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STORIA DELLA MEDICINA

Perché studiare storia della medicina? Ippocrate, V secolo AC: “il medico deve sapere ciò che conoscevano i
suoi predecessori, se non vuole ingannare sia se stesso sia gli altri”.
Motivi per cui studiare storia della medicina:
Il progresso della conoscenza e della pratica passa per una successiva capacità di trovare ragioni causali più
chiare e distinte.
Quando ciò avviene si accompagna allo sviluppo necessario di tecnologie con nuovi approcci profilattici e
terapeutici e una nuova organizzazione della sanità pubblica.
La ragione di oggi mostra come tutto ciò sia lineare e ogni casella causale della catena sembra,
retrospettivamente, collocarsi nel suo giusto punto.
In realtà, si tratta di un cambiamento progressivo che avviene in maniera discontinua, ma sempre
confrontandosi con la cultura precedente.
Grandi intuizioni sono state dimenticate e poi riscoperte molti anni dopo (Mendel). L’antico convive con il
moderno (TBC). In passato venivano compiuti errori madornali (salasso).
E’ importante ricordare la troppa facilità con cui alla fine del ‘900 la fede nel progresso aveva pensato di
avere eliminato le patologie infettive. E invece: pandemie influenza, rischio aviaria, nuove malattie (AIDS,
virus emorragici).
È interessante vedere come molte strategie ideate nel passato sia utili ancora oggi. E ciò nonostante
fossero state ideate senza conoscerne le basi biologiche. Un esempio è dato dall’uso della quarantena e
della periferizzazione dei cimiteri, pratiche introdotte all’epoca della Peste Nera del 1348.

La Paleopatologia studia le malattie direttamente nei corpi umani del passato, scheletrizzati o mummificati;
pertanto ha un approccio completamente diverso da quello della Storia della Medicina, che predilige la
storia dei medici e delle terapie, ma studia anche le malattie del passato, basandosi unicamente su fonti
storico-letterarie.
La Paleopatologia riveste un duplice interesse: antropologico e medico:
 Antropologico, perché dalle carestie e dall’incidenza delle diverse malattie del passato è possibile
risalire, indirettamente, alle abitudini e allo stile di vita delle antiche popolazioni.
 Medico, perché lo studio dell’origine di alcune importanti malattie dell’epoca attuale, come il cancro e
l’arteriosclerosi, e la ricostruzione delle origini e delle prime vie di diffusione delle malattie infettive, non
possono non suscitare un forte interesse in Medicina.
Lo studio delle malattie del passato è progredito enormemente in questi ultimi trent’anni, di pari passo con
i progressi della medicina attuale, grazie soprattutto alle nuove tecnologie. Ad esempio:
 L’applicazione degli anticorpi (immunoistochimica) allo studio dei tessuti molto antichi ha permesso
diagnosi più esatte.
 Nuove tecniche radiologiche, come la tomografia assiale computerizzata (TAC), hanno reso possibile lo
studio delle mummie senza metodi invasivi.
 L’applicazione degli elementi in traccia e degli isotipi stabili del carbonio e dell’azoto ( 13C, 15N), ha reso la
paleonutrizione una scienza quasi esatta.
 Lo studio del DNA antico (aDNA) ha rivoluzionato la paleogenetica e la conoscenza delle malattie
infettive del passato.
MEDICINA DELLA PREISTORIA

Dalle medicine istintive (accudimento) a quelle regolari (figura del guaritore). Filoni magici contro filoni
empirici e razionali.
Preistoria:
 Ca 150000 AC: Homo Sapiens
 Ca 50000 AC: inizia l’Era Glaciale
 Ca 12000 AC: finisce l’Era Glaciale
 Ca 10000 AC: inizio dell’Agricoltura

Sappiamo poco sulle malattie, per il fatto che i resti che abbiamo sono scarsi e sono solo ossei. Sappiamo
ancor meno sulla concezione della medicina. Possiamo solo formulare delle ipotesi. Si trattava di una
medicina istintiva, basata sul mutuo soccorso. Si fondava su conoscenze empiriche, e importante era il
ruolo della religione. Fondamentale è il ruolo della scrittura nella nascita di una medicina regolare.

Che malattie aveva l’uomo primitivo?


 Traumi
 Malformazioni
 Alta mortalità infantile e da parto
 Poche malattie infettive
 Poche malattie del metabolismo
 Poche carenze alimentari

Che tipo di medicina praticavano gli uomini primitivi?

Riduzione di fratture e lussazioni


Esempi di trattamenti di fratture ossee:
Ritrovamento dei Neanderthaliani di Shanidar (Iraq): 6 uomini adulti, tutti con fratture.
 Shanidar 1:
- Omero dx: atrofico (da danno neurogeno infantile, o atrofia adulta da non uso per grave trauma?);
inoltre, 2 fratture del terzo distale; la più distale: pseudoartrosi o amputazione?
- Clavicola dx atrofica.
- Frontale dx presenta una cicatrice estesa, con completa guarigione.
- Orbita sx presenta una frattura, completamente guarita.
 Shanidar 4: lesione costale, con grande callo osseo e completa guarigione.
 Shanidar 5: trauma frontale, completamente guarito.

Appare interessante Shanidar 1: uomo di Neanderthal, 30-40 anni. Caratteristiche: cieco a sinistra, artrite,
braccio destro monco. Sicuramente era molto aiutato dai compagni, altrimenti non sarebbe sopravvissuto.
Gli incisivi anteriori consumati fanno supporre che si aiutasse con la bocca a svolgere qualche attività.

Gli uomini primitivi, inoltre, avevano sviluppato dei rimedi per le ustioni, e si occupavano dell’assistenza al
parto.

Importante è il ritrovamento dell’uomo di Similaun (Ötzi), vissuto nell’età del ferro


(5300 anni fa, 2000 anni più vecchio della mummia di Tutankamon). Forse era uno
sciamano, poiché aveva con sé un sacchettino pieno di erbe.
Le condizioni di salute di Ötzi non erano affatto buone: presentava numerose ferite,
fenomeni di artrite degenerativa a livello di articolazioni del rachide e iliache, formazioni
aterosclerotiche a carico delle carotidi interne, dell’aorta e delle arteria iliaca di destra.
La causa della morte fu una ferita di guerra, testimoniata dalla presenza di una punta di
freccia nella spalla sinistra, con ematoma. Ötzi, inoltre, presentava delle fratture ben
ridotte a livello delle coste di sinistra, dalla quinta alla nona.

Altro esempio di medicina praticata dall’uomo primitivo è dato dalla pratica della trapanazione cranica.
Essa era comune presso numerose popolazioni antiche. In crani ritrovati sulle Ande, risalenti a un periodo
che va dal 400 AC al 1500 DC, vediamo segni di questa procedura.
In numerosi crani, osserviamo segni di processi riparativi pregressi, che ci suggeriscono che i pazienti
potevano anche sopravvivere a questa pratica.
Ipotesi che spiegherebbero la trapanazione cranica: trattamento di fratture; trattamento di ematomi;
usanze rituale.

Abbiamo crani con segni di trapanazione risalenti al 3000 AC, e forse addirittura a 10000 anni fa. Questa
pratica era persino descritta da Ippocrate. Fonti che citano la trapanazione cranica:
 Ippocrate, De capitis vulneribus (V secolo AC)
 Celso, 40 DC
 Berengario da Carpi, Tractatus de fractura calvae sive cranei (1518)
 Giovanni Andrea della Croce Ambroise Paré
 Adriano Gualdana, 1623, De cranii perforatione in mania & melancolia
 1800, Per asportazione di tumori (narcosi e antisepsi listeriana)
 Richard Volkmann (1830-89)

Mancando delle fonti scritte, per capire la medicina della Preistoria si devono attuare degli studi
archeologici ed esaminazione dei manufatti; può essere utile il confronto con società preistoriche
contemporanee, come gli Aborigeni. Altri problemi nello studio della medicina preistorica: scheletri non
spesso indicativi, tradizioni sull’inumazione, popolazioni che praticavano caccia e guerra, nomadismo,
difficoltà negli scavi.

Strumenti usati per la medicina nella Preistoria: erbe, pietre, lame.


Importante è il ruolo degli sciamani, che facevano uso prevalentemente di amuleti e riti magici, in quanto la
causa della malattia era ricercata nella religione.

Lo stile di vita era nomade, sano, in quanto gli uomini dovevano praticare esercizio fisico, mangiavano cibi
freschi, non c’era inquinamento; la ridotta densità di popolazione frenava il diffondersi dei germi; era
ridotta l’esposizione agli animali.
Tutto cambia con la rivoluzione agricola: le condizioni di salute peggiorano quando gli uomini diventano
agricoltori e allevatori, ossia nel 12-10mila AC. Il successo della società umana, infatti, porta con sé
l’aumento della popolazione e quello del rischio di epidemie.

MEDICINA IN MESOPOTAMIA

A Babilonia esisteva la figura del medico. Vi erano due tipi di guaritori: uno che lavorava con erbe e pozioni,
l’altro che usava incantamenti e rituali magici.
Un testo medico del 650 AC riporta le descrizioni di malattie che coincidono con quelle di epilessia,
scorbuto e bronchite.
Nel Codice di Hammurabi, risalente al 1750 AC, si menzionano un onorario da pagare ai medici, i doveri e le
responsabilità del medico; c’erano delle sanzioni da pagare per i danni provocati a un paziente.
Presso gli EBREI, la medicina si fondava sul principio teocratico. Nel Siracide (libro della Bibbia), vediamo la
figura del medico che viene rispettata e onorata.
MEDICINA DEGLI ANTICHI EGIZI

Nell’Antico Egitto, osserviamo l’impatto della civilizzazione sulla medicina. Il Nilo, infatti, dà origine a una
nuova civiltà.

La produzione di cibo diventa superiore alle necessità effettive. Il cibo prodotto in eccesso veniva
immagazzinato per un uso futuro o commerciato. Non tutti hanno necessità di coltivare la terra, per cui si
sviluppano commerci e attività di vario genere.

Si sviluppa un sistema gerarchico, favorito dalla ricchezza; si forma un’élite aristocratica. Il ricco può pagare
i subalterni e condurre una vita senza lavoro fisico e con tempo per pensare, ciò permette quindi che si
abbiano nuove idee, si creino nuove invenzioni, si introducano nuove attività.

L’avvento dei geroglifici determina la nascita di un nuovo tipo di scrittura; si scrive sui papiri, si dipinge.
L’uso dei geroglifici permette il trasferimento di nuove idee, alle popolazioni di tutto l’Egitto e alle
generazioni successive. La civiltà diventa più sofisticata.

Artigiani, commercianti e operai preferiscono vivere nelle città, che quindi si sviluppano. Abbiamo la nascita
dell’economia urbana e di un nuovo stile di vita, con nuovi rischi per la salute. L’igiene personale diventa
importante, il lavoro pubblico permette la realizzazione di un sistema idraulico, dei bagni, del sistema
fognario.
La medicina era fondata sulla religione, ricca di dei ed estremamente complessa.

Una fase fondamentale era la 'pesatura dell'anima' o psicostasia, in cui il cuore, sede dell'anima secondo
gli Egizi, veniva posto su un piatto della bilancia e contrapposto ad un piuma, che simboleggiava la dea
Maat, la giustizia. Se i piatti restavano in equilibrio, il defunto accedeva al regno di Osiride, che presiedeva
alla pesatura con un tribunale di 42 divinità, altrimenti il temibile Apofi (una bestia mostruosa) era pronto a
divorarlo.

Venne elaborato il rituale funebre dell’imbalsamazione, diretto dai sacerdoti; questa procedura richiedeva
tecniche e strumenti sofisticati, tuttavia non è da considerarsi una pratica propriamente medica, in quanto
veniva eseguita sui cadaveri, per cui si aveva grande rispetto (l’autopsia era proibita) e non si sa quanto
delle conoscenze acquisite dagli imbalsamatori fosse passato ai medici.
La pratica dell’imbalsamazione derivò dall’osservazione della mummificazione naturale nelle sabbie calde
del deserto:

L’imbalsamazione era un complesso rituale, che poteva essere fatto con vari sistemi, dai più cari ai meno
costosi. Fonti che parlano di questa pratica: Erodoto (V secolo AC), papiri, dipinti.
Varie figure partecipavano all’imbalsamazione: imbalsamatore, sezionatore, operai, falegnami, danzatori.
La mummificazione era praticata perché credevano che il ka, lo spirito, ritornasse a prendere possesso del
corpo, che doveva rimanere integro.
Il processo più costoso includeva vari passaggi, il cui scopo principale era l’arresto della decomposizione
tramite l’eviscerazione e la disidratazione. Si praticava un’incisione addominale sul fiano sinistro, son
asportazione dei visceri; talvolta, l’asportazione poteva essere fatta dall’ano. I visceri venivano prima
disidratati nel natron (carbonato idrato di sodio) e poi posti insieme a spezie nei canopi (che erano inseriti
nella tomba), oppure reimmessi nella cavità addominale in quattro pacchetti; altre volte, i visceri erano
posti in un unico pacchetto che veniva messo sulle gambe.

