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CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE

Di cosa si occupa la chirurgia maxillo-facciale?


• Processi di alterata maturazione delle ossa faciali.
• Malocclusione e sue complicanze.
La masticazione non è uguale per tutti, basti pensare che è possibile riconoscere un cadavere
dall'occlusione. La mandibola può essere più indietro oppure spostata in avanti. Sono entrambi fenomeni
abbastanza comuni nella popolazione (5%).
L'occlusione è la messa in opera meccanica per ottenere il maggior contatto possibile tra i denti per
ottimizzare la masticazione. Nella malocclusione mancano elementi importanti di occlusione; inoltre questi
pz hanno la lingua tra i denti determinando così una sintomatologia dolorosa a o l'assunzione di una
posizione infantile della lingua, ovvero la lingua viene spinta in avanti. Questo, cosi come la suzione del
pollice, dà origine a un morso funzionale e non scheletrico; è importante distinguerli perché prevedono
terapie diverse. Nella malocclusione funzionale si appone un filo dietro ai denti per impedire alla lingua di
spostarsi in avanti. Nella malocclusione scheletrica invece il mascellare cresce più che della mandibola, per
cui la terapia è chirurgica e si spostano chirurgicamente le basi ossee nei 3 piani normalizzando, così, la
forma del viso.
• Chirurgia orale, campo di confine con l'odontoiatra, tuttavia la competenza del chirurgo
maxillofacciale è maggiore in ambito della ricostruzione. Comprende la chirurgia oncologica
benigna e maligna (ca spinocellulare).
• Chirurgia estetica su tessuti molli (blefaroplastica, rinoplastica, ...) e duri.
• Patologia delle articolazioni (ATM).
• Patologia infettiva. Origina soprattutto dai denti, in particolare a seguito di carie, che è
un'interruzione di integrità dello smalto fino all'interessamento della polpa.
• Traumatologia. Esistono tempistiche diverse di intervento.
Nell' immediato si interviene in corso di emorragia nelle ferite lacero-contuse con lacerazione dei grossi vasi
del collo e della faccia che può portare a shock emorragico, e in corso di difficoltà respiratorie per esempio
in corso di frattura doppia di mandibola che determina un arretramento della lingua con arresto della
respirazione.
È necessario intervenire in maniera urgente anche per forme funzionali come la compressione del nervo
ottico nella frattura orbito-zigomatica, in cui un frammento osseo può comprimere il canale ottico. Il nervo
ottico ha una scarsa capacità di drenaggio venoso, per cui se c'è edema a livello dell'anello di Zinn si ha
compressione del nervo e in poche ore perdita della vista.
Anche le lacerazioni importanti vanno trattate in urgenza sia per controllare l' emorragia, sia perché prima
si interviene sui tessuti di rivestimento e più efficace è la capacità di guarigione. Infatti se si ritarda
l'intervento, l'atrofia dei tessuti profondi provoca cicatrici importanti e poco estetiche. Va inoltre
considerato che se la cicatrice è in una plicatura naturale è più nascosta, le altre zone vanno trattate
secondo schemi ben definiti. Le suture trasversali a queste linee andrebbero spostate con tecniche di
lembi.
Dal punto di vista delle fratture, la più frequente è quella di un elemento dentario, che può diventare
complicata da gestire nell'arco della vita.
Anche le fratture endoalveolari sono frequenti: è possibile lo spostamento di un dente perché si è rotto il
processo alveolare, la componente dell' osso che sostiene il dente.
Sono inoltre possibili la frattura completa della mandibola, del condilo mandibolare (è una frattura della
mandibola, ma a sé perché ha caratteristiche specifiche), del mascellare superiore (che comprende anche la
parte basale del mascellare), dello zigomo (inteso come frattura isolata del corpo zigomatico ma che più
spesso si estende in una frattura orbito-zigomatica), del pavimento orbitario (in seguito all'ingresso di un
oggetto contundente nell'orbita; il bulbo è incomprimibile perché è liquido, tuttavia comprime le pareti
adiacenti, soprattutto quella inferiore che è sottilissima e fragile, dal momento che sotto al pavimento
dell'orbita c'è il seno mascellare che è una cavità pneumatica molto estesa che serve sia per la fonazione
che alleggerire il cranio. A seguito di questa frattura è possibile vi sia un' incapacità di visione binoculare e
infossamento del bulbo), della piramide nasale e del frontale (se i seni frontali sono molto rappresentati, a
seguito di una frattura dell'osso frontale è possibile che vi sia una deformità della fronte importante).
Trattamento delle fratture: riduzione e contenzione con placche e viti di titanio.

MALFORMAZIONI.
Labiopalatoschisi: Malformazione molto frequente (1:700). i risultati si vedono dopo 20 anni, per cui è
difficile che si scelga un trattamento sperimentale; si seguono procedure che si prolungano fino ai 18 anni.
È necessario l'intervento dell'otorinolaringoiatria, dell'ortodontista, del logopedista, del chirurgo.
Craniostenosi. Saldature precoci delle suture craniche che portano a malformazioni in crescita del cranio e
spesso anche microcefalo. Comprendono la scafocefalia, brachicefalia, … etc
Craniofaciostenosi: Coinvolgimento del cranio e dello scheletro facciale. La più famosa è la malattia di
Crouzon in cui è possibile apprezzare occhi distanti, teleorbitismo, occhi molto prominenti (perché non si
forma la zona zigomatica), rapporti anomali cranio-maxillo-mascellari.
Posso verificarsi anche malformazioni in senso trasversale perché la zona otomandibolare ha embriogenesi
comune dal 2° arco branchiale. Alterazioni di questo arco portano a un difetto della mandibola, del condilo
e dell'orecchio configurando una sindrome otomandibolare, in cui è apprezzabile la malformazione del
padiglione auricolare e la mancata formazione della catena degli ossicini con sordità periferica di
conduzione. Questi soggetti quindi portano degli apparecchi esterni che trasmettono l'onda sonora alla
mastoide (perché l'orecchio interno è sano e quindi capace di convertire lo stimolo sonoro), oppure
presentano degli impianti nella mastoide a cui si attacca un sistema di trasmissione delle onde sonore
direttamente all'osso.
Una delle più citate teorie eziopatologiche è quella che prevede vi sia un danno all'arteria stapedia, un vaso
embrionale che irrora la regione del 2° arco branchiale, che ne determina l'occlusione e quindi porta a
mancata ossigenazione.
• Chirurgia implantare e protesica. Si usa anche in sedi anomale, come lo zigomo e la fossa
pterigomascellare.
La chirurgia protesica oggi serve a inserire impianti e a modificare la morfologia dell'osso con innesti ossei
autologhi prelevati dal cavo orale nei casi di inneschi piccoli, dalla teca cranica esterna nei casi di inneschi
medi e dalla cresta iliaca o raramente dalla costa per gestire i grossi inneschi.
Normalmente i denti sono più presenti nel mascellare piuttosto che nella mandibola, perché il mascellare
ha una vascolarizzazione più marcata proveniente sia dal palato che dal vestibolo.
Il dente è ancorato all'osso tramite il legamento parodontale che ha sia funzione di ancoraggio del dente
all'alveolo, ma ha anche un ruolo funzionale in quanto essendo ricco di fibre elastiche e a contenuto
acquoso fa si che quando si comprime il dente si ha un sistema idropneumatico che permette la
masticazione. Appena al di sotto del dente, vi è il nervo mandibolare che è un nervo sensitivo che dà
sensibilità a tutti gli elementi dentari.
Anestesia tronculare: si fa in profondità al ramo mandibolare del trigemino, poco prima di immettersi nel
ramo mandibolare questo emette il ramo linguale.
ANATOMIA DEL DISTRETTO MAXILLO-FACCIALE
Viene suddiviso in:
TERZO SUPERIORE (= ossa craniche)
TERZO MEDIO (=strutture mascellari e orbitozigomatiche)
TERZO INFERIORE (=mandibola)

Lo scheletro facciale delimita la cavità orbitaria, la cavità nasale e la cavità orale.

CAVITA’ ORALE.
È costituita da vestibolo e cavità buccale; sono due strutture quasi virtuali, in quanto collabiscono con la
struttura dentaria che le delimita.
VESTIBOLO.
Delimitato esternamente dalle labbra e dalle guance, internamente dalle gengive e dai denti. Comprende il
dotto di Stenone, il dotto escretore della parotide.
CAVITA’ BUCCALE.
È la vera e propria cavità orale.
Delimitata dalle arcate dentarie in avanti e lateralmente; anteriormente dal palato molle e palato duro;
posteriormente comunica con il faringe tramite l’istmo orofaringeo,
Contiene la lingua, un muscolo molto sviluppato e le ghiandole salivari sottomandibolari e sottolinguali che
drenano attraverso il dotto che si trova sotto la lingua, ovvero il dotto di Wharton.

DENTE.
È costituito esternamente da tessuto epiteliale modificato, lo smalto, e internamente da tessuto di origine
connettivale, la dentina e il cemento, presenti rispettivamente nella corona e nelle radici.
Lo smalto deve essere integro per essere sano, se si perde l’integrità è possibile che vi sia l’attacco acido dei
batteri del cavo orale e quindi si sviluppi una carie. La carie è la malattia principale della dentatura nei
giovani, negli adulti il problema è soprattutto a carico del parodonto, la cui complicanza più temibile è la
perdita dei denti. La malattia cariogena era un problema fino a 20-30 anni, ma ora con protocolli di
prevenzione, pubblicità e soprattutto con la fluorizzazione delle acque si è vista una drastica riduzione della
malattia, grazie al fluoro che rende lo smalto particolarmente resistente.
Il dente è una struttura vitale con una microcircolazione interna che garantisce sia la nutrizione che
l’apporto vascolare; se viene devitalizzato il dente diventa fragile per cui bisogna ricoprirlo con una corona
per proteggerlo.
Attraverso il parodonto, che è una struttura legamentosa, il dente è ancorato all’osso mascellare; essendo il
parodonto ricco di fibre elastiche e connettivali agisce come una struttura idropneumatica, per cui se si
schiaccia sul dente, il dente ha una contro-resistenza che smorza le forze masticatorie. È un sistema molto
efficiente, infatti i denti possono arrivare a sopportare fino a 200 kg/N/cm2.
Il dente ha una arteriola e una venula di ingresso all’apice e questo fa sì che le lesioni che coinvolgono la
polpa dentaria possano raggiungere l’apice dentario e quindi infettare la regione profonda dell’osso
alveolare. Le arcate dentarie vengono divise in 4 quadranti da un piano occlusale orizzontale e una linea
interincisiva verticale. A ogni quadrante si attribuisce un numero (1 superiore destro, 2 superiore sinistro, 3
inferiore sinistro e 4 inferiore destro); per ogni dente di quel quadrante si associa poi un numero in base alla
posizione. Gli americani hanno una classificazione diversa, infatti assegnano il numero 1 partendo dall’ultimo
dente in alto a sinistra e così via.

DENTIZIONE PERMANENTE 32 DENTI


2 incisivi (centrale e laterale)
1 canino
2 premolari
3 molari
DENTIZIONE DECIDUA 20 DENTI
2 incisivi (centrale e laterale)
1 canino
2 molari
Si cerca di non togliere i denti decidui perché sono una guida per l’eruzione del dente definitivo, che rischia
di uscire con molto ritardo e storto. Si tolgono solo se il dente definitivo è già impegnato nel canale di
eruzione.

TEMPI DI ERUZIONE DEI DENTI PERMANENTI


Primi molari 6-7 anni
Incisivi centrali 6-8 anni
Incisivi laterali 7-9 anni
Canini 9-12 anni
Primi e secondi premolari 10-12 anni
Secondi molari 11-13 anni
Terzi molari 17-21 anni.
Sono denti che non servono praticamente mai, spesso causano infezioni delle corone.

TEMPI DI ERUZIONE DEI DENTI DECIDUI


Incisivi centrali 6-8 mesi
Incisivi laterali 8-10 mesi
Primi molari 12-16 mesi
Canini 16-20 mesi
Secondi molari 20-30 mesi

Il canino è il dente più importante per i carnivori; anche morfologicamente è importante perché sostiene
l’ala del naso. Essendo l’ultimo che nasce deve trovare lo spazio.

PALATO.
PALATO MOLLE.
Continua posteriormente il palato duro, ma grazie ai muscoli glossopalatino e faringopalatino è mobile,
permettendo la respirazione, la deglutizione e la parola. Infatti, ha il compito di chiudere la rinofaringe in
maniera che la parola sia chiara; se questo non avviene, come nelle labiopalatoschisi, si ha la rinolalia
aperta posteriore.
Esistono delle ghiandole salivari sierose, più numerose che del palato duro. Gli adenocarcinomi del cavo
orale spesso si localizzano in questa sede.
Tra i pilastri tonsillari si trovano le tonsille costituite da tessuto linfoide che serve a proteggere da infezioni
del cavo orale. In passato, si toglievano molto spesso le tonsille, tuttavia si è visto che questo era associato
ad un aumento dell’incidenza di linfomi, per cui si tende a togliere solo in casi selezionati.
Pertanto oggi si vedono spesso nell’adulto; in base a quanto è visibile l’ugula (che delimita posteriormente
il palato molle), gli anestesisti determinano un indice di facilità di intubazione (Mallampati score).

PALATO DURO.
Formato dai processi palatini dei mascellari e dalle lamine orizzontali delle ossa palatine.
Anteriormente è delimitato dalle arcate alveolari e dalle gengive, posteriormente si continua con il palato
molle. È detto duro anche per la consistenza della fibromucosa, che è dura perché il cibo viene veicolato
per essere masticato. Questa fibromucosa è uguale a quella della gengiva. Internamente, la fibromucosa
della gengiva si continua con la fibromucosa del palato: è importante perché se bisogna fare degli innesti
per ricostruire la gengiva si prende l’innesto dal palato. La fibromucosa della gengiva è importante sia per la
masticazione, sia per sigillare i denti. Spesso si perde gengiva per varie cause, ad es. l’inserzione del frenulo
alto. Nella zona anteriore del palato duro esistono dei forami vascolari importanti perchè queste arterie (la
palatina maggiore e la nasopalatina che provengono dall’ arteria retromascellare che origina dalla carotide
esterna) vascolarizzano quasi tutta la fibromucosa e l’osso palatino, per cui è importante conservarle
quando si fanno degli interventi.
Nel palato ci sono pochissime ghiandole salivari.

LINGUA.
Organo muscolare deputato alla deglutizione, gustazione e fonazione.
Costituita da 18 muscoli: è molto forte, è infatti responsabile della posizione della dentatura.
Comprende una parte mobile e una fissa, la radice, separate tra loro dalla v linguale.
Contiene le papille gustative, che sono di 4 tipi: foliate, fungiformi, vallate e filiformi; sono legata alla
presenza di terminazioni specifiche indispensabili per sentire i sapori.

MUSCOLI MASTICATORI.
Si suddividono in muscoli elevatori (tra i più potenti del nostro corpo perché devono comprimere il cibo
verso la parte fissa del mascellare) ed abbassatori della mandibola (più sottili perché coadiuvati dalla forza di
gravità. Questi ultimi s’inseriscono sull’osso ioide, che è un osso particolare: da fisso permette la
deglutizione, da mobile permette l’apertura della bocca).

M. ABBASSATORI (si inseriscono tutti sull’ apofisi geniena)


DIGASTRICO
MILOIOIDEO costituisce anche il pavimento orale.
STILOIOIDEO
GENIOIOIDEO
GENIOGLOSSO

M. INNALZATORI
TEMPORALE muscolo palmato che si inserisce su una linea non ben definita del temporale detta
innominata; si inserisce con un tendine molto robusto sul punto del coronoide della mandibola.
MASSETERE
PTERIGOIDEO MEDIALE si inserisce all’angolo della mandibola e in alto alla fessura pterigoidea. Si muove
praticamente orizzontalmente.
PTERIGOIDEO LATERALE si inserisce sullo zigomo e sull’angolo della mandibola, nel passante esterno, per
cui quando si contrae tira su la mandibola.

CAVITA’ ORBITARIA.
Contiene l’orbita e il bulbo oculare. Costituita da osso frontale che rappresenta il bordo superiore e il tetto;
è relativamente robusto nella parte endorbitaria, più robusto ancora nella parte anteriore.
Il bordo laterale è fatto per lo più dall’osso zigomatico e profondamente dallo sfenoide; anche lo zigomatico
è molto ben sviluppato per fratture a questo livello, cosi come a quello del frontale, son rare.
Il pavimento è in minima parte formato dallo zigomatico che ne crea il bordo esterno, ma soprattutto
dall’osso mascellare che è un osso molto sottile in questa regione, infatti è la sede più frequente di fratture.
La parete interna posteriormente è costituita dalla lamina papiracea dell’ etmoide che è soggetta a fratture,
anteriormente dall’ osso lacrimale che è un osso piccolo, cosi chiamato perché c’è la cisterna lacrimale che
è dove si convogliano le lacrime dopo che son state sulla congiuntiva; dalla cisterna va al dotto lacrimale
che sfocia nel meato inferiore del naso.
In apice c’è il forame ottico da cui passa il nervo ottico, nella fessura orbitaria superiore e inferiore escono il
III IV VI n.c. La ghiandola lacrimale è in alto a sinistra, la cisterna si trova nell’osso lacrimale cosi come il
dotto che poi va fino al naso.
OSTEOLOGIA MAXILLO-FACCIALE
MASCELLARE.
Il mascellare superiore è un osso pari, simmetrico che costituisce il principale pilastro nell’architettura dello
scheletro facciale. Nel mascellare superiore vengono descritte due facce (mediale e laterale), quattro
margini (superiore, inferiore, anteriore e posteriore) ed il corpo.
La faccia mediale del mascellare superiore si articola con quella del mascellare controlaterale sulla linea
mediana, formando il pavimento delle fosse nasali in alto e la volta palatina in basso.
La faccia laterale del mascellare superiore presenta, procedendo in senso anteroposteriore, l’apertura
piriforme, la bozza e la fossa canina, l’apofisi piramidale e la tuberosità. Essa inoltre contribuisce, mediante
la branca montante, alla formazione della metà mediale del pavimento orbitario, della parete mediale
dell’orbita e della faccia laterale della cavità nasale.
Il margine inferiore accoglie i singoli elementi dentari, radicati nell’osso alveolare.
Il margine superiore coincide con il margine inferiore del contorno orbitario e con il pavimento dell’orbita.
Il margine anteriore del mascellare è rappresentato dalla branca montante e contribuisce a formare
l’apertura piriforme nasale.
Il margine posteriore è rappresentato dalla tuberosità, la quale aderisce intimamente all’apofisi pterigoidea
dello sfenoide.
Il corpo del mascellare superiore è cavo all’interno e tale cavità prende il nome di seno mascellare, o antro
di Higmoro. Il seno mascellare comunica con la fossa nasale in corrispondenza del meato medio. La mucosa
di rivestimento del seno mascellare è in diretta continuità con quella delle fosse nasali ed è costituita da
una tunica propria rivestita da epitelio cilindrico.

MANDIBOLA.
La mandibola è un osso impari, mediano e simmetrico. Essa ha la forma a ferro di cavallo e viene distinta in
una porzione orizzontale o corpo ed in una porzione verticale bilaterale o ramo.
Il corpo mandibolare è costituito da osso basale ed osso alveolare. L’osso alveolare serve ad accogliere gli
elementi dentari. Il corpo della mandibola presenta due facce, una esterna ed una interna e due margini,
superiore o alveolare ed inferiore. La faccia esterna è inoltre divisa lateralmente da una cresta ossea che
forma la linea obliqua esterna, la quale si dirige in avanti e in basso.
In corrispondenza dell’apice del secondo premolare è presente il foro di uscita del canale mandibolare.
Sulla faccia interna del corpo mandibolare si rileva anche una cresta ossea (linea miloioidea) la quale dà
inserzione al muscolo miloioideo.
Il ramo mandibolare ha una forma grossolanamente rettangolare e termina in alto mediante due apofisi, il
condilo e il processo coronoide Il ramo mandibolare presenta anch’esso due facce, esterna ed interna e tre
margini, anteriore, posteriore e superiore.
La faccia esterna ha una superficie rugosa, sulla quale s’inseriscono direttamente fibre del m. massetere.
La faccia interna presenta, circa due centimetri sopra il livello dell’alveolo del terzo molare, il foro di entrata
del canale mandibolare, protetto da una spina ossea, detta spina di Spix.
Il margine superiore del ramo è costituito dall’incisura sigmoidea la quale collega l’apofisi coronoide al
condilo.
Il condilo mandibolare ha una forma ovalare ed il suo asse maggiore è disposto obliquamente in senso
anteroposteriore e lateromediale. Esso, insieme alla cavità glenoide del temporale ed alle strutture fibro-
cartilaginee, costituisce l’articolazione temporomandibolare.
Tutta la mandibola è percorsa dal canale mandibolare, i cui fori di entrata e di uscita si trovano
rispettivamente sulla faccia mediale del ramo e sulla faccia laterale del corpo mandibolare.

IRRORAZIONE MAXILLOFACCIALE.
L’irrorazione maxillo-facciale è assicurata dalla ARTERIA CAROTIDE ESTERNA.
La carotide esterna comincia lateralmente al margine superiore della cartilagine tiroidea, a livello della terza
e quarta vertebra cervicale. Si porta in alto e decorre tra l’apice del processo mastoideo e l’angolo
mandibolare dove, nel parenchima parotideo dietro il collo del condilo, si divide nei suoi rami terminali.
• Tiroidea superiore. Importante perché può essere incisa durante la tracheotomia rappresentando
una complicanza notevole
• Faringea ascendente. Irrora la faringe
• Linguale. Principale arteria della lingua e del pavimento della bocca. Decorre lungo la faccia
inferiore della lingua dalla radice all’apice. I suoi rami sono: arteria sopraioidea, arterie dorsali della
lingua, arteria sottolinguale.
• Facciale. Attraversa la faccia e la guancia e arriva nella parte laterale del naso e si collega con
l’arteria oftalmica. È importante perché dal punto di vista vascolare, il decorso di vene e arterie è
simile; il tragitto vascolare venoso della vena faciale e della angolare del naso che comunica con
l’oftalmica fa sì che un’infezione del mascellare possa arrivare in rari casi verso l’ oftalmica e quindi
nelle vene endocraniche, causando una trombosi e quindi un’encefalite.
Cede rami cervicali e facciali:
Rami cervicali: Palatina ascendente, Arteria tonsillare, Arteria sottomentale
Rami facciali: Arteria labiale inferiore, Arteria labiale superiore, Arteria nasale laterale
• Occipitale
• Auricolare posteriore. Fornisce la vascolarizzazione per l’atm.
• Temporale superficiale
• Mascellare. Importante perché si trova dietro i processi pterigoidei e dà origine alle arterie palatina
e sfeno-palatina, due arterie che irrorano il mascellare.

INNERVAZIONE MAXILLOFACCIALE.
MOTORIA.
L’innervazione motoria dipende dal nervo facciale (VII paio di nervi cranici), costituito da 2 componenti: il
nervo facciale propriamente detto e il nervo intermedio di Wrisberg.
Il VII nervo cranico emerge dal tronco encefalico al limite tra bulbo e ponte, raggiunge il meato acustico
interno, lo attraversa e si immette nel canale osseo facciale. Percorre interamente il canale facciale ed esce
attraverso il foro stilo mastoideo. Lungo il decorso nel canale, il nervo facciale (settimo paio dei nn. cranici)
emette alcuni rami collaterali intrapetrosi; nel tratto intrapetroso crea dei collegamenti con gli organi del
gusto. Fuori dal canale invia altri rami collaterali extrapetrosi.
Rami intrapetrosi:
• nervo grande petroso superficiale
• nervo stapedio
• corda del timpano
Rami extrapetrosi
• nervo per il muscolo digastrico
• nervo auricolare posteriore

Il faciale attraversa la ghiandola parotide dirigendosi verso il margine posteriore del ramo della mandibola,
prima del quale si divide nei suoi rami terminali:
• TRONCO TEMPORO-FACIALE che si scompone in numerosi rami per i muscoli pellicciai della testa
che occupano le regioni situate al di sopra di un piano orizzontale passante per la commessura delle
labbra (fra tali muscoli vi è quello orbicolare dell’occhio);
• TRONCO CERVICO-FACIALE che si dirige in basso ed in avanti e che, con i suoi rami di divisione, si
distribuisce ai muscoli della regione del mento e del labbro inferiore ed anche, nel collo, al muscolo
platisma.
Ci sono una serie di patologie di eziopatogenesi anche oscura, che possono coinvolgere questo nervo, come
la malattia a frigore che danno paralisi del faciale, ma che si risolvono quasi sempre con restitutio ad
integrum.
SENSITIVA.
L’innervazione sensitiva è assicurata dal nervo trigemino (V paio di nervi cranici).
E’ un nervo misto costituito da fibre sensitive somatiche e da un minor numero di fibre motrici somatiche.
La componente sensitiva somatica, contenuta nella radice sensitiva del trigemino, ha la sua origine nel
ganglio semilunare del Gasser.
I protoneuroni pseudounipolari del ganglio inviano il loro prolungamento centrale al nucleo sensitivo
principale (pontino), al nucleo della radice discendente (bulbospinale) ed al nucleo sensitivo mesencefalico.
I prolungamenti periferici costituiscono le tre branche del trigemino:
• Branca Oftalmica
• Branca Mandibolare
• Branca Mascellare

NERVO OFTALMICO.
Nasce dalla parte interna ed anteriore del ganglio semilunare, abbandonato il cavo del Meckel, si impegna
nello spessore della parete laterale del seno cavernoso che percorre obliquamente dal basso in alto,
incrociando il nervo oculomotore comune. Poco prima di raggiungere la fessura orbitaria superiore si divide
nei suoi tre rami terminali:
• Nervo naso-ciliare
• Nervo frontale
• Nervo lacrimale
Si distribuisce alla cute della fronte e della volta cranica, all’occhio ed alle formazioni a questo annesse, alla
mucosa nasale.

NERVO MASCELLARE.
Nasce dalla convessità del ganglio semilunare, esce dal cavo del Meckel decorre nel seno cavernoso,
attraversa il foro rotondo dello sfenoide ed entra nella fossa pterigopalatina. S’immette nella cavità
orbitaria, passando per la fessura orbitaria inferiore.
Passa nel solco infraorbitario, nel canale infraorbitario e fuoriesce attraverso il foro infraorbitario , sulla
faccia antero-superiore dell’osso mascellare.
Rami terminale
• n. infraobitario
Rami collaterali
• n. meningeo medio
• n. Zigomatico
• n. Sfenopalatini
• n. alveolari superiori
Si distribuisce ad un’estesa area cutanea del volto, alla mucosa delle cavità nasali e alla mucosa del cavo
orale.

NERVO MANDIBOLARE.
Esce dalla cavità del Meckel e raggiunge il foro ovale dello sfenoide, attraverso il quale esce dalla cavità
cranica. Entra quindi nella parte alta della fossa infratemporale.
Si divide in due grossi tronchi: uno antero-laterale, l’altro postero-mediale.
• Il ramo antero-laterale costituito prevalentemente da fibre motrici si divide in diversi nervi: il nervo
masseterino, i nervi temporali profondi, il nervo pterigoideo esterno ed il nervo buccinatore.
• Il ramo postero-mediale si divide in due grossi rami: il nervo alveolare inferiore ed il nervo linguale,
più un terzo ramo di dimensioni inferiori ai precedenti, il quale si dirige posteriormente, a costituire
il nervo auricolotemporale.
E’ un nervo misto costituito da fibre sensitive somatiche e da fibre motrici somatiche.
Gli impianti dentali sostituiscono le vecchie protesi dentarie; il problema è che sotto i denti passa questo
nervo, quindi c’è rischio che l’impianto leda il nervo.
LA MASTICAZIONE.
La masticazione è una funzione fisiologica che coinvolge
• Lingua
• Denti
• Muscoli masticatori
• Articolazione temporo-mandibolare

L’ARTICOLAZIONE TEMPORO-MANDIBOLARE (ATM).


È una condiloartrosi doppia.
E’ formata da fossa glenoide, condilo mandibolare, disco articolare, capsula articolare, legamenti
(temporomandibolare, collaterale, stilomandibolare, sfeno-mandibolare e pterigo-mandibolare).
Innervazione: nervo auricolo-temporale, nervo masseterino, nervo temporale profondo posteriore.
Vascolarizzazione: arteria temporale superficiale, arteria mascellare interna, arteria faciale, arteria
auricolare posteriore, arteria faringea ascendente.

INFEZIONI ODONTOGENE
Le infezioni odontogene sono un insieme di processi infettivi che hanno origine dalle strutture dentali
e parodontali, e da queste possono diffondersi alle strutture ossee, ai tessuti molli orali o ai tessuti
cutanei del distretto cervico-facciale.

Eziologia.
• Aerobi: cocchi Gram +
•Anaerobi:
cocchi Gram+
bacilli Gram –

Patogenesi.
Il primo momento nella patogenesi delle infezioni odontogene è solitamente rappresentato dalla
colonizzazione batterica della regione periapicale che può avvenire con diverse modalità:
• Necrosi pulpare causata da carie dentale
• Necrosi pulpare causata da malattia parodontale
• Necrosi pulpare di origine traumatica
• Contaminazione dell’apice per via retrograda
• Pericoronarite

L’infezione periapicale può essere acuta e può portare a disseminazione tissutale e cellulite
(interessamento infettivo del tessuto adiposo), batteriemia e fistolizzazione cutanea e mucosa; oppure
cronica e porta allo sviluppo di un granuloma periapicale (che tenta di circoscrivere l’infezione) che può
evolvere, se non curato, in una cisti radicolare.

Gli ascessi odontogeni possono dare problematiche minime, ma anche importanti, a seconda della
localizzazione anatomica (dipende dall’elemento dentario; importante perché nel pavimento della bocca
c’è il muscolo miloioideo che impedisce l’eccessiva propagazione dell’infezione e a volte certe localizzazioni
possono compromettere le vie aeree (localizzazioni sottomandibolari a livello posteriore della mandibola) o
il mediastino (collo anteriore), del tasso di progressione (che dipende dal batterio) e del sistema
immunitario del pz (ci sono condizioni in cui è compromesso il sistema immunitario dell'ospite, rendendo
difficile la guarigione o facilitando la formazione dell’ascesso. Sono pz diabetici, in terapia steroidea,
trapiantati, positivi per neoplasie,…)
Le infezioni odontogene possono propagarsi raggiungendo le seguenti sedi anatomiche:
• Vestibolare. È esterna all’elemento dentario e si trova tra dente e guancia.
• Palatale. Interessata solo dall’ arcata superiore. La via di propagazione è attraverso il seno
mascellare; a riprova di ciò, il fatto che molte sinusiti sono di origine odontogena perché partono da
alterazioni degli elementi dentari, soprattutto molari (1° e 2°), che “pescano” nei seni mascellari.
• Masseterina. Può essere coinvolta sia dall’ arcata superiore che inferiore. Può colpire la zona dove
si inserisce il massetere, muscolo elevatore della mandibola, che si trova nella regione dell’ angolo.
• Sottomandibolare. Interessa la regione tra il bordo inferiore della mandibola e il collo. È la via più
pericolosa per la propagazione a distanza.
• Sottolinguale. Interessata solo dall’ arcata inferiore. Può essere pericoloso perché può provocare
l’angina di Ludwing.
Può essere necessario incidere l’ascesso per via percutanea (quando il pus diventa liquido è il momento
giusto per l’evacuazione percutanea se la massa è dura è meglio aspettare).

Spesso quando il pz arriva è già in una fase avanzata: se l’ascesso è accertato in prima giornata basta
drenare.

Evoluzione Clinica
I primi 7 giorni corrispondono alla fase iniziale di formazione dell’ascesso periapicale con infiltrazione
endostale, cioè è coinvolta la porzione centrale dell’osso mascellare o mandibolare senza che vi sia, però, il
superamento del periostio o della corticale. Fino alla fase endostale il dolore è tollerabile, solo quando c’è
infiltrazione sottoperiostea diventa intenso, perché il periostio è difficilmente distendibile ed è riccamente
innervato. Superato il periostio c’è la fase di infiltrazione flemmonosa (dura dai 3 ai 7 giorni) e poi
ascessualizzazione e fistolizzazione (5 giorni); se il pz non è trattato, c’è infezione diffusa con complicanze a
distanza. Il pz di solito si presenta gonfio, con una tumefazione arrossata perché si è superato il periostio,
in alcuni casi c’è già fistolizzazione cutanea o mucosa; può essere febbricitante e ha tutti gli indici
infiammatori sballati (ves, pcr e WBC).
La panoramica è l’ esame più importante per valutare le strutture del cavo orale; valuta il margine lineare di
mandibola e mascellare superiore, verificando i mascellari dalla regione condilare per tutta la circonferenza
della mandibola. Tramite questa si identificano le problematiche dentarie più importanti, tra cui gli ascessi,
e si vedono alcune strutture anatomiche come il nervo mandibolare, la fuoriuscita del nervo a livello del
forame mentoniero e talvolta anche alcune subunità delle fosse nasali e del seno mascellare.

ASCESSO PERIAPICALE.
• Dolore intenso e ben localizzato
• Risposta negativa al test di vitalità  se c’è iperemia pulpare, il pz, se stimolato col freddo, avverte
molto dolore.
• Aumento di mobilità dell’elemento dentario
• Status negativo o allargamento dello spazio parodontale periapicale
Anche una carie può causare questo ascesso. Se il dente non è recuperabile si estrae, altrimenti si fa un
drenaggio tra i canali radicolari e la camera pulpare. Nella fase in cui c’è l’infezione dell’elemento dentario,
la devitalizzazione non si può eseguire in un’unica seduta perché c’è il drenaggio; il presupposto affinchè la
devitalizzazione funzioni è che i canali radicolari devono essere svuotati del loro contenuto, cosi come la
polpa; vanno sterilizzate le cavità e solo quando i canali radicolari sono ben asciutti allora si possono
otturare i canali e salvare cosi il dente.

INFILTRAZIONE ENDOSTALE.
• Dolore acuto soprattutto notturno; se c’è un coinvolgimento del nervo mandibolare il pz può
sviluppare una neurite
• Radiologicamente si vede un’ area radiotrasparente a margini mal definiti
• Risposta negativa al test di vitalità pulpare
INFILTRAZIONE SOTTOPERIOSTEA.
• Dolore acutissimo, si inizia a intravedere una iniziale tumefazione
• Area radiotrasparente più definita

INFILTRAZIONE FLEMMONOSA .
• Dolore meno acuto
• Tumefazione duro-elastica
• Cute e/o mucosa arrossata
• Area radiotrasparente più definita

ASCESSUALIZZAZIONE e FISTOLIZZAZIONE.
• Dolore assente o comunque meno intenso perché il materiale viene drenato all’esterno
• Tumefazione molle
• Presenza di fistola con secrezione purulenta
• Area radiotrasparente definita

INFEZIONE DIFFUSA.
• Dolore e tumefazione intensi. La tumefazione è fluttuante; è la fase in cui si può incidere. Tuttavia,
può portare a necrosi parcellare della cute se non si drena rapidamente
• Rialzo termico
• Compromissione condizioni generale (disidratazione, astenia, ecc.)
• Tra le complicanze più temibili c’è la tromboflebite del seno cavernoso che di solito parte da un
ascesso del canino superiore perché ha una radice molto lunga che può interessare la vena
angolare del naso; qui si può verificare l’inversione del flusso col rischio di diffusione verso il seno
cavernoso.

