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MEDICINA ORALE PEDIATRICA

Classificazione lesioni
Reattive/infiammatorie
- Mucocele
- PGCG
- Lesioni infiammatorie periapicali
- Iperplasia fibrosa/gengivale
- Parotite ricorrente giovanile (RIP)
Infettive
- Miceti (candida)
- Virus (hsv, vzv, hbv, ebv, coxackie, HPV)
- Batteri (stafilococco, micobatteri, treponema, actinomiceti)
Traumatiche
- Cheratosi frizionale
- Ustioni
- Ulcere traumatiche
Idiopatiche/congenite
- Epidermolisi bollosa
- Riga-Fede
- Lingua a carta geografica/fissurata
- Micro/macroglossia
- Anchiloglossia
- Nevo bianco
- Granuli d Fordyce’s
- Macule melanocitiche orali
- Schisi orofacciale
Immunomediate
- Ulcere aftosiche (malattia di Behcet)
- Vescicolo bollose
- Granulomatosi (morbo di Crohn)
- GVHD
Indotte da farmaci
- Indotte da chemio o radioterapia
- Eritema multiforme (EM)
- Sindrome di Stevens-Johnson (necrolisi)
- Farmaci antiepilettici
Neoplasie
- Fibroma
- Emangioma
- Linfoangioma
- Epulide congenita
- Carcinoma mucoepidermoide
- Rabdomiosarcoma
- Tumori odontogeni
- Neurofibroma
- Tumore neuroectodermico melanotico dell’infanzia

La maggior parte delle lesioni che vengono riscontrate nella popolazione pediatrica sono reattive ed infettive.

Le stesse manifestazioni che possono presentarsi nell’adulto o nel bambino portano a differenti
considerazioni diagnostiche; ad esempio:
• Ulcera traumatica del ventre linguale di destra:
- paziente 50 anni: condizioni funzionali, dentarie, protesiche
- paziente 8 anni: problema psichiatrico (condizioni di disagio psicologico del bambino)
• Morbo di Crohn
- Adulto: le manifestazioni extra-intestinali seguono la progressione intestinale
- Bambini: nel 50% dei casi esordiscono con manifestazioni extra intestinali (eritema perilabiale e
fistole perianali)

Epidemiologia
-Localizzazioni: prevalenza labbra e lingua
-Cause: prevalgono forme acute (afte)
-Traumatiche: cheek and lip biting

Le forme traumatiche del bambino sono normali in corso di dentizione poiché compaiono elementi dentari
affilati (versanti cuspidali e margini) ed il sistema deve adattarsi a questa presenza. Se invece il paziente non
è in fase di dentizione bisogna porre attenzione al trauma cronico.
Le lesioni traumatiche del capezzolo materno o del ventre linguale richiedono estrazione oppure cercare di
far ruotare il dente imponendogli una direzione con il klemmer.

I granuli di Fordyce sono ghiandole sebacee presenti sulla mucosa orale o


genitale. Sono tipicamente considerate annessi cutanei e quando si riscontrato
all’interno del cavo orale sono considerati ectopici. Dato che vengono riportati
nell’80% della popolazione, la loro presenza può essere considerata una normale
variazione anatomica.
Possono comparire clinicamente come papule multiple gialle/bianche molto
comuni nella porzione laterale del vermiglio o labbro superiore, occasionalmente
anche nella zona retromolare e a livello del pilastro tonsillare anteriore. Sono
molto più comuni negli adulti che nei bambini probabilmente come risultato di
variazioni ormonali (pubertà). Sono generalmente asintomatiche o essere
avvertite dal paziente come delle rugosità.
Isotologicamente non sono associate a follicolo pilifero ma somigliano a
ghiandole sebacee cutanee. I lobuli acinosi possono essere presenti nelle
immediate vicinanze della superficie epiteliale e comunicare, attraverso un dotto
centrale, con la superficie.
Non vengono trattate salvo nei casi di iperplasie.

Fistole congenite labbro inferiore sono invaginazioni congenite rare che si


presume originino dai solchi laterali sull’arco embrionale mandibolare che
dovrebbero sparire alla sesta settimana di gestazione.
Sono solitamente bilaterali e simmetriche su entrambi i lati del vermiglio.
Possono essere lievi depressioni o molto profonde arrivando anche a far
fuoriuscire secrezioni salivari. Sono generalmente ereditate come tratto
autosomico dominante insieme alla schisi del labbro e del palato (Sindrome di
Van der Woude). Può essere associata ipodontia o mutazione del gene IRF6 (interferon regulatory factor 6),
alla sindrome di Kabuki e dello pterigoideo popliteo.
Istologicamente è caratterizzata da epitelio squamoso stratificato e le ghiandole salivari minori possono
comunicare con la cavità. Può essere presente infiltrato di cellule infiammatorie nel tessuto connettivale
circostante.
Tiroide linguale
L'ectopia tiroidea è una forma di disgenesia caratterizzata dalla posizione ectopica della ghiandola tiroidea,
che causa ipotiroidismo primitivo congenito, un deficit tiroideo permanente presente alla nascita. La
prevalenza è stimata in circa 1/7.000. L'ectopia tiroidea causa circa due-terzi dei casi di disgenesia tiroidea
ed è due volte più comune nelle femmine rispetto ai maschi. Il quadro clinico dell'ectopia tiroidea è spesso
lieve oppure non presente alla nascita, probabilmente a causa del passaggio transplacentare di alcuni ormoni
tiroidei materni oppure perché numerosi neonati producono comunque una certa quantità di ormone. Il gozzo
è sempre assente. I sintomi e i segni più specifici spesso si sviluppano solo dopo diversi mesi. Sono segni
clinici comuni la diminuzione dell'attività fisica con un aumento del sonno, le difficoltà alimentari, la
costipazione, l'ittero protratto, la facies mixedematosa, le fontanelle ampie (in particolare quella posteriore),
la macroglossia, l'addome disteso con ernia ombelicale e l'ipotonia. Verso i 4-6 mesi sono di solito evidenti il
ritardo dello sviluppo e il rallentamento della crescita lineare. In assenza di una terapia, l'ectopia tiroidea
esita nel ritardo mentale e nella bassa statura grave. L'ectopia tiroidea è caratterizzata dalla posizione
ectopica della ghiandola tiroidea. Questo si verifica quando la parte residua della
tiroide si localizza lungo il normale percorso del dotto tireoglosso, che è il sito in
cui si sviluppa la tiroide quando scende dalla base della lingua alla sua sede
definitiva nel collo. Il tessuto tiroideo ectopico può essere presente nella parte
inferiore e superiore dell'osso ioide e sopra la cartilagine tiroidea. Si ritiene in
genere che l'ectopia tiroidea sia sporadica. Tuttavia, recenti studi hanno
evidenziato la possibilità di una componente genetica. È stato dimostrato che
circa il 2% dei casi è familiare. Nell'uomo non sono state identificate mutazioni
specifiche, anche se le mutazioni del gene FOXE1 (TTF-2; 9q22) si associano
alla presenza di ghiandole tiroidee ectopiche nei topi. Sono necessari esami di
imaging per confermare la diagnosi di ectopia.
I segni clinici più comuni sono disfagia, disfonia, dispnea. La massa è spesso
vascolarizzata ma la forma può variare. La diagnosi si effettua grazie alla
scintigrafia che utilizza iodio marcato o il radioisotopo Tecnezio-99; possono
essere d’ausilio la TC e la RMN per delineare la grandezza e l’estensione.
Generalmente si evita la biopsia per il rischio emorragico e perché quel tessuto può essere funzionalmente
utile al paziente. In alcuni casi però si effettua comunque biopsia incisionale per escludere la possibilità che
si tratti di una neoformazione maligna.
Non è richiesto trattamento anche se si controlla periodicamente la lesione. Se il paziente è sintomatico si
può “sopprimere” il tessuto somministrando ormoni tiroidei. Se la terapia ormonale non dovesse essere utile,
si rimuove chirurgicamente la lesione con la possibilità di poter trapiantare altrove il tessuto se necessario.
L’evoluzione maligna di questo tipo di lesione è riportata solo nell’1% dei casi.