Il cuore era considerato sede dell’intelligenza e della forza vitale, pertanto veniva conservato; il cervello
veniva invece rimosso e scartato.
Dopo la rimozione degli organi interni la cavità veniva lavata con vino di palma speziato e riempita con
natron, resine e vegetali. Si lasciava quindi a bagno nel natron per 70 giorni (ma ne bastano 40).
Quando il corpo era disidratato l’addome veniva ricomposto, talora con i pacchetti dei visceri. Poi l’incisione
veniva richiusa, le narici otturate con resina o cera e il corpo bagnato con oli e resine per prevenire la
decomposizione o per contrastare l’odore; gli effetti sulla conservazione erano scarsi, si usavano
essenzialmente pratiche cosmetiche.
Il lavoro dell’imbalsamatore è descritto da Erodoto, greco in visita in Egitto nel V secolo: “Dapprima
prendono un pezzo di metallo ricurvo e con questo asportano parte del cervello dalle narici e poi sciacquano
via il resto con droghe. Poi eseguono un taglio sul lato del corpo con una pietra affilata e asportano l’intero
contenuto dell’addome. Dopodiché riempiono la cavità con mirra, cassia e altre spezie e il corpo è posto nel
natron per 70 giorni.“
Gli imbalsamatori avvolgevano la mummia in bende di lino, tra le quali includevano amuleti. Lo scopo delle
bende era quello di impedire il rigonfiamento del corpo. Inoltre impediva il contatto con l’aria, riducendo la
deteriorazione. Infine, il corpo era irrorato con una resina e si procedeva all’inumazione.
Le due forme meno costose di eviscerazione secondo Erodoto non comportavano l’eviscerazione totale.
Una di queste, praticata anche per gli animali, includeva l’inserimento di olio di cedro nell’ano. Poi il corpo
veniva trattato con il natron. Infine, l’olio veniva allontanato dal corpo insieme agli intestini e allo stomaco.
Rimanevano la pelle e lo scheletro.
Nelle epoche più tardive si eliminava il cervello con un uncino inserito dalle narici passando attraverso
l’etmoide (rottura della lamina cribrosa); i frammenti venivano asportati con una spatola. Altre volte si
giungeva al cervello tramite un’orbita o dalla base cranica. Poi il cranio veniva riempito con strisce di lino
imbevute di resina.
Nella ventunesima Dinastia divenne di uso corrente una pratica introdotta nella mummificazione del
faraone Amenhotep III: l’inserzione di materiale sotto la pelle di gambe, collo e braccia, e nella bocca.
Talora venivano inseriti occhi artificiali nelle orbite. La pelle veniva dipinta di ocra rossa nel caso degli
uomini, di giallo nel caso delle donne. Si usava inserire capelli finti o boccoli tra i capelli naturali. Queste
tecniche vennero adottate fino alla ventitreesima Dinastia.
Nella pratica della mummificazione concorrevano:
 Il sezionatore, che praticava l’incisione. Si trovava negli strati più bassi della scala sociale a causa
dell’impurità rituale associata con il suo ruolo. Era a rischio sanitario.
 Lo scriba che soprassedeva al lavoro.
 L’imbalsamatore vero e proprio, che conduceva le cerimonie e il bendaggio, presiedeva al
procedimento, portando la maschera di Anubi. Gli imbalsamatori erano una speciale classe di sacerdoti,
erano considerati professionisti specializzati. La professione era ereditaria.
 C’erano operai e falegnami che preparavano le bare e le figurine funerarie.
 C’erano danzatori.
Metodi di studio delle mummie: RX e TAC, studi dentali (età, dieta, stato di salute), paleoistologia
(reidratazione, fissazione, colorazione di sezioni di tessuto), immunoistochimica, analisi del DNA, analisi
chimiche.

Mummia ignota (1881, Valle dei Re) La mummia straordinariamente


ben conservata di Seti I
Mummia di donna anziana identificata come Yuya, padre di Tiye
la Regina Tiye, moglie di Amenhotep III

Il natron, mistura di sodio bicarbonato NaHCO 3 e di carbonato idrato di sodio: Na 2CO3·10(H2O), si trova in
natura e il suo nome deriva dalla parola latina con cui si indicava la soda. In Egitto esistevano numerosi
depositi e, per la sua proprietà di assorbire l'acqua e di aumentare il pH in ambiente umido, era utilizzato
per l‘imbalsamazione.

Nell’Antico Egitto, il rapporto tra medicina e religione è ben stretto.


I medici erano consultati solo dai ricchi.
I sacerdoti proponevano medicine alternative rispetto a quelle offerte dai medici. Molto usati erano gli
amuleti.

Imhotep fu il medico del faraone Zozer (2600 AC, III Dinastia). Fu consigliere, architetto di alcune piramidi
(tra cui Saqquara), guaritore, autore del papiro Edwin Smith, sacerdote. Praticava cure con le erbe. Può
essere considerato come la prima figura di medico dell’antichità. Divenne un dio della medicina per Greci
(prototipo di Esculapio) ed Egizi.

Ci sono giunti almeno sette papiri a carattere medico. Risalgono alla dodicesima-ventesima Dinastia (2000-
1090 AC), ma la maggior parte riportano un sapere più antico, fino alla quarta Dinastia. I due più antichi, i
frammenti Kahun e Gardiner (ca 2000), descrivono malattie di donne, bambini e bestiame. I 7 papiri medici
includono 3746 righe.

I due papiri più importanti sono i papiri di Smith e di Ebers (XVII-XVI secolo AC). Dimostrano che trattati di
grande importanza matematica e medica sono originati nello stesso periodo, il Regno Medio e l’inizio del
Regno Nuovo, appena prima dell’era imperiale, quando l’Egitto dominava il mondo. Questi due papiri, da
soli, costituiscono il 74% delle pagine di tutti e sette i papiri medici.
 Il papiro di Edwin Smith risale al 1700 AC circa, anche se si riferisce ai tempi di Imhotep; è dello stesso
periodo del papiro matematico di Rhind; consta di 469 righe. Una parte del papiro parla del trattamento
chirurgico delle ferite e di malattie chirurgiche. È interessante notare una trattazione sistematica delle
malattie: dalla testa ai piedi (ma il frammento si ferma alle spalle). Ha una descrizione dettagliata del
cervello.
Il papiro di Ebers risale al 1500 AC circa; fu scoperto da George Ebers a Luxor nel 1873; consta di 110
pagine, 2289 righe. Contiene spiegazioni su cure delle malattie, uso di erbe, rimedi usati dagli dei,
descrizione dei tumori, riporta anche il caso di un “tumore contro il dio Xenus”. È presente un elenco di 877
ricette, illustra una grande varietà di malattie e sintomi, solo in 12 casi cita incantesimi; è difficile, spesso,
capire a quale malattia si facesse riferimento. Vi si trovano descrizioni di malattie relative agli organi interni,
a patologie di occhio, testa (lingua, denti, naso, orecchie, da cosmesi), delle donne; è ricco di informazioni
di anatomia (nomina organi quali la milza, il cuore, l’ano, i polmoni) e fisiologia e di nozioni su malattie
chirurgiche.
Possiamo ritrovare formule, incantesimi, rimedi:
 “Queste parole devono essere pronunciate sulla persona ammalata. ‘O Spirito, maschio o femmina, che
stai nascosto nella mia carne e nei miei arti, vattene dalla mia carne!"
 “Vieni! allontana le cose malvagie dal mio stomaco e dai miei arti. Chi beve questo sarà curato come già
gli dei furono curati."
 “Questo incanto è veramente eccellente - ha avuto successo molte volte”
Rimedio per la calvizie: “grasso di leone, grasso di ippopotamo, grasso di gatto, grasso di coccodrillo, grasso
di ibis, grasso di serpe, mescolati insieme e usati per ungere la testa della persona calva”.
Dal papiro di Ebers: “46 vasi vanno dal cuore ad ogni arto, se un medico pone la mano sul retro della testa,
delle mani, dello stomaco, delle braccia o dei piedi, allora sente il cuore. Il cuore parla attraverso ogni arto. "
“Ci sono 4 vasi diretti alle narici, 2 producono muco, 2 sangue; ci sono 4 vasi nella sua fronte; ci sono 6 vasi
che vanno alle braccia; 6 vasi che vanno ai piedi; ci sono 2 vasi che vanno ai testicoli e sono questi che danno
il seme; ci sono 2 vasi ai glutei."
I medici egizi formularono la teoria del Nilo, che era un tentativo di spiegare le origini della malattia e le sue
cause derivato dall’osservazione della natura e dalle loro conoscenze sul fiume Nilo. Nei canali (fiumi),
abbiamo mescolanza di aria e sangue; il canale scorre dalla testa alle estremità. La malattia può essere
causata dal blocco dei canali, per cibi andati a male, con rilascio di gas; si impedisce il flusso normale.

Gli Egizi avevano conoscenze di anatomia e fisiologia, avevano capito che c’era un collegamento tra polso e
cuore ma non avevano intuito l’esistenza della circolazione. Avevano identificato cervello e meningi, e
sapevano che il cervello controlla certe parti del corpo. Tutto questo 2000 anni prima di Ippocrate.

Dalla tomba di Iry, medico di fiducia di un faraone della VI Dinastia (2625-2475), sappiamo che era anche
“medico degli occhi di palazzo” (oculista), “medico dello stomaco e degli intestini di palazzo”
(gastroenterologo), aveva titoli di “quello che conosce i liquidi interni” (urologo) e “guardiano dell’ano”
(gastroenterologo). Quindi esistevano specializzazioni mediche.

Per quanto riguarda gli strumenti del medico, ne sono stati trovati molti esempi in rame; se ne fa menzione
in un’incisione nel tempio di Kom Ombo (epoca dell’occupazione romana). Si usavano spatole in avorio,
oro, argento o legno per applicare unguenti nelle regioni ammalate; la rappresentazione di dei sulla spatola
introduce il concetto di religione nella medicina. Si utilizzavano piante medicinali, come possiamo capire
dalle incisioni.
Strumenti del medico:

1) coltelli; 2) trapano; 3) sega; 4) pinze; 5) incensiere;


6) ganci; 7) borse chiuse da cordini; 8-10) contenitore a
becco; 11) vaso per bruciare incenso; 12) occhi di
Horus; 13) bilance; 14) vaso con fiori dell’Alto e Basso
Egitto; 15) vaso su un piedistallo; 16) rotolo di papiro
senza nodo laterale (o cartella per contenere canne);
17) cesoie; 18) cucchiai.
Veniva praticata la circoncisione, come testimoniato da una rappresentazione risalente alla VI Dinastia.

Che malattie avevano gli Egizi?


 Artrosi, osteoporosi
 Traumi (fratture)
 Tumori
 Infezioni (osteomieliti, tubercolosi: 31 mummie)
 Spesso morivano durante il parto (diastasi ossa del bacino nella mummia)
 Ascessi dentari (drenaggio)
Terapia: erbe (oppio).

Tubercolosi: vediamo la rappresentazione di un giardiniere con probabile processo tubercolare che ha


portato alla formazione di un gibbo a livello cervico-toracico. Anche altre raffigurazioni, e molte mummie.

Si tratta probabilmente del morbo di Pott. La crescita di un ascesso nel corpo vertebrale può danneggiare
l’osso fino a renderlo incapace di sostenere il peso del tronco. Dal momento che l’arco neurale, indenne,
fornisce un supporto, il collasso coinvolge inizialmente la parte anteriore del corpo vertebrale, che assume
una forma a cuneo, provocando la formazione del caratteristico “gibbo”.

Mummia del sacerdote Nesperha (XXI Dinastia) con morbo di Pott e ascesso dello psoas.
Altro caso: soggetto con vertebre lombari con tipica osteolisi anteriore; inoltre, estese adesioni pleuriche
del polmone sinistro per flogosi cronica della pleura.

Uso dell’analisi del DNA:


 PCR con primer specifici per Mycobacterium tuberculosis da DNA di osso antico (incluso il caso
precedente).
 123 bp (IS6110) (Lanes 2-11, mummia, Lanes 12-14, controlli).I campioni che mostravano amplificazione
di IS6110 sono stati confermati con digestione enzimatica (HaeIII) e sequenziamento diretto.

Nelle mummie egizie sono stati identificati i tipi di M. tuberculosis. Non è mai stato trovato il M. bovis.

Mummia della regina Hatshepsut: raccolta di campioni, preparazione di questi per l’analisi del DNA, analisi
del DNA antico (aDNA).

I. Yuya (maschio) e Thuya (femmina): matrimonio.


II. Tiye (femmina, figlia di I) sposa Amenhotep III.
III. Dalla loro unione si hanno Akhenaton e una figlia femmina (mummia KV35L, sconosciuta), che si
sposano.
IV. Dall’unione di fratello e sorella nasce Tutankhamon, che ha due figli (i feti) da Tut e che sposa
Ankhensenpaaton, di 13 anni, figlia di Akhenaton e Nefertiti.

Akhenaton, apportò modificazioni alla religione, infatti soppresse tutti gli dei tranne Aton, il sole. La
mummia presenta dolicocefalia, palatoschisi, anomalia dei denti del giudizio, lieve scoliosi. Si credeva fosse
figlio del re minore Smenkhare o di Amenhotep III, il padre del faraone eretico Akhenaton.
Tutankhamon (nome originale Tutankhaton, “che onora Aton”) ha regnato dal 1341 al 1323 AC. Era figlio di
Akhenaton. Howard Carter scoprì la sua tomba intatta, nella Valle dei Re, nel 1922. Tutankamon muore a
19 anni (era alto 1,70 metri). Subisce una frattura del femore un paio di giorni prima dell’exitus. Era affetto
da malaria, questa quindi pare essere la causa di morte. Contrariamente a quanto si pensava inizialmente,
la causa della morte non è stata omicidio, infatti la lesione a carico del cranio consegue all’operazione per
eliminare il cervello che si fa durante la mummificazione. Presentava un piede piatto, oligodattilia,
cifoscoliosi, palatoschisi, anomalie dentarie, overbite. Era affetto da osteomielite.

