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Osteointegrazione
Per implantologia intendiamo una serie di tecniche chirurgiche atte a riabilitare funzionalmente un paziente
affetto da edentulia totale o parziale mediate l’utilizzo di impianti dentali, ovvero dispositivi metallici e non,
inseriti chirurgicamente nell’osso mandibolare e mascellare sul quale deve essere posizionata una protesi,
che può essere di tipo fisso o di tipo mobile, per la restituzione della funzione masticatoria del paziente.
Gli impianti possono essere di diverse forme, inseriti in diverse sedi con tecniche differenti e poi connessi
alla protesi con diverse tempistiche.
Cenni storici
È importante parlare dei cenni storici dell’implantologia,
soprattutto perché alcuni concetti un po’ vecchiotti vengono
ripresi dall’implantologia moderna.
Periodo antico
Gli aztechi, gli etruschi, i cinesi e gli egizi avevano già operato i
primi tentativi di implantologia dentale, infatti nel gennaio
2003, in uno scavo archeologico in Egitto è stato trovato un
intaglio di conchiglia a raffigurare un dente umano, databile tra
il 5400 e il 5650 anni fa, questo intaglio di conchiglia non era
altro che idrossiapatite, quindi già si inizia a parlare di materiale
utile per un osteointegrazione, infatti questi intagli si
integravano all’interno dell’osso, su cui si posizionava il
rudimentale dell’elemento dentario. Nell’antico Egitto, le classi privilegerei sostituivano i propri denti con
quelle degli schiavi oppure prelevavano i denti dagli animali per poterne usufruire.
Immagine di mandibola, in cui i pezzi di conchiglia sostituivano i tre incisivi, e si osteointegravano.
1809
In quest’epoca Maggiolo fabbricò per la prima volta un impianto in oro che
riproduceva la forma di una radice, e ideò un meccanismo di fissazione per i
pilastri, quindi questa parte andava nell’osso, quesa parte rappresentava il
pilastro protesico. Ovviamente, essendo in oro, questi impianti non erano
osteointegrabili, infatti fallivano perché andavano incontro ad un processo di
fibrointegrazione, piuttosto che di osteointegrazione
1887
Harris riprodusse la stessa procedura con un perno di platino anziché in oro, ma anche questo materiale
non è osteointegrabile
2
1913
Questo è il primo esempio del perché la storia dell’implantologia può essere
importante.
Greenfield descrisse in quest’anno un impianto a cestello a componenti in
iridio-platino e lega d’oro.
Questo impianto era una vite cava, nell’implantologia moderna, qualche anno
fa vennero introdotti degli impianti cavi, per cui dopo circa un secolo sono
stati ripresi(il classico bonefit).
Il vantaggio di questi impianti era rappresentato da una maggiore stabilità,
data dal fatto che l’osso cresceva anche all’interno dell’impianto, ciò però
andava a discapito della struttura metallica dell’impianto che risultava deficitaria e fragile, quindi spesso
andava in contro a frattura, stessa cosa che si è avuta anche con i bonefit, per cui oggi non si usano più.
1937
Strock ideò un impianto “pieno”, in cromo-cobalto-molibdeno
(Vitallium), anche questo tipo di lega andava in contro a
fibrointegrazione
1947
Formiggini ideò un impianto in metallo a forma di spirale, più
precisamente a singola elica in acciaio inossidabile o tantalio, ke
due estremità della spirale erano unite a formare un pilastro
protesico. Quindi questo filo in acciaio inossidabile veniva
avvolto su se stesso per creare questa spirale che andava
all’interno dell’osso, e le due estremità lasciate libere per la
connessione protesica
1957
Chercheve modificò il modello di Formaggini aumentando la
lunghezza del collo dell’impianto raddoppiando le spire, ma comunque si tratta dello stesso tipo di
impianto
1948 (impianti sottoperiostei, Goldberg e Gershkoff)
Anche questo è un concetto che riprendiamo dalla storia ma che è
stato poi riproposto nei tempi più moderni. Questi impianti venivano
posizionati al di sotto del periostio con 4 perni di metallo transmucosi,
che sostenevano la protesi completa. In pratica si prendeva
un’impronta della mucosa, si creava questa griglia Metallica, si
incideva la gengiva, si posizionava al di sotto del periostio, quindi al di
sopra dell’osso e poi questi pilastrini fuoriuscivano dalla gengiva e su
questi veniva posizionata la protesi.
Si pensava che posizionando questi impianti, le cellule all’interno del
periostio, quindi gli osteoblasti, potessero in qualche modo
determinare un processo di osteointegrazione, ciò non accadde
perché la griglia non era perfettamente adattata all’osso perché
veniva presa un’impronta della parte mucosa, per cui non era perfettamente corrispondente all’anatomia
ossea, per cui sotto carichi masticatori gli impianti determinavano un grande riassorbimento osseo, per cui
furono abbandonati.
In età più moderne ritornano in voga, in quanto grazie alle nuove tecnologie, ovvero la tecnica cad-cam, si
prendeva l’impronta della struttura ossea e si ricostruiva al cad-cam l’esatta anatomia ossea della struttura
ossea, per cui c’era una maggior corrispondenza, in ogni caso non si otteneva comunque un meccanismo di
osteointegrazione preciso e comunque sotto i carichi masticatori che venivano trasmessi prima alla gengiva
e poi all’osso si avevano comunque processi di riassorbimento massivo di tutta la struttura ossea
sottostante
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1961
Tramonte fu il primo ad introdurre il titanio come materiale impalantare, producendo una vite piena
autofilettata in titanio.
Nello stesso anno Muratori produsse una vite cava in titanio
1963
Garbaccio utilizza la vite autofilettante bicorticale
In quest’anno si introduce il concetto di bicorticalsimo,
concetto che si utilizza ancora oggi, perché ovviamente si
cerca di ottenere una doppia stabilità di due corticali. Ad
esempio nella mandibola anteriore il bicorticalismo è legato
alla corticale del processo alveolare e alla corticale inferiore
del bordo inferiore della mandibola; nei settori posteriori
della mandibola, invece, la corticale che incontriamo dopo
quella alveolare, è la corticale del canale mandibolare, ma
come vedremo la corticale del canale mandibolare non ha
una densità tale da consentire uno stop preciso della punta
dell’impianto per ottenere questo bicorticalsimo, cioè la
manualità non consente di vedere bene se abbiamo
raggiunto la corticale o meno, per cui si potrebbero creare
danni permanenti al nervo.
1962
Nacquero gli aghi di Scialom, ovvero degli impianti molto sottili ideati per
ottenere una maggiore superficie di ancoraggio della protesi, cioè per ogni
dente si utilizzavano anche fino a 3 aghi che opportunamente posizionati, per
esempio a formare un tripode, venivano utilizzati per appunto sostenere un
singolo elemento dentario, quindi per fare in modo che le forze si
scaricassero su una superficie più ampia.
Questi impianti non hanno riscosso molto successo sia per problematiche
biomeccaniche che per problemi strutturali dell’impianto stesso
1963
Nascono gli impianti a lama di Linkow
Questi impianti si possono ancora vedere oggi, nascono per aumentare la
superficie di ancoraggio, ovvero la zona in cui si scaricano le forze, infatti
questa lama supportava ogni dente, la quale veniva inserita nell’osso
mediante una incisione ossea, quindi tramite una fresa cilindrica si
effettuava un’osteotomia, e poi con degli osteotomi si martellava l’osso in
modo da separare le due corticali per poi poter inserire all’interno questa
lama.
Ovviamente era un metodo demolitivo nei confronti dell’osso, e soprattutto
nei casi di infezione, quindi di perimplantite, andare a rimuovere un
impianto del genere significava asportare grandi quantità di osso, anche
perché come vedete ci sono delle concavità all’interno, per cui l’osso ci si
inseriva.
Implantologia moderna
Nel 1952 Branemark, durante una ricerca sulla microcircolazione vasale nei meccanismi di riparazione
ossea, si accorse che una struttura in titanio, posizionata all’interno di una tibia di un coniglio, si ancorava
direttamente al tessuto osseo. Nacque così quello che lui definì il processo di osteointegrazione.
Branemark dimostrò ciò da un punto di vista clinico e non istologico dato che non disponeva dei dispositivi
necessari a valutare da un punto di vista istologico in cosa consisteva il processo di osteontegraizone,
quindi sapeva solo che clinicamente si stabiliva un intimo contatto tra osso e titanio.
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Quindi dobbiamo aspettare nel 1970 Scerden?, ottenne dei preparati istologici molto sottili in cui si
evidenziava la porzione ossea, la porzione di impianto e soprattutto il contatto tra osso ed impianto,
dimostrando istologicamente questo processo di osteointegrazione in cosa consistesse.
Osteointegrazione deriva dal greco osteon “osso” e dal latino Integratio “accrescimento”, “rinnovamento”.
Definizione da un punto di vista istologico: diretta connessione tra osso, inteso come matrici ossea
calcificata, è impianto senza interposizione di tessuto molle.
Nel 1986 l’american academy implant dentistry diede una definizione più completa introducendo il
concetto del carico: se prima il concetto era solo di tipo istologico e per carico si intendeva la diretta
connessione tra osso e impianto senza interposizione di tessuto molle, ora si introduce il concetto del
carico protesico, inteso come contatto tra osso e impianto senza interposizione di tessuto non osseo che
consente il trasferimento e la distribuzione prolungata del carico dall’impatto al tessuto osseo e all’interno
di questo. Si introduce questo concetto di carico occlusale perché le forze masticatorie vengono quindi
traferite all’impianto e dall’impianto all’osso, quindi l’osteointegrazione deve garantire anche questo
trasferimento di forze.
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Questa definizione però non tiene conto del fatto che, come fece notare un tizio, all’interno dell’osso non
esiste solo la matrice ossea calcificata, ma esistono anche lacune vascolari, tessuto emopoietico, tessuto
grasso, tessuto connettivo, e quindi non passiamo parlare solo di matrice ossea e superficie implantare,
cioè non esiste il solo contatto tra matrice calcificata e impianto, ma c’è un contatto tra impianto e matrice
calcificata ma anche le componenti citate prima, quindi il rapporto intimo tra matrice ossea e superficie
implantare non risulterà mai totale.
Da qui nasce un ulteriore definizione di osteointegrazione data da Zarb e Albrecson che nel 1991 danno una
definizione non solo istologica ma soprattutto clinica, ovvero “processo che consente di ottenere e
mantenere nel tempo nell’osso una fissazione rigida, clinicamente asintomatica”. Ecco che si introduce
anche il concetto di tempo, ovvero di stabilità a lungo termine, quindi c’è il concetto istologico, c’è il
concetto della funzione, perché appunto essa consente di ottenere e di mantenere nell’osso una fissazione
rigida, sottoposta al carico funzionale, e infine c’è anche una definizione di tipo clinico, cioè deve essere
clinicamente asintomatico, quando il paziente mastica non solo non deve avvertire dolore, ma ci deve
essere anche assenza di infezione, di riassorbimento osseo.
Aspetti biologici dell’osteointegrazione
Cosa avviene istologicamente quando prepariamo il sito implantare? Avvengono un po’ tutti i processi
riparativi e rigenerativi simili ai processi di guarigione per esempio di una frattura ossea e ciò perché
preparando il sito implantare determiniamo un trauma chirurgico all’osso che viene in qualche modo risolto
mediante una prima fase che è quella dell’infiammazione e una seconda fase in cui si ha un processo di
apposizione. La cosa importante è che queste fasi non sono mai nettamente separate, cioè non esiste che
nella prima fase ci sia solo infiammazione e riassorbimento e nella seconda fase solo rimodellamento e
apposizione; piuttosto queste sue fasi avvengono contemporaneamente, però nella prima prevale l’una e
nella seconda l’altra. Quindi:
1. Posizionamento della fixture
2. Formazione del coagulo tra fixture e osso
3. Formazione del pre-callo, Il coagulo viene pian piano trasformato e nelle prime 48-72h si forma
questo precallo, dato prevalentemente da tessuto fibroso
4. Formazione del callo osseo, il tessuto successivamente mineralizza e quindi i fibroblasti lasciano
campo libero agli osteoblasti, quindi il precallo si trasforma in callo osseo, come il classico processo
che si ha in seguito ad una frattura ossea.
Quindi il precallo si trasforma in callo osseo dalle cellule mesenchimali che stanno all’interno del
sito, ma anche da cellule che vengono richiamate attraverso il
circolo sanguigno al sito implantare, per cui queste cellule
mesenchimali si differenziano in osteoblasti producendo la
matrice ossea. Esistono due tipi di osteogenesi intorno alla
superficie implantare, allora se questo qui è l’impianto, esiste
una osteogenesi a distanza, per cui sono le cellule esterne,
ovvero gli osteoblasti esterni che in senso centripeto
depongono osso, oppure le cellule vicine al sito implantare,
quindi vicino alla fixure che in senso centripeto formano osso.
Ovviamente queste due fasi avvengono contemporaneamente
ed entrambe portano alla formazione dell’osso perimplantare.
- dalle 0 alle 4 settimane abbiamo una risposta osteogenica massiva, nei primi 15-20 giorni l’attività
mitogena è di differenziazione delle cellule midollari stromali in cellule osteogeniche raggiunge
l’acme innescando poi la fase di rimodellamento, abbiamo quindi detto che già nelle prime ore si
forma il coagulo, il precallo è il callo osseo, quindi un queste prime 4 settimane avviene questa
risposta osteogenica
- Dalle 4 alle 8 settimane, la neoproduzione di tessuto osseo è affiancata ai processi di
rimodellamento che conducono al graduale adattamento dell’osso neoformato. Quindi nella prima
fase si ha apposizione, in questa fase si ha apposizione e rimodellamento
- Dalle 8 settimane in poi avviene prevalentemente il rimodellamento.
Il rimodellamento va avanti sempre nel corso della vita con gli osteoblasti che neoappongono l’osso e gli
osteoclasti che lo distruggono.
Quindi a 12 settimane nell’osso mandibolare e a 16 nel mascellare, si raggiunge un grado di
osteointegrazione ottimale per la protesizzazione. E’ quello che vi dicevo prima: se si aspetta
l’osteointegrazione e non si fa carico immediato, dopo 3 mesi per la mandibola e dopo 4 per il mascellare
possiamo pensare di fare il carico protesico (ovviamente se non si sono fatte tecniche di rigenerazione,
perimplantari, di ricostruzioni, …).
L’osso perimplantare di un impianto sottoposto ad un carico occlusale e masticatorio corretto subirà quindi
un secondario rimaneggiamento osseo che porterà alla formazione di uno strato di corticale ossea, per
apposizione in senso centrifugo, lungo tutta la superficie della fixture.
Il trauma che subisce l’osso in seguito alla procedura chirurgica determina inizialmente una risposta
infiammatoria acuta con conseguente riassorbimento osseo che determina una riduzione della stabilità
primaria. Cosa sono la stabilità primaria e secondaria e
come variano tra di loro?
La stabilità primaria è un concetto meccanico, è la stabilità
che si ottiene nell’immediato durante il posizionamento
dell’impianto. E’ quindi legata alla forma dell’impianto
rispetto al sito implantare che abbiamo creato, alla perfetta
geometria che creando attrito con le pareti consente
all’impianto di stabilizzarsi all’interno dell’osso.
La stabilità secondaria, invece, è un concetto biologico e
istologico. Il passaggio da stabilità primaria a secondaria è
legato alle fasi biologiche di cui abbiamo parlato fino a
ottenere l’osteointegrazione. Quando noi posizioniamo
l’impianto, che da un punto di vista meccanico è
fortemente legato all’osso circostante, si ha una prima fase
di infiammazione e quindi riassorbimento osseo.
Quest’ultimo fa perdere un po’ la stabilità primaria perché
ovviamente se perdiamo un po’ dell’osso perimplantare, non c’è più questa perfetta corrispondenza
anatomica tra l’impianto e il sito che abbiamo preparato. Ovviamente tutto ciò è fisiologico e questa
stabilità primaria sarà in seguito recuperata col raggiungimento dell’osteointegrazione e con la stabilità
secondaria.
Anche in questo caso non dobbiamo pensare che la fase di stabilità primaria e di riassorbimento sia
separata nettamente da quella secondaria e di neoapposizione; esse avvengono contemporaneamente solo
che nella prima fase prevale il riassorbimento e si ha la perdità della stabilità primaria, nella seconda fase è
invece prevalente la neoapposizione e il rimodellamento ed aumenta la stabilità secondaria.
Questo è uno studio dove si valuta la stabilità implantare in base al tipo di strumento utilizzato per la
preparazione del sito implantare tra le frese o la piezosurgery ma di questo parleremo più in là. Ovviamente
quando utilizziamo uno strumento che determina meno infiammazione, e quindi la piezochirurgia, la prima
fase è ridotta così come il tipo di riassorbimento. Il grafico mostra proprio che il cambiamento tra stabilità
primaria e secondaria si raggiunge prima nei pazienti trattati con piezochirurgia piuttosto che in quelli per
cui sono state utilizzate le frese e poi il picco è più alto; si ha una minore perdita di stabilità primaria e il
cambio tra stabilità primaria e secondaria avviene prima. In definitiva, quanto più traumatica è la
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procedura, tanto più attrito si genera contro le pareti, tanto più colore si sprigiona e tanto più si ha
riassorbimento osseo.
I materiali utilizzati in implantologia devono rispondere a tre requisiti fondamentali:
o assoluta biocompatibilità
o adeguate caratteristiche meccaniche e strutturali (stabilità, resistenza a elevate forze di carico,
congruo modulo di elasticità, resistenza alla corrosione, …)
o idoneità all’osteointegrazione.
Biocompatibilità è un termine che deriva dal greco bios “vita” e dal latino cum patior “essere in armonia
con”: un materiale biocompatibile è un materiale che non innesca reazioni avverse nell’ospite.
Nell’ambito della biocompatibilità poi abbiamo:
materiali biotollerati, non si ottiene l’osteointegrazione. Tra l’osso e l’impianto si ha solo una fibro
integrazione. Appartengono a questa categoria tutti materiali visti prima e quindi l’oro, il rame, i
metalli, l’acciaio inossidabile, la lega di -cobalto molibdeno,…
materiali bioinerti, tra osso e fixture si crea un contatto diretto. Un esempio è il titanio.
materiali bioattivi, come le ceramiche o l’idrossiapatite. Tra osso e impianto, oltre che un contatto
diretto c’è una connessione fisico-chimica. Oggi ci sono anche gli impianti in zirconia che però sono
dei one-piece cioè moncone e impianto sono già connessi con lo svantaggio che ovviamente
laddove c’è un disparallelismo tra gli impianti, il moncone deve essere modificato.
