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Segni distintivi: è un argomento ben distinto e separato da quello della concorrenza, ma rientra indirettamente nella

disciplina della concorrenza, poichè la tutela dei segni distintivi è requisito fondamentale per lo svolgimento di una
corretta concorrenza.
Quali sono i segni distintivi riconosciuti dal legislatore? Ditta, insegna e marchio.
Ditta: nome con il quale l’imprenditore svolge l’attività di impresa. L’insegna contraddistingue i locali nei quali l’attività
è svolta. Il marchio contraddistingue i prodotti di un determinato imprenditore.
Essi consentono all’imprenditore di essere riconosciuto sul mercato e di rafforzare la sua posizione nello stesso. Nel
momento in cui ottiene l’approvazione del mercato, la clientela andrà a ricercare quel prodotto. Elementi che
contraddistinguono l’attività dell’imprenditore diventano rafforzativi del rapporto tra imprenditore e clientela.
L’interesse tutelato prevalentemente è quello dell’imprenditore, che ha la possibilità di farsi riconoscere nel mercato,
distinguersi dai concorrenti, e ha la capacità di creare un valore (i segni distintivi rappresentano un valore economico
che può essere trasferito). Non c’è dubbio che la tutela dei segni distintivi in qualche modo tutela seppur
indirettamente anche coloro che entrano in contatto con l’imprenditore: la clientela è messa nella
condizione di riconoscere il prodotto ed è messa nella condizione di non essere tratta in inganno circa la provenienza
del prodotto con il quale si è instaurato il rapporto di fidelizzazione.
Il marchio rappresenta il segno distintivo più importante. Ditta e insegna sono regolamentati solo nel codice civile, il
marchio ha una tutela più ampia inserita sia nel codice civile che nella disciplina della proprietà industriale.
È raro che un soggetto adotti ditta, marchio, e insegna diversi tra loro. Vi è la tendenza a sovrapporli,  di modo che a
ditta e a insegna possa essere garantita per estensione la tutela più ampia che si riserva al marchio.
Non sono solo questi i segni distintivi di cui l’impresa può dotarsi, possono esservi simboli, sigle, slogan, che nascono
all’interno di un passaggio pubblicitario ma che col tempo acquisiscono un segno distintivo (es. Liscia, gasata o
Ferrarelle?).
Le caratteristiche comuni dei segni distintivi: il segno distintivo è lo strumento tramite il quale l’imprenditore vuole
farsi riconoscere. È riconosciuto all’imprenditore l’uso esclusivo. Non è un uso esclusivo assoluto, il carattere distintivo
dovrà essere fatto valere nel mercato di riferimento. Vi possono essere segni distintivi uguali, correttamente utilizzati
da due imprenditori, che operano su mercati diversi, e che non rientrano tra i marchi celebri. Per quanto riguarda i
marchi celebri l’uso è precluso a qualunque tipo di mercato (es. Non posso utilizzare il marchio Coca Cola per fare miei
prodotti d’abbigliamento). Ciò trova fondamento nel fatto che lo scopo del segno distintivo è far riconoscere il proprio
prodotto al consumatore e non trarlo in inganno: non vi è inganno se i mercati sono diversi.
L’imprenditore nell’ideare i segni distintivi ha la massima libertà costruttiva, che deve però attenersi ai tre
criteri di novità, verità, capacità distintiva.
I segni distintivi possono essere trasferiti secondo regole che evitano l’inganno del pubblico. Essi rappresentano un
valore economico dell’imprenditore. Il segno distintivo gode di una tutela ad ampio respiro, ma non è una tutela
assoluta, ma relativa e circoscritta.
La ditta: Il primo tema che si pone riguarda la funzione che la ditta doveva avere; questo tema è stato particolarmente
acceso prima dell’adozione del codice civile. In precedenza non essendoci una disciplina autonoma della ditta ci si
interrogava se essa dovesse necessariamente avere il nome dell’imprenditore e se fosse trasferibile. Ci si interrogava
se la funzione della ditta fosse quello del nome commerciale dell’imprenditore o se fosse il nome riferibile all’azienda,
e quindi se avesse una natura oggettiva o soggettiva. Da ciò scaturiva l’obbligo di inserire il nome dell’imprenditore e
eventualmente il divieto di trasferirla.
