’acquedotto pugliese, che però, nonostante le buone intenzioni, non incisero
molto nella situazione di forte arretratezza economica. Si avviò, inoltre, il settore automobilistico –
la FIAT fu fondata nel 1899 – e il comparto dell’industria idroelettrica. Nonostante l'avvio di questo
processo di prima industrializzazione, l'Italia nei primi anni del Novecento rimase essenzialmente
agricola e il divario con le nazioni più progredite d'Europa era ancora molto ampio.
Un altro punto importante della politica giolittiana fu l’espansione coloniale. In politica estera,
Giolitti cambiò alleanze. Con Crispi l'Italia si era avvicinata alla Germania e aveva firmato la
Triplice Alleanza. Giolitti, invece, aveva sancito la fine della guerra commerciale con la Francia e
quindi aveva inserito l’Italia nella spartizione del nord Africa. Infatti, quando la Francia nel 1911
prese il controllo del Marocco, l’Italia, qualche mese dopo, si sentì autorizzata ad occupare
militarmente la Libia; prima di tentare questa nuova avventura L’occupazione della Libia fu più
lunga del previsto e la resistenza delle tribù indigene molto dura. l’Italia dovette occupare l’isola di
Rodi e il Dodecanneso, di proprietà dell’impero ottomano, per costringere l’impero a firmare la
pace di Losanna: con questa pace l'Italia abbandonò le isole del Dodecanneso e l'impero ottomano
cedette all'Italia la Libia. In realtà i benefici dell’invasione coloniale furono molto pochi, perché la
Libia era soltanto uno “scatolone di sabbia” (ancora il petrolio non era utilizzato a livello
industriale). Da ciò ne nacquero molte polemiche, anche perché i costi della guerra furono molto
alti e i benefici che l’Italia ne trasse non compensarono le perdite, sia di uomini, sia economiche.
Dal punto di vista della politica interna, Giolitti attuava una pratica che si potrebbe definire di
“ritirata strategica”. Quando in Parlamento la situazione era ingarbugliata e alcune leggi che lui
riteneva importanti non venivano approvate, Giolitti si dimetteva e aspettava che la situazione
degenerasse ancora di più. Siccome nessuno riusciva a venirne a capo, lui accettava di nuovo di
formare il governo, ma a patto che fossero approvate le leggi che prima erano state bocciate. Le
opposizioni accusarono Giolitti di trasformismo, cioè di cambiare spesso la sua linea politica pur di
rimanere al potere. Proprio per questo motivo i suoi nemici definirono l'età giolittiana una sorta di
dittatura parlamentare, ma una dittatura che, invece di sopprimere il dissenso, cercava di
corrompere l'avversario politico, in modo da stemperare qualunque forma di opposizione. Infatti,
dopo aver concesso il suffragio universale maschile, cavallo di battaglia dei socialisti, Giolitti si
lanciò nell’impresa coloniale in Libia, cavallo di battaglia dei nazionalisti. Nel 1914 Giolitti mise in
atto una delle sue ritirate strategiche e si dimise, però questa volta non poté più tornare perché nel
frattempo scoppiò la Prima guerra mondiale.
GIOVANNI VERGA

