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ONJ

OSTEONECROSI DELLE OSSA


MASCELLARI

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Indice

- Storia - 3

- Definizioni - 3

- Patogenesi - 4

▪ “assetto trombofilico” - 5

- Periostite - 5

- Stadiazione - 6

▪ “metabolismo osseo” - 7

- Bifosfonati - 8

- Anticorpi monoclonali - 9

▪ “immunoglobuline” - 9

- Ibridoma - 10

- Denosumab - 11

▪ “recettore RANK”- 12

- Bevacizumab - 13

▪ “fattori angiogenetici” - 13

- Biologia recettoriale e molecolare - 14

▪ Recettori tisonina chinasi - 14

▪ Proteine Ras - 16

▪ Via delle MAPK e PI3-K - 17

▪ Via Jak-Stat - 19

- Anti-tirosinchinasici (Nib): Sunitinib - 21

- Farmaci in oncologia - 23

- Terapia - 26

▪ “SOFA e quick SOFA” - 27

- Clinica - 29

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STORIA
Siamo nel periodo vittoriano a Londra e sono coinvolte le donne Clementina Black e Annie Besant.
Londra ed Europa si uniscono, grazie alle miniere di fosforo inorganico, nel 1845 a Vienna.

➢ Nel 1845 le cause di necrosi delle ossa mascellari erano legate al


fosforo
➢ Nel 2003 ai bifosfonati
➢ Oggi ai farmaci biologici

Il fosforo bianco veniva utilizzato per produrre fiammiferi, per accendere i lampioni nelle grandi città
europee. Una delle più grandi era situata in East London (Bryant e May Match Factory) in cui lavoravano
principalmente donne.
Nel giugno 1888 Clementina Black fece un discorso sul lavoro femminile alla Fabian Society a Londra.
Annie Besant era ad ascoltare e rimase inorridita dalla paga e dalle condizioni a cui erano sottoposte a
lavorare le donne nella fabbrica. Scoprì che le donne lavoravano 14 ore al giorno per meno di 5 scellini a
settimana. Inoltre, intuì che la salute di queste donne lavoratrici era severamente influenzata dal fosforo che
utilizzavano per fare i fiammiferi. Questo gli causava ingiallimento della pelle, perdita di capelli e phossy jaw
(necrosi del mascellare da fosforo). Il lato colpito del volto diveniva verde ed in seguito nero, fuoriusciva pus
ed in seguito morivano.
Il 23 giugno del 1888, Besant scrisse un articolo sul suo giornale “the link” intitolato “Slavery in London”
riguardo questa situazione. I proprietari della fabbrica imposero alle operaie di firmare una dichiarazione in
cui affermavano di essere soddisfatte delle loro condizioni lavorative. Dalle donne che si rifiutarono partì uno
sciopero che coinvolse 1400 donne.
Donald Hunter era il medico della fabbrica, descrisse per primo i casi facendo calchi delle mandibole
necrotizzate ed infettate: mandibola da fosforo (phossy jaw). Si capì che il fosforo inorganico era
assolutamente velenoso e si iniziò ad utilizzare il fosforo rosso che non aveva questo effetto sulla mandibola.

I farmaci che oggi maggiormente causano fenomeni di osteonecrosi delle ossa mascellari sono i
biologici: anticorpi monoclonali o anti-tirosinchinasici.
Le forme di osteonecrosi da bifosfonati (ev) sono quasi scomparse perché tali farmaci sono caduti
in disuso; sono ancora utilizzati quelli assunti per os ma in questo caso i fenomeni osteonecrotici
sono di lieve entità.

Nel 2003 compaiono le prime osteonecrosi da bifosfonati: identiche come aspetto clinico alle
osteonecrosi da fosforo.
Prima del 2003 si parlava di ORN (osteoradionecrosi) dopo irradiazione per tumori di testa e collo
o di casi legati a chemioterapia e/o steroidi. La prima segnalazione spontanea di BRONJ
(Bisphosphonates Related ONJ) è stata ricevuta dalla casa farmaceutica Novartis del dicembre
2002.

• Nel 2013 la definizione di BRONJ era:


evento avverso farmaco-correlato, caratterizzato dalla progressiva distruzione e necrosi
dell’osso mandibolare e/o mascellare nei soggetti esposti al trattamento con bisfosfonati
(in particolare amino-BP), in assenza di pregresso trattamento radiante.

• Nel 2015, con l’utilizzo di nuovi farmaci coinvolti nel metabolismo osseo, la definizione
diventa:
l’ONJ associata a farmaci è un evento avverso farmaco-correlato, caratterizzato dalla
progressiva distruzione e necrosi dell’osso mandibolare e/o mascellare di soggetti esposti
al trattamento con farmaci per cui sia accertato un aumentato rischio di malattia, in
assenza di un pregresso trattamento radiante.

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Aree di osso esposto e necrotico possono rimanere asintomatiche per periodi prolungati di
settimane, mesi o anche anni. Queste lesioni più frequentemente diventano sintomatiche con
l’infiammazione dei tessuti circostanti.
Segni e sintomi possono insorgere prima dello sviluppo di un’osteonecrosi clinicamente
rilevabile e comprendono dolore, mobilità dei denti, gonfiore della mucosa, eritema, ulcerazione,
parestesia o anche anestesia della branca associata nel n. trigemino.
La causa di osteonecrosi è essenzialmente l’infezione, senza infezione l’osso va incontro a
fenomeni di ipovitalità e necrosi parcellare ma il paziente difficilmente diventa sintomatico ed
esposto. L’infezione è legata a malattia parodontale ed in generale agli elementi dentari, per questo
deve essere contrastata efficacemente.
È stato abbandonato il concetto che il trauma possa comportare osteonecrosi; si considerano infatti
come causa scatenante l’ipofunzione ossea e l’infezione.

Ad esempio, tra le seguenti condizioni cliniche:


- elemento dentario (es. 16) con malattia parodontale avanzata, mobilità 2, con un difetto
della forca di terzo grado che persiste in arcata
- un’estrazione dentaria
L’evento che causa maggiormente infezione è decisamente l’elemento con malattia parodontale.
L’estrazione è un atto che può slatentizzare un’ipofunzione ossea, ma il vero motivo
dell’osteonecrosi è l’infezione.

Dagli esami radiografici di pazienti che seguono terapia con bifosfonati, antiangiogenetici,
antitirosinasici o anticorpi monoclonali, si evidenziano
zone di disomogeneità ossea, evidentemente connesse ad
una ipofunzione del turnover in pazienti asintomatici,
come se ci fossero aree di maggior funzionamento e aree
di minore funzionamento.
Si ritiene che l’ipofunzione (non necrosi) a zolle
territoriali delle ossa mascellari sia uno dei fattori iniziali:
questi farmaci, lavorando su osteoclasti, recettori di
membrana o chinasi citoplasmatiche con effetto
antiangiogenetico, danno una modificazione del turnover
osseo con ipofunzione che può essere lieve, moderata,
grave fino ad arrivare a quadri di focolai di necrosi mandibolare in pazienti asintomatici.

Questo è stato evidenziato su un animale da esperimento (Beagle):


“in un modello Beagle con dosi crescenti di bifosfonati, regioni di necrosi della matrice aumentavano in
dimensione e numero inizialmente con nessuna evidenza di infezione o colonizzazione microbica, ma dopo un
certo periodo di tempo l’osso esposto e il tessuto molle circostante sono diventati secondariamente infetti
risultando in un’immagine clinica simile all’osteomielite. Tuttavia, le analisi istologiche di questi campioni
ossei raramente hanno mostrato i criteri richiesti per stabilire una diagnosi di osteomielite acuta o cronica
(istologicamente comprende regioni di osso non vitale con detriti batterici circostanti e infiltrazione di
cellule infiammatorie).”
L’osteonecrosi è un fenomeno esclusivo del nostro territorio: non esiste osteonecrosi da farmaci in
altri territori dell’organismo, fatta eccezione per il
condotto uditivo esterno.
In una revisione della letteratura eseguita nel 2018
sono stati descritti 6 casi di osteonecrosi del condotto
uditivo esterno correlati ad assunzione di bifosfonati.
Uno dei casi presentava osteonecrosi di entrambi i
condotti uditivi esterni dopo solo 20 mesi di
trattamento con alendronato; questo paziente è stato
trattato interrompendo l’assunzione del farmaco e
trattamento topico con rimozione del tessuto necrotico.
La zona in cui viene descritta osteonecrosi del condotto
uditivo esterno presenta periostio ricoperto da una
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sottile mucosa in assenza di sottomucosa; c’è una grossa carica infettiva perché il canale è infetto.
Per cui questa area riproduce le condizioni del cavo orale, dove c’è una barriera sottile, un’alta
carica infettiva e un osso ipofunzionante direttamente a contatto. Probabilmente l’osteonecrosi dei
mascellari da farmaci avviene perché coesistono queste condizioni:
• alta carica infettiva
• barriera sottile
• osso a diretto contatto
• possibilità di ipofunzione per i farmaci
• attraversamento, infezione e precipitazione della patologia

Quando i pazienti giungono alla nostra osservazione presentano: esposizione, dolore, hanno spesso
fenomeni di infiammazione acuta e di infezione che slatentizzano la malattia. Per questo motivo è
fondamentale l’inquadramento del paziente -› l’idea che possa esserci un problema non viene
dall’esame obiettivo del cavo orale, ma dall’esame obiettivo generale del paziente.