#2563: L'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta   da lui prescelta.
La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome   o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è
disposto all'articolo 2565.
#2565: La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda.
Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante.
Nella successione nell'azienda per causa   di  morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione
testamentaria.
Il codice civile non ha risolto la tematica: da una parte il 2563 prevede l’obbligo di inserimento del cognome, andando
a rafforzare il legame con l’imprenditore, dando quel connotato soggettivo alla ditta; al tempo stesso introducendo il
2565, in qualche modo la ditta viene legata alle sorti dell’azienda, quindi diviene segno distintivo dell’azienda e non
solo dell’imprenditore. Nessuna delle due posizioni prevale. La posizione del legislatore è riconoscere sia uno stretto
legame con l’imprenditore che con l’azienda stessa. La ditta comunque sia formata deve contenere il cognome o una
sigla dell’imprenditore. Nella formazione della ditta valgono quei principi generali enunciati in relazione ai segni
distintivi: la ditta deve avere elementi di verità e di novità. La verità è correlata all’uso almeno del cognome o della
sigla. Esaminando il 2563 e il 2565 questo vincolo di verità è un vincolo non assoluto, poichè se è vero che al momento
della nascita della ditta sarà necessario questo legame, nel tempo questo legame potrebbe venir meno: qualora la
ditta fosse trasferita ad un terzo, egli potrà esercitare l’attività con la ditta dell’imprenditore alienante.
Affinchè la ditta originale sia correttamente costituita deve contenere ALMENO cognome o sigla. Elemento necessario
ma non esclusivo. È un contenuto minimo al quale l’imprenditore può aggiungere ulteriori elementi. Il cuore della ditta
deve essere lecito: non contrario alle norme di ordine pubblico, di buon costume, norme imperative, e non deve
essere ingannevole circa l’attività svolta. Rispettati questi principi ho la massima libertà, purchè la ditta rispetti anche i
principi di verità e novità.
La ditta: Il primo tema che si pone riguarda la funzione che la ditta doveva avere; questo tema è stato particolarmente
acceso prima dell’adozione del codice civile. In precedenza non essendoci una disciplina autonoma della ditta  ci si
interrogava se essa dovesse necessariamente avere il nome dell’imprenditore e se fosse trasferibile. Ci si interrogava
se la funzione della ditta fosse quello del nome commerciale dell’imprenditore o se fosse il nome riferibile all’azienda,
e quindi se avesse una natura oggettiva o soggettiva. Da ciò scaturiva l’obbligo di inserire il nome dell’imprenditore e
eventualmente il divieto di trasferirla.
#2563: L'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta   da lui prescelta.
La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome   o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è
disposto all'articolo 2565.
#2565: La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda.
Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante.
Nella successione nell'azienda per causa   di  morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione
testamentaria.
Il codice civile non ha risolto la tematica: da una parte il 2563 prevede l’obbligo di inserimento del cognome, andando
a rafforzare il legame con l’imprenditore, dando quel connotato soggettivo alla ditta; al tempo stesso introducendo il
2565, in qualche modo la ditta viene legata alle sorti dell’azienda, quindi diviene segno distintivo dell’azienda e non
solo dell’imprenditore. Nessuna delle due posizioni prevale. La posizione del legislatore è riconoscere sia uno stretto
legame con l’imprenditore che con l’azienda stessa. La ditta comunque sia formata deve contenere il cognome o una
sigla dell’imprenditore. Nella formazione della ditta valgono quei principi generali enunciati in relazione ai segni
distintivi: la ditta deve avere elementi di verità e di novità. La verità è correlata all’uso almeno del cognome o della
sigla. Esaminando il 2563 e il 2565 questo vincolo di verità è un vincolo non assoluto, poichè se è vero che al momento
della nascita della ditta sarà necessario questo legame, nel tempo questo legame potrebbe venir meno: qualora la
ditta fosse trasferita ad un terzo, egli potrà esercitare l’attività con la ditta dell’imprenditore alienante.