Uno dei feti

I tumori avevano un’incidenza meno elevata nell’antico Egitto rispetto a oggi. L’età media di vita era
inferiore a quella odierna, per cui il tumore non aveva il tempo di insorgere. Inoltre, nel passato non erano
presenti molti dei fattori ambientali ritenuti responsabili della trasformazione neoplastica (inquinamento,
fumo di sigaretta, alcuni farmaci, eccetera). Sussistevano comunque degli agenti cancerogeni, quali
radiazioni ultraviolette, sostanze chimiche presenti in natura (aflatossina B1, griseofulvina, cicasina, safrolo,
noci di Betel) e virus oncogeni.
Un elemento che non deve essere trascurato è il fatto che si possono diagnosticare solamente i tumori
primitivi o metastatici che abbiano lasciato un’evidenza a livello scheletrico. I tumori diagnosticati nei
tessuti molli, in effetti, sono piuttosto rari. Vi sono almeno 60 casi di tumore, suddivisi in 6 categorie
diagnostiche:
 Osteosarcoma
 Mieloma multiplo
 Carcinoma metastatico osteolitico
 Carcinoma metastatico misto (osteolitico e osteoblastico)
 Carcinoma nasofaringeo
 Altri tipi, non assimilabili a queste categorie
È stata riscontrata la presenza dell’aterosclerosi.

Qual è il lascito degli Egizi? La Grecia e Roma conquistarono l’Egitto e acquisirono molte teorie e pratiche
egizie; i medici egizi, inoltre, erano molto richiesti nell’antica Grecia. Importante fu il ruolo della biblioteca
di Alessandria.
Rispetto all’epoca preistorica, della medicina egizia abbiamo:

Novità Aspetti che non cambiano


Medici Rimedi con erbe
Tentativo di spiegare le cause delle malattie Ruolo degli dei e degli spiriti
(teoria del Nilo)
Si identificano le parti del corpo Scarsa conoscenza sul funzionamento interno del corpo
Nuove erbe importate da altre popolazioni Nessuna idea delle cause di malattia
Strumenti di metallo L’opera del medico è pagata
Alcune misure di sanità pubblica
Compare il concetto di igiene
MEDICINA GRECA

Con i Greci, la logica viene applicata alla medicina.


La medicina aveva ancora uno stretto rapporto con la religione. Il dio della medicina era Apollo, ma c’era
anche un semidio medico: Esculapio, rappresentato con la verga su cui si arrampica un serpente.

Il bastone di Esculapio simbolizza l’arte medica. Il serpente è un simbolo di fertilità e di rinascita, poiché
cambia la pelle; il bastone è simbolo dell’autorità.
Esculapio è figlio di Apollo e di una donna (secondo Esiodo e Pindaro). Nasce da parto cesareo praticato da
Apollo. Viene affidato a Chirone, il centauro, che gli insegna l’arte medica (secondo Omero). Chirone è il dio
della chirurgia.
Il tempio di Esculapio era l’Asclepeion; famosi templi sono quelli di Cos, Epidauro, Pergamo. I pazienti
andavano a dormire nel tempio sperando di vedere il dio o le figlie in sonno e di essere guariti.
Nell’Asclepeion erano custoditi dei serpenti. Si aveva la cosiddetta incubatio, che prevedeva:
 Preliminari: digiuno, astensione dai rapporti sessuali.
 Sonno su una pelle di capro nero (divinità ctonie).
 Manifestazione del dio, accompagnato da un corteo di cani e serpenti.
 Indicazione della cura, con offerta da parte dei pazienti di ex voto.
Nell’incubatio il paziente veniva indotto in una specie di trance ottenuta bevendo vino e per
autosuggestione. Tra le offerte votive, alcune rappresentavano il seno (ascesso mammario, cancro, o
eczema?) o le vene varicose.

Altre divinità della medicina erano: Igea (Salus, in latino), figlia di Esculapio e dea della salute e della pulizia
(igiene); Panacea, sempre figlia di Esculapio e guaritrice di ogni male.
C’è anche Macaone, chirurgo, figlio di Esculapio, che viene menzionato nel IV libro dell’Iliade, perché
accompagna Agamennone in battaglia e cura Menelao ferito. Anche suo fratello Polidario è medico e viene
menzionato da Omero.

L’epoca Micenea è caratterizzata da grandi espansioni geografiche. In questo periodo, l’Arte del medico
inizia a distinguersi dalle attività religiose, e la figura del medico inizia a separarsi dal quella del sacerdote.
I Greci cercano le risposte in base alla logica.
È un periodo di grandi innovazioni e cambiamenti: perché?
 Le Città-Stato sono competitive e cercano di distruggersi l’una con l’altra.
 C’è una ben definita struttura gerarchica della società.
 Le classi sociali più elevate hanno tempo libero mentre il cibo e il lavoro sono forniti dalle classi inferiori.
 I Greci sono obbligati a navigare per il commercio.
 Per questo sono costretti ad avvicinarsi al mondo della natura (venti, maree, stelle, tempeste, eccetera).

Iniziarono a mettere in dubbio il ruolo degli dei nel mondo: non avevano mai visto Poseidone quando c’era
una tempesta in mare, né Efesto durante l’eruzione di un vulcano. Credevano sempre negli dei, ma
cominciarono a ritenere il loro ruolo meno importante nella natura.
I Greci cominciarono a farsi delle domande sul mondo naturale in cui vivevano: nacque la filosofia.
Domande: da dove vengono le cose? Di cosa sono fatte? Come funziona il mondo?
Studiarono matematica, geometria, astronomia, filosofia, politica e medicina.
I Greci credevano molto nell’equilibrio, infatti svilupparono la geometria e l’algebra; credevano che tutte le
cose dovessero bilanciarsi.

Ippocrate di Kos (460-375 AC) è considerato il padre della medicina. Le conoscenze sulla medicina degli
antichi Greci sono contenute nel Corpus Ippocraticus.

Contemporaneo di Platone, fu il maggiore rappresentante della scuola di Cos; viene citato da Platone e
Aristotele. Ippocrate separò la medicina dal culto e dalla filosofia, dando inizio a un nuovo modo di
interpretare la medicina.
Nasce nella famiglia degli Asclepiadi. Il padre, Eracleide, gli insegna l’arte medica. Lui stesso insegnò ai figli,
medici, Tessalo e Dracone, e al genero, Polibio.
È considerato il padre della medicina moderna perché: definisce l’etica medica occidentale; fissa la tecnica
in forma scritta; definisce il metodo; il suo procedere si basa su “observatio et ratio”, si danno quindi le
risposte a partire dall’osservazione del mondo.
Ogni essere vivente è costituito da 4 elementi: fuoco, acqua, terra, aria. I medici ippocratici iniziarono a
pensare che le cause di molte malattie fossero naturali e non soprannaturali. Iniziarono a osservare e a
descrivere i sintomi, partendo dall’osservazione della realtà: temperatura, urine, colore del viso, pallore,
sangue, vomito, sudorazione, diarrea.
Ippocrate credeva che il corpo umano (microcosmo) contenesse 4 liquidi o umori, espressione dei 4
elementi e collegati alle 4 stagioni (macrocosmo). Se la patogenesi era umorale, l’eziologia era cosmica.
L’uomo era inserito nell’ambiente e queste sono le cause di malattie. I 4 umori erano: flegma, sangue, bile
gialla, bile nera. Le malattie derivavano da 3 cause: ambiente, traumi e regime.
I medici pensavano che ciascuno dei 4 elementi avesse caratteristiche specifiche, e che fossero collegati alle
stagioni, così come agli umori.

 Sangue: umore tiepido, dolce, temperato, rosso, prodotto nelle vene meseraiche e derivato dalle parti
più temperate del chilo del fegato. Il suo ruolo è di nutrire l’intero corpo, di dargli forza e colore, poiché
è diffuso in ogni sua parte. E da esso deriva lo spirito, dapprima formato nel cuore, da cui tramite le
arterie è diffuso in ogni parte del corpo. È associato all’elemento aria e alla primavera.
 Collera o bile gialla: è calda e asciutta, costituita nelle parti più calde del chilo e raccolta nella cistifellea.
Controlla il calore e i sensi. È associata all’elemento fuoco e all’estate.
 Melancolia o bile nera: fredda e asciutta, densa e amara, derivata dalla parte più amara del cibo,
purificata dalla milza, controlla gli umori sangue e collera, li preserva nel sangue e nutre le ossa. È
associata all’elemento terra e all’autunno.
 Pituita o flemma: umore freddo e umido, formato nel fegato a partire dalla parte più fredda del chilo
(succo bianco derivato dalla carne digerita nello stomaco). È associata all’elemento acqua e all’inverno.
La predisposizione deriva dalla costituzione umorale specifica di ognuno.
Importante è quindi l’equilibrio degli umori: “un esatto equilibrio dei quattro umori costituisce l’uomo sano
e permette la produzione corretta dei processi di digestione e assimilazione”. I medici Greci applicano la
logia alla teoria dei 4 elementi; notano che uno o più di questi umori tende a essere presente quando i
pazienti manifestano i sintomi di una malattia. Quindi, ad esempio:
 Il vomito è causato da un eccesso di bile gialla.
 Il raffreddore deriva da un eccesso di flegma.
 La diarrea significa eccesso di bile nera.
 Il volto caldo e arrossato significa troppo sangue.
Se i 4 umori sono perfettamente bilanciati allora si è in perfetta salute. Ma se c’è squilibrio occorre
intervenire, eliminando gli eccessi: si pratica il salasso, se si pensa che ci sia troppo sangue; si induce il
vomito, se si pensa che ci sia troppa bile gialla. Questo approccio, noto come osservazione clinica
sistematica, è identico a quello usato dai medici di oggi.

Medico visita un giovane paziente Salasso

“Per prima cosa il medico deve guardare il paziente in volto. Se sembra uguale a come è di solito, questo è
un buon segno. Altrimenti, i seguenti sono cattivi segni: naso affilato, occhi infossati, orecchie fredde, pelle
asciutta sulla fronte, uno strano colore del volto, come nero, verde, rosso o bronzo o piombo. Il medico deve
chieder al paziente se ha perso il sonno o ha la diarrea o non ha mangiato”.
I medici ippocratici realizzarono che era molto importante raccogliere l’anamnesi della malattia del
paziente e dei trattamenti praticati. In questo modo potevano formulare la prognosi, ma spesso non la
diagnosi, e individuare quali trattamenti fossero efficaci e quali no.
“Sileno ha la febbre. È iniziata con dolori addominali, pesantezza della testa, collo rigido. Il primo giorno ha
vomitato, le urine erano scure. Il secondo giorno la lingua era asciutta, non ha dormito la notte. Il terzo
giorno delirava. Il quarto giorno non ha evacuato dall’intestino, non ha urinato, febbre alta. L’ottavo giorno,
sudore freddo su tutto il corpo, esantema, urine amare ed emesse con dolore. Undicesimo giorno, morte”.
I medici ippocratici ritenevano che la prevenzione fosse la miglior cura, e incoraggiavano a mantenere
l’equilibrio degli umori tramite una dieta ottimale e l’esercizio fisico. Il regime era il complesso di regole per
governare il proprio corpo secondo i dettami dell’igiene; non seguire le regole poteva essere una causa di
malattia.
In caso di malattia i medici ippocratici ritenevano che “la natura fosse il miglior guaritore”. Consigli:
 Cibi caldi e passeggiate veloci in inverno.
 Cibi freddi e poco esercizio fisico in estate.
 Zuppa d’orzo per le malattie polmonari.
 Aceto e miele per il flegma.
 Bagni per espellere il flegma in eccesso.
Quindi, per la medicina ippocratica era necessario curare ogni malattia con il suo opposto: ad esempio,
ponendo agenti essiccanti su aree umide, oppure emollienti su aree aride.
Guidato dalla vis sanatrix naturae, l’organismo risponde con una reazione generale a tutte le cause di
malattia, dando manifestazioni sistemiche, come la febbre e manifestazioni locali, come l’infiammazione
(rubor, tumor, dolor, calor); quest’ultima è sede della materia peccans, l’umore corrotto in eccesso che
deve essere eliminato per il recupero della salute (ubi pus, ibi evacua).
Morbo sacro = epilessia.
La terapia, dato che credevano che la malattia derivasse da una discrasia nel rapporto tra i 4 umori, doveva
quindi essere basata sulla liberazione dalle sostanze nocive, quindi dell’umore in eccesso. Ecco perché si
praticava il salasso e si usavano sostanze emetiche, purganti, espettoranti, diaforetiche.
Per curare una malattia, occorre capirne le cause. Es. della ferita: cause chiare, una violenza esterna
determina distruzione dei tessuti e deflusso di sangue. Nella malattia (nosos), le sostanze possono non
essere chiare; i sintomi clinici comprendono la sofferenza (pathos). Occorre valutare:
 Aspetto (facies hippocratica)
 Passato del paziente
 Stato attuale
 Comportamento nel sonno e nella veglia
 Escreti
 Variazioni del fisico durante la malattia
Pratiche usate: osservazione, palpazione, succussione.
Le conoscenze della medicina greca sono contenute in molti libri che formano il Corpus Ippocraticus. La
collezione ippocratica è molto importante perché è la prima lista di sintomi e terapie. Vengono scritti 60
libri nel corso di 150 anni. La tradizione ippocratica fu raccolta dai medici di Alessandria.
Nel Corpus Ippocraticus si hanno: trattati di chirurgia, che trattano di ferite, traumi, ustioni, fistole,
emorroidi, trapanazione cranica; Le Epidemie; Delle arie, delle acque e dei luoghi; Il morbo sacro (epilessia);
doveri del medico; precetti; gli Aforismi (compendio dei precetti da imparare a memoria.
La dottrina degli umori è descritta in “Sulla natura e sull’uomo”, attribuito a Polibio (genero di Ippocrate). La
medicina ippocratica è stata il cardine della scienza medica fino al XVIII secolo, ed era un importante
argomento di studio. La cornice del metodo ippocratico ha potuto accogliere sempre tutte le maggiori
spiegazioni che via via si sono identificate. Nel Corpus Ippocraticus vediamo un’introduzione all’etica
medica: i medici erano legati a un nuove codice professionale, il giuramento di Ippocrate, a cui aderiscono
anche i medici di oggi; importante è il “primum, non nocere!”. Questo è il testo del giuramento antico:

“Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dei tutti e per tutte le dee, chiamandoli a
testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto:
Di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha
bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla;
Di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio
maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.
Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recare
danno e offesa.
Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio;
similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.
Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male
della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.
In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario,
e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.
Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini,
tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, considerando tali cose come un segreto.
E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e
dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro.”