Ipotesi diagnostica riguardo una lesione ventre linguale mediana:


- Paziente di 13 aa
- Ipertiroidismo: FT3 e FT4 elevati, TSH basso
- Atrofia dei tessuti mucocutanei
- Perdita capelli
- Ipotensione
- Affaticamento muscolare cronico
- Lesione molto vascolarizzata (anche se non si tratta di una lesione di origine vascolare)
- Diagnosi strumentale: test scintigrafico con iodio marcato e osservare la captazione
o Tiroide ectopica: comune alla lingua con il dotto tireoglosso lungo il dotto delle aree di
tiroide ectopica
Ipotesi diagnostica sulla stessa lesione mediana della lingua:
- Paziente di 13 aa
- Febbricola serotina
- Il paziente riferisce affaticamento
- Crescita non normale
- Leucopenia
- Ipergammaglobulinemia
- Aumento ferritina sierica
o Indagare nel campo oncoematologico: linfoma, biopsia
La bambina in foto è affetta da Talassemia major: il sistema eritropoietico è molto attivo e sollecitato
I sintomi compaiono già nei primi mesi di vita. La malattia si osserva quasi esclusivamente nell’età infantile:
i primi segni, però, non sono presenti alla nascita, ma
compaiono lentamente e in modo quasi inavvertito entro i primi
due o tre anni come un indefinibile senso di malessere e modesti
rialzi termici improvvisi oppure associati a lievi episodi
influenzali o a disturbi della dentizione. Abbastanza
precocemente, tuttavia, i genitori notano che il bambino si fa
sempre più pallido (a causa dell’anemia lentamente
ingravescente) e che sulla pelle compare una sfumatura
giallognola, come se avesse l’itterizia, inoltre egli mangia poco
volentieri e cresce con una certa difficoltà. A questo punto
un’accurata osservazione permette al medico di rilevare, oltre al
colorito giallognolo della cute, altri segni clinici come la
splenomegalia, l’epatomegalia, per cui l’addome appare globoso e sporgente, in netto contrasto con le
membra piccole e gracili - particolare è pure la fisionomia “orientaloide” dei piccoli talassemici, dovuta alle
lesioni ossee e alle alterazioni della struttura scheletrica. Queste ultime a loro volta dipendono dal fatto che il
midollo osseo, deputato alla formazione delle cellule del sangue, produce eritrociti a ritmo accelerato, nel
tentativo di compensarne la distruzione, e quindi aumenta notevolmente di volume: ciò produce allargamento
dei canali midollari delle ossa il cui strato corticale contemporaneamente si riduce. Tale fisionomia diventa
sempre più evidente col progredire nel tempo della malattia ed è caratterizzata dal cranio piuttosto grande, di
forma approssimativamente quadrangolare, dal naso all’insù con le ali allargate e la radice infossata, dagli
zigomi prominenti e dagli occhi a mandorla, dovuto all’ispessimento delle ossa del massiccio facciale. In
ogni caso, nei talassemici precocemente e costantemente trattati con adeguata terapia trasfusionale questi
segni fisionomici sono assenti. Più tardivamente, se non è attuata una adeguata terapia con chelanti del ferro,
si manifestano complicazioni a carico del cuore, del fegato, del pancreas, dovute all’accumulo di ferro in
questi organi (per aumento dell’assorbimento intestinale di questo metallo in conseguenza delle continue
trasfusioni che si rendono necessarie). In passato la malattia aveva un decorso grave e progressivo, che non
consentiva in genere il raggiungimento dell’età adulta. Gravi complicazioni erano create nei talassemici
anche dalle difficoltà di ottenere il sangue compatibile per le frequenti isoimmunizzazioni da antigeni
introdotti con le continue trasfusioni e dall’epatite B, C (e HIV) trasmesse con sangue non sufficientemente
controllato. Oggi la situazione è notevolmente cambiata. I controlli obbligatoriamente svolti sul sangue
raccolto, i progressi compiuti dalla terapia trasfusionale, dalla chelazione del ferro e dalle possibilità del
trapianto consentono ora a molti talassemici ben curati, pur con le difficoltà dipendenti dalla necessità di
seguire con costanza un pesante regime terapeutico, di avere una vita quasi regolare, ed anche di sposarsi ed
avere figli non ammalati (anche se portatori del gene).

Perle di Epstein del neonato: sono cisti biancastre, delle dimensioni di 1-3
mm, che si formano sulle gengive, a livello della cresta del solco alveolare, e
sulla linea mediana del palato. Quando si riscontrano sulle gengive
prendono anche il nome di Noduli di Bohn. Interessano esclusivamente il
neonato e hanno una frequenza alquanto elevata, verificandosi in circa
l’80% dei bambini. Sono il risultato di un difetto di fusione o di residui della
lamina dentale. Presentano al loro interno proteine e/o cellule epiteliali esfoliate. Regrediscono
spontaneamente nel giro di poche settimane. Non si associano, di solito, a complicazioni.

Cisti ed ematomi eruttivi: la diagnosi differenziale è istologica in quanto l’ematoma


non ha parete epiteliale organizzata, a differenza della cisti eruttiva. Si risolvono
spontaneamente ad eruzione dentaria completata.
nelle immagini:
1. cisti da ritenzione salivare: ostruzione del flusso salivare con
conseguente formazione di cisti da ritenzione in stadio avanzato:
organizzata, fenomeni di gonfiore, ispessimento dei tessuti
epiteliali sovrastanti.
2. Afta: ulcerazione ventre linguale
3. Lesioni a grappolo periorali da virus erpetici: manifestazione secondaria da infezione da virus
erpetico

1. Granuloma periferico a cellule giganti (PGCG): lesione


reattiva-infiammatoria nel bambino, spesso produttiva
2. Gengivite ulcero necrotica
3. Mucocele da ritenzione

Cisti e tumori di origine dentaria: tipici dell’età pediatrica il fibroma amelobastico e il mixoma odontogeno

Fibroma ameloblastico
Viene considerato un tumore misto in cui sia la parte epiteliale che mesenchimale
sono parte della neoplasia. Non è frequente e generalmente colpisce i bambini: le
lesioni vengono diagnosticate prima dei venti anni. Possono comunque esserci casi
in pazienti adulti e più frequentemente negli uomini.
I piccoli fibromi ameloblastici sono asintomatici mentre i più grandi sono associati a
protuberanza mandibolare e crescendo possono coinvolgere anche l’intero ramo
mandibolare.
Il sito più comunemente colpito è la parte posteriore della mandibola (70%).
Radiograficamente appare come una lesione uniloculare (le più piccole) o
multiloculare radiotrasparente, i margini sono ben definiti e possono essere corticati.
Nel 75% si associa ad una mancata eruzione dentaria.
Il fibroma ameloblastico morfologicamente è caratterizzato dall’essere una massa
solida con una superficie esterna liscia; può essere presente una capsula definita.
Microscopicamente il tumore è composto da cellule mesenchimali della papilla
dentaria primitiva frammisto a epitelio odontogeno che ha un pattern quasi “a corda”
composto da cellule cubiche o colonnari; oppure le cellule epiteliali possono
organizzarsi in isole che rappresentano lo stadio follicolare dello sviluppo dell’organo
dello smalto. La parte mesenchimale del tumore, invece, è composta da cellule gonfie
ed ovoidali disperse in una matrice amorfa.
L’approccio terapeutico prevede che la terapia iniziale sia alquanto conservativa con
semplice escissione e curettage mentre trattamenti chirurgici più aggressivi
potrebbero essere riservati alle lesioni recidivanti. Circa il 35% dei casi di
fibrosarcoma ameloblastico originano da una recidiva di fibroma ameloblastico.

Mixoma odontogeno
Si pensa originino dall’ectomesenchima odontogeno.
Colpiscono generalmente la popolazione con un’età compresa tra i 20-30 anni e può
essere presente in qualsiasi area delle ossa mascellari, prediligendo la mandibola.
Le lesioni più piccole sono asintomatiche e possono essere diagnosticate anche
casualmente durante un esame radiografico. Le lesioni più grandi sono associate a
espansione asintomatica dell’osso coinvolto. La crescita del tumore è rapida e può
essere correlata all’accumulo di sostanza mixoide all’interno del tumore.
Radiograficamente il mixoma appare come una lesione uniloculare o
multiloculare radiotrasparente che può provocare spostamento o riassorbimento
degli elementi dentari nell’area coinvolta. I margini sono irregolari o dentellati e
possono essere presenti trabecolature ossee all’interno. I mixoma di grandi
dimensioni possono presentare un pattern a bolle di sapone indistinguibile
dall’ameloblastoma.
Ha una struttura gelatinosa e microscopicamente è composto da cellule stellate,
fuse e arrotondate in abbondante stroma mixoide che contiene solo poche fibrille
collagene, glicosaminoglicani, acido ialuronico e condroitin-solfato.
L’immunoistochimica ha dimostrato una diffusa immunoreattività delle cellule
del mixoma con anticorpi diretti contro la vimentina.
Le lesioni di piccole dimensioni vengono trattate con curettage ma è necessario,
per almeno 5 anni, un attento follow-up. Per le lesioni più grandi è richiesta una
estesa resezione perché, non essendoci una capsula, il mixoma tende a invadere
l’osso circostante.
Non metastatizza ma possono essere presenti cellule atipiche (mixosarcoma o
mixoma odontogeno maligna) che lo rendono più aggressivo.