Affinchè la ditta originale sia correttamente costituita deve contenere ALMENO cognome o sigla. Elemento necessario
ma non esclusivo. È un contenuto minimo al quale l’imprenditore può aggiungere ulteriori elementi. Il cuore della ditta
deve essere lecito: non contrario alle norme di ordine pubblico, di buon costume, norme imperative, e non deve
essere ingannevole circa l’attività svolta. Rispettati questi principi ho la massima libertà, purché la ditta rispetti anche i
principi di verità e novità.
Che succede se la ditta non è così costituita (per esempio manca cognome o sigla)? Potrà assumere carattere  distintivo
ma non potrà essere ricondotta sotto la tutela della ditta essendo la ditta di carattere irregolare. La tutela potrei averla
ricorrendo ad un altro articolo di legge: potrò invocare la concorrenza sleale per confusione. Di fronte ad una ditta
irregolare, che comunque assume carattere distintivo, che ha novità e liceità, ma non verità mancando il cognome,
potrà godere della tutela generica dei segni distintivi di cui al 2598. La condizione è che il segno distintivo sia utilizzato.
Il principio di verità della ditta non è assoluto: può accadere che il nome o la sigla dell’imprenditore sulla ditta non
coincida col nome dell’imprenditore che lo sta utilizzando; ciò può succedere a seguito del trasferimento d’azienda,
con la quale può avvenire il trasferimento della ditta (se presente). Sul contratto deve essere esplicitamente scritto
che passa anche la ditta, e deve esserci espresso consenso da parte dell’alienante. In tal caso si parla di ditta derivata,
poichè l’imprenditore si troverà ad utilizzare una ditta che non contiene il proprio nome ma quello di colui che l’ha
istituita. Si potrà porre un problema di responsabilità dell’imprenditore alienante, se si metterà in una
condizione di non far comprendere all’interlocutore l’avvenuta mutazione del soggetto di riferimento.
Per quanto riguarda la novità abbiamo l’articolo
#2564: Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto
dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a
differenziarla.
Per le imprese commerciali  l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel
registro delle imprese in epoca posteriore.
Affinchè possa essere riconosciuto il diritto di esclusiva non deve esserci confusione. Essa sarà massima qualora
dovesse esserci coincidenza con una ditta già in esistenza. Questo problema non è ammissibile. Qualora dovesse
verificarsi la registrazione in difformità dal principio di novità, scatta l’obbligo di integrazione. Come misuro la
confusione? In base agli elementi oggetto dell’impresa e del luogo in cui è esercitata. Dobbiamo immaginare i concetti
in maniera estensiva. La valutazione che deve essere fatta è estensiva, variabile nel tempo. Nel momento in cui
dovesse comparire elemento di confusione andrà non solo valutato in termini astratti, ma andrà visto il
tipo di prodotto e se effettivamente presenta una sovrapponibilità geografica. Qualora ci dovesse essere l’elemento
confusorio, quali sono gli elementi discriminanti per far valere il principio di novità? L’anteriorità: chi per primo ha
utilizzato la ditta. L’uso come lo riconosco? Come specificato dal comma 2 del 2564, il registro delle imprese viene ad
essere utilizzato come elemento di verifica. Vale in termini assoluti? Bisogna far valere il principio generale.
#2593: Chi ha ottenuto una registrazione per un nuovo disegno o modello che abbia carattere individuale, ha il diritto
esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso, in conformità alle leggi speciali.