Analisi del testo:


1) Introduzione e formula iniziale: affermo con giuramento che per Apollo medico, Esculapio, Igea e
Panacea, che per quanto me lo consentiranno le mie forze e il mio pensiero adempirò a questo mio
giuramento che prometto qui per iscritto.
2) Il compromesso: giuro di considerare come padre colui che mi iniziò e mi fu maestro in quest’arte, di
assisterlo con gratitudine e di fornirgli quanto possa occorrergli per il nutrimento; giuro di considerare i
suoi figli come miei fratelli, di insegnar loro senza compenso e senza obbligazioni scritte, se vorranno
apprendere quest’arte; giuro di far partecipi delle mie lezioni e spiegazioni di tutta intera questa
disciplina tanto i miei figli quanto quelli del mio maestro, e così tutti i discepoli che abbiano firmato e
giurato di volersi dedicare a quest’arte e nessun altro all’infuori di essi.
3) La terapeutica:
 Il regime di vita: prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga, per quanto mi sarà
permesso dalle mie cognizioni; li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa.
 La farmacologia: giammai somministrerò medicamento fatale; mai ad alcuna donna suggerirò
prescrizioni che possano farla abortire; serberò casta e pura da ogni delitto sia la vita mia sia la mia
arte.
 La chirurgia: non opererò i malati di calcoli, lasciando tale compito agli esperti di quell’arte.
 La visita domiciliare: in qualsiasi casa entrerò, baderò soltanto alla salute degli infermi; farò questo
rifuggendo ogni sospetto di ingiustizia e corruzione, e soprattutto dal desiderio di illecite relazioni con
donne o con uomini, siano essi liberi o schiavi.
 Il segreto: tutto quello che durante ed anche all’infuori di essa avrò visto e avrò ascoltato sulla vita
comune delle persone e che non dovrà essere divulgato, tacerò come cosa certa.
4) Conclusione-clausola finale:
 Benedizioni: che io possa, se avrò con ogni scrupolo osservato questo mio giuramento senza mai
trasgredirlo, vivere a lungo e felicemente nella piena stima di tutti e raccogliere copiosi frutti della
mia arte.
 Maledizioni: che se invece io lo violerò e sarò quindi spergiuro, possa capitarmi tutto il contrario.

Alcune clausole non sembrano perfettamente conciliabili con quello che conosciamo della Grecia classica e
degli scritti ippocratici. Ad esempio, il profondo rispetto per la vita sembra più affine alla filosofia pitagorica.
Anche la differenziazione tra medico e chirurgo sembra più tipica del Medioevo.
Vedi giuramento attuale.

Nella medicina greca, si distingue la figura del medico da quella del sacerdote, si cerca una spiegazione
della malattia basata sulla logica e sull’osservazione sistematica del paziente; vengono introdotte
l’anamnesi e la prognosi; compare la deontologia professionale; il medico fonda una scuola, ecco quindi
l’importanza della didattica. Tuttavia, la terapia è ancora molto deficitaria, la medicina si basa
essenzialmente sulla prevenzione; i medici forniscono una prognosi, ma quasi mai una diagnosi.

Parte del pensiero di Ippocrate venne accolto da Aristotele (384-322 AC). La medicina venne quindi accolta
nella filosofia della natura; si elaborò un rapporto ragionato tra le varie parti del corpo. Viene introdotto il
concetto di pneuma, una sostanza inosservabile che spiega la trasmissione degli impulsi nel sistema psico-
fisico, e che si genera spontaneamente; nel cuore si localizzano pneuma e calore; l’aria espirata raffredda il
corpo. La medicina è pervasa dalla visione finalistica: la natura non fa nulla invano.

Alla fine del IV secolo venne introdotta la dissezione e cambiarono le concezioni anatomiche. Influenzato
dal contemporaneo Aristotele, Diocle di Carystos produsse il primo libro sulla dissezione negli animali.
L’anatomia umana, invece, nacque fuori dalla Grecia, ad Alessandria d’Egitto. Importante fu la figura di
Alessandro Magno (336-323 AC) aveva portato la cultura greca fuori dall’Egeo. Anche se il suo regno si
frammentò alla sua morte, i suoi successori mantennero la cultura greca (ellenistica). Tolomeo dal 323 al
282 governò l’Egitto e creò ad Alessandria un grande centro di cultura che faceva capo alla biblioteca, e che
divenne centro della cultura medica. Presso la scuola alessandrina, nel 280 AC due medici,
simultaneamente, iniziarono lo studio del corpo umano. Erofilo di Calcedone esaminò la struttura degli
organi interni e diede il nome al duodeno, sezionò l’occhio e, seguendo il suo maestro Anassagora,
considerò il polso come guida per verificare lo stato di salute. Erasistrato di Ceos sezionò il cervello e mise
in discussione l’insegnamento ippocratico, infatti riteneva che i vasi non portassero il sangue, bensì lo
pneuma; per Erasistrato, il sangue derivava dal vuoto temporaneo causato dall’apertura del vaso ed era
prodotto nel fegato a partire dagli alimenti e poi andava al cuore; lo pneuma, invece, permetteva il
movimento della muscolatura, ed era alimentato dall’aria.
Ad Alessandria nacquero le sette mediche, che discutevano accesamente su vari argomenti. Si affermarono
la medicina dogmatica, la medicina empirica e la medicina metodica:
 I dogmatici si basavano sulla teoria.
 Gli empirici si opponevano alla medicina dogmatica, poiché ritenevano che la medicina dovesse
interessarsi alla pratica e non ai ragionamenti speculativi.
 I metodici (il primo fu Asclepiade di Bitinia) fondavano il loro agire su sull’osservazione del fenomeno,
sul concetto di comunità (qualcosa del malato percepito dal medico grazie al ragionamento) e quindi
sull’indicazione.

MEDICINA A ROMA

Dal 250 AC Roma si impone nel mondo, vengono conquistate Spagna e Francia; nel 100 DC si estende a sud
della Scozia, Reno e Danubio, Sahara, Israele e ai confini dell’Iraq.
I Romani ammiravano la cultura della Grecia, che divenne una provincia romana; alcuni medici greci
arrivavano a Roma come schiavi i liberti, altri erano attirati dai salari. Se il medico greco godeva di buona
reputazione, allora la spiegazione che egli forniva della malattia era ritenuta plausibile. Nel I secolo AC,
Cesare concesse la cittadinanza ai medici greci che operavano a Roma. La professione medica non era
prerogativa delle classi dominanti, prima della conquista della Grecia i Romani non avevano medici di
professione; il pater familias, infatti, svolgeva anche alcune funzioni curative.

Importante è stato il lavoro di Plinio il Vecchio (23-79), perché nella sua Historia Naturalis sono presenti
molti libri che trattano di conoscenze in campo medico.

È da ricordare la figura di Aulo Cornelio Celso, che scrive De re medica, in cui raccoglie il pensiero greco in
campo medico; tuttavia, non era un medico.

La medicina romana apporta una sistematizzazione della medicina greca, non è quindi innovativa.
Importante è l’attenzione rivolta all’aspetto igienico-sanitario, nasce infatti il concetto di Salute Pubblica:
vengono formulate regole sulla sorveglianza degli alimenti, si costruiscono acquedotti, fognature, bagni
termali e terme, si dà grande rilievo ai servizi di medicina (es. valetudinaria dell’esercito), si afferma l’arte
della pratica chirurgica. I bagni erano anche un luogo di socializzazione.

Bagni pubblici Città romana: l’acqua entra, gli scarichi escono


Struttura di un bagno:

Camera per vestirsi


Latrine
Bagno freddo
Camera fredda o Frigidarium
Camera Tiepida o Tepidarium
Camera molto calda
Bagno molto caldo o Calveus
Camera asciutta calda
Bollitori o Vasarium

Latrine pubbliche presso il Vallo di Adriano

Nelle latrine, si pulivano con spugne comuni che sciacquavano nell’acqua corrente dei canali di fronte alla
toilette e poi riponevano in un vaso comune. Non si usava il sapone, ma il bagnante era prima posto a
sudare in una stanza riscaldata, poi veniva cosparso di olio, lo sporco veniva allontanato con lo striglio, che
aveva una lama metallica.
I bagni avevano un efficiente sistema di riscaldamento.

Celso, nel V e nel VI libro, focalizza la sua attenzione sulle malattie cutanee quali funghi, acne, forfora,
papillomi. Ovidio (morto nel 18 DC) scrive il De Medicamine faciei, dove sono descritti emollienti, idratanti e
pulizia, e una ricetta per mantenere la pelle chiara.

I Romani praticavano la chirurgia, diverse procedure chirurgiche sono descritte da Paolo di Egina (625-690):
rimozione di tumori, trattamento degli aneurismi, taglio obliquo della litotomia, cura dell’ernia inguinale
(con resezione del sacco), incisione di ascessi, estrazioni dentarie, amputazione con il metodo a lembo,
legatura e torsione dei vasi a scopo emostatico, realizzazione di suture e fibule, cura della cataratta,
tracheotomia, taglio cesareo.

Galeno di Pergamo, medico greco a Roma, divenne il padre della medicina insieme
a Ippocrate; le sue teorie divennero dogmi da accettare pedissequamente per
secoli. Nacque in Grecia (a Pergamo, in Turchia) nel 129 DC. Studiò per dieci anni, di
cui cinque ad Alessandria (dal 152 al 157); lavorò ad Asclepio dal 157 al 162, anno in
cui si trasferì a Roma, dove divenne medico della Scuola dei Gladiatori fino al 166. Si
mise quindi in evidenza presso l’imperatore Marco Aurelio, di cui divenne medico
personale; morì a Pergamo tra il 210 e il 216.
Galeno non è diventato famoso per le sue idee innovatrici, ma piuttosto per aver
diffuso le teorie greche, quali quella dei 4 umori, le conoscenze di anatomia e
fisiologia, i disegni e gli scritti. Galeno riunisce in un unico sistema la filosofia aristotelica della natura, la
medicina alessandrina e quindi l’anatomia, la clinica ippocratica e la pratica della dissezione sull’animale
(soprattutto maiali, ma anche scimmie e un elefante).
Dissezione di maiale

Galeno diffuse la teoria ippocratica dei 4 umori nell’Impero Romano, apportandovi anche dei
miglioramenti. Egli formula la teoria degli opposti, per il mantenimento dell’equilibrio: ad esempio, applica
il cetriolo freddo per attenuare la febbre, consiglia l’esercizio fisico per le persone deboli e il canto per le
malattie toraciche. L’idea dell’equilibrio, della moderazione e dell’esercizio fisico regolare viene accettata e
praticata dai Romani.
Galeno mantiene la teoria dei 4 umori:
 Il sangue è umido e caldo come l’aria.
 Il flemma è freddo e umido come l’acqua.
 La bile gialla è calda e secca come il fuoco.
 La bile nera è fredda e secca come la terra.
Famose sono le sue massime, che si basano sull’equilibrio dell’organismo
 Aer
 Cibus et potus
 Motus et quies
 Somnus et vigilia
 Excreta et secreta
 Affectus animi
Si tratta di caratteristiche da adattarsi alle costituzioni individuali nell’armonia del cosmo.
Per quanto riguarda l’anatomia, Galeno fece sua la teoria ippocratica dell’osservazione del corpo. Praticò la
dissezione dei cadaveri, cosa che gli era stata insegnata ad Alessandria, tuttavia di animali (maiali, cani,
scimmie), commettendo così degli errori grossolani nella descrizione dell’anatomia umana (era convinto, ad
esempio, che il cuore avesse due camere). Trascrisse meticolosamente le sue osservazioni.
Per quanto riguarda la fisiologia, Galeno utilizzò i dati derivati dalle dissezioni su animali e dai suoi
esperimenti per spiegare il funzionamento del corpo umano. Secondo Galeno:
 Il cervello controlla il linguaggio.
 Importante è il ruolo dei nervi.
 Le arterie trasportano una mescolanza di sangue e aria (pneuma).
 Il sangue viene prodotto dal fegato.
 Il sangue viene continuamente prodotto e usato dal corpo.
 Sulla base di molte affermazioni di Aristotele, che fu il primo a considerare la digestione degli alimenti
come una sorta di cottura (concotio) che avveniva nello stomaco, Galeno affermò che gli alimenti, che
contenevano le sostanze nutritizie, dopo la concotio, attraverso le vene meseraiche (allora non si
conoscevano i vasi chiliferi), venivano portati al fegato. Mentre per Aristotele l’organo più importante
era il cuore, per Galeno era il fegato.
 Nel fegato, il materiale diventava sangue e si arricchiva di uno spirito, chiamato spirito naturale. Gran
parte di questo sangue dal fegato andava in periferia, attraverso le vene, dove veniva consumato come
nutrimento. Una parte, invece, attraverso la vena cava, passava al cuore, sede in cui arde la fiamma
vitale, e qui si arricchiva diventando spirito vitale. In particolare, il sangue giungeva al cuore destro,
passando dai polmoni, e da qui attraverso un foro, passava al cuore sinistro.
 Dal cuore sinistro, attraverso le arterie, il sangue giungeva soprattutto al cervello, passando prima
attraverso il sistema mirabile, posto nel collo. Nell’encefalo, il sangue si arricchiva dello spirito animale,
quindi, attraverso i nervi, considerati il terzo sistema di vasi, giungeva in periferia dove poteva dare la
vita.