È stata descritta in letteratura osteonecrosi legata all’assetto trombofilico del paziente. In


particolare, vengono descritti:
• Pazienti con osteonecrosi idiopatica hanno maggiore probabilità di avere trombofilia
rispetto ai pazienti con osteonecrosi secondaria, questo suggerisce che gli squilibri
coagulativi giocano un ruolo importante nella patogenesi dell’osteonecrosi nel caso in cui
non vengano riconosciuti altri fattori di rischio. In particolare, il rischio trombofilico in
questi casi viene associato a carenza di proteina S e proteina C coagulativa (Livello di
evidenza III, studio caso-controllo)
• Mutazione del fattore V di Leiden nell’osteonecrosi dell’anca
• Osteonecrosi in pazienti con trombofilia e ipofibrinolisi trattati con enoxaparina
(frammento di eparina a basso peso molecolare)

Quindi l’ipofunzione ossea è legata a tante condizioni che possono essere identificate
nell’assunzione di bifosfonati, MAb, Nib, steroidi, all’assetto trombofilico, condizioni metaboliche,
alterazioni ormonali: possono essere singole o coesistere dando ipofunzione, ipofunzione spiccata,
necrosi parcellare o necrosi più ampia, infezione che precipita la necrosi (perché la amplia in
maniera rapida e marcata) e rende il paziente sintomatico.
Presumibilmente, la patogenesi influenza il fenotipo clinico non solo come sede ma anche come
resistenza all’infezione. Inoltre, bisogna tenere presente che il paziente è immunomodificato in
quanto è un paziente oncologico e gli antiangiogenetici hanno effetto anche sulle popolazioni
cellulari immunocompetenti e alcune infezioni batteriche hanno un trofismo vascolare (sono
angiotrope) e quindi hanno un’invasività nei confronti dei vasi ed azione trombofilica (ad es.
Pseudomonas, Klebsiella, alcuni cocchi Gram+ hanno un’attività favorente la trombosi e il danno
vascolare).
Mettendo insieme tutti questi fattori, se non abbiamo le idee chiare sulla patogenesi, si capisce
come sia complicato classificare le osteonecrosi data la loro eterogeneità. Probabilmente la
patogenesi è differente in base al tipo di paziente e al fattore scatenante.

PERIOSTITE
La periostite è l’infiammazione del periostio, sintomi e i segni clinici presentano normalmente
iperestesia, dolore, calore locale e di solito si traduce in necrosi. Nei casi più gravi si presenta
edema localizzato in forma di essudato e tumefazione locale. Nel caso di osteonecrosi della
mandibola si ha ischemia con conseguente periostite.
Focalmente, e in conseguenza della lisi tissutale, sono spesso visibili stravasi emorragici e trombosi
settiche dei vasi. Il materiale necrotico in alcuni casi può fistolizzare all’esterno dell’osso
mascellare, con conseguente periostite, e liberarsi nei tessuti molli della mucosa orale.
La mucosa reagisce alla periostite con eritema: per questo spesso è possibile, attraverso l’attenta
analisi dei tessuti molli, valutare l’estensione dell’infiammazione ossea sottostante.

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STADIAZIONE dell’osteonecrosi dei mascellari

STADIO 0
Sintomi o evidenza radiografica di osteonecrosi
in assenza di segni clinici di esposizione ossea.
Oggi per esposizione ossea si intende anche
osso sondabile o una fistola.
In genere è molto raro riscontrare questo stadio,
in cui l’osso necrotico è chiuso senza
fistolizzazione.
Dalla TAC si evidenzia la zona di sclerosi ossea (visibile anche nel taglio sagittale) e una piccola
zona di periostite.
Ci possono essere dei presunti stadi 0 in cui il paziente è asintomatico ed all’OPT si vede che l’osso
è fioccoso, disomogeneo, sclerotico.
L’osso è ipofunzionante ed é possibile osservare focolai di necrosi.

Sintomi
• Odontalgia non associata a nessuna causa odontoiatrica
• Dolore osseo, al corpo mandibolare che si puó irradiare all’articolazione
temporomandibolare.
• Dolore al seno mascellare che puó essere associato a infiammazione e ispessimento della
parete sinusale
• Alterata funzione neurosensoriale

Segni clinici
• Perdita di denti non associata a malattia parodontale
• Fistola periapicale non associata a necrosi pulpare da carie

Segni radiografici
• Perdita o riassorbimento dell’osso alveolare non associato a malattia parodontale
• Cambiamento del pattern trabecolare - tessuto osseo denso e assenza di rimodellamento nel
sito di estrazione
• Regioni di osteosclerosi a livello dell’osso alveolare e/o osso basale
• Ispessimento del legamento parodontale (ispessimento della lamina dura e riduzione dello
spazio del legamento)

STADIO 1

Osso esposto o fistola in assenza di segni clinici


di infezione. Possono essere presenti evidenze
radiografiche di osteonecrosi dell’osso
alveolare.

STADIO 2
Osso esposto e necrotico o fistola in presenza
di segni clinici di infezione: arrossamento,
tumefazione, secrezione purulenta.
I pazienti presentano un corteo
sintomatologico di un processo infettivo in
atto. Possono essere presenti segni radiografici
a livello dell’osso alveolare.
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Si nota il sequestro che galleggia all’interno dell’area di tessuto di granulazione. Probabilmente il
frammento è mobile, quindi asportandolo si dovrebbe ottenere un ottimo risultato terapeutico.
La terapia è antibiotica congrua a portare il paziente allo stadio 1.

STADIO 3

Osso esposto e necrotico o fistola in


presenza di segni clinici di infezione
e uno o piú delle seguenti
complicanze:

• Estensione dell’osso necrotico esposto al bordo inferiore e ramo mandibolare, seno


mascellare, regione zigomatica
• Frattura patologica
• Fistole cutanee
• Fistole oroantrale
• Osteolisi estesa al bordo inferiore della mandibola o al seno mascellare

METABOLISMO OSSEO
▪ Stimolati dal PTH gli osteoblasti secernono una proteina chiamata RANKL (Receptor Activator of
Nuclear factor KB-Ligand), per la quale i monociti possiedono il recettore specifico RANK.
▪ Questa molecola, prodotta dagli osteoblasti, interagisce quindi con i monociti, inducendoli a
differenziarsi in osteoclasti.
▪ Gli osteoblasti per mitigare l'azione di RANKL secernono un finto recettore solubile, chiamato
osteoprotegerina (OPG), che legandosi a RANKL, ne impedisce l'interazione con il corretto
recettore (RANK) presente sulla superficie dei monociti. L'equilibrio fra la produzione di RANKL,
MCSF e OPG stabilisce il livello di osteoclastogenesi.
▪ L’interazione tra RANK-RANKL e OPG è ritenuta determinante nella regolazione del
riassorbimento osseo. In particolare, il RANK-Ligando,
proteina espressa sugli osteoblasti e che viene attivato dai
linfociti T, si lega al RANK (recettore attivante dell’NF-kB,
presente sugli osteoclasti e su tutte le cellule della linea
monocitaria) portando alla trasduzione di un segnale
diretto all’NF-kB (fattore nucleare di trascrizione che
regola la produzione di molte citochine pro-infiammatorie)
che, a sua volta, induce alla differenziazione, allo sviluppo
e all’attivazione degli osteoclasti.
▪ Successivamente l’unione di più osteoclasti forma una
cellula gigante attiva, la quale provoca assorbimento e
perdita di osso. Per interrompere questo circuito è
necessario bloccare l’interazione del RANKL con il RANK
tramite la OPG, la quale è prodotta dagli stessi osteoblasti.
▪ OPG: è una glicoproteina inibitrice del riassorbimento
osseo importante nella regolazione della degradazione ossea. OPG si lega come recettore “esca” al
RANKL e ne diminuisce la disponibilità per il recettore RANK. OPG, quindi, controbilancia gli
effetti biologici del RANKL.

▪ Le cellule tumorali producono fattori come il GM-CSF, che aumenta la formazione degli
osteoclasti, e il PTHrP che fa aumentare i livelli di RANK ligando e diminuire quelli di OPG (che
bloccherebbe RAKNL)
▪ RANKL induce la differenziazione osteoclastica e la loro formazione con conseguente aumento del
riassorbimento osseo con rilascio di fattori di crescita e calcio che promuovono la crescita
tumorale.

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BIFOSFONATI
Sono molecole stabili, solubili in acqua, analoghi sintetici del pirofosfato inorganico (P-O-P) in cui
l’ossigeno è sostituito da un atomo di carbonio (P-C-P).
La struttura molecolare dei bifosfonati è atta a generare un legame chelante con lo ione calcio
contenuto nell’idrossiapatite ma la capacità di inibire il riassorbimento osseo non è proporzionale
all’affinità con il calcio; una maggiore potenza è stata ottenuta inserendo in R2 la catena alchilica,
gruppo amminico primario e terziario (con struttura ad anello).
Legano le strutture cristalline dell’osso ed hanno tossicità diretta o indiretta sugli osteoclasti
mandandoli in apoptosi.
Mancando la capacità di turnover dell’osso esso va incontro a necrosi, infezione ed esposizione.
I bifosfonati si dividono in due grandi classi:
▪ Amino-bifosfonati: alendronato (emivita oltre 10 anni), zolendronato
inibiscono il pathway del mevalonato attraverso l’inibizione della farnesil-
pirofosfatasi sintasi; il blocco di tale via fa sì che non vengano sintetizzati alcuni
metaboliti (farnesil pirofosfato e geranil pirofosfato) essenziali per consentire la
modificazione post-traduzionale (prenilazione) del proto-oncogene H-Ras e di
piccole proteine G.
Senza la prenilazione, Ras e proteine analoghe non possono ancorarsi alla
membrana cellulare per stimolare le MAPKs. Tutto ciò interferisce nella
trasmissione dei segnali cellulari richiesti per la proliferazione, comportando
alterazioni morfologiche e morte per apoptosi.
▪ Non amino-bifosfonati: clodronato, induce morte diretta degli osteoclasti
vengono metabolicamente incorporati negli osteoclasti come analoghi non
idrolizzabili dell’ATP e ne provocano deficit funzionale per esaurimento
energetico.
Dosaggi e persistenza di alcuni bifosfonati:
Clodronato: dose singola 900-1500 mg/die (in 4
ore) o in dose di 300-500 mg/die per 5 giorni
consecutivi: persistente per 2 settimane
Pamidronato: dose singola 90 mg in 2 ore:
persistente per 4 settimane
Ibandronato: dose singola 4-6 mg in 1-2 ore:
persistente per 18-26 giorni
Zolendronato: dose singola 4 mg in 15 minuti:
persistente per 4 settimane. Nei pazienti oncologici
metastatici rende l’osso resistente alla progressione
metastatica dei carcinomi con secondarismi ossei come mammella e prostata, polmone, colon retto,
rene o tumori ematologici con localizzazione ossea (mieloma).
Attività dei bisfosfonati:
▪ Inibizione della formazione, migrazione e attività degli osteoclasti
▪ Promozione dell’apoptosi osteoclastica
▪ Modulazione del segnale osteoblasti-osteoclasti
▪ Inibizione apoptosi degli osteoblasti
▪ Rilascio locale in corso di riassorbimento osseo
▪ Concentrazione nella componente ossea neoformata
Effetti sul turnover osseo:
▪ Rallentamento globale del turnover osseo fino a sopprimerlo in caso di uso prolungato
▪ Riduzione drastica della capacità di rimaneggiare e riparare la struttura ossea in caso di
infezioni o traumi
▪ La somministrazione prolungata influenza l’architettura scheletrica rendendo l’osso più
mineralizzato e duro, quindi fragile
Farmacocinetica dei bifosfonati:
▪ 70% della quota assorbita è eliminata per via renale ed il 30% viene depositata nell’osso
▪ Sono rapidamente eliminati dal plasma (1h) ma possono persistere nell’osso per tutta la
vita del paziente