I fatti per i quali la legge stabilisce l’iscrizione, se non sono stati iscritti non possono essere opposti ai terzi da chi è
obbligato a richiederne l’iscrizione, a meno che questi non provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza. Di fronte alla
contesa per l’uso prioritario dei segni commerciali, la derimente dovrebbe essere chi per primo ha iscritto la ditta nel
registro delle imprese, ma secondo il principio generale dell’efficacia dell’iscrizione nel registro delle imprese per
l’opponibilità ai terzi, questo principio subisce una limitazione: qualora io riuscissi a dimostrare l’uso antecedente, non
supportato dall’iscrizione, ma con un altro imprenditore che ha successivamente proceduto all’iscrizione, questa
iscrizione sarà derimente ai fini della disputa se l’imprenditore che ha registrato non era a conoscenza del mio uso
antecedente della ditta oggetto della disputa; ma se l’imprenditore che ha utilizzato per primo la ditta fosse in
grado di dimostrare che chi l’ha registrata fosse a conoscenza del suo uso posteriore, in tal caso l’efficacia assoluta del
#2593 verrebbe meno, e pertanto potrà essere opposta la priorità nell’uso di colui che aveva iniziato ad utilizzarla
senza avvenuta registrazione. Ossia il soggetto era consapevole della mancanza di novità della sua ditta, e sapendo che
non era ancora stata registrata l’ha registrata lui per primo per cercare di averne l’uso esclusivo. Qualora abbia agito in
buona fede, ossia non fosse consapevole della mancanza di novità, non potrà essere eccepito il danno.
#2564: la ditta deve essere integrata o modificata. Dovrà essere integrata o modificato l’elemento confusorio. Inoltre
è obbligatoria l’integrazione o la modificazione? No, in termini assoluti a quel punto può rinunciare a quel tipo  di ditta
e registrarne una diversa. Ciò che interessa al legislatore è eliminare l’elemento confusione.
In taluni frangenti la ditta coincide esattamente con il nome civile dell’imprenditore, e quindi vi è una perfetta
sovrapposizione, hanno la medesima tutela? No, e non hanno la medesima disciplina. Il nome viene attribuito per
legge, ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito (art 6 del codice civile). Nel momento in cui
abbiamo più nomi civili coincidenti, non vuol dire che non possano coesistere (es. Tutti i Mario Rossi in Italia). Invece
per quanto riguarda la ditta in caso di nomi coincidenti questa situazione va corretta. Inoltre una persona può avere
un solo nome civile, invece un imprenditore può avere una pluralità di ditte. Dunque nome civile e ditta sono
diversamente disciplinati, poiché tutelano diritti differenti. Eventuale sovrapposizione non comporta sovrapposizioni
normative, con un unica eccezione in materia di assegni e cambiali, per i quali è previsto che l’imprenditore possa
indifferentemente sottoscrivere cambiali o assegni con imprenditore o con la ditta.
L’articolo 2567 introduce un altro elemento
#2567: La ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai titoli V e VI   di  questo libro.
Tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell'articolo 2564.
La ragione sociale è quella adottata dalle società di persone. I riferimenti sono 1) nel #2292, in materia di società in
nome collettivo: agisce sotto la ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci con l’indicazione del rapporto
sociale; 2) #2314 società in accomandita semplice: la società agisce sotto la ragione sociale costituita dal
nome di almeno uno dei soci  accomandatari; 3) #2326 società per azioni: la denominazione sociale (non è più ragione
sociale ma diventa denominazione sociale) in qualunque modo formata deve contenere l’indicazione  di società per
azioni; 4) #2453 società in accomandita per azioni: la denominazione della società è costituita dal nome di almeno uno
dei soci accomandatari con indicazione della società in accomandita semplice. 