C’erano quindi due tipi di sangue: arterioso, che dai polmoni arrivava al cuore; venoso, prodotto dal fegato
a partire dagli alimenti. I due tipi di sangue si mescolavano nel cuore sinistro, ma non c’era circolo, infatti il
sangue veniva consumato in periferia.
Quindi, la circolazione secondo Galeno prevedeva:
 Formazione nel fegato dello spirito naturale, che passava nel sangue venoso per la nutrizione della
periferia (che quindi avveniva grazie alle vene).
 Arricchimento, nel cuore, e formazione dello spirito vitale, che diventava sangue arterioso, garantiva il
calore del corpo e il movimento, infatti passava nelle arterie e di qui in periferia.
 Nel cervello si formava lo spirito animale, rappresentato dal flegma, ossia razionalità, sensazioni; era
veicolato dai nervi.
La teoria degli spiriti era compatibile con le tre religioni monoteistiche.
Galeno commise diversi errori, tra i quali:
 Considerava i sistemi arterioso e venoso come indipendenti l’uno dall’altro.
 Il sangue venoso, secondo lui, scorreva anche verso la periferia.
 Pensava ci fosse un setto interventricolare forato, che determinava mescolanza di sangue arterioso e
venoso.
La teoria di Galeno non presupponeva una circolazione del sangue, bensì solo un movimento; a suo
giudizio, si muoveva secondo il moto delle maree. Tale teoria era facilmente confutabile, infatti se fosse
stata vera il sangue sarebbe dovuto essere presente in quantità enorme: infatti, se man mano che giungeva
in periferia si consumava, era logico che se ne sarebbe dovuto produrre in grande quantità in
continuazione; per confutare tale teoria sarebbe stato sufficiente sgozzare un animale e osservarne il
dissanguamento, come fece 1500 anni dopo Harvey.
Secondo la teoria di Galeno, inoltre, a livello del cervello il sangue veniva filtrato e si creava uno spurgo,
rappresentante ciò che di impuro il sangue conteneva e che, attraverso la lamina cribrosa (chiamata così
per l’appunto) colava giù dando origine alle lacrime.
La teoria galenica non era fondata su basi sperimentali, e portò alla cristallizzazione di tutto il sapere
medoco-scientifico, in quanto si sposava bene con la dottrina cristiana. Nel 1500, al tempo del grande
medico Vesalio, era ancora valida.
Tra le trattazioni rese così inaccettabili, oltre a quella sul sangue vi è quella anatomica, fondata sullo studio
di animali e quindi senza alcuna funzionalità pratica. Ancora nel Medioevo si credeva che l’omero umano
fosse curvo e che quelli dritti fossero ingannevoli scherzi della natura.
Galeno assunse la teoria olistica greca per spiegare come il corpo fosse un tutto integrato: ogni cosa ha un
suo scopo (finalismo); ogni organo ha uno scopo specializzato, ma ciascuno ha bisogno degli altri. Ciò
andava d’accordo con le religioni monoteiste.
Galeno aveva fatto sue le teorie greche riguardo l’osservazione dei pazienti e la descrizione dei casi clinici:
scrisse e riportò le sue procedure mediche. Fu uno scrittore prolifico, fu autore di più di 300 libri, di cui 150
sono sopravvissuti fino ad oggi, che costituirono la biblioteca della medicina occidentale fino a 1500 anni
dopo Galeno (errori compresi).
Galeno si propone come medico personale dell’imperatore, scrivendo un curriculum vitae. Esso in include:
nome per esteso, luogo e data di nascita, istruzione, esperienze di lavoro pregresse, pubblicazioni, giudizio
personale sulle conoscenze mediche.

La medicina romana presenta elementi di continuità e innovazioni rispetto a quella greca. I Romani fanno
proprie le dottrine ippocratiche, approfondendole (soprattutto per quanto riguarda lo studio di organi e
sistemi); tuttavia, a Roma non si crea una scuola di medicina. Gli insegnamenti di Galeno vengono raccolti
dalla scuola tardo-alessandrina.
Nella vita dei Romani assume grande importanza l’igiene, così come la prevenzione e un corretto stile di
vita (regimen sanitatis); la salute deriva dall’incontro tra la physis (predisposizione naturale) e il nomos (la
regola di vita).
L’organizzazione sanitaria prevede la realizzazione di bagni, terme e strutture volte a garantire un buon
livello di igiene. Importante è l’organizzazione professionale dei medici: archiatri di corte, medici dei soldati,
medici per il popolo, vulnerarii (medici per i gladiatori). Sorgono anche i valetudinaria, complessi
ospedalieri militari.

L’elevata quantità di materiale scheletrico rinvenuto nelle ormai numerose necropoli indagate dalla
Soprintendenza Archeologica di Roma rappresenta un’eccezionale fonte di conoscenza per ricostruire la
storia del popolo romano. Benché una dettagliata documentazione antropologica e tafonomica, registrata
in fase di scavo, sia disponibile per decine di necropoli e migliaia di sepolture, non è ancora stato possibile
esaurire l’esame antropologico e, soprattutto, paleopatologico per la maggior parte di queste. Allo stato
attuale delle ricerche, sono state studiate almeno un migliaio di sepolture di epoca imperiale, per lo più
appartenenti ad aree del suburbio romano.
In fase di studio è invece la più grossa necropoli mai rinvenuta, quella della Serenissima, riferibile al
contesto urbano con circa 2200 sepolture recuperate e documentate in fase di scavo.
Interessante è il caso di un bambino tra i 3 e i 5 ani d’età che presenta una grave iperostosi porotica sul
tavolato cranico esterno e nelle orbite (cribra orbitalia); il bambino era affetto da anemia. A livello cranico è
presente una reazione ossea diffusa di tipo perivascolare (per meningite). La superficie esterna dell’osso
mascellare e dello zigomatico presenta periostite, osservabile anche nella mandibola e negli arti superiori.
Nella necropoli di Serenissima-Basiliano vi è anche un caso di rachitismo, si tratta di una donna tra i 27 e i
37 anni d’età. Le tibie e la fibula sinistra sono marcatamente curvate, con riduzione staturale (alta 1,40 m) e
ipoplasia dello smalto.

Il rachitismo è una malattia che colpisce i bambini nei primi anni di vita, causata da una deficienza di
vitamina D, indispensabile per il metabolismo del calcio, che provoca una demineralizzazione delle
cartilagini di accrescimento e delle ossa. Le principali risorse di vitamina D sono nel cibo (ad es. pesce) e
nella luce solare: il 90% della vitamina D assorbita dal corpo umano deriva dalla fotosintesi della pelle. Al di
là dei dati antropologici, la prima descrizione del rachitismo nella città di Roma proviene dal medico Sorano
di Efeso (I sec. d.C.), che riporta come i bambini ne fossero colpiti. La diffusione del rachitismo in una città
“baciata dal sole” come Roma, può essere dovuta alla forte urbanizzazione ed alla scarsità di luce solare
nelle insulae. Inoltre, è probabile che i bambini, strettamente e completamente fasciati, fossero poco
esposti alla luce solare, così come riportato da Galeno: “…le donne (ed i loro figli) restavano in casa senza
affaticarsi in strenui lavori né esponendosi alla luce diretta del sole”.
La presenza di malattie infettive come la meningite o metaboliche come il rachitismo sono riconducibili,
quindi, a condizioni di vita scadenti, tipiche di un contesto fortemente urbanizzato.

Un altro esempio di malattia infettiva è quello di un caso di tubercolosi riscontrato nella necropoli di Via
Nomentana, riferibile a un insediamento rurale. Si tratta di un uomo robusto di circa 25-35 anni d’età, il cui
tratto toracico della colonna vertebrale presenta alcune importanti alterazioni patologiche. I corpi
vertebrali da T6 a T12 mostrano erosioni e alterazioni che hanno portato alla fusione di due vertebre (T7 e
T8), con perdita dello spazio intervertebrale e a un’evidente cifosi della colonna. L’esame radiografico e
tomografico (TAC) ha evidenziato alterazioni erosive e riassorbimento osseo, la presenza di una cavità
circolare e la fusione dei corpi vertebrali di T7 e T8. La diagnosi differenziale ha mostrato che le alterazioni
trovate sono compatibili con la spondilite tubercolare.

Nella documentazione paleopatologica i casi descritti in epoca romana sono scarsi ma, come riportato da
Plinio il Giovane, la tubercolosi sembra essere stata largamente diffusa nell’antica Roma, probabilmente a
causa del sovraffollamento cittadino. I prodotti di allevamento e agricoltura rifornivano quotidianamente
Roma e il traffico tra campagna e città era intenso e continuo, pertanto la diffusione di malattie infettive
come la TBC doveva essere facilitata da questi contatti tra centro urbano e comunità agricole circostanti.
Un caso di tubercolosi dalla necropoli di Serenissima-Basiliano (area urbana): si tratta di un ragazzo di 19-22
anni, con un’evidente periostite localizzata sul lato interno di alcune coste. Quest’individuo aveva anche la
clavicola destra fratturata e risaldata, inoltre, presentava cribra cranii e orbitalia di media gravità.

Caso di ipertrofia dei turbinati dovuta a sinusite in due individui adulti provenienti dalla necropoli di
Serenissima-Basiliano (area urbana):

Numerosi sono gli esempi di patologie traumatiche. Sempre dalla necropoli di Serenissima-Basiliano (area
urbana) vediamo: un caso di frattura della diafisi del femore destro al di sotto del piccolo trocantere; un
caso di frattura del polso, in cui la produzione di un callo osseo ha causato la fusione (anchilosi) delle ossa
carpali con due metacarpali.

Dalla necropoli di Osteria del Curato (contesto suburbano) abbiamo 3 casi:


1) Frattura non ricomposta e non risaldata (pseudoartrosi) a metà della diafisi del femore destro; è
evidente l’abbondante produzione di osso neoformato. La mancata o insufficienze immobilizzazione
dell’arto impedì al callo osseo di riparare e consolidare la frattura.
2) Frattura del terzo distale della diafisi di un femore sinistro. In questo caso, l’arto è stato probabilmente
immobilizzato ma l’osso non è stato ricomposto correttamente e il callo osseo ha riparato la frattura in
deformità.

3) Frattura dell’estremità dorsale di tibia e fibula sinistra. L’abbondante callo osseo ha determinato la
fusione delle due ossa.

Lato anteriore Lato posteriore: particolare

MEDICINA DI BISANZIO E DEL MONDO ISLAMICO

Nel 476 DC cade l’Impero Romano d’Occidente e iniziano le invasioni barbariche, che determinano una
regressione della cultura e della pratica medica; vengono perse le tradizioni greche e quella di Galeno, i libri
vengono distrutti in Occidente. Fortunatamente, la tradizione viene tramandata dall’Impero Romano
d’Oriente e dagli Arabi, oltre che dai monaci. La medicina di Galeno, infatti, viene trasmessa all’Islam e alla
medicina monastica; di qui originerà la Scuola Salernitana.

Bisanzio era la capitale dell’Impero Bizantino o Romano d’Oriente, che già nel 395 DC con la morte di
Teodosio si era separato da quello d’Occidente; nel 1453 cederà all’Impero Turco. Era popolato da Cristiani
ortodossi e mantenne vive le tradizioni greco-romane per 1000 anni, incluse la medicina, le biblioteche, i
manoscritti; vi era però scarsa comunicazione con l’Europa occidentale. Venivano ancora usate le terapie
naturali. Vengono costruiti in questo contesto i primi ospedali, privati e non religiosi. La cultura bizantina
era molto ricca e sofisticata. Bisanzio risentì della contestuale ascesa dell’Islam; in origine venne chiesto
aiuto al Papa contro i Mussulmani, ma nel 1204 vi fu la caduta di Costantinopoli in mano ai Crociati, e
l’impero latino si divise in tre Stati bizantini. Nel 1453, i Turchi Ottomani conquistarono Costantinopoli.
L’ascesa dell’Islam avviene velocemente e l’arabo diventa la lingua comune in Oriente. I principali centri
islamici sono La Mecca, Baghdad, Alessandria, Damasco, Gerusalemme, Costantinopoli. Questo permette la
creazione di un ponte tra le diverse culture: si ha, tramite le conquiste, l’esposizione a diverse tradizioni, tra
cui quella greca, quella indiana, quella cristiana. Gli studiosi islamici avevano accesso a libri tradotti in arabo
custoditi nelle biblioteche, come quella di Baghdad.

Traduzione in arabo di Ippocrate


Gli Arabi fusero nozioni di medicina popolare preislamica con la dottrina greca e latina. La migrazione del
sapere fu favorita dall’esilio di Nestore, vescovo di Bisanzio, e dei suoi seguaci, giudicati eretici dal Concilio
di Efeso (431). Gli Arabi diffusero la cultura greca in Persia e l’arabo divenne la lingua della scienza.