FORME INFETTIVE

Famiglia degli herpes virus


- Simplex: HSV-1 e HSV-2
- Varicella zoster virus (VZV)
- Epstein-Barr virus (EBV)
- Cytomegalovirus (CMV)
- HHV-6, HHV-7, HHV-8
Gli herpes virus possono causare un’infezione primaria e poi rimanere latenti in specifici tipi cellulari per
tutta la vita. Possono subire riattivazione causando recidiva di infezione che può insorgere in forma
sintomatica o asintomatica. Si trasmettono attraverso la saliva o secrezioni genitali.
Gli HHV-6 e HHV-7 si trasmettono generalmente attraverso le particelle di saliva. Generalmente l’infezione
primaria è asintomatica ma può causare febbre improvvisa seguita da eruzione eritematosa maculopapulare.
Entrambi i virus possono replicarsi nelle ghiandole salivari e stabilire la loro latenza nei linfociti T CD4+. Si
può avere riattivazione nel caso di pazienti immunocompromessi e può diffondersi come infezione
multiorgano provocando encefalite, polmonite, soppressione midollare, epatite.
L’HHV-8 è coinvolto nella patogenesi del Sarcoma di Kaposi: la via di trasmissione principale è il contatto
sessuale tra due uomini ma si è visto che il virus è presente in alte percentuali anche nella saliva. Nei pazienti
immunocompetenti generalmente l’infezione primaria è asintomatica ma possono essere associati sintomi
quali febbre intermittente, linfoadenopatia, artralgia. La sede di latenza del virus sono i linfociti B circolanti.
Questo virus può associarsi anche a forme di linfoma e alla malattia di Castleman, ipertrofia dei linfonodi in
presenza di un'iperplasia linfatica angiofollicolare.

HSV1 e HSV2: hanno struttura e meccanismo d’azione simile ma differente antigenicità (per le differenze
nella membrana glicoproteica), sito coinvolto ed epidemiologia. Nonostante ciò c’è un’elevata percentuale di
crossreattività anticorpale e gli anticorpi diretti contro un tipo di HSV possono ridurre la severità
dell’infezione dall’altro tipo di virus.
HSV-1 si diffonde principalmente attraverso la saliva o lesioni periorali attive preferendo aree quali mucosa
orale, volto ed occhi, in particolare sono spesso coinvolte la faringe, la mucosa intraorale, labbra, occhi. Le
infezioni genitali da HSV1 sono rare ma ultimamente si ritiene stiano aumentando a causa di comportamenti
sessuali orali e della ridotta frequenza di infezioni da HSV1 non sessuali nei bambini.
HSV-2 si adatta meglio alle aree genitali e si trasmette principalmente attraverso i rapporti sessuali. Le
infezioni orali e faringee da HSV2 sono rare.
La storia naturale delle infezioni da HSV prevedono:
- Infezione primaria: si riferisce all’esposizione primaria al virus di un individuo che non presenta
anticorpi. Tipicamente si sviluppa nell’età adolescenziale, frequentemente asintomatica, senza
elevate morbilità. Per le forme sintomatiche il tempo di incubazione va dai 3 ai 9 giorni. Dopo
che l’infezione primaria è avvenuta, il virus entra nei nervi sensitivi dove rimane in uno stato di
latenza. La sede di latenza più comune per l’HSV1 è il ganglio trigeminale, poi i gangli nodoso
del vago, gangli della radice dorsale e il cervello. Il virus usa gli assoni dei neuroni sensitivi per
ritornare poi a livello della cute o della mucosa.
- Infezione secondaria (recidiva): si ha con la riattivazione del virus. L’età adulta, i raggi
ultravioletti, stress fisico o emozionale, gravidanza, allergia, trauma, trattamento dentario,
malattia respiratoria, mestruazioni, febbre, malattie sistemiche, sono associate con la
riattivazione. Le recidive sintomatiche sono comuni e coinvolgono l’epitelio innervato dal
ganglio sensitivo in cui è presente il virus latente.
Si ritiene, dai recenti studi, che circa il 70% della popolazione presenta nel proprio cavo orale l’HSV-1 in
forma asintomatica per almeno un mese. Zone affollate e scarsa igiene promuovono l’esposizione al virus,
così come un basso status socio-economico.
L’infezione da HSV-2 è una delle infezioni sessualmente trasmesse più comuni (circa 16% della popolazione
adulta) ed è associato ad un aumentato rischio di contratte HIV: si crea infatti un microambiente ricco di
cellule immunitarie suscettibili all’infezione da HIV.
Gli HSV sono coinvolti anche in molti processi non infettivi come nel 15% dei casi di eritema multiforme
sono preceduti da recidiva sintomatica da HSV da 3 a 10 giorni prima (trigger).
In altri pazienti si è visto che l’infezione in forma asintomatica da HSV può coincidere con la presenza di
lesioni aftosiche ulcerative e che possano promuovere la carcinogenesi ma il loro ruolo oncogenico non è
ben studiato.

Gengivostomatite erpetica acuta (primary herpes)


È il pattern più comune dell’infezione sintomatica da HSV
e, in più del 90% dei casi, causata da HSV-1. Più
frequentemente colpisce bambini di età compresa tra 0 e 5
anni, ma occasionalmente anche persone anziane.
L’infezione prima dei 6 mesi è rara poiché il bambino è
protetto dagli anticorpi anti-HSV della madre.
L’esordio è improvviso ed accompagnato da
linfoadenopatia latero-cervicale, febbre, nausea, irritabilità
e lesioni orali dolenti.
Inizialmente sulla mucosa affetta si sviluppano numerose
vescicole di piccole dimensioni che rapidamente collassano
formando delle lesioni che si allargano lentamente
ulcerandosi al centro e ricoprendosi di fibrina (gialla). Le
lesioni adiacenti possono subire coalescenza e formare ulcerazioni di grandi dimensioni ed irregolari. Può
colpire tutta la mucosa orale ed il numero di lesioni è variabile. In tutti i casi la gengiva è ispessita, dolente
ed eritematosa, in alcuni casi può presentare anche erosione a livello della gengiva libera. È comune che si
estenda oltre la mucosa labiale coinvolgendo anche i tessuti periorali.
La forma mild si risolve entro 5-7 giorni mentre le forme più severe necessitano fino a 2 settimane. Rare
complicazioni includono cheratocongiuntivite, esofagite, polmonite, meningite, encefalite.
L’infezione primaria negli adulti può causare faringotonsillite i cui sintomi iniziali sono mal di gola, febbre,
mal di testa mentre compaiono piccole vescicole a livello tonsillare; tali vescicole vanno rapidamente
incontro a rottura formando ulcere che possono fondersi e contenere essudato grigio-giallognolo.