*La prof dice di non averne mai visto uno.
Il titanio ha un po’ le caratteristiche ideali perché ha sia resistenza ed elasticità elevate sia determina
osteointegrazione.
Quando si
posiziona la corona sull’impianto c’è sempre un minimo di
riassorbimento ma che si mantiene nei range fisiologici, il
quale riassorbimento determina, come appena detto, che
l’ampiezza biologica si sposti leggermente. Per ovviare a
questo problema, sono state create delle connessioni
protesiche definite Platform Switching. La Platform Switching
prevede un moncone di impianto ridotto rispetto a quello del
collo implantare per cui se il diametro è ridotto
quest’ampiezza biologica anziché estendersi in senso verticale
si estende in senso orizzontale evitando la perdita dell’osso
sottostante. E’ un concetto che approfondiremo in seguito e
parleremo anche della connessione con on morse cioè la
connessione protesica tra impianto e moncone protesico che consente una perfetta connessione tra le due
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Oggi parliamo un po’ di quelle che sono le indicazioni cliniche, come approcciare il paziente implantare, quindi quali
sono gli esami da chiedere, tutto ciò che serve prima di pianificare un trattamento implanto-protesico, come si
posiziona l’impianto, quindi le fasi chirurgiche di posizionamento del sito implantare, passo passo.
INDICAZIONI CLINICHE
Il trattamento implantare è una metodica integrativa alle tecniche protesiche tradizionali, ma non la sostituisce
completamente, con precise indicazioni cliniche.
1. Edentulie parziali:
• Sostituzione di elementi singoli in arcate integre; per esempio,se dobbiamo sostituire un incisivo
laterale superiore in un soggetto giovane in cui sia il canino e l’incisivo centrale sono integri, sani,
andare a fare una protesi fissa, un ponte tra incisivo e canino sarebbe troppo demolitivo nei confronti
dei denti adiacenti. Ma questo pone ovviamente un problema di estetica: andare a sostituire un solo
elemento dentario in un edentulia intercalata in zona estetica pone un problema di natura estetica
perché la parabola gengivale deve essere perfettamente identica a quello dell’incisivo contro laterale,
perché sono necessari degli spazi adeguati affinchè sia sostituito un elemento dentario che possa
essere identico in termini di dimensioni al contro laterale ecc. Laddove invece si fa un ponte, tra
incisivo e canino, l’estetica è più armonica ed omogenea tra gli elementi dentari. Se invece in un
soggetto adulto, con problematiche legate anche ai denti contingui si può pensare di , anziché
utilizzare un impianto per sostituire un unico elemento dentario, di preparare anche i denti adiacenti
e quindi poi di utilizzare una protesi tradizionale anziché un implanto-protesi. È importante, quindi,
considerare lo stato dei denti adiacenti.
• Sostituzione di elementi singoli di particolare complessità protesica;
• Sostituzione di elementi singoli in arcate con marcati diastemi interdentali;
• Selle edentule distali
• Selle edentule intercalate lunghe perché nel caso di una protesi fissa, fare delle estensioni distali
troppo estese è biomeccanicamente pericoloso. Quindi piuttosto che sostituire il premolare, il
molare e il secondo molare con una protesi fissa da canino poiché eccessivo, si pensa di utilizzare
degli impianti nelle zone posteriori per sostituire queste selle edentule lunghe.
2. Edentulie totali:
• Atrofie della cresta ossea residua
Nel caso quindi delle edentulie totali abbiamo il problema dell’atrofia della cresta ossea residua. Soprattutto quando
la perdita dei denti è molto antecedente al nostro trattamento potremmo trovarci di fronte a dei gradi di atrofia più
o meno importanti, per cui, prima di pianificare un trattamento implantare di per sé è necessario fare delle
valutazione per capire se ci sono i parametri necessari a poter mettere un impianto o se serve dover fare prima delle
tecniche di rigenerativa ossea prima di posizionare l’impianto/i.
1. Valutazione del paziente: è la cosa più importante! Si deve selezionare il paziente implantare. Non tutti i
pazienti possono fare gli impianti: non solo perché hanno la pressione alta, che di per sé è una stupidaggine
perché se compensato da un punto di vista generale, il paziente può sempre fare implantologia. Ma bisogna
selezionare il paziente per una serie di motivi:
- Stato di salute generale : è però un indicazione relativa perché se ad esempio il paziente è diabetico
ma è compensato, si può procedere al posizionamento degli impianti. Ovviamente il paziente dovrà
sempre tenere sotto controllo la patologia diabetica perché il rischio di periimplantite in un soggetto
diabetico è molto più alto per tutta una serie di fattori tra cui l’ipovascolarizzazione periferica, il rischio
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infettivo, l’immunodepressione, per cui vanno incontro a un rischio infettivo maggiore. Ecco perché il
paziente diabetico ha un rischio maggiore di sviluppare la perimplantite rispetto a un soggetto sano.
Quindi se lo stato di salute del paziente non ce lo consente, (es. paziente diabetico scompensato,
emoglobina glicosilata a valori importanti) allora il paziente non è candidato alla implantologia. Se
invece è un diabetico compensato, controllato da un punto di vista farmacologico e segue una dieta
adeguata si può procedere tranquillamente. Anche in un soggetto iperteso , cardiopatico dobbiamo
tener conto il grado di compenso. In un paziente nel nostro studio dobbiamo sempre richiedere una
consulenza al medico specialista del paziente per valutare nel paziente cardiopatico, il grado di
compenso emodinamico, la pressione arteriosa; nel paziente diabetico si valuta il livello glicemico per
tenere sotto controllo queste problematiche. Però in generale non ci sono delle controindicazioni
assolute.
- Motivazione ed informazione del pz: questo è un altro aspetto molto importante. Il paziente deve
essere in grado di seguirci, venire a controllo sempre, fare dei controlli nel tempo perché è la cosa più
importante. Non è tanto difficile posizionare un impianto, mettere la corona, ma il paziente deve
essere seguito nel tempo sempre e se sfugge ai controlli molto spesso abbiamo la perimplantite. Quindi
i controlli post operatori sono anche più importanti dell’atto chirurgico in sé, perché questo lo sanno
fare tutti, ma seguire il paziente, motivarlo anche nell’igiene ed eseguire tutti i controlli post operatori
è la cosa più importante.
- Condizioni di igiene orale: il pz implantare deve essere sottoposto a controlli dal punto di vista
dell’igiene orale nelle prime fasi molto stretti e poi seguirlo sempre negli anni.
- Disponibilità economiche: che è piuttosto un problema che riguarda il paziente.
Fatta quindi questa prima valutazione del paziente dal punto di vista generale, si passa a valutare l’area edentula.
Si deve fare sempre la valutazione clinica! Non bisogna guardare solo la radiografia, o la TAC, ma si deve fare sempre
prima un esame clinico, valutare la zona dell’area edentula, vedere se c’è lo spazio mesiodistale. Per esempio alla
radiografia può essere presente uno spazio che può sembrare adeguato al posizionamento dell’impianto, ma poi se
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gli elementi dentari sono inclinati nell’area edentula non ci sarà lo spazio per posizionare la corona, per cui si
posiziona l’impianto senza poter posizionare la corona, ed è inutile. Quindi nel valutare l’area edentula, dobbiamo
guardare se ci sono gli spazi mesio-distali necessari per il posizionamento dell’impianto (se lo spazio è troppo ampio
o troppo poco, se è così ampio da permettere di posizionare due premolari anziché un molare quando si fa la
premolarizzazione, se gli spazi sono troppo stretti sarà inutile posizionare l’impianto perché non si potrà mettere la
corona. Se i denti sono inclinati nell’area edentula sarà necessario fare un up-righting ortodontico di questi denti.
Quindi abbiamo fatto questa valutazione del paziente, abbiamo visto che non ha parodontite in atto e ha la distanza
giusta per poter mettere un impianto, e quindi possiamo procedere con:
ESAMI RADIOLOGICI
I livello:
- Radiografie endorali
- Ortopantomografia
II livello :
- TAC
- TC Cone Beam
Gli esami di primo livello li dobbiamo comunque richiedere soprattutto l’OPT, mentre l’endorale possiamo anche
non chiederla. Essa ha però una serie di vantaggi, tra cui quello di darci delle immagini 1:1, quindi sicuramente
un’immagine reale del sito. Ma ha lo svantaggio ci non darci una valutazione tridimensionale del sito, essendo
bidimensionale come l’opt.
RADIOGRAFIE ENDORALI
Vantaggi:
- Economicità
- Facilità e rapidità di esecuzione
- Sviluppo immediato
- Buona definizione del dettaglio
- Bassa dose di radiazioni
- Breve tempo di esposizione
Svantaggi:
Non è così importante eseguire un’endorale al fine di posizionare un impianto così come può essere importante
invece la TAC.
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ORTOPANTOMOGRAFIA
Mai richiedere una TAC senza aver prima eseguito un OPT, in generale anche per la chirurgia: molto spesso ai pz
viene infatti prescritta direttamente la TAC, senza eseguire l’opt, il che è sbagliato perché l’opt ci da comunque
un’immagine d’insieme del cavo orale, se ci sono dei processi patologici in altre sedi se facciamo la TAC solo alla
mandibola ma al mascellare sono presenti dei denti con lesioni periapicali noi non lo possiamo mai sapere. SEMPRE
prima l’OPT!
Vantaggi:
Svantaggi:
La TAC è stata inventata nel 1972 e si basa su di un modello matematico secondo cui l’immagine tridimensionale
di un oggetto può essere calcolata da un numero infinito di proiezioni a due dimensioni.
Il primo scanner tridimensionale prodotto dalla EMI era stato progettato per produrre sezioni assiali dell’encefalo,
da qui il termine Tomografia Assiale Computerizzata.
Sono stati in seguito prodotto programmi che permettessero , pur acquisendo le immagini con scansioni assiali, di
ottenere sezioni frontali (coronali). In questo modo era possibile realizzare delle immagini sul piano frontale senza
obbligare il paziente a posizioni scomode del capo ed evitando di irradiare il cristallino.
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La cosa importante che dobbiamo ricordare della TAC è che la tac ci consente di ottenere un’immagine
tridimensionale del sito, ma soprattutto di ottenere delle scansioni nei tre piani dello spazio: assiali, coronali e le
sezioni frontali.
Come si legge la TAC? Questa è una cosa molto importante che dobbiamo sapere perché molto spesso non si riesce a
leggerla.
DENTALSCAN
Quindi queste sezioni orto radiali ci consentono di fare una programmazione anche dello spazio mesio-distale perché
in base alla distanza tra l’una e l’altra possiamo capire qual è lo spazio mesio-distale tra due denti. Possiamo andare
infatti a contare le sezioni che separano canino e quinto e renderci conto esattamente dello spessore mesiodistale e
posizionare l’impianto esattamente al centro.
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Chiaramente in base a tutte queste sezioni, il computer può rielaborare anche una ricostruzione tridimensionale, ma
questo lo vedremo meglio con la Cone Beam.
Il computer è anche in grado di rielaborare le scansioni simili ad un’ortopantomografia, riportando tutti i punti che
giacciono su piano ricurvi identificati dalla linea di riferimento e da altre linee parallele a questa.
Ciò non viene eseguito dalla TC Cone Beam in maniera così precisa come nella TAC. Quindi
se ci serve sapere qual è la densità di quel tessuto è preferibile richiedere una TC dentalscan
piuttosto che la Cone Beam. Anche se dal punto di vista medico legale, si raccomanda
sempre di eseguire una cone beam anche nelle programmazioni implanto-protesiche,
perché abbiamo una dose di radiazioni decisamente più bassa. Ci sono stati ultimamente
dei lavori che hanno cercato di comparare queste densità fornite dalla cone beam ma ancora non c’è una perfetta
corrispondenza delle Hounsfield della Tac rispetto alla Cone Beam.
La densità è misurata in unità di Hounsfield in una scala dove: 1600 Osso corticale
00 Qualità eccellente
1600 è il valore dell’osso corticale
600 Qualità discreta
0 è il valore dell’acqua 200 Densità minima
60 Coagulo sanguigno
-1000 è il valore dell’aria
0 Densità acqua
La densità ossea può essere definita in questo senso, secondo la classificazione
di Misch. Abbiamo un osso D1 quando la densità ossea è tra 1600 e 1200 -100 Densità tessuto
adiposo
Hounsfield, D2 quando è tra 1200-700, D3 quando è tra 700 e 300 e D4 tra 300-
100. Quindi 1600 è l’osso corticale, quindi l’osso D1 è un osso molto duro, è la -1000 Densità aria
corticale, come ad esempio la mandibola anteriore. Il
Scala Hounsflied Classificazione Misch
problema nel posizionare un impianto in un osso D1, è
rappresentato dal fatto che si raggiungono dei torque 1600-1200 D1
eccessivi perché l’osso è molto duro e la pressione sulle
1200-700 D2
pareti è eccessiva, ma abbiamo un altro problema
riguardante la vascolarizzazione del sito: la corticale non 700-300 D3
è vascolarizzata, è la midollare a essere fortemente 300-100 D4
vascolarizzata. Per cui abbiamo sicuramente una
stabilità primaria maggiore perché l’osso più duro da’ una maggiore stabilità, ma la vascolarizzazione è ridotta.
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Quindi non è un buon osso per posizionare gli impianti.
Anche D4 non è un buon osso per posizionare gli impianti perché D4 lo troviamo ad esempio nel mascellare
superiore posteriore dove l’osso è molto poco denso, molto morbido però ha il vantaggio di essere molto
vascolarizzato. Quindi la stabilità primaria è ridotta ma la vascolarizzazione è importante.
Diciamo che non c’è bisogno di richiedere al radiologo la scala Hounsfield in tutte le TAC che richiediamo perché in
linea di massima sappiamo quali sono le zone in cui c’è un osso D1, D2, D4. La mandibola anteriore è l’osso D1, nel
mascellare superiore è D4, la mandibola posteriore è compresa tra D2 e D3, ma nel blocco posteriore l’impianto non
lo mettiamo, quindi non è che mettiamo l’impianto al limite esterno visto che l’osso è talmente duro , non si mette
l’impianto per sostituire un 7 o un 8, a meno che non ci sono delle problematiche diverse: ad esempio il paziente
presenta il 7 superiore però di per sé se manca superiormente non lo andiamo a sostituire inferiormente perché non
avrebbe in qualche modo l’occlusione.
CONE BEAM
La tomografia computerizzata (CBTC) o tomografia computerizzata a fascio conico è una tecnica di imaging
biomedico in cui una tomografia computerizzata viene realizzata mediante dei raggi X a forma di cono.
La particolarità di avere un fascio conico, invece che a “ventaglio” (fan-beam) come nei tomografi TC, permette ad
ogni esposizione di coprire l’intero campo di vista (Field of view o FOV) e quindi in un unico giro, anziché in più giri
a spirale, acquisire una serie di immagini bidimensionali complete della parte anatomica in esame, nelle diverse
proiezioni.
La serie di proiezioni acquisite verranno poi elaborate da un software che produrrà un set tridimensionale che
servirà da base per successive rielaborazioni che porteranno alle ricostruzioni nei tre piani ortogonali (assiale,
saggitale, coronale). Il risultato finale dato dall’integrazione di queste immagini è un’immagine tridimensionale.
Le dosi di radiazioni ionizzanti somministrate dalla CBCT sono generalmente 5-20 volte più basse, a parità di
volume irradiato, rispetto agli altri esami realizzati tramite tomografia computerizzata tradizionale. Proprio per
questo motivo l’American Academy of Oral and Maxillofacia Radiology in recenti linee guida raccomanda di utilizzare
sempre la Cone Beam al posto della Tac nella pianificazione della programmazione implanto-protesica.
La programmazione chirurgica implantare non può prescindere dalla valutazione dell’esame radiografico
tridimensionale TC (sia esso dentalscan) o Cone Beam. Questo è importante per un aspetto medico-legale, perché ci
fornisce idea dello spessore dell’osso e ci possono essere situazioni per cui abbiamo delle angolazioni particolari
della mandibola da tenere presenti nel posizionamento di un impianto e che non possiamo considerare unicamente
sull’opt. Facciamo l’esempio di un impianto post-estrattivo, misuriamo la radice dell’elemento dentario ed è di 20
mm, allora saremmo portati a inserire un impianto di questa dimensione. Quando mettiamo un impianto post-
estrattivo, per cercare una stabilità a livello
apicale, ci si approfondisce di circa 2 mm.
Guardate la dimensione della radice e aggiungete
2 mm e pensate di aver trovato la lunghezza
esatta di quell’impianto. Ma se non facciamo la
TAC e la mandibola presenta un inclinazione di
questo tipo (foto a destra) andiamo a sfondare la
corticale linguale, al di sotto della quale abbiamo
il pavimento orale in cui decorrono arterie
importantissime, la miloioidea, la sfenolinguale,
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le ghiandole. Se perforiamo la corticale linguale avremo una serie di problemi da un punto di vista chirurgico come
emorragie del pavimento sottolinguale, difficoltà respiratorie del paziente.
Ovviamente quindi l’angolazione della mandibola non la vediamo con un immagine radiografica come l’OPT.
Per cui la dimensione dell’impianto deve essere valutata sulla lunghezza che vediamo nelle sezione della TAC e non
sulla lunghezza bidimensionale della OPT.
Quindi FATE SEMPRE LA TAC, perché un angolazione particolare o anomala o eccessiva della mandibola, soprattutto
in regioni posteriori, perché nelle regioni anteriori ha un andamento un po’ più rettilineo, ma man mano che ci
spostiamo nei settori posteriori questa angolazione aumenta in senso vestibolo – linguale.
Per cui l’impianto dobbiamo considerarlo in una lunghezza che è inferiore rispetto a quella che vediamo nell’opt.
LA TECNICA CHIRURGICA
2. INCISIONE IN CRESTA: impiegata nell’implantologia non sommersa, prevede in prima battuta una corretta
gestione della gengiva aderente, che deve essere almeno 1 mm sia vestibolare che linguale. Quando
abbiamo già di per sé molta gengiva aderente, possiamo evitare di fare dei tagli di rilascio e di partire
palatalmente, ma facciamo una semplice incisione in cresta e posizioniamo l’impianto.