Giovanni Verga è stato un autore italiano che ha messo il lavoro e i lavoratori, al centro delle sue
opere.
Appartenente alla corrente letteraria del Naturalismo, Giovanni Verga se ne discosta per alcuni suoi
tratti peculiari, primo fra tutti la sfiducia nel progresso, cercando però di dare una rappresentazione
“vera” della realtà, tentando di descriverla in modo più oggettivo e realistico possibile.
In Verga infatti, è assente la protesta sociale, lui non crede al miglioramento delle condizioni di
vita dei contadini del meridione d'Italia; racconta tutto con la tecnica dell'impersonalità e la tecnica
della regressione, entrambi rivoluzionarie per quei tempi. Secondo la tecnica dell'impersonalità le
opere si “fanno da sole”, cioè senza l'intervento del narratore che deve nascondersi e non deve far
trapelare il suo punto di vista. Il narratore, abbandonando i suoi panni colti, deve “regredire” a
livello di uno dei personaggi e raccontare la vicenda partendo dal punto di vista degli umili, come se
dovesse soltanto “fotografare” la realtà.
Giovanni Verga nacque a Vizzini nel 1840 da una famiglia di ricchi proprietari terrieri; quando nel
1860 Garibaldi arrivò in Sicilia, Verga lo accolse in maniera entusiasta e si arruolò come volontario
nella Guardia Nazionale. Nel 1865, a 25 anni, decise di stabilirsi a Firenze dove conobbe Luigi
Capuana ed entrò in contatto con i gruppi intellettuali fiorentini. L’anno successivo pubblicò un
romanzo dal titolo Una peccatrice e nel 1870 ottenne il successo con il romanzo Storia di una
Capinera, ispirato ad una storia di una monacazione forzata. Nel 1872 Verga si trasferì a Milano,
dove rimase per vent’anni e scrisse le opere più importanti. A Milano frequentò gli scrittori
scapigliati e lesse i nuovi romanzi naturalistici francesi: nel 1874, influenzato dalle nuove letture
naturalistiche, pubblicò Nedda.
Nel 1877 anche Capuana si trasferì a Milano; una recensione di Capuana ad un romanzo di Zola
influenzò profondamente la produzione verghiana. L’anno successivo, infatti, Verga pubblicò
Rosso Malpelo, la prima opera veramente verista. Nel 1880 uscì la raccolta di novelle Vita dei
campi, l'anno successivo I Malavoglia e nel 1882 Novelle Rusticane. Questi romanzi ebbero un
discreto successo di critica, ma non di pubblico e Verga piano piano fu messo ai margini della
cultura milanese.
In seguito, però, con Mastro Don Gesualdo, pubblicato nel 1889, ritornò all’ambientazione siciliana
e alla tecnica dell’impersonalità. Il successo arrivò invece dalle sue riduzioni teatrali, soprattutto
con Cavalleria Rusticana, messa in scena nel 1884, che provocò una lunga causa con il musicista
Pietro Mascagni. Nel 1893 tornò in Sicilia e la sua vena creativa si spense. Visse appartato e
insofferente nei confronti delle nuove tendenze letterarie, fortemente influenzate da D'Annunzio e
dalla sua scrittura completamente diversa da quella di Verga. In politica era fortemente conservatore
e antisocialista; allo scoppio della prima Guerra mondiale si schierò con gli interventisti. Dopo la
guerra la sua figura fu rivalutata; nel 1920 fu nominato senatore del Regno. Morì a Catania nel
1922.
La lingua di Verga è una lingua originale, antiletteraria e vicina al parlato, una vera rivoluzione
linguistica. L'attenzione al mondo degli umili e ai loro valori, tramite la tecnica della regressione,
avviene anche attraverso l'utilizzo della lingua del popolo, piena di termini dialettali: l'autore si
abbassa al loro livello, si fa uno di loro e parla come loro. La descrizione sembra veramente
raccontata da uno dei personaggi e Verga, per rendere tutto più credibile, utilizza il “discorso
indiretto libero”, cioè una sorta di imitazione della lingua parlata. Attraverso l'utilizzo di una
struttura linguistica popolare, si dà l'impressione che “l'opera si sia fatta da sé” e che sia vera, come
scriveva lo stesso Verga.
La produzione letteraria verghiana può essere divisa in due parti: le opere pre-veriste e le opere
veriste. I romanzi precedenti al verismo erano di tipo tardoromantico, cioè romanzi strappalacrime
che parlavano della patria e di amori impossibili. La svolta si ebbe con Nedda, una novella che
ancora non era verista perché risentiva dei temi tardoromantici, ma che rappresentò una rivoluzione.
Nedda non era una novella verista perché non era stata scritta seguendo il criterio dell'impersonalità
e il narratore interviene ancora a commentare le vicende narrate.
Per Verga la società è immobile ed è governata sempre dalle leggi primitive; l’industrializzazione
non solo non era riuscita a scalfire l’egoismo, la legge del più forte e la lotta per la sopravvivenza,
ma li aveva addirittura aumentati. Il progresso aveva rotto gli equilibri esistenti nella civiltà
contadina e aveva introdotto un solo valore: il denaro. Secondo Verga, infatti, il cambiamento porta
alla sconfitta. Per questo motivo, nelle sue opere Verga descrive un mondo quasi animalesco, un
mondo retto dall'istinto e dalla sopraffazione. All'interno di questa lotta, l'unica ancora di salvezza –
almeno nella prima parte della produzione – è la famiglia. Quando l'uomo si allontana dalla
famiglia e ne tradisce i valori, fa la fine dell'ostrica che si separa dallo scoglio, cioè muore. A questo
proposito gli storici della letteratura hanno parlato di “Ideale dell’ostrica”.
Un altro tema molto frequente in Verga è il tema della “Roba”, cioè l'accumulo irrazionale, quasi
fine a sé stesso, delle ricchezze, che non garantisce una vita migliore e non salva dalla sconfitta,
come è avvenuto a Mastro Don Gesualdo.
Nel 1878, Verga inizia a comporre il “Ciclo dei Vinti” ,l'insieme di cinque romanzi che avrebbe
dovuto scrivere; in verità ne scrisse soltanto due, perché non riuscì ad applicare la tecnica
dell’impersonalità alle vicende delle classi alte della popolazione. Nell'idea originale avrebbe
dovuto scrivere I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e
L'uomo di lusso. Questo ciclo avrebbe dovuto mettere in scena la lotta degli sconfitti, di ogni classe
sociale; una sorta di lotta per la sopravvivenza, di stampo darwiniano, nella quale i vinti vengono
sconfitti dalla società moderna.
Mastro Don Gesualdo fu pubblicato per la prima volta nel 1888 a puntate sulla rivista “Nuova
Antologia” e poi in volume l'anno successivo. Il romanzo, che si svolge tra il 1820 e il 1848, narra
le vicende di Gesualdo Motta, un giovane muratore che pian piano diventa molto ricco; il popolo lo
chiama don Gesualdo, in segno di rispetto, ma i nobili lo chiamano ancora mastro, in segno di
disprezzo, da qui Mastro don Gesualdo. Gesualdo si fa convincere a sposare Bianca Trao, una
nobildonna decaduta che aveva una relazione con suo cugino, Ninì. Tramite questo matrimonio i
Trao sistemano il patrimonio di famiglia e Gesualdo entra a far parte della nobiltà, ultimo tassello
della sua scalata sociale. I due si sposano ma è un matrimonio privo di amore. A Bianca nasce una
figlia, Isabella, che non era figlia di Gesualdo e che disprezza il padre per la sua origine umile.
Isabella, a sedici anni, si innamora di suo cugino e fugge con lui, ma Gesualdo lo fa arrestare. Per
cancellare il disonore, Gesualdo fa sposare Isabella con il duca di Leyra, un nobile squattrinato che
pensa solo alla dote di Isabella. La moglie Bianca si ammala e muore, e Gesualdo, che durante i
moti del 1848, viene preso di mira dai rivoltosi, si trasferisce a Palermo nel palazzo dei Leyra, dove
muore tra l'indifferenza di tutti e solo.Alla fine, nonostante la sua ricchezza, Gesualdo è un vinto
come 'Ntoni.
La visione di Verga in questo romanzo è ancora più cupa e pessimista rispetto a quella dei
Malavoglia. Nei Malavoglia Alessi, non tradendo i valori della famiglia e dell'ideale dell'ostrica,
riesce a resistere alle lusinghe del progresso e alla fine ricostruisce tutto ciò che era andato distrutto.
Questa ancora di salvezza, che è la famiglia, nel Mastro Don Gesualdo non c'è più. La famiglia
diventa un covo di ipocrisia e di finzione e il vinto Gesualdo non ha più speranza. Non è più uno del
popolo, ma non riesce ad essere uno della nobiltà e qui si consuma la sconfitta di Gesualdo che non
riesce ad instaurare alcun legame affettivo sincero. Al progresso e alla roba Gesualdo sacrifica tutta
la sua vita e i suoi affetti, soprattutto quello della fedele serva che gli aveva dato dei figli, l’unica
che gli sarà vicino fino alla fine.
ARTICOLO 4 DELLA COSTITUZIONE: DIRITTO AL LAVORO