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ANTICORPI MONOCLONALI

Le terapie target si utilizzano in oncologia ed immunologia molecolare: sono farmaci con


derivazione biologica, molto selettivi e diretti verso un recettore o una proteina ben precisa.
Non lavorano ad ampio spettro come i farmaci convenzionali come, ad esempio, il trattamento con
chemioterapico prevede un antiblastico che è un agente alchilante che va a lavorare sul DNA di
tutte le cellule.

Le categorie di farmaci biologici raggruppano principalmente 2 classi:


- MAb monoclonal antibody: sono immunoglobuline appartenenti alla classe delle IgG;
lavorano al di fuori della membrana citoplasmatica sulla componente recettoriale di membrana che
riconosce il ligando o direttamente sui ligandi
- NIB inibitore delle tirosin chinasi: molecole proteiche che agiscono in maniera non
competitiva, impedendo l’attività tirosin-chinasica; lavorano all’interno del citoplasma bloccando
la trasduzione del segnale; grazie alla loro struttura e dimensione hanno buona diffusione
intracellulare, tramite trasporto attivo o passivo; agiscono sulle cascate di tirosinchinasi che
trasportano il messaggio dai recettori di membrana al nucleo e quindi sulla cascata chinasica che
man mano trasmette il segnale fino al nucleo; in genere attivano la proliferazione cellulare,
endoteliale, linfocitaria, epiteliale, attiva differenziazione, sintesi proteica, angiogenesi.

I MAb sono anticorpi ad alta affinità che legano l’epitopo dell’antigene, in questo caso una tirosin
chinasi recettoriale in membrana. Sono creati in maniera identica alle cellule immunitarie come
cloni di un’unica cellula. Possono avere affinità monovalente in modo da legare lo stesso epitopo,
cioè la porzione di antigene che reagisce con i recettori presenti sui linfociti o con gli anticorpi.

Gli anticorpi (immunoglobuline) sono formati da 2 catene leggere (più corte) e da 2 catene pesanti
(catene proteiche) che si associano fra loro.

Le catene sono costituite da più domini e, tra


le varie tipologie di immunoglobuline, può
variare il numero di domini delle catene
pesanti.
Le catene leggere e le catene pesanti stanno
insieme grazie a dei legami intercatena
mentre le due catene pesanti son invece legate tramite un ponte disolfuro.
Solo alcuni domini entrano in contatto con l’antigene mentre quelli che non entrano in contatto con
l’antigene sono fissi e sono detti domini costanti.
Sia le catene leggere che quelle pesanti hanno un solo dominio variabile che viene chiamato
rispettivamente VL e VH. Le regioni variabili dell’anticorpo, che entrano in contatto con
l’antigene, sono dette Fab.
Le regioni costanti sono dette Fc (dette cristallizzabili perché in presenza di enzimi, come la
pepsina, si stacca dalla porzione Fab e cristallizza in vitro).
Le IgG sono coinvolte nella risposta umorale e rappresentano il 70% delle Ig sieriche. Hanno
diverse funzioni:
▪ Opsonizzazione: quando un anticorpo prende contatto con l’antigene presente su un
batterio si dice che il batterio è opsonizzato, cioè può essere riconosciuto dal macrofago
▪ Neutralizzazione di microbi e tossine
▪ Attivazione del complemento
▪ Attraversamento della placenta

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➢ Molti anticorpi monoclonali utilizzano le
regioni variabili per determinare un effetto
diretto sul loro obiettivo biologico. Gli effetti
diretti possono essere determinati dal legame
con: recettori posti sulla superficie cellulare,
proteine legate o associate alle membrane,
fattori di crescita, proteine circolanti.
➢ Altri mab, dopo aver legato l’antigene con
il frammento Fab, agiscono in modo indiretto
attraverso il frammento Fc. In questo caso l’anticorpo si lega alla cellula bersaglio e
recluta cellule effettrici con la capacità di espletare una citotossicità cellulare anticorpo-
dipendente oppure cellule in grado di effettuare la fagocitosi come le cellule natural killer
e i monociti/ macrofagi. La fagocitosi è il processo con cui le cellule inglobano al loro
interno il materiale da eliminare e poi lo degradano utilizzando enzimi specifici.
➢ Oppure l’anticorpo, dopo aver legato l’antigene, può attivare una cascata enzimatica,
denominata complemento, che determina la morte della cellula bersaglio.

IBRIDOMA
Il metodo di produzione di anticorpi monoclonali comporta:
1) la fusione cellulare, o ibridizzazione cellulare somatica, fra un linfocita B normale che
secerne anticorpi ed una linea di mieloma: ibridoma
2) la selezione delle cellule fuse, al fine di isolare linee che producano anticorpi della
specificità desiderata, derivata dal linfocita B normale
I reagenti per la produzione di ibridomi sono:
• linfociti sensibilizzati per l'antigene verso cui devono essere diretti gli anticorpi
monoclonali
• linee di mieloma difettive nell'enzima ipoxantina-guanina fosforibosil-transferasi (HGPRT,
hypoxanthine-guanine phosphoribosyltransferase)
• terreno selettivo HAT (hypoxanthine-aminopterin-thymidine) contenente aminopterina che
blocca la produzione endogena dei nucleotidi stessi in assenza dell’enzima HGPRT

Procedura:
• si espongono topi all'antigene di interesse cercando
di ottenere una risposta intensa
• si isolano i linfociti dalla milza dell'animale
• i linfociti si fondono con cellule di mieloma
HPRGT difettive (la funzione primaria della
HGPRTasi è di recuperare le purine dal DNA
degradato per reintrodurle nelle vie sintetiche
puriniche. In questo ruolo, catalizza la reazione fra
guanina e fosforibosil pirofosfato per formare
guanosina monofosfato)
• si coltiva in vitro il prodotto della fusione per 10-
14 giorni in mezzo HAT
• le cellule di mieloma non fuse muoiono perché incapaci di sintetizzare nucleotidi e
coltivate in un mezzo carente di essi
• le cellule fuse (ibridate) sopravvivono perché possono fabbricare nucleotidi (il gene viene
dai linfociti immunizzati) e sono immortali (assetto genetico proveniente dal mieloma)
• dalla miscela di cellule ibridate vengono selezionate quelle producenti anticorpi contro
l'antigene voluto e si arriva ad avere singoli cloni producenti anticorpi formati da cellule
derivate da un unico ibrido
• L'ibridoma viene amplificato in vitro e utilizzato per la produzione di anticorpi
monoclonali.

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Si possono anche generare anticorpi monoclonali umanizzati, soprattutto per la somministrazione
in vivo a pazienti, sviluppando come partner di fusione linee di mielomi umani. È regola generale
che la stabilità degli ibridi è bassa se vengono fuse cellule distanti fra loro nella scala filogenetica, e
questo è verosimilmente il motivo per cui linfociti B umani non generano con buona efficienza
ibridomi con linee di mieloma murino. Anche gli ibridomi uomo-uomo sono piuttosto instabili e
solo una piccola parte della molecola anticorpale è responsabile del legame con l’antigene.
L’organizzazione strutturale degli anticorpi permette di "incastonare" i segmenti di DNA che
codificano per la regione di legame con l'antigene di un anticorpo monoclonale in un cDNA che
codifica per una proteina mielomatosa umana, così da creare un gene ibrido. Quando viene
espressa, la proteina ibrida che risulta dalla fusione dei due geni, e che mantiene la specificità
antigenica, viene definita anticorpo umanizzato. Gli anticorpi umanizzati costituiscono una
strategia alternativa per produrre anticorpi monoclonali che possono essere somministrati senza
effetti indesiderati ai pazienti.

Ci possono essere percentuali diverse di parti murine ed umane; oggi abbiamo la possibilità di
avere anticorpi umanizzati con tecniche di laboratorio. Quelli umani ci permettono di avere una
riduzione degli effetti collaterali ma hanno un costo maggiore quindi vanno utilizzati solo come
seconda opzione dopo i murini.
In base alle desinenze dell’anticorpo monoclonale si
possono sapere le quantità di parte umana e di parte
murina:
• MAB: desinenza comune a tutti gli anticorpi
monoclonali; se è presente solo tale desinenza si tratta
di un Mab complentamente murino
• XIMAB: 34% murino; esempio: infliXIMAB -
anticorpo monoclonale che agisce contro il recettore
del TNF-alpha,
• ZUMAB: 5-10% murino; esempio: trastuZUMAB - contro ERB recettore affine alla
crescita epiteliale utilizzato nel K della mammella e del polmone
• UMAB: completamente umanizzato - denosUMAB.
Esempio: utilizziamo Rituximab come anticorpo anti CD20 nelle malattie bollose (murino al 34%)
e, se dovessero esserci problemi, si può sostituire con Ofatumumab oppure Obitunuzumab che sono
umanizzati e danno meno effetti collaterali- la percentuale murina inoltre crea una quota di
inattività a causa della formazione di anticorpi anti-rituximab nel paziente che può quindi avere
una ridotta efficacia del farmaco. Dato che non è possibile prevedere l’antigenicità dell’anticorpo
nei pazienti, non possiamo decidere a priori di utilizzare un monoclonale umanizzato prima di fare
il murino;

DENOSUMAB

Negli ultimi anni l’utilizzo di bifosfonati si è ridotto a


favore degli anticorpi monoclonali, tra tutti il
DENOSUMAB specifico per contrastare la lisi ossea nelle
forme severe di osteoporosi.