Esistono anche delle tecniche FLAPLESS cioè senza lembo. In quel caso però dobbiamo essere certi che non ci siano
problematiche ossee o gengivali. Le problematiche ossee, come deiscenze, fenestrazioni, se non facciamo il lembo
non le vediamo, non riusciamo a valutarle. Quindi per eseguire la Flapless devono essere assenti deiscenze e
fenestrazioni, deve essere presente un’importante quota di gengiva aderente, per cui mediante un bisturi si asporta
un quota di gengiva aderente e si posiziona l’impianto.
1. Tutte le frese vanno raffreddate con una costante irrigazione con soluzione fisiologica fredda (l’osso non
deve mai superare la temperatura di 47°). La soluzione fisiologica viene tenuta in frigo. La temperatura
superiore a 47° creerebbe una necrosi degli osteoblasti, necrosi ossea, che determinerà un processo di
fibrointegrazione e non di osteointegrazione e si perde l’impianto. L’irrigazione può essere interna o esterna,
ma è preferibile esterna perché quella interna crea una pressione eccessiva sulle pareti dell’alveolo.
2. Si può impiegare una dima chirurgica per guidare la fresatura del sito. Esistono molte tecniche per fare
l’implantologia guidata, ma la dima non sempre riesce a dare una guida nel posizionamento vestibolo
linguale dell’impianto, da’ solo un’idea del posizionamente mesio-distale ma vestibolo – linguale diventa un
po’ più complicato l’utilizzo solo della dima.
3. Si perfora la corticale con una fresa a rosetta o a punta. Detta FRESA PUNTATRICE, che serve solo per
incidere la corticale che indica il sito in cui perforare.
4. Si utilizza una prima fresa, una fresa lanceolata dal diametro di circa 2 mm prepara il sito fino alla
profondità stabilita con velocità di 1200 rpm (giri al minuto) e 30 N/cm. Quindi serve a creare il solco guida
e arrivare fino alla lunghezza di lavoro. Una volta scelta la dimensione dell’impianto, in termini di lunghezza,
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le frese sono calibrate, hanno delle tacche di dimensioni diverse, per cui in base alla dimensione che ci
interessa, perforiamo fino a quella tacca, fino a quella lunghezza. Inoltre i motori implantari ricordiamo che
non lavorano a 3000 giri al minuto, i 1200 giri al minuto sono standard per tutti a prescindere dalla
sistematica che si vuole utilizzare. Lo stesso vale per il torque di inserimento che non deve essere superiore
ai 35 N/cm.
5. Vengono poi utilizzate le Frese calibrate di diametro crescente preparano il sito fino alle dimensioni
dell’impianto che vogliamo posizionare con velocità comprese tra i 1200 e i 400 rpm. Se ad esempio
vogliamo inserire un impianto di 4 mm, non prepariamo direttamente il sito di 4 mm perché saremmo
troppo aggressivi nei confronti dell’osso quindi la sequenza è in senso crescente nel senso del diametro fino
al diametro che abbiamo scelto per non generare uno stress elevato nei confronti dell’osso,
surriscaldamento e eccessiva pressione sulle pareti. Quando arriviamo poi alla fresa di 4 mm, non significa
necessariamente che la fresa sia esattamente 4 mm ma c’è sempre una sotto preparazione del sito. Viene
definita di 4 mm per non confonderci con il diametro ma la fresa non è esattamente del diametro
dell’impianto al fine di creare una sotto preparazione del sito dell’impianto. La sottopreparazione è in genere
di 0.5 mm e ci consente di ottenere una stabilità primaria maggiore. In un sito con osso D1 la sotto
preparazione può creare un eccessivo stress, per cui si passa a una fresa un po’ più ampia ovvero la fresa
Countersink.
6. Con la fresa countersink si svasa la corticale, perché proprio su di essa si creano gli stress maggiori, per
accogliere il collo dell’impianto (il collo è più largo per migliorare l’estetica e la stabilità).
7. Con test implant si può valutare durante le varie fasi il parallelismo dell’impianto.
8. Possono essere impiegati dei maschiatori per filettare il letto ricevente.
9. Si posiziona l’impianto sul sito ricevente con un torque massimo di 35 N/cm.
10. Sull’impianto viene posizionata la vite tappo.
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Poi si utilizza una fresa lanceolata del diametro di circa 2 mm che serve a creare il solco guida che
viene passata per tutta la profondità del sito di lavoro. Una volta che abbiamo stabilito la
dimensione dell'impianto in termini di lunghezza andiamo ad utilizzare frese calibrate che
hanno delle tacche di dimensioni diverse, per cui perforate fino alla tacca che corrisponde alla
lunghezza che vi interessa. Questa fresa lanceolata lavora ad una velocità di circa 1200 giri al
minuto (rpm) e con un torque di 30N/cm. Abbiamo detto che non dobbiamo raggiungere un
torque di avvitamento, quando si inserisce un impianto, sopra i 35N/cm. Dopo aver effettuato il
solco guida con la fresa lanceolata fino alla profondità stabilità vengono utilizzate delle frese
calibrate, cioè delle frese di diametro CRESCENTE fino a che non si raggiunge il diametro
corrispondente al diametro dell'impianto che dobbiamo posizionare. Per esempio se dobbiamo
inserire un impianto di 4 mm non prepariamo direttamente il sito con una fresa del diametro di
4mm perchè saremmo troppo aggressivi nei confronti dell'osso: la sequenza di frese è in senso
CRESCENTE in termini di diametro fino al diametro dell'impianto per evitare un eccessivo stress, e
pressione sulle pareti dell'alveolo. Quando passiamo con la fresa di diametro uguale a quella
dell'impianto (nell'esempio 4 mm), non significa che il diametro della fresa è esattamente uguale
al diametro dell'impianto ma è leggermente più piccola perchè si deve creare sempre una
sottopreparazione del sito. Questa sottopreparazione del sito ci consente di ottenere una stabilità
prematura maggiore. La sottopreparazione in un sito con osso D1 può creare un eccessivo
stress e quindi si passa una fresa con un diametro un po’ più grande, soprattutto nella
corticale, per evitare questo eccessivo stress da sottopreparazione. La fresa countersink va a
svasare la corticale perchè è poi sulla corticale che si creano gli stress maggiori. Con il test
implant si può valutare durante tutte le fasi il parallelismo dell'impianto. Sono dei pin di
parallelismo dove ad ogni passaggio della fresa voi andate ad inserire questo pin all'interno del
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solco e valutare se il solco è stato preparato in maniera parallela agli altri "non si capisce".
Parallelo significa corretto in senso mesio-distale, corretto in senso vestibolo-linguale e in
occlusione con il dente antagonista. Con le frese calibrate possiamo andare a correggere eventuali
errori di parallelismo, ma bisogna stare attenti a non correggere eccessivamente e compromettere
la stabilità dell'impianto, costringendovi ad usare un impianto con un diametro più grande.
Possono essere utilizzati anche dei maschiatori per filettare il letto ricevente, anche se oggi
vengono utilizzati sempre di meno perchè gli impianti sono auto-filettanti quindi creano la
filettatura all'interno del sito nel momento vengono avvitati. Laddove però vi accorgete che
durante l'avvitamento c'è untorque di avvitamento eccessivo, fermatevi (si rischia la frattura
dell'impianto o dell'osso, stress eccessivo sulle pareti dell'alveolo), poi si maschia il sito con delle
frese che creano una filettatura, oppure si passa una fresa "successiva" e si inserisce un impianto
di diametro minore. N.B. Se vedete che c'è un torque eccessivo di inserimento, svitate un po’ e
poi ricominciate ad avvitare, e procedete in questo modo, MAI forzare l'avvitamento. Si posiziona
l'impianto nel sito ricevente con un torque MASSIMO di 35N/cm, e sull'impianto viene poi
posizionata la vite tappo.
Come facciamo a valutare il torque? Manualmente non è possibile, ma esistono delle chiavi
dinamometriche, per cui si imposta il torque della chiave dinamometriche a 35N e si avvita
l'impianto. Può essere usata anche per avvitare il moncone sulla protesi (il provvisorio in
genere si avvita a mano) perchè dobbiamo essere sicuri dell'efficacia dell'avvitamento.
Di quanto bisogna approfondire la fixture implantare? Di circa 2 mm rispetto alla CEJ degli
elementi dentari adiacenti. Un insufficiente approfondimento di quest'ultima determina infatti
l'esposizione delle connessioni protesiche e il titanio della fixture. Quindi soprattutto nei settori
anteriori, se non si approfondisce bene l'impianto 2 mm al di sotto della CEJ degli elementi dentari
adiacenti voi potete avere un'esposizione delle prime spire dell'impianto che in un settore
estetico possono trasparire attraverso una gengiva, soprattutto quando i tessuti molli sono molto
sottili, quindi in un biotipo sottile, dove l'implantologia è sempre un po’ più a rischio. Un
inserimento invece troppo APICALE dell'impianto comporta un importante riassorbimento osseo.
Se noi posizioniamo un impianto sotto cresta portiamo la connessione protesica sotto l'osso. La
connessione protesica è quella più a rischio, cioè quella su cui si accumula prevalentemente
la carica batterica perchè se non c'è un perfetto accoppiamento tra le componenti, sotto le
forze dei MICROMOVIMENTI, si creano dei gap a livello della connessione protesica e implantare
per cui si ha una contaminazione batterica e un riassorbimento osseo. Per cui sono stati creati
degli escamotage per poter inserire questi impianti sottocrestali per esempio sono rappresentati
dalla connessione "conometrica". La connessione conometrica è un perfetto accoppiamento tra
le due componenti (non elimina completamente il gap, un minimo gap è sempre necessario per
l'accoppiamento), riduce il rischio di micromovimenti. Questa connessione conometrica
quindi riduce il rischio di contaminazione batterica e quindi il riassorbimento osseo dovrebbe
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Quanto deve distare un dente da un impianto? 1,5 mm. Questo è importantissimo, perchè si
deve formare la PSEUDOPAPILLA. Se lo mettiamo troppo vicino c'è uno stress di
vascolarizzazione quindi si riassorbe l'osso, la papilla si ritira e si crea il classico "buco
nero".
La distanza che deve esserci tra due impianti deve essere di 3 mm. Perchè proprio 3 mm?
Perchè non c'è la vascolarizzazione del dente adiacente, mentre tra dente e impianto noi
abbiamo la vascolarizzazione che viene dal parodonto, dal periostio del dente adiacente, tra due
impianti non abbiamo nessun tipo di vascolarizzazione parodontale ma SOLO quella periostea.
Quindi ci teniamo ancora più distanti, ad una distanza di 3 mm. Tutte queste distanze voi le
andrete a valutare sulle sezioni che abbiamo visto all'inizio della lezione. Nello spazio che
andrete a calcolare dovete considerare il diametro degli impianti e le distanze tra dente-impianto
e/o impianto-impianto. Le conseguenze di una valutazione sbagliata dello spazio può avere
importanti conseguenze come sofferenza vascolare con pseudopapilla, riassorbimento osseo
con esposizione delle spire, formazione di una tasca e una possibile conseguente perimplantite.
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Quanto deve essere l'altezza della papilla interdentale? Affinchè la papilla si formi è
necessario se la distanza tra la sommità della cresta ossea e il punto di contatto sia
inferiore o uguale a 5mm. Questa legge vale anche per i denti. Quando questa distanza
aumenta fino a 6 mm nel 50% dei casi si riscontra una papilla aperta con la presenza di “non si
capisce”.
Nei settori anteriori quindi bisogna portare il punto di contatto più APICALMENTE possibile per
evitare la perdita di tessuti molli.
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Quanto osso deve esserci vestibolarmente e lingualmente? Almeno 2 mm. Se questo spessore è
minore di 2 mm abbiamo più frequentemente un riassorbimento. Quando andiamo sulla
TAC a misurare lo spessore tra la cresta linguale e quella vestibolare dobbiamo considerare il
diametro dell'impianto più 2 mm vestibolarmente e 2 mm lingualmente. Il diametro degli
impianti dipende anche da QUALE dente va a sostituire. Se non c'è un diametro sufficiente per
un impianto che va a "sostituire" un elemento dentario si usano o tecniche di rigenerative ed
espansive o escamotage come la "premolarizzazione" a livello molare.
Dopo un'estrazione abbiamo sempre un certo grado di riassorbimento, soprattutto della corticale
vestibolare e il riassorbimento è sempre prima orizzontale e verticale (anche se in realtà
avvengono contemporaneamente e il riassorbimento orizzontale avviene con un'entità
maggiore).
Quindi nel settore anteriore è fondamentale rispettare queste distanze PERCHE’ se avviene un
riassorbimento orizzontale si avrà l'esposizione delle prime spire con una compromissione
dell'estetica.
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L'impianto deve essere posizionato sempre più palatalmente perchè la corticale vestibolare è
quella che si riassorbe DI PIU’ essendo la più sottile e il riassorbimento farebbe esporre le spire
dell'impianto. Se noi posizioniamo il nostro impianto più palatalmente avremo più spessore
conservato vestibolarmente e ce lo preserva dal riassorbimento che segue un’estrazione.
NON tutti i pazienti sono adatti ad una terapia implantare. Bisogna prima selezionare i pazienti che
hanno i requisiti* giusti, poi bisogna valutare se ci sono tutte le condizioni CLINICHE e
RADIOGRAFICHE per posizionare l'impianto, pianificarlo esattamente con le dimensioni mesio-
distali corrette rispetto ai denti e/o ad altri impianti, con lo spessore osseo vestibolare e linguale e
poi posizionare l'impianto sempre facendo attenzione a non traumatizzare l'osso. Con questa
procedura e con queste accortezze l'impianto avrà una percentuale di successo del 90%. Si
procede poi con la PROTESIZZAZIONE.
*Se il paziente fuma MENO di 10 sigarette al giorno il paziente viene definito a basso rischio (il
rischio non viene eliminato completamente), se invece il paziente fuma PIU’ di 10 sigarette al
giorno è considerato un paziente ad alto rischio.
Il motivo principale della perimplantite, sempre più frequente, è il mancato controllo post-
chirurgico. (concetto simile alla terapia di supporto parodontale che si fa in parodontologia)
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Agostino Di Domenico
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Criteri di successo in Implantologia definiti in letteratura per valutare quando un impianto può essere definito di
successo, quando invece fallito e quando sopravvive.
Agli albori della nascita dell’Implantologia, l’American Health Association nel 1979 definisce i primi criteri di
successo che negli anni si sono però affinati con l’evolversi delle tecnologie e della conoscenza.
• Mobilità <1 mm
• Perdita ossea perimplantare inferiore ad un terzo dell’altezza verticale dell’impianto (Oggi non più accettabile, è
troppo, soprattutto se si considerano gli impianti corti che si utilizzano oggi. Perdere 1/3 dell’altezza di un impianto
di 4mm, significa perdere l’impianto. Non è quindi oggi un criterio accettabile)
• Assenza di sintomi e infezione, assenza di danni ai denti adiacenti, assenza di parestesia o anestesia o violazione
del canale mandibolare, seno mascellare o del pavimento delle cavità nasali
• Per definirsi un successo, l’impianto dovrebbe provvedere alla funzione per 5 anni nel 75% dei casi. (Non vale più,
perché è un valore troppo basso, ad oggi il successo è stimato con una sopravvivenza a 5 anni del 90%)
Nel 1986 Zarb e Albrektsson, definiscono i primi veri criteri di successo, e li pubblicano sull’ International Journal
of Oral Maxillofac Implants. Oltre a definire i criteri per considerare un impianto di successo, valutano quali sono i
parametri necessari affinché si abbia tale successo.
C’è il successo…
1. Se l’impianto è immobile, quando testato clinicamente (A differenza dei principi precedenti, qui il successo è
definito con una mobilità pari a 0, quando testato clinicamente )
2. Se radiograficamente non si dimostra radio trasparenza legata a perimplantite
3. Se la perdita di osso verticale è inferiore a 0.2 mm per anno a partire dal primo anno dopo il carico
4. Se mancano persistenti segni e sintomi come dolore, infezione, neuropatie, parestesie, o violazione del canale
mandibolare
5. Se c’è un successo dell’85% alla fine del quinto anno del periodo di osservazione e dell’80% alla fine del decimo
anno
Dal Consensus Conference di Pisa, con il professore Sammartino, vengono definiti nuovi criteri: in quelli
precedenti venivano spesso definiti come successo anche casi dove in realtà il successo non era presente,
innanzitutto perché sono stati fatti su studi clinici, di Case Reort, Case Series, che non davano un’importanza
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significativa a 5 anni, ma venivano definiti “successo” casi di sopravvivenza impiantare; per questo motivo i valori
in realtà non rispecchiavano la realtà delle cose, in quanto non c’era una distinzione netta tra “successo” e
“sopravvivenza”. In questo Consensus, invece, vengono definiti 3 parametri:
DEFINIZIONI
• SUCCESSO impianto in condizioni cliniche e radiografiche ideali (Assenza di problemi da un punto di vista
radiografico, clinico, la protesi è stabile, l’impianto funziona, e non ci sono problematiche relative ai tessuti molli
perimplantari)
• SOPRAVVIVENZA E’ una fase in cui non abbiamo il successo, ma l’impianto è ancora all’interno del cavo orale, ma
non ha tutte le caratteristiche per definire un successo. Ad esempio: c’è una piccola esposizione di una spira
impiantare.
− Soddisfacente: impianto che manca delle condizioni ideali, ma ancora non richiede un management
clinico
− Compromessa: impianto che manca delle condizioni ideali e richiede un trattamento clinico per ridurre il
rischio di fallimento
• FALLIMENTO impianto che richiede la rimozione o è già stato perso
1) DOLORE
2) MOBILITA’
3) PERDITA OSSEA MARGINALE VALUTATA RADIOGRAFICAMENTE
4) PROFONDITA’ DI SONDAGGIO
5) MALATTIA PERIMPLANTARE
IL DOLORE:
L’infiammazione dei tessuti molli perimplantari: in quel caso il dolore risulterà essere visibile, accompagnato da
tumefazione, sanguinamento, per cui è necessario procedere con la detersione dei tessuti molli perimplantari e
dell’impianto.