Altri segni possono essere la febbre, il trisma (se c’è interessamento del massetere, il pz non apre la bocca,
se non per qualche mm  è un problema perchè non potendo aprire la bocca non si può estrarre il dente,
quindi si dà prima una terapia medica per ridurre l’infiammazione e favorire l’apertura della bocca; se
questo problema non viene corretto bene nei primi giorni si possono creare delle cicatrici che lasciano la
difficoltà all’apertura per qualche tempo), la difficoltà a deglutire o respirare se lo spazio interessato è lo
spazio parafaringeo, peritonsillare o della loggia sottomandibolare (in questo caso si fa eseguire
dall’otorinolaringoiatra la FO per vedere se c’è interessamento di queste sedi; se siamo in una fase in cui le
vie aeree sono compromesse l’estrema misura da attuare è la tracheostomia), e infine l’ interessamento dei
pilastri tonsillari (bisogna vedere se il problema è di pertinenza orl o maxillo-facciale).
Terapia.
Gestione del pz: il pz è allettato, idratato per ev, gli si somministrano corticosteroidi ev nelle prime 24 ore
per ridurre edema e infiammazione e antibiotici, si controlla la febbre e l’equilibrio elettrolitico.

La terapia principale è quella antibiotica.


Qualsiasi mal di denti, essendo un'infezione, andrebbe trattato con un antibiotico a cui si può associare un
antidolorifico. La terapia antibiotica prevede l’utilizzo di beta lattamine, soprattutto l’amoxicillina con
clavulanato che può essere assunto po a casa (1g, 2-3 volte/die), oppure per ev in ospedale (2,2g 2-3v/die).
Si possono dare fino a 12 g al giorno; se il pz è allergico alle penicilline si danno i macrolidi. Per coprire
l’infezione da Gram- si danno i chinolonici, farmaci nati come disinfettanti delle vie urinarie, ma utilizzati
oggi anche in altre patologie. Il più usato è la levofloxacina soprattutto da 500 mg 1 volta al giorno.
Levoxacin 500mg endovena al giorno + un flacone più augmentin 2,2 per due eV.
L’esame colturale serve poco, si fa solo se falliscono gli interventi precedenti. È però quasi sempre inutile
farlo quando arriva in ospedale perché hanno già preso degli antibiotici; si fa perciò una terapia ad ampio
spettro.
Se è presente un ascesso, questo si può incidere se è fluttuante ed eventualmente estrarre il dente
responsabile. Gli approcci possono essere intra-orali o extra-orali. Quelli extraorali sono più frequenti
perché l’estrinsecazione nel 90% avviene per via extra-orale e perché nel cavo orale il drenaggio diventa un
evento naturale, in quanto si crea una fistola a livello gengivale che finchè è aperta non permette la
formazione di ascessi e flemmoni. Se questa problematica è risolta allora si può incidere. In alcuni casi si
posizionano dei drenaggi per impedire la chiusura del foro che si è creato; il più facile da usare è quello
ricavato da un dito di guanto messo in una soluzione e poi posto all'interno dei tramite fistoloso.
Se l’ascesso è importante il pz va ospedalizzato: si valutano le condizioni generali e se ci sono infezioni
rapidamente progressive come la fascite necrotizzante (infezione non di origine odontogena post
traumatica in pz che subiscono gravi danni facciali con perdita dei tegumenti che possono andare incontro
ad infezione da anaerobi. È un urgenza, vanno rimosse le fasce).
Complicanze.
 Osteomielite: infezione cronica dell'osso che ci mette molto a risolversi
• Sinusite mascellare: si auto-alimenta anche dopo l’estrazione del dente. Il seno mascellare sente
molto l’influenza odontogena. Se c’è un’infezione che interessa i seni mascellari c’è un ristagno di
materiale purulento; se interessa l’ostio di fuoriuscita nel meato medio che drena verso le fossa
nasali c’è un blocco che crea la sinusite. La terapia è endoscopica: si entra dal naso, si allarga il
meato medio tramite una meatotomia media e si svuota il seno mascellare creando presupposti
affinchè circoli aria nel seno.
• Osteite: si verifica soprattutto in pz che usano bisfosfonati, ma raramente anche in caso di ascessi e
flemmoni.
• Alveolite secca: si verifica dopo l’ estrazione di un dente. L'infiammazione dell'alveolo dentario è
secca senza infezione ed è caratterizzata da un dolore atroce che può durare qualche giorno, fino a
quando l'alveolo non si riepitelizza.

Bifosfonati.
Usati come terapia dell'osteoporosi perché inibiscono l’ azione degli osteoclasti, si è tuttavia visto nel
tempo che questi farmaci potevano essere usati nella cura di lesioni secondarie a tumori come polmone,
mammella, rene, mieloma. Il problema di questi farmaci è che non agiscono selettivamente, per cui
inibiscono anche la crescita vascolare nell'osso, che diventa poco vascolarizzato. I mascellari, a differenza
delle altre ossa del nostro organismo, sono le ossa che hanno più contatto diretto con l'esterno in quanto la
lamina di gengiva è spessa 2,5 mm; inoltre il cavo orale è ricco di batteri che possono dare infezioni
soprattutto se l’osso è poco vascolarizzato e quindi poco raggiungibile dal sistema immunitario.
Hanno una emivita molto lunga, soprattutto se somministrati per ev. Pamidronato e zalendronato sono i
più dannosi.
Possono dare come effetti collaterali sintomi influenzali, aumento della creatinina, pancitopenia, ma
soprattutto osteonecrosi dei mascellari (prevalenza abbastanza alta, 10% a 6 mesi).

Fattori di rischio.
Tutte le condizioni di compromissione dentaria o parodontale, per cui, prima della somministrazione va
eseguito un attento check-up odontoiatrico atto a bonificare il cavo orale, cosi da prevenire delle
complicanze. Diventa pericoloso eseguire delle estrazioni dentarie in corso di terapia, in quanto possono
dare osteiti; se si fanno, deve esserci un’importante copertura antibiotica. Esistono tuttavia pz oncologici
che fanno antibiotici per un anno consecutivamente e a cui non bisogna fare alcun implantologia dentaria
anche se secondo alcuni la somministrazione per os potrebbe prevedere l’esecuzione dell’intervento.
Gli unici interventi possibili devono essere atti a eseguire un curettage molto leggero, per cui
fondamentalmente sono possibili tutti quegli interventi per cui non è necessario uscire al di fuori del dente,
come nelle carie.
Se la necrosi si mobilizza si crea un sequestro che va rimosso e si cerca poi di richiudere con le mucose.
Segni.
Fistole cutanee o piccola problematica vicino al dente. A volte si crea una comunicazione con il naso.

Esami.
Panoramica, Tac dental scan (è l’esecuzione di un esame panorex: è come una panoramica eseguita alla tac
e tramite un software il pc seziona delle scansioni a distanza di 1-2 mm l’una dall’altra), RM.
Serve a valutare l’estensione e l’eventuale interessamento di strutture contigue.
La diagnosi è soprattutto anamnestica.

Profilassi.
Estrazioni e interventi prima della terapia o massimo entro i primi 6 mesi e igiene orale dedicata (che
prevede una terapia medica ad ampio spettro e a lungo termine, per cui si somministra clavulanato e
amoxicillina più metronidazolo che funziona anche contro i Gram- anaerobi, clorexidina, ossigeno terapia
iperbarica in alcuni casi anche se non ci sono ancora evidenze scientifiche, ozonoterapia).
Se la situazione è grave e ne vale la pena, si fanno delle resezioni mandibolari con ricostruzione con la
fibula. Si è visto che l’osso trapiantato non ha le stesse problematiche dei mascellari circa l’osteite.

INCLUSIONI DENTARIE
I denti inclusi sono soprattutto i terzi molari, ma non è escluso che anche altri denti possano esserlo.
A seconda della loro posizione possono essere:
• Completamente erotti e ben visibili in arcata
• Parzialmente erotti, ovvero il dente rimane parzialmente coperto dalla gengiva e quindi può dare
problemi in quanto accumulandosi sotto la gengiva materiale alimentare possono verificarsi delle
infezioni, le pericoronariti
• Ritenuto ovvero non è visibile nel cavo orale perchè coperto da mucosa o gengiva
• Completamente incluso ovvero coperto da gengiva e osso
I denti del giudizio più frequente inclusi sono i superiori, seguiti dagli inferiori e dai canini; più raramente gli
altri.

Indicazioni per l’estrazione.


La prima panoramica va fatti nei bambini all’età di 6 anni per vedere se ci sono malformazioni, poi si ripete
a 12 anni o anche prima se serve per il trattamento ortodontico.
L’ età giusta per l’estrazione dei denti del giudizio è di 17 anni per la donna, perché termina lo sviluppo dei
mascellari e quindi provoca meno danni al parodonto; per l’uomo è invece 18 anni. Le estrazioni fatte in
maniera preventiva sotto i 17 anni devono essere fatte per problemi di spazio o ortodontici, altrimenti i
danni parodontali che subisce il pz non giustificano l’estrazione.
• Un terzo molare erotto va tolto perchè può andare incontro a processi cariogeni.
• In un terzo molare parzialmente erotto, invece, il problema principale è per infezione del parodonto
che può sovrainfettarsi e dare pericoronarite. I primi episodi di pericoronarite si risolvono con la
terapia antibiotica, per cui poi la sintomatologia diventa latente per un periodo abbastanza
importante, tuttavia col ripetersi degli episodi la latenza si accorcia e il dente va tolto.
• Un dente parzialmente erotto difficilmente diventerà completamente erotto soprattutto se è
inclinato, per cui mai si raddrizzerà: va estratto anche senza che ci siano stati episodi di
pericoronarite.
• Un dente ritenuto ma con un asse verticale come gli altri denti, entro la 3° decade potrebbe
erompere e andare in arcata; se non ci sono motivazioni di spazio si può attendere. Se però non
erompe e si creano delle tasche tra il 7° dente e questo, si infiltrano residui alimentari e batteri, per
cui alla panoramica si vede una pericoronarite  estrazione.
• Un dente incluso è un dente che a causa della sua mal posizione ha subito uno stop di crescita e
può situarsi anche in maniera molto profonda. Alcuni denti molto inclusi, se scoperti in età avanzata
ma asintomatici si lasciano, perché più passa il tempo, più il dente va in anchilosi e quindi diventa
difficile da toglierlo; nel pz giovane sintomatico (problemi di masticazione, dolore, …) va tolto.
È possibile che spunti un dente del giudizio nel pz edentulo perché si riassorbe l’osso: si tolgono solo se
sono sintomatici.

Controindicazioni all’avulsione
• Infezione acuta in atto, perchè si rischia di provocare uno stress chirurgico, in più le infezioni
modificano il pH e quindi anche dal punto di vista anestesiologico è difficile fare un’ anestesia
efficace.  Condizioni precarie del pz.
• Rischi emorragici, sia secondari che primitivi. Se il rischio è primitivo si somministra il fattore
mancante, se è secondario si embrica la terapia anticoagulante con eparina.
• Pz irradiati nei 5 anni precedenti.

Diagnosi
È clinica e strumentale.
È clinica perché il pz riferisce dolore, la presenza di un drenaggio purulento, sieroso o addirittura la
presenza di un ascesso. A questo punto si fa una radiografia panoramica che permette di valutare diversi
aspetti: la presenza di infezioni, il riassorbimento osseo, l’età del pz (se è giovane) in base alla maturazione
degli apici in quanto è possibile confrontarli con gli altri apici e vedere se quelli del dente del giudizio sono
maturi o meno, il rapporto col canale del nervo mandibolare, il rapporto del superiore col seno mascellare,
profondità del sottosquadro e inclinazione del dente. Questi ultimi due sono i parametri fondamentali per
definire la difficoltà di estrazione.
In caso di dubbi, poiché la panoramica dà una visione in 2D è possibile avere una immagine tridimensionale
eseguendo una TC dental scan. È una immagine simil-panoramica ottenuta con la TC; attraverso un
software dedicato si ottengono immagini di 1mm di mandibola e mascella in proiezione coronale in cui è
possibile vedere le dimensioni reali (importante più che altro nell’implantologia) e i rapporti tra nervo
mandibolare e radici (se sono troppo vicini il rischio è che il pz abbia delle disestesie dell’angolo). Se la
radice linguale del 3° molare perfora la corticale linguale, il dente non è completamente avvolto dall’osso,
ma fuoriesce dall’osso: è importante star attenti a non far scivolare il dente lingualmente, altrimenti c’è
rischio che finisca nello spazio parafaringeo (se inferiore) o nel seno mascellare (se superiore).
Quando si crea un lembo non si supera mai la metà linguale del dente per cui si parte dal 7° dente e si resta
attaccati all’8°, si arriva fino a metà dente e poi si scarica vestibolarmente creando una busta.

Quando si estrae un dente nell’arcata inferiore si fa l’anestesia tronculare, ovvero in una regione della
branca montante della mandibola dal lato linguale dove c’è la spina dello Spix che è il punto in cui il nervo
mandibolare entra nella mandibola. Si danno 2/3 di fiala in questa posizione e poi uscendo si somministra il
restante terzo nei tessuti molli perché qui incrocia il nervo linguale. Quando il pz riferisce formicolio al
labbro e a metà lingua si rinforza l’anestesia facendo ancora una fiala nel fornice sotto il dente del giudizio
dove passa il nervo buccinatorio e poi il resto della fiala si fa nel plesso alveolare del dente del giudizio.
Alcuni somministrano dei corticosteroidi prima e dopo l’estrazione; in realtà ha poco senso perché ha
emivita breve, può aver senso prescriverlo per os se l’intervento è stato complicato.

Il nervo mandibolare percorre la mandibola e fuoriesce dal foro mentoniero, presente tra il 4° e il 5 °dente.
Quando si fanno delle procedure chirurgiche in questa regione (regione canina), non si fa una tronculare,
ma solo l’anestesia della regione mentoniera, ovvero in vicinanza del foro mentoniero.

I punti di fuoriuscita dei nervi del trigemino, ovvero i due mentonieri, i due infraorbitari e i due
sopraorbitari possono diventare dei trigger points, ad esempio nelle nevralgie essenziali del trigemino, per
cui comprimendo questi punti il pz avverte dolore.
Estrazione
Si usa bisturi con lama 15, 2 scollatori che servono per ribaltare il lembo, un manipolo dritto, degli
strumenti rotanti che servono per fare spazio intorno al dente o se l’estrazione non si può fare in toto e
quindi si taglia una porzione di dente, le frese, le leve (che possono essere dritte, leggermente curve o ad
unghia: servono per lussare i denti) e le pinze (servono più negli altri denti, qui solo per prendere il dente
ormai lussato).
Il trapano si usa poco nelle estrazioni dei denti dell’arcata superiore.
L’estrazione si fa in sala o in ambulatorio, dipende dal numero di denti da estrarre (se sono 4 si esegue in
sala, mentre in ambulatorio si fa in anestesia locale, al massimo e si estraggono al massino 2 denti superiori
e inferiori omolaterali). Sutura con filo a riassorbimento rapido.

Gli inclusi verticalmente sono i più facili da togliere.


Se sono inclinati cambiano gli angoli e quindi diventa difficile estrarli; bisogna sezionarli rimuovendo prima
corona e sottosquadro e solo poi la radice ( odontorizotomia). Prima di tagliare il dente è necessario
lussarlo con le leve.
Un altro parametro importante è lo spessore delle radici: se sono affusolate e sottili son più facili da
estrarre; a volte la corona ha diametro inferiore delle radici, per cui diventa particolarmente difficile
estrarlo. I denti che si affacciano verso la periferia son complicati da estrarre perché son coperti da tanto
osso e quindi è difficile estrarlo interamente, a meno che non ci sia un’area osteolitica a seguito delle
frequenti infezioni.

Fattori che influenzano l’estrazione sono


• profondità,
• direzione del dente,
• la profondità del sottosquadro,
• il riassorbimento osso (se c’è, la lussazione è più facile),
• il bordo anteriore del ramo mandibolare,
• radici (se anchilosate, ad esempio post devitalizzazione son difficili da togliere perché non c’è più il
legamento, ma il dente e l’osso comunicano direttamente, va valutata anche la forma e lo spessore,
i vettori di uscita delle radici). Le radici possono essere globose, divergenti, convergenti (soprattutto
in questo caso, se il dente si lussa ma non si riesce a togliere è perché si è creato un setto osseo). Se
estraendo il dente si rompono gli apici e questi sono di un paio di mm si possono lasciare in quanto
in un paio di anni si riassorbono, se son più grandi invece vanno cercati e tolti.

Altri denti che possono restare inclusi sono i canini, che possono trovarsi sotto la gengiva vestibolare
oppure verso il palato.
In questo caso, non sempre bisogna fare l’estrazione, ma quando è possibile (si valuta il grado di
inclinazione del dente: se è troppo storto (> 45°) e quindi non si può recuperare allora si toglie) e se il pz è
giovane (e quindi i denti non sono ancora in anchilosi) si propone uno scappucciamento, ovvero si crea uno
spazio con l’apparecchio, si scolpisce lembo, si espongono i canini, si cementano sui canini due sistemi di
ancoraggio e si viene fuori con 2 fili di metallo. A distanza di 15 giorni, si comincia a trazionare con un
sistema di molle e leve tutti i giorni, fino a quando i denti sono stati recuperati in arcata. Perché la ferita
guarisca bene, questa non deve poggiare sul vuoto.
A volte le inclusioni possono essere multiple. oppure ci possono essere dei denti sovranumerari: in questo
caso va verificato perché un dente ritenuto può creare delle cisti follicolari.

Complicanze intraoperatorie:
• emorragia
• dislocazione dei denti (nello spazio parafaringeo e sottomandibolare se inferiori. nel seno
mascellare e nella fossa pterigomascellare se superiori; in quest’ultimo caso il rischio è che ild ente
migri e finisca nel collo)
• frattura dell’apice della radice, dell’angolo mandibolare, alveolare, dei denti vicini, della punta dello
strumento
Complicanze postoperatorie:
• edema, dolore, ematoma
• infezioni
• frattura dell’angolo mandibolare
• lesioni nervose (nervo linguale e alveolare)
• alveolite secca (è un’infiammazione dell’alveolo, resistente a quasi tutti gli antidolorifici, dura 5-6
giorni. Non si sa perché compaia)
• trisma (quando si fa un lembo a busta bisogna stare attenti a sentire se sotto c’è l’osso: se non c’è, il
rischio è di incidere il massetere, che se guarisce con fibrosi dà trisma)

CISTI E TUMORI ODONTOGENI


Le cisti sono lesioni benigne con crescita espansiva, spesso rivestite da una parete interna epiteliale e da un
rivestimento esterno connettivale; il tipo di parete caratterizza il tipo di cisti. Il contenuto è vario: può
essere liquido, non esserci o essere un contenuto poltaceo che può insorgere ex novo o essere l’ evoluzione
infiammatoria di una cisti (le cisti infiammatorie sono infatti l’ evoluzione di un problema apicale del dente
che se evolve può formare una cisti radicolare).

Eziopatogenesi.
Il meccanismo patogenetico alla base di queste lesioni non è noto, ma con ogni probabilità comporta
l’attivazione di residui epiteliali che si ritrovano all’interno delle ossa mascellari.
Nell’età dello sviluppo dei mascellari, il dente è contenuto nei mascellari da un rivestimento follicolare. Lo
stesso dente, embriologicamente nasce dalla sovrapposizione di diversi foglietti che se vanno incontro a
degenerazione possono essere smaltiti dal sistema immunitario, ma se non vengono rimossi, in età adulta
possono andare incontro a degenerazione. Una situazione analoga si verifica a livello sacrococcigeo, infatti
se restano residui che non vengono eliminati questi danno origine alla cisti sacrococcigea che è un
teratoma. Se il dente non erompe o se il follicolo non viene digerito questo può degenerare in una cisti,
oppure se i foglietti embrionali del dente restano nei mascellari anche questi degenerano in cisti e tumori
odontogeni.

Sono due le teorie più accreditate: la teoria idrostatica e quella prostaglandinica.

TEORIA IDROSTATICA:
Stimolo irritativo o degenerativo endosseo  proliferazione di residui epiteliali con aumento della
pressione osmotica  richiamo di fluidi dall’interstizio per osmosi ed aumento della pressione idrostatica
sulle pareti attivazione degli osteoclasti ed espansione della lesione perché gli osteoclasti fanno parte del
sistema immune dell’osso, riconoscono pertanto la presenza di un agente non self e vanno quindi a digerire
tutto quello che incontrano, incluso l’osso.

TEORIA PROSTAGLANDINICA:
Parete cistica  liberazione di prostaglandine che attivano gli osteoclasti e che danno riassorbimento
osseo

Fisiopatologia.
• Meccanismo di crescita espansivo
• Aumento lento e progressivo di volume tranne in alcuni casi.
• Usura della compagine ossea.
• Comportamento più o meno aggressivo a seconda delle caratteristiche istologiche. In qualche caso
le cisti possono trasformarsi o “confondersi” con l’ameloblastoma
Inquadramento Clinico.
• Asintomatiche o riscontro occasionale di lesione osteolitica in corso di accertamenti eseguiti per
altri scopi. In questi casi, il trattamento è chirurgico.
• Se la cisti è di origine infiammatoria, tipo una cisti radicolare, il primum momens è l’infezione.
• Deformità dei mascellari se sono molto estese
• Non provocano erosione delle radici: se invece c’è una lesione osteolitica ma le radici non sono ben
rappresentate è un segno di malignità, detto colpo d’unghia.
• Non sono presenti alterazioni sensoriali nei territori di distribuzione del trigemino.

Classificazione.
Le cisti si dividono in odontogene e non. Le prime sono legate a problemi dentari, le seconde no.
Le cisti odontogene si dividono in infiammatorie e non infiammatorie.
Tra le non infiammatorie è compresa la cheratocisti o tumore odontogeno; ci sono poi le cisti gengivali
dell’adulto, del neonato, calcificante, dentigera o follicolare, parodontale laterale.
Tra le infiammatorie, la più importante è la cisti radicolare, che parte da una problematica infettivo-
infiammatoria di un dente; ci sono anche le cisti residue che evolvono dalle cisti radicolari che permangono
dopo l’ estrazione del dente, le cisti parodontali laterali infiammatorie che originano da un’infiammazione
cronica del legamento parodontale e le cisti paradentali che sono molto rare.
Esistono anche cisti non odontogene, come la cisti nasopalatina, la cisti mediana mandibolare e la cisti
nasoalveolare, che sono in realtà problematiche che si sviluppano laddove i processi di fusione dei
mascellari (il mascellare origina infatti dalla fusione dei processi globulo-mascellari) lasciano un gap. Se il
gap è importante il pz avrà una labiopalatoschisi, tuttavia in questo caso, la causa di formazione della cisti è
determinata dalla presenza di residui epiteliali. Si possono verificare anche a livello della mandibola, ma più
raramente. Le pseudocisti sono lesioni che non hanno una parete né epitelio, sono fondamentalmente
buchi nell’osso. Tra queste abbiamo la cisti solitaria, la cisti aneurismatica e la cisti di o lacuna di Stafne. Si
verificano spesso a seguito di un trauma: anche all’interno di osso si può creare uno stravaso ematico che
viene riassorbito lasciando una cavità.

CISTI ODONTOGENE NON INFIAMMATORIE


Cisti dentigera o follicolare
• Contiene al suo interno un elemento dentario non erotto e in vari stadi evolutivi
• Fenomeni regressivi con accumulo di fluidi tra l’epitelio dell’organo dello smalto ridotto e lo smalto
dei denti
• Molto frequente
• Identificata prevalentemente nelle prime decadi di vita  bisogna fare panoramica entro i 7 anni
per vedere se ci sono tutti i denti: se manca un dente in arcata, il dentista deve capire perché. 
Predilizione per il sesso maschile
• I follicoli dentari che vanno più frequentemente incontro a degenerazione cistica sono quelli del III
molare inferiore e del canino superiore

Cheratocisti odontogena
• Entità clinica ben distinta con caratteristiche microscopiche definite
• Alta tendenza alla recidiva, alla terza recidiva va considerata un ameloblastoma.
• Possibile associazione con sindrome di Gorlin-Goltz (sindrome nevo-baso-cellulare)  basaliomi
multipli.
• Origina dalla lamina dentale o suoi resti
• Particolarità istologiche: EPITELIO SQUAMOSO STRATIFICATO CHERATINIZZATO. Nessuna cisti ha
questo epitelio!
• Incidenza delle cheratocisti: 9% circa delle cisti dei mascellari
• Identificata tra la seconda e la quarta decade di vita
• Predilizione per il sesso maschile
• Maggior localizzazione a livello mandibolare in regione angolare
CISTI ODONTOGENE INFIAMMATORIE
Cisti radicolare
• Lesione cistica odontogena più frequente (50% circa di tutte le lesioni cistiche dei mascellari).
• Si sviluppa dall’apice di un dente erotto non vitale in seguito al passaggio di germi e delle loro
tossine nel periapice.
• Lo stimolo irritativo cronico provoca una risposta iperplastica dei residui epiteliali di Malassez
contenuti nel legamento parodontale.
• Test di vitalità pulpare molto importanti per indirizzare la diagnosi
• Particolarità istologiche: EPITELIO SQUAMOSO NON CHERATINIZZATO (DD con cheratocisti)
• Tipicamente asintomatica (può diventare sintomatica in caso di infezione o per il suo volume
deformante).
• Th: devitalizzazione del dente e asportazione della cisti.

CISTI NON ODONTOGENE


Cisti nasopalatina E’ la più comune tra le cisti fissurali
Si sviluppa nel mascellare anteriore nella regione del forame naso-incisivo
• Identificata tra la quarta e la sesta decade di vita
• Predilizione per il sesso maschile
• Clinicamente manifesta come una tumefazione del palato dietro la papilla incisiva, di consistenza
duro-elastica o fluttuante se la parete ossea viene erosa.

PSEUDOCISTI
Cisti aneurismatica
• Patologia cistica non neoplastica ad eziologia sconosciuta, unico modo per fare diagnosi è operare
il pz.
• Lesione espansiva e solitaria formata da lacune vascolari separate da tessuto fibroso contenente
cellule giganti multinucleate, tessuto osteoide ed osso midollare, che erode le corticali e la
midollare ossea e porta alla sostituzione con spazi cavernosi ripieni di sangue
• Diagnosi differenziale difficile con le lesioni giganto-cellulari. Questa cisti è una patologia non
neoplastica, con emorragia dei depositi di emosiderina; la sede elettiva delle lesioni giganti-cellulari
è la mandibola, soprattutto nella parte posteriore. La DD si fa solo con istologia, radiologia e clinica
(lesione periferica a cellule giganti o lesione a cellule giganti da iperparatiroidismo)
• Piuttosto rara nei mascellari più frequente nelle ossa lunghe e nella colonna vertebrale
• Non sconfina mai nei tessuti molli a causa di una risposta reattiva periostale con produzione di neo
osso alla periferia.

Cisti o lacuna di Stafne


• Colpisce soprattutto la parete linguale della mandibola a livello dell’angolo mandibolare
• Si genera durante lo sviluppo
• Contiene il nucleo accessorio della ghiandola salivare sottomandibolare
• Può anche non essere operata, perché per arrivarci bisognerebbe “disintegrare” tutta la mandibola

TUMORI ODONTOGENI
• Eterogeneità isto-patologica e difficile inquadramento delle lesioni dal punto di vista clinico e
radiografico.
• Originano dai due foglietti embrionali più superficiali, quello ectodermico e quello mesodermico.
Classificazione.
Tumori con epitelio odontogeno senza ectomesenchima odontogeno.
• Ameloblastoma. Esistono varianti: carcinoma ameloblastico, in cui il carcinoma insorge all’interno
dell’ameloblastoma.
• Tumore odontogeno squamoso
• Tumore odontogeno epiteliale calcificante (tumore di Pindborg)
• Tumore odontogeno a cellule chiare

Tumori con epitelio odontogeno ed ectomesenchima odontogeno.


• Fibroma ameloblastico
• Fibrodentinoma ameloblastico
• Odontoameloblastoma
• Fibrodontoma ameloblastico
• Tumore odontogeno adenomatoide
• Cisti odontogena calcificante
• Odontoma composto
• Odontoma complesso

Tumori con ectomesenchima odontogeno con o senza epitelio odontogeno


Fibroma odontogeno
Mixoma odontogeno
• Cementoblastoma benigno
• Fibroma cementificante

Ameloblastoma
• 11% dei tumori odontogeni
• 0,14% di tutti i tumori
• Colpisce prevalentemente la terza, la quarta e la quinta decade di vita  Non sembra esserci
predilizione di sesso  Frequenza maggiore a livello mandibolare 4:1.
• Sede più frequente angolo mandibolare
• Istologicamente ha delle cellule tipiche, dette a palizzata

Eziopatogenesi.
• Degenerazione della lamina dentale o della lamina di Hertwig o dell’organo dello smalto o da
epitelio di cisti dentigere
• Cellule basali tipiche dell’epitelio di rivestimento endorale

Clinica.
• Inizialmente asintomatico
• Riscontro radiologico occasionale radiotrasparenza uniloculare (simula una cisti) o multiloculare
(aspetto a ghirlanda)
• Mobilità degli elementi dentari adiacenti perché distrugge l’osso.
• Può includere un elemento dentario

Quando si deve fare una demolizione importante della mandibola, sulla base della TC 3D si costruisce un
modello della mandibola del pz sul quale si modella già la placca da ricostruzione nel preoperatorio, perché
sono placche robuste difficilmente modellabili nel campo operatorio.
Carcinoma ameloblastico
• Aspetti citologici di malignità
• Può dare recidive locali e MTS a distanza, soprattutto polmonari
• Radiologicamente e clinicamente è simile all’ameloblastoma, la diagnosi è di tipo istologico
• Può originare all’interno di un ameloblastoma o di una cisti

Ameloblastoma maligno
• Variante maligna molto aggressiva
• La prima manifestazione è spesso con MTS polmonari ed epatiche

Odontoma complesso e composto


• Non sono tumori ma amartomi.
• Tessuti dentali più o meno disorganizzati, ma senza gli aspetti proliferativi tipici dei tumori.
• Rappresentano il 30% circa dei tumori odontogeni.
• Identificati tra la seconda e la quarta decade di vita.
• La diagnosi radiologica è molto semplice, perché hanno una opacità simile a quella dei denti.

L’odontoma complesso è una malformazione in cui sono presenti tutti i tessuti dentali, ma disorganizzati.
L’odontoma composto rappresenta invece una malformazione in cui i tessuti dentali sono meglio evoluti e
organizzati dando luogo a strutture più o meno simili ai denti.
Gli odontomi composti prediligono il mascellare, mentre quelli complessi si sviluppano più frequentemente
nella mandibola
Mixoma odontogeno
 Tumore benigno a lenta crescita ma localmente aggressivo.
 Origina da un tessuto mesenchimale primitivo di origine odontogena (cellule simil-fibroblastiche
definite mixoblasti).
 Piuttosto raro (3% dei tumori odontogeni).
 Identificato tra la seconda e terza decade di vita con leggera predilezione per le regioni posteriori
della mandibola.

CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’OSSO.


L’osso è un tessuto di sostegno costituito da una matrice e da elementi cellulari peculiari.
La matrice ossea (osteoide) è per il 90% costituita da collagene di tipo I, glicosaminoglicani e sali inorganici
di calcio e fosfato.
Le cellule specializzate che popolano questo tessuto sono gli osteociti, gli osteoblasti (di derivazione
mesenchimale) e gli osteoclasti di derivazione macrofagica.
Gli osteoblasti sono deputati alla sintesi di osteoide e si ritrovano nelle aree di ossificazione e nel tessuto
osseo in via di accrescimento o di rimaneggiamento.
Gli osteociti, immersi nella matrice ossea, sono cellule osteoblastiche funzionalmente quiescenti ma
metabolicamente attive: attraverso fini propaggini citoplasmatiche che si approfondano in canalicoli ossei
microscopici . Questi contraggono rapporti con altri osteociti e strutture vascolari, acquisendo sostanze
nutrienti. Gli osteoclasti, invece, sono cellule multinucleate con orletto a spazzola deputate al
riassorbimento osseo. L’azione integrata di questi tre tipi di cellule, regolata soprattutto da stimoli di
origine endocrina, consente un’attività di produzione e distruzione ossea bilanciata che conferisce all’osso
la peculiare proprietà del rimodellamento continuo. In alcuni casi, come nella teca cranica dove la corticale
è molto rappresentata, il rimodellamento è lento; viceversa, dove la parte spongiosa è abbondante, il turn
over è rapido. È un fenomeno che continua per tutta la vita in maniera efficace, anche negli anziani.
Il paratormone e la calcitonina sono gli ormoni più direttamente attivi su questo processo. Il paratormone
è un ormone ipercalcemizzante ed ha la funzione di promuovere il catabolismo osseo stimolando gli
osteoclasti al riassorbimento. La calcitonina, al contrario, dotata di potere ipocalcemizzante, inibisce gli
osteoclasti e attiva la deposizione di matrice mediata dagli osteoblasti.
Da un punto di vista microanatomico è possibile distinguere due diverse architetture ossee: quella
lamellare, propria della corticale ossea, e quella spugnosa, rappresentata nelle porzioni midollari. Si
riconosce nell’osteone l’unità fondamentale dell’osso lamellare. L’osteone è costituito da una serie di
lamelle concentriche raccolte intorno ad una lacuna vascolare, il canale di Havers.
L’osteone è percorso anche trasversalmente da ulteriori canali, i canali di Volkmann, anch’essi occupati da
vasi.