➢ Denosumab è un anticorpo monoclonale


completamente umano di isotipo IgG2 con elevata
specificità ed affinità per il RANKL.
Legandosi al RANKL, denosumab mima l’azione dell’OPG, impedendo al ligando di
raggiungere il proprio recettore RANK sulla superficie degli osteoclasti, ed inibendo di
conseguenza l’osteoclastogenesi e la funzione degli osteoclasti maturi, oltre ad aumentarne
l’apoptosi. Bloccando questo recettore si bloccano catene citoplasmatiche che portano alla
sopravvivenza e alla riproduzione della cellula: va incontro a blocco per immobilizzazione
ed apoptosi.
11
➢ Attraverso queste molteplici azioni denosumab inibisce il riassorbimento osseo e trova
quindi una potenziale applicazione terapeutica in tutte quelle condizioni caratterizzate da
aumentato riassorbimento osseo, come nel caso dell’osteoporosi postmenopausale.
L’effetto biologico persiste finché denosumab è presente in concentrazioni adeguate e
appare totalmente reversibile dopo la sospensione del trattamento.

Formulazioni farmaceutiche:
• XGEVA pz oncologico: 120 mg ogni 28 giorni -› maggiormente associato a fenomeni di
osteonecrosi
• PROLIA pz osteoporotico: 60 mg ogni 6 mesi

RANK è un recettore di morte,


extracellulare, perché appartiene alla
superfamiglia dei recettori TNF
(TNFRSF) e Toll/IL-1 family

➢ TNFRSF è caratterizzata
dall’abilità di legare il TNFs attraverso
i domini di cisteina extracellulari.
Nella loro forma attiva tali recettori
formano complessi trimerici a livello
della membrana plasmatica.
➢ Molti TNFr contengono domini
transmembrana, altri possono essere
clivati in forme solubili (TNFR1).

➢ Tali recettori usufruiscono di proteine per il signaling intracellulare quali TRADD, TRAF,
RIP e FADD.
Sono recettori primariamente coinvolti nei fenomeni di apoptosi ed infiammazione ma prendono
parte anche nei pathway di proliferazione, sopravvivenza, differenziazione.
I TNF receptors sono espressi in molti tessuti ed in particolare a livello dei leucociti.
➢ Della superfamiglia assumono un valore di recettori di morte quelli che contengono i
domini di morte cioè TNFR1, Fas receptor, DR4/5: ruolo nell’apoptosi.

Il blocco di RANK blocca la cascata citoplasmatica delle tirosinchinasi, inizialmente delle vie
JAK-STAT e del fosfatidil inositolo con blocco metabolico da parte dell’osteoclasta stesso.

In foto si osserva non un osteoclasta ma una cellula


tumorale perché si è visto che RANK ha un ruolo
anche sulla proliferazione oncologica e l’effetto di
denosumab sul blocco della progessione biologica si
ha, quindi, per:

1- il rinforzo della struttura ossea


2- il coinvolgimento di RANK e RANK-L nei
processi di differenziazione cellulare della cellula
neoplastica –› effetto antitumorale diretto

12
BEVACIZUMAB
Tra il 2008 e il 2010 sono stati descritti 4 casi di onj da bevacizumab in pazienti con k mammario
metastatico trattati solo con bevacizumab senza storia di utilizzo di bifosfonati. Alcuni studi hanno
valutato il rischio di osteonecrosi anche in pazienti trattati con terapia combinata BPs e
bevacizumab.

Bevacizumab, in commercio con il nome di


Avastin, è un farmaco che blocca la crescita di
nuovi vasi sanguigni (angiogenesi).
Lavora su recettore delle VEGF quindi è un anti-
angiogenetico e si utilizza nel mantenimento dei
tumori solidi (colon retto, polmone, rene o malattie
oculari). Ad esempio, nel caso di k del colon si
effettua generalmente chirurgia, chemio/radio
convenzionale e successivo mantenimento con
anticorpi monoclonali.

È stato ipotizzato che bevacizumab provochi compromissione dell’integrità microvasale del


mascellare con conseguente compromissione subclinica dell’osso, causando fallimento nel riparo
di eventuali microtraumi all’interno della cavità orale.
[Anche i BPs sembrano avere un effetto antiangiogenetico -› Vincenzi et al hanno studiato un
decremento dei livelli di VEGF circolante dopo somministrazione di amino- BPs.]
Non esistono parametri ematologici che ci indicano l’attività anti-angiogenetica del farmaco nel
paziente.

FATTORI ANGIOGENETICI

Tutti i membri della famiglia VEGF stimolano risposte


cellulari legandosi ai recettori tirosin-chinasici sulla
superficie cellulare, forzandone la dimerizzazione e
l'attivazione tramite transfosforilazione.
.
Il VEGF è analogo al PDGF (su cui lavorano i nib) fattori
importanti per l’angiogenesi.
PDGF: presenta inoltre alcune importanti e peculiari
caratteristiche proprie del fattore di crescita.
Queste caratteristiche sono principalmente:
▪ la chemiotatticità: i fattori di crescita hanno la
capacità di richiamare determinate cellule a migrare verso determinati parti del tessuto
▪ capacità proliferativa: i fattori di crescita (che frequentemente nelle colture cellulari
vengono sostituiti da siero per espletare questo compito) sono in grado di far proliferare
determinate cellule in determinate parti di un tessuto.

Le VEGF-A hanno funzione di:


- Angiogenesi
- ↑ migrazione e mitosi delle cellule
endoteliali
- ↑ stimolazione dell'attività metano-
monoossigenasi
- Creazione del lume dei vasi sanguigni
- Creazione di fenestrazioni nei capillari
- Chemiotassi di macrofagi e granulociti:
mantenere il funzionamento delle difese
immunitarie dell’organismo:
- Vasodilatazione (mediante il rilascio di ossido nitrico)

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I recettori del VEGF sono espressi sulla superficie dei macrofagi e dei monociti, i loro precursori
sono responsabili di sopravvivenza, differenziazione, proliferazione.
Bloccando il pathway delle VEGF, gli anti-angiogenetici, causano riduzione del numero e
dell’attività dei
macrofagi,
determinando un
aumentato rischio di
infezioni con
conseguente necrosi
tissutale.
Gli anti-angiogenetici
lavorano anche sulle
cellule
immunocompetenti
quindi il paziente che
assume bevacizumab
ha anche compartecipazione del farmaco a livello immunologico ed è più esposto ad infezione.
Inoltre, l’effetto anti-angiogenetico da un trofismo minore alle mucose e quindi un ritardo nella
guarigione del sito chirurgico o danneggiato, sanguinamento delle mucose, glossite migrante
benigna.

BIOLOGIA RECETTORALE e MOLECOLARE

I recettori collegati ad enzimi sono, come i recettori accoppiati a G protein, proteine


transmembrana con il loro dominio che lega il ligando sulla superficie esterna della membrana
plasmatica; il loro dominio citosolico ha attività enzimatica intrinseca o si associa direttamente ad
un enzima. Hanno un solo dominio transmembrana e si dividono in sei classi:
1. Recettori tirosin-chinasi: fosforilano specifiche tirosine su una piccola serie di proteine di
segnalazione intracellulare
2. Recettori associati a tirosina chinasi: si associano a proteine intracellulari con attività TK
3. Tirosina fosfatasi simili a recettori: rimuovono un gruppo fosfato dalle tirosine di proteine
di segnalazione specifiche
4. Serin-treonin chinasi recettoriali: fosforilano serine o treonine specifiche su proteine
associate latenti che regolano geni
5. Recettori guanilico ciclasi: catalizzano direttamente la produzione di GMP ciclico nel
citosol
6. Recettori associati a istidina chinasi: attivano una via di segnalazione a due componenti in
cui la chinasi fosforila se stessa su istidina e trasferisce il fosfato ad una seconda proteina
di segnalazione intracellulare

I RECETTORI TIROSINA CHINASI ATTIVATI (RTKs) -› fosforilano se stessi


Le proteine segnale extracellulari che agiscono su RTKs consistono in fattori di crescita ed ormoni:
• Epidermal growth factor (EGF): stimola la proliferazione di vari tipi cellulari
• Platelet-derived growth factor (PDGF): stimola sopravvivenza, crescita e proliferazione di
alcuni tipi cellulari
• Fibroblast growth fac-tors (FGFs): stimola proliferazione di vari tipi cellulari; inibisce il
differenziamento di alcune cellule precursori
• Hepatocyte growth factor (HGF)
• Insulin: stimola l’utilizzo di carboidrati e in sintesi proteica

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• Insulin like growth factor-1 (IGF1): stimola
crescita e sopravvivenza cellulare
• Vascular endothelial growth factor (VEGF):
stimola l’angiogenesi
• Macrophage-colony-stimulat-ing factor (M-CSF):
stimola proliferazione e differenziazione di
monociti/macrofagi
• Nerve growth factor (NGF): stimola sopravvivenza
e crescita di alcuni neuroni

Le tirosin-chinasi recettoriali più numerose sono i


recettori Eph; le efrine regolano l’adesione e la
repulsione cellulare durante lo sviluppo animale.

I recettori tirosin chinasici presentano:


• una componente esterna che lega un
ligando
• la componente trans-membrana
• una coda intra-citoplasmatica COH
terminale ad attività tirosin chinasica

L’attacco di una proteina segnale al dominio che lega il ligando all’esterno della cellula attiva il
dominio tirosina chinasi intracellulare. Una volta attivato, il dominio chinasi trasferisce un gruppo
fosfato da ATP a catene laterali di tirosine selezionate, sia sui recettori stessi che su proteine di
segnalazione intracellulare che successivamente si legano a recettori fosforilati. L’attacco del
ligando extracellulare attiva il dominio chinasico attraverso la formazione di un dimero: il
riarrangiamento rende i domini tirosina chinasi confinanti capaci di fosforilarsi a vicenda su
tirosine multiple attraverso autofosforilazione. Per attivare un recettore TK il ligando deve in
genere legarsi simultaneamente a due catene recettoriali adiacenti. Appartengono alla classe dei
recettori di morte TNf (o toll-like receptor se sono caratteristici in alcune popolazioni cellulari
come le cellule ematologiche della serie bianca del sangue).