L'articolo 4 riconosce a tutti i cittadini il DIRITTO al lavoro e affida allo Stato il compito di creare
le condizioni per rendere effettivo questo diritto.
Il diritto al lavoro corrisponde però anche al DOVERE di lavorare, il che significa che la
COSTITUZIONE esige da tutti coloro che ne hanno la possibilità o i mezzi di contribuire al
benessere della collettività in qualsiasi modo.
L’articolo 4 della nostra Costituzione riprende, ampliandolo, quello che l’articolo 1 sancisce essere
il fondamento della nostra Repubblica.
In questo articolo, il lavoro viene riconosciuto come diritto di tutti i cittadini, in quanto costituisce il
presupposto per l'esercizio di ogni altro diritto. E' per questo che lo Stato si impegna a promuovere
le condizioni che lo rendano effettivo. Lo Stato si deve impegnare concretamente nel promuovere
specifiche politiche sociali ed economiche di sviluppo che favoriscano le condizioni per il pieno
impiego, nell'interesse generale della nazione.
La strada per la concretizzazione dell’art.4 è stata molto lunga: infatti, solo negli anni ’70 è stato
approvato lo statuto dei Lavoratori, che fece propri i principi dell’articolo 1 e dell’articolo 4, a
partire dalla libertà di opinione del lavoratore che non può diventare fonte di discriminazione, fino
alle regole del licenziamento.
Nell’articolo 35, in particolare nel comma 1, si riprende l’importanza del lavoro: “La Repubblica
tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale
dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad
affermare e regolare i diritti del lavoro.”
Proprio perché esso è un pinto fondamentale nella vita delle persone, il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla qualità del suo lavoro, al fine di assicurargli una vita dignitosa, per
sé e per la sua famiglia.
LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 1