Gli Arabi, come si evince dal Corano, nutrono profondo rispetto per lo studio e per il sapere; traducono i
libri di tutte le nazioni vicine o conquistate. Consideravano molto importante l’igiene, nel Corano leggiamo
che è importante lavarsi sempre le mani prima delle preghiere, e viene menzionato lo spazzolino da denti.
Si parla di cura del malato e del povero, ma non si parla di medicina; quindi il musulmano poteva accettare l
teorie di Galeno. Le autopsie erano proibite. Uno dei concetti del Corano era che non bisognava toccare il
corpo umano per evitare che uscisse il sangue, in quanto insieme a esso sarebbe uscita anche l’anima; in
Oriente, quindi, le norme proibivano la dissezione nelle 24 ore successive alla morte (nella religione
cattolica non vi è nessun ostacolo di carattere religioso alla dissezione poiché il corpo è qualcosa di
secondario, ciò che conta è l’anima), e per ovviare a ciò gli Arabi inventarono il dermocauterio per praticare
l’emostasi. Si facevano guarire le ferite per seconda intenzione, infatti gli Arabi cauterizzavano la ferita,
quindi all’escara faceva seguito la suppurazione; si veniva a creare il pus, “bonum et laudabile” come diceva
Galeno, e applicavano la massima “ubi pus, ibi evacua”; tutto veniva fatto rispettando l’iter terapeutico del
tempo, ma spesso portava il paziente alla morte.
L’osservazione clinica era ritenuta molto importante.

I medici arabi erano molto esperti e colti, erano influenzati dalle tradizioni classiche (Galeno, Ippocrate) e le
salvarono, traducendo libri, e spesso cercarono, pur senza criticare, di razionalizzare Galeno; erano tutti
filosofi oltre che scienziati, per questi medici la teoria era più importante della pratica. I medici arabi,
inoltre, erano soliti usare dei farmaci.

Al-Rhazes (IX-X secolo) fu direttore dell’Ospedale di Baghdad. Si ritiene che abbia identificato vaiolo, la
varicella, la rosolia, il morbillo.

In una raffigurazione si osserva un medico mentre prepara la teriaca, un farmaco contro le morsicature da
parte di ogni animale velenoso; la preparazione era estremamente complessa, e alla sua base c’era della
carne di vipera.

Un famoso medico e chirurgo arabo fu Albucasis (X-XI secolo), di Cordova at-Tasrif. Era in grado di curare la
cataratta (figura), operava il taglio cesareo (sebbene non praticasse l’anatomia), usava di anestetici naturali,
praticava la cauterizzazione, impiegava di uncini e forcipe, praticava metodi abortivi, correggeva in modo
cruento i calli ossei deformi, effettuava la litotomia, usava un catetere d’argento per curare patologie
vescicali, operava ernie e gozzi, effettuava suture, applicava protesi dentarie.
Importante è la figura di Ibn-Sinna o Avicenna (X-XI secolo), direttore dell’ospedale di Isfahan (Persia).
Scrisse il Canone della Medicina, che ordinava tutta la medicina in 5 libri e che venne utilizzato per i
successivi 600 anni.
Viene ricordato anche Averroè, figlio di Moses ben Maimon (Maimonide ebreo, XII secolo), filosofo e
medico.

Avicenna in cattedra che fa lezione

Ibn an-Nafis scopre che il sangue attraversa i polmoni. Inoltre, praticava estrazioni dentarie (figura).

I medici arabi utilizzavano piante come farmaci: un esempio è dato da mandragora e oppio:

Gli alchimisti arabi erano figure importanti. Cercavano di produrre l’oro e, anche se fallirono, diedero
origine alla chimica; svilupparono apparecchi scientifici; impararono a identificare, purificare e separare i
composti chimici.

Gli Arabi esercitavano la psichiatria, avevano manicomi e praticavano la terapia della musica; nel campo
dell’igiene dentale, inventarono protesi dentarie in legno; erano esperti nel trattamento della cataratta; per
quanto riguarda l’infettivologia, introdussero i concetti di isolamento e quarantena, di ospedale come luogo
costruito grazie a donazioni e in cui mantenere delle condizioni igieniche ottimali.
Ospedale di Al-Mansou

Le conoscenze dell’Islam arrivano in Europa. Le Crociate mostrarono quanto fosse rimasta indietro l’Europa
rispetto al mondo islamico; i medici islamici erano scioccati al vedere l’ignoranza degli Europei; molti
Crociati preferirono praticare la medicina islamica, poiché era più efficace di quella cristiana.
La Spagna fu un regno Islamico fino all’anno 1100, poi venne lentamente conquistata dai Cristiani. La
celebre biblioteca di Cordoba conteneva libri tradotti in latino, molti vennero ritradotti e tra questi vi erano
quelli di Galeno e Ippocrate; durante la traduzione, vennero notati molti degli errori.
Le abitudini igieniche degli Arabi si scontrarono con quelle, molto arretrate, degli Europei (basti pensare
che il re di Francia ancora nel 1600 si lavava una volta all’anno).

Molti termini arabi sono rimasti nella pratica medica, tra questi si ricordano:
 sciroppo
 alcol
 alchimia
 alambicco

Gli Arabi fondarono diversi ospedali; va ricordato, inoltre, quello di Gerusalemme, sorto per mano degli
Ebrei nel 60 DC. Nel 400 erano molti gli ospedali in Asia Minore, dopodiché apparvero anche in Italia, Nord
Africa e Francia. Quello di Costantinopoli si chiamava Ospedale Pankrator, era stato costruito nel 1136 e
aveva 200 letti, in particolare era così organizzato:
 50 letti per ammalati in 5 sezioni
 12 letti solo per donne
 10 letti per fratture-ferite
 8 letti per occhi e stomaco
 5 farmacisti
 Cuochi, panettieri
La popolazione cittadina, tuttavia, contava ben 300mila persone.

Mentre nell’Oriente Arabo si sviluppò una società avanzatissima, basata soprattutto sul patrimonio antico,
classico, sorretta dalla nascente concezione islamica, in cui si traducevano e si commentavano testi antichi
e si studiava Aristotele, in Occidente questo fu invece il periodo dell’oscurantismo, e si tornò alla medicina
teturgica; i Santi curavano le malattie (figura).
MEDICINA MEDIEVALE

Alto Medioevo: 500-1000 DC.


Con le invasioni barbariche, mentre in Oriente si sviluppava una cultura molto avanzata, in Europa si assiste
a un periodo di oscurantismo, in cui la medicina è teturgica, la società crede nell’azione salvifica dei Santi e
delle reliquie, nei miracoli.

Proprio quando l’invasione longobarda aveva reso più tragiche le condizioni delle popolazioni romane
dell’Occidente travolte nella grande catastrofe dell’Impero, andarono prendendo sempre maggior le
istituzioni ecclesiastiche e religiose che, nell’orrore del primo medioevo barbarico, dovevano rivelarsi come
le forze costruttive più efficaci della nuova civiltà. Tra esse il monachesimo, nei secoli che vanno dal IV
all’VIII, è forse la più importante. In mezzo a un’età di sovrani analfabeti e di pauroso regresso della civiltà
verso i limiti inferiori della primitività, nei monasteri benedettini gli amanuensi infaticabili, negli scriptoria,
continuano a copiare le opere degli scrittori antichi cristiani e pagani. I grandi monasteri benedettini
rimangono, per tutto il Medioevo, come centri di luce in mezzo alla tenebra circostante. Accanto al
monastero di Montecassino, fondato da San Benedetto da Norcia (480-543), sorsero sempre più numerosi
monasteri, fra cui quelli di Nonantola nell’Emilia, di Farfa nella Sabina, di San Vincenzo al Volturno nell’Italia
meridionale, della Novalesa in Val di Susa. Essi accolsero tra le loro mura tanto latini che barbari, favorendo
la fusione tra i due popoli, mantennero in vita le tradizioni culturali dell’antichità e del cristianesimo,
operando potentemente a diffondere la civiltà tra i Longobardi.

L’Alto Medioevo è caratterizzato dagli “anni bui” (500-1050), in cui si assiste a una profonda regressione
economica, specie nelle città. La medicina è ora operata dalla Chiesa: le scuole di medicina si localizzano nei
monasteri e vicino alle cattedrali. Nasce la figura del Santo-specialista, esempi: San Rocco specializzato nel
curare la peste, Sam Biagio che pone rimedio ai mali della gola.

Dal 313 il Cristianesimo diviene religione ufficiale dell’Impero. Come tra gli Ebrei, la concezione della
medicina è ambigua, perché si divide tra la fede nella preghiera e nei miracoli e l’importanza di prestare
cure ai malati. Le dottrine di Galeno non sono in contrasto con la fede cristiana e sono quindi accettate.
Per la dottrina cristiana bisogna preoccuparsi più dell’anima che del corpo. Le malattie rappresentano una
punizione divina. Tuttavia, bisogna curare gli ammalati, come ha fatto Gesù; per questo a ciò si dedicarono i
monasteri.

Dopo la caduta del regno arabo, gli scienziati della Spagna musulmana si rifugiarono soprattutto in Francia,
a Montpellier, e in Italia, a Salerno, dove fiorì la cosiddetta Scuola salernitana che, secondo la leggenda, fu
fondata poco prima dell’anno 1000 da un ebreo, un greco, un arabo e un latino (Elino, Ponto, Adela e
Salerno): si ha una summa di 4 filoni culturali. La Scuola salernitana si pone come un punto di incontro tra
culture diverse, tutte significative per il loro apporto alla scienza medica. Costituisce la prima scuola medica
laica prima della nascita delle università, insieme alla scuola di Montpellier. Il galenismo viene reintrodotto
tramite gli Arabi e si traducono i testi di Galeno e Ippocrate in latino, dall’arabo; molti libri ritornarono
quindi disponibili. Si osserva una forte influenza araba nel linguaggio di medicina, farmacologia e chirurgia.
Si ha una riscoperta di Aristotele.
La Scuola salernitana

L’origine della Scuola salernitana (definita anche Domus sanitatis) risale attorno all’820, quando fu fondata
una struttura in cui operavano, accanto ad ecclesiastici provenienti da Montecassino, anche laici che, come
docenti, trasmettevano le loro competenze in materia di medicina. Produssero molti testi di autori diversi.
Da un’impostazione pratica si passò a una visione sempre più teorica. I testi erano sotto forma di
commentario, come quelli teologici e di grammatica. Gli autori discussero molto su come collocare la
medicina tra i saperi dell’uomo, i quali, secondo Costantino l’Africano (1018-1087) erano:
 etica
 logica
 teorica, che comprende:
- metafisica
- matematica
- fisica, che include la medicina.
Quindi la medicina è parte delle scienze della natura.
Presso la Scuola salernitana, la Medicina viene divisa in due parti: teorica, che si occupa della ricerca delle
cause; pratica, che studia i segni. Il medico era uno studioso, colto in tutte le parti del sapere.
Il modello della Scuola salernitana si basava sulle Quaestiones salernitanae, ossia 1) quaestio e 2) risposta
concisa. Era necessario anche imparare opere in versi, che in questa forma erano facili da memorizzare per
il medico. Al 1170 secolo risale il Regimen Sanitatis Salernitanum (Flos Medicinae), opera in 362 versi.
Si adotta la teoria dei 4 elementi, che sono ancora sangue, melancolia (bile nera), collera (bile gialla) e
flegma, e a ciascuno di essi corrisponde un temperamento: al sangue corrisponde il temperamento gioviale,
alla melancolia quello amoroso, alla bile gialla quello collerico e al flegma quello flemmatico.

La Scuola salernitana offre numerosi consigli sui comportamenti da tenere per mantenersi in buona salute,
in particolare su quelli che è necessario evitare: non si deve eccedere nelle pratiche amorose, non bisogna
leggere a lume di candela, non ci si deve sforzare nella defecazione, non bisogna eccedere nel vino. È
importante, quindi, condurre una vita sana, senza gli eccessi che condurrebbero a uno squilibrio tra gli
umori. Ritornarono i principi dell’igiene, anche corporale, e della salubrità dell’aria.
Frontespizio del Regimen Sanitatis (1170)

Nel Medioevo le donne non potevano frequentare l’università. Nella Scuola salernitana, tuttavia, è
documentata l’attività di un certo numero di figure femminili, che i documenti trasmettono con l’epiteto di
“magistrae”, “matronae” e “mulieres salernitanae”, che testimonia un ruolo sociale più alto di quello
riconosciuto alle semplici levatrici, che in qualche caso sembra avvicinarsi anche alla docenza.
Importante è la figura di Trotula (o Trocta o Trota), che viene definita “magistra” e
“sapiens matrona” e cui è stata attribuita una serie di opere scritte a partire dal XVI
secolo, in particolare il De mulieribus passionibus antes, in et post partum (XIII secolo).
L’esistenza di Trotula è dibattuta, secondo la leggenda nasce nel 1050 e appartiene a
una nobile famiglia salernitana (di Ruggiero); Trotula è moglie di un medico salernitano,
Giovanni Plateario, e madre di Giovanni Plateario il Giovane e di Matteo Plateario,
autore di un famoso erbario. Sarebbe stata anche una medichessa, vera magistra di
fama tale da essere assurta alla dignità della docenza presso la Scuola salernitana. A lei
sembra doversi riferire una citazione dell’Historia Ecclesiastica di Ordericus Vitalis, in
cui si dice che un famoso medico, Raffaele Malacorna, in visita a Salerno, affermava di non aver trovato in
città nessuno più esperto nell’arte medica di quanto non lo fosse lui stesso, fatta eccezione per una
“sapiens matrona”. Inoltre, il famoso manoscritto Practica secundum Trotulam, conservato a Madrid,
dimostrerebbe l’esistenza della donna.Il De mulierum passionibus è opera collettiva di autori diversi, uomini
operanti a Salerno o sotto la diretta influenza della Scuola salernitana nella prima
metà del XIII secolo; costituisce la summa della dottrina e della pratica della
scuola medica salernitana nel campo dell’ostetricia e della ginecologia.
Il De passionibus mulierum curandarum (Trotula maior) è un manuale di
ostetricia, ginecologia e puericultura. Contiene rimedi e prescrizioni, spesso
semplici o semplicistiche, per le malattie delle donne e tratta di aspetti
prettamente femminili quali il ciclo mestruale, la gravidanza, il parto e i relativi
rischi e complicanze, i disturbi fisiologici, le malattie a carico dell’utero, l’isteria. Ci
Visita medica medievale dal sono anche consigli e suggerimenti per il vomito, le malattie cutanee e i morsi di
Trattato di chirurgia di serpente; i rimedi sono tratti dall’erboristeria dell’epoca, sono somministrati sotto
Teodorico da Lucca forma di infusi, decotti e fumigazioni; trovano posto indicazioni magiche,
superstizioni, fantasticherie, che si spingono fino al consiglio di pratiche decisamente singolari, come quella,
in casi estremi, di bere preparati a base di urina e feci di animali o della stessa paziente. Vi sono indicazioni
sul trattamento di amenorrea e oligomenorrea e sulla dieta che deve tenere la nutrice; secondo quanto
scritto nel De mulierum curandarum, il latte deriva dal sangue mestruale purificato e riscaldato nel fegato.
Cause possibili di menorragia, secondo il trattato, possono essere l’eccesso di cibi o bevande, l’eccessivo o
lo scarso calore nel sangue, con conseguente aumento del flusso di bile gialla, bile nera o flegma, o una
patologia intrinseca all’utero, che risulta quindi pieno di umori corrotti; è interessante notare come sia
indicata la possibilità che, a seguito del persistere di tali perdite, la donna possa dimagrire fino alla morte, la
metrorragia è vista quindi come sintomo iniziale di un carcinoma uterino. Vi è una dettagliata descrizione
del dolore mestruale (“Sentit mulier in coxis, anchis et tibiis gravedinem cum multo dolore”) e vi è una
sezione, il “De impedimento conceptionis”, dell’infertilità maschile e femminile; secondo il trattato, le
“voglie” debbono
essere rispettate ed esaudite, pena il rischio di aborto (“non nominetur coram ipsa quod non possit haberi
quia, si postulaverit et non detur ei, dat occasionem abortiendi”).
Si danno indicazioni per la gestione del parto, in base a diversi possibili modi in cui può presentarsi il feto
(come indicato in un codice medico del XIV secolo) al momento della nascita: “Si autem puer non egrediatur
eo ordine quo debet, ut si prius tibiae vel brachia exeant, assit obstetrix cum parva et suavi manu,
humectata in decoctione seminis lini […] reponendo puerum in locum suum, ordine recto”.