Infezione erpetica secondaria (recidiva di infezione da


herpes simplex)
Può presentarsi nell’area dove è avvenuta la manifestazione
primaria o nell’area adiacente innervata dal ganglio
coinvolto. Il sito più comune di recidiva è il bordo del
vermiglio e la cute adiacente alle labbra. Questa
manifestazione viene chiamata “herpes labiale” ed è molto
frequente nella popolazione. In alcuni pazienti la luce
ultravioletta o i traumi possono essere dei trigger che
scatenano la manifestazione. I segni prodromici (bruciore,
dolore, prurito, pizzicore, eritema e calore localizzato) iniziano da 6 a 24 ore prima dello sviluppo delle
lesioni.
Papule multiple ed eritematose si sviluppano fino a formare cluster vescicolari che si rompono e diventano
crostose nel giro di 2 giorni. Guariscono nell’arco di 7-10 giorni.
I sintomi sono più severi nelle prime 8 ore e la fase più attiva di replicazione virale in genere dura 48 ore.
La rottura delle vescicole ed il rilascio del fluido virale può risultare in una diffusione delle lesioni in zone
adiacenti del labbro già traumatizzate (ad esempio dal sole). La recidiva è meno comune sulla pelle del naso,
mento e guance.
La maggior parte dei pazienti riferisce almeno due episodi di recidiva all’anno ma una piccola percentuale
può presentare anche manifestazioni mensili.
La recidiva può interessare anche la mucosa intraorale: nei pazienti immunocompetenti il coinvolgimento si
limita alla gengiva aderente con sintomatologia meno intensa. Nei pazienti immunocompromessi le aree
coinvolte sono diffuse e le lesioni assumono anche un aspetto di necrosi superficiale con bordi induriti.
Nel caso di lesioni persistenti, o in pazienti affetti di HIV, si consiglia di effettuare la biopsia per escludere la
comparsa di processi neoplastici.
Istologicamente nelle lesioni da HSV è presente acantolisi, degenerazione del nucleo. Questo aspetto viene
definito “Tzanck cells” (acantolitiche): lo striscio Tzanck è un esame citodiagnostico praticato su lesioni
cutanee e mucose di recente insorgenza. Si rivela particolarmente utile per lesioni orali ed esofagee dove il
difficile reperto di bolle integre e i relativi problemi tecnici di prelievo renderebbero poco agevole
l'esecuzione di una biopsia.
La frammentazione del nucleo si manifesta con
condensazione della cromatina intorno al nucleo; le cellule
multinucleate si formano da fusione di cellule adiacenti.
L’edema intracellulare porta poi alla formazione di vescicole
intraepiteliali. Le lesioni mucose si rompono rapidamente
mentre quelle cutanee possono infiltrarsi di cellule
infiammatorie e, quando si rompono, la loro superficie è una
membrana fibropurulenta.
La diagnosi viene generalmente effettuata con citologia e biopsia.
I test sierologici sono utili per valutare l’esposizione o la pregressa infezione da HSV poiché gli anticorpi si
sviluppano circa 4-8 giorni dopo l’esposizione iniziale. La conferma di una infezione primaria prevede che
gli esami sierologici siano negativi nei primi 3 giorni della manifestazione e che si positivizzino circa 4
settimane dopo.
In passato il trattamento era solo sintomatico ma si è visto che, se somministrati precocemente, i farmaci
antivirali possono essere utili: Aciclovir: iniziare la somministrazione non più tardi dei primi 3 giorni di
sintomatologia: 5 volte al giorno per 5 giorni (nei bambini 15 mg/kg e negli adulti fino a 200mg/kg).
Una volta iniziata la terapia, cessa la comparsa di nuove lesioni e si riduce la sintomatologia. È possibile
associare all’antivirale farmaci sintomatici anche per uso topico. Evitare di lidocaina e benzocaina topica nei
bambini perché possono associarsi a crisi epilettiche e metaemoglobinemia.
Sono stati osservati buoni risultati con utilizzo di penciclovir crema nella fase prodromica e sintomatica,
riesce infatti a ridurre la sintomatologia dolorosa delle lesioni.
Oltre all’aciclovir, altri antivirali hanno dimostrato efficacia contro HSV ed una maggiore biodisponibilità:
Valacyclovir: 2 g somministrati in fase prodromica e 2 g dopo 12 ore, è molto efficace per ridurre il rischio
di recidiva. Questi farmaci possono essere somministrati anche lo stesso giorno in cui si verificherà un
evento trigger (esposizione alla luce, procedura odontoiatrica).
La terapia a lungo termine con antivirali è consigliata solo per i pazienti che hanno più di 6 recidive all’anno,
che sviluppano eritema multiforme o che sono immunodepressi.
La recidiva di infezione a livello intraorale non è eccessivamente dolorosa per questo si può anche evitare il
trattamento anche se la clorexidina può esercitare effetto antivirale, da solo o in associazione all’aciclovir.
Le ulcerazioni che presentano coinfenzione da HSV e CMV rispondono bene al ganciclovir.

MONONUCLEOSI
Malattia sintomatica da esposizione a EBV (HHV-4) che si trasmette attraverso contatto intimo (kissing
disease). Spesso si diffonde all’interno della famiglia e il virus rimane per tutta la vita nell’ospite. I bambini
trasmettono il virus attraverso la saliva contaminata sulle ditte, giochi o altri oggetti.
L’età di esposizione si aggira intorno ai 3 anni ed è molto diffusa in età adolescenziale.
Nei bambini l’infezione è asintomatica mentre negli adolescenti è spesso sintomatica. L’EBV è anche
associato a OHL (oral hairy leukoplakia), malattie linfoproliferative, linfoma (spesso Burkitt), carcinoma
nasofaringeo, carcinoma salivare, carcinoma gastrico.
Sintomatologia:
- Nei bambini sotto i 4 anni: spesso si ha febbre, linfoadenopatia, faringite, epatosplenomegalia,
rinite.
- Nei bambini di età maggiore ai 4 anni: stessi sintomi ma ridotta frequenza di epatosplenomegalia
e rinite.
- Negli adulti con età maggiore ai 40 anni: principalmente febbre e faringite.
Nei casi più gravi si può avere rottura della milza, trombocitopenia, anemia emolitica autoimmune,
miocardite, linfoistiocitosi da massiva attivazione dei linfociti T e di istiociti. Queste condizioni sono fatali
se non trattate immediatamente.
Nelle infezioni classiche giovanili la mononucleosi si caratterizza da sintomi
prodromici, 2 settimane prima della comparsa della febbre, quali: fatica,
malessere, anoressia; la febbre raggiunge anche temperature molto elevate e può
durare fino a 14 giorni.
La prominente linfoadenopatia si manifesta nel 90% dei casi: tipicamente si ha
ingrossamento simmetrico con frequente coinvolgimento della catena cervicale
anteriore e posteriore.
Più dell’80% dei pazienti presenta ingrossamento tonsillare con presenza di
essudato e ascessi. La tonsilla linguale, localizzata alla base della lingua dalle
papille circumvallate all’epiglottide, può essere iperplastica e compromettere la
respirazione, così come l’edema e l’ipertrofia aritenoide.
Possono essere presenti anche delle petecchie a livello del palato duro e molle nel
25% dei pazienti che spariscono nell’arco di 24-48 ore. Può essere presente
gengivite ulcero necrotica (NUG).
La diagnosi si effettua inquadrando l’aspetto clinico e con test sierologici che quantificano le IgM.
L’immunofluorescenza indiretta può quantificare gli anticorpi diretti contro gli antigeni del capside virale
(VCA) e contro gli antigeni nucleari (EBNA). Inoltre, nei casi di pazienti immunocompromessi, può essere
utile anche la PCR.
In molti casi l’infezione si risolve nel giro di 4-6 settimane.
I FANS possono essere usati per ridurre la sintomatologia ma è importante una adeguata idratazione e
nutrizione.
Il coinvolgimento tonsillare può simulare un’infezione batterica ma sono assolutamente da evitare gli
antibiotici poiché portano alla comparsa di rash cutanei nei pazienti con mononucleosi.
L’utilizzo di antivirali comporta la risoluzione dell’hairy leukoplakia e comunque una riduzione della
replicazione virale, non è comunque una terapia efficace a ridurre la risposta anticorpale al virus che sono
responsabili della manifestazione clinica.

CITOMEGALOVIRUS
CMV (HHV-5) può rimanere latente dopo l’infezione iniziale o riattivarsi in alcune condizioni. Le sedi di
latenza del virus sono generalmente le ghiandole salivari, l’endotelio, macrofagi e linfociti. Il virus può
essere presente nei fluidi salivari, sangue, urine, lacrime, secrezioni respiratorie, genitali e latte materno.
L’infezione si manifesta spesso nei neonati o negli adolescenti, principalmente per l’attività sessuale.
Circa il 90% delle infezioni sono asintomatiche; nelle infezioni neonatali si ha ittero, epatosplenomegalia,
eritropoiesi cutanea, trombocitopenia (spesso associate a petecchie e porpore). Il coinvolgimento del SNC
può comportare microcefalia, crisi epilettiche, ritardo mentale. Inoltre, l’infezione da CMV è la causa più
frequente di perdita uditiva neurosensoriale non ereditaria nei bambini, alla
nascita o durante l’infanzia.
Tra i pazienti immunocompetenti è rara la sintomatologia associata
all’infezione da CMV, può comunque comparire febbre e stanchezza o
dolore articolare, muscolare, addominale.
La biopsia delle lesioni intraorali da CMV mostrano modificazioni delle
cellule endoteliali dei vasi o delle cellule epiteliali del dotto salivare.
All’istologia si osservano le cellule infette diffuse che sono estremamente gonfie con inclusioni
intracitoplasmatiche ed intranucleari con nucleoli prominenti. Queste cellule vengono chiamate “owl eye
cells”.
La diagnosi si effettua sulle caratteristiche cliniche e i dati laboratoristici. La biopsia può dimostrare
l’inclusione virale nelle cellule ma spesso c’è bisogno dell’immunoistochimica per dimostrare che si tratta di
CMV. La biopsia è comunque consigliata nei casi di ulcerazioni croniche e refrattarie alla terapia.
Il test sierologico prevede l’ELISA test e la valutazione delle IgM anti CMV nel caso ci fosse infezione
acuta. Nei pazienti immunocompromessi si può effettuare PCR.
Terapia
La maggior parte delle infezioni da CMV si risolvono spontaneamente ma la terapia è necessaria nei pazienti
immunocompromessi (ganciclovir).
Nei pazienti che hanno lesioni orali con coinfezioni da HSV e CMV la somministrazione di ganciclovir può
essere utile per la loro risoluzione.