La Costituzione è la legge fondamentale di uno Stato cioè un documento che


 Delinea le caratteristiche essenziali dello Stato
 Descrive i valori cui si ispira
 Stabilisce l’organizzazione politica su cui si regge
Essa è entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. È la legge suprema nel senso che occupa il gradino
più alto nella gerarchia delle fonti del diritto. La nostra Carta costituzionale afferma che la nostra
società si basa sulla democrazia e quindi sulla partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica
economica e sociale del Paese.
La Costituzione non è la prima Carta Costituzionale d’Italia. Dal 1861 al 1947, la legge
fondamentale dell’Italia è stata lo Statuto Albertino cioè la Costituzione dell’antico Regno di
Sardegna del re Carlo Alberto del 1848.
Caratteristiche Statuto Albertino:
 Ottriata cioè concessa spontaneamente e unilateralmente dal Re
 Flessibile cioè modificabile tramite legge ordinaria
 Breve nel senso che gli articoli dedicati ai rapporti tra Stato e cittadini sono pochi e
riconoscono solo alcuni diritti e libertà fondamentali.
Lo Statuto prevedeva uno Stato monarchico e proprio la sua flessibilità permise al regime fascista,
tra il 1922 e 1943, di affermare i propri principi autoritari.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la liberazione dal fascismo (25 aprile), i partiti che
avevano combattuto per il ritorno alla democrazia formarono un governo provvisorio guidato da
Ferruccio Parri. Tra i compiti più importanti affidati a tale Governo ci sono: sostituire lo Statuto
Albertino con una Costituzione più “forte” e dare all’Italia la forma di Repubblica democratica.
Il 2 giugno 1946: tutti i cittadini sono chiamati alle urne per eleggere l’Assemblea costituente, cioè
l’organo incaricato di redigere la nuova Costituzione e scegliere con un referendum tra monarchia e
repubblica. I risultati del referendum sono favorevoli alla Repubblica.
Il 29 giugno del 1946 l’Assemblea costituente elegge Enrico De Nicola capo provvisorio dello
Stato: il nostro Paese diventa una Repubblica.

STRUTTURA E CARATTERI DELLA COSTITUZIONE


Struttura:
La Costituzione italiana si compone di 139 articoli e di 18 disposizioni transitorie e finali.
I primi dodici articoli sono dedicati ai principi fondamentali della Repubblica mentre i successivi
sono divisi in de parti:
 La prima parte riguarda i diritti e doveri dei cittadini nell’ambito dei rapporti civili, dei
rapporti etico-sociali, dei rapporti economici e dei rapporti politici.
 La seconda parte (artt. 55-139) è dedicata all’ordinamento della Repubblica cioè agli
organi istituzionali (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura, Corte
Costituzionale)
Caratteri:
la Costituzione repubblicana è
 Lunga perché definisce sia le linee essenziali dell’ordinamento dello Stato sia i diritti
fondamentali dei cittadini
 Votata espressione della volontà popolare
 Rigida perché, a differenza dello Statuto albertino, può essere modificata solo attraverso un
procedimento speciale (aggravato).
 Laica nel senso che tutte le fedi religiose hanno pari diritto di esistere e operare sul
territorio nazional. La religione cattolica non è più la religione dello Stato come affermava
lo Statuto albertino
 Scritta perché fissata in un documento scritto
PRINCIPI FONDAMENTALI
La Costituzione si apre con un gruppo di 12 articoli in cui sono enunciati i principi fondamentali
della Repubblica italiana. Rappresentano il fondamento su cui poggiano tutte le altre norme,
l’insieme dei valori e delle idee che devono guidare i cittadini nei loro comportamenti e i poteri
dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni.
ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE:
“l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che
la esercita nei modi e nei limiti della Costituzione”.
Repubblica democratica, nell’articolo 1, indica una forma di governo in cui tutte le cariche
pubbliche sono espressione diretta o indiretta del consenso del popolo, secondo il principio della
sovranità popolare.
La costituzione prevede due forme attraverso cui realizzare la partecipazione del popolo al governo
dello Stato:
1. La democrazia rappresentativa, in cui il corpo elettorale elegge i propri rappresentanti al
Parlamento
2. La democrazia diretta che consente un coinvolgimento più immediato dei cittadini nelle decisioni
che riguardano la collettività come nel caso del referendum abrogativo, istituto tramite cui gli
elettori si pronunciano direttamente sulla eliminazione o meno di una legge o di una sua parte.
L’ articolo 1 enuncia il principio lavorista in base a cui il lavoro è il fondamento sociale della vita
collettiva.
LA PROGRAMMAZIONE LINEARE