Vi è anche il De mulierum ornatu (Trotula minor), un manuale contenente indicazioni su come conservare e
migliorare la propria bellezza e su come curare le malattie della pelle, mediante tutta una serie di precetti e
consigli. Insegna come eliminare le rughe, il gonfiore dal volto, le borse dagli occhi, i peli superflui, come
donare candore alla pelle, nascondere le lentiggini e le impurità, come lavare i denti ed eliminare l’alitosi,
come tingersi i capelli, come depilarsi e come curare le screpolature di labbra e gengive; tutto questo
prevedeva l’uso di erbe e pozioni. Si riteneva che un solo un corpo bello e sano potesse essere in armonia
con l’universo.

I testi dell’epoca ricordano un lungo elenco di nomi di donne che si sarebbero dedicate alla pratica della
medicina e, in alcuni casi, addirittura alla stesura di trattati. Si ricordano: Abella, studiosa della natura del
liquido seminale; Rebecca Guarna, che studiò l’embrione; esperte nella cura delle ferite come Mercuriale,
Costanza Calenda, Margherita, Tommasia De Matteo, Isia De Castro.

La Scuola salernitana apporta notevoli innovazioni rispetto al passato:


 Sa ha l’introduzione di un metodo didattico basato sulla lettura di testi autorevoli (testi classici e
commentari).
 L’insegnamento è teorico-pratico.
 Compare il termine “medicus physicus”, che indica un dottore in medicina che ha seguito un corso
universitario (medicina e filosofia), diverso dalla preparazione del semplice praticante, che è sprovvisto
di titolo. Ancora oggi, in lingua inglese il termine “physician” indica il dottore in medicina.
 Si stila un curriculum basato sulla dimostrazione della conoscenza anatomica, sullo studio dei testi
classici, sull’interesse per scienza e filosofia.
Federico II, nel 1221, attribuì alla Scuola salernitana il diritto di conferire il titolo dottorale ai discepoli che
l’avessero frequentata e l’autorizzazione all’esercizio della professione.

Con la fondazione delle Università dal XIII al XIV secolo inizia il lento ma graduale declino della Scuola
salernitana che, se pure rimase una delle mete di quel nomadismo medico che doveva caratterizzare in
tutta Europa il tardo Medioevo, fu presto rimpiazzata, come polo di attrazione di allievi e sede di un intenso
sviluppo della teoria e della pratica ginecologica, da città quali Bologna, Parigi, Montpellier e Napoli. Un
collegium doctorum che conferiva titoli e licenze per la pratica della professione medica sopravvisse a
Salerno fino al 1811 quando Murat riordinò l’istruzione pubblica nel Regno di Napoli.
Nascono le Università, in particolare quelle di:
 Bologna, nel 1088
 Oxford, nel 1096
 Parigi, nel 1150
 Montpellier, nel 1220
 Padova, nel 1222
 Vercelli, nel 1228
Prima delle Università, esistevano gli Studia, che erano istituti sponsorizzati dalla comunità civile laica,
mentre le università erano qualcosa di spontaneo, che si venivano a formare per iniziativa di gruppi isolati
di studenti (“Universitas studiorum”), girovaghi, che si sceglievano un maestro valido e, pagandogli un
salario, si ponevano come suoi allievi. Il potere in questo caso era nelle mani degli studenti, che potevano
cambiare insegnante quando volevano se non erano soddisfatti. Federico Barbarossa fu il primo che
finanziò questi studenti, diede loro il beneficio fiscale se si fermavano nella sua città. In seguito intervenne
la Chiesa e le Università potevano diventare tali solo quando vi erano le bolle papali.
Bologna fu la prima università in Italia; la seconda fu Padova, per merito di studenti che da Bologna si
trasferirono qui. Ci furono poi Napoli, Siena, Roma, Pisa, Pavia, etc. Ricordiamo altre università europee:
Parigi, Montpellier, Oxford, Cambridge, Salamanca, Coimbra, Heidelberg, Praga, Vienna, etc. L’Università di
Vercelli si formò per via di scolari e studiosi emigrati da Bologna che passarono prima per Padova
(perseguitati da Ezzelino III da Romano) e giunsero a Vercelli nel 1228. L’Università di Torino fu fondata nel
1406.
La prima università del mondo occidentale con la bolla papale fu l’Università di Bologna. Le prime università
tuttavia erano formate dalle scienze liberali del trivio (retorica, dialettica e grammatica) e del quadrivio
(matematica, geometrica, astronomia e musica). La medicina entrò tra le discipline universitarie solamente
circa 150 anni dopo: a Bologna, il medico Taddeo degli Alderotti (1223-1303) dimostrò che la medicina
riusciva ad argomentare contro i retori, riuscendo così a portare la medicina alla pari con le altre discipline
universitarie. Nasce la medicina universitaria, in particolare a Bologna, Padova, Montpellier, Parigi, Oxford;
già nel XIV secolo ci sono molte Università di Medicina. Si stabilisce che possono praticare la medicina solo i
laureati, che provengono da un corso di studi di 7 anni. Nelle università, viene praticata la dissezione;
l’accesso è proibito a donne ed ebrei; la cultura è molto libresca, anche se qualche università impone anche
la pratica medica prima della laurea. I chirurghi sono un gruppo separato, differente anche
nell’abbigliamento, infatti i medici hanno la toga, mentre i chirurghi portano le gambe scoperte; non c’è
comunicazione tra i due gruppi. Nel Medioevo, lo Stato inizia a controllare la pratica della medicina. Si
formano Consigli per la Salute Pubblica in occasione della peste nera.

Edward il Confessore impone le mani per la terapia della scrofola (caratterizzata dalla formazione di
granulomi tubercolari nei linfonodi sottoangolomandibolari, per infezione da M. bovis)
Rappresentazione della nascita

Rappresentazione di un moribondo. Si notano la figura del medico (intento a osservare le urine del malato)
e quella del sacerdote.

Alla teoria degli umori viene aggiunta l’Astrologia: le stagioni influiscono sullo stato degli umori; si ha un
legame con la teoria olistica greca, per cui tutte le cose sono collegate, ad opera di un Ente Supremo; si
postula l’esistenza di un legame tra le parti del corpo e lo Zodiaco; la data di nascita determina la terapia
che deve essere usata (e quando). Si forma un profondo legame tra la Cristianità e la Medicina Naturale,
Magica e Greco-Romana.

Illustrazione del XV secolo che mostra come l’avvento di Saturno e Giove nel 1345 fu responsabile
dell’epidemia di peste che avvenne tre anni dopo. Mostra Saturno, in alto, mentre mangia i propri figli, e
Giove, in basso, che lancia saette.
Uomo schematizzato, rapporto con l’Astrologia

In base allo Zodiaco e ai diversi segni, si indicava la sede ottimale in cui praticare, e soprattutto in cui non
praticare, il salasso.

Ariete: evita tagli su testa e faccia, non tagliare vene nella testa

Toro: evita tagli sul collo e alla gola, non tagliare vene in questi punti Gemelli: evita tagli su spalle e braccia e non tagliare vene lì

Leone: evita di tagliare nervi, e di fare tagli ai fianchi e alle ossa. Non far sanguinare la schienaevita tagli sul torace e sui fianchi, stomaco e polmoni, e non tagl
Cancro:

Vergine: evita di aprire una ferita sull’addome e nelle parti interne

Bilancia: evita di aprire ferite sull’ombelico e su altre parti dell’addom


Scorpione: evita di far tagli su testicoli e ano

Sagittario: evita incisioni su cosce e dita. Non tagliare imperfezioni o escrescenze.


Acquario: evita di fare tagli alle gambe

Capricorno: evita di tagliare in corrispondenza delle ginocchia o delle venePesci:


in quella
evitazona
di tagliare a livello dei piedi

L’applicazione della Medicina Greco-Romana a quella Cristiana si può evincere anche dalle raffigurazioni di
Ippocrate e Galeno che dialogano tra loro, oppure da quella in cui è rappresentato Ippocrate (in vesti
medievali) che cura un paziente.
È importante, come in passato, preservare l’equilibrio degli umori, e correggere eventuali squilibri. Un
esempio è dato da un disegno del XIII secolo che mostra un medico che induce il vomito in un paziente:

Grande importanza assume l’uroscopia; a questo periodo risalgono alcuni trattati che riguardano questa
pratica, come il poemetto in versi De urinis scritto da Gilles De Coirbeil (della Scuola salernitana) e il De
urinis di Johannes Actuarius (XIV secolo). L’uroscopia si basa sull’osservazione del colore delle urine, che
possono assumere, secondo il trattato, 20 colori diversi: albus, lacteus, glaucus, karopos, subpallidus,
pallidus, subcitrinus, citrinus, subrufus, rufus, subrubeus, rubeus, subrubicundus, rubicundus, inopos, kianos,
viridis, lividus, niger. I vasi in cui le urine venivano raccolti erano chiamati matule, erano in vetro con una
sporta di giunco.

La Chiesa non bandiva la pratica della dissezione, anche se non la guardava di buon occhio, per il rispetto
dovuto al corpo umano. L’idea che le dissezioni potessero servire a controllare o a correggere Galeno non
era neppure pensabile. Le dissezioni dovevano essere condotte in fretta e solo d’inverno, per questo si
riteneva più utile leggere semplicemente Galeno. Inoltre, in mancanza di corpi umani si usavano animali,
che spesso erano maiali.

Immagine del XV secolo raffigurante una dissezione: il maestro, seduto in cattedra al di sopra del tavolo,
legge Galeno, mentre gli studenti osservano la dissezione seguendo la lettura del testo.

Un’altra istituzione che nacque nel Medioevo è rappresentata dagli ospedali, i primi dei quali sorsero come
ospizi per persone non abbienti, più che come luoghi di cura (gli infirmi coincidevano con i pauperes).
All’anno 898 risale la fondazione a Siena dell’Ospedale di Santa Maria della Scala.
Le condizioni igieniche erano alquanto sommarie, ad esempio non venivano mai cambiate le lenzuola; in
una raffigurazione possiamo osservare due pazienti nello stesso letto e monache che preparano cadaveri
nella stessa stanza.
Non doveva però mancare l’immagine del Signore (Spirito Santo guaritore): gli ospedali medievali, e questo
andò avanti fino all’epoca moderna, hanno la porta rivolta verso il Vaticano, perché lo Spirito Santo possa
entrare meglio; possedevano tutti una cappella che doveva essere visibile da tutti i reparti ospedalieri. Il
primo ospedale fu quello di Santo Spirito a Roma, il secondo fu quello di Santa Maria Novella a Firenze,
costruito grazie a un’elargizione di Folco Portinari, il padre della Beatrice amata da Dante.
Gli ospedali nascono anche come ospizi per i pellegrini che si ammalano durante il viaggio (ospitali).
Nascono altresì nei monasteri per la cura dei monaci ammalati, ma vengono poi aperti anche ai poveri, ai
malati e agli stranieri. Nascono inoltre i lebbrosari e i lazzaretti.

Struttura tipo di un ospedale medievale

Negli ospedali si ha una precisa distinzione delle figure sanitarie:


 Medico laureato: l’unico autorizzato alla cura.
 Farmacista o speziale.
 Chirurgo barbiere: spesso esercita autonomamente. Il chirurgo laureato comparirà più avanti, in
particolare nel 1404 a Padova viene istituito un corso della durata di due anni per ottenere il titolo
accademico di chirurgo.
 Personale femminile di assistenza e levatrici; le loro conoscenze venivano trasmesse solo oralmente.