ENTEROVIRUS
Gli enterovirus umani sono stati classificati in echovirus, coxsackievirus A e B, poliovirus e diversi sottotipi.
Molte infezioni da enterovirus sono asintomatiche ma tra quelle sintomatiche c’è molta variabilità.
Le infezioni si sviluppano intorno ad un’età compresa tra 1 e 4 anni.
I pattern più comuni sono: herpangina, bocca-mani-piedi, faringite linfonodulare acuta (possono anche
manifestarsi contemporaneamente).
La via di trasmissione più frequente è quella orofecale anche se, durante la fase acuta, il virus si può
trasmettere anche attraverso droplets. Il periodo di incubazione va dai 4 ai 7 giorni e generalmente
l’infezione conferisce immunità ad una reinfezione da parte dello stesso virus.
I pattern clinici variano in base alla tipologia di virus: ci sono infezioni che
si auto-limitano e non hanno bisogno di terapia mentre altri che sviluppano
complicazioni anche fatali.
L’herpangina inizia con un dolore alla gola, disfagia, febbre che possono
accompagnarsi a rinorrea, raffreddore, mal di testa, mialgia. Tipicamente
compaiono lesioni (da 2 a 6 lesioni) a livello del palato molle e dei pilastri
tonsillari: iniziano come macule rosse fin a diventare vescicole ed ulcere
(diametro 2-4 mm). I sintomi sistemici si risolvono nel giro di pochi giorni
mentre le ulcerazioni necessitano di 7-10 giorni.
Malattia mani-piedi-bocca: il rash cutaneo e le lesioni orali sono
tipicamente associate con i sintomi tipici influenzali.
Le lesioni orali compaiono per prime e non sono precedute da
sintomatologia prodromica. Somigliano a quelle dell’herpangina ma sono
più numerose (fino a 30) e frequentemente coinvolgono: la mucosa orale, la
mucosa labiale, la lingua. Le lesioni individuali misurano da 2 a 7 mm ma
possono arrivare fino a 1 cm. Si ulcerano rapidamente e guariscono poi
nell’arco di 1 settimana.
Le lesioni cutanee possono arrivare fino ad una dozzina e coinvolgono prima
i palmi delle mani e le piante dei piedi e la superficie laterale delle dita.
Iniziano come macule eritematose, sviluppano poi una vescicola centrale e
guariscono senza creare croste.
La Faringite acuta linfonodulare è caratterizzata da mal di gola, febbre, mal
di testa che possono durare fino a 14 giorni. Si sviluppano piccoli noduli (da
1 a 5) giallognoli e arrossati a livello del palato molle e dei pilastri tonsillari.
I noduli rappresentano aggregati linfoidi iperplastici e si riducono nell’arco
di 10 giorni senza creare vescicole o ulcerazioni.

A livello istopatologico, l’herpangina e la bocca-mani-piedi presentano


edema intracellulare che porta alla formazione di vescicole che si allargano e
vanno incontro a rottura a livello dello strato basale con la formazione di
vescicole subepiteliali. A questo segue necrosi e ulcerazione.
La diagnosi si basa sulle manifestazioni cliniche ma se le manifestazioni sono atipiche è consigliabile la
conferma laboratoristica attraverso esami laboratoristici o PCR.
In molti casi le infezioni da enterovirus sono autolimitanti senza complicazioni. La terapia è mirata a ridurre
la sintomatologia e prevede antipiretici ed anestetici locali (diclonina).

Esempi clinici prof

- Vescicole in sede periorale


- Presenza di essudato
- Presenza in sede labbro inferiore di erosioni,
desquamazioni, eritema
- cheilite angolare
- interessamento anche del labbro superiore
- edema ed arrossamento delle papille gengivali

Dopo 24 ore

- Febbre a 38
- Condizioni generali scarse
Si tratta di Gengivostomatite erpetica, la diagnosi prende in
considerazione la presenza di:
- vescicole con essudato sieroso, a filiera, bilaterali
- ulcerazioni superficiali
- lesioni crostose impetiginose secondarie ad infezione
- gengiva fortemente eritematosa e tumefatta
- forma primaria
- rapida evoluzione
- interessamento cute periorale

Manifestazioni erpetiche primarie

Manifestazione erpetica secondaria intraorale:


- disposizione a grappolo
- monolateralità

Oggi la differenziazione non è evidente perché si possono avere


anche altre manifestazioni primarie; ad esempio, in caso di
immunosoppressione il paziente può avere una seconda
manifestazione che ha le caratteristiche della primaria.

Herpangina da coxsackie
- paziente febbrile
- vescicole localizzate solo al palato molle
- insorgenza acuta
- non monolaterale: prima infezione
infezione virale
- Paziente di 12 anni
- Lievemente sintomatico
- Insorgenza acuta 24/48h
- Paziente febbrile
- Accenno vescicolazione: alcune lesioni confluite
- Bilaterale

Se le stesse lesioni fossero insorte non in maniera acuta ma nell’arco di 2 mesi avremmo dovuto indagare nel
campo delle manifestazioni autoimmuni: con la spatolina per cemento si valuta il segno di nikolsky. Se si
tratta di una lesione bollosa si effettua:
- ELISA: negativo
- Istologia che manifesta cleft subepiteliale
- DIF mostra positività IgA in membrana basale
Diagnosi: Pemfigoide

Le manifestazioni del pemfigoide in età pediatrica sono tre:


• pemfigoide bolloso (raro)
• pemfigoide a IgA (tipico pediatrico): accumulo lineare di IgA . Gli autoanticorpi IgA si rivolgono
verso diversi antigeni nella giunzione dermo-epidermica.
• dermatite erpetiforme di Duhring: è una malattia intensamente pruriginosa, cronica, autoimmune,
con eruzione cutanea papulovescicolare fortemente associata alla malattia celiaca. Le tipiche
manifestazioni sono lesioni orticarioidi, eritematose, a grappolo, intensamente pruriginose, oltre a
vescicole, papule e bolle in genere distribuite simmetricamente sulle superfici estensorie. La
diagnosi si basa su biopsia cutanea con test di immunofluorescenza diretta. Il trattamento si basa
solitamente sull'utilizzo di dapsone o sulfapiridina associato a una dieta priva di glutine.
L'immunofluorescenza diretta che mostra la deposizione granulare di IgA sulle creste papillari del
derma è costantemente presente ed è importante per la diagnosi.

Altre manifestazioni orali della celiachia sono: ulcerazioni ricorrenti, exfoliatio areata linguae (lingua a carta
geografica), difetti tessuti duri dentari.
In questo caso si effettuano marcatori sierologici quali anticorpi IgA anti-transglutaminasi tissutale, anticorpi
IgA anti-transglutaminasi epidermica e anticorpi IgA anti-endomisio, possono aiutare a confermare la
diagnosi e aiutare a monitorare la progressione della malattia.

- Paziente febbrile da tre giorni con linfocitosi


- Rush cuntaneo non ben specificato: braccia, mani, piedi
- Manifestazione orale insorta 24 ore dopo l’episodio
febbrile
- Dolore alla deglutizione
- Disposizione a grappolo
- Aspetto vescicolare importante
- Impegno faringeo posteriore
Si tratta di un Virus respiratorio o enterovirus (coxsackie)
Abbiamo escluso la possibilità si tratti di EBV perché non sono
presenti ulcere.
- Paziente febbrile e linfocitosi
- Lieve innalzamanento transaminasi (indici citolisi epatica)
- Faringodinia
- Lesioni ulcerative tonsillari
- Test sierologici IgG e IGM
- Splenomegalia
- Nel cavo orale sono presenti anche lesioni limite palato duro
e molle mediane
- Linfonodi tumefatti
Infezione da EBV: mononucleosi

- Paziente 19 aa
- Asintomatico
- Riferisce la comparsa di lesioni orali da circa un mese
- Epitelio cheratinizzato a livello dell’ugula: spongiosa,
ispessimento su base infiammatoria con area eritematosa
Come ultima analisi: Test sifilide
- TPHA: Treponema pallidum Haemoagglutination Assay; è
un test di tipo treponemico e si basa sul principio
dell’emoagglutinazione passiva, rivela la presenza di anticorpi diretti contro gli antigeni specifici
del microrganismo. I kit utilizzati per il TPHA prevedono l’utilizzo di eritrociti aviari rivestiti
dall’antigene del T. pallidum che andranno a legarsi ad un anticorpo specifico presente nel siero
del paziente in esame.
- VDRL: Veneral Disease Research Laboratory; è un test non treponemico che rivela la presenza
di anticorpi diretti contro determinate sostanze lipidiche prodotte dal batterio: tale sostanza è la
cardiopilina, ossia il difosfatidil–glicerolo. I kit per il VDRL prevedono invece l’utilizzo di
antigeni non treponemici, in grado di rilevare anticorpi non treponema-specifici associati
(reaginici).
Diagnosi: Sifilide secondaria (nel cavo orale può assumere qualsiasi morfologia per questo viene definita la
grande imitatrice).
Spesso i pazienti con sifilide sono affetti anche da HIV.