Invasione del canale mandibolare: parliamo di impianti che sono andati completamente ad interferire con il
canale mandibolare, la corticale del canale è stata interrotta, e l’impianto ha letteralmente tranciato il nervo. In
questo caso il dolore è legato prevalentemente ad una parestesia che in questo casò sarà permanente, in quanto
il nervo viene tagliato, si può ridurre un minimo la zona di parestesia nelle zone anteriori perché viene vicariato
dalla sensibilità contro laterale, ma non si può annullare completamente.
MOBILITA’
E’ necessario che non ci sia una mobilità clinicamente osservabile quando l’impianto è sollecitato con forze orizzontali e
verticali <500 g (ve ne potete accorgere anche clinicamente con un semplice test, ma anche con lo specillo)
La mobilità è dovuta alla presenza di tessuto connettivo tra osso e fixture. (in questo caso non si è avuta osteointegrazione
e l’impianto è perso. E’ stato osservato un caso di mobilità in sito post-estrattivo, per cui non c’era una perfetta congruenza
tra il sito e l’impianto, e a distanza di qualche mese si è osservata questa piccola mobilità, espressione della mancata
osteointegrazione, per cui il professore ha avvitato leggermente l’impianto per ottenere una maggiore stabilità a livello
apicale e l’impianto si è osteointegrato. Ma ovviamente dipende
dal grado di mobilità e dall’assenza di altre problematiche. )
La perimplantite
è una patologia
che colpisce gli
impianti,
caratterizzata da perdita di osso perimplantare, suppurazione, aumento
del sondaggio, perdita dei tessuti molli, ed esistono tantissime tecniche
utilizzate per il trattamento. E’ oggi un argomento molto discusso in
quanto si cerca di trovare delle tecniche necessarie a combattere questo
problema, ma molto spesso non si riesce. Esistono delle tecniche di
decontaminazione impiantare, ma non esistono delle regole assolute.
(utilizzo di mordenzante, EDTA, tecniche combinate ecc.)
Esistono anche tecniche ricostruttive perimplantari che in qualche modo cercano di ricoprire le spire, l’osso che si
è perso, oppure laddove non c’è infezione ,se c’è un settore estetico esposto, con una o due spire esposte per
recessione dei tessuti perimplantari, in caso di assenza di infezione (impianto posizionato ad esempio più
vestibolare) si può ricorrere ad un semplice innesto di tessuto connettivale prelevato dal palato che in qualche
modo va a coprire. (NON STIAMO PARLANDO DI PERIMPLANTITE, IN QUEL CASO E’ UN FALLIMENTO TOTALE. Si devono
ridurre prima tutti i fattori scatenanti e poi si può procedere.
Parliamo adesso di come rispettare le strutture anatomiche nobili, in quanto salvaguardare tali strutture rientra
soprattutto nella pianificazione, in quanto dobbiamo già prevedere come tutelare tale struttura.
• Strutture vascolari: a. sottomentale(a livello del bordo inferiore della mandibola), a. sublinguale (un’arteria
dell’arteria linguale), a. miloioidea (posteriore della mandibola), a. alveolare inferiore( corre all’interno del canale
mandibolare insieme al nervo.) Quando posizioniamo un impianto in quella zona, non abbiamo solo il problema
della parestesia, ma anche del sanguinamento.
• Strutture nervose: n. alveolare inferiore, n. mentoniero, n. linguale. Differenza nel ledere il nervo alveolare
inferiore e il linguale, in termine di parestesia: l’alveolare inferiore comporta una parestesia con riduzione,
ipoestesia; con il nervo linguale abbiamo invece un’iperestesia.
• Seno mascellare e cavità nasali
• Pavimento orale e logge sottomandibolari e sotto linguali. Questo si ricollega alle arterie di cui abbiamo parlato
prima, ospitate all’interno di queste logge.
FOTO:
1) All-on four (tecnica nata per la mandibola, ma che viene utilizzata anche per il mascellare superiore)
2) Grande rialzo del seno mascellare (accesso laterale quando quantità ossea inferiore 4 mm)
3) Minirialzo del seno mascellare (accesso crestale)
4) Tecniche di innesto ad onlay
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Quando non abbiamo una cresta ossea posteriore mascellare che ci consente di posizionare degli impianti
standard, ci sono delle tecniche che devono essere affrontate prima di posizionare l’impianto ed andare a ledere il
seno mascellare.
• Fase anestesiologica
• Fase intra-operatoria
• Fase post-operatoria
• Fase post-operatoria immediata
• Fase post-operatoria ritardata
FASE ANESTESIOLOGICA
Può verificarsi durante un’anestesia tronculare (o per contatto diretto dell’ago con il nervo,o perché legata
generalmente al tipo di anestetico, al farmaco)
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FASE INTRAOPERATORIA
Stretching
Trauma termico
Lacerazione (tranciamo completamente il nervo in due, parestesia permanente)
Compressione
La compressione:
1) Intra-post operatoria immediatalegata ad Edema ed Ematoma (ogni volta che si fa un intervento si ha un trauma
a livello dei tessuti molli.Laddove l’edema raggiunge delle dimensioni importanti, può andare a comprimere il nervo.
Nel postoperatorio spesso l’edema provoca una riduzione della sensibilità, per cui bisogna aspettare per valutare se
è avvenuto un danno permanente al nervo)
2) Assoni sono integri. Può esserci un’alterazione temporanea della sensibilità trigeminale . Risolvibile
spontaneamente in 4 settimane.
3) Degenerazione nervosa e comparsa di alterazione della sensibilità:
Minore del normale (Hypoesthesia)
Maggiore del normale (Hyperesthesia)
Diversa dal normale (Dysesthesia) Alterazione aspecifica della sensibilità
STRATEGIE OPERATORIE:
Compressione
2) post operatoria ritardata
Carico funzionale
Cioè voi posizionate l’impianto, il paziente non avverte nessun fastidio, nessun dolore, poi quando si va
a posizionare la protesi e si procede con il carico funzionale il paziente inizia ad avvertire fastidi, come si
evidenziava in questo lavoro.
In questo lavoro pubblicato su IMPLANT DENTISTRY è un case report, per risolvere il problema è stata
fatta un’apicectomia dell’impianto, quindi è stata ridotta la lunghezza dell’impianto e si è in qualche
modo risolta la parestesia legata a questa compressione ritardata.
Per questo motivo si è partiti da questo lavoro per quanto riguarda il trattamento della nevralgia del
trigemino.
La terapia per la nevralgia del trigemino essenziale da un punti di vista chirurgico:
• Una volta la facevamo con l’alcolizzazione, cioè facevamo la siringa di alcool a livello della spina
dello spix, questo bloccava la trasmissione, ma poi recidivava.
• Siamo poi passati, a interventi invasivi che prevedevano il taglio del nervo.
• Dopo di che è nata questa altra possibilità, cioè il fatto di inserire un palloncino che arriva nel
cavo del Meckel e gonfiando il palloncino c’era una compressione del ganglio di Gasser e a
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questa compressione di 500 ml di mercurio e tenuta per un certo tempo, faceva in modo che il
nervo degenerasse e quindi si avesse la risoluzione della nevralgia essenziale.
Partendo da questo dato di 500ml di mercurio che servono per bloccare la sensibilità, siamo andati a
fare uno studio.
Uno studio su 123 TAC di pazienti dai 17 ai 45 anni dove si è andato a studiare:
Lo SPESSORE:
medio della corticale mandibolare,
medio della corticale del canale mandibolare.
LA DENSITÀ:
media dell’osso corticale,
media dell’osso midollare,
media dell’osso corticale del canale mandibolare.
tutto questo per creare un modello matematico/ingegneristico andando a trasferire i dati medi presenti
in natura in questo modello matematico in modo da simulare ciò che succede in natura.
È stato osservato che:
Il diametro medio del canale mandibolare è di circa 2mm,
Spessori:
• dell’osso corticale, quindi della cresta corticale è di 1,7mm,
• Lo spessore della corticale del canale mandibolare è di 1mm,
Densità:
• dell’osso corticale è di 900 U (hounsfield)
• dell’osso midollare è di 350-400 U
• della corticale del canale mandibolare è di 500 U
Per cui si è creato questo modello matematico, si è andato a simulare ciò che succede a livello
mandibolare, riportando gli spessori, i diametri in questo modello matematico, sono stati utilizzati in
questo modello impianti di:
• 11,5 mm di lunghezza,
• 4 mm di diametro.
e sono state esercitate delle forzem
• assiali di 300N,
• Extra assiale di 150N.
E si è visto come cambia l’aria di pressione a livello della corticale del canale mandibolare.
Ovviamente le zone blu sono quelle dove si concentra una pressione maggiore, andando via via
scendendo.
Se posizioniamo l’impianto a 0,25 mm dal canale mandibolare l’area blu è molto molto estesa,
quindi vuol dire che a 0,25 mm dal canale mandibolare c’è una forza eccessiva della fixture sul
canale.
Se già ci spostiamo a 0,5 mm l’area blu si riduce leggermente, ma non siamo ancora in un range
di sicurezza.
Quindi abbiamo visto che la distanza minima affinché quest’area di pressione sia annullata è di
1,5mm, quindi la distanza di sicurezza dai un impianto dal canale mandibolare è di 1,5mm, però
vediamo in quale condizione.
Se invece, abbiamo PIÙ IMPIANTI CONTIGUI avremo un’area di appoggio maggiore, quindi la forza che
si distribuisce sarà minore, perché viene distribuita su una superficie maggiore.
Poiché lo stress= carico/superficie, ovviamente là dove la superficie aumenta, considerando un
poligono che unisce gli apici di questi impianti, definito poligono di appoggio impiantare, quanto più è
ampia l’area di questo poligono di appoggio quanto più si riduce lo stress a livello di quella superficie.
Però vale un principio molto importante, per fare in modo che più impianti contigui possano essere
posizionati a 1mm dal canale mandibolare, la distanza delle fixture deve essere di almeno 3mm.
Quindi è vero che se noi posizioniamo più impianti contigui possiamo in qualche modo ridurre la
distanza dal canale mandibolare, da 1,5 mm a 1 mm, ma il principio che deve essere mantenuto è che
queste fixture contigue devono essere posizionate ad almeno 3mm di distanza l’uno dall’altra.
fare questo, nei settori anteriori magari anche corone singole, per facilitare la detersione e aumentare
l’estetica, ma nei settori posteriori poiché non sempre si fa un impianto per ogni corona, si fa per
esempio due impianti con tre corone è in quel caso vanno unite e quindi la forza si riduce.
Come salvaguardare il canale mandibolare è superare il limite dell’altezza ossea posteriore ridotta?
1. All-on-four
2. Innesti ossei
3. GBR (guided bon regrneration)
4. Short implants, che possiamo utilizzare anche per il mascellare, sono stati effettuati degli studi
dove anche a livello mascellare gli short implants funzionano.
come si effettua:
Si scolla, si isolano i nervi alveolari inferiori di dx e
sin, si posizionano gli impianti e questo è il
risultato.
Si posizionano gli impianti a livello intraforaminale,
cioè tra i due fori mentonieri, per cui posteriormente ai fori mentonieri voi non andate proprio a
interferire con il nervo mandibolare, per cui questo è un modo mediante il quale andiamo a
salvaguardare il nervo riabilitando il paziente.
Questo tipo di tecnica non è molto semplice, rispetto una tecnica ricostruttiv , tecniche onlay, tecniche
di GBR posteriori alla mandibola che falliscono spesso, questa tecnica pur sembrando semplice in realtà
non lo è, perché andare a posizionare due impianti distali in quel senso considerando gli spessori della
corticale vestibolare e linguale e considerando che sono molto lunghi, sono almeno 15mm questi
impianti distali, non è una tecnica molto semplice. Spesso questo tipo di riabilitazione viene fatta con
carico immediato.
frammenti ossei e si posizionano nella zona dove si deve fare l’aumento verticale e si posizionano gli
impianti, dopo 4mesi di guarigione si scoprono.
4.SHORT IMPLANTS
Gli short implants sono degli escamotage in termini di salvaguardia del nervo mandibolare, in questo
caso si uniscono le corone di questi impianti corti, perché l’unione fa la forza, quindi l’impianto già di per
se è più corto, il rapporto impianto/corona, corona/ impianto non è tanto importante quanto lo è per
l’elemento dentario, però in questo caso si tende ad unirli.
I mandibular lingual vascular canals (MLVC) sono dei canali accessori mandibolari che devono essere
sempre ricercati quando vedete una TAC mandibolare e anche in questo caso è stato fatto uno studio per
andare a stabilire la frequenza, il diametro, la posizione e il corso di questi canali attraverso immagini
TAC Dentascan
(TAC dentascan perché risalgono a un po’ di tempo fa, oggi avremmo utilizzato la conebeam).
In letteratura diversi studi hanno documentato la presenza di foramina accessori (fino a pochi anni fa misconosciuti) in
corrispondenza della corticale linguale mandibolare in regione interforaminale:
In posizione mediana (Medical lingual canal)
Tra canino e premolare (laterale lingual canal)
Il contenuto dei relativi canali intraossei è ancora oggi oggetto di studio
Con:
• Assenza di lesioni patologiche nel settore anteriore,
• Buona qualità delle immagini TAC,
• Assenza di elevata atrofia della mandibola,
• Assenza di denti inclusi nella regione anteriore della mandibola.
Vedete alcune immagini dove c’è un singolo canale accessorio, oppure due, vedete prevalentemente a
livello linguale o a livello mediano.
Si è scoperto che il 90% dei pazienti analizzati presenta almeno un canale accessorio, quindi la
frequenza è molto molto alta.
43
Risultati:
il diametro medio di questi canali è di 0,8 mm +- 0,3 mm quindi un diametro abbastanza ampio,
la direzione antero-inferiore,
distano dal margine mandibolare inferiore:
sul versante linguale 10,3mm +- 4,4mm,
sul versante vestibolare 9,2 mm +- 2,4 mm
In conclusione:
• La TC Dentascan permette di individuare la presenza di MLVC, il contenuto di questi canali non
è ancora certo, probabile che ci siano canali vascolari, delle piccole arteriole, o strutture nervose
o che siano vuoti, o che ci sia materiale amorfo, però non ne abbiamo ancora la certezza. Questo
è importante perché ci sono delle volte in cui voi pensate di aver pianificato perfettamente,
perforate con la vostra fresa per preparare il sito implantare e potete avere che certe volte o una
parestesia o una emorragia che non vi spiegate, in questo caso probabilmente potrebbe essere
stato uno di questi canali accessori, per tale ragione devono essere individuati, con un contenuto
che potrebbe essere o nervoso o vascolare, ecco perché potete avere questa possibilità. Quindi
l’idea di verificare nella pianificazione e di cercare di individuarli, anche se sono vuoti e non c’è
niente dentro, ma voi non lo potete sapere, è suggerita per stare tranquilli voi e i pazienti.
• Attenzione a spessore/densità del piatto corticale linguale (alto rischio di perforazione del poco è di
lesione dei MLVC in pazienti edentuli con gravi atrofie della mandibola)
• Lo studio dei MLCV (i.e. Dimensioni, posizione, corso, variabilità) deve sempre essere oggetto di
considerazione in fase prechirurgica.
Ora parliamo di un altro argomento legato ad un altro aspetto sempre nei termini della save
implantology che è quello dell’angolazione della mandibola, già ne parlammo la volta scorsa del perché
la tac deve essere sempre richiesta prima di posizionare un impianto e lo vedremo adesso.
Le procedure chirurgiche eseguite alla mandibola sono generalmente considerate sicure, avendo solo un minimo rischio di
danneggiare le strutture neuromuscolari o di provocare complicanze emorragiche. Inoltre, la regione parasinfisaria della
mandibola, dal lato linguale, è un settore molto vascolarizzato ed una grave emorragia è stata riportata in letteratura
come complicanza del posizionamento implantare e di altre procedure chirurgiche.
C’è un plesso vascolare ricco a livello della regione mandibolare legato alla confluenza di diverse
arterie, tra cui l’arteria:
• Linguale (sublinguale)
• Dalla Mascellare esterna proviene la sottomentoniera
• Arteria incisiva dall’alveolare inferiore
Tutte queste arterie decorrono a livello del piatto corticale linguale, nella regione interforaminale.
45
Complicanze chirurgiche:
Regione interforaminale:
A livello posteriore (secondo me voleva dire a livello della regione interforaminale), i danni che possiamo andare a
creare, sono una emorragia del pavimento orale.
Essendo una struttura chiusa se si va a ledere delle arterie di calibro importate come può essere la
sublinguale o la mentoniera abbiamo l’emorragia del pavimento orale, questa emorragia determina
problematiche importanti come simili a quelle che può determinare l’angina di ludwig con difficoltà
respiratorie, fino a una necessità di ospedalizzazione, di tracheotomia in alcuni casi molto importanti.
Quindi stare attenti a queste arterie che si trovano a livello linguale, legate a una errata pianificazione a
una lesione del piatto corticale linguale può determinare uno stravedo ematico importante che
necessita sicuramente un intervento immediato.
Per cui ci siamo chiesti come cambia soprattutto l’angolazione in termini di altezza la mandibolare
quando si ha la perdita degli elementi dentari, quali sono quindi i limiti che il riassorbimento osseo
legato all’estrazione o perdita degli elementi dentari ci da nel posizionamento degli impianti.
Criteri di inclusione:
• Presenza di elementi dentari in arcata;
• Assenza di elementi dentari in cresta con altezza minima di 10mm dal canale mandibolare è 6mm di spessore,
• Spessore delle sezioni di 2mm,
• Assenza di condizioni patologiche o traumatiche che abbiano alterato la morfologia ossea mandibolare.
Le Tc sono state raggruppate in base ai centri radiologici di provenienza, escludendo quei centri da cui proveniva un
numero di TAC insufficienti ad una valutazione statistica, risultando in un numero totale di 187 TAC.
Numero di Tc per cento:
Campione Am 27
Campione B: 33
Campione C: 45
Campione D:61
Campione E: 25
Tot. 187
• ALTEZZA VERTICALE:
distanza dal punto più
alto e mediano della
cresta e la proiezione del
punto più basso sulla
perpendicolare al piano
di riferimento della tac,
• ANGOLAZIONE: angolo
tra l’asse della cresta e
la perpendicolare al
piano di riferimento
della tac.
Quindi quando si perdono gli l’elementi dentari, l’angolazione della mandibola cambia in maniera
statisticamente significativa solo nelle regioni intermedie, quindi tra canino e primo premolare e
secondo premolare e primo molare.