Troviamo a seconda delle diverse forme che assume la società, troviamo in alcun di queste previsioni la
raccomandazione dell’indicazione del nome dei soci illimitatamente responsabili. Devono comparire in quanto
evocano i soggetti nei confronti dei quali vige la responsabilità
Come si pone la ragione sociale rispetto alla ditta? La ragione sociale e la denominazione sociale devono essere
adottate in coerenza con le disposizioni del #2564, e quindi devono essere tali da evitare confusione tra i soggetti. Non
vi è equiparazione fra ditta, ragione sociale e denominazione sociale, poichè evocando il principio soggettivo circa il
fatto che la ditta rappresenta il nome commerciale dell’imprenditore, e non il nome commerciale dell’azienda
(facendo dunque prevalere l’elemento soggettivo), ci troviamo nella fase in cui ragione sociale e denominazione
sociale vengono individuate come il nome sociale della società, che è l’imprenditore in forma collettiva. Non vi è una
equiparazione ma un allineamento della disciplina. Anche il nome commerciale delle società deve non poter creare
confusione, e quindi a ragione sociale e denominazione sociale dovrò applicare gli stessi principi applicabili alla ditta.
Nel momento in cui registro la ditta rispettando il principio di novità, verità e liceità mi viene riconosciuto il diritto
previsto dal #2563. L’imprenditore ha il diritto esclusivo, pertanto può inibire a chiunque di usare una ditta uguale alla
sua; è un diritto relativo, che può essere fatto valere solo in funzione dell’impresa e del luogo in cui l’attività  di impresa
è esercitata. Il fatto che qualcuno utilizzi la ditta impropriamente e io non agisca, non mi fa perdere il diritto esclusivo.
La tolleranza consapevole non vuol dire accettazione o rinuncia. Non potrà essere invocato il fatto che la
sovrapposizione vada ormai avanti da un certo lasso di tempo. Al fine di evitare questo tipo di problemi, in cui si può
incorrere anche in buona fede, quando si va a registrare il marchio si svolge una ricerca per verificare la
presenza di marchi che potrebbero lamentare la confusione. Ciò per evitare qualunque tipo di contenzioso.
La ditta può essere registrata autonomamente dal soggetto che la istituisce o può essere acquistata congiuntamente
all’azienda, parliamo dunque di un acquisto derivato. Sebbene rappresenti un bene immateriale, ha una
possibilità di circolazione limitata, infatti può essere trasferito solo insieme all’azienda. Inoltre la ditta non passa
all’acquirente senza consenso. L’azienda può essere trasferita sia per atti tra vivi che per atti mortis causa, per
successione. In questo caso non potrà essere espresso il consenso, la legge prevede che la ditta potrà essere trasferita
agli eredi, salvo diversa disposizione testamentaria. La condizione attraverso la quale la ditta possa essere trasferita a
terzi, sono quelle contenute nel #2565. Altra eventualità con cui l’imprenditore possa spogliarsi della ditta è la
cessazione. A quel punto scatterà la cessazione della tutela, fermo restando che l’eventuale registrazione successiva
da parte di un terzo potrebbe non presentare il requisito di novità. Si potrebbe beneficiare della notorietà acquisita
dalla precedente ditta.
#2566: Per le imprese commerciali, l'ufficio del registro delle imprese deve rifiutare l'iscrizione della ditta, se questa
non è conforme a quanto è prescritto dal secondo comma dell'articolo 2563 o, trattandosi   di  ditta derivata, se non è
depositata copia dell'atto in base al quale ha avuto luogo la successione nell'azienda.
Chiarisce il principio secondo il quale la ditta deve essere iscritta nel registro delle imprese.