Con il termine frattura si intende l’improvvisa soluzione di continuo di un segmento osseo. L’osso fratturato
appare costituito da due o più frammenti separati dalla linea di frattura. Possiamo suddividere le fratture in:

1) FRATTURA TRAUMATICA
2) FRATTURA PATOLOGICA
3) FRATTURA IATROGENA
4) FRATTURA CHIRURGICA
5) FRATTURA DA ARMA DA FUOCO

FRATTURE TRAUMATICHE.
Sono fratture provocate da un evento traumatico con una forza superiore alla resistenza dell’osso.
A seconda che la frattura si verifichi in sede d’impatto o a distanza viene classificata in diretta o indiretta.
Nella frattura diretta la forza è applicata direttamente, nell’indiretta la forza si esplica a distanza (un
esempio molto frequente in questo campo è la frattura del condilo mandibolare, che avviene in quanto la
struttura anatomica è debole e quindi la forza nella zona anteriore si trasmette in questa zona; una frattura
in questa zona ha funzione protettiva verso la propagazione della forza).
Le fratture traumatiche si possono anche distinguere in fratture chiuse, quando non vi sia lacerazione dei
tessuti molli, e aperte quando invece si determini l’esposizione del focolaio di frattura verso l’esterno. Le
fratture che interrompono le ossa mascellari tendono a essere aperte perché interrompono due strutture
dure, l’osso e la gengiva. Normalmente le fratture esposte sono pericolose per il rischio di osteomielite,
tuttavia nel campo delle ossa faciali l’esposizione è ben tollerata, soprattutto per le ossa che comunicano
con il cavo orale, grazie a meccanismi evolutivi.
In rapporto all’andamento della linea di frattura riconosciamo fratture complete, incomplete, a legno verde
(tipiche del bambino, la corticale non è ben calcificata) o comminute.

FRATTURE PATOLOGICHE.
Sono fratture provocate da forze che agiscono su un osso indebolito da processi degenerativi.
Sono tipiche nella mandibola quando esiste una cavità cistica ampia, una lesione carcinomatosa, una
metastasi ossea (soprattutto da polmone e fegato), in seguito ad atrofia nell’anziano edentulo oppure in pz
che da giovani avevano già protesi (il mantenimento della protesi per anni fa sì che l ‘osso si riassorba,
arrivando a livelli di “ghost mandible” quando questa è molto marcato)

FRATTURE CHIRURGICHE.
Sono provocate dalla necessità di intervenire sull’osso (es. osteotomie finalizzate allo spostamento di
segmenti ossei).

FRATTURE DA ARMA DA FUOCO.


Sono considerate a parte per la loro capacità distruttiva. Coinvolgono spesso anche tessuti periferici per cui
hanno una classificazione a sé. Tipiche nei tentativi anticonservativi: spesso il pz si spara nel mento-
nasoocchi senza uccidersi per cui è necessario ricostruire i tessuti.
FRATTURA IATROGENA
Si verifica senza che sia prevista. Capita durante la chirurgia del dente del giudizio dove facendo delle
manovre che sono aggressive si può avere una frattura dell’ angolo mandibolare con complicazioni cliniche
e medico-legali. Avviene meno oggi in quanto ci sono strumentazioni rotanti trapani e quindi prima si
usavano scalpelli per procurare la capacità di far leva.

MECCANICA DELLA FRATTURA.


Il carico su di un tessuto osseo può essere:
• Statico: effetto di un peso
• Dinamico: effetto di accelerazione, effetto di freno (operato da una massa). Il più frequente è il trauma
da urto con effetto di freno operato.

Fattori che influenzano la tolleranza ad una frattura:


• ENERGIA che deve essere assorbita
Ecin.= ½ mv2
Una massa molto piccola ma con velocità alta (pallottola) ha un effetto traumatico maggiore rispetto a un
corpo con massa elevata, ma lento: la velocità è un fattore importante e spiega anche perché quasi tutti i
traumi del viso di interesse maxillo-facciale avvengano in seguito a incidenti stradali (motocicletta ,…)
• DURATA dell’azione della forza
Minore è la durata, maggiore è l’energia che l’osso può assorbire.
• DISTRIBUZIONE del carico
Una superficie maggiore dà un danno di poco conto e viceversa.

MECCANICA DI UNA FRATTURA DA FLESSIONE.


Il cedimento inizia sul lato della
DILATAZIONE (forza di trazione). La frattura inizia dal
lato opposto a dove la forza è stata applicata. Questo ha
implicazioni cliniche soprattutto per la mandibola, perché
l’osso è più preparato alla compressione che alla
distrazione.

GUARIGIONE DELLA FRATTURA.


Presupposti per la corretta guarigione di una frattura sono:
• sufficiente vascolarizzazione dei frammenti,
• sufficiente prossimità dei frammenti (osteosintesi chirurgica è il miglior trattamento),
• sufficiente stabilità dei frammenti (se manca, c’è il rischio che i monconi anziché unirsi si
autonomizzino e si ha una pseudoatrosi).
La guarigione può essere:
PRIMARIA: necessita di stabilità assoluta, condizione quasi mai ottenibile in traumatologia, data la
sollecitazione funzionale.
SECONDARIA: attraverso la formazione del callo osseo, che si forma in 4 fasi distinte:
1 FASE (1° - 7° giorno) EMATOMA DELLA RIMA DI FRATTURA
2 FASE (7° - 14° giorno) CALLO DI GRANULAZIONE
3 FASE (14° - 21° giorno)CALLO DI FISSAZIONE
4 FASE (21° giorno in poi) CALLO OSSEO LAMELLARE (si può già iniziare a caricare) COMPLETO
CONSOLIDAMENTO A DISTANZA DI 8 SETTIMANE.
In realtà, l’osso è in fase di guarigione per più tempo, fino a 6 mesi, almeno nel campo maxillo-facciale
Alterazioni del normale processo di guarigione delle fratture:
Il ritardo di consolidamento può dipendere da:
• Deficit nella formazione del callo fibroso
• Deficit nel processo di ossificazione
Cause Locali
• Insufficiente riduzione e incompleto affrontamento dei monconi
• Insufficiente immobilizzazione dei monconi
• Infezioni del focolaio di frattura
Cause Sistemiche
• Alterato metabolismo proteico
• Alterato metabolismo di Ca e P
• Malattie debilitanti concomitanti

FRATTURE DELLA MANDIBOLA


La mandibola costituisce il terzo inferiore dello scheletro facciale. E’ costituita da 2 segmenti ossei
simmetrici e fusi sulla linea mediana a livello della sinfisi mandibolare.

MECCANISMI LESIVI:
 frattura da flessione (a)
• frattura da torsione
• frattura da compressione (b). Rare. Normalmente è una frattura pericolosa, perché la forza può
trasmettersi in fossa cranica media. Complicanze: fuoriuscita di liquor dall’orecchio.
• frattura da trazione
• frattura da forze contrapposte (c)

Fratture dirette (x)


Nella stessa sede d’azione dell’agente traumatico.
Fratture indirette (y)
A distanza dal punto di applicazione della forza traumatizzante.

Fratture incomplete.
Non viene interessato tutto lo spessore osseo (fessure, infrazioni, depressioni, fratture a legno verde).
Fratture complete.
L’osso risulta suddiviso in frammenti (fratture trasversali , oblique, longitudinali).
Se coinvolgono l’alveolo dentario sono pericolose perché sono fratture piccole e la contenzione dei
frammenti non è facile. Il rischio è di perdere elementi dentari.
1= trasversale
2=obliqua
3=longitudinale

Le fratture complete si dicono:


• semplici se i frammenti sono due, comminute se sono numerosi.
• non scomposte se i frammenti restano a mutuo contatto, scomposte se si è verificata una
dislocazione dei frammenti, che può essere assiale o di lato.

SEDI DI FRATTURA E RELATIVA FREQUENZA.


• ANGOLO 10%
• REG. SINFISARIA 23%
• CORPO 33%
• PROCESSO ARTICOLARE 29%
• CORONOIDE 4%
• RAMO 1%
Punti di debolezza sono l’emergenza del nervo mentoniero e la sede dell’angolo perché è presente il dente
del giudizio e quindi è una zona con minor resistenza e spesso si applicano forze (pugni,..)

TIPOLOGIE DI FRATTURE e DISLOCAZIONI.


Dislocazione primaria: se c’è una frattura, c’è anche una dislocazione provocata dall’oggetto contundente.
Dislocazione secondaria: non è per l’agente traumatico, ma per l’applicazione della forza dei muscoli sulle
ossa fratturate. Spesso questa dislocazione è più drammatica della primaria che è traumatica. Nel sistema
masticatorio bisogna vedere dove si colloca la frattura per valutare le forze in gioco che mediano la
dislocazione.
• FRATTURE MEDIANE.
Quando la linea di frattura decorre verticalmente dal processo alveolare, tra gli incisivi centrali, al margine
inferiore della mandibola. Non ha praticamente mai dislocazioni, perché le forze sono in equilibrio.
• FRATTURE PARAMEDIANE.
Quando la rima di frattura decorre dal processo alveolare, tra incisivo laterale e canino al margine inferiore
della mandibola. Esiste anche una frattura paramediana doppia: è pericolosa perché i muscoli inseriti
sull’aposifi tirano indietro e in basso e determinando la caduta posteriore della lingua, con rischio di morte
del pz. Possono presentare dislocazione di frattura parasinfisaria per azione dei muscoli sovraioidei e
dislocazione di frattura paramediana bilaterale per azione dei muscoli sovraioidei. In caso di frattura
paramediana bilaterale l’azione della muscolatura sovraioidea determina la caduta posteriore della lingua
con ostruzione delle vie aeree.

• FRATTURE DEL CORPO.


Quando la linea di frattura decorre nell’area delimitata dal forame mentoniero, medialmente, e dal
secondo molare, distalmente.

• FRATTURE DELL’ANGOLO.
Quando la rima di frattura decorre nell’area di passaggio tra corpo e ramo mandibolare.
Possono presentare dislocazione di frattura angolare per azione dei muscoli temporale, massetere,
pterigoideo interno.

• FRATTURE DEL CONDILO.


Quando la rima di frattura interessa il processo condilare. Comunemente vengono
classificate in fratture della testa, fratture del collo, fratture della base. Dislocazione
di frattura condilare per azione del muscolo pterigoideo esterno.

• FRATTURE DEL RAMO.


Quando la rima di frattura decorre orizzontalmente tra il margine anteriore e posteriore del ramo
mandibolare, oppure quando la rima di frattura decorre verticalmente il ramo mandibolare.

COMPLICANZE DELLE DISLOCAZIONI.


• Lesioni del nervo alveolare inferiore, soprattutto nei traumi diretti.
• Lacerazione dei tessuti molli intra o extraorali con esposizione dei monconi di frattura.
• Emorragia da lacerazione dell’arteria alveolare inferiore o di altri vasi arteriosi. Rare. La più
importante è l’emorragia dell’arteria facciale o dell’ alveolare inferiore che decorre col nervo
mandibolare.
• Frattura della Fossa Glenoidea con dislocazione del condilo all’interno della fossa cranica media
(molto rara).

DIAGNOSI DI FRATTURA MANDIBOLARE.


Esame Obiettivo.
• Tumefazioni cutanee perimandibolari.
• Ematomi cutanei e/o intraorali.
• Lacerazioni mucose e/o cutanee con o senza esposizione dei monconi di frattura.
• Slivellamento arcata dentaria
• Malocclusione. Se pz ha malocclusione primitiva la situazione si complica
• Dolore vivo alla compressione/mobilizzazione dei monconi
• Alterazioni della cinetica funzionale mandibolare Esami Strumentali.
• Rx cranio antero-posteriore.
• Rx OPT è il gold standard perché è più chiaro sulle linee di frattura.
• Rx in altre proiezioni.
• TC in proiezione assiale e coronale.
• TC con ricostruzione tridimensionale.

TERAPIA.
La terapia delle fratture mandibolari ha un duplice obiettivo: funzionale (ripristino dell’occlusione pre-
traumatica morfologico) e morfologico (ripristino dell’armonia facciale).
Il trattamento consta di due passaggi: riduzione e contenzione.
In ambito maxillo-facciale è importante ridurre le fratture molto precisamente, sia per l’estetica che per la
funzionalità.
L’osteocontenzione non chirurgica si applica a
• fratture condilari intracapsulari, extracapsulari composte e nel bambino.
• fratture mandibolari non complete o a legno verde.
• infrazioni mandibolari.

Tecnica:
• Applicazione ferule: hanno uncini che consentono di applicare dei fili di metallo per avere un blocco
intermascellare rigido (BRI) o elastici (BEI) per avere un blocco intermascellare elastico; consentono
un trattamento conservativo. Con il blocco rigido è molto problematica sia l’alimentazione che
l’igiene, inoltre va considerato l’aspetto psicologico. Si usa in fase intraoperatoria e poi si mette il
blocco elastico che permette la riduzione ma i cui elastici possono essere tolti per l’igiene e
mangiare, permette una guarigione dinamica.
• Applicazione viti F.A.M.I. + BRI e/o BEI

L’osteocontenzione chirurgica si applica a tutte le altre fratture.

Tecnica:
• Applicazione ferule ed esposizione chirurgica.
• Riduzione delle fratture
• Contenzione mediante placche e viti in titanio  BRI e/o BEI.

Esistono due concetti di osteosintesi chirurgica:


• La placca sostituisce l’osso fratturato e assorbe tutte le forze tensili applicate in maniera da
garantire la funzionalità subito dopo l’intervento. Devo essere usate placche grosse e viti bicorticali
(devono andare da una corteccia all’altra): sebbene garantiscano stabilità assoluta, hanno lo
svantaggio di essere ingombranti e quindi spesso vanno rimosse.
• La placca neutralizza le forze tensili sfavorevoli permettendo allo stesso tempo la trasmissione delle
forze di compressione favorevoli nel carico fisiologico. Si usano placche più sottili e viti
monocorticali e si ottiene una fissazione semiadattativa che consente una funzionalizzazione
intelligente.
APPROCCI CHIRURGICI:
INTRAORALI  fornice vestibolare, trigono retromolare, branca Montante.
EXTRAORALI  transparotideo, preauricolare, retromandibolare, sottomandibolare, flc
preesistenti. La stabilizzazione di fratture comminute richiede l’utilizzo di placche rigide e lunghe in grado di
superare a ponte le zone di comminuzione contenendo i frammenti intermedi.
FRATTURE DI MANDIBOLA ATROFICA.
Osteosintesi con placche rigide: applicate a ponte sulla linea di frattura e ancorate alle regioni fertili non
riassorbite (sinfisi angolo) → fratture scomposte
Riduzione e contenzione con placca posizionata per via transmucosa → fratture composte
Approccio extraorale: minor rischio di infezione locale
Minima deperiostazione: perché l’apporto ematico è assicurato prevalentemente dal plesso periostale
Alta incidenza di complicanze: dovute alla limitata superficie di contatto tra i monconi ossei →
PSEUDOARTROSI

FRATTURE DI CONDILO MANDIBOLARE


Si verificano quando la rima di frattura interessa il processo condilare. Comunemente vengono classificate
in:
• Fratture della testa
• Fratture del collo
• Fratture della base

Segni e sintomi:
• Tumefazione dei tessuti molli preauricolari  Dolore dell’articolazione temporo-mandibolare.
• Otorragia (nel 20-40% dei casi).

Possono essere:
1. Monocondilari
• Riduzione dei movimenti mandibolari.
• Laterodeviazione omolaterale alla sede di frattura.  Riduzione dell’altezza verticale posteriore.
2. Bicondilari
• Riduzione dei movimenti mandibolari.
• Retroposizione mandibolare secondaria a riduzione della dimensione verticale posteriore.
• Aumento dell’overjet anteriore  in questa particolare frattura aumenta la distanza fisiologica tra
arcata dentaria superiore e inferiore. Beanza patologica.
• Precontatto posteriore bilaterale con morso aperto-acquisito Vi può essere laterodeviazione
sinistra in frattura monocondilare sinistra.

Terapia.
• Funzionale, indicazioni:
o In soggetti in fase di crescita, indipendentemente da gravità e sede di frattura.
o Fratture intracapsulari.
o Fratture extracapsulari con dislocazione sul piano sagittale minore di 60-70°.
• Chirurgica, indicazioni:
o Dislocazione del condilo
o Scomposizione mediale del frammento fratturato > di 30°
o Scomposizione laterale del condilo con accorciamento del ramo mandibolare
o Incongruenza occlusale post-traumatica non correggibile con terapia funzionale
o Edentulia totale con perdita della dimensione verticale e/o impossibilità alla terapia
funzionale. Vi sono casi con difficoltà a ridurre la frattura dal punto di vista occlusale e a
ritrovare la fusione dentale per condizioni particolari delle arcate dentarie oppure per
edentulie distali che non consentono il mantenimento di una giunzione stabile. Condizione
frequente: pz che non ha i denti dei settori posteriori e quindi l’occlusione non può essere
mantenuta e si deve cercare una soluzione diversa.
Complicanze.
• esposizione delle placche
• suppurazioni
• osteiti
• osteomieliti
• mal consolidamento
• pseudoartrosi
• malocclusione
• anestesia/disestesia NAI (nervo alveolare inferiore)
• anchilosi ATM
E’ difficile far rientrare le fratture di condilo in rigidi schemi classificativi, per cui ogni singola frattura deve
essere valutata come un caso a sé stante.
Le tecniche di riduzione di queste fratture prevedono la contenzione (con viti e placche), tramite differenti
vie di accesso. Le vie d’accesso riconosciute per accedere alla testa del condilo sono almeno una dozzina in
totale, ma in realtà possono essere riconducibili a due o tre tecniche principali:
• Accesso preauricolare o anteriore (con incisione a bastone da hockey);
• Accesso in zona retromandibolare, dall’apice del lobulo dell’orecchio, scendendo nel collo;
• Accesso per via retroauricolare, in cui si esegue un’incisione dietro l’orecchio, si incide il lobo in
maniera transfissa e l’orecchio viene avanzato per entrare nella zona dell’articolazione.
Durante queste operazioni è necessario evitare la lesione del nervo facciale, poiché tale nervo passa
trasversalmente proprio nella regione che è necessario operare (è un nervo nobile, responsabile della
nostra mimica facciale): tutte queste tecniche hanno infatti punti di repere preferenziali per arrivare
all’articolazione, evitando di ledere il nervo facciale  individuazione della fascia parotidea, incisione:
apparentemente sembra una regione superficiale ma in alcuni pz è molto profonda.
Si esegue un’incisione retro mandibolare  si ritrova la fascia masseterina che viene incisa e si sposta il
ramo inferiore del facciale.

Frattura di condilo bassa: frattura che sta al di sotto alla linea perpendicolare che si traccia tra condilo e
angolo. In questi casi la frattura è facile da correggere.

L’incisione retroauricolare è relativamente facile da mascherare ed è la migliore dal punto di vista estetico,
soprattutto nell’uomo.
Tramite l’incisione retroauricolare si inseriscono delle placche: si utilizza una placca 3D (non è lineare ma
rettangolare e consente l’applicazione di forze in maniera tridimensionale; può essere utile in queste
regioni) con forma ad L: è una frattura alta per cui si usa una placca mini, da 1.5mm (le altre sono 2mm).
L’incisione retromandibolare permette di esporre l’osso retromandibolare.
Quando c’è perdita di dimensione verticale, il frammento è interno e orizzontale e va verso la fossa
pterigoidea perché trascinato dal muscolo pterigoideo. In questo caso, per riportare nella posizione
corretta il frammento piccolo del condilo che si è fratturato, è necessario applicare una vite sul frammento
grande della mandibola; successivamente viene applicato un filo che attraversa la ferita e che esce
all’angolo mandibolare: in questo modo la mandibola viene tirata e spinta verso il basso. Infine si cerca il
frammento piccolo, si ricolloca la mandibola nella cavità glenoidea e si stabilizza la frattura con una placca
rigida retta, in modo da mantenerne la posizione. In questo modo il frammento di condilo che è entrato
all’interno e medialmente viene riportato nella sua sede e viene garantita la sua riduzione.

Esiste inoltre l’approccio endoscopico per la riduzione delle fratture del condilo, con accesso endoscopico,
strumentazione complessa (consente di utilizzare un endoscopio con possibilità di guidare la
strumentazione dedicata) e un trapano angolato, placche diverse (un pochino più grossolane).
Questa tecnica è stata eseguita per molto tempo ma oggi è stata un po’ abbandonata poiché richiede una
curva di apprendimento molto altra, tempi di esecuzione più lunghi del trattamento extraorale e precisione
che dipende dal grado di apprendimento raggiunto. È una tecnica che è stata usata con entusiasmo a
Novara fino a qualche anno fa e che sta per essere abbandonata perché la tecnica con accesso esterno è
più rapida e controllata. Con l’accesso retro auricolare si riescono a fare trattamenti di quasi tutte le
fratture di condilo e il risultato è il medesimo.

C’è indicazione al trattamento chirurgico quando l’inclinazione della linea di frattura supera i 30°.

Condilectomia: la dislocazione sfavorevole per la sua ricollocazione e contenzione con blocco articolare è
una rara indicazione all’asportazione del condilo. In questi casi l’indicazione principale è l’asportazione della
testa di condilo, perché non più ricollocabile; inoltre il condilo non può essere lasciato in sede perché il pz
non riesce ad aprire la bocca. In questi casi si esegue una condilectomia, intervento che può lasciare
qualche problema per il futuro del paziente; è necessario un compenso tramite terapie fisioterapiche.

Le controindicazioni alla condilectomia sono l’età inferiore ai 12 anni.


NB: nei bambini non devono essere messe delle placche perché esistono i germi dei denti definitivi: se noi
mettiamo una placca in un bambino lederemo i germi dei denti in eruzione. Se collocata, la placca deve poi
essere rimossa con la crescita.

FRATTURE DEL TERZO MEDIO


Anatomia del terzo medio: comprende dalle sopracciglia al mascellare superiore, dal bordo dell’orbita
superiore fino ai processi alveolari del mascellari. Il terzo medio è fondamentale perché vi sono le cavità
orbitarie e nasali, che rappresentano cavità importanti per la vista, l’olfatto e la respirazione. È una
struttura molto complessa e complicata: anche piccole discrepanze in queste fratture portano a scompensi
di tipo estetico importanti.

Il terzo medio può essere suddiviso in 4 strutture:


• I complesso zigomatico-orbitale: tutto lo zigomo e parte dell’orbita;
• II complesso naso-mascellare: tutta la parte centrale e contorna l’apertura piriforme del
mascellare;
• III complesso naso-etmoidale: molto piccolo, ma comprende elementi fondamentali e molto
coinvolti nei traumi: le ossa nasali e quelle etmoidali. È costituito dalla parete laterale del naso e
mediale dell’orbita. Canto interno delle palpebre.
• IV complesso dento-alveolare: dove esistono gli elementi dentari.

L’osso mascellare costituisce il supporto del terzo medio dello scheletro facciale. Inferiormente si prolunga
nei processi alveolari dove si inseriscono i denti dell’arcata superiore. Delimita la cavità orbitaria e nasale.
Mentre l’osso della mandibola, ad esclusione del condilo e alcuni aspetti anatomici della zona dell’angolo
dove c’è il dente del giudizio, è un osso più o meno compatto e uniforme, l’osso mascellare è fatto da
strutture disomogenee. All’interno del mascellare esistono aree molto dense e resistenti insieme ad aree
molto sottili, delicate e fragili  nel corso dell’evoluzione si è strutturata questa organizzazione dal punto
di vista dell’ applicazione delle forze: si è creata la capacità di ridurre il peso al minimo dando massima
resistenza allo scheletro facciale  certe zone del mascellare sono paragonabili allo spessore e alla
resistenza del guscio di un uovo mentre altre sono strutture molto dense e vengono denominate pilastri di
resistenza.
I pilastri di resistenza insieme alle zone più leggere consentono di suddividere e rendere autonome alcune
cavità, lasciando la resistenza alla struttura portante.
Le zone di resistenza del mascellare sono zone di resistenza verticale perché la masticazione rappresenta il
movimento di maggior applicazione delle forze: durante la masticazione la mandibola schiaccia il cibo verso
i denti dell’arcata superiore e quindi il mascellare dovrà avere resistenza alla forza verticale.

Pilastri di Resistenza Verticale:


• Pilastro mediale o Paralateronasale: (anteriore) è molto forte,
contorna l’apertura piriforme del naso e va dalla zona canina
(che è la zona più forte e resistente che abbiamo) verso l’alto;
dissipa la forza verso la parete laterale del mascellare e verso la
zona frontale.
• Pilastro laterale o Zigomatico-Mascellare (a): molto potente
perché consente la dissipazione delle maggiori forze esistenti,
ovvero quelle del sesto e del settimo dente. La dissipazione va
verso l’alto (arco zigomatico) e verso il bordo orbitario esterno
(verso l’osso frontale).
• Pilastro posteriore o Pterigo-Mascellare (c: sinostosi tra
mascellare e processo pterigoideo dello sfenoide. La
dissipazione posteriore in questo modo è molto ben proiettata.
In queste zone il mascellare ha strutture assai rigide con osso corticale abbastanza ben
rappresentato. Non per niente quelle sono le zone dove possono essere messe le placche
perché sono le uniche zone dove l’osso può essere trattato con placche e viti perché spesso.
• PILASTRO MANDIBOLARE.

Al mascellare non vengono applicate solo forze verticali ma possono essere applicate anche forze
anteroposteriori a causa di un trauma con possibile danno ai contenuti e alle strutture di senso comprese in
queste zone. Se guardiamo il cranio dal punto di vista della risposta antero-posteriore, troveremo dei
baluardi, ovvero delle zone forti che possono servire da protezione bulbo oculare (al di sotto dell’orbita).

Archi di Resistenza Trasversali o baluardi:

• Baluardo superiore o Glabello-sopraccigliare (e): zone ciliari o sopraciliari, aree protruse delle orbite
superiori; sono tutte zone forti.
• Baluardo intermedio o Zigomatico-infraorbitario (f), o orizzontale: passa al di sotto dell’orbita;
l’orbita inferiore è anch’essa un baluardo che si continua al di sotto nella fossa piriforme  Baluardo
inferiore o Palatino (g).
• Baluardo mandibolare (h).

Tutte queste strutture dividono il cranio in un reticolo verticale e orizzon-


tale. Anche nei baluardi possiamo applicare delle placche per la contenzione e la riduzione delle fratture in
campo operatorio.

Zone di Minor Resistenza:


• Giunzione naso-mascellare
• Giunzione zigomatico-facciale
• Giunzione cranio-facciale

Fratture traumatiche dell’osso mascellare


Il mascellare è un osso resistente: la sua frattura avviene quando esposto ad elevata energia cinetica. Infatti
nelle fratture del mascellare superiore entrano in gioco traumi maggiori: incidenti automobilistici,
aggressioni e traumi sportivi. La seconda e la terza decade sono quelle più coinvolte in queste fratture.
Le fratture del mascellare superiore, ad esclusione di quelle dento-alveolari (che sono quelle che
coinvolgono il processo dento-alveolare), sono descritte da una classificazione che risale agli inizi del 900 e
che è ancora tutt’oggi la più utilizzata: la classificazione di Le Fort.
Le Fort era una anatomista di fine ‘800 che, affascinato dallo studio della resistenza delle strutture facciali,
fece un esperimento semplice: si caricò dei cadaveri sulla schiena, li trasportò sul tetto della sua facoltà di
anatomia e li fece cadere. In questo modo descrisse i metodi di rottura della faccia e notò che il cranio si
spaccava più o meno secondo tre gradi di frattura (Le Fort I, II, III).
Questa classificazione, considerata attendibile, viene usata da allora. Quando vi è una frattura facciale, essa
ha sempre individualità nelle rime di frattura, ma si può fare una generalizzazione con le classi di Le Fort. La
guarigione di un trattamento primario di frattura del mascellare superiore non è immediata. Quando
trattiamo una frattura con il primo intervento andiamo vicini alla possibilità di risoluzione, con il secondo
intervento andiamo molto vicino, ma se voglio la perfezione vicino alle zone di naso, occhio, è necessario
un terzo intervento.

Fratture dento-alveolari
Sono le fratture più semplici, ma danno l’esito peggiore poiché per tutta la vita questi pz dovranno
convivere con gli esiti di questa frattura. La frattura di un dente consiste nell’avulsione completa
dell’elemento dentario. Di solito avviene per lacerazione del processo alveolare: in questo modo il dente
viene espulso. Il metodo corretto per conservare gli elementi dentari quando sono stati persi è metterli nel
latte. Il latte aiuta infatti a tenere il dente idratato ed evitare l’ulteriore lesione del legamento parodontale
che deve essere mantenuto il più vitale possibile e che è già stato leso durante l’avulsione. Teoricamente
infatti, se l’alveolo dentario è abbastanza integro può essere stabilizzato con poco e arrivare alla restituito
ad integrum della vitalità parodontale. Questo permette al dente di tornare ad essere elastico e mobile
dopo trattamento ortodontico (viene tolta la polpa dentaria e sostituita con materiale ricostruttivo: in
questo modo si consente al dente di ritornare normale).
Nella maggior parte dei casi però questi denti danneggiati vengono reinseriti nella cavità alveolare ma il
legamento viene perso  l’osso crea un’anchilosi con il dente che non è più in grado di muoversi e non è
più elastico  l’osso reintegra il dente con un processo di sostituzione infiammatoria della radice; nel giro
di qualche tempo la radice viene riassorbita dall’osso (talvolta questo processo impiega anni (5-7 anni)).
L’indicazione all’inserimento del dente c’è sempre: i denti comunque ritornano alla loro funzione, il pz
(spesso è un bambino) non perde la serenità psicologica e soprattutto viene mantenuta la dimensione di
arcata senza perdita di elementi.
Nei casi in cui il dente è stato a lungo a terra, bisogna rimuovere la polpa dentaria e reinserire il dente nella
loro posizione.
Le fratture dento-alveolari possono essere distinte in:
• Fratture della corona dentaria
• Fratture della radice dentaria
• Fratture con lussazione del dente
• Fratture dento-alveolari
Fratture dei denti: sono quelle che danno l’esito peggiore.

Fratture di Le Fort.
Tutte le fratture di Le Fort provocano una mal occlusione. È quello che si deve ricercare.

Le Fort I.

Distacco del processo alveolo-mascellare e della volta palatina


dal resto sovrastante del mascellare. E’ conseguente ad un
impatto con direzione antero-posteriore nell’area compresa tra
incisivi e columella. La linea di frattura parte dall’apertura
piriforme e si porta lateralmente alla fossa canina lungo la parete anteriore del seno mascellare fino al
processo pterigoideo.
È una frattura che coinvolge il processo alveolo-dentale nella sua
totalità: parte dall’apertura piriforme, si continua nella parete laterale del mascellare, lateralmente sotto il
corpo dello zigomatico, posteriormente nella tuberosità del mascellare e coinvolge il processo pterigoideo.
NB: sottolineare il coinvolgimento del processo pterigoideo è importante: la frattura traumatica di Le Fort
prevede il coinvolgimento del processo pterigoideo; la frattura ortognatica di Le Fort non prevede il
coinvolgimento nella frattura del processo pterigoideo (si esegue un distacco a scalpello curvo tra il
processo pterigoideo e il mascellare).
Se io ho una frattura bilaterale, sia a destra che a sinistra, il mascellare si muove? No. Affinché si abbia
movimento si deve fratturare anche la zona mediana, con coinvolgimento del setto osseo e del vomere
nella frattura (il vomere costituisce la parete laterale del seno mascellare e la parete laterale del naso).
In questa frattura frequentemente ci può essere anche coinvolgimento degli alveoli dentari con
concomitanti fratture alveolari.
Le Fort I consente il movimento del frammento alveolare. A questi pazienti si muovono i denti, come se
avessero una dentiera che balla  “segno della dentiera”.
Dal punto di vista radiologico ci può essere frattura del vomere, della parete laterale del naso e di quella
mediale del seno. In questo caso, essendo il mascellare molto mobile, esso può dislocarsi perché vi sono
pochi muscoli ad ancorarlo. Ne risulta l’abbassamento del mascellare superiore con morso aperto
anteriore.
È relativamente evidente ma è abbastanza tipico.
Il quadro clinico del pz è sovrapponibile a quello della frattura di mandibola: il pz è cosciente, si reca in
ospedale con le sue gambe ma presenta politumefazione del viso e perdita di sangue nel naso (a causa
della rottura del vomere, il setto nasale)
Dopo aver posto diagnosi radiologica, si esegue la riduzione della frattura con incisioni intraorali nel solco e
nel fornice gengivale superiore: scollamento dei tessuti, esposizione dell’osso, riduzione  Si riduce il
mascellare superiore e si sistema l’occlusione: vengono utilizzate viti o ferri, bloccati in maniera
temporanea per stabilizzare l’occlusione (che è la guida della stabilizzazione della frattura);
successivamente mettiamo delle placche dove necessario. Le placche sono posizionate a L per evitare di
coinvolgere gli apici dentari.

Esiste anche la frattura le Le fort I e mezzo.

Le Fort II.

E’ conseguente ad un impatto antero-posteriore nell’area


compresa tra radice nasale e labbro superiore. La rima di
frattura inizia dalla radice del naso e prosegue verso il basso
con un’inclinazione di circa 45°, coinvolgendo la branca
montante mascellare, la parete mediale dell’orbita, il bordo
orbitario inferiore. Disgiunge il mascellare dallo zigomo.
Posteriormente provoca la frattura del setto nasale osseo e
del processo pterigoideo dello sfenoide.
Sono fratture intermedie, frequentemente gravi, dove l’im-
patto è importante, il coinvolgimento della coscienza è intermedio, spesso il pz si presenta con basso livello
di coscienza, può essere intubato oppure in coma. La frattura non coinvolge più la parte bassa dello
scheletro facciale, ma parte dalle ossa nasali perché è centro facciale.
Parte dal naso e procede lateralmente sulle ossa nasali, entra nell’orbita, nella parete mediale dell’orbita e
subito dietro si continua nel pavimento orbitario. Qui di solito vicino alla regione della sutura maxillo-
zigomatica scende verso il basso, lateralmente e posteriormente e si comporta come una Le Fort I.
Nella frattura può essere coinvolto anche il vomere ma in questo caso la frattura è più alta e coinvolge
anche l’etmoide  frattura etmoido-vomerina con distacco anche delle ossa nasali; può esserci il
coinvolgimento del pavimento orbitario e della fessura intraorbitaria, da dove esce in nervo infraorbitario.
Se il pz presenta questa lesione non sentirà più il naso o le labbra superiori a causa del trauma diretto del
nervo infraorbitario. Il danno è spesso temporaneo ma in alcuni casi può essere definitivo. Quindi il pz
perde sensibilità alla parte centro-facciale della cute.
Se tocchiamo il mascellare del pz con due dita possiamo muoverlo ma non molto perché non c’è una
grande mobilità; anche in questo caso vi è la possibilità di avere un morso aperto anteriore.
Il pz è critico, si presenza con appiattimento del viso, gonfio, con ecchimosi congiuntivale (occhio rosso per
emorragia sottocongiuntivale nella parte interna dell’occhio, sede della frattura) e una malocclusione. Può
essere presente edema infraorbitario e ci possono essere complicanze neurologiche legate all’enoftalmo.
Infatti il pavimento orbitario può non essere lineare e causare quindi enoftalmo e diplopia; è presente
anche epistassi importante (perchè coinvolto l’etmoide): il pz spesso arriva con due tamponi nel naso,
l’open bite se c’è è modesto. Può esserci ipovolemia concomitante (shock emorragico), rinoliquorrea (non
sempre). In questi casi eseguiamo indagini radiologiche: TC 3D è indispensabile.
Le Fort III.