Quindi la sinfisi non si modifica molto quando si perdono i denti, le regioni posteriori molari non si
modificano in maniera significativa quando si perdono i denti, però dovete tenere a mente che la
regione posteriore già di per se è quella più angolata e questo è importante e dopo vedremo cosa
significa.
Questo significa che:
se noi paragoniamo a livello della sinfisi l’altezza assiale e distanza disponibile a posizionare un
impianto evitando complicanze nella regione interforaminale in assenza o presenza di denti le
distanze sono simili, perché abbiamo detto che non si modifica molto.
Nella regione canino - primo premolare questa distanza è molto diversa per cui abbiamo un
limite maggiore nel posizionare l’impianto, cioè l’altezza disponibile a posizionare l’impianto
quando abbiamo perso il dente è minore rispetto all’altezza che avevamo prima perché nella
regione canino - primo premolare questa modifica dell’angolazione è importante.
nei settori posteriori, di per se abbiamo detto che la mandibola è già molto angolata e che non
cambia molto l’angolazione quando si perdono gli elementi dentari, quindi anche in questo caso
l’altezza disponibile e altezza assiale non sono molto distanti tra di loro.
In base alle misurazioni è stato possibile proporre una classificazione delle angolazioni mandibolari:
• Low mandibular inclinazione (LMI): angolo < 10
• Medium mandibular inclination (MMI): angolo tra 10 e 17
• High mandibular inclination (HMI): angolo >17
48
Queste sono immagini che vi fanno comprendere cosa abbiamo detto fin ora.
la prima immagine è quella della sinfisi,
quindi in presenza o in assenza di denti
l’altezza assiale e l’altezza disponibile a
posizionare l’impianto non cambiano
molto tra di loro perché la sinfisi non
cambia troppo la sua angolazione.
IMPLICAZIONI CLINICHE:
qual è lo scopo clinico di questo nostro studio? Il caso degli
IMPIANTI POST ESTRATTIVI.
Nel caso in cui dobbiamo mettere un impianto post
estrattivo non possiamo fare una valutazione della
lunghezza dell’impianto solo sulla radiografia
bidimensionale, perché diciamo: “vabbè c’era il dente
possiamo tranquillamente mettere l’impianto senza avere
problemi, valutiamo quant è la lunghezza della radice
aumentiamo di circa 2mm per ottenere la stabilità
primaria, che si ottiene appunto nei 2mm apicali
all’alveolo”. E quindi mi basta la radiografia per posizionare
l’impianto post estrattivo, perché abbiamo la sicurezza che
c’era il dente.
In realtà questo non è vero, perché se noi andiamo a
posizionare l’impianto esattamente 2mm in più rispetto alla lunghezza del dente andiamo in qualche
modo a interrompere la corticale linguale della mandibola perché c’è quella angolazione che noi all’opt
non vediamo, ma la vediamo solo con la tac e quindi andando ad interrompere la corticale linguale.
Lì sotto in quelle logge si trova l’arteria miloioidea, si trova l’arteria sublinguale che magari decorre oltre
che nella regione anteriore si può portare un po’ all’indietro, quindi andiamo in qualche modo a creare
danni importanti al pazienti.
Quindi richiedere sempre la tac anche per gli impianti post estrattivi, non vi fidate mai della sola
immagine radiografica bidimensionale perché l’angolazione della mandibola può farvi brutti scherzi
per cui abbiamo poi quel problema.
Infatti l’american academy of Oral and maxillofacial radiology dice che bisogna sempre nella pianificazione
chirurgica implantare richiedere un esame TC Dentascan o Cone beam.
49
Conclusione:
• Le caratteristiche anatomiche di aumentata angolazione e altezza ridotta indotte dal riassorbimento osseo
possono incrementare il rischio di complicanze chirurgiche.
Perché ovviamente dopo l’estrazione dentaria si ha un riassorbimento della corticale prevalentemente vestibolare e
un aumento dell’angolazione e quest aumento dell’angolazione può determinare delle complicanze chirurgiche là
dove l’altezza si riduce a tale punto che se non la andate a valutare durante la TAC vi può creare delle
problematiche.
• La differenza tra distanza nervo/distanza disponibile nel settore posteriore e tra altezza assiale e altezza
disponibile rispetto alla corticale linguale a livello della sinfisi devono essere prese in considerazione per la
pianificazione chirurgica.
• La pianificazione chirurgica implantare non può prescindere dalla valutazione dell’esame TC Dentascan o Cone
beam.
Domanda “la scelta dell’impianto quindi la facciamo solo considerando i limiti anatomici, a prescindere
dal dente che devi sostituire?”
Risposta: “assolutamente, tu devi partire da una pianificazione cioè io ho bisogno di mettere un
impianto in questa zona con queste caratteristiche, dopo di che vai a confrontare quello che sarebbe
l’ideale con la morfologia dell’osso perché non sempre puoi mettere l’impianto che avevi previsto e a
quel punto, devi fare o un compromesso, cioè c’è lo stato dell’arte che dice come deve essere l’impianto
in quella zona oppure c’è lo stato dell’arte del compromesso, cioè il compromesso deve essere un
compromesso che ti da un risultato funzionalmente ed esteticamente perfetto. Quando non ci sono le
caratteristiche morfologiche che tu vorresti puoi scegliere il compromesso oppure puoi scegliere di
mettere l’impianto come dici, ma per poterlo fare devi modificare la morfologia dell’osso e quindi si
innestano tutta quella serie di rigenerazioni, innesti, gbr che sono utili per ottenere quelle condizioni
ideali secondo quel piano protesico ideale, ma questa è una scelta che va tra te e il paziente, perché il
paziente non sempre è disposto a far gli interventi di rigenerazione, innesti ossei , ecc quindi è una
scelta che si fa insieme al paziente, oggi si parla molto di implantologia a seconda dell’aspettative del
paziente, ovviamente sempre nei limiti della correttezza.
Se il paziente è disposto a fare tutti gli interventi che vuoi, tu devi avere la possibilità di saperlo fare e di
proporglielo, se invece il paziente non è motivato, ad esempio venne una signora instabile
psicologicamente che aveva una mandibola sottilissima e io gli proposi l’innesto, però la signora l’unico
intervento che voleva fare era quello per il posizionamento degli impianti e a quel punto poi
utilizzammo gli impianti ultra short, un contro di questi impianti è che i denti vengono un po’ più lunghi,
ma nella regione posteriore questo può essere un compromesso accettabile.
50
OD
lmp1ant success, Survival, and Failure:
The lnternational Congiess of Or::!
lmplantologists (ICOI) Pisa
Consensus Conference
Car1 E. Misch. 00S. MOS; Morton L. Parei, 00S, MScD,t Hom-L.ay Wang, 0 0S, MScD,t.
Gilberto Sammartino. MD. DDS,§ Pablo Galindo-Moreno, 00S, PhD,11 Paolo Trisi, DDS, ~ Marius Steigmann. Dr Med,#
A.lberto Rebaudi. MD 00S," Ady Palti, DDS,tt Michael A. Pikos, DDS.t.t D. Schwartz-Arad, DMD, PhD,§§
Joseph Choukroun, MD.lii Jose-Luis Gutierrez-Perez, MD, PhD, DDS,1111 Gaetano Marenzi. OMO, DDS,##
ano Dimosthenis K. Valavanis, MD. DDS, OMO'"
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thc urvivaJ rate. mcaning whether the 2007. a Pisa, ltaly Conscn,us nfcr-
'" "' D ,.J • ' U]l'I", r
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th1 mclhod ay it provide thc clearcst modi ,ed the Jame'ì- M1,ch He 1th
pr~cntat1 n ol th data. nw:~ nrgue S aJc and appro"cd 4 hnital ·atcgl'f)
that 11nplanL-i th:it . hould be rcmo\'ed thnt contam e< ndiuon, 11f 1mpl:in1 ....
be au of parn or djsea,;(' may hc cc". ,;uf\•1vnl. and failurt' • Uf\ " a-1
rn:untamcd nd are wronglull rc- w ndJ11 n for 1mplanL, m:s,· h , e ~
fN' I ,J ...., I ,1,g ,u-...1: ,,ful lltfftl t: lll l <•nt . ..a.t i\( lll \ UI
natural L th 1~ n ,1 ck, LnbeJ 1n , 1val dc,t'ntic a.n 1mpl,int "1th k
thc lttcrnture O!- clrni al , uc e , or frul thaJ1 ~J.1 l )I\J1U , , . -.!-. , ., ' "t\ I \.
urc In tead. ad ·ti cond111on for n qutrc, lmical nwn.1 111('111 , 111.nJ n 11npn,.
IOO(h 11re rcpol'U!J. and o qualit) of llll ',(.xJ \Uf\ I\ uJ tncluJ.. ' ,u,,.:......., _ ,u,
h alth c:Lle I u d to dc, ·n m te,, than klcal ~ md1t11 •n- . v. hJ h ratUtrt'
tr.1orul clini I t nd1l1om, In 149'. an dm :il tmumcnt tu ~~e- thc n, ol
1mpl ot qu lrt of hcaJth " le v. 1mpl.1111 t.ullln' lmpwll fwJu ttr
r ,t bit hcd !'I) J. mc Md lunh r d - 1CftTl u.\((J fl l U l ~ thJJ ~
, eh,pc.-d t,~ 1t'lh • On '1th < tohe1 nlll\.Ù <I hJ, a.h Ok
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51
The term implant succe may be Pain during function from an implant erature) to asses bone loss after heal-
u -ed to describe ideai clinica) condi- body is a subjective criterion that ing is by radiographic evaluatio n. Of
, ;,..9' .. 1t r h nulrl in~ luf'lp '!l titTIP f"\Pri,vf
nbr ..._ rh,. imnl:inr in lht> faihtrf' c :ite- course. conventional radioeraohks
u1 ai 1cm,l I L. montns 10r 1mp1ams gory. ::,cnsmv,ry rrom an 1mp1ant aur- onty momtor me mestai or at tal as-
erving as pro thetic abutments. The ing function may piace the implant in pect of bone lo · around the implant
term cari implant uccc s is sug- the survival criteria. and may warrant body.
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intennediatc implant ucce for 3 to 7 diographic margina] bone lo:, after
years. and long-term s uccess for more Mobllity the fi.rst year of function in the range
than 7 years. The implant success rate Rigid fixation is a clinica! tcnn for of O to 0.2 mm. 18 10 Th.e marginai bone
hould also include the assoc iated implants. which describes the absence loss far the quality of health scale
pro thetic urvival rate in a clinical of observed clinical mobility with ver- should include thc first year. Although
report . tical or horizontal farces under 500 g. there are many different aspects thai
similar tu evaluating teeth. Osscointc- L:ontributi: tu i.:Mly bum.: Ju:,.,. r..,5..,.;-
CLINICAL INDICES grauon is a histologic tenn defined as less of the cause the overal.l amount of
Ùle surrouoding bone in direct contaci bone loss may affect clinical criteria of
Pe riooontal indices are often used ·1,ith an implant surface at the magni- ucce s to fai.Iure. Clinica] tudie of-
for the evaluation of dental im- fication of a light microscope.' 2 Over ten report statistica! average bont
plants .10·11 Periodo ntal indice , of
the years. rigid fi.xation and osseointe- loss-oot the range of bone loss ob-
themselve . do not define implant su - gration have been used interchange- served in the study. lf I implanl of IO
e:, or failurc . The~c c linica! indie~
ably. Today. the clinicaJ term "Jack of loses 5 mm of boae. the average bone
must be related to other factors such as mobility" may be used to describe im- loss in the study is 0.5 mm: yet. the
e xudate or overloading of the prosthe- plant movement, and is a clinica! con- range of bone loss was O to 5 mm.
;;1s. However. understanding the ba is dition most often used 10 detcmline as Each implant hould be monitored as
of a few clinica) indices far evaluauon to whether the implant is integrated. A an independenl unit when as e s 111g
allows the e criteria to e tabli h a root-fann implant supported prosthe- bone lo s for a clinical evaluation of
health-di eru.e implant quality scale is is most predictable with this type of success. survival. or fai.Iure
. . . .
u ..:.1ttu.;u lU U&aiJ1a.aH uo,,,UA.t,J J . support systcm. ChmcaJ observaaons obtamed by
Lack of clinica! movement does not probing or radiographic measurements
Pllin meao the true absence of mobility. A of O. J mm far bone loss are operator
:,i=i ..,ìiu_i1..al implant positions in healthy implanl may move less than 75 sensitive and are not reliable. There-
the literature do not invade the struc- J..Ull; yeL it appears as zero clinical mo- fore. the Pisa Consensus in thi.i r.:.yv, ;
tures of the infraorbital or inferior al- bility. 14 Clinica! lack of implant mobility suggests that the clinica) as e ,iKu,
veo lar nerve s . Therefore. in 1he does not always coincide wit.'i a dire.:, t:'_
J.Vj
• - - ,_
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• - • 1 -
UllfJU:UU.
• •
LIIVILUU• ., uu:u~.u uo
'
.,.... .,... .,.,,-to-failure critcria. it is as- bone-implant interface. J However. bone loss in increments of I .O mm .
.>uaucu ll1al tJìe implant does not vio- when observed ctinically. lack of mobil- The bone loss measurement should be
• • -· · . _ _ _ _ _ .. t.. _ ; _ •. ·- , ., 11
~
" "'·" " un.. IUUJ Vl ..... , \'\,,,,,)' Vl UI\.- J"""' . ity .;sually means that at least a portioo related lo the originai marginai bone
Suujcd.i i:: fi11Ji11~.,, o f pain or tender- of the implant is in direct contact with leve! at implant insertion. rather than
ness associated with an implant body bone. although the percentage of bone to a previous measurement (e.g.. I
are more difficult to a-. ess than these contact cannot be specified.1~ A ctini- year priur ,
conditions with natural teeth. cally mobile implant indicatcs thc pres- Thc mos\ i: ffiiìiVlì uu... ~.~ ~V u...~ -
c...... Ll,..: implant has achieved ence of connective tissue between the sess the margina! bone loss is with a
primary healing, ab ence of paio un- implant and bone. and suggests clinica! conventional periapical radiograph.
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pnmary subJec1ive crttenon. Pa,n unplant lmplanl ..mobility·· may be as- and d.Js1aJ bonc lo.,.,. ,, ,., .. ù, ...... ,~ , ..,.;
hould noi be a ociated with the im- sessed by computer o r various instru- method. Compu1er-as i tcd ,m... 6 ,
planl after heaJing . When present, il is ments.' b. 17 bui at this point in time analysis and customizcd x-ra; pv.-.-
m re OH n an ,mp vp... I ,wù.!S prv->· u,..._ au.,u UUI.\..U U a.n., uvl uv"'I..A)..,a., J 1.v 4.,
UVI.UUt , " " ' " ''"'' - ' ......, V\o., ut-"-'••va lll"-'U•·
~ ... ~~ .. vuiiA>i'i.::r.:. or pr . ure on the determine clinica! movemenl in a hor- ods of measuring bone loss. 1' but ar~
w l u.>.>ue from the pro thesis. Percus- izontal or vertical direction as being not required for the criteria e tabli hcd
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rr..a·.- be ~cd ~!;~uw.!!\ :~ .:·. ~~~=--: :;-;-.
pla~t p:un o r dtscomfort. Pe rcu ' Sion Ì!, Radìographic CrNtal Bone L.oN
wed for the impact farce Lo the im- The marginai bone around the im- Probi~e, d~p!..'""- ~ ...,~:::! ::..::.': ._ ~
plam. o I for th audible effect asso- plam ere tal relcion is usuaiiv a signif- an e ccliem proven m~an · 1
ciated with integratioo. sually . pain icant indicator of implan1 health. The the pasl and present health o f natural
from the 1mplan1 body doe no i occur leve! of the Cl' tal bonc may be mea- teetb. bui probang depth~ a.round 1m-
-,1J~.,,., ù ~ 1111plant 1 mobile and ur- urcd from the cresta.I position of the plao1 ma be of littJc dmg no 11 ,
rounded by m named u ue or h~ implant at the iniuai implant surgery vaiue. uni ., c... ,p..u, ..... J « •~ •
ngid fixation but impmge The m t common method (in the lj1. (e.g.• radiograpuc raJ.ioluceoc , pu.ruh i
. .... . ..