Le tirosine fosforilate servono da siti di attracco per proteine


con domini SH2: una grande serie di proteine di segnalazione
intracellulare può legarsi alle fosfotirosine su recettori TK
attivati per aiutare a trasmettere il segnale più avanti.
Le proteine di segnalazione intracellulare che legano
fosfotirosine su recettori TK attivati e su proteine di attracco
hanno in comune domini di legame altamente conservati come
i domini SH2 o domini PTB. Riconoscendo tirosine fosforilate
specifiche, questi piccoli domini servono da moduli che
rendono le proteine che li contengono capaci di legarsi a
recettori tirosina chinasi attivati, oltre che a molte altre proteine di segnalazione intracellulare che
sono state temporaneamente fosforilate su tirosine. Molte proteine di segnalazione contengono
anche altri moduli proteici che permettono loro di interagire specificamente con altre proteine
durante il processo di segnalazione. Questi comprendono il dominio SH3 che si lega a motivi
ricchi di prolina di proteine intracellulari. Alcune proteine che legano questi domini SH agiscono
facendo un feedback negativo catalizzando la coniugazione del recettore con ubiquitina: questa
ubiquitinazione promuove l’internalizzazione e la degradazione dei recettori (down-regolazione).

15
Questo disegno raffigura il legame di proteine di
segnalazione intracellulare che contengono SH2
ad un recettore attivato al PDGF: ci sono cinque
siti di autofosforilazione in tirosina (tre nella
regione inserto della chinasi e due della coda C-
terminale) a cui le tre proteine di segnalazione si
legano.

Alcune proteine di segnalazione contengono


quasi interamente domini SH2 e SH3 e funzionano come adattatori per accoppiare proteine
fosforilate su tirosina ad altre proteine che non hanno domini SH2 propri: aiutano quindi ad
accoppiare recettori attivati alla proteina di segnalazione Ras che agisce da trasduttore.

Le proteine Ras appartengono alla superfamiglia Ras di GTPasi monomeriche che contengono
anche altre due sottofamiglie:
• la famiglia Rho, coinvolta nella trasmissione di segnali da recettori di superficie al
citoscheletro di actina
• la famiglia Rhab, coinvolta nella regolazione del traffico di vescicole di trasporto
intracellulare.
Le proteine Ras contengono un gruppo lipidico legato covalentemente che aiuta ad ancorare la
proteina a una membrana.
Ras aiuta a trasmettere segnali dalla superficie cellulare ad altre parti della cellula ed è spesso
necessaria quando recettori TK segnalano al nucleo di stimolare la proliferazione o il
differenziamento cellulare alterando l’espressione genica. Se la funzione di Ras è inibita dalla
microiniezione di anticorpi anti-Ras o da una forma mutante di Ras, le risposte proliferative o
differenziative indotte normalmente dal recettore non avvengono normalmente. Oggi sappiamo che
circa il 30% dei tumori umani hanno una mutazione iperattiva di Ras.

Ras funziona come un interruttore alternando fra due


stati conformazionali distinti: attivo quando è legato a
GTP e inattivo quando è legato a GDP. Due classi di
proteine di segnalazione regolano l’attività di Ras
influenzandone la transizione fra lo stato attivo e
quello inattivo:
• I fattori di scambio del nucleotide guanilico
(GEF): stimolano la dissociazione di GDP e la
successiva assunzione di GTP dal citosol, attivando
così Ras
• Le proteine che attivano la GTPasi (GAP):
aumentano la velocità di idrolisi del GTP legato da parte di Ras, inattivandolo

Forme mutanti iperattive di Ras sono resistenti alla stimolazione della GTPasi mediata da GAP e
sono bloccate permanentemente nello stato attivo legato a GTP: per cui promuovono lo sviluppo
del cancro.
Non esistono farmaci capaci di bloccare Ras ma si possono bloccare a valle MEK o ERK, oppure
mTOR per bloccare anche la via del PI3K.

16
I recettori TK possono attivare Ras:
• Attivando una GEF: le GEF si attaccano solo indirettamente (spostando Ras nel suo stato
attivo)
• Inibendo una GAP: alcune GAP si legano direttamente (tramite i loro domini SH2) per
attivare i recettori TK
La perdita di funzione di una GEF specifica per Ras ha un effetto simile alla perdita di funzione di
Ras.

VIE DELLE MAPK E PI3-K


Ci sono proteine adattatrici che collegano i
recettori TK a Ras, come Grb2 che si lega:
• tramite il suo dominio SH2 a fosfotirosine
specifiche su recettori TK attivati
• con il suo dominio SH3 a motivi ricchi di
proline su un GEF chiamata Sos che stimola Ras
a scambiare il GDP legato con GTP.
Ras attiva una cascata di fosforilazioni su
serina/treonina a valle che comprende
l’attivazione di una MAP chinasi che trasmette
il segnale a valle fosforilando varie proteine
cellulari, comprese quelle che regolano geni: ad
esempio, entra nel nucleo e fosforila uno o più
componenti di un complesso che regola geni.
La via attivata da Ras:
- inizia con una MAP chinasi-chinasi-
chinasi (Raf) che attiva
- la MAP chinasi-chinasi (Mek) che attiva
- la MAP chinasi (Erk o p44 o p42) che a
sua volta fosforila una varietà di proteine a
valle come altre chinasi o proteine che regolano
geni nel nucleo.
Questa cascata in genere viene attivata solo
temporaneamente in risposta a segnali
extracellulari e il periodo di tempo in cui
restano attive può influenzare profondamente la
natura della risposta.

Le isoforme oncologicamente coinvolte di RAF


sono RAF1, BRAF, ARAF.

Una delle vie di segnalazione intracellulare che porta alla crescita cellulare coinvolge la
fosfatidilinositolo-3-chinasi che fosforila principalmente inositolo fosfolipidi piuttosto che
proteine. il fosfatidilinositolo (PI) è l’unico tra i fosfolipidi di membrana a poter subire una
fosforilazione reversibile a siti multipli per generare una varietà di inositoli distinti: in particolare,
la PI3K catalizza la fosforilazione di inositolo fosfolipidi alla posizione 3 dell’anello dell’inositolo
per generare lipidi che servono da siti di attracco per proteine di segnalazione intracellulare,
trasportando queste proteine insieme in complessi di segnalazione che trasmettono il segnale nella
cellula dalla faccia citosolica della membrana plasmatica.
Alcuni PI rimangono nella membrana fino a che non sono defosforilati da inositolo fosfolipide
fosfatasi (chiamate PTEN) specifiche che rimuovono fosfato dalla posizione 3 dell’anello
dell’inositolo.

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Mutazioni che inattivano le fosfatasi PTEN prolungano la segnalazione da parte della PI 3-chinasi,
promuovono lo sviluppo del cancro, portando ad un prolungamento della sopravvivenza cellulare,
indicando che la segnalazione tramite PI3K promuove, oltre alla crescita cellulare, anche la
sopravvivenza.
Ci sono vari tipi di PI3K, quella attivata da recettori TK consiste di una subunità catalitica e di una
regolatrice che è una proteina adattatrice che si lega a fosfotirosine su recettori TK tramite domini
SH2. La subunità catalitica ha anche un sito di legame per Ras attivata che permette a Ras di
stimolare direttamente PI3K.
Le proteine di segnalazione intracellulare si legano al fosfatidilinositolo bifosfato e trifosfato,
prodotti da PI3K attivata soprattutto tramite il loro dominio di omologia alla Pleckstrina (PH).

PTEN agisce defosforilando i


substrati fosforilati da PI3K: tra
questi substrati vi è il fosfatidil
inositolo 4,5 bifosfato (PIP2) che
viene fosforilato a fosfatidil-
inostitolo 3,4,5 trifosfato PIP3 il
quale rimane sulla membrana
plasmatica ed attiva Akt.
PTEN mutato nel cancro orale porta
ad iperattivazione della via PI3K.
Generalmente i farmaci che agiscono
su Akt sono più tossici rispetto a
quelli attivi su mTOR che quindi si
preferiscono.

I PIP3 reclutano due chinasi attraverso i loro domini PH:


• AKT: anche chiamata PKB (proteina chinasi B)
• PDK1: chinasi PI

Una volta attivata, Akt fosforila varie proteine target sulla membrana plasmatica con il principale
effetto di inattivarle. Tali proteine promuovono la sopravvivenza cellulare e la crescita. Un effetto
di Akt, ad esempio, è quello di fosforilare la proteina citosolica Bad che, nella sua forma non
fosforilata, promuove la morte cellulare tramite apoptosi. La fosforilazione di Bad tramite Akt crea
siti di legame sulle fosfoserine che permettono il sequestro delle Bad fosforilate e mantenendolo
inattivo in modo da promuovere la sopravvivenza cellulare.
Questo pathway permette la segnalazione alla cellula di crescere tramite un meccanismo più
complesso che dipende da una serin-trenonin chinasi chiamata TOR (anche Target della
Rapamicina, una tossina batterica che inattiva la chinasi ed è usata clinicamente come
immunosoppressore e chemioterapico).
Il primo inibitore di mTOR è stata la rapamicina trovata in un fungo sull’isola di Pasqua, si è
visto che lavorava su una serin-treonin chinasi che apparteneva alla classe di mTOR (Mammalian
Target of Rapamycin) ed aveva quindi attività antitumorale.
Il Si-rolimus è un macrolide scoperto come prodotto dallo Streptomyces hygroscopicus in un
campione di terreno proveniente da Rapa Nui (Isola di Pasqua), e per questo motivo è anche
chiamato Rapamicina. La rapamicina nei mammiferi ha come bersaglio mTOR che regola la
crescita, proliferazione, motilità e sopravvivenza delle cellule. La sua struttura è simile a quella dei
macrolidi, presentano un anello lattonico, con catene metiliche laterali.

mTOR è presente nelle cellule in due complessi multiproteici funzionalmente distinti:


• Complesso 1: contiene la proteina Raptor: questo complesso è sensibile alla rapamicina e
stimola la crescita cellulare promuovendo la produzione ribosomiale di la sintesi proteica e
inibendo la degradazione proteica; inoltre il complesso 1 promuove la crescita cellulare e la
sopravvivenza stimolando il metabolismo.