Causa il distacco delle ossa facciali dalla base cranio. La linea


frattura parte dalla sutura naso-frontale e bilateralmente
decorre sulla parete mediale dell’orbita, raggiunge la fessura
orbitaria inferiore e continua sulla parete laterale dell’orbita
fino alla sutura fronto-zigomatica. Posteriormente attraversa
la fossa pterigo-mascellare fino al processo pterigoideo.
È la frattura più grave. È caratteristica dei traumi cranio
facciali violenti, dove il pz è in pericolo di vita, è intubato, ha
sangui-
namenti nasali, può avere facilmente rinoliquorrea (molto frequente). Questa frattura nasce dal naso come
la Le Fort II, si continua nelle fessure orbitarie, poi nella giunzione frontozigomatica e posteriormente
coinvolge la parete posteriore del mascellare e l’arco zigomatico.
È una frattura in cui si verifica il vero distacco cranio-facciale. Coinvolge la base cranica e possono essere
interessati anche i recettori olfattivi dell’etmoide. La rinoliquorrea è un fattore predisponente per lo
sviluppo di encefaliti.
È presente appiattimento del volto, l’edema è importante e compare rapidamente, le ecchimosi
coinvolgono tutto l’occhio. La mal occlusione è provocata dal trauma stessi, non dalla muscolatura  c’è
una dislocazione perché c’è stato un trauma ad alta cinetica.

Frattura sagittale del palato (di Gueren)

La rima di frattura dissocia il palato duro sagittalmente; possono essere isolate o in associazione a fratture
di Le Fort. Avviene quando il trauma colpisce il mascellare superiore che al posto di staccarsi verso l’alto si
stacca a metà.

Diagnosi.
Sintomatologia
Segni di Probabilità
• Tumefazione
• Dolore
• Ematomi sottocutanei
• Deformità locale
• Impotenza funzionale

Segni di Certezza
• Crepitio
• Mobilità preternaturale

Segni di Sintomatologia Specifica


Malocclusione traumatica: nella frattura di Le Fort I, a causa del trauma, il mascellare viene spostato
posteriormente e in basso per trazione muscolare, nelle fratture di Le Fort II e III la mal occlusione è
ascrivibile al trauma ad alta cinetica.
Segni Accessori.
• Oculari Statici (macroorbita traumatica: segno importante. L’orbita diventa più grande perché si
disloca gran parte della sua cornice e dislocandosi si allarga. L’occhio diventa immediatamente
posizionato più indietro. Sono evidenti sintomi oculari dinamici per la presenza di frattura del
pavimento o della parete laterale, diplopie verticali e orizzontali con coinvolgimento dell’occhio;
enoftalmo; distopie verticali)
• Oculari Dinamici (diplopia, deficit di mobilità)
• Neurologici: lesioni del nervo facciale (grandi fratture periferiche) e nervo infraorbitario.

Esame Obiettivo
• Tumefazione e/o appiattimento del volto.
• Aumento altezza del viso.
• Incontinenza labiale.
• Ematomi, edemi, ecchimosi.
• Rinorragia
• Malocclusione traumatica.
• Retrognazia acquisita.

Esami strumentali
 Rx Cranio:
o Occipito-naso-fronte
o Occipito-mento-naso
o Latero-laterale
 TC cranio:
 Tagli assiali
 Tagli coronali
• Ricostruzioni tridimensionali.

È molto frequente vedere una frattura I da una parte e II dall’altra, III da una parte e II dall’altra, con linee di
frattura che necessitano di trattamenti diversi.

Trattamento
IN URGENZA
• Tracheostomia: per alcuni pazienti è quasi regola.
• Equilibrio emodinamico.
• Controllo emorragia: applicare il tampone nasale anteriore o posteriore nel Le Fort II e III perché
l’anteriore non è sufficiente.

IN ELEZIONE (dopo stabilizzazione del pz; non si interviene mai primariamente su questi pz. Di solito
l’edema che compare impedisce di trattare i tessuti e le ossa sottostanti nella maniera corretta). Questi
trattamenti si fanno per evitare la presenza di cicatrici. Sono lesioni spesso a livello della palpebra anteriore
(blefaroplastica) o di quella inferiore (via transcongiuntivale). Via orale (accesso endorale) o coronale
(consente di approcciare le fratture anteriori del frontale nel Le fort III) quando dobbiamo intervenire nelle
parte alta.
 Riduzione a cielo aperto.
 Contenzione con placche e viti in titanio.
TRATTAMENTO IMMEDIATO (quando il pz non può essere lasciato in condizioni di disequilibrio, per
esempio quando un pz ha un frammento di osso che coinvolge il canale ottico per cui si ha neuropatia
ottica  se si rimuove subito l’elemento che causa la compressione possiamo ridare la vista al pz; talvolta
poche ore possono far si che il pz ci veda o non ci veda più). Sono pz con fratture comminute del
mascellare, delle ossa nasali.
• Fratture esposte
• Sanguinamento incontrollato
• Neuropatia traumatica del nervo ottico.

Tecnica
1. Esposizione dei focolai di frattura  accessi (intraorale, palpebrale, coronale)
2. Riduzione delle fratture
3. Eventuale riposizionamento dei frammenti
4. Osteosintesi a placche e viti in titanio a ricostruire i pilastri verticali mascellari.
5. I pilastri di resistenza verticali ed i baluardi orizzontali sono la sede di applicazione delle
placche e delle viti.
La riduzione del mascellare superiore è una delle più complesse nella chirurgia maxillo-facciale. È quella che
da più complicazioni ma è anche quella che da più soddisfazioni.

FRATTURE DEL COMPLESSO ORBITO-ZIGOMATICO


ZIGOMO
La regione malare rappresenta la regione laterale più sporgente del III medio del viso.
• Sostiene i tessuti molli della guancia
• Delimita parzialmente la cavità orbitaria
Lo zigomo si articola con
• Sfenoide
• Frontale
• Temporale
• Mascellare

Classificazione delle Fratture.


1. FRATTURE ZIGOMATICHE: il trauma agisce direttamente a livello dell’osso malare.
2. FRATTURE ORBITALI: distinguibili in tipo blow in o blow out.
3. FRATTURE ORBITO-ZIGOMATICHE
4. FRATTURE NASO-ETMOIDO-ORBITARIE (NOE): nelle quali l’evento traumatico è essenzialmente
diretto verso il centro del volto.

Fratture zigomatiche.
La classica frattura di zigomo è caratterizzata dall’interruzione delle quattro articolazioni (sinostosi)
zigomatiche:
• Sutura Zigomatico-frontale
• Sutura Zigomatico-temporale
• Sutura Zigomatico-mascellare
• Sutura Zigomatico-sfenoidale

Le fratture zigomatiche possono distinguersi in:


 Fratture composte
• Fratture con diastasi di una sola sutura
• Frattura con diastasi di due suture
• Frattura con diastasi di tutte le suture
• Fratture comminute
• Fratture dell’arco zigomatico

L’arco zigomatico può essere coinvolto in fratture del complesso zigomatico oppure essere coinvolto
isolatamente.
Le fratture del complesso zigomatico, nel giovane sono importantissime per l’aspetto estetico mentre nei pz
di una certa età, con problematiche muscolari, un po’ meno ma spesso nei pz di una certa età ci può essere
perdita di simmetria.
Le fratture comminute che sono presenti in traumi ad alta cinetica, associate ad altre problematiche
traumatiche del viso e possono provocare alcune situazioni critiche: la peggiore è quella di una possibile
frattura del canale ottico, con possibili lacerazioni; in questa zona c’è un anello che contiene fortemente i
fasci muscolari (anello di Zinn) e quindi in questa zona i danni possono essere importanti con problematiche
da compressione, amaurosi anche per traumi non molto importanti.
Una problematica particolare è data dalla frattura dell’arco zigomatico isolata, che di per se non ha
rilevanza funzionale ma nel caso in cui la frattura sia molto dislocata verso l’interno (la frattura dell’arco
zigomatico è sempre a 3 frammenti, quello centrale e quelli laterali che affondano) quello che in questi casi
capita è che il coronoide, che è la parte della mandibola che scorre sotto l’arco zigomatico, viene compresso
o cmq viene ostacolato nel suo movimento e quindi il pz non riesce più ad aprire la bocca ed è presente
reazione antalgica.
Ematoma bilaterale a farfalla quando la rottura è a livello delle ossa etmoidali.
Caso estremo: con propagazione dell’ematoma e “occhio nero” con edemi che spesso impediscono
l’immediata valutazione della simmetria del viso, spesso c’è una paresi temporanea del muscolo elevatore
della palpebra superiore per edema diffuso e trauma diretto e il sistema oculare può andare in contro a
complicanze.
Alcune volte l’affondamento grave dell’osso zigomatico può provocare un affossamento della regione
periorbitaria.
Nell’osso zigomatico si inserisce il canto esterno della palpebra: quindi quando c’è una frattura dell’osso
zigomatico questa causa sempre un cambiamento di inclinazione a livello dell’inserzione di questa parete
laterale. Una palpebra sarà dritta, quella dalla parte fratturata sarò rivolta verso il basso. Questo è un segno
caratteristico.
Un elemento che può essere visibile anche se l’edema può limitarne la sua presenza, è l’enoftalmo. L’occhio
anziché essere contenuto nel suo volume, può essere contenuto in uno spazio più ampio e quindi si verifica
enoftalmo (perdita di proiezione dell’occhio verso l’esterno e verso le palpebre).
Un elemento importante nella valutazione oculare è la diplopia nei campi verticali, che è frequente ed è
patognomonica. In una frattura fa si che il pavimento orbitario migri in basso verso il seno mascellare e i
muscoli che sono trattenuti all’interno dell’orbita migrano anch’essi e discendono incastrandosi tra i
frammenti nell’osso fratturato in maniera tale che quando il pz guarda verso l’alto ha diplopia.
Se la frattura è mediale la diplopia non sarà più verticale, se la parete è quella mediana, ma orizzontale. La
frattura dell’arco zigomatico si incarcera sull’etmoide. Quant’è l’apertura minima mandibolare di una
persona per considerare che sia un’apertura corretta? 3.5 cm è il minimo di apertura, ma la media è 45mm.
Se apriamo meno c’è una patologia.
Molto spesso il pz ha un trauma e si avvia all’ospedale. E gli viene da soffiare il naso perché spesso la
frattura coinvolge il seno mascellare. Il pz soffiando il naso fa entrare aria nel seno mascellare che poi risale
nell’area periorbitaria, intra ed extraoculare e spesso si forma un enfisema che è molto tipico.

Diagnosi di Frattura Zigomatica:


EO:
1. Ispezione:
• Edema ed ematoma dei tessuti molli regionali
• Emorragia sottocongiuntivale
• Infossamento del pomello zigomatico
• Asimmetria della linea bipupillare
• Enoftalmo
• Epistassi
• Limitata apertura orale 2. Palpazione:
• Enfisema sottocutaneo
• Ipoanestesia a carico dei territori del nervo infraorbitario
• Discontinuità ossee: ci permettono di avvertire la frattura
- Bordo infraorbitario
- Mensola maxillo-malare
E’ sempre necessario indagare la presenza di diplopia per l’eventuale presenza di fratture orbitarie

Esami strumentali
• Rx Cranio secondo proiezione di Waters: consentiva di valutare bene le ossa craniche. Oggi
non più usata se non in casi particolari.
• TC Massiccio Facciale: oggi è il gold standard. Si fa la TC spirale sottile che da una buona
valutazione sia in assiale che in coronale.

Terapia
Per molti dei traumi non si fanno grandi cose.
• Fratture composte o minimamente scomposte, senza sintomi: osservazione nel tempo
breve e valutazione di eventuale disfunzione della muscolatura extraoculare ed enoftalmo
alla risoluzione dell’edema.
• Fratture isolate dell’arco o fratture zigomatiche minimamente scomposte senza diastasi
fronto-malare: riduzione per via percutanea: solo in questo settore ancora oggi si usa la
riduzione chiusa di frattura con manovra di Ginestet: per via percutanea si inserisce
l’uncino di Ginestet al di sotto dell’arco o del corpo zigomatico e lo si solleva. Se la frattura
riesce a ridursi, allora non è necessaria nessun tipo di osteosintesi di contenzione. In realtà
la frattura quasi mai si autocontiene quindi perde la sua stabilità e bisogna ricorrere alla
contenzione con placche.
• Fratture scomposte:
1. Si espongono chirurgicamente:
• Mensola maxillo-zigomatica
• Sutura fronto-zigomatica
• Bordo orbitario inferiore
2. Si riducono le fratture.
3. Si procede alla contenzione mediante osteosintesi a placche.

Approccio al bordo orbitario inferiore:


• Incisione subciliare o trans congiuntivale: si esegue nella retroplastica, non lascia cicatrici, è
semplice la maggior parte delle volte. Si può anche usare la via traspalpebrale.
• Esposizione di frattura scomposta del bordo orbitario inferiore
• Osteosintesi con mini placche

Approccio alla sutura fronto-zigomatica:


• Incisione del sopracciglio esterno;
• Esposizione di frattura della sutura fronto-zigomatica;
• Riduzione ed osteosintesi a placca. Queste placche, non essendo lo zigomo un osso con grande
necessità di stabilizzazione, hanno uno spessore inferiore per evitare che siano palpabili.

Approccio alla mensola maxillo-zigomatica:


• Incisione al fornice vestibolare superiore
• Esposizione della mensola zigomatica
• Riduzione ed osteosintesi a placca
CAVITA’ ORBITARIA.
Muscoli estrinseci dell’orbita: sono responsabili della rotazione del bulbo oculare in tutte le direzioni
spaziali. Movimenti di verticalità e lateralità, (sono movimenti trazionali)
• Retto superiore
• Retto inferiore
• Retto mediale
• Retto laterale
Movimenti di rotazione
• Obliquo superiore: lavora agganciandosi ad una microstruttura che si chiama troclea e che consente
di creare un movimento rotazionale.
• Obliquo inferiore
La visione fisiologica è binoculare. Ad ogni punto retinico di un occhio corrisponde sempre uno stesso punto
retinico dell’altro occhio. Un oggetto forma due immagini retiniche (una per occhio) in punti corrispondenti.
Le immagini percepite dalle retine vengono integrate a livello corticale mediante il processo di fusione.
Quando le immagini cadono in punti non corrispondenti  diplopia All’interno del bulbo oculare è
contenuto un liquido incomprimibile.

Fratture orbitarie
Sintomatologia: ematoma ed edema periorbitario come in una frattura, esoftalmo e enoftalmo, diplopia e
anestesia del ramo di innervazione del nervo infraorbitario.
Le fratture orbitarie si possono distinguere in fratture di tipo blow-in o blow-out. La conseguenza principale
di questa tipologia di fratture è la modificazione del volume della cavità orbitaria: nelle fratture blow-out si
avrà enoftalmo, mentre in quelle blow-in si riscontrerà esoftalmo.
• Fratture Blow-in: l’agente traumatico agisce su una struttura circostante l’orbita. La forza si
trasmette alle pareti dell’orbita con conseguente frattura e spostamento del frammento
fratturato all’interno dell’orbita stessa.
• Fratture Blow-out: la cavità orbitaria è una struttura anaelastica.

Un agente traumatico applicato sulla superficie del bulbo oculare provoca un improvviso aumento di
pressione endocavitaria che si trasmette alle pareti dell’orbita con frattura delle pareti orbitarie più sottili: il
pavimento e la parete mediale.
Possono essere dovute a traumi da piccoli corpi contundenti.

L’indagine clinica deve essere sempre completata da visita oculistica con esame ortottico che comprenda i
seguenti accertamenti per la valutazione della diplopia.
Test del Vetro Rosso.
Il paziente fissa, ad una distanza variabile da 33 cm a 5 m, la mira luminosa di una barra lineare lunga una
ventina di cm che permette di valutare la reciproca posizione delle due immagini ed eventualmente
individuare il muscolo responsabile del deficit motorio qualora si verifichi l’inclinazione di una delle due. Il
paziente è seduto con la testa immobile e fissa la mira luminosa; davanti all’occhio con una migliore acuità
visiva viene posto un filtro rosso di densità tale da eccitare la diplopia. La luce viene spostata nelle diverse
posizioni di sguardo ed il soggetto deve indicare, in ogni direzione, la posizione reciproca delle due luci. Le
risposte possibili sono:
• il paziente vedrà una sola luce rosa in caso di normale visione binoculare;
• potrà vedere una sola immagine rossa o bianca in caso di soppressione di un occhio;  in
presenza di diplopia il paziente riferirà due luci distinte, una rossa ed una bianca.
I dati vengono poi riportati su di un grafico ed in presenza di diplopia il punto in cui le due immagini sono
più distanti tra loro rappresenta il campo di sguardo di pertinenza del muscolo paralizzato. In tale posizione
i muscoli interessati sono due e poiché essi sono funzionalmente coniugati tra loro, per capire quale dei
due sia interessato dalla paralisi, è sufficiente ricordare che la luce più lontana è quella dell’occhio in cui ha
sede la lesione.
Schermo di Hess-Lancaster
Il test si basa sul principio della confusione in quanto i due occhi vedono due strisce colorate,una verde ed
una rossa, che il paziente deve sovrapporre. Il paziente, seduto davanti ad uno schermo quadrettato, in cui
sono disegnati ad intervalli regolari 17 punti di circa 1,20 cm di grandezza, con il capo in una mentoniera,
indossa lenti rosse e verdi e tiene in mano una torcia luminosa colorata rossa. Per convenzione il vetro
rosso è posto davanti all’occhio destro e quello verde davanti al sinistro. La distanza del paziente dallo
schermo è di circa un metro; l’esaminatore proietta sullo schermo una striscia luminosa colorata verde che
il paziente deve sovrapporre alla sua. Quando la sovrapposizione soggettiva è stata realizzata, le due strisce
luminose potranno essere una sull’altra oppure situate ad una distanza che misurerà la deviazione oculare
soggettiva. La striscia luminosa viene proiettata dall’esaminatore in punti ben precisi che corrispondono
all’azione dei muscoli nelle varie posizioni che rappresentano le posizioni diagnostiche di sguardo. Una
volta esaminati i 17 punti si invertono le torce per poter esaminare i campi visivi dei due occhi. La
deviazione soggettiva nei diversi punti verrà successivamente registrata su di un grafico. Lo schermo di Hess
rappresenta graficamente il movimento dei muscoli estrinseci ed evidenzia il deficit responsabile della
diplopia.

Studio della Trazione Forzata.


Il test della trazione forzata viene eseguito dopo l’applicazione topica di un anestetico locale come 4% di
tetracaina e consente di classificare ulteriormente la restrizione dei movimenti oculari. La presenza di una
limitazione nei movimenti passivi del bulbo oculare è indicativa di un intrappolamento degli stessi o del
grasso o del tessuto connettivo settale all’ interno della rima di frattura. Nei casi in cui il bulbo possa essere
liberamente mosso ed il test risulti così negativo,ma presenti clinicamente una limitata motilità verso
l’alto,bisogna sospettare la presenza di un ematoma intramuscolare o una lesione a carico del nervo
deputato all’innervazione del muscolo deficitario.

Il bulbo non ruota  Incarceramento muscolare


Il bulbo muove passivamente  Lesione nervosa

Esoftalmometria
L’esoftalmometria consente di quantificare il grado di enoftalmo misurando la posizione dell’apice corneale
con diversi strumenti noti come esoftalmometri. L’esoftalmometro di Hertel è il più utilizzato ed è dotato di
uno specchio angolato che consente all’esaminatore di determinare la distanza perpendicolare tra il
margine orbitario e l’apice corneale. Una differenza tra occhio destro e sinistro maggiore di 2 mm viene
considerata significativamente patologica. Una stima visiva accurata della posizione dell’apice corneale può
essere fatta osservando, dal basso, il capo del paziente con il collo iperesteso oppure dall’alto osservandolo
al di sopra della sopracciglia. La misurazione dello spostamento laterale può essere stimata confrontando la
distanza del limbus ed un punto mediano marcato sul dorso nasale. La deviazione verticale del bulbo
oculare può essere similmente valutata utilizzando arbitrariamente una linea orizzontale di riferimento ed
allineando un regolo millimetrico verticale.

Frattura del Pavimento Orbitario:


Diplopia soprattutto nella visione verso l’alto e l’esterno per incarceramento dei muscoli retto inferiore e
piccolo obliquo.
Frattura della Parete Mediale:
Diplopia orizzontale per incarceramento del retto mediale e deficit dell’abduzione.
Frattura della Parete Laterale:
Diplopia orizzontale per incarceramento del retto laterale e deficit dell’adduzione.
Frattura del Tetto Orbitario:
Diplopia verso il basso e l’interno per incarceramento del retto superiore. È una frattura difficile che si
verifichi. Si ha frattura di tutto il tetto. Se il bulbo non viene ruotato abbiamo un problema di vista, se no
potremo avere anche problemi mimici.
Diagnosi di Frattura Orbitaria:
• ESAME OBIETTIVO
• ESAMI STRUMENTALI
• Esame ortottico
• Tc orbite

Le complicanze possono essere varie. Nelle fratture della parte alta potremo avere fratture con
complicazioni come pneumoencefalo, raramente fistole liquorali, a volte abbiamo forme sindromiche come
la sindrome della frattura orbitaria superiore che è una sindrome del III, IV, VI nervo cranico, perché
compromessi. Quando ci sono traumi violenti, può comparire per emorragia intrabulbare un ematoma
retro bulbare che causa una problematica severa perché può portare l’amaurosi, bisogna decomprimere
rapidamente in modo che la compressione non provochi dei danni gravissimi.

Terapia
L’obiettivo della terapia è duplice:
• Liberare i tessuti incarcerati nella frattura
• Ripristinare la normale motilità oculare
Sono fratture comminute, non si possono ridurre le fratture allora bisogna ricostruire le strutture con mezzi
di ripristino. Nelle fratture del pavimento interveniamo sopra, cercando di ricostruire una continuità. La
ricostruzione della parete orbitaria può avvenire sfruttando:
• Lamine di dura madre: materiale dal bovino, è dura madre che viene sterilizzata e viene riutilizzata
con ripristino di una struttura più fisiologica.
• Osso, cartilagine autologhi
• Mesh in titanio
Quindi quando un pavimento è lesionato ma non troppo, possiamo usare frammenti di dura madre, nei casi
più complessi usiamo il titanio. Questa manovra non è facile da applicare.

FRATTURE FRONTO-NASO-ORBITO-ETMOIDALI (FNOE)


L’area naso-etmoido-orbitaria o centro-facciale è un complesso anatomico tridimensionale formato da
naso, orbita, cavità nasali, la cui integrità è essenziale per l’estetica facciale.
Le fratture di questo segmento associano le problematiche delle fratture naso-orbito-etmoidali a quelle
fronto-basali.
1) Anatomia complessa
2) Spesso comminute con perdita osso
3) Difficile fissazione delle fratture
4) Problemi di risultati cosmetici
5) Telecanto: aumentata distanza fra gli occhi (distanza intercantale) con normale distanza fra le
pupille (distanza interpupillare). Sono fratture spesso sottostimate e responsabili di deformità
secondarie molto difficili da correggere a distanza.

Le fratture fronto-naso-orbito etmoidali (FNOE) sono determinate da forze che agiscono sulla regione
centro-facciale. Possono presentarsi:
• Isolate
• Associate a fratture del III medio
• Associate a fratture panfacciali
Classificazione (sec. Sargent):
• Tipo I
• Tipo II
• Tipo III

SEGNI E SINTOMI.
• Tumefazione del viso
• Edemi, ematomi, ecchimosi
• Appiattimento del dorso nasale
• Telecanto traumatico
• Enoftalmo
• Rinoliquorrea
• Lacerazione dei tessuti molli
• Distopia
• Diplopia

Diagnosi.
TC
Ricostruzioni tridimensionali

Terapia.
L’obiettivo è il ripristino dell’aspetto funzionale ed estetico della regione fronto-naso-orbitaria al fine di
evitare interventi secondari spesso indaginosi Trattamento Immediato:
• Fratture esposte
• Sanguinamento incontrollato
• Neuropatia traumatica del nervo ottico Trattamento in elezione:
• Esposizione dei focolai di frattura
• Riduzione delle fratture
• Eventuale riposizionamento dei frammenti  Osteosintesi a placche e viti in titanio.

Accessi:
TRANSLESIONALI: quando FLC di ampie dimensioni; tuttavia non sempre permettono un accurato dominio
dei focolai di frattura ed alto è il rischio di infezioni
CORONALE associato ad accessi ENDORALI e SUBCILIARI: gold standard

Valutazione intraoperatoria del dotto naso-frontale: al fine di evitare meningiti, sinusiti e osteomieliti
• OBLITERAZIONE DEL DOTTO
• FASCIA TEMPORALE
• MUSCOLO TEMPORALE
• TESSUTO OSSEO
• FIBRINA AUTOLOGA

FRATTURA PARETE ANTERIORE DEL SENO FRONTALE:


Composta o a legno verde: nessun trattamento Scomposta:
• RIDUZIONE APERTA
• OSTEOSINTESI CON PLACCHE
• RICOSTRUZIONE CON MESH
FRATTURA PARETE POSTERIORE DEL SENO FRONTALE:
Composta: nessun trattamento Scomposta:
• CRANIALIZZAZIONE DEL SENO FRONTALE
• RIMOZIONE PARETE POSTERIORE
• OBLITERAZIONE DEL DOTTO NASO-FRONTALE
• RIPARAZIONE DELLA DURA MADRE
• OBLITERAZIONE DEL SENO

FRATTURA NOE
Ricostruzione tridimensionale: riposizionamento di tutti i frammenti ed osteosintesi con miniplacche.
Esistono diverse possibilità nella sequenza di ricostruzione, che può essere modificata e personalizzata
tenendo conto di variabili intraoperatorie per ottenere una corretta larghezza e proiezione anteriore della
faccia.
• Riposizionamento del canto mediale:
• Corretta riduzione del frammento centrale
• Ricollocazione del frammento che contiene il tendine
• Evitare di staccare il tendine dall’osso
• CANTOPESSI
• Innesto osseo a cantilever per il dorso del naso

Innesto osseo: autologo o eterologo


Come già detto il risultato estetico costituisce un problema caratteristico della terapia di queste patologie.
Talora possono esitare condizioni di enoftalmo causati da un’inadeguata ricostruzione orbitaria. In altri casi
si può assistere ad una dislocazione orbito-zigomatica, da inadeguato controllo, durante l’atto chirurgico,
dell’arco zigomatico, soprattutto a livello della radice temporale e della parete orbitaria laterale.

FRATTURE FRONTO-BASALI
Le fratture fronto-basali coinvolgono:
• L’osso frontale
• L’osso temporale
• L’osso sfenoide
• L’ osso etmoidale
• Le ossa nasali
• L’osso zigomatico

Sedi associate:
• Intracraniche
• Orbitarie
• Maxillo-facciali

FRATTURE INTRACRANICHE (33%).


Sintomi associati.
• Rino-oto-liquorrea
• Pneumoencefalo
• Contusioni cerebrali
• Ematomi epidurali (EE)
• Ematomi sottodurali (ES)
• Focolai lacero-contusivi.
Danno cerebrale secondo la Scala di Marshall
1. Nel primo stadio l’esame T.A.C. è normale
2. Nel secondo stadio le cisterne sono visibili e lo spostamento è inferiore a 5 mm.
3. Nel terzo stadio le cisterne perimesencefaliche sono compresse o obliterate mentre lo spostamento
delle strutture dalla linea mediana è inferiore a 5 mm.
4. Nel quarto stadio con cisterne obliterate e spostamento della linea mediana superiore a 5 mm. La
mortalità è superiore al 50%.
In casi di trauma cranico la T.A.C. deve sempre essere ripetuta
Se negativo :
entro le prime 12 ore se paziente a rischio,
entro le 24 ore negli altri casi
Se positivo :
- entro le prime 12 ore se la prima T.A.C è eseguita entro 3-6 ore dal trauma,
- entro le 24 ore se eseguita oltre le 6 ore

FRATTURE ORBITARIE (10%).


• Fratture parete mediale
• Ostruzione vie lacrimali
• Lesioni oculomotore
• Lesioni nervo ottico
• Esoftalmo (ematomi e fratture blow-in)

FRATTURE MAXILLO-FACCIALI (56%).


- Fratture LE FORT II
- Fratture LE FORT III
- Fratture FNOE

FRATTURE DEL SENO FRONTALE


Il seno frontale comunica con il meato medio tramite il canale naso-frontale con un foro di 3-4 mm di
diametro.
TIPO 1 : Fratture della parete anteriore
TIPO 2 : Fratture della parete anteriore e posteriore
TIPO 3 : Fratture della parete posteriore
TIPO 4 : Fratture trapassanti
ALGORITMI TERAPEUTICI per le FRATTURE del SENO FRONTALE
Casistica 1978-1996: 71 interventi combinati.
Complicanze:
1 decesso intraoperatorio
2 meningiti (1 precoce  decesso; 1 tardiva  decesso)
1 osteomielite
1 affondamento volet

RINOLIQUORREA: TECNICHE CHIRURGICHE DI CHIUSURA FISTOLA


• Intracraniche
• Extracraniche
• Endoscopiche
Le tecniche chirurgiche intracraniche si impongono in concomitanza di fratture cranio facciali o che
comunque richiedano l’approccio coronale per la riduzione e contenzione di fratture panfacciali.
Il neurochirurgo, pur avendo le capacità di poter gestire in tempi molto brevi le potenzialità ricostruttive in
un trauma fronto- facciale, essenziali per il miglior recupero estetico del paziente, spesso chiede di
dilazionare l’intervento attendendo la chiusura spontanea della fistola liquorale. Tecniche chirurgiche per
via intracranica:
• Plastica durale
• Canalizzazione seno frontale
• Obliterazione infundibulo (facoltativo)
• Lembo di pericranio (facoltativo). Il lembo di pericranio ostacola la ricostruzione anatomica della
regione fronto – nasale che può esitare in deformità visibili , statiche e dinamiche, dei tessuti molli.
TUMORI MALIGNI DEL CAVO ORALE
Richiami Anatomici.
Cavo orale: si estende dal margine del vermiglio labiale alla giunzione fra palato duro e molle
superiormente e alla linea delle papille circumvallate inferiormente. E’ una struttura accidentata,
istologicamente rivestita da epitelio pavimentoso pluristratificato (sede di origine del 90% dei tumori
maligni). Presenta rapporti con le strutture sottostanti (muscoli, periostio e osso) importanti nel
condizionare:
• la progressione locale delle neoplasie
• la possibilità di applicazione delle varie terapia
• i risultati oncologici
• le conseguenze dei trattamenti
• le possibilità ricostruttive

Sottosedi
• labbro inferiore e superiore (prolabio e mucosa vestibolare)
• gengive inferiore e superiore (bordi alveolari)
• pavimento orale anteriore e laterale
• lingua mobile (2/3 anteriori)
• guance (mucosa geniena, compreso il trigono retromolare)  palato duro

Istotipi neoplastici del Cancro Orale.


• Carcinoma squamoso ben differenziato 35%
• Carcinoma squamoso moderatamente differenziato 30%
• Carcinoma squamoso scarsamente differenziato 25%
• Carcinoma squamoso basalioide 1 %
• Carcinoma verrucoso 2%
• Carcinoma adenoideo cistico 4%
• Carcinorna mucoepidermoide 3%
• Altri 1 %

Epidemiologia.
I tumori maligni del distretto testa-collo rappresentano (dati mondiali) il 10 % circa dei tumori maligni negli
uomini e il 4% (c.a) nelle donne. In Italia (anni novanta) i nuovi casi/anno di tumore maligno del cavo orale
e del faringe sono stati circa 4.600 negli uomini e 1.300 nelle donne.
I tumori maligni del cavo orale sono all'anno circa:
• 8,2 per 100.000 uomini (25% del totale della testa e collo)
• 2,8 per 100.000 donne (53% del totale della testa e collo)

Fattori di Rischio.
Sono riconosciuti diversi fattori di rischio nella genesi dei tumori maligni del cavo orale:
• Fumo
• Alcool
• Alcool e fumo (in associazione)
• Cattiva igiene orale (candidosi)
• Deficit alimentari (verdura e frutta)

• Bassa classe socioeconomica

• Epatopatia cronica e cirrosi.

• Precancerosi orali.
Fumo
• Nei MASCHI si riscontra nell’80% dei carcinomi cavo orale-faringelaringe.
• Nelle FEMMINE si riscontra nel 42% ed è meno frequente la copresenza di consumi associati
Tabacco/alcolici.
• Da un punto di vista quantitativo si è stimato che il rischio aumenta di 3-4 volte per consumi
inferiori alle 15 sigarette al giorno, per arrivare ad un aumento di 9-10 volte per consumi maggiori.
• Il rischio è dimostrato declinare circa 10 anni dopo astensione. E’ dimostrato un aumento del
rischio in associazione con il fumo di pipa, sigari e la masticazione di betel (Asia).

Alcool
L’alcool agisce come cancerogeno in maniera isolata o combinata al fumo, potenziandone l’effetto.
L’aumento di rischio che si registra nei forti bevitori (più di 8 bicchieri al giorno) è moltiplicato di 3-5 volte
per cavo orale e faringe (2-3 per la laringe). Il rischio è proporzionale alla quantità di etanolo assunta e non
dipende dal tipo di bevanda alcolica (vino, birra o super alcolici).

Deficit alimentari
L’epitelio delle VADS è vulnerabile ai deficit di sostanze anti-ossidanti.
Questa condizione è frequente nei forti bevitori, nei quali 1/4-1/3 dell’approvvigionamento calorico
giornaliero è fornito dall'alcool.
L’effetto favorevole di un consumo abitualmente elevato (>3-4 porzioni al giorno) di verdura e frutta è
dimostrato.
L’utilizzo di agenti chemiopreventivi specifici (es. retinolo, betacarotene) utilizzati in supplementazione
orale si è dimostrato capace di far regredire lesioni preneoplastiche e di ridurre l’incidenza di secondi
tumori dell’alto tratto aerodigestivo.

Bassa classe socioeconomica di appartenenza.


Soprattutto per il tumore maligno del cavo orale, associazione con papillomavirus umano

Scarsa igiene orale-traumi.


• Scarsa igiene orale
• Restauri protesici scadenti (traumi protesici)
• Denti fratturati e scheggiati (traumi protesici)

Epatopatia cronica e cirrosi.


• Affermazione clinicamente evidente e difficile da dimostrare
• Particolare associazione con pazienti HCV+
• Probabile insorgenza su mucosite distrofica o OLP

Candidosi orale
Fattore favorente per la comparsa di displasia su precancerosi. Le lesioni sospette nel cavo orale, che
rimangono invariate dopo 15 giorni, una volta eliminati i fattori di rischio, devono venire biopsiate.