• • ••- • I
.',~ l't.l SS . R I \AL • NU t'AJl. IO·
L ~1f11 ,t.;vtl V ,m 1r,, , ,lh11, Un, Jtt onlt, r ~pro uct:on t th1s m cl 1s I,
52
e.xudate. bleeding) and/or symptoms probing depth compared with the The ICOI Piu lmplant Quality of
(e.g., di comfort, pain). The benefit of baseline mcasurement may be diag- HNlth Scale
probing the implant sulcus has bcen nostic in a clinical evaluation. The !COI Pisa lmplant Quality of
..,;,~;.....~cù iu ihc literature because Although routine probing healthy Health is based on clinica! evaluation .
ound scientific criteria are lacking. implants on a regular basis seems un- This scale allows the denti t to evalu-
lncreasing probing depth over time warranted. a ba eline measurement ate an irnplant using the listed criteria,
may indicate bone lo s, but not neces- and probing in the presence of other piace il in the appropriate category of
arily indicate disease for an endo teal symptoms and/or signs is indicated. health or disease, and thcn treat the
implant. Stable, rigid. fixated implants As such. in the !COI Pisa Consensus implant accordingly. Three primary
have been reported with pocket depths Criteria, probing depths are not as- categories were established by ~e
rangmg from 2 to 6 mm. Lekholm et se ed in the success or satisfacrory Consensus: ucce s. survival. and fail-
af-0 found that the presence of deep health conditions. but are included in ure. The succe category describes
pockets was not accompanied by ac- the com!)fOrnised survival condition optimum conditions. the survival cat-
celerated marginaJ bone loss. Healthy, egory describes irnplants stili in func-
parually edentulous implant patients tion but not with ideal conditions. and
con istently e.xhibit greater probing Peri-imptant DieNM thc failure of an implant rcpresents an
depths around implants than around implanl thai hould be or already has
Thc term peri-implantitis de-
teeth. been removed. There are 4 implant
scribes the bone loss from bacteria
Probing pressures are subjcctivc. groups to describe the clinical cond1-
around an implant. .JO Peri-implantitis i~
as is tbc angulation of the probe next tions of success. survival. or failure
defined as an inflammalory proces~
to an implant crown. Thc "correct (Table I ).
affecting the tissue around an implant
pressure·· for probing has not been de- Group I represents success and is
fined for implants, but may be Iess in function that has 28
resulted in loss of
considered optimum health conditions.
important than with teeth, bccause supporting bone. Bacteria, on occa- No paio is obscrved with palpation.
there is no connective tissue attach- s1on. may be the primary factor for percussion. or function. No clinica)
mem zone nexl to an implant. The bone loss around an implant. Anaero- implanl mobility is noted in any direc-
potential for damage to the fragile at- bic bacteria have been observed in the tion with loads less than 500 g. Less
tachment or mamng of the implant sulcus of implants. espccially when !han 2.0 mm of radiographically cr-
surface may exist during probing.J On probing depths are greater than 5 esta! bone loss is obscrved compared
the other hand. there i no clinical or mm.n ·:. ::...'1 t.'1e implant insertion surgery.
c:xpenmental evidence upporting this Stre s-induced bone loss (e.g .• The implant has no history of e.xudate.
hypothesis. 2 1 Future re earch in the overloading the bone implant inter- The prognosis of Group I implants i
area of probing is needed before in- face) occUI"S withoul bacteria as the very good 10 e.xceUent.
cluding this as a primary criteria in a primary causative agent. 11 - 34 However. Group II implants are categorized
consensus for success. survival. and/or once the bone loss from stress or bac- as "survival" and have satisfactory
failure. teria deepens the sulcular crevice and bealth. They are stable, but show a
On the other band. charting the decreases the o.xygen tension, anaero-
history of. or potcntial for. clinica!
attachment Jevel in implant permucosal bic bacteria may become the prim3J)
problems. No pain or tendemess il>
areas does aid the dentist in monitor- promoters of the continued bone loss.
observed on palpation. percussion. or
ing these regions. Probing to monitor In other words, the bacleria involved
function . No observable mobilicy ex-
implants has been suggested in several in peri-implatitis may oftentimes be
ists with Ioads less than 500 g. Radio-
implant workshops and position arti- secondary to one of the prime caus-
graphic crestal bone loss is between
cles.22- 25 Suku deptbs greater than 5 ati ve factors, such as overloading the
to 6 mm around implant bave a bone-implant interface.
2.0 and 4.0 mm from the implant in-
greater incidence of anaerobic bacte- sertion. The prognosis is good to very
Exudate or an abscess around an good, depending on the stable condi-
ria16-?ll and may require intervention in
implant indicates cxacerbation of the tion of the cresta! bone.
the presence of inflammation or e.xu-
peri-implanl disease and possible ac- Group III implants are also in the
dale (e.g. . surgcry. an1ibio1ic regi-
.;elcrated bone loss. An exudate per- "survival" category. but exhibit a
mens 1. Probing noi ooly measures
sisting for more than I to 2 weeks slight to moderate peri-implantitis and
pocket depth, but also reveals tissue
con I tency. bleeding, and thc pres- usually warrants surgical revision of compromised health status. Group IU
ence of eJtudate. 29 the peri-implant arca to eliminate implants are characterized by no pai n
lt is of bencfit to probe and esta"· causative elements. The reduced bone in function. No vertical or initial hor-
lis h a baseline meas uremenl after the height. after the exudale episode, izontal mobility is evident. Greater
initial soft tissue hcalfag around the maJce lhe implant more prone to sec- lhan 4 mm radiographi, cresta! booe
permucosat aspect of the implant. ln- uuJary occlusal trauma. Thereforc. the Ioss has occurrcd since implant place-
crease 10 thi baselinc measuremenl dcntist musi reevalua1e stress factors ment. bui bone loss is less than 50%
o ver urne mo I ofren represems mar- iu1 u1e ue w wuy 1.:u11<liuun anù uften from around the implam. Probing
ginai bone lo s. In the prc. ence of must reduce them to improve long- depths have incrcased from basel111c
o ther signs and/o r sy mptoms. 1he term performance. up to one-half the lengtl1 uf ll1c 1111-
p\ant. often accompanied with bleed- S u ~tl\lARY Health Scale specific for endo~tcal im-
ing on probing. Exudate episodes (if plants and included categorics of suc-
Implant success i~ as diffìcult 10
present) m ay ha, e lasted more than 2 dcscribe as the succes~ crileria re- cess. survival. a nd failure. In add1tio n.
weeks. The prog nosis 1s good to quired for a tooth. A range from health lhe~ categories of hcalth may be re-
guarded. dcpending on thc ability to 10 disease exists in both conditions. lated 10 the prognosis of the existing
reduce and contro! stress once the sur- The primary criteria for assessing im- conditio ns.
gical correcllo ns ha\·e improved thc plant. quali1y. o r health are pain and
, oft and hard tissue hcalth. mobilil)'. Tue presence of either one R HERE~ CES
Tue Group IV of the Pisa lmplant greatly comprom1ses the implan1 and
1 Schrnlman PA. Shulrnan LB. Rec -
Hcalth Scale is clmical or absolute removal usually i~ indica1ed. Routine ommendat,ons ot the consensus develop-
tailure . The 1mplant ~ho uld be re- probing dcpths are not suggcsted in menl confereoce on dental 1mplants. J Am
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Neurochirurgia
Con l’ecografia si ha il passaggio di ultrasuoni
Stomatologia
attraverso i tessuti e in maniera non invasiva (quindi
senza raggi ionizzanti) consentono di valutare i tessuti
in base alla loro densità.
In urologia per la litotrissia. Forse questa è la prima applicazione terapeutica degli ultrasuoni con i
quali si bombardano i calcoli renali frammentandoli.
ULTRASUONI IN CHIRURGIA
In alcuni strumenti possiamo sovramodulare la
Caratteristiche tecniche
frequenza per indurre un taglio micrometrico.
micrometri verticalmente
Le vibrazioni sono trasferite alla punta dello
2. Sovramodulazione di frequenza: alla strumento
frequenza tipica dello strumento, tra 24 e 29 Gli inserti chirurgici hanno diverse forme per i
kiloHertz, se ne aggiunge un’altra tra 10 e 60 diversi tipi di taglio.
Hz.
La temperatura delle punte degli inserti è
3. Potenza: 2,8-1,6 W mantenuta più bassa grazie all’irrigazione
continua.
56
bene.
Il campo operatorio è esangue per effetto della cavitazione: all’interno della soluzione salina di
raffreddamento, le vibrazioni alla punta dello strumento determinano delle bolle che implodono su
se stesse creando una piccola onda d’urto che blocca il sanguinamento capillare.
Tutto questo porta sia ad un migliore controllo intra-operatorio sia ad una ridotta morbilità per il
paziente poiché si ha un trauma ridotto, quindi un’infiammazione ridotta. Ad esempio la
piezochirurgia è di elezione per il prelievo dal mento.
Tutti questi vantaggi clinici si traducono in una guarigione ossea migliore come si può notare nei
seguenti studi.
• La guarigione ossea in seguito all’utilizzo degli ultrasuoni è più rapida grazie ad una
condizione estremamente favorevole che riduce o annulla lo stato infiammatorio osseo prima
che inizi la rigenerazione.
• Una analisi istomorfologica, su materiale osseo umano autologo, in vitro, prelevato mediante
chirurgia piezoelettrica, ha evidenziato l’assenza di effetti dannosi sulla vitalità e la
differenziazione cellulare.
• La chirurgia ossea piezoelettrica è più efficiente nella prima fase della guarigione ossea, in
quanto induce un più rapido incremento di BMP-4 e TGF-beta e una maggiore riduzione di
citochine pro-infiammatorie (es. IL-1 e IL-10).
C’è prima una fase infiammatoria, si riassorbimento, poi una fase di rimodellamento,
rigenerazione ossea. La piezochirurgia serve a ridurre la prima fase (quella infiammatoria).
Lo strumento piezoelettrico mantiene la vitalità delle cellule a livello dei frammenti ossei sezionati.
ULTRASUONI IN STOMATOLOGIA
INDICAZIONI PARODONTOLOGIA
Parodontologia
Ablazione del tartaro
Endodonzia
Chirurgia Resettiva
Protesi
Chirurgia Rigenerativa
Chirurgia orale
Allungamento di corona clinica (osteoplastica, osteotomia)
Implantologia
IMPLANTOLOGIA
CHIRURGIA ORALE
Chirurgia del seno mascellare
Estrazione dentaria
Prelievo d’osso
Chirurgia endodontica
Preparazione del sito implantare
Enucleazione di cisti
Corticotomia
Distazione ossea
PER OSTEOTOMIA
•Manina dritta
•Inserto a trombone
•Retrotip
SPLIT CREST
TECNICA
Incisione a spesso parziale per preservare il periostio sull’osso. Molto spesso però la pressione
della fisiologica scolla il periostio.
• incisione mesiale
• incisione distale
La lunghezza in altezza delle ostotomie dipende dall’impianto che dobbiamo utilizzare sempre più
corte (di 2-3 mm) della lunghezza dell’impianto.
58
Negli spazi vuoti, lasciando il periostio sull’osso e non interrompendo completamente la continuità
delle due corticali si forma il coagulo e successivamente il callo osseo.
Altri autori ritengono che, per preservare il riassorbimento della corticale vestibolari, bisogna
posizionare osso autologo od eterologo, di osso particolato.
Per l’APICECTOMIA, il piezo può servire sia per preparare la breccia d’osso (e richiede più tempo)
sia per la preparazione della radice con retrotip.
Possono essere utilizzati anche nella CHIRURGIA ORTOGNATICA nei casi di Lefort1 (le linee
osteotomiche possono essere fatte coi piezo), o nella NEUROCHIRURGIA DEL NERVO
MANDIBOLARE.
Per le CISTI il piezo è lo strumento di elezione per scollarla solo se ci troviamo in corrispondenza
di strutture nobili (es. cisti del seno mascellare o vicina al canale mandibolare).
Si tratta di una tecnica chirurgica che si utilizza laddove, nei settori posteriori mascellari, non è
disponibile un’ adeguata altezza per il posizionamento implantare. Questa mancanza di spazio
può essere dovuta a 2 problemi:
• Perdita dentaria e mancanza di pneumatizzazione del seno mascellare, con abbassamento del
pavimento dello stesso
Per fare il Grande Rialzo del seno è necessario che non ci sia eccessivo riassorbimento crestale,
altresì saranno necessari innesti onlay per aumentarne l’altezza.
2) Tra i 4 e gli 8 mm di cresta residua si predilige intervento di Mini rialzo del seno mascellare il
quale si effettua per via crestale (no botola laterale)
3) il Grande rialzo si fa in caso di altezza ossea inferiore ai 4 mm: qui si parla di approccio laterale
che interessa la parete anterolaterale del seno mascellare, punto d’accesso per fare il grande
rialzo.
59
Dopo l’osteotomia, appena la botola inizia ad essere appena mobile (mobilità non eccessiva in
quanto la membrana deve essere integra e ancora adesa al frammento: se mobile sospetto
rottura membrana) si utilizza l’inserto a trombone per scollare man mano la membrana dalle
pareti ossee, inserendolo per tutto il perimetro della botola.
Una volta scollata la membrana questa botola è molto mobile: potremo quindi mobilizzarla
portandola all’interno del seno mascellare e ribaltarla.
Ribaltandola, questo tassello osseo diventerà il nuovo pavimento del seno mascellare e
portandolo in una posizione più coronale (credo volesse dire apicale) effettueremo il nostro rialzo
del seno.
Al di sotto di questo tassello si inserirà del biomateriale autologo/eterologo o anche nulla, a patto
che per quanto riguarda quest’ultimo caso si mettano impianti contestualmente per garantire il
mantenimento di spazio ed il riformarsi di osso (questo è possibile farlo quando lo spessore osseo
residuo non è deficitario).
L’apice implantare verrà quindi posizionato sotto al tassello, mentre con degli scollatori
manteniamo il tassello stesso per controllare che l’impianto vada a sorreggere la botola senza
danneggiarla, fermandoci appena l’impianto tocca lo strumento.
Per quanto riguarda i materiali da innesto quello che presenta i migliori livelli di predicibilità è
l’osso eterologo a lento riassorbimento, ovvero il BIOSS.
La botola può essere infine ricoperta o con una membrana riassorbibile o con una membrana in
PRF (Platanet Rich Fibrin) oppure con il periostio direttamente.
MINI RIALZO
Incisione in cresta con un taglio di rilascio, creazione del sito implantare, dopodichè si ricorre a
diverse tecniche che permettono attraverso quest’accesso crestale di ottenere un rialzo del seno
mascellare. Tra le varie:
1) Si utilizzano strumenti per scollare la membrana per via crestale es. osteotomi e martelli, che
vanno a creare una frammentazione interna dell’osso che sarà responsabile del successivo
sollevamento membrana.
2) Con strumenti idraulici si sfrutta la pressione dell’acqua che fa scollare la membrana verso
l’alto. Di quanto può essere sollevata la membrana del seno dipende dall’ostio ad antrum, che
però non va mai obliterato. La valutazione della TC è essenziale. (Ostio=Passaggio tra cavità
nasale e seno mascellare, in genere sito ad 1/3 della lunghezza del seno se ho capito bene)Le
sezioni assiali vanno sempre controllate! In quanto potrebbero esserci dei recessi ossei che
impediscono lo scollamento della membrana e anzichè fare 1 botola bisognerebbe farne 2,
una mesiale e una distale al recesso.
60
COMPLICANZE CHIRURGICHE:
• Sinusite;
[Il metronidazolo è uno degli antibiotici di elezione per le infezioni del seno mascellare e potrebbe
essere inserito in combinazione al biomateriale da innesto per prevenire eventuali infezioni]
N.B. Quando creiamo la botola e scolliamo la membrana con l’inserto a trombone, conviene
sempre effettuare la Manovra di Valsalva attraverso la quale vedremo che questo tassello si
muoverà espirando a naso, chiuso grazie alla pressione negativa endosinusale che fa venire
all’infuori la membrana del seno durante la respirazione. Se è danneggiata invece si avvertirà
fuoriuscita dell’aria oltre a mancato movimento del tassello.
2) frattura totale della corticale quando utilizzata in caso di cresta molto sottile.
Tutta la chirurgia piezo in campo odontoiatrico è stata ideata da Tommaso Vercellotti agli inizi del
2000. Per quanto riguarda la preparazione del sito implantare bisogna utilizzare movimenti
dell’inserto molto delicati e ad intermittenza (…) poichè ci sono variabili della strumentazione
piezo che determinano eccessiva pressione e ridotto sanguinamento del sito quali irrigazione
interna ed effetto cavitazione. (quindi mai andare per tutta la lunghezza direttamente con l’inserto)
61
Protocollo classico
PIN DI PARALLELISMO
Strumento conico-cilindrico, viene inserito dalla parte di forma conica e serve per
controllare l’asse iniziale della preparazione
INSERTO OT4
Inserto conico diamantato dal diametro di 2,4 mm, per eeguire, all’interno del solco guida, la
preparazione differenziale dell’alveolo chirurgico, cioè correggere l’asse o ottimizzare la
preparazione, prima dell’inserto finale.
62
Per concludere
Con la strumentazione piezo si parla di
guarigione ossea migliore. stato
infiammatorio minore ed
ULTRAOSTEOINTEGRAZIONE: la stabilità
primaria sarebbe ridotta con la fresa mentre
riducendo la flogosi conseguente alla
strumentazione con il piezo se ne perde
meno.
CONCLUSIONI
Sicurezza
Precisione di taglio
Taglio selettivo
Migliore Visibilità
Minore Danno per l’osso (riduzione della necrosi)
Necessario più tempo
63
Io ho qualcosa come 12 milioni di cosa da fare. Dopo i successi che abbiamo avuto nel collegio dei docenti
di Roma, l’anno prossimo il collegio si farà a Napoli, e siccome io ho la nomea di essere bravo o forse di
essere il più bravo ad organizzare i congressi nazionali e internazionali, credo che sarò molto coinvolto in
questa organizzazione. E se sono molto coinvolto deve essere una cosa roboante, perché io faccio solo cose
roboanti! Nel frattempo a settembre ci sarà il congresso internazionale a napoli, quindi ho molto da fare!
(continua parlando di congressi e di pensione ma penso non sia utile all’esame, per cui vi risparmio)
Oggi parleremo degli innesti ossei, poi faremo un po’ di chirurgia guidata, stereolitografia, poi faremo GBR,
poi gli impianti post estrattivi, poi il seno mascellare, quindi abbiamo ancora molte cose da fare. Anche
perchè non state facendo ancora lezione di parodonto e protesi, allora mi anticipo io.
Oggi parliamo di che cos’è il riassorbimento alveolare e poi parleremo degli innesti ossei. Faremo un
accenno alla GBR che sarà trattata dai colleghi parodontologi.
Voi sapete che sostanzialmente noi abbiamo bisogno di ricostruire l’osso se abbiamo fatto delle estrazioni e
non abbiamo sostituito subito l’elemento estratto. Questo perché, come sapete, l’alveolo esiste in
relazione dell’elemento dentario, quindi perdendo il dente l’alveolo va incontro a riassorbimento.
La socket preservation significa che voi togliete il dente e mettete del materiale all’interno dell’alveolo per
eliminare il problema del riassorbimento.
Tutte e due le tecniche rallentano molto il riassorbimento ma non evitano totalmente il riassorbimento
post-estrattivo. Quindi le tecniche di implantologia immediata o di socket preservation servono a diminuire
talvolta molto significatamente il riassorbimento, ma non di evitarlo totalmente. Una quota di
riassorbimento la avrete comunque, è chiaro che quanto minore sarà la quota di riassorbimento, tanto
maggiore sarà il risultato che avete ottenuto.
Va detto che possiamo parlare di un approccio flap less oppure non flap less.
Flap less significa senza fare un lembo. La chirurgia flap less può essere la post estrattiva o può essere
quella attuata nel caso in cui venga da voi un paziente che ha delle condizioni ottimali, con un buon volume
di osso alla TAC ed ha una buona quota di gengiva aderente. Infatti senza questi requisiti, in particolare la
quota sostanziale di gengiva aderente, il flap less non si può fare. Quindi voi potete decidere di mettere
l’impianto direttamente per via trans mucosa o direttamente appena avete tolto il dente.