 
L’insegna: presenta una disciplina molto complessa. Essa contraddistingue i locali all’interno dei quali l’imprenditore
svolge la propria attività. In alcune occasioni il segno distintivo può essere strettamente correlato all’immobile in cui si
trova l’esercizio commerciale. L’insegna può essere utilizzata sia dal medesimo imprenditore per contraddistinguere
più locali in cui svolge la medesima attività, e sia da diversi imprenditori che, svolgendo un’attività omogenea tra loro,
decidono di utilizzare una medesima insegna per contraddistinguere i propri locali. In questo caso parliamo di catene
commerciali che possono viaggiare sia in linea orizzontale (soggetti che operano allo stesso livello della filiera) sia in
linea verticale (soggetti che operano lungo la filiera). In questi casi ci troviamo di fronte ad una titolarità dell’insegna
che non è più riconducibile al soggetto che la utilizza, ma è riconducibile ad una pluralità  di soggetti, ovvero ad un
organismo che ha provveduto a definire il segno distintivo per conto degli associati. Ci sarà uno sdoppiamento tra
titolarità dell’insegna, che ricade su un organismo collettivo, un uso da una pluralità di soggetti diversi tra loro, e
un’indicazione dei locali riconducibile a soggetti diversi. Il problema che si pone è quello della situazione apparente:
sarà interesse dei vari imprenditori coinvolti fare in modo che l’attività commerciale del singolo punto vendita possa
essere ricondotta al singolo imprenditore, altrimenti l’interlocutore può essere convinto di trattare con soggetti
diversi, nei confronti dei quali può invocare la responsabilità.
I principi di novità, liceità e verità li ritroviamo anche nell’insegna. Per poter essere tutelata dovrà avere capacità
distintiva: non dovrà far uso di denominazione di carattere generale. Qualora io adotti come insegna quella di “Bar”
non potrò invocare la tutela del segno distintivo, stante la carenza del requisito di novità. Per quanto riguarda la
novità, essa è l’unica invocata dal 2568.
#2568: Le disposizioni del primo comma dell'articolo 2564 si applicano all'insegna.
Non ho l’obbligo di registrazione dell’insegna, a differenza della ditta. La carenza di ulteriori riferimenti mi fa anche
dire che l’insegna, contrariamente alla ditta, sarà liberamente trasferibile, indipendentemente dal fatto che venga
trasferita insieme all’azienda. Qualora vi sia coincidenza tra ditta e insegna, automaticamente tale facoltà verrà meno.
Non perchè lo prevede la norma, ma perchè contiene la ditta e la ditta non può essere trasferita. In tal caso potrà
essere trasferita solo col trasferimento d’azienda e con il consenso dell’imprenditore il cui nome compare all’interno
dell’insegna. Altrimenti se l’insegna ha una sua autonomia distintiva, soggiace alla disciplina del 2561.
Non c’è molto da dire sull’insegna.
 
Marchi: esso è il segno distintivo per antonomasia. Esistono interessi economici sopra i marchi rilevantissimi. Non solo
la capacità di contraddistinguere i propri prodotti, ma anche per la funzione che i marchi hanno assunto nel tempo,
una funzione evocativa. A livello normativo ha un corpo più ampio, dall’articolo 2569 al 2574; il 2574 prevede
espressamente il rinvio alle norme speciali.
#2574: Le condizioni per la registrazione dei marchi e degli atti  di  trasferimento dei medesimi, nonché gli effetti della
registrazione sono stabiliti dalle leggi speciali.
Leggi speciali: in precedenza era un legio decreto sul quale il legislatore è intervenuto in più occasioni, ma
successivamente la legge marchi è confluita nel codice della proprietà industriale con il decreto del 10 febbraio  2005
n° 30, che ha racchiuso la disciplina in materia di marchi e brevetti, al cui interno troviamo degli articoli specifici dal 7 a
l 28 che riguardano i marchi, e dal 156 e seguenti quelle che riguardano le modalità  di deposito della domanda che in
alcuni punti è sovrapponibile con quella relativa ai brevetti industriali.  
Affianco a questo troviamo le normative comunitarie e gli accordi internazionali. La normativa comunitaria disciplina il
marchio comunitario, forma di tutela prevista per semplificare le procedure di registrazione; è concessa la
registrazione del  marchio presso un’unica struttura comunitaria, con una contestuale tutela in tutto il territorio
dell’unione. Oppure abbiamo gli accordi internazionali, la convenzione di Parigi del 1983 non parlava
solo di concorrenza sleale ma anche di tutela dei marchi. Si sono aggiunti in seguito anche altri accordi. Abbiamo la
disciplina del marchio internazionale: il deposito preventivo come marchio internazionale agevolerà e darà diritto nei
mesi successivi, alla registrazione nei paesi aderenti.