BIOPSIA INCISIONALE: asportazione della lesione comprendente parte del tessuto sano periferico

BIOPSIA ESCISSIONALE: sconsigliatissima

PRECANCEROSI

Tendono a dare origine a un cancro nel 0,1%-2,4%. Sono distinguibili in leucoplachia, eritroplachia e lichen
planus orale.
Leucoplachia
E’ una macchia o placca bianca non asportabile meccanicamente e non correlabile ad altra patologia, a
struttura omogenea o non omogenea.
Le omogenee sono macchie bianche con caratteristiche uguali in tutta la lesione. Le non omogenee hanno
invece caratteristiche diverse all’interno della stessa lesione, possono confondersi con lichen o eritroplachia
e hanno una colorazione non completamente bianca; possono presentare cercini rilevati, esulcerazioni. Le
macchie non omogenee sono da tenere in considerazione poiché verosimilmente si stanno trasformando in
lesioni maligne. Tutto il cavo orale può essere soggetto all’insorgenza di leucoplachia. Le sedi più frequenti
sono:
• la retro-commissura
• il pavimento
• la lingua
• la guancia
Le sedi a rischio (trasformazione maligna) sono:
• dorso della lingua
• punta della lingua
Molto frequentemente i fumatori presentano leucoplachia nelle zone dove il fumo viene aspirato, perché la
temperatura di combustione della sigaretta è molto elevata (800 °C). Inoltre il fumatore di sigaretta mette
la sigaretta di lato, quindi viene interessata la retro-commissura labiale e il pavimento della bocca.
Il fumatore di pipa mette la pipa tra i denti e quindi è facile che abbia una lesione precancerosa o a livello
del dorso linguale o del premolare inferiore.
Se è presente un traumatismo, la leucoplachia insorge nella sede del traumatismo: se questo è meccanico,
legato ad esempio alla presenza di un manufatto protesico o di un dente scheggiato, la leucoplachia
insorgerà in corrispondenza del margine laterale della lingua.
Il colore della mucosa orale deve sempre essere rosa. Se la mucosa orale non presenta questo colore allora
nella bocca è presente una patologia di vario tipo  colore rosso della patologia infiammatoria: presenza di
una problematica odontoiatrica, ad esempio una gengivite con gengive di colore molto scuro, arrossate;
colore bianco: spesso segno di un problema.
Non sempre queste lesioni sono evidenti e per notarle bisogna avere un po’ di occhio. Una leucoplachia
omogenea a prima vista potrebbe anche essere un carcinoma di tipo verrucoso.
In una lesione con leucoplachia non omogenea può essere presente un carcinoma in situ (perchè cambia la
costituzione). Si possono vedere macchie bianche con lesioni rilevate e iniziali ulcerette che formano al suo
interno.
Su una leucoplachia può insorgere un carcinoma del cavo orale. Prima dell’insorgenza del carcinoma può
essere nota una storia di leucoplachia della durata anche 2-3 anni. Alla palpazione la lesione ha consistenza
dura (a differenza di quello che si trova normalmente nel cavo orale), è facilmente sanguinabile al tatto.

Eritroplachia
è una lesione della mucosa di colore rosso vivo, di aspetto vellutato ad impatto (se uno ne vede una la
riconosce sempre), che non appartiene a un quadro nosologico definito (non la si può classificare come
alcuna malattia nota). Istologicamente corrisponde ad una displasia media o grave, e va quindi considerata
come carcinoma in situ o precancerosi obbligata.
A differenza della leucoplachia, l’eritroplachia presenta sempre displasia. La leucoplachia può anche essere
brutta all’apparenza ma se non c’è displasia non è avvenuta trasformazione. Nell’eritroplachia abbiamo
sempre displasia medio-grave  se è presente displasia si sott’intende la presenza di un carcinoma in situ.
Per questo motivo parliamo di precancerosi obbligata.
Una leucoplachia che non presenta displasia può anche essere tenuta sotto controllo con biopsie mirate e
se l’anatomopatologo conferma l’assenza di displasia può essere tenuta in osservazione; se invece è una
leucoplachia di tipo proliferativo-verrucoide può essere utilizzato il laser per spianarla un po’, ma senza
l’intento di rimozione perche si riformerà nuovamente (posso però utilizzare il laser dove non c’è displasia).
Nell’eritroplachia per definizione ho displasia con cancerosi obbligata: quando ci accorgiamo della sua
presenza è già presente almeno il carcinoma in situ. Dal punto di vista macroscopico si può presentare
anche come una leucoplachia non omogenea (bianco + rosso), quindi l’esame istologico è dirimente.
Al tatto è una lesione un po’ più dura rispetto alla mucosa circostante  è difficile che una leucoplachia
pura abbia una consistenza molto dura. Il duro significa tumore.

Lichen
Malattia infiammatoria a decorso acuto o cronico caratterizzata clinicamente da lesioni elementari
cutaneo– mucose di aspetto papuloso. Se ne riconoscono tre varianti:
• Forma atrofico-erosiva
• Forma reticolare
• Forma a placca
Può insorgere sulla mucosa orale (isolata), in associazione con lesioni cutanee o altre mucose.
La degenerazione carcinomatosa si verifica tipicamente su forme atrofiche o erosive (dopo comparsa di
displasia).
Condizione precancerosa. Molto spesso le diverse forme sono presenti nella stessa lesione: a meno che non
sia una forma reticolare tipica, possono confondersi tra di loro o con altre forme di lesioni precancerose (la
biopsia è dirimente).
Di solito sono associate a lesioni cutanee o a livello delle mucose genitali (cui si associa una sintomatologia
con bruciori). Il lichen è una malattia sistemica.
Molte volte, essendo una condizione precancerosa, può trasformarsi in una displasia media o grave e dar
luogo ad un carcinoma vero e proprio.
Sono lesioni che vengono trattate. Se sono lievi vengono classificate come parte di malattie psicosomatiche
che insorgono in particolari soggetti in momenti determinati della vita: basta tranquillizzare il pz e spesso le
lesioni scompaiono senza trattamento.
Le forme atrofico erosive talvolta sono dolorose e quindi è necessario il trattamento farmacologico. La
terapia è steroidea per via sistemica. Esistono steroidi per os sotto forma di colluttori o sciroppi che non
funzionano adeguatamente perché non permettono il mantenimento di una concentrazione di farmaco
ottimale a livello della ferita. Th: Deltacortene 25mg a scalare.
Nei casi con manifestazioni sistemiche, genitali e resistenti a qualsiasi tipo di trattamento steroideo bisogna
utilizzare gli immunosoppressori.

Pemfigo e Pemfigoide
Sono due tipologie di lesioni bollose ad insorgenza autoimmunitaria. A volte possono confondersi anche se
hanno storia clinica differente. Pemfigo e pemfigoide sono bolle fugaci, si sviluppano in pochissimo tempo e
si rompono in pochi minuti. Lesioni di questo tipo possono entrare in diagnosi differenziale con altre
patologie cutanee che si possono manifestare anche a livello della mucosa del cavo orale.

CARCINOMI
Modalità di crescita e diffusione del carcinoma orale.
Possiamo riconoscere due modalità distinte di crescita tumorale:
CRESCITA ESPANSIVA  poco frequente, soprattutto per tumori ghiandolari
CRESCITA INFILTRATIVA  +/- marcata nelle strutture circostanti (Ca squamocellulare)
La cellule neoplastiche raggiungono la RETE LINFATICA SOTTOMUCOSA del distretto, aprendo la strada alla
colonizzazione della ricca dotazione di linfonodi nel collo (anello di Waldeyer)

Diffusione Linfatica
E’ caratteristica dell’evoluzione del carcinoma squamocellulare. La frequenza e l’entità varia a seconda di:
• grado di differenziazione istologica
• localizzazione del tumore primitivo
• caratteristiche di progressione locale (fronte di invasione)
• spessore, invasione peri-neurale e vascolare, neo-angiogenesi
La diffusione nella rete linfatica segue itinerari precostituiti ed avviene per tappe successive, anche se non
mancano “salti di stazione”.
Livelli Linfonodali:
1. Livello sottomentoniero: si segue, scendendo, la linea del muscolo sternocleidomastoide
2. Livello sottomandibolare:
3. Livello giugulare anteriore (sottodigastrico) e spinale superiore
4. Livello giugulare medio
5. Livello giugulare inferiore e sopraclavicolare
6. Livello sovraspinale medio ed inferiore (passando dietro allo sternocleidomastoideo; spesso
interessati da tumori della tiroide).
Linfonodi: i livelli linfonodali caratterizzano la parete latero cervicale del collo e sono stati classificati in vari
livelli che possono essere interessati da metastasi. Talvolta ci possono essere dei salti di stazione.
I linfonodi vengono colonizzati dal carcinoma, riproducono all’interno del linfonodo le caratteristiche
microscopiche del tumore stesso. La crescita all’interno del linfonodo può arrivare ad infiltrare e rompere la
capsula. Questo è molto importante dal punto di vista prognostico: la rottura della capsula causa la
possibile disseminazione del tumore anche nei piani extralinfonodali. È un fenomeno tipico delle
adenopatie voluminose ma talvolta può essere caratteristico anche di linfoadenopatie inferiori al cm.
In che modo valutiamo un linfonodo? Un linfonodo neoplastico è duro, ligneo, fisso sui piani superficiali e
profondi. Un linfonodo pastoso, anche se molto grande, è tipico di un linfoma per esempio. Per
documentare la rottura della capsula devo fare un’ecografia.

Carcinoma verrucoso (Tumore di Ackerman)


Anche se è un carcinoma dal punto di vista istologico, ha un comportamento biologico diverso dagli altri
carcinomi. Insorge soprattutto in pz maschi (80%), anziani (età di insorgenza >60 anni). Può insorgere in
qualsiasi posizione del cavo orale, la zona più rappresentata è quella delle guance (retrocommissura labiale)
ed è tipica dei pz che sono abituati a masticare tabacco e fumare la pipa. Sedi elettive:
• Guance 52%
• Gengive 20 %
• Palato 7%
• Pavimento della bocca 12%
• Lingua 7%
Macroscopicamente è una lesione vegetante, a cavolfiore, di colore bianco, con superficie friabile di
consistenza molto dura, a superficie ruvida. Non metastatizza quasi mai e talora può evolvere verso una
forma squamo-cellulare. Ha un comportamento biologico classicamente contrassegnato da crescita lenta
esofitica, espansiva ed infiltrativa (soprattutto a carico della mandibola). Può confondersi con lesioni
bianche viste prima. All’osservazione è difficile da identificare, la diagnosi è essenzialmente istologica; il
materiale fornito al patologo deve essere abbondante in quanto la scarsità di atipie citologiche rende più
difficile porre diagnosi su piccole biopsie. Risulta necessario valutare l'architettura complessiva e il carattere
limitato della infiltrazione profonda.
Microscopicamente è sempre ben differenziato  l’epitelio neoplastico è ben differenziato, sono rare le
perle cornee (non cheratinizza spesso) e sono rare mitosi ed atipie. La membrana basale è intatta
(caratteristica più importante): non superando la membrana basale non infiltra in profondità. Non ha
crescita rapida. La DD si fa con:
• Carcinoma squamoso ben differenziato
• Lesioni papillomatose benigne: le lesioni papillomatose possono insorgere in pz che hanno delle
malattie autoimmunitarie (lichen resistenti alla terapia farmacologica)
• Iperplasia da candidosi cronica (rara).

Terapia: essenzialmente chirurgica.


• Escissione locale senza intervento sui linfonodi se la lesione è piccola.
• Criochirurgia (in assenza di coinvolgimento osseo; in diverse sedute)  lesione grande, il soggetto è
anziano, l’escissione del tumore provocherebbe una mutilazione importante; la criochirurgia in
diverse sedute.
Il trattamento radiante è controindicato poiché può influenzare negativamente il comportamento
biologico, aumentando il rischio di trasformazione in carcinoma squamocellulare.
Carcinoma squamoso (o spinocellulare)
Da solo rappresenta l’istotipo più frequente, ricoprendo il 90% delle neoplasie del cavo orale, così
suddivise:
• Carcinoma squamoso ben differenziato 35%
• Carcinoma squamoso moderatamente differenziato 30%
• Carcinoma squamoso scarsamente differenziato 25%
Più sono indifferenziati e più rispondono alla radioterapia. Il trattamento di questi pz, tranne in alcuni casi
sporadici, è sempre un trattamento chirurgico e radioterapico associato, soprattutto se c’è il filtrazione
ossea oppure se vi sono linfonodi coinvolti con svuotamento del collo.
Le lesioni possono essere bianche, rosse, miste, ulcerate, rilevate. Tutte le manifestazioni all’interno del
cavo orale differenti dalla mucosa possono essere dei carcinomi.

Aspetti Clinici dell’Early Cancer.


• EROSIONE SUPERFICIALE (ulcera) a fondo granuleggiante di colore rosso vivo, circondata da un
anello rilevato (bianco o rosso) di maggiore durezza nei confronti dei tessuti circostanti;
• LESIONE GRANULEGGIANTE rilevata sulla superficie, a margini netti o sfumati, di colore simile alla
normale mucosa (talvolta piccole chiazze bianche) di maggiore durezza rispetto ai tessuti
circostanti;
• PLACCA lievemente rilevata o PICCOLO NODULO duro, ricoperti da mucosa ad aspetto normale o
lievemente biancastra. Sono rarissimi e possono insorgere nell’ambito della lingua;
• ERITROPLACHIA placca rosso fuoco, per nulla rilevata, senza erosioni, con margini netti (spesso
multicentrica);
• PIÙ DI UN ASPETTO.

Aspetti Macroscopici
• lesione ulcerativa pura (20-25%)
• lesione infiltrante pura (10-15%)
• lesione prevalentemente vegetante (15-20%)
• lesione miste (40-55%)
Il pz sente in bocca qualcosa che sta crescendo. È un nodulo sottomucoso: alla biopsia può essere un
carcinoma ma solitamente è un’ectasia dello sbocco di una ghiandola salivare. In questi casi la prova del
nove è far fare al pz l’antibiotico per una settimana: se è una ghiandola salivare si sgonfia immediatamente.
Se vediamo il tumore nella prima fase di sviluppo possiamo descrivere la lesione elementare, ma non se lo
vediamo in fase avanzata.

Sedi
• Lingua 30%
• Labbro 25%
• Pavimento 15%
• Gengiva 10%
FORMA A FERRO DI CAVALLO: dal pilastro tonsillare al controlaterale, comprendendo il pavimento,
soprattutto la regione mediana

Segni d’Esordio.
• Modesti, aspecifici, polimorfi: il pz, se orientato, riferisce una massa che prima non aveva; se non
orientato spesso non si accorge della presenza del tumore fino a quando la massa non è grande.
• Algie modeste nelle fasi iniziali (lievi bruciori con cibi): le algie subentrano quando l’ulcera diventa
profonda; molte volte all’interno del cavo orale si vede poco e si sente poco, va cercato 
Sensazione di presenza
• Adenopatia cervicale cronica (nel 70% vi è, come prima manifestazione un interessamento del
linfonodo retro-mandibolare (linfocentro di Kupfer) se il pz si presenta con linfadenopatia, vanno
valutati: il cavo orale, le vie aeree digestivo superiori, eventualmente si fa un TC per vedere i seni
paranasali e la parte superiore della struttura mesofacciale che non riusciamo a vedere con l’occhio.

Se è un pz giovane si presenta con un linfonodo importante sotto-mandibolare cerchiamo un linfoma. In


caso di adenopatia laterocervicale va indagata sempre la tiroide, perché una linfadenopatia non tanto
sospetta che insorge dieci anni prima può essere anche sintomo di insorgenza di un carcinoma papillifero
della tiroide, soprattutto nel pz giovane. È necessario effettuare tutti gli esami per le DD: la mononucleosi, il
graffio di gatto. Se abbiamo il sospetto di un linfoma e l’unica manifestazione è la linfadenopatia allora è
necessario eseguire una biopsia. Se si tratta di un linfoma e sono certo della diagnosi, il linfonodo va
asportato.
Se invece di un linfoma si tratta di un tumore diverso che si manifesta con un linfonodo ingrossato cosa
faccio? Devo stare molto attento perché se invece si tratta di un tumore e tolgo il linfonodo faccio un atto
letale  se il pz non ha un linfoma ma il linfonodo ingrossato non è una metastasi, l’asportazione del
linfonodo causa lo sviluppo di metastasi a partenza da un'altra posizione  uccido il pz!  è necessario
eseguire un ago aspirato senza togliere il linfonodo. Successivamente posso effettuare lo svuotamento
linfonodale del collo durante il trattamento chirurgico.
In una linfadenopatia sospetta faccio l’ago aspirato; se sono sicuro che sia un linfoma allora faccio la biopsia
asportando il linfonodo.
Una linfadenopatia laterocervicale può essere presente anche in caso di una problematica odontoiatrica.
Nella diagnosi differenziale della linfoadenopatia sottomandibolare laterocervicale deve rientrare anche
l’ascesso cronico. Se i linfonodi sono ipertrofici a causa di un evento infettivo, la risposta al trattamento
medico non è mai completa: il linfonodo rimarrà sempre un po’ più ingrossato. È una dd difficile.
Immagine: carcinoma piccolo che interessa il margine laterale della lingua. Può rimanere abbastanza
silenzioso per il pz, il trattamento chirurgico è loco regionale e si può fare anche in anestesia locale; è una
lesione di pochi mm e lo si può asportare senza fare chirurgia sui linfonodi.

Questi tumori sono importanti soprattutto quando insorgono sulle linee mediane: il trattamento chirurgico
comprende quasi sempre la linfoadenectomia laterocervicale. L’insorgenza mediana (corpo linguale e
pavimento della bocca) deve prevedere un trattamento linfonodale bilaterale. L’insorgenza monolaterale
prevede un trattamento linfonodale monolaterale.

Aspetti Microscopici.
Gradi di differenziazione (GRADING): grading di questi tumori è in base alla differenziazione: G1-G4.
• in base alla quantità di cheratina prodotta  perle cornee, la cheratinizzazione cellulare
• all’atipia degli elementi neoplastici  lesioni atipiche, polimorfismo cellulare, presenza di cellule
giganti
• al numero di mitosi/campo

Carcinoma Spinocellulare bene differenziato (G1)


Carcinoma Spinocellulare moderatamente
differenziato (G2)
Carcinoma Spinocellulare scarsamernte differenziato
(G3)
Carcinoma Spinocellulare indifferenziato (G4)

Il grado G4 è spesso classificabile immunoistochimicamente come non squamoso. Il grado di


corrispondenza fra differenziazione e comportamento clinico è limitato. I dati prognostici più importanti
derivano da:
• Modalità di infiltrazione (espansiva o infiltrativa)
• Risposta dell'ospite (infiltrato infiammatorio peri-tumorale)
Un aspetto particolare è quello del CARCINOMA SQUAMOCELLULARE MICROINVASIVO : infiltra lo stroma
per pochi millimetri (disaccordo sul limite di infiltrazione stromale per definirlo tale). E’ verosimile che il
limite possa essere diverso nelle varie sedi anatomiche.

Diffusione.
Il carcinoma squamoso si diffonde per contiguità, o per continuità alle strutture vicine e a distanza per via
linfonodale (sempre mts linfonodali, infatti la diffusione linfatica è la caratteristica principale
dell’evoluzione del carcinoma spinocellulare) e, con frequenza nettamente inferiore, per via ematica. La
crescita è infiltrativa, più o meno marcata nei riguardi delle strutture circostanti. La crescita espansiva è
poco frequente nei carcinomi, è più frequente nei tumori ghiandolari, tipo l’adenoide cistico,
mucoepidermioide oppure nelle lesioni benigne.
Le cellule neoplastiche invadono le stazioni linfonodali riproducendo gli atteggiamenti invasivi del tumore
primitivo. Esse infiltrano e possono distruggere la capsula linfonodale ed invadono i tessuti vicini. Questo
comportamento è più evidente nelle adenopatie voluminose, ma può già verificarsi per metastasi
linfonodali di dimensioni anche inferiori a 1 cm.
Per ragioni non completamente chiarite (azione di filtro? reazioni immunitarie? Minore capacità intrinseca
delle cellule epiteliali neoplastiche migrate di impiantarsi?) questo tumore non si accompagna ad una
elevata tendenza alla diffusione a distanza per via ematica, se non in fasi tardive.
Questi pz muoiono per problematiche di tipo loco regionale: possono avere metastasi polmonari ed
epatiche, ma sono rare. La malattia maligna ma loco regionale.

Metastasi a distanza presenti all'atto della diagnosi sono infrequenti


• 25% dei casi Mts a distanza nei pazienti guariti loco-regionalmente
• 30%-38% dei casi Mts a distanza nei pazienti con cospicuo interessamento linfonodale
La malattia è maligna, loco regionale soprattutto di passaggio attraverso i linfatici. La diffusione a distanza
per via ematica si verifica perché le metastasi polmonari si vedono abbastanza, un po’ meno le metastasi
epatiche e quelle cerebrali. Non si vedono praticamente mai le metastasi ossee se non in alcuni casi molto
rari a differenza dei tumori mesenchimali. Il sarcoma metastatizza a livello epatico, polmonare e cerebrale
perché ha una diffusione ematogena. Le metastasi loco regionali molto spesso sono già presente alla
diagnosi. Quindi in un tumore grande o in una posizione sfavorevole è necessario fare lo svuotamento del
collo. In alcune scuole fanno lo svuotamento del collo anche differito: tolgono il tumore, aspettano circa un
mese per permettere ai linfatici di svuotarsi completamente e dopo di che si fa lo svuotamento del collo ma
questa procedura è un po’ pericolosa. Se bisogna farlo conviene farlo in un unico blocco.
Perché muoiono questi pz? Un pz predisposto può avere l’insorgenza di un tumore in altra sede, che non è
una recidiva ma è un secondo tumore che colpisce le vie aeree superiori. Nella stessa sede dobbiamo
saperlo, perché quando facciamo analizzare il tumore dal punto di vista anatomo-patologico, una cosa
molto importante è che l’anatomo-patologo ci dica se i margini di resezione sono indenni da malattia o
meno. Se dice che il margine è interessato in profondità o è necessario fare una ripresa chirurgica oppure
se non è possibile bisogna fare radioterapia.
I fattori prognostici sono legati all’ospite, al tumore e alla diffusione linfonodale.

Fattori prognostici
La sopravvivenza media nel carcinoma squamoso del cavo orale è del 50%, stratificabile a seconda dello
stadio (T1-T2: >70%; T3-T4: 30%). Generalmente la progressione della malattia, che conduce
successivamente il paziente ad exitus, deriva dal mancato controllo dei linfonodi con recidive sincrone,
metacrone nella stessa o in altra sede (VADS).
E’ possibile valutare diversi fattori prognostici:
legati all’ospite sono l’ età o meno di 40 anni e più di 70 aa: più il pz è giovane più la storia clinica del
tumore è negativa, gruppo Rh, ABO, concentrazione di emoglobina.
Poi ci sono fattori prognostici legati al tumore: pleomorfismo nucleare, il grading, volume, ploidia DNA,
spessore tumorale (l’infiltrazione negli strati sottostanti alla membrana basale e quindi nella sottomucosa
ha una rilevanza prognostica se è superiore o inferiore ai 2 mm)e i margini di resezione. Ci può essere
anche invasione perineurale può esserci anche nel carcinoma squamoso. Se c’è invasione perineurale
dobbiamo allargare i margini di resezione. Di solito i margini di resezione sono di almeno 2 cm, se c’è
invasione perineurale devono essere maggiori.
Legati all’eventualità di mts linfonodali: la possibilità che individui N0 risultino invece N+ è di circa 25-30%.
Per questo motivo, a seconda della sede, è possibile programmare uno svuotamento profilattico. Sedi
elettive sono il terzo posteriore della li gua e il terzo posteriore del pavimento orale, dalle quali sedi le
metastasi sono più frequenti.
I fattori di probabilità di metastasi occulte sono dati dalla sede, dalle dimensioni del T, dal grading, dal
infiltrato infiammatorio e dal pattern di invasione alla periferia e In profondità.
Molte volte non sono evidenziabili all’atto chirurgico ma insorgono a distanza di tempo. Il corpo posteriore
della lingua è quello che molto più facilmente può dare delle metastasi occulte a distanza di tempo. Le
possibilità terapeutiche sono soprattutto la chirurgia e la radioterapia. La chemioterapia viene utilizzata in
pochi casi, quando il pz ha già finito la radioterapia e non può superare la dose di Gy assorbita. L’ incidenza
delle recidive nei colli trattati va dal 5 al 23% con radioterapia post chirurgica, mentre la sopravvivenza
assoluta e relativa all’N.
I dati di sopravvivenza a 5 anni dipendono strettamente dallo stato linfonodale:
43% nei N1, N2 ed N3 con sola radioterapia;
52% con RT e chirurgia.
N0 con astensione è > 60%.
Se poi N0 era N+, si scende al 20%. Se c’è rottura capsulare scende ancora a meno del 7%.

Le controindicazioni alla chirurgia oggi sono soltanto le condizioni cliniche del paziente e le problematiche
legate al suo stato di salute.
Generali.
• carcinoma anaplastico o poco differenziato
• condizioni generali del paziente
• n3
• età > 80 anni
• carcinomi rapidamente invasivi Specifiche.
• mts a distanza
• cancerizzazione della cute
• lesione non dominabile
• invasione della carotide comune / interna
• infiltrazione della fascia pre vertebrale
• infiltrazione della base cranica
• le controindicazioni generali
• doppia localizzazione
Non sono delle controindicazioni assolute ma sono relative. Ogni caso non si può fare un protocollo ma in
base al pz si decide il trattamento migliore.

Stadiazione.
È data dalla classificazione e grado del tumore, TNM. Di qui, la programmazione terapeutica.

Iter diagnostico.
ESAME CLINICO-PALPATORIO (Testa iperestesa, capo rivolto controlateralmente,spalla sollevata
ipsilateralmente )
• Più semplice, rapido ed economico
• Soggiace a valutazioni di attendibilità consistenti
• I falsi negativi sono dipendenti dalla capacità ed esperienza dell'esaminatore e dalla effettiva
accessibilità delle strutture linfatiche alla palpazione
• falsi negativi = 20% dei casi (cNO/pN+) con differenze significative in rapporto alla sede delle
adenopatie e a quella del tumore primitivo.
ESAMI STRUMENTALI
Ecotomografia con ultrasuoni (ECO): è necessaria per la valutazione dei linfonodi del collo. È l’esame più
sensibile, rapido, semplice, innocuo. Limite: l'ecostruttura intraghiandolare non permette in modo specifico
una differenziazione fra ipertrofia reattiva ed invasione tumorale Criteri specifici di valutazione per la
presunzione di invasione neoplastica
• dimensioni superiori a 1 cm
• forma sferica
• ipoecogenicità
Tomografia computerizzata (TC) e Risonanza magnetica nucleare (RMN) : diagnosi di estensione dei tumore
primitivo a localizzazione profonda e nei casi mediamente avanzati (T2, T3, T4). Valutazione della rete
linfatica. Criterio specificamente valido per la TC è il grado di ipodensità. Oggi la RM viene utilizzata anche
per valutare l’osso. Prima si diceva che fosse meglio la TC per l’osso e la RM per i tessuti molli. Oggi invece
grazie a dei criteri di risoluzione importanti la RM è più adeguata. Come scuola a Novara richiedono
entrambi gli esami. Oggi si usa tantissimo anche la PET, una TC particolare che capta il glucosio nel tessuto
tumorale e che ci serve per dire se nel resto del corpo ci sono altre localizzazioni oppure no Criteri di
probabilità di interessamento neoplastico linfonodale
• forma sferica
• diametro minimo assiale >15 mm. nella regione sottodigastrica e sottomandibolare, >10 mm. nelle
altre regioni.
• raggruppamento di più di 3 adenopatie aventi un diametro minimo assiale di 9-10 mm. in regione
sottodigastrica e di 8-9 mm.nelle altre sedi.
Citologia per agoaspirato con ago sottile (FNAB): la citologia con ago aspirato va fatta nei casi in cui c’è un
dubbio ma di solito abbiamo fatto diagnosi. Il valore e i limiti nei casi N0 sono ancora oggetto di valutazione.
L'esame è utile solo se ecoguidato ed ha i suoi limiti specifici nel campionamento, in quanto l'esame non
può interessare tutti i linfonodi e neppure tutti quelli sospetti. Può essere ottenuta, in mani esperte, una
sensibilità del 76%, e una accuratezza dell’89%.
Radiografia del torace in 2 proiezioni: l’RX torace ci serve dal punto di vista anestesiologico per capire se ci
sono altre problematiche Ortopantomografia
Panendoscopia VADS (visita ORL): serve valutare se vi sono localizzazioni a livello della laringe o del faringe
posteriore o della base lingua.

ANATOMIA PATOLOGICA.
La diagnosi di natura della neoplasia può essere confermata soltanto dalla valutazione anatomo-patologica.
ESAME ISTOLOGICO
ESAME CITOLOGICO (accettabile, meno affidabile)
• Lesioni Facilmente Accessibili. E’ indicato un prelievo bioptico parziale (sono sufficienti alcuni
millimetri cubici di tessuto) ed eseguito sui margini senza alterare le caratteristiche
macroscopiche della certa o presunta neoplasia.
• Lesioni Limitate. Vanno proscritte le “biopsie exeresi”, a meno che non vengano eseguite con
margini in tessuto sano. La citologia serve nelle lesioni precancerose in cui si fa la citologia per
esfoliazione, una specie di pap test della bocca, che però non ci permette di valutare
l’architettura tissutale, che invece per noi è molto importante.

Terapia.
Se ci troviamo di fronte ad un T1-T2: resezione.
Se siamo di fronte ad un T3-T4: invasione dell’osso. Resezione più radioterapia complementare.
La differenza tra T1 eT2-T3-T4 è che nel secondo caso c’è invasione dell’osso, sono tumori più grandi con
invasione.
STADIAZIONE CLINICA TNM (UICC, 1997) STADIAZIONE
DEL TUMORE.
T0 Nessun riscontro clinico del tumore
Tis Carcinoma pre-invasivo (in situ)
T1 Tumore limitato ad una sede di dim. < 2 cm.
T2 Tumore di dimensioni comprese tra 2-4 cm.
T3 Tumore di dimensioni >4 cm.
T4 Tumore con interessamento massivo della muscolatura o dell’osso, della cute, del mascellare superiore,
delle parti molli del collo.
Tx assenza dei requisiti minimi per definire il tumore primitivo.

STADIAZIONE DELLE MTS LINFONODALI.


Nx linfonodi regionali non apprezzabili clinicamente
N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale, di 3 cm. o meno nel suo maggiore diametro
N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale, di dimensioni superiori a 3 cm. ma inferiori a 6 cm. N2b
Metastasi in più di un linfonodo omolaterale, nessuno di dimensioni superiori a 6 cm.
N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuna di dimensioni superiori a 6 cm
N3 Metastasi in un linfonodo di dimensioni superiori a 6 cm, Fissità del linfonodo in quanto segno di rottura
della capsula

METASTASI A DISTANZA
Mx Non possono essere valutate
MO Assenza di metastasi
Ml Presenza di metastasi

RAGGRUPPAMENTO PER STADI


(negli U.S.A.: comodità statistiche)
Stadio 0 Tis N0 M0
Stadio 1 TI N0 M0
Stadio II T2 N0 M0
Stadio III T3 N0 M0 TI-2-3 N1 M0
Stadio IVA T4 N0 M0 T4 N1 M0 Ogni T N2 M0
Stadio IVB Ogni T N3 M0
Stadio IVC Ogni T Ogni N M1

Sedi.
Mucosa gengivale superiore e palato
T1-T2 resezione
T3-T4  resezione e RT complementare

Mucosa gengivale inferiore: mucosa aderente.


T1 resezione mucosa: si asporta il tumore per via trans orale e rimanendo nei margini sani. Intervento di
McGregor, che si usa soprattutto per il processo alveolare inferiore, in cui c’è un tumore molto piccolo, si
può fare asportazione a tassello senza curarsi dei linfonodi.
T2-T3-T4: si può fare una resezione mucosa ossea con radioterapia complementare. In base all’istologico si
definisce meglio la terapia.
Nella resezione ossea bisogna estendersi al dente anteriore e posteriore rispetto a quello interessato,
stando oltre l’altezza dell’apice dentario (possibile trasmissione attraverso il legamento alveolo dentario).
Se asportato il T con i linfonodi en bloc, la ricostruzione può avvenire con sutura della lingua al pavimento o
con lembo genieno peduncolato al ramo dell’arteria trasversa e dell’arteria orbicolare.
Prediligono generalmente la regione premolare e molare. Si trattano con una mandibulectomia laterale con
resezione estesa da dietro la spina di Spiks a davanti alla fuoriuscita del nervo mentoniero.
Immagine: dall’interno del cavo orale si vede una grossa deformazione che agli strumentali infiltra la
mandibola. Differenza tra angolo di sx e dx. E’ un T2 almeno perché infiltra l’osso.
Bisogna sempre lasciare almeno 2cm di distacco di tessuto sano dal tumore. Intervento di McGregor: si fa
un tassello osseo con gengiva associata. Si mantiene la continuità dell’angolo mandibolare, dobbiamo
essere sicuri che si tratti di un tumore molto piccolo, perché altrimenti potrebbe esserci una importante
possibilità di recidiva.

Mucosa geniena (guance):


T1-T2 pericommissurale non infiltrante (sotto i 3cm): il pericommussurale in una commissura va preso con il
beneficio del dubbio perché in una commissura è difficile che non ci sia infiltrazione. Si può fare o la
resezione mucosa o diversamente radioterapia interstiziale.
T1 e T2 infiltranti: solo resezione muscosa fino alla muscolatura e ricostruzione. È già più pericoloso fare
questo lavoro perché possiamo lasciare in sede dei residui tumorali.
T3-T4: resezione mucosa e radioterapia complementare per via trans cutanea. Asportazione en bloc di tutto
il tumore con le strutture circostanti.

Lingua:
Tumori piccoli come quelli dell’apice della lingua, se sono di piccole dimensioni si può fare asportazione di
tessuto sano e fare follow up ravvicinato. Se il pz non vuole essere sottoposto ad intervento chirurgico
allora può fare solo la radioterapia.
In alcuni tumori come quelli della tonsilla funziona molto bene. Dipende dal tipo di differenziazione perché
non tutti i tumori rispondono. Se è un indifferenziato risponde molto bene alla radioterapia. Quando non si
può operare o se le condizioni del paziente non lo permettono si può decidere di usare altre tecniche. Più il
tumore diventa grande più le resezioni devono essere grosse.
T1 rafe mediano  resezione
T1 apice  resezione
T1-T2  resezione o curieterapia T3-
T4  resezione e RT compl.
L’esito ricostruttivo più frequente è l’anchiloglossia laterale, ovvero la difficoltà nei movimenti di
lateralizzazione della lingua.