La chirurgia flap less è una chirurgia che quando si può fare va fatta, ma ci sono delle condizioni e
tecnicamente è sicuramente più difficile di quella fatta invece con l’approntamento di un lembo. Quindi ci
vogliono delle conoscenze tecniche di impostazione, di selezione del paziente e poi delle capacità tecniche
dell’operatore, perché è un’implantologia più difficile (diversamente da quanto si pensa) dato che si rischia
di fare un sacco di errori e di buttare gli impianti negli spazi laterali delle creste.
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Quando voi fate l’estrazione, avete una guarigione dell’alveolo, avrete l’emorragia e la formazione del
coagulo. Questo è fondamentale, perché poi si stabiliscano tutte quelle fasi fisio-istologiche della
guarigione (quindi della trasformazione del coagulo in tessuto fibroso, fibro - osseo e osseo) e perchè
abbiate poi la guarigione dell’alveolo, nonostante poi inizi un riassorbimento. Entro 72 ore inizia il processo
di epitelizzazione e poi c’è il tessuto di granulazione, appunto di tipo fibroso, e inizia ad invadere il coagulo.
Quindi avete una parte epiteliale, una parte mesenchimale, che concorrono alla guarigione dell’alveolo.
Entro una settimana l’alveolo è riempito di tessuto connettivo immaturo e si comincia a fare del tessuto
osteoide. Che significa tessuto osteoide? Tessuto pre-osseo, ma che non è ancora mineralizzato. A 20 giorni
inizia la mineralizzazione del tessuto osteoide e continua il processo di epitelizzazione. Quello che è
importante fissarvi nella testa è che a 6 settimane, cioè più o meno a 40 giorni, finisce il processo di
epitelizzazione. Cioè che significa? Che voi per vedere un sito postestrattivo completamente chiuso
epiteliarizzato in maniera stabile avete bisogno di 40 giorni. Questo è importante saperlo perché poi tutte
le tecniche di GBR e di innesti ruotano intorno a questo dato dell’epitelizzazione a 40 giorni.
Ovviamente voi avrete un riassorbimento della cresta che va di pari passo a questo processo di guarigione.
E’ un processo che è legato alla legge di Wolff, cioè al fatto che venendo a mancare gli stimoli polifunzionali
l’osso si riassorbe. Come si riassorbe quest’osso post-estrattivo? Non è vero che si riassorbe prima soltanto
orizzontale e poi verticale, il riassorbimento è tridimensionale, ma è molto più spiccato orizzontalmente
rispetto a quello verticale ed è per questo, ad un certo punto, che vi ritroverete delle creste che sono
ancora abbastanza alte (ma c’è stato comunque un riassorbimento verticale), ma strette fino ad avere la
famosa lama di coltello. Quindi ripeto che non c’è solo il riassorbimento orizzontale ma anche quello
verticale, soltanto che è di minore entità.
Questo studio è del mio amico Ugo Covani con un altro mio amico Roberto Cornelini che purtroppo non c’è
più e Antonio Barone, laureato della Federico II, attuale primario della chirurgia orale e dell’implantologia
dell’università di Ginevra. Hanno fatto diversi studi in cui dicono che il riassorbimento crestale è pari al 23%
della cresta nei primi 6 mesi + un ulteriore 11% nei primi due anni. Significa oltre 1/3 nei primi due anni. Per
la verità gli ultimi lavori fatti da Lauge e Botticelli hanno dimostrato che l’entità del riassorbimento è ancora
maggiore, ma diciamo che questo è un range medio.
Quindi abbiamo già detto riassorbimento verticale e orizzontale, chiaramente succede che questo
riassorbimento se va molto avanti va a spessori inferiori ai 4 mm in senso vestibolo linguale, perchè voi
dovete ricordarvi che per mettere un impianto dovete sempre avere almeno 1,5mm da un lato e 1,5 mm
dall’altro per cui se sono tre mm, se va al disotto di 4 voi avete 1 mm a disposizione per mettere un
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impianto, quindi al di sotto di 4 voi sicuramente non potete mettere un impianto standard, si possono
mettere altri tipi di impianto come il “narrow diameter”. Questi sono impianti stretti di cui parleremo al
congresso di settembre, dove parleremo anche delle tecniche mini invasive che sono una cosa molto
importante perché significa avere un’ alternativa di trattamento quando le condizioni non lo
consentirebbero. Questo perché non tutti i pazienti vogliono sottoporti ad interventi invasivi di ricrescita, di
ricostruzione ossea, split crest, innesti e quant’altro e quindi avere l’alternativa che ti consente comunque
di avere una riabilitazione funzionale senza fare quest’interventi. E’ una cosa importante anche perché da la
possibilità al chirurgo implantologo non specialista di poter attuare delle tecniche alternative senza dover
fare per forze delle ricostruzioni ossee.
Altezza inferiore ai 7 mm in senso corono apicale, oggi abbiamo addirittura degli impianti che sono 4 mm in
altezza e 4 mm in spessore, che si chiamano ultra short implants e che sono molto importanti perché vi
consentono di riabilitare delle creste bassissime soprattutto a livello mandibola posteriore. Ricordatevi che
nell’ambito degli interventi di implantologia in genere la zona critica è sempre la zona mandibolare
posteriore, cioè da 4 a 7 posteriore, le selle edentule mandibolari sono le zone più difficili dove si hanno più
facilmente gli insuccessi o dove si hanno più facilmente anche le complicanze tipo nervo o arteria peggio.
Perché si ha questo problema a livello della mandibola posteriore? Per due motivi. Il primo è per il tipo di
osso estremamente compatto con un deficit di vascolarizzazione, cioè quella zona è critica perché c’è un
deficit di vascolarizzazione e quando c’è un deficit di vascolarizzazione c’è un deficit di qualsiasi processo
integrativo osseo, sia esso innesti, sia esso con l’osteointegrazione dell’osso intorno all’impianto. Quindi
deficit vascolare e, in secondo luogo, uno stress biomeccanico. Perché è la zona dove si esercita
maggiormente la funzione masticatoria è proprio quella. Quindi questi due problemi concorrono a far
diventare questa la zona dove più facilmente si può avere il fallimento della terapia impiantare, la zona
critica!
E’ ovvio che quando abbiamo queste situazioni di riassorbimento abbiamo un problema; allora vi accenno
oggi la socket preservation. Perché non mettiamo un impianto immediato? Soprattutto perché manca la
stabilità primaria. Per esempio togliete un sesto superiore, questo sesto ha un alveolo di 11 mm e siete ai
limiti con il seno mascellare, allora voi potreste mettere un impianto immediato di 11,5 mm seguendo
l’altezza dell’alveolo ma non avresti stabilità primaria, perché quando metti un impianto post estrattivo, voi
dovete crearvi una stabilità primaria andando almeno 2 mm oltre l’alveolo. Se non lo potete fare perché
siete ai limiti del seno, potere decidere di fare una tecnica di socket preservation, in modo che quando sarà
guarito voi metterete un impianto standard, della lunghezza che avete, senza andarvi a cercare la stabilità
primaria aldilà. Oppure potete prendere questa scelta anche in altri casi, semplicemente per un fatto vostro
di impostazione filosofica in cui preferite agire sull’alveolo guarito con tecnica di socket preservation invece
di fare una implantologia postestrattiva, che come vedrete pone dei problemi di tecnica e della morfologia
dell’osso che vi trovate.
Allora che fare? Togliete il dente, dopo aver fatto pulizia mettete un materiale che può essere di qualsiasi
tipo, oggi viene suggerito molto il bios, cioè osso di bovino deproteinizzato, io non sono molto d’accordo
perché è un materiale riassorbibile parzialmente. Quindi è vero che vi da l’effetto della guarigione
dell’alveolo, del mantenimento del volume osseo per poi mettere l’impianto dopo 6 mesi, ma siccome
restano le particelle di questo materiale, voi quando mettete l’impianto avrete una diminuzione del Bone
Internal Contact BIC, cioè della quantità di superficie dell’impianto che è integrata con l’osso.
Voglio fermarmi su questo concetto, quando voi mettete l’impianto voi avete il fenomeno di
osteointegrazione, significa che si stabilisce un contatto intimo tra superficie impiantare e osso. Ma voi
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credete che qual è la percentuale di osso che realmente intorno all’impianto si osteointegra? Mai il 100%
ma varia dal 60 al 90 %. Ecco perché la rugosità che si mette negli impianto ha una duplice funzione: quella
di favorire l’osteointegrazione per l’attecchimento delle cellule e quindi di favorire anche la stabilità
primaria contro lo svitamento, ma ha anche la possibilità che voi se una superficie liscia la fare tutta
mammellonata, aumentate la superficie dell’impianto, aumentando la superficie in mm quadrati
dell’impianto, avrete maggiore quantità di superficie osteointegrata e un maggiore BIC.
Io non sono molto d’accordo, preferisco materiali che siano lentamente riassorbibili, ma totalmente
riassorbibili. Chiaramente l’acido polilattico poliglicolico è un materiale estremamente biologico e
riassorbibile, ma troppo velocemente riassorbibile. Per me il beta fosfato tricalcico è un eccellente
riempitivo perché si riassorbe totalmente ma è molto lento e quindi ha caratteristiche migliori. Però è una
mia personale posizione in un panorama mondiale dove ce ne sono altre.
Cosa possiamo mettere all’interno di un alveolo postestrattivo? Osso autologo, osso omologo, osso
eterologo, materiali di sintesi, poi le proteine umane ricombinanti osteogenetiche, che sono le proteine dei
fattori di crescita.
Quando mettete questo materiale, esso rappresenta una barriera che impedisce la migrazione all’interno
del sito delle componenti sia epiteliali che connettivali, perché quando queste si invaginano all’interno,
fanno in modo che l’osso si fermi molto più basso. Quindi avrete una diminuzione della capacità
autorigenerativa dell’osso alveolare. Non solo, ma poi questo materiale rappresenta uno scaffold, una
matrice per la migrazione delle cellule osteoformative all’interno.
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L’implantologia, che voi sapete essere nata nel 1982, alla conferenza di Toronto, dove Branemark si
presentò con questo nuovo concetto di osteointegrazione, che superava quella della fibro osteo
intergazione delle lame che si era avuta fino a quel momento, era ai principi una implantologia
osteointegrata si, ma guidata dalla morfologia dell’osso. Cioè se l’osso era riassorbito si tendeva a mettere
l’impianto che seguiva l’osso e quindi inclinato e poi veniva corretto con gli abutment. Dopodiché c’è stata
una lunga ricerca dove la sfida era mettere gli impianti in maniera corretta anche in pazienti che fossero
stati con osso riassorbito, quindi si è iniziato a parlare di rigenerazione ossea per ovviare a questo problema
della morfologia ossea. Oggi c‘è una nuova filosofia che insieme allo stato dell’arte che è sempre la
ricostruzione dell’osso per poter mettere gli impianti in modo perfetto, c’è un’altra filosofia mini invasiva
che vi consente di mettere gli impianti seguendo la morfologia residua dell’osso riassorbito. Quindi mentre
prima era concesso mettere gli impianti secondo la morfologia d’osso, poi si è detto questo è un errore, noi
dobbiamo ricostruire l’osso per mettere l’impianto bene. Oggi queste due antitesi sono diventate una
sintesi in un piano di trattamento globale dove ci sono due alternative di trattamento a seconda della
richiesta del paziente, della capacità di sottoporsi ad interventi di ricostruzione e delle capacità finanziarie
tra uno stato dell’arte della ricostruzione , degli impianti eccetera e uno stato dell’arte del compromesso
dove si mettono gli impianti inclinati.
Per cui abbiamo cominciato a parlare della implantologia protesicamente guidata, cioè era il protesista che
doveva stabilire dove e come mettere gli impianti. Se non avevate osso adeguato, dovevate ricrearlo con
una rigenerazione guidata dell’osso o con una rigenerazione guidata dei tessuti.
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Quando voi avete una cresta voi dovete metter l’impianto in una posizione giusta. Quella da evitare è
sicuramente quella sinistra dove avrete sicuramente un problema di riassorbimento osseo. Dovete se
possibile metterla nella posizione centrale, ma ancor meglio oggi si utilizza quella a approccio palatale per
rispettare la zona critica del riassorbimento alveolare che è quella sia a livello linguale ma soprattutto a
livello palatale.
Quindi abbiamo la guided bone regeneration, gli impianti immediati, che proprio per il fatto di diminuire il
riassorbimento vengono intesi anche come possibilità di indurre una autorigenerazione nell’alveolo. Poi gli
innesti autologhi, alloplastici eccetera… Dopodiché esistono quelle tecniche alternative alle ricostruzioni
ossee, che non impiegano degli innesti o meglio possono avere dei materiali da innestare, ma non
necessariamente possono essere considerate delle tecniche alternative quali la split crst, l’osteodistrazione,
questi poi li vedremo nelle future lezioni.
Quali sono gli obbiettivi? Aumentare quantità dell’osso, aumentare qualità dell’osso, prevenendo il possibile
riassorbimento secondario e restaurare un’adatta funzione.
Dopo la conferenza del 2007 a Pisa, con la proposta fatta dalla società mediterranea, cioè da me, e dalla
società internazionale , a questi quattro obiettivi si è aggiunta la necessità di avere un risultato estetico.
Oggi voi vedrete che nella vostra pratica, l’estetica è al primo posto nella richiesta del paziente, supera la
funzione. Fatto negativo, perché significa che siamo in un mondo dove l’apparire è più importante
dell’essere, ma questa è la realtà con cui dobbiamo confrontarci. Riguardo l’estetica ognuno di voi ha un
suo pensiero sull’estetica, molti autori hanno cercato di fare, di stabilire dei parametri per l’estetica,
tendenzialmente questo è estremamente difficile se non impossibile. I fratelli Magna avevano fatto questa
serie di parametri che però non erano tutti plausibili, non tutti ottenibili, non tutti controllabili. Quindi
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diciamo che oggi ci fermiamo, ma una lezione sull’estetica la faremo in un secondo momento e ci fermiamo
sui parametri di Coils e Bessel, i quali parlano di un’armonia dei margini gengivali senza bruschi
cambiamenti di altezza e soprattutto della presenza delle papille interdentali, con la chiusura dello spazio
interdentale e il mantenimento della convessità delle arcate. Ecco perché quando abbiamo parlato dei
larghi diametri degli impianti, il largo diametro non vi da la convessità, perché vi da un profilo piatto in
senso laterale del profilo d’emergenza.
Allora voi avete varie possibilità per un lembo d’accesso, dipende da quello che dovete fare.
Se dovete fare un lembo d’accesso per poi mettere un impianto e metterlo a riposo potete scegliere il
lembo d’accesso che volete. Al centro della cresta, vestibolare, palatale e poi fare il cosiddetto
portabagagli. Quando l’impianto va sotto non c’è problema.
Se invece è un impianto one stage di origine o creato, gli impianti one stage sono quelli che non hanno la
doppia, sono trans mucosi, lo mettete già sono trans mucosi ( qua non si esprime al meglio). Questo è
d’origine poi lo potete far diventare voi l’impianto che non sarebbe trans mucoso, trans mucoso. Come?
Mettendo l’impianto che andrebbe coperto e mettendoci la vite di guarigione già sopra, che esce fuori dalla
gengiva, quindi è un impianto che in origine non era one stage ma che lo create voi con questa tecnica di
mettere subito la vite di guarigione. Tra parentesi è quello che io faccio quasi sempre. E’ ovvio che quindi
non avrete grossi problemi quando fate questo lembo d’accesso.
Vediamo questa parte dove a destra vedete che c’è bisogno di fare una “since slip”, nell’immagine che
avete a sinistra si possono mettere degli impianti. In questo caso a destra devo fare un lembo per scoprire e
fare rialzo di seno e aumento laterale dell’osso per cui faccio un taglio crestale ma leggermente palatale,
dopodiché scopro, vedete il fatto che c’è un riassorbimento anche della trasversalità, quindi devo fare un
rialzo del seno ma anche l’aumento laterale di cresta. A quest’epoca facevamo i rialzi del seno con le frese,
oggi lo facciamo con la piezo, per la verità quando voglio fare presto continuo a farlo con le frese, è ovvio
però che con le frese avete più possibilità e quindi facciamo il rialzo di seno, mettiamo il materiale misto
con materiale prelevato con il bone scraper che è il grattino dell’osso e dopo di che riempiamo il seno,
posizioniamo gli impianti e a questo punto dobbiamo anche aumentare la trasversalità perché se no fate
come me al primo rialzo del seno fatto in vita mia nel 1993, 25 anni fa, dove feci un eccellente rialzo del
seno verticale ma feci l’errore di non aumentare da un punto di visto trasversale. Quindi è vero che avevo
creato 15 mm di osso, avevo creato quindi l’altezza, ma avevo problemi a mettere l’impianto perché era
troppo stretto per cui questo è un errore. Per evitare questo errore in quest’altro caso si aumenta anche
vestibolarmente mettendo una membrana riassorbibile anche se ricordate che secondo me ( non tutti sono
d’accordo) quando dovete fare un rialzo della dimensione ossea verticale ci vogliono le membrane
irriassorbibili, quando dovete fare rialzi orizzontali si possono usare le membrane riassorbibili. Non vi fate
prendere in giro dalle case d’implantologia e di ricostruzioni ossee quando vi dicono questa è una nuova
membrana riassorbibile che ha una durata di 6 mesi. E’ una grandissima cazzata e quindi voi facendo
vedere che siete gente che capite dite “lei mi sta prendendo in giro”. La membrana riassorbibile che loro
dicono, mentre prima si riassorbiva facilmente subito, ora con questo nuovo modo di farla a doppia
tessitura sono membrane che resistono di più e quindi hanno un loro potenziale di favorire la risostruzione,
la GBR ecc, ma quando vi dicono 6 mesi è una grande stupidaggine perché significa che da un punto di vista
istologico quando voi andate a prendere quella zona troverete ancora qualche traccia non riassorbita di
membrana. Quindi è vero che resiste nel tempo, ma ha perso la sua funzione di membrana
semipermeabile, cioè non è che fino a 6 mesi ha ancora la funzione, la funzione di membrana riassorbibile
si esaurisce realmente nel primo mese. Quindi è una protezione che va bene per un rialzo orizzontale
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dell’osso ma non per un rialzo verticale. Questo viene poi suturato completamente e questi son gli impianti
messi con il rialzo del seno. Dall’altro lato dove io non devo fare nessuna ricrescita devo mettere gli
impianti che sono trans mucosi. Se devo mettere gli impianti trans mucosi, quindi devo fare l’inserimento in
cresta o se devo mettere degli impianti che non sarebbero trans mucosi ma li voglio rendere io tali
mettendo la vite di guarigione, ho bisogno quando faccio il lembo per aprire e per andare a fare
l’implantologia, di preparare il lembo d’accesso per la plastica che io devo fare intorno agli impianti. Cioè
devo valutare la gengiva aderente, devo fare un intervento che mi consenta di avere una gengiva aderente
anche vestibolare e palatale o vestibolare e linguale se parliamo di giù, e che si adatti bene intorno agli
impianti. Quindi il taglio prima sarà in seguito ad aver deciso come mettere gli impianti in modo da avere
poi una plastica della gengiva perfetta intorno agli impianti perché poi altrimenti farlo in un secondo
momento è difficilissimo. Quindi abbiamo fatto il taglio in cresta, abbiamo messo gli impianti che sono
trans mucosi. Vedete che abbiamo tagliato leggermente pala talmente per spostare la gengiva aderente
vestibolarmente e vedete come l’abbiamo adattata la gengiva aderente intorno agli impianti facendo una
plastica della gengiva aderente intorno agli impianti. Dall’altro lato dovevamo scoprire l’altro impianto del
rialzo di seno, a questo punto facciamo un tipo di lembo per scoprirlo che ci consenta di spostare la gengiva
aderente vestibolarmente e c’è questo disegno di lembo in modo che poi sposto la gengiva aderente
intorno all’impianto che abbiamo scoperto. In modo da avere questa integrazione dei tessuti intorno
all’impianto con una gengiva aderente importante.