- Paziente di 15 aa
- Febbrile: 38 gradi da 7 giorni
- Astenia
- Ha assunto paracetamolo e antibiotico
- Ecchimosi in zona deltoidea sinistra
- Emocromo: 100.000 bianchi, 7.000 piastrine, 1 milione
globuli rossi
Gengivite ulcero necrotica

ERITEMA MULTIFORME
Si tratta di una severa condizione mucocutanea ulcerativa
a patogenesi incerta. Probabilmente è un processo
immunologicamente mediato: nel 50% si identifica una
causa scatenante che può essere una infezione, da herpes
simplex o micoplasma pneumonia, o l’esposizione a
farmaci come antibiotici o analgesici. Le caratteristiche
cliniche sono il rapido sviluppo nella popolazione di età
compresa tra i 15 e i 30 anni prediligendo il sesso
femminile.
I sintomi prodromici precedono la manifestazione di circa 1 settimana e spesso
includono febbre, malessere, mal di testa, raffreddore, mal di gola.
Si distingue una forma minor ed una major.
L’eritema multiforme minor inizia con macchie sopraelevate, circolari ed
arrossate a livello cutaneo specialmente alle estremità. Queste lesioni possono
assumere diversi aspetti: le caratteristiche lesioni appaiono come cerchi
concentrici circolari ed eritematosi che assomigliano ad un “bersaglio” (target
lesion). Nelle forme più severe evolvono in bolle con centro necrotico.
La mucosa orale è frequentemente coinvolta mentre la congiuntiva, il tratto
genito-urinario, e la mucosa respiratoria sono meno coinvolte.
L’eritema multiforme major è caratterizzato dal coinvolgimento dei tessuti periorali.
L’evoluzione delle lesioni orali prevede che comincino come macchie
eritematose che vanno incontro a necrosi ed evolvono in erosioni diffuse ed
ulcerazioni a bordi irregolari. È comune che a livello del vermiglio ci sia
tessuto emorragico che forma lesioni crostose.
Queste lesioni insorgono e si evolvono rapidamente e sono dolenti al punto da
impedire al paziente di nutrirsi in maniera adeguata. Le ulcerazioni infatti
arrivano a coinvolgere anche la mucosa labiale, la lingua, il pavimento ed il
palato molle.
La diagnosi di eritema multiforme major si effettua quando sono coinvolti due o più siti mucosi con lesioni
cutanee marcate. In molti casi la mucosa orale è coinvolta insieme a quella oculare o genitale. Il
coinvolgimento oculare può portare alla formazione di simblefaron simile a
quella del pemfigoide cicatriziale.
Istologicamente la mucosa perilesionale rivela un pattern caratteristico ma
non patognomonico: la vescicolazione sub o intraepiteliale si associa a
necrosi dei cheratinociti dello strato basale. È presente infiltrato
infiammatorio costituito da linfociti, neutrofili e spesso eosinofili. Dato che la
composizione immunopatologica non è specifica spesso c’è bisogno di fare
diagnosi differenziale escludendo le altre malattie vescicolobollose.
In passato il trattamento prevedeva l’utilizzo di corticosteroidi sistemici ma
non c’è evidenza dell’efficacia di questa terapia. Bisogna comunque
permettere al paziente di reidratarsi e nutrirsi utilizzando anche anestetici
topici che riducano il dolore. Le manifestazioni sono comunque auto-limitanti
e guariscono nel giro di 2-6 settimane ma il 20% dei pazienti va incontro a
recidiva specialmente nei periodi autunnali e primaverili. In questo caso
bisogna indagare i fattori scatenanti e, ad esempio, nel caso in cui il fattore
scatenante sia l’infezione da HSV si possono prescrivere antivirali
preventivamente.

Lesioni da disordini ematologici

LEUCEMIA
Le leucemie, che si sviluppano per trasformazione maligna delle cellule staminali, hanno origine dal midollo
osseo per poi diffondersi attraverso il sangue periferico. A livello midollare i blasti riescono a determinare un
effetto lesivo sulle altre popolazioni cellulari, serie rossa e piastrinica, per cui il paziente è anemico,
piastrinopenico ed emorragico.
Vengono solitamente classificate in base all’istologia e al comportamento clinico in:
- Acute o croniche: in base al decorso
- Mieloidi o linfocitiche/linfoblastiche: in base all’origine
La prima mutazione genetica studiata nella leucemia è quella del cromosoma Philadelphia (BCR-ABL)
caratteristico della leucemia mieloide cronica:
- Mutazione del gene Abl (Abelson Murine
Leukemia)
- Si forma da una trascolazione tra il
cromosoma 9 e 22
- ABL è la zona di taglio (danno) del
cromosoma 9; il proto-oncogene ABL1
codifica per una proteina tirosin-chinasi
citoplasmatica e nucleare implicata nei
processi di differenziazione, divisione, e
risposta cellulare allo stress. L’attività
della proteina ABL1 è negativamente
regolata dal suo dominio SH3, la delezione
di questo dominio trasforma ABL1 in un
oncogene.
- BCR (Breakpoint Cluster Region) è una zona di facile rottura del cromosoma 22
- L’associazione ABL-BCR forma una zona di elevata proliferazione e questa mutazione è driver della
leucemia mieloide

Il cromosoma Philadelphia umano è il cromosoma 22 modificato per l’inserzione di un frammento terminale


proveniente dal cromosoma 9. A seguito di una traslocazione, il gene Abelson passa dal cromosoma 9 alla
regione di raggruppamento dei punti di rottura (BCR) del cromosoma 22, con formazione del gene chimera
Bcr-Abl. Mentre il gene ABL si rompe pressocchè sempre nello stesso punto, il gene BCR può rompersi in
diverse posizioni.
Bcr è costituito da 23 esoni: se la rottura
avviene tra il primo ed il secondo esone, la
proteina prodotta è chiamata p190 ed è
coinvolta nella leucemia linfoblastica acuta;
la rottura può invece coinvolgere un punto
situato nella regione tra gli esoni dal
dodicesimo al sedicesimo e la proteina
prodotta è la p210, coinvolta nella leucemia
mieloide cronica. Negli ultimi anni tale
chinasi iperattiva è diventata bersaglio di nuove molecole; l’imatinib, dasatinib, nolitinib che permettono ora
di avere una prognosi sostanzialmente benevola. Il gene mutato BCR-ABL1 lavora sulle vie di segnalazione
di Akt, Jak/Stat, PI3K e può essere inattivato da imatinib, anti Tk che lavora sulla TK di Bruton prodotta dal
cromosoma Philadelphia, che specificamente blocca i prodotti del cromosoma Philadelphia (mortalità è scesa
dal 65% al 15%).
La maggior parte delle manifestazioni cliniche della leucemia sono correlate a marcata riduzione nel numero
delle cellule della serie rossa e bianca, un fenomeno che risulta dalla proliferazione maligna che spiazza la
normale linea cellulare ematopoietica. La riduzione dei globuli rossi comporta una riduzione nel trasporto di
ossigeno nel sangue causando affaticamento, dispnea e stanchezza. Quando le cellule maligne infiltrano altri
organi possono causare splenomegalia, epatomegalia e linfoadenopatia.
I pazienti con leucemia possono soffrire di sanguinamento e comparsa di
ematomi a causa della trombocitopenia marcata: nel cavo orale possono
essere presenti petecchie (ed ematomi) a livello del palato molle
accompagnate da emorragia spontanea gengivale.
Sono spesso presenti ulcerazioni della mucosa orale come risultato
dell’inabilità delle difese del paziente di fronteggiare la normale flora
microbiologica (spesso intorno all’elemento dentario).
Le ulcere neutropeniche sono profonde con una base giallo-grigia necrotica.
La candidosi orale è spesso una complicanza così come le infezioni erpetiche.
Occasionalmente, nel caso di leucemia mielomonocitica, le cellule leucemiche
possono infiltrare i tessuti molli orali e produrre un rigonfiamento diffuso e
consistente specialmente a livello gengivale.
Istologicamente è visibile infiltrato e distruzione delle cellule dell’ospite che
vengono rimpiazzate dalle cellule mielomonocitiche poco differenziate.
La diagnosi è volta a confermare la presenza delle cellule indifferenziate nel
sangue periferico e nel midollo osseo ma può essere necessaria anche la
caratterizzazione molecolare e citogenetica delle lesioni.
Il trattamento, oltre a quello chemioterapico, prevede che per i pazienti con
eccessivo sanguinamento avvengano trasfusioni piastriniche o, in caso di
eccessiva anemia, anche di globuli rossi. Le infezioni devono essere gestite con
corrette cure antibiotiche e bisogna cercare di mantenere una corretta igiene
orale.