Qual è la funzione svolta dal marchio? Nel tempo sono state individuate una pluralità di funzioni che non
necessariamente sono tutte oggetto di tutela. La prima è distinguere i prodotti o servizi di un dato imprenditore da
quelli dei concorrenti. In tal modo il consumatore è in grado di riconoscere il prodotto o il servizio di un imprenditore,
e una volta che ad esso ha collegato la sua fiducia ripete l’acquisto. Il marchio mi consente quindi anche  di mantenere
il rapporto di fiducia instaurato con la clientela. Questa funzione è tutelata dal legislatore, fin dall’inizio, seppur poi nel
tempo è stata superata da ulteriori funzioni attribuite al marchio. La seconda funzione del marchio è quella della
indicazione di provenienza. In precedenza, veniva strettamente collegato il risultato dell’attività di impresa, con
l’azienda. E pertanto, nella normativa relativa alla ditta, essa non è trasferibile se non congiuntamente all’azienda.
Fino al 1992 vi era la stessa disposizione in materia di marchi: si voleva ricondurre quello che era il rapporto di fiducia
che scaturiva a valle col consumatore, a monte con la struttura organizzativa dell’imprenditore. Conseguentemente
separare l’azienda dal prodotto poteva minare il rapporto di fiducia instauratosi con la clientela. In realtà questo
principio è venuto meno. La tutela della fonte di provenienza è venuta meno. Anche in
presenza di costanza di imprenditore non può necessariamente essere garantito lo stesso risultato. È stata slegata la
possibilità di trasferire il marchio dall’azienda, e quindi è possibile il trasferimento del marchio in autonomia. Al tempo
stesso le varie riforme che si sono succedute hanno introdotto la possibilità dell’uso del marchio: possono esservi più
soggetti che producono un determinato prodotto che viene messo sul mercato con lo stesso marchio. Il proprietario
del marchio concede l’uso del marchio in licenza ad un terzo, magari per un altro mercato geografico. In tal caso il
legislatore prevede che l’imprenditore titolare del marchio dovrà garantire l’omogeneità dei prodotti in tutti i mercati
geografici.
Abbiamo spesso evocato che la scelta del consumatore avvenga in base ad una sua soddisfazione circa il rapporto
qualità prezzo. Il marchio ha assunto una funzione anche di garanzia di qualità. Nel momento in cui avviene l’acquisto
lo sto effettuando in funzione dell’apprezzamento. Tale qualità tuttavia non è tutelata sotto il profilo normativo. Non
ha un riscontro di tutela nei confronti del consumatore. È un tipo di inganno, ma fine a sè stesso: il fine del marchio è
legare la clientela al prodotto; quando il consumatore reitera la scelta la rimette ogni volta in discussione poichè
accerta se la soddisfazione data al prodotto è stata ben riposta. Un cambio di organizzazione o un cambio di scelta
gestionale può far sì che il prodotto non sia più conforme ai gusti del consumatore e che smetta  di consumarlo. La
scelta del livello qualitativo del prodotto è a discrezione del consumatore.
Un’ultima funzione che ha acquisito il marchio nel corso del tempo è la funzione attrattiva; accade spesso che la scelta
del prodotto non venga effettuata in funzione della qualità, ma in funzione dell’effetto evocato da un determinato
tipo di marchio. La scelta che viene effettuata dal consumatore è slegata dalla qualità, che acquista un certo prodotto
per la condizione distintiva, non del prodotto, ma del soggetto, che vuole possedere beni di determinati marchi per la
funzione che hanno assunto nella moda (es. Comprare una borsa firmata, seppur di qualità non particolarmente
notevole, ma per moda). Questa funzione ha assunto un ruolo molto rilevante economicamente da qualche anno.
Anche questa funzione non gode di tutela da parte del legislatore.

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