Pavimento orale:
T1-T2 < 3cm senza vicinanza ossea: resezione o radioterapia.
T1-T2 < 3cm con vicinanza ossea: resezione con osteotomia; si fa anche adenectomia della loggia
mandibolare con i linfonodi quando il tumore interessa il dotto sottomandibolare.
T2 > 3cm: resezione e radioterapia complementare, svuotamento del lobo sottomandibolare e
sovraomoioideo (quindi dei primi due livelli).
T3-T4: resezione con osteotomia e radioterapia complementare.

Labbro:
T1-T2 sotto i 3 cm  resezione cuneiforme oppure brachiterapia
T2 sopra i 3 cm  resezione cuneiforme e ricostruzione plastica
T3-T4  resezione cuneiforme ricostruzione plastica con RT

Classificazione degli Svuotamenti del Collo.


E’ fornita dall’AMERICAN SOCIETY FOR HEAD NECK SURGERY.
Modificata al fine di associare la tecnica dello svuotamento funzionale secondo Suarez-Bocca con quella
dello svuotamento selettivo sottomandibolare.
Ciascuna tipologia di svuotamento ha una propria estensione, che rispetta la suddivisione convenzionale in
livelli dei linfonodi cervicalI. Svuotamenti selettivi del collo.
a) svuotamento sottomandibolare
b) svuotamento sopra-omojoldeo
c) svuotamento postero-laterale del collo
d) svuotamento laterale del collo
e) svuotamento del compartimento anteriore del collo
Lo svuotamento selettivo sottomandibolare ha lo scopo di asportare in blocco il contenuto della loggia
sopradigastrica comprendendo nell'exeresi la ghiandola sottomascellare, le fasce e le formazioni linfatiche
distrettuali (sottomascellari, perifacciali interdigastriche) rispettando, ove possibile, il ramo marginalis
mandibulae (VII), il nervo ipoglosso (X11II) ed il nervo linguale (V).
Gruppi linfatici interessati: I livello.
Indicazioni:
• Trattamento delle neoplasie maligne della gh.sottomascellare
• Profilassi linfatica nel caso di tumori di piccole dimensioni e N0, del pavimento orale laterale,
dell'orletto gengivale inferiore e del bordo della lingua
• Lo svuotamento sottomandibolare costituisce parte integrante dello svuotamento classico del collo
e dello svuotamento selettivo di tipo sopra-omoioideo.
Lo svuotamento selettivo sopraomojoideo consente di asportare la rete linfatica del collo situata nelle
logge sottomentoniera, sottomandibolare e nel compartimenti giugulare superiore medio (al di sopra del
limite offerto dal muscolo omojoideo). Gruppi linfatici interessati dalla dissezione: I- II- III.
Indicazioni:
• Trattamento profilattico con neoplasie di piccole dimensioni del cavo orale laterale (orletto
gengivale, pavimento orale antero-laterale, bordo lingua mobile)
• Trattamento profilattico controlaterale in neoplasie lateralizzate del cavo orale e della laringe
(anche nel caso di metastasi ipsi-laterali clinicamente evidenti)
• Trattamento profilattico nei carcinomi del labbro inferiore e del fornice gengivale Svuotamento
funzionale del collo (SUAREZ-BOCCA).
Si propone lo scopo di asportare i linfonodi d logge latero-cervicali (dal II al V compartimento linfatico)
rispettando l'integrità della vena giugulare interna, del nervo spinale e del muscolo sterno-cleido-
mastoideo. Il rispetto dei piani fasciali del collo consente di considerare lo svuotamento funzionale una
tecnica "radicale" nel trattamento profilattico o terapeutico delle metastasi laterocervicali.
Indicazioni:
Nel trattamento di principio del collo ovvero nella terapia delle metastasi linfatiche di dimensioni non
superiori ai 3 cm (verosimile integrità della capsula linfonodale e degli involucri fasciali del collo).
Svuotamento demolitivo del collo (o CLASSICO).
Consiste nell’asportare radicalmente la rete linfatica del collo dal bordo inferiore della mandibola, in alto,
alla clavicola in basso, dal bordo laterale del muscolo sterno-joideo, l'osso joide e il ventre anteriore del
muscolo digastrico controlaterale medialmente, al bordo anteriore del muscolo trapezio lateralmente.
Asportazione di tutte le aree linfatiche dal livello I al V. associate alo nervo spinale, la vena giugulare interna
e lo sterno-cleidomastoideo- Si fa nelle adenopatie "fisse" o, comunque, di oltre 3 cm diametro (probabile
rottura capsulare), in presenza di più di tre adenopatie clinicamente manifeste, anche inferiori al 3 cm e nel
caso di pregresse terapie radianti sul collo.
Svuotamento demolitivo del collo modificato.
• con conservazione del nervo spinale
• con conservazione della vena giugulare interna
• con conservazione del muscolo SCM Svuotamento demolitivo del collo allargato.

Approcci Chirurgici sulla Mandibola.


Intervento di resezione segmentale della mandibola: noi possiamo usare la mandibola sia per passare, e
quindi effettuiamo la mandibulotomia o intervento di pull throught (passaggio trans mandibolare) oppure si
può asportare il segmento di mandibola con svuotamento laterocervicale del collo, e asportazione del
tumore nel pavimento della bocca o del margine inferiore della lingua facendo un intervento che si chiama
“commando” (asporto anche l’osso). Se invece seziono la mandibola solo per passarci allora si chiama pull
throught. Nel caso del commando anteriore si vede la sinfisi mandibolare da angolo ad angolo
mandibolare. Poi si fa la ricostruzione con l’anca.
Via transorale: solo per piccoli tumori della lingua e della guancia, T1 e T2 sempre inferiore ai 3cm, si fa
l’asportazione attraverso la bocca. Vantaggi: poco demolitiva, decorso clinico breve, non controindicazioni
di ordine internistico. Svantaggi: impossibilità di monoblocco tra T e N, controindicazione nei T con
infiltrazione profonda (scarsa visione), controindicazione nei T estesi verso il pavimento orale, gengiva,
fornice e base lingua
Il pull throught è poco utilizzato perchè pericoloso. Rischio di lasciare del tumore: seziono la mandibola, Ia
apro la mandibola per passarci e poi ricompongo la mandibola, lasciando del tessuto che può essere
interessato dal tumore.
Vantaggi: possibilità di resezione in blocco del T ed N senza interruzione dell’arco mandibolare, buona luce
chirurgica, risultato estetico soddisfacente.
Svantaggi: Demolizione estesa del pavimento anche se indenne, ricostruzione attenta del pavimento non si
può fare, frequenza di fistole e deiescenze, necessità di ricostruzione con lembo peduncolato o con lingua
residua, controindicato nei tumori della lingua ad evoluzione posteriore. Via transmandibolare.
• via trans mandibolare osteotomica solo osteotomia della mandibola e successiva osteosintesi di
ricomposizione.
• via trans mandibolare conservativa  una resezione a scalino 1 cm sotto gli apici dentari.
• via trans mandibolare demolitiva (commando mandibulectomia.
Vantaggi: risultato funzionale ed estetico soddisfacente, continuità mandibolare effettuabile per via
endorale con incisione a livello del fornice gengivale.
Svantaggi: non utilizzabile nei pazienti radio trattati, presenza di deiscenze e fistole, aggiunta di un tempo di
riassemblaggio osseo, e di un tempo di ricostruzione con lembo.
OSAS
Con il termine OSAS (Obstructive Sleep Apnea Syndrome) si indica un disturbo respiratorio correlato al
sonno e caratterizzato da:
• Episodi di apnea (totale assenza di flusso attraverso le vie aeree)
• Episodi di ipopnea (riduzione del flusso d’aria attraverso le vie aeree al 50%)
• Desaturazione ossiemoglobinica.
Questi pz presentano: sonnolenza, affaticabilità, alterazioni intellettive  incidenti lavorativi e stradali.
Ipertensione polmonare, scompenso cardiaco destro, accidenti cerebrovascolari, cardiopatia ischemica,
ipertensione arteriosa, aritmie  aumento delle cause mortalità per incidenti cardiovascolari superiori alla
norma (30%).

Epidemiologia.
È un patologia abbastanza importante. Può colpire tutte le fasce di età ma maggiormente tra i 40 e i 65
anni, soprattutto nel sesso maschile. Si è visto che i pz affetti da OSAS non curati hanno sopravvivenza
inferiore di 10 anni rispetto ai soggetti sani.

L’apnea è la cessazione completa del flusso di aria attraverso le vie aeree mentre l’ipopnea è la riduzione
del 50% del flusso di aria attraverso le vie aeree.
L’OSAS è definita dal numero di episodi di apnea/ipopnea per ora di sonno. Questa misurazione costituisce
l’RDI (Respiratory Disturbance Index), essenziale per la diagnosi e la classificazione di gravità della malattia.
Diagnosi: RDI > 5

Classificazione
• Lieve RDI compreso tra 5-15
• Moderata RDI compreso tra 15-30
• Grave RDI superiore a 30: richiede trattamento

Fisiopatologia

La condizione normale prevede una pressione transmurale normale con passaggio dell’aria attraverso le vie
aeree senza il collasso delle vie aeree stesse.
Se questa pressione transmurale si inverte e diventa positiva, dall’esterno verso l’interno, si verifica un
collasso delle vie aeree durante la notte, con difficoltà al passaggio dell’aria. Il collasso faringeo si traduce in
apnea con sovraccarico funzionale dei muscoli dilatatori e degenerazione muscolo nervosa.
Diagnosi
• Anamnesi accurata il pz riferisce di sentirsi stanco, la moglie riferisce che il pz respira ma in maniera
interrotta, oppure il pz respira con fame d’aria, cioè con chocking.
• Questionario della sonnolenza diurna di ESS (Epworth Sleepness Scale che è un questionario della
sonnolenza diurna)
• Polisonnografia: è l’esame più importante; si può fare a domicilio ma conviene fare un ricovero in
un centro di igiene del sonno dove il monitoraggio è più ampio. Si monitorizza l’EEG, si calcolano
per ora
gli eventi ostruttivi durante la notte, si valuta il respiro, la frequenza cardiaca, la saturazione, la
posizione del corpo (molti pz vanno in apnea in decubito supino mentre in posizione laterale
respirano bene quindi si parla di apnea di tipo posturale) e i movimenti toraco-addominali perché
sono pz che respirano molto con il diaframma. o Elettroencefalogramma o Eventi ostruttivi o
Rumore respiratorio o Frequenza cardiaca o Ossimetria o Posizione corporea o Movimenti toraco-
addominali
• Visita: una volta fatta diagnosi, i pz vengono inviati a Novara e collegialmente con gli otorini si vede
dov’è il sito di ostruzione che provoca l’apnea durante la notte.
o Fosse nasali
o Valutazione della Classificazione di Mallampati
• Fibroendoscopia faringea durante manovra di Muller (inspirazione forzata a naso e bocca chiusa
che ci fa dire sotto guida endoscopica se il collasso è a livello rinofaringeo, orofaringeo o
ipofaringeo e se è circolare, trasversale o anteroposteriore.)  studio della tendenza al collasso
delle pareti faringee ed ipofaringee.

Classificazione di Mallampati.
La classificazione di Mallampati si fonda sulle strutture
visualizzate durante l’apertura massimale della bocca con
contemporanea protrusione della lingua in posizione
seduta (ovvero quanto il palato molle cade a livello della
lingua).
CLASSI:
I: palato molle, fauci, ugola, pilastri.
II: palato molle,fauci,parte
dell’ugola.
III: palato molle, base dell’ugola.
IV: solo palato duro.

La classificazione NOH (Nose, Oropharynx, Hypopharynx) consente di classificare i reperti individuati


all’esame endoscopico (siti ostruttivi,
pattern di ostruzione e grado).

Il pattern di collasso indica il modo attraverso il quale le pareti delle vie aeree collabiscono:
• Circolare
• Trasversale
• Antero-posteriore.
Oggi utilizziamo anche la sleep endoscopy, ovvero la simulazione del sonno in sala operatoria: si collega il pz
ad un macchinario polisonnografico e quando la macchina induce l’apnea, sotto guida fibroendoscopica
andiamo a vedere nell’albero respiratorio quello che sta succedendo. È diverso dal monitorare il sonno
spontaneo ma è la rappresentazione più veritiera di quello che accade durante la notte. Si fa una piccola
premedicazione con del midazolam 1mg endovena a bolo e propofol 4mg/prokg si induce il sonno. Un pz ha
sensori al polisonnigrafo.

Valutazione Maxillo-Facciale.
La visita maxillo-facciale del paziente con OSAS deve comprendere la valutazione di:
• Tipologia Facciale
• Occlusione
• Articolazione temporo-mandibolare
• Condizione odontoiatrica
I chirurghi maxillo-facciali intervengono sul collasso di tipo anteroposteriore, orofaringeo quando la lingua
occlude lo spazio respiratorio. La valutazione maxillo-facciale è necessaria perchè questi pazienti devono
essere in condizioni di fare un intervento e non devono nemmeno avere problematiche.
La valutazione endo-orale serve per valutare il tipo di classe dentaria, la condizione odontoiatrica, la
postura della lingua e la presenza di problematiche articolari. Quindi si valuta mobilità, apertura, massima
protrusione, lo scatto e poi se qst pz sono curati e puliti (perché se c’è qualcosa che non funziona bene
rischiano di perdere dei denti e quindi poi si rischia di avere anche delle denunce).

Analisi cefalometrica: ci dice che tipo di pz è, se è un pz con profilo armonico del viso, se è una prima classe
scheletrica. Attraverso una teleradiografia latero-laterale si traccia un profilo cefalomentrico: attraverso
linee ed angoli si studia la posizione del mascellare rispetto al cranio; inoltre questo esame ci permette di
vedere parametri importanti per l’OSAS.

Terapia.
Da un punto di vista generale, gli obiettivi della terapia sono:
• La riduzione/eliminazione degli eventi ostruttivi
• La riduzione delle complicanze sistemiche

TERAPIA MEDICA.
Si avvale soprattutto di modificazioni dietetiche, prescrizioni igienico-sanitarie di ordine generale
(abolizione fumo, alcool, sonniferi). Farmaci  In OSAS lieve o media si risolve il problema.

TERAPIA VENTILATORIA.
Costituisce il trattamento di prima scelta e si fonda sulla somministrazione attraverso il naso di aria a
pressione positiva, che agisce dilatando le vie aeree e mantenendole costantemente pervie. In questo
modo si evita il collasso delle vie aeree (evita il collasso del faringe), e si annulla il movente patogenetico
dell’OSAS. Inoltre la CPAP ha azione disinfiammante sulle vie aeree. La CPAP può essere nasale o naso-
buccale. E’ un trattamento sintomatico e non causale, gravato dal problema della compliance e da effetti
collaterali spesso insopportabili (xerostomia, rinite vasomotoria, congiuntivite) che spesso ne comportano il
fallimento.

DISPOSITIVI DI AVANZAMENTO MANDIBOLARE.


Sono dispositivi da utilizzare durante il sonno, concepiti per aumentare il diametro antero-posteriore retro
linguale dell’orofaringe, impedendo meccanicamente il collabimento delle vie aeree in questo punto critico.
Spingono in avanti la mandibola durante la notte: questo permette ancoraggio della lingua in avanti,
evitando gli eventi apnoici. La scarsa collaborazione del paziente limita l’utilità di questa strategia
terapeutica. Consiste in due placche posizionate ai mascellari che con sistema di chiavistello che porta in
avanti la mandibola e permette al pz di dormire con mandibola ancorata. Anche questo trattamento deve
essere tollerato dal pz. Alcuni tipi utilizzati sono delle apparecchiature che attraverso un sistema di molle e
chiavistelli portano in avanti la mandibola. Questi dispositivi vanno utilizzati nelle OSAS di grado lieve,
medio.

TERAPIA CHIRURGICA.
La chirurgia si propone di ripristinare stabilmente la pervietà del condotto aereo eliminando l’ostruzione
faringea per mezzo di tecniche chirurgiche mirate. Le strategie praticabili sono:
• By pass dei segmenti collassabili
• Riduzione delle resistenze nasali
• Ablazione di tessuto eccedente e stenosante
• Stabilizzazione dei tessuti molli tramite riposizionamento delle basi scheletriche
L’opzione chirurgica non può mai prescindere dalla corretta individuazione del sito anatomico di collasso
(naso, palato molle, base della lingua).
Diverse cause possono contribuire a determinare una riduzione del calibro faringeo:
• Deposizione di tessuto adiposo
• Broncopatia cronica
• Alterazioni scheletriche locali
• Malformazioni scheletriche maxillo-facciali (es. ipoplasia mandibolare congenita)
• Edentulismo (perché non essendoci i denti, l’escursione della mandibola è maggiore, quindi
riposizionando la mandibola in avanti, la lingua diventa verticale).
Possiamo agire a diversi livelli. I siti di ostruzione possono essere rinofaringei, orofaringei e ipofaringei. Per
ogni distretto possiamo intervenire con tecniche chirurgiche sia maxillofacciali che otorinolaringoiatriche,
rimuovendo l’ostruzione a livello della base lingua, del palato molle, del naso.

Chirurgia Nasale.
In presenza di ostruzione nasale, spesso associata ad altri interventi.
• Settoplastica: correzione di deformità del setto nasale. (setto deviato)
• Turbinoplastica: ablazione o riduzione volumetrica dei turbinati inferiori (ipertrofia dei turbinati o
delle fosse nasali) Finalità:
• Riduzione russamento
• Riduzione della resistenza al passaggio dell’aria

Chirurgia Orofaringea.
Distinguibile in:

La chirurgia orofaringea presenta diverse tecniche: quella più utilizzata anche a Novara si chiama UVPP:
“uvolopalatofaringopalstica” UPPP, che è una plastica dei pilastri laterali del faringe, del palato molle e
dell’ugola, fino ai pilastri controlatorali: si accorcia il palato e vengono rimosse le tonsille. In questo modo
nulla cade indietro.
L’uvulopalatofaringoplastica (UPPP) rappresenta l’intervento di scelta per il pattern di collasso retrovelare
circolare con le seguenti caratteristiche:
• PNS-P > 37
• OSAS lieve
• Palato flaccido
I risultati sono la riduzione del russamento e l’aumento del calibro retrovelare.

Chirurgia Ipofaringea.
La chirurgia ipofaringea prevede altre tecniche che sono state abbandonate. Comprende diverse opzioni:
• Sospensione ioidea
• Stabilizzazione linguale
• Radiofrequenze sulla base lingua
• Subglossectomia mediana e tonsillectomia linguale
• Riduzione della base lingua con con ioido epiglottoplastica
• Tracheostomia cutanea
Sospensione ioidea: Oggi in alcuni centri usano il robot per la base lingua, per macroglossie importanti non
trattabili con la normale chirurgia e che provocano durante la notte l’apnea. Quello che si fa a Novara è la
sospensione dello ioide, che viene ancorato alla cartilagine tiroide.
Chirurgia dello Scheletro Osseo.
Si fonda su due procedure chirurgiche:
Avanzamento genioglosso (muscolo che compone la parte interna della lingua)
Prevede l’avanzamento del muscolo genioglosso attraverso la traslazione anteriore del tubercolo
genioglosso (si fa un tassello nel mento, lo si ruota e si tengono in trazione i muscoli contenuti in esso). I
muscoli della lingua vengono trazionati in avanti. Oppure in alcuni casi si può fare una plastica classica. La
mento plastica di fa in otochirurgia per completare altre cose.
Indicazioni:
• Pattern di collasso: retrolinguale Circolare/Antero-posteriore
• PAS < 11
L’avanzamento del genioglosso può essere ottenuto con due metodi:
• Osteotomia rettangolare anteriore: consiste nella realizzazione di un tassello osseo rettangolare a
livello della sinfisi mandibolare, che viene trazionato in avanti, ruotato attorno al proprio asse lungo
di 90° e fissato mediante mezzi di sintesi.
• Osteotomia inferiore sagittale: è la tecnica chirurgica della mentoplastica vera. Si esegue una
osteotomia al bordo inferiore della mandibola al fine di realizzare un tassello osseo di forma
trapezioidale, che viene trazionato in avanti e verso l’alto, quindi fissato mediante placche e viti di
osteosintesi. La mandibola viene retroposizionata.
Avanzamento bimascellare
Prevede l’avanzamento combinato maxillo-mandibolare di circa 1cm. Dal punto di vista estetico non cambia
granchè perché anche un cm di avanzamento viene mascherato dai tessuti molli del volto. Utilizza le
tecniche della chirurgia ortognatodontica  sono interventi che sono stati importati nel trattamento delle
OSAS ma in realtà nascono come trattamento delle deformità facciali o delle mal occlusioni.
La chirurgia ortognatodontica ha come scopo il coordinamento delle arcate dentarie ed il ripristino di una
normo-occlusione. Vengono praticate delle osteotomie dei corpi mascellari per migliorare le condizioni di
occlusione e contemporaneamente anche la forma del viso. Tecnica indicata in:
• Collasso retrovelare Circolare e
• Collasso retrolinguale Circolare/Trasversale
• PAS < 8
• SNA e SNB ridotti
• OSAS severa

Osteotomia mascellare secondo Le Fort I: distacco del mascellare superiore tranne gli uncini pterigoidei
che invece si muovono sempre nelle fratture traumatiche di Le fort I. Viene staccato il mascellare superiore,
si fa un disegno osteotomico, si trascina in avanti e si fanno delle placche di osteosintesi.
Isolamento del nervo mandibolare e bloccaggio con placche di sintesi. Una volta di usavano le ferule, oggi
questo non si fa più e il pz in questo modo può alimentarsi in seconda giornata. Il sistema delle viti è
necessario perché non si può ingessare la faccia. I muscoli vengono posizionati in una sede che non è la
loro, tirano nella posizione precedente e per evitare che l’intervento recidivi si fanno tenere al pz per circa
30 giorni. Chirurgia settoriale: si eliminano due denti per riposizionare indietro il complesso maxillare
ridandogli una posizione corretta.

Osteotomia mandibolare sagittale secondo Obwegeser Dal Pont.


MALFORMAZIONI FACCIALI
EMBRIOLOGIA DELLA FACCIA
A partire dalla IV-VI settimana di vita embrionale, attorno allo stomodeo, che è la primitiva cavità buccale,
vengono a formarsi delle strutture chiamate processi: superiormente ci sono i processi frontali da cui poi si
evincolano i processi nasali mediali e laterali, inferiormente i processi mandibolari, lateralmente i processi
mascellari di derivazione ectodermica non bronchiale derivati dal primo arco bronchiale.
Questi processi tendono a fondersi gli uni con gli altri per dare origine alle diverse strutture della faccia. I
processi mandibolari si uniscono fra di loro sulla linea mediana e danno origine all’arco mandibolare; il
processo nasale mediale si salda col processo omonimo dell’altro lato e col processo mascellare e completa
così l’arcata mascellare superiore.
Dal processo frontale  fronte, naso, terzo centrale del labbro superiore
Dai processi mascellari  parte laterale della faccia, guance, i mascellari superiori, i 2/3 esterni del labbro
superiore
Dai processi mandibolari  orecchio esterno, arco mandibolare, labbro inferiore.
Il palato da un punto di vista embriologico viene suddiviso in palato primario e palato secondario.
L’arcata mascellare superiore che deriva dalla fusione del processo mascellare con i processi nasali interni
costituisce il primitivo palato anteriore. Verso la fine del II mese di vita, sulla faccia interna dei processi
mascellari compaiono i due processi palatini che si accrescono, sotto forma di lamine, dapprima con
direzione verticale, poi con direzione orizzontale. In seguito, avvicinandosi alla linea mediana, si fondono
tra loro dando origine al palato posteriore o palato secondario. Il palato primario invece deriva dal processo
nasale: il setto nasale, formatosi dal processo frontale medio, si accresce verso il basso fondendosi con i
processi palatini. L’unione fra palato primario e palato secondario forma il palato duro. Il palato molle è
costituito, invece, dai muscoli formatisi dal mesoderma più profondo.

Conosciamo 14 schisi facciali. Vi sono forme di anomalo sviluppo omolaterale e anche bilaterale
eccezionalmente che sono legate al mancato sviluppo di un arco branchiale. Nello stomodeo avvengono
alcuni dei più importanti movimenti: divisione del cavo orale dal cavo nasale, dai processi nasali laterali che
insieme al processo mascellare formano il palato primario e secondario, formanti la volta del palato. La
mandibola nasce da un abbozzo di cartilagine che scompare con la crescita, sulla quale si organizza la
crescita ossea. La volta cranica anch’essa cresce da abbozzi delle ossa craniche e fra queste si creano delle
fessure o fontanelle che sono ancora aperte alla nascita. Queste fontanelle consentono al cranio, che si
sviluppa principalmente tra ottavo e nono mese, di espandersi e permettono cosi lo sviluppo e la crescita
del sistema nervoso. Anche la base cranica si organizza in suture, la più importante è la sfeno-occipitale. La
ritardata fusione di queste suture permette alla base cranica di accrescersi con la volta cranica. Se mancano
gli stimoli di accrescimento o si manifesta una anomalia, soprattutto sinostosi (chiusura precoce di una o
più suture), si manifestano delle malformazioni importanti dal punto di vista clinico, funzionale, estetico e
maturazione del sistema nervoso (se le suture sono chiuse precocemente si possono verificare ritardi
mentali per alterato accrescimento del sistema nervoso).
Il cranio del bambino ha una tendenza ad essere rotondeggiante, il cranio dell’adulto invece è più verticale
perchè aumentano le spinte e le forze antero-posteriori verticali. Questa crescita si manifesta sulle suture
craniche. Questo fa sì che ci sia un sistema bilanciato di assorbimento e deposizione dell’osso della volta e
della base cranica, per far sì che queste strutture si stringano e si allunghino.
Tutte queste suture si collegano con problematiche di altre suture soprattutto la sutura sfeno-occipitale: se
si mineralizza presto, non si ha crescita frontale, antero-posteriore e verticale. Espandendosi in lunghezza e
altezza, il vettore di crescita è trasversale: la crescita facciale è verso l’avanti e verso il basso. La mandibola
che prima è stretta, si allarga accrescendosi alla base. C’è un cambiamento di forma che di volume
importante. Anche il condilo cresce in queste fase con una crescita a v, in maniera che questa crescita porti
il condilo posteriormente (a volte anche anteriormente). L’importante è che cresca in altezza e quindi vi
possono essere dei disturbi dei centri di accrescimento del condilo con disturbi della crescita verticale del
condilo con asimmetria monolaterale o bilaterale. Tramite la linea SN o sella-nasion (molto importante in
cefalometria), possiamo sovrapporre le cefalometrie di vari anni in maniera tale che facendo perno sul
punto S al centro del cranio, possiamo prevedere le anomalie che può avere il pz nella maggiore età.
Alterazioni e anomalie della crescita facciale, soprattutto la precoce saldatura delle suture craniche porta a
delle forme che prendono il nome di craniostenosi, che sono indice di una patologia varia, che comprende
diversi quadri, ma tutte accomunate dal fatto della presenza delle stenosi. Le craniostenosi sono molto
rare. Possono essere anche semplici o forme sindromiche (con coinvolgimento di altre strutture del corpo).
Danno alterazioni estetiche, funzionali, encefaliche, oculari, respiratorie (spesso sono bambini affetti da
OSAS con alterazioni del mascellare).
L’inquadramento è molto complesso, multidisciplinare, spesso è necessaria la decompressione del
parenchima spesso cercando di modificare le suture ossee e questo è il compito del neurochirurgo. Verso i
4 o 5 anni è necessario fare un intervento maxillofacciale per modificare la posizione del massiccio facciale
in modo da permettere una crescita normale delle ossa mascellari, del sistema masticatorio e del sistema
oculare per evitare l’esoftalmo (manca sostegno dell’osso mascellare e dell’osso zigomatico). Poi verso i
16/17 anni si fa un’ulteriore chirurgia definitiva delle malformazioni precedentemente trattate perché
soprattutto nelle forme sindromiche il trattamento precedente non è mai definitivo.
Sono problematiche più che altro neurochirurgiche però a seconda delle suture interessate possiamo avere
scafocefalia (ovvero cranio allungato tipico della regina Nefertiti), plagiocefalia (cranio corto), brachicefalia
(cranio corto ma su piani diversi di arretramento), poi anomalie della sutura mediana e coronale.
“Trigonocefalia” (sutura mediana delle ossa frontali alla nascita). Queste sono quelle tipicamente
neurochirurgiche.
Ci sono anche forme sindromiche (es. Crouzon) e sono sindromi che hanno sindattilia, sordità, anomalie
cardiovascolari, genito-urinarie in molti casi. Sono bambini che hanno progenismo, bite anteriore, bite
posteriore, ritardo mentale, rima antimongoloide degli occhi ed esoftalmo.
S. di Apert: vi sono anche anomalie della crescita, morso aperto anteriore, telecanto.
S. di Treacher- Collins: manca anche il corpo zigomatico per cui vi è micrognazia grave.
S. di Crouzon: forma dove è più importante la problematica oculare, patognomonica la rima
antimongoloide degli occhi, la ptosi della palpebra superiore ed esoftalmo. Nell’adulto: morso aperto
anteriore, esoftalmo, telecanto, ptosi palpebrale. In questi casi è chiudere il morso aperto con una Le Fort
ma anche avanzare il terzo medio del volto e cercando di ridurre il telecanto
S. di Goldenhar: è una delle patologie più importanti dell’infanzia che vede il maxillo facciale. È una
patologia dell’infanzia ma il bambino cresce senza che sia necessario l’intervento neurochirurgico. È una
malattia di crescita del secondo arco brachiale per cui non si forma il condilo della mandibola e l’orecchio.
Vi sono tre gradi di malattia. Quindi questi pz sono anacusici dal lato della lesione. Vi possono essere anche
eccezionalmente forme bilaterali. Anche questa è una forma sindromica: le forme sindromiche sono
ereditarie, riconoscono un’eredità genetica. Sono forme in cui le anomalie riguardano l’occhio, il SNC e
poche anomalie viscerali. In questo caso l’orecchio esterno non si forma, ci può essere qualche accenno,
oppure si possono formare forme rudimentali dell’orecchio e asimmetrie (distruttore per l’allungamento
della mandibola). Si può ricostruire l’orecchio, si può inserire anche un apparecchio acustico per la
trasduzione ossea con inserimento di un impianto che possiede un apparato di trasmissione all’osso.
All’esterno permane un bottoncino su cui si inserisce un transistor che consente di avere una grande
capacità di recupero. È la forma più frequente. Si può usare un apparecchio che permette di distrarre l’osso
in crescita. Si inserisce in bocca chiuso e questo apparecchio ha una brucola che permette l’allungamento
dell’apparecchio. La distrazione serve anche per aiutare la crescita facciale e poi verso i 16 anni si interviene
chirurgicamente.

LABIOPALATOSCHISI
È la più frequente. L’osso palatino non è formato solo dal palato e quindi dalla fusione del processo
orizzontale delle ossa mandibolari, ma è collegato con una sincondrosi ai processi orizzontali delle ossa
palatine. Tutto il palato è quindi composto dalle ossa mascellari e dalle ossa palatine e quindi vi possono
essere problematiche sia nella labiopalatoschisi sia nella chirurgia ortognatica.
Generalità
La labiopalatoschisi è una malformazione congenita della faccia caratterizzata da una fessurazione
patologica che può interessare le seguenti strutture:
• Labbro superiore
• Pavimento nasale
• Processo alveolare
• Palato duro e molle
Sono descritti casi monolaterali e bilaterali e ciò comporta alterazioni funzionali nei processi di fonazione e
nella deglutizione (non tanto per il sigillo anteriore, quanto per la zona posteriore poiché il palato molle ha
una cicatrizzazione all’interno che fa sì che i muscoli diventino rigidi e che si formi spesso una figa d’aria con
rinolalia aperta posteriore che si riconosce facilmente, anche dopo il trattamento). La malformazione può
interessare tutte le strutture anatomiche indicate o solo alcune di esse. Possiamo quindi, sulla base
dell’estensione della malformazione, distinguere diverse forme cliniche:
• Labioschisi
• Labiopalatoschisi
• Palatoschisi

Epidemiologia
La malattia colpisce un bambino su 500-700 nuovi nati. Varia da regione a regione in Italia e nel mondo. Nel
Messico questa patologia è molto frequente.
• Associazione schisi del labbro e del palato nel 35-55% dei casi
• Schisi del labbro 20-30% dei casi
• Schisi del palato nel 35-45% dei casi

Eziopatogenesi
L’eredità è multifattoriale. Tre sono i gruppi di fattori responsabili delle malformazioni:
Fattori genetici che agiscono sul patrimonio ereditario con il meccanismo delle mutazioni. Queste possono
essere spontanee o indotte: l’attuale conoscenza di molti agenti capaci di indurre mutazioni ha ristretto il
campo delle mutazioni spontanee. Queste sono più spesso recessive, quasi mai dominanti, per cui restano
latenti anche per molte generazioni. Le mutazioni indotte sono dovute a raggi x, gamma, U.V.,
azoipritederivati della serie aromatica.
Fattori ambientali
• Ipovitaminosi materna (vit A, B12, acido folico, acido panteoico);
• Ipervitaminosi materna;
• Fattori meccanici-fisici-chimici;
• Antibiotici;
• Fattori infettivi (rosolia, epatite virale, CMV, herpes)
• Fattori endocrini (alterazioni dell’ACTH, diabete, cortisone)
• Fattori dismetabolici;
• Fattori psicologici-psicosomatici.
Fattori di origine materna
• Età avanzata che causa un cattivo annidamento dello zigote;
• Consanguineità: poiché le mutazioni sono di solito recessive, è necessario che il gene anomalo
provenga da entrambi i genitori, condizione che si verifica con maggiori probabilità nei
consanguinei

Questa patologia deriva da un’anomalia della crescita embrionale, è una patologia che si forma
precocemente, dalla V alla VII settimana. Se si passa questo periodo si entra poi nel periodo dell’ottava-
decima settimana di vita, che è invece pericoloso per la palatoschisi. Se c’è il labbro può esserci il palato. Se
invece c’è solo il palato non ci sarà il labbro. Se superiamo il secondo-terzo mese, la schisi avviene in settori
molto più posteriori e abbiamo solo più l’ugola bifida, il palato molle non si è formato e a volte schisi
sottomucose.
CHEILOSCHISI E CHEILOGNATOSCHISI.
Le cheiloschisi e le cheilognatoschisi sono disturbi della formazione del naso primitivo tra 36° e 41° giorno
di vita embrionale. Il momento critico per l’insorgenza di questa patologia è identificato nella 5°-7°
settimana embrionale.

Cheiloschisi monolaterale INCOMPLETA.