LINFOMA
Hodgkin linfoma
Inizia sempre a livello dei linfonodi e i siti più comunemente coinvolti sono la catena linfonodale cervicale e
sopraclavicolare. Vengono identificati come masse linfonodali non dolenti che inizialmente sono mobili
mentre, col progredire della malattia, divengono fissi. Se non vengono trattati la
malattia si diffonde coinvolgendo altri linfonodi e tessuti. La stadiazione del
linfoma è importante per programmare il trattamento e la prognosi e prevede
conferma patologica, esame clinico, TC, RMN, PET ed esami laboratoristici.
Istologicamente il linfoma di Hodgkin è caratterizzato da cellule atipiche chiamate
Reed-Sternberg che sono binucleate (owl eye nuclei) o multinucleate con
prominenti nucleoli. Le cellule maligne nel linfoma di Hodgkin nodulare sono le
“cellule popcorn” chiamate così per la forma del loro nucleo.
Il trattamento generalmente viene chiamato ABVD (adriamicina, bleomicina,
vinblastina, decarbazina) con un buon tasso di sopravvivenza.
Non-Hodgkin linfoma
Includono un vasto gruppo di neoplasie: generalmente iniziano a livello linfonodale
per poi crescere come masse solide.
Nella maggior parte dei casi hanno origine dai linfociti B e solo una piccola
percentuale dai T linfociti.
La prevalenza di insorgenza dei linfomi è maggiore per i pazienti con problemi
immunologici e si è visto che alcuni virus possono avere un ruolo nella patogenesi
di queste lesioni. In particolare, l’EBV è associato ad insorgenza di disordini
linfoproliferativi e linfoma di Burkitt. Anche i batteri possono associarsi
all’insorgenza dei MALT linfoma dello stomaco curabili, in questo caso, con gli
stessi antibiotici utilizzato per eradicare l’Helicobacter pylori.
Generalmente il linfoma si sviluppa a livello linfonodale ma in una percentuale dal
20 al 40% può svilupparsi in sede extranodale come nel caso del cavo orale. In
questo caso il tumore può svilupparsi all’interno dei tessuti molli o tra le ossa
mascellari. Le lesioni mucose sono solitamente non dolenti alla palpazione e gonfie.
Le sedi più coinvolte sono la mucosa geniena, il palato duro o la gengiva.
La consistenza è quasi spugnosa e la lesione appare eritematosa con o senza
ulcerazione. I pazienti che portano protesi possono avvertire un iniziale discomfort
con l’insorgere della lesione.
Nel caso di linfoma insorto nella compagine ossea può esserci dolenzia che può
essere confusa con un problema dentario. Il paziente in questo caso può anche
riferire parestesia, specialmente nel caso di lesioni mandibolari (numb chin
syndrome). Radiograficamente la lesione appare radiotrasparente e non ben
definita. Se non viene trattata la lesione comporta espansione ossea che può arrivare
a perforazione della corticale con gonfiore del tessuto mucoso. In questo caso potrebbero essere confuse con
ascesso di origine dentale ma, a differenza di quest’ultimo, non sono dolenti.
Una volta valutata clinicamente, la lesione va indagata con indagini strumentali (TC total body) ed esami
ematochimici.
Istologicamente il linfoma non Hodgkin è caratterizzato da proliferazione di cellule simil-linfocitarie in
diversi stadi differenziativi in base al tipo di linfoma. Ad esempio, le lesioni a basso rischio presentano
piccoli linfociti ben differenziati, mentre quelle ad alto rischio sono composte da cellule molto meno
differenziate. Tutti i linfomi hanno pattern di crescita infiltrativi caratterizzati da cellule neoplastiche che non
mostrano segni di necrosi tissutale. In alcune lesioni, come quelle che originano dai linfociti B, può essere
presente un pattern follicolare o nodulare in cui è visibile un centro germinale. Altri invece non hanno uno
specifico pattern di crescita e sono completamente diffusi.
Se il linfoma origina da un linfonodo ne distrugge la struttura nodulare; quando origina da un tessuto
extranodale distrugge il tessuto adiacente infiltrando. Nella cavità orale, il linfoma a cellule B, è considerato
ad alto rischio ed è fatale nel 60% dei casi.
Il trattamento di questi pazienti è basato sulla stadiazione ed il trattamento chirurgico spesso non è indicato.
Dato che la maggior parte dei linfomi non Hodgkin è a cellule B, il Rituximab (un mab anti CD20) può
essere indicato.

LINFOMA A CELLULE T CUTANEO (MICOSI FUNGOIDE)


La denominazione “mucosi fungoide” non è dovuta alla
correlazione con infezione fungina ma per l’aspetto
clinico. Si tratta di un linfoma che origina dai linfociti T
(CD4+) con la peculiarità di essere epidermotropico, cioè
ha una propensione ad invadere l’epidermide, ma può
coinvolgere anche la mucosa orale. La sua crescita può
essere suddivisa in stadi:
- il primo stadio è quella di eczema in cui l’area
appare eritematosa e può essere confusa con psoriasi (può esserci prurito);
- il secondo stadio è a placca e le lesioni tendono a crescere e definirsi come papule o noduli;
- il terzo stadio è quello tumorale: quando inizia a delimitarsi è già all’ultimo stadio e può coinvolgere
anche altri organi.
Nella cavità orale le sedi più coinvolte sono la lingua, il palato e la gengiva; le lesioni orali sono eritematose,
a placca o nodulari, indurite e tipicamente ulcerative. Nella maggior parte dei casi le lesioni orali sono
successive a quelle cutanee.

LINFOMA DI BURKITT
È una lesione maligna che origina dai linfociti B ed è altamente indifferenziato. È molto frequente
nell’Africa sub-Sahariana ed ha una maggiore prevalenza nelle aree dove c’è alta percentuale di infezione da
malaria poiché i pazienti con un elevata percentuale di anticorpi contro Plasmodium falciparum (agente
patogeno della malaria) sono molto più esposti a sviluppare questo linfoma. La sua patogenesi è correlata ad
infezione da EBV poiché le cellule tumorali mostrano espressione dell’antigene nucleare di EBV e i pazienti
affetti presentano un elevato titolo anticorpale contro EBV.
Esistono comunque altre forme di linfoma di Burkitt: la forma “sporadica” o
“Americana” che insorge primariamente come massa addominale e non è
associata ad EBV, e la forma “associata ad immunodeficienza” in pazienti
con immunodeficienze acquisite o congenite.
Il linfoma di Burkitt nel 50-70% dei casi è presente a livello delle ossa
mascellari.
Colpisce i bambini, intorno ai 7 anni, prevalentemente maschi. Il segmento
posteriore delle ossa mascellari è più coinvolto e le ossa mascellari sono più
coinvolte della mandibola.
La tendenza al coinvolgimento delle ossa mascellari sembra essere correlato all’età: il 90% dei bambini fino
ai 3 anni di età hanno lesioni mascellari mentre solo il 25% dei pazienti con età maggiore di 15 anni.
La forma sporadica colpisce pazienti con età maggiore e può coinvolgere, oltre alla regione addominale,
anche le ossa mascellari.
La crescita della massa tumorale può portare a gonfiore
del viso e proptosi (protrusione globo oculare); la
lesione è poco dolente e può esserci una lieve parestesia
ma si ha una mobilità dentaria marcata a causa della
massiva distruzione dell’osso alveolare. Ci può essere
esfoliazione precoce dei denti decidui e ingrossamento
gengivale.
Radiograficamente si osserva un’ampia zona di
radiotrasparenza con margini non definiti. Il processo
può inizialmente coinvolgere piccoli siti che col tempo vanno incontro a
coalescenza.
Istologicamente si osservano cellule B non differenziate con nuclei
rotondeggianti e poco citoplasma; ogni nucleo presenta numerosi nucleoli per
le continue mitosi. Gli studi di immunoistochimica identificano cellule in
continua proliferazione (marcate con Ki-67). La presenza di macrofagi
conferisce alla lesione un tipico pattern chiamato “cielo stellato”, simile a
quella della leucemia linfoblastica acuta, poiché presentano un ampio
citoplasma che microscopicamente è meno intenso delle strutture circostanti:
quindi i macrofagi appaiono come stelle nel cielo scuro dei linfociti neoplastici ipercromatici.
La traslocazione presente in questo tumore è spesso 7(8;14)(q24;q32) e comporta overespressione
dell’oncogene c-myc che porta a proliferazione neoplastica.
Se non trattato questo tipo di linfoma porta alla morte del paziente nell’arco di 4-6 mesi; il trattamento
consiste in chemioterapia ad alte dosi di ciclofosfamide ed oggi la prognosi è positiva nel 75% dei pazienti.