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• Complesso 2: contiene la proteina Rictor e non è sensibile alla rapamicina. Questo aiuta ad
attivare Akt e regola il citoscheletro actinico attraverso Rho (GTPasi).

I fattori di crescita attivano mTOR principalmente attraverso la via PI3K-Akt:


1) PI3-K fosforila il fosfatidilinositolo, o i suoi derivati
fosforilati, ed i prodotti ottenuti attivano la chinasi
fosfoinositide-dipendente PDK1 il cui bersaglio è Akt.

2) Akt attiva mTOR 1 indirettamente attraverso la


fosforilazione, e quindi l’inibizione, di una GAP chiamata Tsc2
[-› Tsc2 in assenza fosforilazione è attiva ed inibisce la
fosforilazione di Rheb]
3) Tsc2 agisce su una GTPasi monomerica chiamata Rheb
4) Rheb in forma attiva (Rheb-GTP) attiva mTOR che
promuove la trascrizione di geni anti-apoptotici o blocca
proteine pro-apoptotiche, promuovendo la crescita cellulare,
angiogenesi ed utilizzo di glucosio.

VIA JAK-STAT
Un altro tipo di TK citoplasmatica si associa con integrine, la principale famiglia di recettori che le
cellule usano per legarsi alla matrice extracellulare. Quando le integrine si raggruppano a livello di
siti di contatto con la matrice, aiutano a scatenare l’assemblaggio di giunzioni cellula-matrice
chiamate adesioni focali.
I recettori delle citochine sono la sottofamiglia di recettori collegati a enzimi che costituiscono la
classe più grande e diversificata di recettori che sono associati a una classe di tirosina chinasi
citoplasmatiche chiamate Jak che attivano proteine latenti che regolano geni chiamate STAT che
sono normalmente inattive e poste alla superficie cellulare: la citochina o l’ormone le fa migrare al
nucleo e attivare la trascrizione genica. Più di 30 citochine ed ormoni attivano la via Jak-STAT
legandosi a recettori delle citochine composti da due o più catene polipetidiche associati ad una o
più Jak.

La via di segnalazione Jak-STAT è una


delle vie di segnalazione intracellulare più
dirette:
1) Il recettore è attivato dal segnale
della citochina (prolattina, immumodulatori,
fattori di crescita, eritropoietina,
trombopoietina)
2) Le chinasi Janus (JAK) fosforilano
e attivano una serie di proteine latenti che
regolano geni chiamate STAT (signal
trasducers and activators of transcriptions)
che si muovono nel nucleo e stimolano la
trascrizione di geni specifici.
3) Tutte le STAT hanno anche domini
SH2 che permettono la loro attivazione
attraccando su fosfotirosine recettoriali
specifiche, indipendentemente da JAK.
4) L’attacco delle citochine induce le
catene del recettore ad oligomerizzare e porta le Jak associate abbastanza vicine per
fosforilarsi a vicenda, aumentando l’attività dei loro domini TK.

19
5) Le Jak fosforilano quindi tirosine su recettori per le citochine, creando siti di attracco di
fosfotirosina per le STAT e per altre proteine di segnalazione.
6) Una volta legate, le Jak fosforilano la STAT su tirosine, provocandone la dissociazione dal
recettore e il dominio SH2 sulla STAT media il suo attacco a una fosfotirosina su un’altra
STAT formando un omo o eterodimero di STAT che si muove nel nucleo dove stimola la
trascrizione del DNA.

Nei mammiferi ci sono sette geni che codificano per STAT, ognuno dei quali lega una diversa
sequenza di DNA. STAT si lega alla sequenza DNA chiamata promotore che controlla
l’espressione di un’altra sequenza di DNA con conseguente controllo delle funzioni cellulari come:
crescita, differenziamento, morte cellulare (apoptosi). L’alterazione o la mancata regolazione della
via JAK/STAT può portare a sindromi immuno-deficienti o al cancro

Questa via deve essere inattivata per defosforilazione delle loro fosfotirosine attuata da una
proteina tirosina fosfatasi.

JAK/STAT essendo coinvolta nella regolazione di prolattina, citochine e fattori di crescita è una
via molto utilizzata in ematologia. Ad esempio, nel caso di un paziente con trombocitemia
(500.000/microL) l’ematologo identifica le possibili cause (reattive, secondarie, connesse a
fenomeni infiammatori ed immunologici, oncologiche) e testa la mutazione di JAK:
- Jak non mutato: aspirina e sorveglianza
- Mutazione di Jak2 (trombocitemia essenziale = neoplasia mieloproliferativa cronica):
mielosoppressione praticata con Idrossiurea (HU) o alpha-Interferone (a-IFN)

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Anti-tirosinochinasici
Ci sono una serie di sostanze, i nib (anti-tirosinochinasici) che provocano osteonecrosi.
Lavorano a livello endocellulare sulle tre cascate principali: JAK/STAT, MAPKS, PI3K

Tutte queste tappe possono essere modulate nei pazienti oncologici:


ad esempio, si può considerare un paziente in terapia con Bevacizumab che lega VEGFR
comportando il blocco del recettore, quindi della via delle MAP chinasi (RAF, RAF, MEK, ERK):
questo paziente avrà un effetto angiogenetico fortemente ridotto, ma l’effetto si avrà anche
parzialmente su proliferazione, migrazione e sopravvivenza.
Introducendo un altro farmaco, come vemurafenib (anti-RAF, è un –nib quindi lavora nel
citoplasma), si avrà:
- un blocco a monte sulla membrana, dato da Bevacizumab
- un blocco nel citoplasma, dato da Vemurafenib
- si potrebbe aggiungere un anti- ERK, un anti-MEK, un anti mTOR, un anti JAK- STAT

I pazienti oncologici possono assumere uno o più di questi farmaci il che rende difficilmente
interpretabili da un punto di vista prognostico e terapeutico le manifestazioni cliniche.

A seconda del farmaco assunto, non ritroviamo differenze a livello istologico, ma ritroviamo
qualche differenza per quanto riguarda il fenotipo clinico. Infatti, l’osteonecrosi da Denosumab ha
una manifestazione più grave e rapida; le forme da NIB sono più ridotte come entità clinica, più
lente, meno gravi e di più facile risoluzione clinica (quindi un NIB ci preoccupa di meno rispetto ad
un MAb); quelle intermedie sono quelle da Bevacizumab. Il problema è che questi farmaci spesso
si utilizzano o in sequenza o in associazione per cui diventa complicato gestirli.

SUNITINIB
è uno dei più potenti farmaci antitirosinasici -› inibitore chinasico multi- target con spiccata attività
antiangiogenetica e questo spiega il coinvolgimento nelle osteonecrosi.

Inibisce:
• VEGF tipo 1 e 2: recettori del fattore di
crescita dell’endotelio vascolare
• PDGFR α e ß: il recettore di crescita delle
piastrine
• KIT: recettore per il fattore di crescita dei
mastociti e cellule staminali SCFR, [anche
conosciuto come protoncogene c-KIT o proteina
tirosin-chinasi Kit o CD117], è un recettore
tirosina chinasi che negli umani è identificato
con il gene KIT
21
• FLT-3: FMS- like tyrosine kinase-3
• RET: recettore per il fattore neurotrofico di derivazione gliale
• CSF1R: recettore per il fattore stimolante le colonie di macrofagi
sono tutti recettori antiangiogenetici e presentano una struttura chimica molto simile tra di loro il
che rende questi farmaci attivi su molti recettori contemporaneamente.

“Sunitinib e l’osteonecrosi del mascellare sono correlati in una serie di Case Report di
pazienti con carcinoma a cellule renali (RCC) con metastasi ossee, trattati con Sunitinib,
amino e non amino BPS. Uno studio retrospettivo di 44 pazienti affetti da carcinoma a
cellule renali con ONJ associata o meno ad esposizione ossea, mostra che il 93% dei
pazienti al momento della diagnosi assumevano zolendronato e mentre l’80% agenti
antiangiogenetici, principalmente Sunitinib”

Questi farmaci condividono, nella struttura chimica, il nucleo


sterolico (4 anelli aromatici fusi) con gli steroidi. Conosciamo
anche la necrosi da steroidi, infatti sono state osservate necrosi
in donne di 50- 60 anni, non oncologiche, senza altre
comorbilità che hanno assunto per 6-7 mesi farmaci
anticoncezionali che presentano nella loro struttura un nucleo
sterolico, che può essere considerato un fattore comune nell’eziopatogenesi dell’osteonecrosi da
farmaci. Questa struttura è condivisa anche da alcuni bifosfonati ma cambia il numero degli anelli
eterociclici.