Fissurazione più o meno marcata del labbro e del prolabio. Interessamento della pinna nasale se la fessura
arriva in prossimità della narice. Ci possono essere delle leggere asimmetrie.

Cheiloschisi monolaterale COMPLETA.


Fissurazione dell’intero labbro superiore e del prolabio. Fissurazione del pavimento nasale. Malformazione
della narice nasale, ptosi della punta nasale.

Cheiloschisi bilaterale PARZIALE e Cheiloschisi bilaterale TOTALE Il


labbro superiore è diviso in tre parti.

Le cheiloschisi provocano importanti conseguenze estetiche e funzionali.


• Alterazioni morfologiche del massiccio facciale
• Disturbi fonetici
• Disfunzioni alimentari (schisi del palato)
• Disfunzioni respiratorie (infezioni ricorrenti)

PALATOSCHISI
In questa forma la schisi interessa soltanto il palato, potendosi estendere a carico del solo palato molle
oppure del palato duro e molle contemporaneamente.
Le palatoschisi sono il risultato di una mancata parziale o totale saldatura tra la coppia di lamine palatine
ed il setto nasale nel corso del 3° mese embrionale. Il momento critico corrisponde al 2°-3° mese di vita
embrionale. Se il processo malformativo inizia più tardi si hanno microforme di palatoschisi come:
• Ugola bifida
• Schisi sottomucose

LABIOSCHISI
Nelle labioschisi si verifica un’interruzione della continuità del solo labbro superiore. Queste malformazioni
possono essere classificate in:
• Unilaterale incompleta
• Unilaterale completa
• Bilaterale incompleta
• Bilaterale completa

LABIOPALATOSCHISI
In questa forma la fissurazione interessa:
• Labbro
• Processo alveolare
• Mascellare
• Palato duro/molle

DIAGNOSI
Si fonda soprattutto sull’ecografia durante la gravidanza o sulla diagnosi clinica, al momento della nascita,
da parte dell’équipe medica. A volte c’è un impatto psicologico perché l’ecografia è diagnostica nell’85% dei
casi.
TERAPIA
Gli obiettivi della terapia sono:
• Riabilitazione morfologica e funzionale
• Normale sviluppo dei mascellari
• Crescita facciale armonica
• Buona funzionalità dell’apparato maxillo-facciale
La labiopalatoschisi richiede anni di terapia, non è una malattia di rapida risoluzione. Il trattamento delle
labiopalatoschisi richiede la collaborazione di diversi specialisti:
• Chirurgo Maxillo-Facciale
• Otorinolaringoiatra: essendo una patologia che interessa anche il palato molle, spesso e volentieri
c’è anche il coinvolgimento delle strutture dell’orecchio.
• Logopedista: è una figura importante per la necessità di insegnare tecniche di linguaggio
adeguate.
• Ortodontista: fase di preparazione della masticazione. Esiste sempre una mal occlusione. Dipende
sempre da caso a caso e dal centro il coinvolgimento dei vari specialisti.

Protocollo terapeutico della cheilognatoschisi:


1° SETTIMANA  18-36 MESI
Placca Palatina in resina molle.
• Guida del mascellare
• Lingua in buona posizione (migliore deglutizione)
• Chiusura comunicazione oro-nasale

3 MESI
Plastica Palato Molle.
 Ricostruzione palato molle (deglutizione, fonesi) che è la parte più funzionale.
 Ricostruzione dei tre strati del palato:
- Mucosa orale
- Muscolatura
- Mucosa nasale
 Precauzioni post-intervento:
- Sondino naso-gastrico
- Alimentazione con cucchiaio
- Igiene orale
- Dieta liquida-semiliquida
6 MESI
Cheiloplastica sec. Tennison modificata: ricostruzione del labbro
• Ristabilimento del cercine muscolare labiale
• Ripristino dell’armonia del volto;
Si può associare la correzione della punta nasale con recupero della pervietà di entrambe le narici.
Precauzioni post-intervento:
• Evitare traumatismi su labbro e naso.
• Alimentazione con cucchiaio.

18-20 MESI
Plastica palato duro: scheletrizzazione della zona mediana del palato, con blocco della crescita verticale. È
importante farlo in questo periodo per permettere la crescita adeguata.
• Lembi di mucosa del vomere.
• Chiusura in due tempi del palato:
Chiusura precoce del palato molle: acquisizione di riflessi e movimenti indispensabili per un linguaggio
corretto.
Chiusura tardiva del palato duro: evita cicatrici che ostacolerebbero crescita del mascellare.
3-4 ANNI
Trattamento ortodontico:
• Apparecchi mobili o fissi
• Normale sviluppo facciale
• Normale occlusione

9-12 ANNI
Osteoplastica della schisi mascellare con innesto osseo:
• Favorisce l’eruzione dei denti adiacenti alla schisi
• Normale forma del processo alveolare
Eventuali ulteriori interventi di rifinitura verranno valutati di caso in caso con il paziente ed i genitori.

Tecniche chirurgiche:
• TECNICA SEC. TENNISON: è una chirurgia complessa e delicata.
1. Selezione dei punti.
2. Incisione A-D-C-B.
3. Liberazione del lembo laterale, in questo modo ci sono delle strutture che possono muoversi.
4. Liberazione del lembo mediale.
5. Incisione sec. Tennison
6. Ricostruzione della soglia narinale, sutura dalla parte del naso,
7. Avanzamento del lembo laterale e ricostruzione piano muscolare, si cerca di avvicinare i due palati.
8. Sutura cutanea, ripristino della conformazione nasale (tecnica di McComb) e sutura mucosa.
9. Applicazione di conformatori nasali (mantenitori di spazio) e protezione del labbro in sede.

• TECNICA SEC. TENNISON MODIFICATA PER SCHISI BILATERALI

• PALATOPLASTICA: si eseguono delle particolari incisioni.


CHIRURGIA ORTOGNATODONTICA

GENERALITA’ SULLE MALFORMAZIONI DENTOFACCIALI.

La deformità dento-facciale è un’anomalia di sviluppo dei mascellari. Il 5% della popolazione è affetta da


dismorfismi dentofacciali. Le anomalie di crescita dei mascellari sono anche legate alla crescita delle base
cranica (crani sinostosi). Questo causa problemi di malocclusione e anche problematiche estetiche. I fattori
eziologici vengono divisi in:

Cause specifiche conosciute


Pre-natali:
• Sindrome alcolica fetale
• Anomalie della cresta neurale
• Schisi facciali
• Acondroplasia
• Sindromi craniosinostotiche
• Compressioni del feto (se il feto rimane a lungo nella pancia della mamma e vi sono complicanze
durante il parto; l’anomalia si vede già alla nascita).
• Lesioni da parto

Post-natali:
• Traumi (causa la perdita di un centro di accrescimento)
• Disfunzioni muscolari
• Acromegalia (stimolo diretto di eccessiva crescita sulla mandibola)
• Ipertrofia mandibolare

Fattori ereditari
Deformità dentofacciali caratteristiche di alcune famiglie (progenismo degli Asburgo) fanno presupporre il
coinvolgimento di fattori ereditari. L’ipotesi più probabile nello sviluppo di alterazioni dento-facciali è che
fattori ambientali o altri fattori possano accentuare una tendenza ereditaria preesistente. In Italia la regione
più colpita è il Veneto.
Progenismo: condizione in cui la mandibola è posizionata in avanti rispetto al mascellare superiore.

Fattori ambientali
• Postura e pressione dei tessuti molli (postura della lingua, delle labbra)
• Atteggiamenti viziati (suzione del pollice)
• Forze di masticazione
• Influenze respiratorie (facies adenoidea)
Facies Adenoidea: la respirazione a bocca aperta indotta da un’ipertrofia adenoidea cronica nel bambino è
responsabile di una forma particolare di accrescimento delle ossa del massiccio facciale che determina la
cosiddetta facies adenoidea caratterizzata da bocca semiaperta, labbro superiore sollevato, naso affilato ed
espressione "addormentata".

Nella maggior parte dei casi lo sviluppo di una deformità dento-facciale è il risultato dell’interazione di più
fattori eziologici.

OCCLUSIONE
La relazione tra i denti mascellari e mandibolari nel momento in cui entrano in un contatto funzionale è
detta occlusione. Viene classificata in tre classi:
I classe: classe armonica
II classe: il canino va posteriormente
III classe: il canino è molto più avanti quello che dovrebbe essere
Il contorno del viso riflette lo scheletro facciale sottostante. Le deformità dentofacciali influenzano
inevitabilmente i tessuti molli ed il profilo del viso.
Dal punto di vista scheletrico possiamo individuare, sulla base delle classi dentali, una I, II, III classe
scheletrica, con una similitudine. Una prima classe scheletrica non è per forza una prima classe dentale.
Nella maggior parte dei casi è così, ma non è la regola.
Quindi ci sono delle situazioni protrusione della mandibola, retrusione del mascellare, retrusione della
mandibola, asimmetrie facciali, eccessivo sviluppo del mascellare superiore.
Occlusione testa-testa: è un’occlusione borderline, ovvero un’occlusione compensata di terza classe. Molti
pz arrivano in questa condizione dopo trattamento ortodontico.
L’open-bite invece è una condizione di crescita che può essere di seconda o terza classe. Tutto quello che è
deformato a livello dello scheletro dentale si riflette sullo scheletro facciale. Quindi una seconda classe
dentaria si ripercuote esternamente con una seconda classe ossea e con una retrusione della mandibola.
A volte cambia anche il profilo della guancia, che da concavo può presentarsi convesso.
Vi possono essere poi le asimmetrie facciali, dovute alla crescita maggiore di un lato rispetto all’altro. Anche
l’occlusione viene sbilanciata. A volte ci sono condizioni in cui il pz fa vedere molto poco i denti,
normalmente se sorridiamo invece facciamo vedere non solo i denti ma anche parte della gengiva.
Quasi sempre queste alterazioni vengono corrette con tecniche ortodontiche; solo una quota molto piccola
necessita di tecniche di chirurgia ortognatodontica. Si possono quindi usare apparecchiature funzionali,
apparecchiature fisse e infine tecniche chirurgiche.

CHIRURGIA ORTOGNATODONTICA
La chirurgia ortognatodontica include tutte le tecniche operatorie che concorrono a correggere le più gravi
malformazioni dentofacciali. Vengono praticate delle osteotomie dei corpi mascellari per migliorare le
condizioni di occlusione e conseguentemente anche la forma del viso.

Indicazioni
Lo scopo primario della chirurgia ortognatodontica è il ripristino di una normo-occlusione.
• Creazione di un’occlusione con funzionalità perfetta
• Miglioramento della funzione fonetica
• Prevenzione di malformazioni parodontali e dentali
• Correzione funzionale dell’articolazione temporo-mandibolare
• Miglioramento estetico

Il paziente con malocclusione si presenta all’attenzione del chirurgo maxillo-facciale con motivazioni:
• Funzionali
• Non funzionali (estetiche, psicologiche)

Il programma di ortognatochirurgia è un procedimento interdisciplinare di collaborazione tra chirurgo


maxillo-facciale ed ortodontista.
• Accurato studio morfologico del paziente
• Definizione di volta in volta del procedimento operatorio adatto al paziente
• Elaborazione di un programma individuale di pre-trattamento
• Intervento chirurgico
• Programmazione di una terapia post-operatoria per il mantenimento dell’occlusione

Studio morfologico del paziente:


• Studio Cefalometrico: ci permette di fare diagnosi e di individuare le varie classi. Il tracciato
cefalometrico viene eseguito sulla teleradiografia latero-laterale del cranio. Attraverso dei punti di
repere anatomici o costruiti si tracciano dei piani, che permettono misurazioni lineari ed angolari.
Viene così identificato il rapporto dei mascellari fra loro e con la base del cranio ed il tipo di mal
occlusione in modo di pianificare l’intervento chirurgico.
• Piano di Francoforte: piano che unisce il punto superiore del condotto uditivo esterno (Porion) con
il punto orbitario inferiore (Orbitale)
• Linea di McNamara: linea perpendicolare al piano di Francoforte passante per Nasion
• A-McNamara 0+/-2: distanza lineare tra il punto più concavo del mascellare e la linea di
McNamara, individua la posizione del mascellare
• B-McNamara 0+/-2: distanza lineare tra il punto più concavo della sinfisi mandibolare e la linea di
McNamara,individua la posizione della mandibola
• SNA: angolo compreso tra il centro della sella turcica, nasion e il punto A; individua la posizione del
mascellare
• SNB: angolo compreso tra il centro della sella turcica, nasion e il punto B; individua la posizione
della mandibola
• Analisi dei modelli delle arcate dentarie.
A completamento dei dati acquisiti dal tracciato cefalometrico vengono prodotti dei modelli in gesso delle
arcate dentarie. I modelli vengono montati su un articolatore che simula la posizione dei mascellari.
Mediante dei tagli sui modelli viene valutato lo spostamento osseo necessario ad ottenere la normo-
occlusione e allestite delle placche di resina che saranno la guida della posizione stabilita durante il futuro
intervento chirurgico.

PRE-TRATTAMENTO
Precede, favorendolo, il trattamento chirurgico. Scopo è lo spostamento degli elementi dentari al fine di
creare le premesse necessarie per ottenere una occlusione stabile dopo lo spostamento osseo. Si fonda su
due tipologie di interventi:
Ortodontico: applicazione di apparecchi ortodontici fissi.
Chirurgico ortopedico: applicazione di distrattori ossei.

TRATTAMENTO CHIRURGICO
Intervento sul Mascellare Superiore OSTEOTOMIA
DI LE FORT I:
• Incisione circumvestibolare superiore
• Scheletrizzazione del mascellare superiore
• Osteotomia del mascellare superiore (Le Fort I)
• Down-fracture del mascellare superiore
• Spostamento del mascellare superiore come da programma
• Osteosintesi a placche
(incisione interna, con scollamento dei tessuti, poi incisione con fresa rotante, si usa uno scalpello nella
zona mediana a livello della spina nasale anteriore e della parete mediale del seno mascellare e uno
scalpello per creare una disgiunzione del mascellare posteriormente; a questo punto si ha la frattura verso
il basso o “down fracture”: la regione posteriore del mascellare non può essere trattata se non in maniera
delicata per la presenza dell’arteria palatina maggiore; si tira verso il basso con allungamento, centratura, e
poi trovata la posizione si stabilizza tutto usando placche, griglie o stecche per creare un aumento della
dimensione verticale).

Intervento sulla Mandibola

OSTEOTOMIA SEC. OBWEGESER-DAL PONT (sagittale)


• Incisione retromolare. (cresta obliquoa esterna e corticale esterna)
• Scheletrizzazione del corpo mandibolare (tramite scalpelli)
• Osteotomia sagittale sec. Obwegeser-Dal Pont.
• Spostamento mandibolare come previsto dal programma.
• Osteosintesi a placche.
POST-TRATTAMENTO.
• Blocco intermascellare elastico a guida dell’occlusione: diurno e notturno da rimuovere ai pasti per i
primi 15-20 giorni; solo notturno per altri successivi 15 giorni
• Esercizi di funzionalizzazione articolare da iniziare dopo 15 giorni
• Terapia ortodontica post-operatoria di rifinitura

MALOCCLUSIONE: TERAPIA
PROGENISMO: è la deformità dento-facciale più frequentemente trattata per via chirurgica.
• Evidenza del difetto.
• Ripercussioni sulla vita sociale.
• Scarsa possibilità di trattamento ortodontico.
• Peggioramento con l’età.

Eziologia.
Familiarità “mandibola degli Asburgo”
Fattori ambientali
• Non ancora chiariti
• Probabili influenze ambientali su un modello di crescita tendente alla III classe Si distingue
una pseudoprogenia dalla progenia vera:

Progenia vera.
Caratterizzata dall’allungamento dei corpi mandibolari sul piano sagittale con:
• Terza classe scheletrica
• Mento prominente
• Labbra prominenti
• Profilo concavo a semiluna

Pseudoprogenia.
Caratterizzata da mandibola normalmente sviluppata e concomitante ipoplasia del mascellare superiore
che aumenta relativamente la prominenza del mento permettendo alla mandibola di ruotare in avanti ed in
alto. Cause:
• Ipoplasia vera del mascellare superiore
• Cheilo-gnato-palatoschisi
• Sindrome adenoidea
• Frattura del massiccio facciale mal consolidata
L’uso di dispositivi atti a frenare la crescita mandibolare durante l’infanzia (mentoniera) non hanno avuto
successo.
• Rotazione della mandibola indietro e verso il basso
• Effetto di rimbalzo con accelerazione della crescita dopo rimozione del dispositivo di contenzione

Terapia
• Intervento sulla mandibola  osteotomia secondo Obwegeser dal Pont
• Intervento sul mascellare  osteotomia secondo Le Fort I
• Intervento combinato bimascellare

Micrognazia
Deformità dento-facciale caratterizzata da mandibola di dimensioni ridotte e/o arretrata.
Elementi caratteristici:
• Malocclusione di tipo II classe scheletrica.
• Mento sfuggente.
• Profilo a becco d’uccello.
Eziologia.

Terapia Chirurgica.
• Intervento sulla mandibola.
• Mentoplastica.

Long Face Syndrome


Eziologia: incerta. Adenoidismo e postura della lingua non sembrano fattori causali
Caratteristiche cliniche
• Altezza facciale anteriore aumentata
• Incompetenza labiale aumentata (>4mm.)
• Tendenza all’open bite anteriore
• Tendenza alla seconda classe dentale
• Tendenza all’affollamento dentale inferiore
• Evidente contrattura dei muscoli mentali nel tentativo di creare il suggello labiale
Caratteristiche cefalometriche
• Angolo mm aumentato (>32°)
• Ans-pns ante-ruotato
• Eccessiva eruzione denti superiori
• Go-gn postero-ruotato
• Lfh aumentato
E’ universalmente accettato che la long face syndrome riconosce la sua origine da uno sviluppo verticale
eccessivo del mascellare superiore. Puo’ coesistere con una I, II, III classe scheletrica sia reale che
apparente. Il controllo della dimensione trasversale e’ fondamentale nella correzione del morso aperto

Asimmetrie Facciali
Le asimmetrie facciali possono riguardare sia il mascellare superiore sia la mandibola, ma in genere si
manifestano con una deviazione laterale della mandibola.
• Arcata dentaria mascellare è di larghezza minore
• Morso crociato laterale
Terapia Chirurgica.
• Intervento sulla mandibola.
• Intervento su entrambi i mascellari.

ESTETICA
“Dallo sguardo delle persone noi cogliamo la loro anima”.
La bellezza non è soggettiva al 100%. Gli antichi consideravano la bellezza come qualcosa di immutabile. Nel
medioevo la bellezza passa dai canoni dettati da Leonardo.
L’armonia viene introdotta da Fibonacci con la sequenza di numeri, 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13. I media oggi hanno
introdotto la bellezza come elemento di forzatura, per proporre linee di prodotti commerciali.
La bellezza è anche una questione di cultura. Quello che non è bellezza è disarmonia e quindi tutto quello
che è disarmonico diventa facilmente utilizzato nelle vignette, come simbolo messaggi cattivi. La mandibola
lunga è tipica del volto dei malfattori.
La bellezza non è solo viso, ma il viso rappresenta un mezzo di comunicazione. La bellezza dovrebbe quindi
tornare ad essere studiata.
L’armonia è anche simmetria, un viso bello è un viso armonico
Normalmente un bel viso è diviso in tre parti uguali verticali e in cinque parti uguali orizzontali. Questo viso
si può dire che sia bello ma non armonico. Alcuni allora hanno proposto parametri estetici precisi, sia di
razza che età per far corrispondere determinate misure.

LEMBI http://www.sopi.it/ippocrateios/Definnesticut.html
La chirurgia oncologica cervico-facciale ha subito una rapida evoluzione nel corso della seconda metà del
‘900:
Prima metà  chirurgia demolitiva asportazione radicale della neoplasia e delle MTS loco-regionali
Seconda metà  chirurgia ricostruttiva demolizione seguita da ricostruzione funzionale ed estetica Prime
tecniche ricostruttive derivano dalla chirurgia plastica:
• Lembi di avanzamento
• Lembi di trasposizione
• Lembi peduncolati
• Lembi random
• Innesti liberi cutanei
A partire dalla fine degli anni ’60, con l’introduzione sistematica del microscopio operatorio, primi tentativi
di trasposizione di lembi liberi microvascolarizzati (l.l.m.). Nei decenni successivi, l’uso dei l.l.m. ha subito
una crescita esponenziale grazie all’individuazione di diversi siti donatori.

Lembi di avanzamento
Sfrutta la capacità di un tessuto superficiale di essere mobilizzato rimanendo ancorato ai piani profondi. Si
usano per riparare difetti quando il tessuto è mobilizzabile al meglio da un lato della ferita o da entrambi
senza creare eccessiva tensione. Il lembo di avanzamento crea un certo numero di linee di incisione che è
importante cercare di nascondere in una ruga o in un’unità estetica. Indicazioni :
• Fronte
• Labbro superiore
• Elice
• Arti
Limiti : può essere difficile nascondere le linee di incisione.
Esempi: lembo di avanzamento singolo e lembo di avanzamento doppio (plastica ad H)

Lembo di trasposizione
Il movimento trasporta il lembo sopra un tratto di cute circostante come nuovo sito recipiente. Considerare
la lunghezza del lembo :
• diminuisce con il movimento attorno al punto di trasposizione
• giacenza su depressioni o elevazioni
Indicazioni: disperde la tensione della ferita e la distorsione del tessuto su un’ampia area. Limiti :
• cicatrice lunga e complicata non completamente nascosta
• rischio di necrosi della punta
Es. 1: lembo di trasposizione singolo
Es. 2: lembo di trasposizione doppio (plastica a Z)
Esempio di lembo di trasposizione in caso di resezioni a tutto spessore del labbro: intervento di
CamilleBernard. Indicazioni: resezione compresa tra 1/3 e 2/3 delle dimensioni totali  In alcuni casi si è
costretti a fare delle resezioni più ampie, anche in virtù del fatto che la zona da ricostruire è più difficile e
che nello stesso tempo le condizioni del pz possono essere aggravate da altre comorbidità e non si possono
fare interventi lunghi con anestesia totale.
Nel caso di una grossa deformazione del labbro inferiore che ha consumato la regione labiale si utilizza un
lembo di trasposizione che si chiama lembo di Camille-Bernard: serve per ricostruire la zona formando una
doppia fodera (fodera interna e fodera esterna). Permette l’asportazione in toto del labbro inferiore, il
disegno del lembo di trasposizione (righe trasversali al viso) e l’individuazione di altre righe, che vanno
verso l’altro, e che sono linee di scarico che permettono il più possibile di poter spostare il tessuto ai fini
della ricostruzione. Si eseguono: asportazione, mobilizzazione completa della regione labiale e dalla regione
mentoniera e la ricostruzione in toto del labbro (regione del vermiglio) con una guarigione discreta e con
buon risultato estetico. Il ripristino del suggello labiale ha permesso al pz di avere una vita normale.

Lembi peduncolati
La ricerca di nuove tecniche ricostruttive ha evidenziatola presenza di una vascolarizzazione dominante del
muscolo costituita da un peduncolo contenente arteria e vena che tramite vasi perforanti nutre i tessuti
sovrastanti:
• Muscolo
• Sottocute
• Cute
Sono lembi loco regionali che mantengono il peduncolo vascolare nella ricostruzione della parte mancante.
Sono lembi esclusivamente muscolo-cutanei, non è possibile ricostruire l’osso in questo modo. I lembi
peduncolati prevedono solo la ricostruzione dei tessuti molli. I lembi liberi rivascolarizzati sono invece lembi
compositi in cui è possibile anche la ricostruzione dell’osso: si possono fare degli innesti con prelievo da
diverse sedi (come anca, teca cranica, prelievi endorali); invece per quello che riguarda la ricostruzione di
grossi gap, i lembi peduncolati ricostruiscono il muscolo, il tessuto sottocutaneo e la cute. I lembi
peduncolati maggiormente impiegati nella chirurgia del distretto Testa-Collo sono :
• Lembo muscolo-cutaneo di grande pettorale (+)
• Lembo muscolo-cutaneo di trapezio
• Lembo di muscolo temporale (+)
Il lembo di muscolo grande pettorale serve per ricostruire sia la porzione cutanea che quella muscolare,
invece l’altro serve per la ricostruzione endorale e si ottiene traslando il muscolo (temporale). Il lembo di
muscolo cutaneo di trapezio non è più utilizzato. È un lembo molto difficile da utilizzare, che può avere
diverse problematiche e che predispone il pz ad un torcicollo perenne ed è quindi stato abbandonato.

• Lembo muscolo-cutaneo di grande pettorale:


Vascolarizzazione
Ramo pettorale dell’arteria toraco-acromiale (permette una vascolarizzazione importante del lembo).
Vantaggi
Ricca vascolarizzazione, allestimento rapido, raggiunge facilmente il cavo orale (si può allungare tantissimo),
proviene da sede non colpita da RT neoadiuvante (i pz sottoposti a radioterapia lo possono utilizzare perché
è un lembo trofico).
Svantaggi
Minima perdita di funzionalità, deformità della mammella.
Impiego
Glossectomia (viene usato per tutte le ricostruzioni del cavo orale: dalla lingua, alla regione geniena, sia
parte cutanea che la parte mucosa, il pavimento della bocca, il pilastro), asportazione totale o
sub-totale della pelvi orale, asportazione totale o sub-totale cute e mucosa geniena
Inoltre è un lembo grosso che permette delle grosse ricostruzioni. Ci può essere un difetto estetico nella
zona mammaria.
Intervento: disegno del lembo, isolamento nella regione mammaria mantenendo il peduncolo vascolare
dell’arteria toraco-acromiale verso l’alto. Questo permette una rotazione verso l’alto facendo fare tanta
strada al lembo e mantenendo un buon peduncolo perché non viene staccata la toracica inferiore ma viene
staccata la toraco-acromiale, posizionata sotto la clavicola. Il lembo viene intascato nel tessuto
sottocutaneo e viene riposizionato attraverso il collo durante la ricostruzione della regione geniena e sutura
importante del torace. Questo ci dà la possibilità di sfruttare tanta stoffa.

 Lembo muscolo-cutaneo di trapezio:


Vascolarizzazione
Arteria cervicale trasversa (ramo del tr. tireo-cerv)
Vantaggi
Quando allestito come lembo osteo-mio-cutaneo, può veicolare un segmento di spina della scapola per la
ricostruzione del ramo e del corpo mandibolare
Svantaggi
Variabilità notevole del peduncolo vascolare, brevità del peduncolo, impedisce l’allestimento nel 30%
danno funzionale, riduzione movimenti di abduzione

Impiego
Glossectomia, demolizione del trigono, resezione mandibolare.
Il lembo muscolo cutaneo del trapezio non viene più utilizzato. Viene preso dalla parte posteriore del torace
e viene posizionato in avanti. La difficoltà è la brevità del peduncolo vascolare che non può essere
trasportato troppo in là, a differenza del lembo di grande pettorale.

 Lembo di muscolo temporale:


Vascolarizzazione
Arteria temporale profonda ant. e post.
Vantaggi
Allestimento semplice, lunghezza del peduncolo ed angolo di rotazione possono essere incrementati
disinserendolo completamente dal coronoide. Impiego
Demolizione del mascellare superiore, asportazione totale o sub-totale del velo palatino , demolizione della
regione orbitaria, demolizione parziale della base cranica.
Il lembo di muscolo temporale viene utilizzato nella ricostruzione del cavo orale nella regione del
mascellare superiore quando si ricostruisce l’esito di una emimaxillectoma con asportazione sia del palato
duro che del palato molle dalla loggia retrotosillare.
Tra i vantaggi: che è facilmente recuperabile attraverso un approccio emicoronale, ha un peduncolo di
vascolarizzazione verso il basso, nella regione dell’osso zigomatico, può essere ruotato mantenendo un
peduncolo trofico che non viene stirato.
Può essere utilizzato anche ad esempio nella ricostruzione di un’orbita.
Importante: il tessuto muscolare quando viene traslato nel cavo orale, nell’arco di pochi mesi va in contro
ad una trasformazione che si chiama metaplasia squamosa. Un muscolo temporale dopo due mesi è un
grado di adattarsi ad una nuova situazione fisiologica.
L’approccio chirurgico è di tipo emicoronale: si parte al di sopra dell’orecchio e si esegue una sutura
coronale fino a metà del cranio; si fa una dissezione sopra il piano della fascia temporale superficiale e si
stacca completamente il muscolo temporale (che è un ventaglio), riposizionandolo in basso. Si può
utilizzare solo la parte anteriore del muscolo mentre la parte posteriore viene traslata in avanti e serve per
colmare la lacuna che si crea quando spostiamo il muscolo temporale.
Il passaggio per arrivare nel cavo orale si effettua passando al di sotto dell’arco zigomatico: viene staccato,
viene sciolto come una briglia e viene trasportato nel cavo orale per fare le ricostruzioni necessarie.

Lembi cutanei random


Porzione di cute e tessuto sottocutaneo trasposta da una zona all’altra dell’organismo pur mantenendo una
connessione per l’apporto vascolare. Sono privi di un peduncolo artero-venoso e si basano sulla rete
vascolare sub dermica. Necessitano di un periodo di autonomizzazione per adattarsi al nuovo tipo di
vascolarizzazione.
I lembi cutanei non si usano più, una volta si usava una parte della mucosa linguale per andare a ricostruire
una zona del palato mantenendo bloccata la lingua. Il lembo veniva isolato, suturato in alto e il peduncolo
del lembo veniva mantenuto sulla lingua. La qualità di vita del pz era pessima. Poi dopo due mesi si poteva
autonomizzare il lembo tagliando il peduncolo.

Innesti liberi cutanei


Caratteristiche: letto ricevente ben vascolarizzato o ricoperto da tessuto di granulazione ben sanguinante,
l’innesto non deve contenere grasso sottocutaneo e deve essere ben fissato alla superficie con punti, no
raccolte ematiche tra le 2 superfici.
L’innesto viene nutrito nei primi giorni per diffusione dal letto ricevente in attesa che dal 5°giorno in poi si
formino le connessioni vascolari che lo nutrono stabilmente.

Gli innesti liberi cutanei vengono utilizzati molto il dermatologia attraverso innesti liberi. I più importanti
sono il lembo di Thiersch e il lembo di Walfer e si differenziano tra di loro in base allo spessore. Nel nostro
caso viene utilizziamo poco, ad esempio per ricoprire la zona volare dell’avambraccio quando si fa un
lembo cinese: si asporta tessuto muscolare e cutaneo dell’avambraccio, si trasla nel cavo orale
rivascolarizzandolo, si fanno anastomosi sui vasi del collo e della faccia e quello che rimane a livello
dell’avambraccio può essere ricoperto con il lembo di Thiersch o di Walfer con un prelievo dalla coscia o
dalla zona del gluteo.
È un innesto piccolo, non è un lembo a tutti gli effetti e può andare incontro a riassorbimento, a necrosi,
oppure può vascolarizzarsi dalla profondità attraverso le perforanti del tessuto sottocutaneo, formando
quindi una vascolarizzazione chiamata “random” che può servire a ricostruire (non benissimo) una zona
mancante.

Possono essere:
• a spessore parziale: split thickness; contengono soprattutto epidermide con una quantità variabile
di derma (questo fa la differenza tra le varie tecniche), l’indicazione è per le piccole ferite e per i
piccoli gap da ricostruire. Va benissimo per il dermatologo quando deve esportare delle piccole
neoformazioni. Il risultato estetico non è ottimale ma è accettabile. La sede del prelievo è la
superficie volare del braccio, la coscia e la regione glutea. Il lembo di Thiersch prevede
l’asportazione dell’epidermide e la minima parte dell’epidermide, soprattutto le cupole delle papille
del derma, perché soprattutto nelle cupole si prevede che ci sia un fascio di attecchimento della
circolazione random; è facile immaginare che se asportiamo solo l’epidermide è difficile che
l’epidermide venga rivascolarizzata.
• innesto secondo Blair-Brown che è una via di mezzo tra il Thiersch e il Wolfer che prevede
l’epidermide più un terzo di derma, è quindi un po’ più spesso. Epidermide+ 1/3 derma
• innesto secondo Padgett che prevede l’epidermide e i due terzi del derma papillare reticolare. Non
deve essere né troppo sottile né troppo spesso perché sia il troppo sottile che il troppo spesso
risultano difficilmente vascolarizzabili (la via di mezzo è la tecnica più accettata).
• Innesti cutanei a spessore totale o full-thickness contengono epidermide + derma.
Indicazioni: impossibilità lembi di trasposizione per mancanza o scarsa qualità di tessuto, evitare
distorsioni, escissione lesioni maligne. piccole dimensioni. Vantaggi : maggiore risultato estetico.
Limiti: disponibilità del sito donatore, grandi dimensioni, cicatrice del sito donatore, minore facilità
di attecchimento. Sede prelievo: regione sovraclaveare, regione retroauricolare

Quasi sempre la guarigione avviene per seconda intenzione. La cute riposizionata tiene chiuso il gap e
quindi si può formare tessuto cutaneo quasi normale. Nelle medicazioni, è importante tener compressa
l’epidermide sul letto del ricevente tramite medicazioni compressive.
Il lembo di Wolfer è ancora più spesso dei precedenti: epidermide più derma nella sua totalità, è attorno ai
3mm di spessore. È l’innesto più spesso.

I lembi microvascolarizzati
Possono essere di tipo cutaneo e sottocutaneo oppure possono essere lembi compositi, comprendendo
anche l’osso.
Fattori da considerare:
• danno conseguente all’exeresi: l’exeresi chirurgica determina danni tissutali di entità e morfologia
diverse in rapporto alla localizzazione e all’estensione tumorale,
• principale necessità riabilitativa : Il progetto ricostruttivo ha come scopi fondamentali il ripristino
della continuità anatomica della regione e il recupero di una funzione primaria o complementare,
Entità e tipo di ricostruzione : l’entità e il tipo di exeresi condizionano le opzioni ricostruttive
copertura cutanea o cutaneo-mucosa, ripristino muscolare, ricostruzione ossea
• caratteristiche del sito donatore: ogni lembo libero ha caratteristiche specifiche del sito donatore
che ne condizionano il possibile utilizzo (spessore cutaneo, componente adiposa, colore, presenza

di annessi, consistenza muscolare, innervazione sensitiva, semplicità di accesso e del prelievo)

Sono lembi che si utilizzano nelle grandi ricostruzioni. Se dobbiamo ricostruire in toto la mandibola
abbiamo bisogno di tanto tessuto osseo. Lo possiamo prendere da diversi siti, quello che noi utilizziamo a
Novara è il perone. Si mantiene la vascolarizzazione e si fa l’anastomosi con i vasi del collo. La cosa
importante è il sito ricevente. Oltre a posizionare il lembo dobbiamo posizionare arteria e vena. La maggior
parte delle arterie utilizzate sono soprattutto dei rami della carotide esterna o l’arteria facciale, il
complesso tiroideo-linguoglosso (arteria linguale e tiroidea superiore).
ANATOMIA VASCOLARE DEL SITO RICEVENTE
Circolo arterioso
Arteria carotide comune (ACC) dx  nasce dalla biforcazione dell’A. Anonima, dietro l’articolazione sterno-
clavicolare e arteria carotide comune sx  origina direttamente dall’arco aortico
Le ACC terminano 1cm sopra il margine superiore della cartilagine tiroidea  AC interna e esterna
Repere: il muscolo omoioideo incrocia il fascio vascolo nervoso del collo a livello della cartilagine tiroidea:
inferiormente al muscolo il fascio è profondo, mentre al disopra è più superficiale.