Esempi clinici prof

I cloni proliferano in maniera consistente e rapida: a livello midollare il


clone blastico, prolifera occupando tutti gli spazi e soppiantando le altre
cellule; ciò comporta anemia e piastrinopenia caratteristiche che si
manifesta con gengivorragie.

Inoltre i blasti non sono in grado di proteggere i pazienti in aree dove


c’è forte accumulo per infezione per questo si possono avere forme
necrotizzanti o ipertrofia per accumuli di cellule leucemiche

Linfomi: massa a crescita progressiva


Nel caso di linfoma tonsillare si può avere paralisi dell’ipoglosso
legata ad infiltrazione: la lingua devia da un lato (potrebbe trattarsi
anche di una neoplasia al basicranio)
GRAFT VERSUS HOST DISEASE
È un evento avverso al trapianto di midollo osseo allogenico in
pazienti il cui sistema emopoetico e immunitario è stato
precedentemente distrutto. L’antigene leucocitario umano (HLA)
non combacia sempre tra donatore e ricevente per questo,
nonostante le terapie immunosoppressive, le cellule del paziente
riconoscono come estranee le cellule trapiantate il cui risultato è la
GVHD che può avere risultati devastanti.
La forma acuta si sviluppa nelle prime settimane dopo il trapianto
di midollo e si presenta in circa il 50% dei trapianti. La
manifestazione clinica è caratterizzata da una necrolisi epidermica
tossica accompagnata da diarrea, nausea e vomito.
La forma cronica può essere un proseguimento della forma acuta o
svilupparsi 100 giorni dopo il trapianto. Si presenta in circa il 30-
70% dei trapianti e spesso mima altre malattie autoimmunitarie
come il LES, la sindrome di Sjogren o la cirrosi biliare primaria. Il
coinvolgimento cutaneo è la manifestazione più comune ed
assume l’aspetto del lichen planus o sclerosi sistemica.
Le manifestazioni orali della GVHD possono variare in base alla
durata e alla severità dell’attacco. Tra i pazienti con GVHD acuta
dal 33 al 75% hanno coinvolgimento orale mentre per la forma
cronica circa 80%. Le manifestazioni orali possono essere anche
l’unica manifestazione di GVHD. Nella maggior parte dei pazienti
è presente un network di cheratinizzazione reticolare simile al
lichen planus orale (senza però morfologia reticolare) o di papule
diffuse. Le sedi più frequentemente coinvolte sono la lingua, la
mucosa labiale e geniena.
I pazienti riferiscono sensazione di bruciore e bisogna fare
attenzione a non escludere possibile candidosi. Può essere presente
atrofia della mucosa orale che contribuisce ai fastidi percepiti. Nelle
prime due settimane dopo il trapianto possono essere presenti
ulcerazioni correlate al trattamento chemioterapico e allo stato di
neutropenia dei pazienti. Ulcere che persistono per più di due
settimane possono essere manifestazione clinica di una GVHD acuta
e devono essere distinte da infezioni orali da HSV o batteriche.
I pazienti che hanno subito trapianto di midollo hanno un rischio
aumentato di sviluppare displasia e carcinoma squamocellulare per
questo, le lesioni a placca eritematose e fortemente cheratinizzate
che non hanno le caratteristiche di lesione lichenoide devono essere
bioptizzate per valutare eventuali trasformazioni neoplastiche. Le
sedi di cancerizzazione più frequenti sono gengivale e semimucosa
labbro inferiore.
Un'altra caratteristica tipica è la xerostomia poichè la risposta
immunitaria può distruggere anche il tessuto ghiandolare, per
questo altre manifestazioni possono essere la presenza di
mucocele superficiale specialmente a livello del palato molle.
Istologicamente le lesioni da GVHD sono simili a quelle
lichenoidi con iperortocheratosi dello strato basale ma con ridotta
risposta infiammatoria. Nei casi più avanzati è presente
deposizione di collagene come nella sclerosi sistemica. Il tessuto
delle ghiandole salivari minori mostra infiammazione con
graduale distruzione acinare e fibrosi periduttale estesa.
La diagnosi è difficile a causa delle varie manifestazioni cliniche ma è molto importante venga fatta in tempo
per evitare che possa essere letale per il paziente.
Il trattamento della GVHD è in prima istanza quello di ridurre o prevenire la manifestazione per questo si
somministrano terapie immunomodulatorie ed immunosoppressive come prednisone in combinazione con
ciclosporina e tracrolimus, regolando le dosi in base all’entità
e frequenza delle manifestazioni, aggiungendo nel caso anche
azatioprina.
I corticosteroidi topici possono facilitare la guarigione delle
ulcerazioni focali associate a GVHD ed è stato visto che
tacrolimus topico può essere utile a fronteggiare quelle lesioni
che sono resistenti ai corticosteroidi. Agenti anestetici topici
possono essere utilizzati per ridurre la sintomatologia;
l’utilizzo di psoraleni e UV-A (PUVA) può favorire la guarigione delle lesioni lichenoidi.
Se è sopravvissuta all’attacco una significativa parte di tessuto acinare delle ghiandole salivari può essere
utile il trattamento con pilocarpina o cevimelina per migliorare il flusso salivare.
Si distinguono:
- Forma acuta: nei primi 100 giorni; coinvolge organi interni e regioni mucocutanee: mucosite acuta
con manifestazioni erosive, ulcerative, necrotizzanti. Può associarsi ad epatite acuta, disordini
endocrinologici: il paziente viene immunosoppresso e trattato.
- Forma cronica: dopo 100 giorni; mucosite linfocitaria dell’interfaccia (lesioni lichenoidi) anche
cheratosiche, la reazione linfocitaria è massiccia ed abnorme.

Morbo di Crohn
È una condizione infiammatoria ed immunologicamente mediata che ha
i suoi effetti principali sulla porzione distale dell’intestino e prossimale
del colon.
Le manifestazioni del morbo di Crohn possono rivelarsi in qualsiasi
sede dell’intero tratto gastrointestinale, compreso il cavo orale; in questa
sede sono significative perché precedono le lesioni gastrointestinali nel
30% dei pazienti. La maggior parte dei pazienti che sviluppano la
malattia sono adolescenti o anziani. I sintomi gastrointestinali includono
dolore addominale, crampi, nausea, diarrea, spesso accompagnata da
febbre. Può svilupparsi perdita di peso e malnutrizione che comporta
anemia e ritardo nella crescita.
Sono state riportate numerose tipologie di lesioni orali ma le più frequenti sono lesioni nodulari, aspetto
acciottolato della mucosa e profonde ulcere granulomatose. Le ulcere sono spesso lineari ed a livello del
fornice. Macule e placche disomogenee eritematose possono essere presenti a livello della gengiva libera ed
aderente (mucogengivite), insieme ad iperplasia fibrosa. Può insorgere anche piostomatite vegetante.
L’esame microscopico delle lesioni tissutali mostra infiammazione granulomatosa non necrotizzante a livello
del connettivo sottomucoso ma non è patognomonica.
La maggior parte dei pazienti affetti da Crohn vengono trattati con mesalamina o sulfasalazina associati ad
antibiotici e metronidazolo. Quando si ha un coinvolgimento moderato-severo è consigliato l’utilizzo anche
di prednisone in combinazione a farmaci immunosoppressivi come azatioptina e metotrexato. Per i casi più
severi o refrattari vengono usati gli anti-TNF alfa. Quando è coinvolta anche la parte terminale dell’ileo
vengono prescritte iniezioni di vitamina B12 per prevenire l’anemia megaloblastica secondaria al suo
mancato assorbimento. Quando le lesioni ulcerative sono persistenti si trattano con corticosteroidi topici o
intralesionali o con terapia sistemica con infliximab.

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