Vedete che è diminuita la quantità di rialzo di seno rispetto all’inizio, all’interno? E’ arrivato fino all’apice
dell’impianto, perché se voi avete fatto un corretto rialzo del seno e quindi la funzione del seno è
mantenuta, la funzione pneumatica che ha il seno durante la respirazione tende a spingere verso il basso
l’innesto che avete fatto per cui a quel punto l’osso che era al di sotto dell’impianto è stato spinto e
riassorbito, si è fermato solo quando ha trovato l’impianto che fungeva da stop per quanto riguardava
l’attività pneumatica del seno. Dall’altro lato vedete che avendo fatto una bella plastica quando abbiamo
messo gli impianti sono già perfettamente guariti con la gengiva aderente intorno agli impianti. Poi le fasi
protesiche e guardate il risultato che è molto molto buono. Guardate come ci stanno le papille che hanno
chiuso completamente gli spazi interdentali, quale quantità di gengiva aderente, quale profilo possiamo
ottenere.
Qual è il gold standard per quel che riagurda le rigenerazioni, quindi GBR ma anche innesti? Evidentemente
il gold standard è l’osso autologo, l’osso del paziente stesso. Per la verità non è l’osso autologo da solo ma il
gold standard reale nella GBR ma così come negli innesti è l’associazione tra osso del paziente e materiale
sintetico. Perché l’osso del paziente ha le caratteristiche di osteoconduzione, osteoinduzione,
biocompatibilità. Quindi l’osso auto trapiantato è il migliore, ma l’associazione con un materiale sintetico
ne diminuisce la possibilità di un riassorbimento secondario. Significa che voi prendete l’osso da una parte
intraorale, extraorale, lo mettete la o particolato come GBR o a innesto, voi avrete dopo un certo periodo di
tempo una quota di quest’osso che si riassorbe. Essa varia con le percentuali a seconda dell’innesto che
avete fatto. Se invece lo coprite o lo mischiate con un materiale sintetico, questo diminuisce il
riassorbimento secondario dell’innesto. Ecco perché per me e per moltissimo nel mondo oggi il gold
standard è osso autologo più materiale da innesto sintetico. Abbiamo l’osso di banca, l’osso da cadavere
che oggi in italia è difficilissimo da utilizzare, ci sono delle direttive specifiche. Io l’ho usato tanto avendo dei
buoni risultati, ma anche complicanze ma soprattutto dei riassorbimenti importanti a distanza, quindi l’ho
completamente abbandonato. Poi l’osso bovino deproteinizzato tipo bios, osteobios ecc, materiali sintetici
come idrossiapatite fosfato tricalcico, acido polilattico e poliglicolico ecc ecc. i fattori biologici, le
morfoproteine e poi associazione tra i diversi materiali. Oggi come vedremo si parla anche di
emoconcentrati piastrinici.
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Oggi, come vedremo, si parla tanto di emoconcentrati piastrinici, ma questo ve lo farà il dottore Tia, che
farà una lezione intera.
Quali sono i vantaggi dell’osso autologo? ( Bone graft) La perfetta istocompatibilità, le proprietà
meccaniche e biologiche eccellenti e il riformare la vitalità dell’osso. Gli svantaggi sono che soprattutto in
un osso innestato encondrale o intramembranoso, per esempio l’osso di cresta iliaca, è un osso che si
riassorbe moltissimo, infatti bisogna mettere il 30% in più per opporci al riassorbimento.
Non crediate che oggi sappiamo già tutto per quanto riguarda gli innesti ossei ( slide open questions): Se voi
mettete 10 chirurghi in una stanza e fate a loro queste domande, non avrete una risposta univoca sulla
quasi totalità delle domande e cioè, qual è il sito donatore da preferire ( intraorale, extraorale, da anca, da
mento, zona retro molare, cranio, zona iliaca, costa, tibia); qual è il disegno del lembo che dovete fare con
un innesto osseo, qual è la tecnica di fissazione dell’innesto che dovete scegliere, sono le membrane
necessaria e se necessarie, riassorbibili o non? L’associazione tra biomateriali e innesti di osso, può
aumentare il successo? Quando posizionare gli impianti? Immediatamente quando fate la GBR, dopo
qualche mese? Quando dovete caricare gli impianti? Quanto spesso può essere l’innesto? Cioè se prendete
un innesto di 20mm, è difficile che attecchisca immediatamente e che possa essere perfuso perché talvolta
avete l’apertura, la deiscenza del lembo perché il sito del lembo non riesce a vascolarizzare tutta questa
altezza enorme dell’osso che avete innestato. Infine, come dovete fare a maneggiare l’osso o la GBR anche
da un punto di vista estetico, non solo funzionale, perché è quello che vi viene chiesto dal paziente.
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Questi sono i siti intraorali ed extraorali che utilizziamo nella nostra scuola e cioè la sinfisi mandibolare, il
ramo mandibolare, la regione retro molare ed il tuber maxillae ( intraorali). Per gli extraorali sono la cresta
iliaca, di cui abbiamo oltre 350 casi, calvaria, di cui abbiamo pochi casi perché presenta complicanze, delle
persone hanno perso la vita, ma anche perché nel sud italia è difficilissimo far accettare al paziente il
prelievo di calvaria. A Verona invece ,dove il prof ha studiato, era facile effettuare tali prelievi. A Napoli,
invece, si fidano molto meno. Poi la fibula, che però viene prelevato in pazienti post oncologici.
Per ognuno di questi ci sono dei vantaggi e degli svantaggi . La sinfisi mandibolare era stata completamente
abbandonata, prima dell’introduzione della chirurgia piezoelettrica, perché con le frese avevamo dolore,
gonfiore, deiscenza del lembo, problemi parodontali….Oggi con l’utilizzo della piezo è ritornato
parzialmente in voga, tuttavia non ne potete ricavare una quantità infinita.
Il ramo mandibolare è in voga. Come si fa a fare prelievo dal ramo? Con la piezo si fa un taglio della
corticale fino alla midollare, uno verticale e due laterali e , se possibile, un invito all’interno, per separare
l’osso con lo scalpello, in modo tale da avere un osso corticale non molto spesso da poter utilizzare. Non è
una procedura facile ed è spesso fatto da solo osso corticale, senza osso midollare, però non si riassorbe e
non ha le sequele gravi che invece ha il mento.
La zona retro molare, che talvolta potete prelevare con una fresa carota, è un ottimo osso ma che ha
dimensioni estremamente limitate. E’ una procedura facile di prelievo, senza complicanze post-operazione,
ma di una quantità limitata.
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Per quanto riguarda i prelievi extraorali, questo è un prelievo di cresta iliaca che è l’unico che vi può dare
grandi dimensioni quando ne avete bisogno, ma il problema sostanziale è il fatto che si riassorbe
moltissimo, quindi va messo in eccesso. Ricordate che gli innesti vanno messi A COMPRESSIONE: quando
prendo l’innesto ed ho la vite di fissazione, e lo fisso all’osso ricevente, devo preparare l’osso ricevente
bucando la corticale in modo che esca il sangue e possa nutrire l’innesto; poi non ci deve essere spazio tra
innesto ed osso ricevente, quindi va messo a compressione e, qualora ci sia una differenza morfologica tra
sito ricevente ed innesto, va preparato il sito ricevente in modo che l’innesto possa aderire completamente
a compressione. Terza cosa: gli angoli dell’innesto devono essere modellati, devono essere lisci, non
possono essere acuti perché potrebbero danneggiare il tessuto che lo ricopre. Quindi, o ricoprite gli spazi in
modo che non ci siano questi spigoli, o li rendiamo meno acuti.
Qui vedete un caso di ricostruzione con osso di cresta iliaca, dove notate però, intorno alla vite di
fissazione, uno spazio , significa che c’è già un riassorbimento dell’osso innestato.
Questo invece è dal perone, dalla fibula, con un peduncolo vascolare che viene attaccato alla facciale e , in
casi come questo condrosarcoma, abbiamo tolto mezza mandibola e abbiamo poi messo questa
ricostruzione. Chiaramente è un intervento molto invasivo, il paziente deve portare il gambaletto ingessato
per 1 mese e mezzo.
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La calvaria. Questo è un intervento di 12/13 anni fa, dove abbiamo avuto dei problemi perché non
possiamo avere la stessa quantità della cresta e potete avere delle serie complicanze intra e post
operatorie, perché quando togliete una parte di cranio non c’è rigenerazione dell’osso e quindi resta una
zona di difficoltà perché è priva di osso.
Poi vedete tutta questa serie di complicanze, rare ma serie. E’ difficile , ripeto, avere questo tipo di
complicanze.
Vediamo qualche caso clinico. Quando possibile, dobbiamo fare tutto con l’autarchia cefalica, cioè
prendere tutto dal cavo orale ed in certe occasioni possiamo prendere mento e ramo anche bilaterali, come
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in questo caso dove un paziente ha preso un palo in faccia col motorino. Aveva perso osso sia in senso
vestibolo-palatale che in senso verticale. Qui si vedono entrambi i deficit. Quindi si fa un ampio lembo,
sempre più ampio della zona, prelievo di branca, prelievo di mento, fissazione del mento e della branca per
ottenere ricostruzione, copertura con materiale sintetico per evitare riassorbimento dell’osso, membrane
riassorbibili, anche se a destra per la verità potevamo metterci una non riassorbibile per una necessità
verticale.
Questa è la situazione post-ricostruzione, vedete il materiale innestato non riassorbito, perché è stato
preso dal cavo orale e quindi non si riassorbe, il posizionamento degli impianti con una guida e vedete a
destra ed in basso una buona guarigione.
Andiamo a vedere qualche tecnica, ve le faccio vedere adesso per distinguerle dalla GBR. Questa è una
tecnica di GBR particolare e vedete che potete avere problemi di riassorbimento in zona posteriore ed una
delle tecniche di GBR, è quella di utilizzare delle viti che non affondiamo completamente, ma le lasciamo in
parte non avvitate, per creare un “effetto spazio” perché quando ci mettiamo l’appoggio sulle viti, abbiamo
lo spazio che si crea tra osso e viti (effetto tenda). Quello spazio lo riempite con del materiale in modo che
si formi l’osso. Ricapitoliamo: viti non completamente avvitate, utilizzo di membrana non riassorbibile, lo
spazio viene colmato da osso del paziente grattato con un grattino e Bios, in questo caso, viene appoggiata
la membrana che fa effetto tenda, una sutura senza tensione, quindi bisogna bene allungare i lembi.
Questa si chiama GBR. Viene tolta la membrana e gli impianti vengono messi perfettamente. Vedete la
distanza dal canale e l’osso rigenerato.
Il problema è che per essere onesti, questa tecnica funziona, ma sempre no. E’ legata all’operatore e non è
totalmente predicibile, quindi è meravigliosa quando funziona, ma non sempre funziona.
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Questo è un altro caso di doppio prelievo di mento ed anche qui, grazie alla rigenerazione. È stato fatto in
modo da poter mettere impianti in maniera corretta.
Questa è la tecnica che mi piace di più, ma è la più difficile, si chiama tecnica del sandwich. Quando avete
una mandibola con 5/6 mm di osso, potete fare questa tecnica. Fate il taglio orizzontale e scheletrizzate
lateralmente lasciando la parte superiore adesa, quindi la gengiva adesa all’osso crestale. Staccate quella
parte superiore dell’osso di 4mm con la gengiva adesa, cioè ho fatto questo taglio orizzontale, ho lasciato
questa parte crestale attaccata all’osso, dopodiché taglio qui al di sotto dell’attacco gengivale, prendo un
blocco di materiale ,lo innesto facendo alzare l’osso e la gengiva, fisso l’osso dove sta, la gengiva resta qua
con osso superiore e metto la membrana, questo è il risultato quando vado a riaprire e dove posso mettere
impianti. Si è ricreato osso in parte intermedia.
Qual è il vantaggio di questa tecnica e perché si chiama a sandwich? Che non è un onlay, ma è osso nativo
sopra e sotto, ho fatto il cassetto, e ho spostato l’osso nativo con la gengiva, quindi irrorato, verso l’alto, ho
messo il cassetto di materiale, non importa quale e questo materiale è stato irrorato dall’osso sotto e sopra
l’innesto. La tecnica sandwich è quella in assoluto che da risultati migliori, è la tecnica difficile ma
assolutamente di vostra competenza ( odontoiatri).
Risposta: E se no come fai a tenerla fissa? La fissità è fondamentale, perché se si muove hai tessuto fibroso.
E’ una placchetta malleabile.
Questo è un caso che faccio sempre vedere perché è di un vostro collega che si laureò con una tesi sul suo
caso. Aveva una sindrome di faccia corta con uno schiacciamento del profilo e quindi abbiamo fatto doppio
avanzamento mandibolo-mascellare allungando anche il terzo medio, mettendo cresta iliaca per allungare
il mascellare. Guardate il risultato prima e dopo e come si è trasformato.
Questa era la sua fidanzata, che invece aveva una long face, la quale vedendo il fidanzato, per paura di
perderlo, cosa che succedeva spesso in questi casi, ha chiesto di fare un intervento di tipo diverso.
Accorciare il viso, non male come risultato. Se fanno un figlio probabilmente vengono “normali”,via di
mezzo.
Qui vedete come nei grandi riassorbimenti si modificano le basi ossee, ma si modificano anche i tessuti
molli assumendo aspetto vecchieggiante e c’è una diminuzione dei rapporti nella faccia. Normalmente
dovrebbe essere 40 il terzo medio, 60 terzo inferiore. Quando fate estrazione avete un riassorbimento
osseo che è centripeto al mascellare e centrifugo alla mandibola, e quindi questo vi crea una terza classe
anche in chi aveva una prima classe e avete una diminuzione dell’altezza facciale, con 50 e 50 e non più 40
e 60. Non solo, avrete anche una superficializzazione delle inserzioni muscolari, quindi quando tentate di
fare protesi mobile, questa verrà dislocata dai muscoli.
Guardate questo caso di riassorbimento mandibolare dove è rimasto solo osso basale. Qui apriamo tutto e
prendiamo osso dalla cresta iliaca, lo modelliamo, lo inseriamo a compressione sulla mandibola, riempiamo
gli spazi tra i vari innesti con la midollare e guardate che inclinazione gli abbiamo dato, inclinazione verso
l’interno: significa che va al contrario di come si è riassorbito l’osso. L’osso si è riassorbito centrifugo,
l’innesto lo metto nell’altro senso, in modo da recuperare la classe originaria. Mettiamo osso, facciamo una
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limatina , sutura, quando riapriamo abbiamo gli impianti scoperti con una gengiva aderente, la
protesizzazione, caso finale…( va molto veloce con le immagini, non ci sono foto).
Vedete un anno dopo il carico, nei siti che non avevo trattato, cioè questi posteriori, si ha avuto un
aumento della qualità e dello spessore dell’osso perché abbiamo restaurato la posizione. Questo è il
cambiamento del profilo della signora.
Questo è un altro caso di schiacciamento dovuto a riassorbimento terribile. Abbiamo fatto prelievo di
cranio e tecnica sandwich in zona anteriore mandibolare. Questo è quando abbiamo messo impianti e
questo è un follow up a 9 anni. Vedete quando l’estetica quanto sia migliorata con la riposizione ossea,
oltre che alla funzione. Anche qui, nei siti non trattati è aumentata la quantità e la qualità dell’osso, cosa
che abbiamo visto anche con tecnica dell’ all on four( di cui parleremo in futuro). La chiamiamo self
regeneration function, ovvero dovuto alla funzione.
Qui vediamo split crest, di cui vi ha parlato la dottoressa Gasparro, per cui non ne riparlo.
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L’osteodistrazione, che era quella di tagliare una parte d’osso, legarla ad un apparecchio in bocca, attivata
ogni tanto per farla scivolare verso l’alto in modo che all’interno si facesse l’osso. E’ una tecnica che
abbiamo fatto pochissime volte perché il paziente tiene questa cosa in bocca esterna. Guardate come era
sottile e grazie alla split crest prima e poi attivata grazie ad un apparecchio si è allargata per metterci
impianti…
Questo è un doppio prelievo di cresta iliaca, ma ve ne parlo un’altra volta. ( immagini non pervenute).
Vi faccio vedere quest’ultimo caso con video successivo: qui l’osso c’è, ma la paziente ha una
parodontopatia gravissima e quindi ha perso tutti i denti; l’osso c’è, quindi potreste togliere i denti e
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mettere impianti. Il problema qual è? ( Diamo una serie di risposte sbagliate). La paziente ha una 3 classe
scheletrica, con mandibola molto più avanti del mascellare, se voi mettete impianti, cosa avrete? Se metto
gli impianti qua ( credo inferiormente) come faccio ad avere una corretta occlusione con impianti messi qua
( superiormente) ? Dovrò fare un’estensione della protesi vestibolare per poter chiudere co