Differenze farmacologiche e cliniche tra farmaci che comunemente danno osteonecrosi:

A livello odontoiatrico, è possibile intervenire:


• Per i bifosfonati: nei primi 2-3 mesi di assunzione; il rischio è consistente dopo la
terza/quarta infusione
• Per i biologici: prima dell’assunzione o quando il metabolismo osseo torna normale
(differente in base al tipo di farmaco)

22
Antiangiogenetici e Inibitori dei recettori Tirosin- Chinasici

23
Altri farmaci utilizzati in ambito oncologico di frequente riscontro clinico

24
*Aflibercet: si usa nei protocolli con fluoroacide, ossiplatino: è una terapia che da molti effetti
collaterali
FOLFIRI è un regime chemioterapico per il trattamento del carcinoma del colon-retto. Il suo nome
deriva dalla sua composizione che coinvolge i seguenti medicinali:
▪ FOL – Acido folinico (Leucovorin), un derivato della vitamina B come farmaco
"salvataggio" per alte dosi di metotrexato, nonostante aumenti la citotossicità del 5-
fluorouracile;
▪ F – fluoruroracile (5-FU), un analogo della pirimidina e antimetabolico che incorpora alla
molecola di DNA e si arresta sintesi;
▪ IRI – irinotecano (Camptosar), un inibitore della topoisomerasi, che evita il processo di
duplicazione e scissione del DNA.
Il regime consiste di:
▪ Irinotecano (180 mg/mq) in concomitanza con acido folinico (400 mg / m iv).
▪ Successivamente fluorouracile (400–500 mg / m iv) poi fluorouracile (2400–3000 mg / m²)
Questo ciclo è in genere ripetuto ogni due settimane. FOLFIRI è spesso utilizzato in combinazione
con bevacizumab, aflibercept, cetuximab o panitumumab per aumentarne l'efficacia e il grado di
risposta alla cura.

Esempio di trattamento con anticorpi monoclonali nel carcinoma polmonare con mutazione del
recettore delle EGF (famiglia HER) che attivano il recettore delle MAPK:

▪ Trastuzumab: parzialmente umanizzato


▪ Pertuzumab: parzialmente umanizzato
▪ Margetuximab: murino fino al 35%
▪ Cetuximab: murino fino al 35% (ca. testa-collo)
▪ Erlotinib: anti-TK che lavorano a livello
citoplasmatico (cascata MAPK: Ras-Raf-Mek-Erk)
▪ Gefitinib: anti-TK che lavorano a livello
citoplasmatico (cascata MAPK: Ras-Raf-Mek-Erk)

25
TERAPIA

In prima istanza bisogna rimuovere l’agente causale per far riprendere al paziente la funzione
ossea: il sequestro tende a delimitarsi spontaneamente.
Quindi la terapia è generalmente (non) chirurgica:
• dopo aver effettuato la diagnosi portare il paziente in stadio 1 fino a che non delimiti il
sequestro
• il sequestro inizia ad avere certa mobilità
• la mobilità viene confermata da esami strumentali
• viene eliminato il sequestro in sala operatoria in anestesia locale con un ricovero breve
• restitutio ad integrum dell’area coinvolta

L’esposizione consente drenaggio e riduzione dei sintomi quindi meglio estrarre la quota ossea
esuberante soprattutto nel caso in cui l’esposizione crea danno ai tessuti molli. L’esposizione
facilita la terapia perché consente il sequestro senza resezione mandibolare.
Quando l’osso necrotico è mobile la chirurgia è agevole in anestesia locale. I tessuti molli
incarcerano il tessuto osseo che in fase chirurgia si scolla con lo scollaperiostio, scarcerando il
sequestro evitando di toccare il fondo della lesione per non danneggiare osso sano e irrigando con
clorexidina. Bisogna suturare senza mettere in tensione i lembi dato che il tessuto di granulazione
fa da corretta impalcatura per la guarigione.
Durante il trattamento bisogna tener conto che spesso la lesione necrotica è composta da frammenti
multipli che bisogna rimuovere completamente per permettere la guarigione del paziente.

Nel caso in cui insorga un dubbio diagnostico riguardo l’entità della lesione ossea si esegue una
biopsia incisionale crestale attraverso un piccolo lembo per prelevare una esigua quota di osso ed
ottenere l’esame istologico.

Altri casi in cui potrebbe esserci esposizione ossea nel cavo orale sono:
- Metastasi ossee
- Istiocitosi a cellule di Langherans, esposizione ossea, effetto secondario del tumore
- Osteosarcoma: esposizione più marcata (esofitica)

Gli esami strumentali utilizzati per valutare l’entità


del danno osseo e l’eventuale raccolta ascessuale
prevede esame:
- Tc senza mdc: per valutare osteo-periostite reattiva
(con ricostruzione 3D)
- Tc con mdc: visualizzare eventuali ascessi/raccolte

La terapia farmacologica pre e post chirurgica dell’osteonecrosi prevede:


• Cefalosporine per via iniettiva (im): permettono una migliore compliance e non danno
effetti collaterali gastro-intestinali -› ceftriaxone (Rocefin, Fidato) 1 g/die, per 6 gg
oppure una prima dose di 2g/die (in monosomminstrazione) ed in seguito 1g/die
• Metronidazolo o Azitromicina per os (si evitano i chinolonici per la resistenza)
• Nel caso di pazienti ospedalizzati: Linezolid

26
Dopo la fase acuta, si procede con terapia anticontaminante:
• antibiotici per os due volte a settimana
• Pentossifilina (Trental 400mg 1cp/die) è un derivato xantinico utilizzato per le proprie
attività antitrombotiche. Agisce sia come inibitore competitivo non selettivo della
fosfodiesterasi, provocando un aumento del cAMP, attivando la protein-kinasi A e
inibendo il TNF-alfa, sia come antagonista non selettivo dei recettori per l'adenosina.
Migliora la deformabilità dei globuli rossi, riducendo la viscosità del sangue e la capacità
aggregante piastrinica e pro-trombotica.
• Vitamina E: 400 UI, come antiossidante
• Antimicotici: per uso topico (eventualmente anche per via sistemica)

In base al farmaco che è stato responsabile di osteonecrosi delle ossa mascellari varia la durata
della terapia necessaria affinché si delimiti il sequestro.
▪ Zolendronato: legame permanente con l’osso, resta complessato all’idrossiapatite per anni
-› risposta dopo circa 18 mesi di terapia
▪ Denosumab: lesioni ossee più gravi e a rapida insorgenza -› migliore è più veloce il
recupero osseo periferico -› risposta dopo circa 6 mesi di terapia
▪ Anti tirosin-chinasi (nib): lesioni ossee meno gravi e con rapida risoluzione data la breve
emivita del farmaco. Bisogna comunque considerare che un paziente che assume una
terapia di mantenimento con un nib ed, eventualmente, un antiangiogenetico è più grave
dal punto di vista oncologico

La terapia anticontaminante è prevista anche in altri ambiti medici per prevenire l’infezione
sistemica con conseguente sepsi. Quindi il paziente durante il passaggio dallo stadio 2 allo stadio
1 va monitorato con quick SOFA e si attende, con terapia anticontaminante, che il paziente delimiti
il sequestro.

Esempi di terapia anticontaminante in medicina:


▪ pz in terapia con anti CD20 per linfoma tipo B splenico
rischia polmonite da micoplasmi e microrganismi che possono diventare patogeni nel pz
immunosoppresso: si prescrive Bactrim preventivamente
▪ pz con lesione midollare L1-L2, paraplegico con funzioni viscero-effettrici alterate (vescica
neurologica)
si prescrivono chinolonici (ven-sab-dom) per evitare contaminazione dell’apparato
urogenitale
▪ pz con idrosadenite
si prescrive Azitromicina 1 volta settimana per evitare una forma suppurativa

La sepsi è stata definita come disfunzione d’organo pericolosa per la vita causata da una risposta
disregolata dell’ospite alle infezioni.
La disfunzione d’organo può essere identificata come cambiamento acuto nel punteggio totale SOFA (≥ 2).
I criteri clinici per la diagnosi di sepsi sono: infezione + SOFA ≥ 2n

SOFA – sequential, sepsis-related, organ failure assessment

FiO2: frazione inspirata di ossigeno; SR: supporto respiratorio


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Può essere effettuato un inquadramento rapido del paziente con il quickSOFA
qSOFA – quick SOFA
Frequenza ≥ 22
respiratoria atti/min

Alterato stato mentale

Pressione arteriosa ≤ 100


sistolica mmHg

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Clinica
TOSSICITA’ ORALE da -MAB/ -NIB

• Stomatite associata ad inibitori di mTOR (mIAS)


• Stomatite aspecifica
• Glossite migratoria benigna (lingua a carta geografica o eritema migrante)
• Osteonecrosi del mascellare associata a inibitori multi-target della chinasi dei recettori
VEGF e PDGF
• Mucosite indotta da inibitori di EGFR (recettore di crescita epiteliale): in monoterapia o
associati a trattamento di radioterapia testa/collo e/o a chemioterapia
• Stomatite associata all’uso di antiangiogenetici e inibitori di HER
• Lesioni ipercheratosiche / OSCC con inibitori di BRAF (con anti-MEK possono sparire le
lesioni cheratosiche)
• Lesioni pigmentate e reazioni lichenoidi secondarie all’uso di Imatinib; “Osler-Weber-
Rendu- like syndrome” (angiomatosi multiple) descritta con l’uso dell’anticorpo- farmaco
coniugato TDM-1
• Tossicità diretta indotta dagli anticorpi monoclonali anti PD-1: reazioni immuno-mediate:
lichenoidi e xerostomia (forme Sjogren like)

Nel 2003 primo caso di BRONJ:


▪ Paziente di 43 anni su sedia a
rotelle: storia clinica di k mammario
in terapia con Zometa (bifosfonato
ev ad alta potenza)
All’esame clinico si evidenzia:
▪ Tumefazione perimandibolare di
destra
▪ In zona 48 esposizione ossea non
molto marcata con essudazione
purulenta
▪ Alla radiografia presenza di una
zona di disomogeneità del ramo
mandibolare
La paziente è morta nell’arco di 6 mesi
perché non si riuscirono a gestire le
complicanze infettive

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Manifestazione clinica:
▪ sede mascellare superiore di destra
▪ palato tumefatto
▪ ampia perdita di sostanza dei tessuti
molli
▪ elementi dentari 12 e 13 in arcata
▪ area di esposizione ossea
▪ assenza di fenomeni
infiammatori/essudazione
purulenta/arrossamento/secrezione
Quadro clinico compatibile con osteonecrosi del
mascellare superiore, stadio I, probabilmente
correlato a malattie sistemiche ed all’utilizzo di
farmaci antiriassorbitivi o antiangiogenetici

Osteonecrosi del mascellare superiore


insorta in sede peri-implantare (negli ultimi
tempi estremamente frequente)

Osteonecrosi del mascellare superiore di


destra con esposizione della cavità nasale e
sinusale

Mucosite da inibitore di mTOR (mIAS)

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Lesione pigmentata mediana del palato da
Imatinib (compare dopo circa 2 mesi di
terapia)

Mucositi indotte da inibitori dell’EGFr con


inibizione della proliferazione cellulare.
I farmaci attivi su EGF/HER lavorano sui
fattori di crescita epiteliali influenzando il
trofismo delle cellule epiteliali e nelle zone
ad elevato trauma possono dare alterazioni
strutturali con ridotta resistenza dell’epitelio.
Effetto di spongiosi.