Il modello matematico di un problema di Risoluzione Operativa è costituito da una funzione da


ottimizzare, la funzione obiettivo, e da un insieme di vincoli, espressi da equazioni e/o disequazioni,
tutti indipendenti tra loro. Se la funzione obiettivo e il sistema dei vincoli sono relazioni di tipo
lineare, si parla di programmazione lineare.
In un problema di programmazione lineare in due variabili il sistema dei vincoli definisce in genere
una regione del piano cartesiano che prende il nome di regione ammissibile; essa rappresenta
l'insieme dei punti tra i quali cercare la soluzione che è l'insieme dei valori delle variabili che
ottimizzano la funzione obiettivo, cioè dove essa assume il suo valore massimo o il suo valore
minimo a seconda del problema. Poiché si tratta di una funzione di due variabili, i punti di massimo
e di minimo si possono trovare con le linee di livello che, essendo la funzione lineare, sono
rappresentare da un fascio di rette parallele.
Per esempio, se la funzione obiettivo è z = 3x + 2y, le linee di livello sono le rette 3x + 2y = P.
Quando un fascio di rette parallele interseca una regione S del piano cartesiano (figura 1), il valore
minimo, se esiste, si trova in corrispondenza della prima retta del fascio che interseca S, il valore
massimo in corrispondenza dell'ultima retta che la interseca.
Di conseguenza, possiamo affermare che:

se la regione ammissibile S e` chiusa e limitata ed e` un poligono, la


soluzione ottimale di un problema di programmazione lineare in due
variabili si trova in corrispondenza di uno dei vertici di S (oppure in
tutti i punti di un suo lato).

Se la regione ammissibile non è chiusa potrebbe non esserci il punto di massimo o di minimo
(figura 2) e si dovrà valutare l'esistenza della soluzione ottimale usando le linee di livello.

Fig.1 Fig.2
THE STOCK EXCHANGE

The stock exchange is a financial marketplace where stockbrokers can buy and sell securities, often
referred to as stocks. This may be bought or sold only if it is listed on an exchange.
Stocks exchanges were originally open to all now only experts called stockbrokers can buy and sell
directly for themselves or for others, charging commissions for their services.
Experts predict that the world’s 100-plus stock exchanges will converge into a few global networks
that need a unified trading system.
In 2007, the New York Stock Exchange , won control of the European operator Euronext and now,
manages Stock Exchange in New York, Chicago, Paris, London and Brussels.
Shares are separate equal parts into which the capitol of a company is divided. A public limited
company can sell its shares to the general public.
Debentures are documents given to the lenders of long-term capital to a company.
Bonds are fixed interest financial assets issued by governments, bank, public utilities and other
large entities.
LA FACTURATION

La facture est le document par lequel le vendeur précise à l’acheteur le détail des marchandises
vendues et les conditions de livraison et de règlement.
La facture doit etre rédigée en double exemplaire et conservée au minium 10 ans et ils est
obligatoire.
Generalement, en France le délai pour le paiement d’une facture est de 45 jours fin de moins ou 60
jours nets de la data d’émission de la facture. Pour le trasport routier le delai est reduit a 30 jours.
Avant de payer la facture, le client doit controler si la quantitè facturée a bien été livrée,si les prox
unitaires appliques sont conformes au tarif.
On peut distinguer plusieurs fermes de factures :

 Le mémoire : facture établie par un artisan pour des travaux effectués suite a un devis ;
 La facture d’avoir: c’est une facture qui est etablie lorsque le vendeur doit une somme
d’argent a l’acheteur.
 La facture pro-forma: est une facture provisoire qui precede la vente. C’est l’equivalent
d’un devis et elle sert à faire connaitre à l’acheteur eventuel le montant net qu’il aurait à
payer si la vente était conclue.
 La facture consulaire: c’est une facture visee par la Chambre de commerce, elle peut
remplacer ou accompagner le certificat d’origine et elle sert pour le contrôle des
marchandises entrantes et pour le paiement des droits de douane.

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