Arteria carotide esterna (ACE) lunghezza media 7cm con calibro iniziale di 6mm che gradualmente si
riduce; inizialmente si trova anteriormente e medialmente alla A.C.I. e poi la incrocia portandosi
lateralmente verso la parotide
Repere : nel suo tratto iniziale è superficiale poi si approfondisce passando al di sotto del ventre posteriore
del muscolo digastrico e dello stiloioideo.
Rami principali della ACE:
• A. tiroidea superiore: 1° ramo, si stacca medialmente appena dopo la biforcazione
carotidea descrivendo una curva verso il basso ed emettendo medialmente il suo ramo
principale, l’ a. laringea superiore
• A. faringea ascendente: è tra i rami più piccoli e si dirige in senso antero-posteriore lungo la
parete laterale del faringe
• A. linguale: curva anteriormente passando sotto il m.joglosso, al di sopra del quale decorre
il n.ipoglosso. Prosegue decorrendo lungo la faccia inferiore della lingua  a. profonda
della lingua.
• A. facciale: è il ramo di calibro maggiore, decorre dietro al ventre posteriore del m.
digastrico e la ghiandola sottomandibolare, contorna la mandibola e decorre anteriormente
al m. massetere. Si distribuisce ai tessuti mediante i suoi rami: a. labiale superiore ed
inferiore, a. angolare del naso.
Rami terminali della ACE:
• A. temporale superficiale: ramo terminale esterno, superficiale e di minor calibro della
A.C.E.; inizialmente compresa nello spessore della parotide, sale posteriormente al collo del
condilo mandibolare e poi sale passando davanti al trago e giunge nella regione temporale.
Vascolarizza la parotide, l’ATM, il m.massetere e i tegumenti circostanti.
• A. mascellare interna: è il più voluminoso dei due rami terminali dell’A.C.E.; nasce dietro il
collo del condilo mandibolare, compresa nello spessore della parotide, segue il
m.pterigoideo esterno. Lungo il suo decorso si possono distinguere 3 porzioni mandibolare,
pterigoidea, pterigo-palatina. Il ramo terminale è l’a. sfeno-palatina.
Circolo venoso
Le vene del collo vengono divise in due gruppi:
vene superficiali  tributarie della vena giugulare esterna (VGE)
vene profonde  tributarie della vena giugulare interna (VGI).
La VGE si forma per unione del ramo posteriore della vena retromandibolare con la vena auricolare
posteriore del polo inferiore della parotide; incrocia la superficie del muscolo sterno-cleido-mastoideo per
portarsi nella fossa sovraclaveare dove si scarica nella v. succlavia. Durante il suo decorso riceve la v.
occipitale, la v. cervicale trasversa e la v. giugulare anteriore (origina a livello dell’osso joide per confluenza
di varie vene superficiali; decorre lungo il margine anteriore del m. S.C.M).
La VGI inizia a livello della porzione posteriore del forame giugulare come diretta continuazione del seno
sigmoideo. Percorre tutto il collo all’interno del setto fibroso longitudinale del collo fino alla clavicola dove
si unisce alla succlavia per formare la vena brachio-cefalica
Scelta dei vasi arteriosi : 2 gruppi disponibili per le micro-anastomosi
Rami della ACE: A. Tiroidea Superiore, A. Linguale, A. Facciale
Rami del tronco tireo-cervicale (T.T.C.): se impossibilità ad utilizzare le arterie più cefaliche  A. tiroidea
inferiore, A. cervicale trasversa
Se nessuna collaterale della carotide è utilizzabile  anastomosi T-L con A.C.E.
Se svuotamento radicale  vasi di grosso calibro : V.G.I., V. Tireo-Cervcale

In alcuni casi in cui non c’è la possibilità omolateralmente di fare delle anastomosi e quindi si possono
creare delle anastomosi controlateralmente alla sede di innesto. Questi però diventa più complesso e
pericoloso per la sopravvivenza del lembo  più il peduncolo vascolare è corto e più c’è meno possibilità
che questo si intasi con dei trombi del nuovo sistema vascolare e che dia delle problematiche a distanza
come necrosi del lembo. Le anastomosi si effettuano con la tiroidea superiore, faringea ascendente e la
facciale.
Sarebbe meglio che
• i vasi recettori siano selezionati e liberati prima di “staccare” il lembo,
• quando possibile, si isolino più arterie e più vene fra le quali scegliere
• se le vene del peduncolo sono più di una, si garantiscano almeno 2 vie di deflusso venoso
• il lembo sia posizionato prima di effettuare le anastomosi
Fattori da considerare
• Sede del difetto : es. la ricostruzione della cavità orale o della mandibola, richiede la disponibilità di
vasi posti in prossimità della lesione
• Geometria e lunghezza del peduncolo vascolare
• Concordanza di calibro tra i vasi del lembo e vasi del collo
• Presenza di eventuali placche ateromasiche
• Tessuti precedentemente irradiati : si scelgono i vasi di calibro maggiore
Il vaso deve essere ben isolato per circa 1 cm per posizionare correttamente gli approssimatori e avere la
possibilità di ruotarli liberamente di 180°. E’ necessario eseguire l’avventiziectomia prima di suturare il vaso
e il lavaggio del lume con soluzione fisiologica. Gli approssimatori permettono di posizionare i margini di
sutura a circa 1mm.
Il punto deve essere dato ad una distanza dal margine non superiore a 2-3 volte lo spessore della parete 
sempre almeno 3 nodi piani.
Si effettua la sutura di entrambe le pareti del vaso grazie alla rotazione di 180° degli approssimatori. Si
toglie prima la clamp distale e dopo alcuni secondi quella prossimale.

È importante che l’anastomosi tra il vaso trasportato e quello ricevente abbia una buona tenuta, perché la
parte più importante dell’intervento è fatta dall’anastomosi vascolare. Se l’anastomosi cede oppure se
l’arteria ricevente è sclerotica e impedisce il collegamento con l’arteria trasposta, il lembo può andare in
necrosi. È la fase più delicata di tutta la ricostruzione. Ci sono delle suture che possono essere o termino-
terminali (il vaso ricevente con il vaso asportato) oppure possono essere termino-laterali (tra la parte
terminale del vaso asportato e una zona della parete laterale del vaso che riceve l’anastomosi). Le tecniche
di sutura sono microscopiche e in sala viene chiamato un cardiochirurgo abituato a suturare arterie e vene
così piccole. È una chirurgia fatta al microscopio.
I lembi più utilizzati sono:
• lembo libero radiale antibrachiale che è definito “lembo cinese” (perché inventato dai ci-
nesi);
• lembo libero di perone, che prevede anche il prelievo osseo
• lembo libero anterolaterale di coscia (a Novara non lo usano mai);
• lembo libero del retto addominale;
• lembo libero del latissimus dorsi;
• lembo libero brachiale esterno;
• lembo libero di cresta iliaca che prevede prelievo dell’osso con tessuti molli. È molto
difficile perché lo è la vascolarizzazione. È stato abbandonato perché le problematiche post
operatorie erano importanti.
• lembo di ansa digiunale, usato nella ricostruzione faringea.
Il lembo cinese ci serve solo quando dobbiamo ricostruire i tessuti molli, quando non si deve ricostruire
l’osso. Il lembo libero di perone invece viene utilizzato quando deve essere ricostruito l’osso.

Un po’ di storia:
Il lembo cinese è stato inventato da due cinesi che hanno iniziato a studiare la vascolarizzazione sul
cadavere. Hanno studiato i vasi che componevano il lembo, sia i vasi che avrebbero potuto riceverlo, tutto
questo sulla scia della chirurgia dei trapianti.
Gli interventi con lembo cinese sono molto lunghi, oggi si impiegano invece circa 5 ore, e si fa
contestualmente anche la parte demolitiva: mentre si fa l’exeresi del tumore e lo svuotamento
laterocervicale, due chirurghi iniziano già a prelevare il lembo dell’avambraccio, lavorando con due equipe
distinte. Dopo aver preparato il collo con i vasi, allora si trasporta il lembo prelevato e si continua la
ricostruzione con le anastomosi. Se va tutto bene abbiamo una ricca vascolarizzazione, un buon calibro dei
vasi e questa situazione va anche bene per pz che devono effettuare la radioterapia post operatoria perché
se riusciamo a chiudere prima il tessuto che verrà esposto a radioterapia possiamo evitargli le complicanze
legate al trattamento chemioterapico.
Caratteristiche: semplicità e brevità dell’allestimento, variare forma e dimensioni in base alle necessità,
lunghezza del peduncolo e calibro dei vasi >2mm, ricca vascolarizzazione del lembo ( elevata
ossigenazione del tessuto e RT post-operatoria)
Viene utilizzato per la ricostruzione di lingua, mucosa geniena, pavimento, ipofaringe.
L’arteria che viene anastomizzata è l’arteria radiale  per fare questo prelievo dobbiamo essere sicuri che
non sia l’unica arteria che vascolarizza l’avambraccio. È necessario effettuare una serie di esami prima
dell’intervento chirurgico. Uno è il test di Allen che prevede la chiusura alternata delle due arterie del polso
e ci fa vedere se chiudendo la radiale si crea un’ischemia transitoria della mano. Se non siamo sicuri si fa
l’eco color doppler e in alcuni casi anche l’angiografia.
L’arteria radiale è un ramo laterale di biforcazione della a. brachiale; origina circa 1 cm sotto la piega
antecubitale arcata palmare profonda, assieme al ramo palmare profondo dell’a- ulnare. Assieme alle 2
vene satelliti è racchiusa nel setto intermuscolare. È ricoperta nella sua metà prossimale dal margine
mediale del m. brachio-radiale e nella porzione distale si superficializza al di sotto della fascia tra tendine
del m. brachioradiale e tendine del m. flessore radiale del carpo. Lungo il suo decorso fornisce un numero
variabile (5-17) vasi fascio-cutanei diretti  a. perforanti.

Disegno del lembo: incisione di cute, sottocute, fascia muscolare profonda e sollevamento in senso
mediolaterale dal margine ulnare. Procedendo in questo modo si incontrano i vasi perforanti che devono
essere preservati. Si legano invece i vasi che dalla fascia si dirigono verso i muscoli flessori sottostanti. si
incide cute, sottocute e fascia del margine radiale : isolamento del ramo superficiale del nervo radiale. Si
procede alla dissezione nella superficie inferiore della fascia profonda in senso latero-mediale fino ad
individuare il setto intermuscolare laterale con il peduncolo tra i m.brachio-radiale e flessore radiale del
carpo. Si pratica un’incisione mediana sulla porzione volare prossimale dell’avambraccio, si segue e si isola
il peduncolo per tutta la sua lunghezza nella doccia tra il brachio-radiale e il flessore radiale del carpo fino
alla biforcazione arteriosa radio-ulnare
Si procede quindi all’ isolamento del fascio vascolare (arteria e vena), distacco del peduncolo, asportazione,
anastomosi termino-laterale con carotide esterna dopo svuotamento funzionale del collo, anastomosi del
vaso traslato su quello ricevente con sutura dell’anastomosi. La chiusura è la ricostruzione a distanza. Si
tratta di tessuto cutaneo. Anche in questo caso la cute che viene traslata nel cavo orale va incontro a
metaplasia, se ci sono dei peli li perde come il resto delle sue caratteristiche, diventando una sorta di
mucosa.
Caso: viene affettata la zona che serve per coprire il tessuto. Margine laterale della lingua con tumore: si
vede bene la differenza tra mucosa e cute.

Il lembo libero di perone fu descritto per la prima volta nel 1975 da una chirurgo di nome Taylor, da cui è
stato trasformato e modificato da altri autori fino ai giorni nostri. Qui si può prendere tanto tessuto osseo,
fino a 25cm, quasi sufficiente a ricostruire l’intera mandibola sempre con il supporto delle placche di
osteosintesi in titanio.
Possiamo prendere sia osso, che muscolo, che cute. Il perone può essere sezionato e modificato a nostro
piacimento, ricostruendo l’arco dell’intera mandibola. Può essere utilizzato anche per la ricostruzione del
mascellare superiore. L’arteria che viene utilizzata è la peronea e va verificato che non sia l’unica arteria
che dà vascolarizzazione alla gamba. In questo caso è obbligatorio fare l’arteriografia. Inoltre l’arteriografia
serve anche per un altro motivo: perché ci sono pz vasculopatici e cardiopatici e all’arteriografia può venir
fuori che queste arterie sono obliterate per una certa percentuale del loro lume e quindi non è possibile
fare un intervento di questo tipo perché sicuramente va male. Allora un’arteria peronea chiusa al 50-60%
non funzionerà mai.
Se prendiamo un lembo composito, osso, tessuto sottocutaneo e cutaneo, la vascolarizzazione dal perone
alla cute si verifica attraverso dei vasa vasorum perforanti. L’unica arteria che deve dare irrorazione a tutto
il lembo è la peronea e per questo motivo bisogna stare attenti.
L’ a. peronea nasce dall’ a. tibiale posteriore circa 3 cm sotto al margine inferiore del m. popliteo e circa 7
cm sotto la testa del perone; scorre inferolateralmente tra il m. soleo e il m. tibiale posteriore; scende
infine lungo la cresta mediale del perone verso la sindesmosi tibio-peronea. Emette da 4 a 6 arterie arcuate
che decorrono attorno alla faccia posteriore del perone, nutrendolo segmentariamente; passano poi nel
setto intermuscolare posteriore come rami sottocutanei

Prelievo: disegno del lembo, isolamento del tessuto osseo, sottocutaneo e cute, isolamento del peduncolo
vascolare. Pz supino con l’arto piegato a 90°  Si traccia una linea che ripercorre il bordo laterale della
fibula. Mantenendo 7 cm distali, si disegna la paletta cutanea, all’interno della quale giungono le perforanti.
Si incide lungo tale linea e si prosegue lungo il margine anteriore della paletta cutanea. Con un’incisione
profonda si raggiunge il setto intermuscolare che separa i muscoli Peroneo lungo e breve da quelli della
loggia posteriore (m. soleo, m. gastrocnemio) e presenta nella porzione prossimale il nervo peroneo
comune che viene dissecato e isolato. Si prosegue la dissezione sottofasciale alla ricerca dei vasi perforanti
cutanei
La fibula viene isolata lungo tutta la sua superficie antero-laterale  si raggiunge la membrana interossea
(la congiunge alla tibia) che viene incisa in tutta la sua lunghezza.
Deperiostamento delle sedi prossimale e distale in cui si effettuerà l’osteotomia.
Si procede alla doppia osteotomia la fibula viene in questo modo mobilizzata e ruotata all’esterno fino ad
evidenziare il peduncolo. Legatura e sezione distale del peduncolo  progressiva dissezione fino alla
biforcazione dei vasi.
Il perone viene sezionato sotto guida radiografica, si fa una TC, si fa ricostruire una replica solida che
raffigura la mandibola prima dell’intervento e noi possiamo modellare il perone sulla base della
pianificazione preoperatoria. Attraverso un template che simula la placca di osteosintesi, noi possiamo
sezionare il perone nei pezzi necessari per essere ruotato e poi posizionato a livello cefalico
dell’anastomosi.
Un caso: mandibulectomia per osteoradionecrosi; ricostruzione della guancia con lembo cinese e poi
ricostruzione della mandibola. Con la TC si fa una ricostruzione 3D con uno scanner si ricostruisce in resina
il cranio del pz o la subunità ossea che ci interessa. La placca viene modellata come template a banco e poi
viene riposizionato a ricostruire la mandibola. Se riusciamo a modellare prima la placca perche è difficile
farlo durante l’operazione in modo da avere la certezza delle grandezze e delle lunghezze. A volte si
possono esporre sia la placca che l’osso. In questo caso è stata fatta una ricostruzione ulteriore con un
lembo di pettorale. Questo pz aveva fatto una radioterapia in Africa, finchè alla fine ha sviluppato un
tumore al cavo orale e poi è deceduto. Sono stati posizionati degli impianti per cercare di dare una
protesizzazione al pz ma poi non è stato possibile.
Grosso tumore del trigono retromolare con positività ai linfonodi. Prelievo per il disegno del lembo.
L’incisione è lunga 7 cm, si parte dal malleolo e si arriva lateralmente al ginocchio. Si fa la dissezione dei
piani fino a reperire le arterie, anche in questo caso la placca è già modellata, il lembo è quasi
completamente staccato e si arriva alla ricostruzione dell’emimandibola. Il discorso è anche un altro:
bisogna anche capire qual è la percentuale di sopravvivenza di questi pazienti. Se il pz è ontologicamente
avanti e si pensa ad una recidiva non vale forse la pensa di fare una ricostruzione. Se il pz è giovane è invece
importante farlo.

LA CHIRURGIA DELLE ATROFIE DEI MASCELLARI A SCOPO PREPROTESICO.


Se si perdono i denti, si perde anche la funzionalità masticatoria, oltre che estetica.
L’impianto dentario è stato scoperto 30 anni fa da un ortopedico svedese che si era accorto che fissando
delle placche di titanio sulle ossa lunghe dei cani queste venivano ricoperte; si è così reso conto che il
titanio ha capacità di tipo osteogenetico, per cui è stato usato in ortopedia per le protesi di anca e
ginocchio, in cardiochirurgia per le valvole, ecc.
L’impianto sostituisce una radice dentaria ed è fatto completamente da titanio che però presenta una
superficie non liscia, per cui si crea un foto di alesaggio con frese all’interno dell’osso dentro cui si avvita
l’impianto; l’osso subisce un traumatismo che guarisce in 3 mesi, andando ad occupare le rugosità
dell’impianto. L’impianto ha quindi una stabilità primaria dovuta alla filettatura dell’impianto e
successivamente va incontro a osteointegrazione: solo a questo punto l’impianto può essere caricato. Oggi
queste tecniche si sono emancipate, per cui in alcuni casi non si aspettano 3 mesi, ma si può caricare già in
giornata. Questo avviene grazie a tecniche di carico immediato, che però non possono essere generalizzate
su tutti i pz. Su un premolare o un molare si possono aspettare anche 3 mesi, se invece si perde un incisivo
centrale o un canino soprattutto per fini estetici è meglio fare un carico immediato. Nel carico immediato
però i denti non devono essere masticanti perché l’impianto non è saldo.
La chirurgia maxillo-facciale interviene se c’è atrofia dell’osso. L’osso va in atrofia quando si perdono i denti,
perché il trofismo dell’osso è dato dal dente e viceversa.

CONDIZIONI IDEALI DI SUCCESSO DELLA RIABILITAZIONE OSTEOINTEGRATA


• Altezza della cresta alveolare sufficiente (10mm)
• Spessore osseo sufficiente (5-6mm)
• Corretto rapporto intermascellare (= il dente non deve essere troppo lungo; il rapporto di leve tra
dente e impianto deve essere a favore dell’impianto)
• Buona qualità dei tessuti molli periimplantari deve esserci gengiva aderente intorno al collo
dell’impianto.
Se c’è atrofia, entrambi i mascellari vanno incontro a rimaneggiamento osseo; esiste una classificazione per
definire grado di atrofia. L’osso basale non cambia in modo significativo perché è vascolarizzato dalle
porzioni profonde delle fasce. A livello del mascellare superiore avviene un riassorbimento
prevalentemente orizzontale sul versante vestibolare, con l’aggiunta che si trova in concomitanza con il
seno mascellare, dove l’osso è già risicato. Nella mandibola, la regione interforaminale va incontro ad
atrofia più tardivamente rispetto al corpo mandibolare.
Se si perde il dente, la vascolarizzazione endossea si riduce e si ha una vascolarizzazione periostale
centripeta, per cui solo la parte periferica dell’osso è irrorata.
CONSEGUENZE DEL RIASSORBIMENTO OSSEO
• Modificazione dei rapporti scheletrici dei mascellari: pseudoprogenismo
• Cambiamento della morfologia facciale: perdita del tono muscolare e cambio di direzione a livello
della commessura labiale
• Modificazione della vascolarizzazione come conseguenza del riassorbimento dei mascellari
• In senso antero-posteriore le arcate si accorciano
• Trasversalmente il mascellare si restringe e la mandibola si allarga
• Aumento dimensione verticale interarcata
• Appiattimento della volta palatina
• Diminuzione della gengiva aderente
• Superficializzazione delle inserzioni muscolari e del pavimento orale
• Riduzione dei fornici difficile posizione dentiera
• Il processo alveolare subisce modificazioni morfologiche significative.

Se non si possono mettere degli impianti interviene la chirurgia pre-protesica, che consiste in un insieme di
tecniche atte a ristabilire i volumi e la quantità ossea al fine di posizionare l’impianto.

CARATTERISTICHE DEL MATERIALE DI INNESTO


• Essere biocompatibile
• Essere osteoinduttivo
• Essere osteoconduttivo essere rivascolarizzato
• Essere facilmente manipolabile
• Essere sterile
• Non essere cancerogeno, teratogeno od antigenico
• Essere idrofilico
• Essere economico
Nessun materiale possiede tutte queste caratteristiche

MATERIALI DA INNESTO
• OSSO AUTOLOGO (dal pz stesso)
• OSSO OMOLOGO (esistono banche dell’osso i cui donatori sono cadaveri: l’osso viene
deantigenizzato e innestato)
• OSSO ETEROLOGO (da un'altra specie animale)
• XENOINNESTI (idrossiapatiti, fosfato tricalcico, solfato di calcio, biovetri, biocoralli, bioapatiti)

INNESTI DI OSSO AUTOLOGO


Rappresentano il GOLD STANDARD della chirurgia pre-protesica

SITI DI PRELIEVO
Extraorali
• Cresta iliaca
• Teca Cranica
• Tibia, Ulna
Endorali
• Sinfisi
• Ramo-corpo mandibolare
• Tuber maxillae

Sinfisi mandibolare
Il prelievo è effettuato dalla corticale esterna
• 4-5 mm dai forami mentonieri
• 5 mm dagli apici dentari
• 3-5 mm dal bordo inferiore
Complicanze
• Lesione diretta del nervo mentoniero
• Lesione diretta del nervo incisivo
• Emorragia da rami dell’arteria sottomentoniera (= causa problematiche respiratorie)
• Emorragia da rami sottolinguali

Ramo e corpo mandibolare


Regione compresa tra il primo molare e il ramo (linea obliqua esterna).
Si fa poco perché causa dolore e poi perché il nervo incisario è leso e quindi i pz sentono gli incisivi inferiori
come devitalizzati. Serve per ricostruzioni piccole (5-10 ml di tessuto)

Complicanze
• Lesione del nervo alveolare inferiore
• Lesione del nervo linguale
• Lesione dell’arteria facciale
• Lesione degli apici dei molari

Teca cranica
Osso parietale sopra la linea temporale e sotto la sutura sagittale
Prelievo monocorticale, fino a 50 ml di osso. Pericoloso perché non sempre la corticale esterna e interna
sono ben divise, quindi il rischio è quello di scoperchiare le meningi, causando così infezioni e liquorrea.
Questi prelievi erano eseguiti per ricostruzioni orbitarie in seguito all’asportazione di un tumore dell’orbita,
o al colpo di arma da fuoco, ecc. In alcune scuole, la teca era usata anche a fini pre-protesici, finchè non è
morto un pz. Oggi però sono già prodotte placche in titanio per le fratture orbitarie, per cui in praticamente
nessun caso è giustificabile un prelievo in tale sede
Complicanze
• Sanguinamento dei vasi epidurali
• Lacerazione della dura madre
• Emorragia del seno sagittale

Cresta iliaca
È possibile prelevare fino a 70 ml di tessuto, serve per ricostruzioni grosse. Il pz può deambulare sulle
stampelle già il giorno dopo, tuttavia è necessario astenersi da attività lavorative o sportive per almeno 40
giorni.
Complicanze
• Parestesia della faccia laterale della coscia perché nel tubercolo iliaco anteriore passa il nervo
sensitivo
• Ematoma
• Disturbi della deambulazione
• Infezione profonda soprattutto quando come emostatico si usava una cera che si spalmava sul sito
di prelievo

INNESTI OSSEI SPUGNOSI


Vantaggi
• Rapida rivascolarizzazione
• Attecchimento più facile
• Minore suscettibilità all’infezione
• Facile modellazione
• Rimaneggiamento completo a 12 mesi
Svantaggi
• Maggior rischio di riassorbimento
• Minore densità

INNESTI OSSEI CORTICALI


Vantaggi
• Minore riassorbimento
• Densità elevata
Svantaggi
• Ritardata vascolarizzazione
• Difficile modellazione
• Maggiore suscettibilità alle infezioni
• Attecchimento più difficile
• Tempo di guarigione maggiore

ATTECCHIMENTO DELL’INNESTO (deve essere immobilizzato con mezzi di sintesi)


1. Emorragia a livello del sito ricevente
2. Ematoma, coagulo e deposizione di collagene
3. Produzione di tessuto osteoide e apposizione di tessuto osseo mediante osteogenesi
4. Rimodellamento e sostituzione della matrice osteoide con osso lamellare
5. Proliferazione vascolare all’interno dell’innesto

FASI DI RIPARAZIONE
Emostasi e danno anossico (prime ore)
Flogosi e induzione cellulare (2-4gg)
Rimozione dell’ematoma e dei tessuti necrotici (2°-7°gg)
Organizzazione del tessuto di granulazione (1°-4° sett)
Osteogenesi e rimodellamento (dalla 4° sett)

INNESTI NON AUTOLOGHI


Hanno capacità osteoconduttive ma scarse o nulle capacità osteoinduttive.
Tempi di rivascolarizzazione, rimaneggiamento e rimodellamento maggiori.
Usati per ricostruzioni piccole o che non necessitano innesti di apposizione, per esempio per innalzare il
pavimento del seno mascellare, si usa un collagene sintetico che dopo 3 mesi viene riassorbito e sostituito
dall’osso.
Si può usare in associazione con il gel di piastrine (prelievo  centifuga  gel di piastrine che ha fattori di
crescita importanti per il pz)
Vantaggi
• Osteoconduttivo
• Quantità illimitata
• Riduzione dei tempi operatori
Svantaggi
• Scarsamente osteogenetico
• Scarsamente osteoinduttivo
• Sostituzione lenta
• Utilizzo limitato
• Trasmissione di malattie virali
INNESTI ETEROLOGHI
Vantaggi
• Osteoconduttivo
• Quantità illimitata
• Riduzione dei tempi operatori
• Buona integrazione senza interposizione di connettivo
Svantaggi
• Non osteogenetico
• Non osteoinduttivo
• Utilizzo limitato

Tecniche
Un pz che si sottopone a una ricostruzione importante del mascellare superiore deve considerare le
problematiche dell’intervento (difficoltà deambulatoria per circa un mese). Quando si mettono questi
innesti, il segreto perché funzioni bene è che le ferite guariscano bene: se ci sono deiscenze si complica,
perché una ferita aperta in bocca favorisce il passaggio di germi che possono dare infezioni. Il pz inoltre non
può mettere un provvisorio (dentiera) per 3 mesi perchè caricherebbe sull’innesto in via di guarigione. Se
va tutto bene, dopo 3-4 mesi dall’intervento si possono mettere gli impianti rimuovendo le viti. L’impianto
deve stare 3-4 mesi prima di poter essere caricato e quando si può, si fa carico progressivo. Dopodiché si
possono mettere i denti definitivi
Un chirurgo portoghese ha inventato una tecnica che bypassa questa situazione a patto che ci sia però osso
residuo: vanno posizionati almeno 4 impianti con una tecnica di chirurgia guidata (TC pz  simulazione
intervento) e poi già in giornata si può già caricare. A prescindere dalla possibilità di carico immediato o no,
un intervento di questo tipo che permette di evitare la chirurgia pre-protesica è sicuramente meglio per il
pz. Questa tecnica si chiama all on four ed è un buon metodo, perché si può effettuare su mascellari in
situazioni in cui c’è poco osso e si può mettere anche in posizione non perpendicolare al piano occlusale,
poi attraverso 2 sistemi avvitati ci si raddrizza sull’arcata.
Molte volte la chirurgia può essere flat-less cioè non si incide. Si fissa una placca preformata con dei chiodi
e poi attraverso un dicotomo si estrae solo la gengiva equivalente al diametro degli impianti da posizionare
e si mettono gli impianti. Fino a 10 anni fa, la chirurgia pre-protesica era molto diffusa, ma da quando è
entrata in vigore questa tecnica si è molto ridotta.
Anni fa si usavano delle griglie in titanio sotto cui si metteva un innesto osseo ottenuto da cresta iliaca: si
modella la griglia di titanio in modo da formare una cresta alveolare normale e poi si mette l’osso sotto la
griglia che veniva fissata al mascellare. In questo caso, la compliance del pz deve essere massima. Il
problema è che però si formava un tessuto di tipo osteoide, molle.

L’evoluzione di questa tecnica si chiama GBR: si usano membrane non riassorbili rinforzate con titanio, che
formano la cresta e sotto cui si mettono gli impianti; dopo 3 mesi si forma osso neoformato. Si usa per
ricostruzioni piccole, massimo 3 denti.

A volte si può mettere dell’osso nel seno mascellare  si solleva la membrana di Schneider (importante nel
fare ciò non perforare la membrana e che il pz non abbia infezioni in corso)  si crea una botola e la si
riempie di osso  dopo 3 mesi è completamente rigenerato. Questa tecnica deriva dal fatto che 30 anni fa
un chirurgo si rese conto che le fratture di zigomo, a distanza di tempo, davano un’ ossificazione del seno
mascellare.
Si può usare sia osso autologo che materiali biocompatibili.

La mandibola è più difficile del mascellare superiore perché è un osso corticale, in più la mucosa della
mandibola è difficilmente estensibile, per cui è più facile avere ritardo di guarigione.

Prima si faceva la distrazione ossea, tecnica nata dall’ortopedia per allungare il femore. Anche nel
mascellare si può usare questa tecnica mettendo una placca sulla mandibola alta e una sulla mandibola
alta, con uno stantuffo che se attivato provocava una distrazione progressiva e graduale (1 mm al giorno,
circa) dell’osso. Più si distrae, più sotto si forma un tessuto di guarigione che successivamente va incontro a
osteogenesi. Per 6 mesi il pz doveva avere questa macchina, per cui son stati abbandonati anche per le
complicanze (tante volte il frammento distratto va incontro a necrosi) e si usano solo in pochi casi molto
selezionati; si usano per le craniostenosi o craniofaciostenosi in cui devo allungare segmenti ossei
importanti.

DISTRAZIONE OSTEOGENETICA
La distrazione osteogenetica è la tecnica chirurgica per mezzo della quale si induce la formazione di nuovo
osso separando gradualmente i monconi ottenuti da un’osteotomia chirurgica.
Fasi della distrazione.
• Osteotomia e posizionamento del distrattore
• Fase di latenza: periodo nel quale iniziano i processi di guarigione (5-7 giorni)
• Fase di distrazione: attivazione del distrattore per generare una forza di tensione nel sito chirurgico
(0.5mm due volte al giorno)
• Fase di consolidamento: mantenimento della distanza di distrazione ottenuta per consentire la
completa mineralizzazione dell’osso (6-8 settimane)

Indicazioni alla distrazione dei mascellari.


• Deficit dei mascellari che necessita di essere migliorato in età precoce
• Deficit mandibolare che richiede un allungamento superiore ai 10-15mm
• Ramo mandibolare corto
• Mascellare stretto in un adulto
• Mandibola stretta a V
• Atrofia dei mascellari

Allungamento di Mandibola Ipoplasica.


L’allungamento della mandibola è un processo difficile, che richiede l’applicazione di distrattori intraorali e
distrattori esterni.
Sindrome di Goldhenar
Sindrome di Pierre Robin: sindrome malformativa caratterizzata dall’associazione di una schisi palatina
posteriore incompleta, una retroposizione della mandibola e una glossoptosi. Comporta ostruzione delle vie
aeree e difficoltà alla deglutizione. L’indicazione alla distrazione mandibolare è risolvere l’ostruzione
respiratoria e la sleep apnea legate al deficit mandibolare.

Allungamento della Maxilla Ipoplasica.


Trova indicazioni nelle sindromi craniofacciali (Sindrome di Crouzon, Sindrome di Apert) e nei deficit
mascellari secondari a schisi palatine.
Sindrome di Crouzon: è la più comune tra le craniosinostosi (o craniostenosi), un gruppo di patologie
accomunato dalla precoce fusione delle suture craniche. E’ una malattia autosomica dominante consistente
in una mancata fusione delle suture craniche, ipoplasia del terzo medio della faccia e orbite poco profonde
con proptosi del globo oculare.
Sindrome di Apert: relativamente rara, si manifesta con craniosinostosi, sindattilia, e grave retrusione del
terzo medio facciale con esoftalmo.

Espansione trasversale del Mascellare.


Espansione trasversale di Mandibola.
Indicazioni:
• Mandibola a forma di V
• Perdita dei tessuti mediani in seguito a trauma
• Affollamento dentario

Distrazione Ossea Alveolare.


La distrazione alveolare può rappresentare una alternativa all’innesto osseo nella gestione
preimplantologica a scopo di guadagnare altezza verticale e condizionare la morfologia dell’alveolo senza
ricorrere ad un sito donatore o all’uso di materiale alloplastico.
Indicazioni all’utilizzo dei distrattori alveolari:
• Difetti di cresta alveolare circoscritti della mandibola e del mascellare superiore.
• Atrofia assoluta della cresta alveolare mandibolare.
• Atrofia assoluta della cresta alveolare del mascellare superiore - distretto anteriore.
• Deficit di cresta alveolare da esiti di resezione tumorale.

Protocollo
• Osteotomia e posizionamento del distrattore
• Fase di latenza: periodo nel quale iniziano i processi di guarigione (5-7 giorni)
• Fase di distrazione: attivazione del distrattore per generare una forza di tensione nel sito chirurgico
(che varierà da sede a sede a seconda della capacità rigenerativa locale(o,25-0.5mm due volte al
giorno)
• Fase di consolidamento: mantenimento della distanza di distrazione ottenuta per consentire la
completa mineralizzazione dell’osso (6-8 settimane).
• Fase di maturazione ossea : varierà da sede a sede e sarà il periodo necessario al raggiungimento
delle caratteristiche idonee all’utilizzo dell’osso distratto ( impianti).

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