Lesioni da Sunitinib (ipercheratosi)

Lesioni simil aftosiche compatibili con


mucosite da mTOR: simile alla stomatite
aftosa con eritema. La manifestazione è
marcata e transitoria sospendendo il
farmaco.
Passa dopo 7 giorni e non è detto che si
abbia la ricomparsa riprendendo il farmaco.

31
Ampia esposizione di osso necrotico in sede
3.3-3.6 con deiscenza mucosa vestibolare e
linguale
▪ Paziente di 57 anni maschio con k
polmonare e metastasi ossee
▪ Anamnesi farmacologica:
o Gemcitabina e Cisplatino:
chemioterapici
antineoplastici
o Corticosteroidi
o Bevacizumab
▪ Pregressa avulsione spontanea di
3.3-3.4

OPT
▪ Paziente con K prostatico
▪ tumefazione perimandibolare di dx
▪ Mobilità 46-47 grado 2/3
▪ Processo infettivo in atto: stadio 2
poiché c’è sondaggio quindi
connessione dell’osso con l’esterno
(esposizione) ma non è interessata la
parte basale dell’osso (probabile
frattura corticale linguale)
▪ Ha assunto Denosumab per 8 mesi
ed attualmente in terapia con
Cabozantinib
▪ Cute tesa arrosata dolente alla
palpazione, termotatto positivo
▪ Assenza di fistole
Si tratta di una tumefazione infiammatoria,
non di un secondarismo dovuto al carcinoma
prostatico ma si potrebbe ugualmente
effettuare un esame bioptico superficiale per
escluderlo.

▪ Paziente con k prostata


▪ Anamnesi farmacologica:
o Zometa
▪ Dente mobile con tumefazione e tre
tragitti fistolosi
▪ All’OPT si evidenzia sclerosi,
rarefazione ossea: si intuisce che sia
un processo infettivo senza
possibilità di discriminare tra
processo infiammatorio di origine
dentaria o onj
▪ Trattamento: estrazione che
comporta esposizione dell’osso
necrotico mascellare; i tessuti molli
non riescono a coprire l’osso
necrotico senza periostio

32
Canino con fistola

▪ paziente di 70 aa
▪ Diabetica (glicemia sotto 140
mg/dL)
▪ Scompensata
▪ Unico dente, mobilità 2
▪ Anamnesi farmacologica:
o antidiabetici per os
o anticoagulante
o simvastatina
o nebivololo
▪ trattamento: estrazione
Canino con fistola

▪ paziente con k mammario


▪ in trattamento con denosumab
▪ si richiedono esami strumentali per
indagare eventuale danno osseo
▪ trattamento: estrazione prima
possibile ma si richiede diagnostica
per immagini per eventuale ONJ

Canino con fistola

▪ paziente con k mammario


▪ in trattamento con sorafenib
(emivita 50-60 ore)
▪ terapia: consultare l’oncologo per
chiedere se la paziente può
sospendere il sorafenib per 7-10
giorni in modo da facilitare la
guarigione della ferita in sede
estrattiva

L’esperienza clinica suggerisce che, data la varietà di pazienti che possono giungere alla nostra
osservazione e le numerose alternative terapeutiche oggi presenti in campo oncologico, non è
possibile prevedere una schematizzazione universale della gestione di questi pazienti in campo
odontoiatrico. Non esiste un paziente a cui non è possibile fare terapia odontoiatrica ma bisogna
essere a conoscenza delle condizioni cliniche del paziente, dell’emivita dei farmaci che assume,
delle condizioni dell’osso, della prognosi.
In virtù di queste considerazioni, alcuni esempi di pratica clinica:

Caso clinico 1:
▪ Paziente con carcinoma ovarico metastatico in mantenimento con farmaci
▪ Terapia mantenimento: bevacizumab, temsirolimus
▪ Chiedere all’oncologo per terapia implantare: è possibile sospendere per 4-6 settimane?
▪ il Temsirolimus: può dare pochi problemi di mucosite e potrebbe non essere sospeso
▪ È possibile effettuare terapia parodontale chirurgica? L’attecchimento dell’innesto richiede
fenomeni angiogenetici che sono bloccati da bevacizumab; gli effetti anti angiogenetici
degli inibitori di mTOR sono ridotti)

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Caso clinico 2:
▪ Paziente che assume cetuximab come mantenimento di ca cutaneo spinocellulare
metastatico del dorso con metastasi linfonodali
▪ Cetuximab è un inibitore dell’EGFr con emivita di 28 giorni (infusione 1 volta al mese):
l’osso quindi è gestibile ma si avrà difetto e ritardo nella guarigione dell’epitelio. Dal punto
di vista chirurgico sarebbe quindi preferibile:
o l’accollamento dei lembi evitando trazioni
o favorire la chiusura per prima intenzione
o evitare impianti sopracrestali
o evitare zone di ischemia
o è possibile (consigliabile) utilizzare i derivati piastrinici

Caso clinico 3
▪ Paziente di sesso maschile con storia clinica di linfoma non Hodgkin all’etá di 25 anni (15
anni prima).
▪ Richiede 4 impianti a livello mandibolare perché in quella zona è edentulo
▪ Anamnesi farmacologia:
o ha assunto clodronato per 6 mesi un anno prima, attualmente non in terapia
o terapia del linfoma non Hodgkin: Fludarabina (chemioterapico – antimetabolita) e
radioterapia
▪ Esami ematochimici:
o Gamma-GT elevata,
o colesterolo leggermente alto
o ipogammaglobulinemia
Considerazione clinica:
La radioterapia è un fattore di rischio per l’osteonecrosi, e dal momento in cui ha fatto radioterapia
15 anni prima, l’osso è privo, in maniera marcata, di supporto vascolare perché la vasculite attinica
provoca un danno osseo permanente.
È importante conoscere la localizzazione del linfoma, in quanto se è laterocervicale il campo
mandibolare puó essere interessato dalla radioterapia.
L’ipogammaglobulinemia puó essere legata alla chemioterapia, in quanto la fludarabina provoca
ipogamma permanente e potrebbe insorgere infezione come complicanza implantare.
I bifosfonati per os non controindicano l’implantologia.

Caso clinico 4
▪ paziente fumatore (8 sigarette/die) e diabetico che ha intenzione di mettere 4 impianti
▪ anamnesi farmacologica:
o clodronato per breve periodo
o ACE inibitore come antiipertensivo
o Statina per il colesterolo
o Insulina (10 unitá rapida la malattina – 40 unitá di rapida e una semilenta a pranzo
e 60 unitá la sera)
▪ esami ematochimici:
o glicemia = 100 mg/dL ed Hbglicata nella norma
o lieve ipercolesterolemia

Considerando le unitá di insulina che assume è un paziente diabetico grave anche se compensato,
ed è un importante segnale della gravitá della malattia.

Caso clinico 5
▪ Paziente donna di 45 anni, operata a 35 anni di cancro alla mammella
▪ anamnesi farmacologica:
o ha assunto tamoxifene per 8 anni
o assume bifosfonati per os: 70 mg di zolendronato da 3 anni

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Le comorbiditá in genere sono sincrone, una malattia oncologica di 15 anni prima non viene
considerata comorbiditá oncologica, peró è un segnale di attenzione.
La paziente assume bifosfonati perché le donne di età inferiore ai 50 anni in terapia con tamoxifene
avrebbero un rischio cumulativo di frattura doppio rispetto ai controlli sani, con una maggior
incidenza soprattutto a livello degli arti inferiori. Il maggior rischio fratturativo sarebbe
verosimilmente dovuto alla blanda azione estrogenico-agonista sull’osso, troppo limitata per l’età
giovanile. Il tamoxifene avrebbe infatti una funzione di agonista parziale selettivo per i ERα.
L’effetto su ERβ, maggiormente rappresentati a livello dell’osso corticale, sarebbe quello di puro
antagonista. Questo spiegherebbe la maggior incidenza di fratture periferiche (osso corticale)
riscontrate nelle donne mediamente più giovani al momento della diagnosi. Se quindi, in
postmenopausa, il tamoxifene sembra svolgere un ruolo neutro per il mantenimento della salute del
l’osso e non davvero protettivo, la sua assunzione sembrerebbe, paradossalmente, aumentare il
rischio fratturativo in donne più giovani, in premenopausa al momento della diagnosi.
L’esame da richiedere per mettere gli impianti in sicurezza è la MOC che chiarirebbe il grado di
osteoporosi. Se si trovano microfratture vertebrali non sará una paziente in cui inserire impianti in
tranquillità perché è una paziente a rischio per osteoporosi severa e non puó sospendere i farmaci
antiosteoporosi.

Caso clinico 6
▪ Paziente con storia clinica di k mammario che ha sviluppato una malattia metastatica
ingravescente molto veloce a livello viscerale e osseo
▪ Anamnesi farmacologica:
o denosumab e bevacizumab
▪ la valutazione odontoiatrica ha rivelato un 23 con mobilitá 2

Il rischio di osteonecrosi si ha già dopo la prima infusione di denosumab e bevacizumab. Quindi


non c’è tempo per estrarre il dente, il 23 verrá sorvegliato e se sviluppa osteonecrosi si affronta.

Caso clinico 7
▪ Paziente maschio di 60 anni con storia clinica di k prostatico (5 anni prima), operato
▪ deve mettere un arco completo su impianti
▪ esami ematochimici nella norma
▪ anamnesi farmacologica negativa
Si consulta l’oncologo per conoscere la stadiazione del cancro e la prognosi del paziente in modo
da escludere la possibilitá che possano comparire metastasi ossee da trattare con denosumab.

Canfora F.

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