Le attività del chirurgo itinerante comprendevano:


 Litotomia
 Operazione di ernie
 Operazione di cataratta
 Riduzione di fratture e lussazioni
 Cura di ferite, ulcere, fistole
 Estrazioni dentarie
 Castrazione (dal XVII secolo)

La terapia di questo periodo si basa sui precetti definiti “regimina sanitatis”, che sono regole per la buona
salute. La teriaca era considerata una panacea. Si riscopre Celso e di conseguenza l’importanza della
chirurgia, grazie anche all’opera Chirurgia magna (1363) di Guy de Chauliac (1300-1367), che fu allievo
della scuola di Montpellier e studiò a Bologna con l’allievo del Mondino Alberto il Bertuccio.
Dissezione alla facoltà di Montpellier

Illustrazione dal Chirurgia magna

Quali sono le malattie tipiche del Medioevo? Si devono considerare le condizioni della popolazione: la casa
era sporca, piccola, umida, ricca di spifferi; l’alimentazione era povera, soprattutto in vitamine e proteine; il
lavoro era pesante, durava molte ore al giorno; i vestiti erano spesso insufficienti e spesso umidi. In una
città affollata nel 1480 i poveri non arrivavano a 30 anni. A causa delle condizioni igieniche estremamente
scadenti si diffusero le malattie infettive endemiche: diarree, tubercolosi, tifo, meningite, malaria,
polmonite, lebbra; si ebbero inoltre delle vaste epidemie di vaiolo e peste. I traumi erano frequenti, così
come i casi di ergotismo e calcoli renali e alla cistifellea; il parto era un rischio; il cancro era abbastanza
raro.

L’ergotismo è una malattia provocata dall’assunzione di graminacee infestate da un certo fungo, che cresce
bene in ambiente umido; ergot è il nome dello sclerozio di tale fungo, noto ai
micologi come Claviceps purpurea. L’ergotismo nel Medioevo era chiamato “fuoco
di Sant’Antonio” per via delle lesioni cutanee che lo caratterizzavano (oggi viene
chiamato così l’Herpes zoster). La Claviceps purpurea è un parassita che cresce
sulla segale e su altri cereali quali l’orzo o il grano, nonché su alcune erbe
selvatiche. Il più importante di tutti è l’ergot della segale, che si manifesta con
protuberanze di color marrone-porpora che spuntano dalla spiga; la pianta prende
il nome di “segale cornuta”. L’ergot non ha una composizione chimica uniforme:
esso si presenta in gruppi biologici o chimici che si differenziano soprattutto nella
composizione dei loro costituenti alcaloidi (sono sostanze alcaline contenenti
azoto che rappresentano i principi farmacologicamente attivi di molte piante). Gli alcaloidi della segale
cornuta (ergotamina) sono utilizzati come farmaco per la cefalea e per indurre il parto; hanno effetto
vasocostrittore; dalla segale cornuta si ricava LSD. Nell’Europa medievale il pane fatto con segale cornuta
provocava epidemie, con conseguenze mortali per migliaia di persone.
L’intossicazione poteva avvenire in due forme diverse:
 Ergotismus convulsivus: caratterizzato da sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica.
 Ergotismus gangraenosus: come cancrena che colpiva le estremità.
Ergotamina e simili provocano un’intensa vasocostrizione periferica, l’intossicazione acuta si manifesta
anche con diarrea, vomito, coliche, cefalea, vertigini, tremori, convulsioni e accelerazione delle contrazioni
uterine con conseguenti parti prematuri. L’intossicazione cronica produce difficoltà nel camminare
(claudicatio intermittens), dolori muscolari, freddezza, pallore alle dita fino alla necrosi degli arti.

La lebbra era una delle malattie più temute nel XII e XIII secolo, periodo in cui nascono, per l’appunto, i
lebbrosari. Molte malattie cutanee venivano considerate lebbra. Molti malati di lebbra viaggiavano
chiedendo elemosina.

Baldovino IV malato di lebbra

La lebbra aveva importanti risvolti sociali: quando si scopriva che una persona era un lebbroso (nel tardo
Medioevo e all’inizio delle età moderna) gli veniva fatto addirittura il funerale e perdeva qualsiasi diritto. I
lebbrosi venivano tenuti in luoghi appartati, ma venivano mantenuti a spese della comunità; questo spiega
perché persone indigenti per sopravvivere si dichiarassero lebbrosi, in modo da avere l’assistenza pubblica.

La lebbra o morbo di Hansen è causata dall’infezione da Mycobacterium lepae, descritto nel 1873 da G.H.
Hansen. È una malattia infettiva cronica che colpisce la pelle e i nervi periferici, ma ha molte possibili
manifestazioni cliniche. La forma paucibacillare è più mite ed è caratterizzata da macchie discromiche sulla
cute. La forma multibacillare è caratterizzata da lesioni cutanee simmetriche, noduli, placche con
ispessimento del derma e spesso coinvolgimento della mucosa nasale, con congestione ed epistassi. La
lebbra è mortale nel giro di 8 anni, il paziente infatti va incontro a progressivo decadimento delle sue
condizioni generali. Si assiste ad amiloidosi, mutilazioni progressive. È trattabile con farmaci antibatterici,
che possono contenere la malattia. Ancora oggi 12 milioni di persone al mondo sono affette da lebbra, e lo
è il 10% della popolazione Africana.
Il meccanismo del contagio è probabilmente per via cutanea o tramite le vie aeree. È
caratterizzata da: infezione, dopo la quale l’80% dei casi guarisce; poi segue un
periodo di incubazione che va da 2 a 7 anni e in seguito al quale il 10% degli affetti
guarisce; si sviluppa quindi una forma di lebbra definita “indeterminata”, che ha 3
differenziazioni possibili, ossia “lebbra tubercoloide”, la meno grave e che da cui il 3%
dei colpiti guarisce, “lebbra borderline” e “lebbra lepromatosa”, più grave della
tubercoloide e quella maggiormente diffusa in passato. L’infezione iniziale è causata
dal contatto con lesioni cutanee infette o con goccioline aeree provenienti da un
malato; dopo l’incubazione, si ha la progressiva invasione dei nervi sottocutanei, con
formazione di noduli e graduale anestesia; quindi si ha l’invasione dei piccoli vasi, con
ischemie e deficit nutrizionali a carico dei tessuti, che vanno incontro a gangrena. La
cancrena determina in particolare:
 L’assunzione di una faccia chiazzata, nodulare.
 Naso a sella, con formazione di uno scolo nasale cronico.
 Infiammazione oculare, che porta a cecità.
 Infezioni opportunistiche.
 Laringite cronica, che determina una voce rauca.
 Con l’aggravarsi dell’anestesia periferica, lesione e flogosi delle estremità, con amputazione delle dita di
mani e piedi.
 Facies leprosa o leonina, caratterizzata da: atrofia delle regioni nasali, con erosione di setto, ossa nasali e
pavimento nasale (fino alla perforazione del palato); riassorbimento e smussamento di margini e base
dell’apertura piriforme; atrofia delle regioni mascellari; riassorbimento alveolare, con caduta degli
incisivi anteriori.
 Atrofia e riassorbimento a livello di mani e piedi (caratteristici metacarpali e metatarsali affusolati);
cribra orbitalia; periostite (tibie e fibule); sinusite mascellare; incisivi mascellari costretti
concentricamente nell’infezione infantile precoce.
Importante è il ritrovamento di cimiteri lebbrosari medievali (1250-1550) in Danimarca, che ospitano 650
individui, con tutte le caratteristiche tipiche della malattia.
Abbiamo testimonianze sulla lebbra di varia natura: provenienti dalla Cina raccontata da Confucio (I
millennio AC) e da fonti letterarie indiane; in lingua ebraica la parola “ tsara’ht” significa “impurità per i
luoghi sacri”; in greco, si parla di “elefantiasi”, mentre in latino si
parla di “lepra”; al II secolo AC risalgono 4 crani europoidi, di
individui probabilmente di classe gentilizia, ritrovanti dell’oasi
egiziana di Dakleh e presentanti le lesioni tipiche; nel Vangelo
secondo Luca c’è la figura di Lazzaro il mendicante, da cui
deriverà il termine “Lazzaretto”; ad Assuan, in Egitto, sono state
trovate alcune mummie copte (IV-VII secolo AC) di individui
presumibilmente affetti da lebbra; a Poundbury, Inghilterra, è
conservato uno scheletro romano-britannico che presenta arti
inferiori e piedi con le lesioni tipiche; sono stati trovati numerosi
scheletri risalenti al Medioevo europeo.
La diffusione della lebbra ha subito un declino spontaneo nel corso del Basso Medioevo.
Si è riacutizzata in America in seguito all’importazione di schiavi neri.
La malattia aumenta con l’aumento della popolazione, quindi della densità, del numero di abitanti, dei
contatti interpersonali. I motivi della scomparsa restano oscuri. Ipotesi diverse:
 Aumento dell’immunità, dopo secoli di esposizione
 Miglioramento delle condizioni di vita
 Ipotesi di Grmek: competizione lebbra-TBC
Colpisce ugualmente maschi e femmine. Gli affetti appartengono prevalentemente alle classi sociali più
basse (la malnutrizione predispone, come dimostrato in clinica); tuttavia, vengono colpiti anche re, come
Baldovino re di Gerusalemme (1058-1118), Roberto di Scozia (1313-1390), Enrico VII (1211-1242).
Inizialmente si hanno casi isolati in Gran Bretagna, Polonia, Italia, Nubia, Vicino Oriente. La forma endemica
di lebbra si sviluppa nel periodo tardo-romano, l’incidenza aumenta progressivamente e raggiunge un picco
nel Medioevo e in particolare in occasione delle Crociate (XIII-XIV secolo); si hanno quindi declino e
scomparsa nel XVI secolo; rimane però a lungo nelle regioni scandinave (in Scandinavia settentrionale e
Islanda persiste fino al XIX secolo). In Africa persiste tuttora.
La lebbra scompare con l’avanzare dell’urbanizzazione.

Ipotesi di Gmerk:
Casi paleopatologici italiani:
 Caso dalla necropoli di Vicenne (Molise) del VII-VIII secolo
 Caso di una necropoli celtica veneta del III secolo AC
 Caso scoperto nel 1998: Enrico VII di Svevia, figlio di Federico II. I suoi resti sono conservati in un
sarcofago romano del II secolo DC, nel Duomo di Cosenza. Enrico VII è conosciuto dalle fonti con il
soprannome di “sciancato”; morì intorno ai 31, in prigione in Calabria. Lo scheletro presenta: asimmetria
delle patelle; età antropologica conforme a quella attribuita dalla documentazione storica; facies leprosa
caratteristica (riassorbimento della spina nasale, smussamento dei margini dell’apertura piriforme,
erosione del palato duro, infiammazione delle cavità nasali); lesioni alle ossa dei piedi. Godendo di
buona alimentazione, la malattia in Enrico VII aveva avuto un decorso lento. Egli aveva partecipato a una
Crociata, per cui forse aveva contratto la lebbra in Palestina

La medicina medievale era una mescolanza di tradizioni Naturali, Magiche, Cristiane e Greco-Romane.
Quando la peste colpì l’Europa nel XIV secolo fiorirono tentativi terapeutici di tutti i tipi nella corsa
disperata per la sopravvivenza.

Nel 1300 si riprese a praticare la dissezione. Si ebbe un certo periodo di stallo intorno al 1299 perché il papa
Bonifacio VIII promulgò una bolla papale chiamata De sepolturis, in cui si vietava la manipolazione dei
cadaveri, cioè non potevano essere ridotti a scheletro e bolliti. Questo aveva lo scopo di limitare il florido
commercio di reliquie e di ossa di guerrieri supposti morti in guerra in Terra Santa. Pochi anni dopo le
dissezioni ripresero grazie ad altri papi (Sisto IV, Clemente VII) che capirono l’equivoco e divulgarono bolle
che permisero le dissezioni in particolari periodi dell’anno (soprattutto in Quaresima) sulle donne, da taluni
ritenute prive di anima, e solo successivamente sugli uomini.

I chirurghi non avevano accesso alle conoscenze anatomiche perché non conoscevano il latino, ragion per
cui l’anatomia diventava una sorta di esercizio filosofico. La prima dissezione ufficiale fu praticata
all’università di Bologna da Mondino de’ Liuzzi (1270-1326). La prima dissezione pubblica avvenne nel
1315. Nel frontespizio dell’Anatomia Mundini (1317), primo trattato medievale occidentale sulla dissezione,
si vede che questa procedura era qualcosa di mediato, un commento ai testi galenici.

La dissezione secondo Mondino si articolava in 4 giorni:


1° giorno: visceri addominali membra nutritionis
2° giorno: collo e cavità toracica membra spiritualia
3° giorno: cranio, cervello, nervi membra animalia
4° giorno: arti

La descrizione fatta da Mondino de’ Liuzzi dell’apparato riproduttore femminile segue le teorie e le
descrizioni di Galeno e Avicenna, per cui l’utero ha 7 cavità: 3 collocate nella parte destra e destinate ad
accogliere i feti maschi; 3 collocate a sinistra e per le femmine; 1 nella parte superiore per ricevere
l’ermafrodito.
Di Mondino si ricorda il paragone dell’apertura del collo dell’utero “ad modum oris tincae antiquae” che
ancora oggi si usa dicendo “a muso di tinca”. Un’accurata descrizione viene fornita da Mondino dei
“testicoli femminili”.

Mondino de’Liuzzi fu il più importante dei precursori di anatomia vera e propria.


Guido da Vigevano faceva dissezioni sui cadaveri di impiccati.
Però, fino a Vesalio (1500) la dissezione serviva solo a confermare le teorie di Galeno.

Incisore, dimostratore con la bacchetta, maestro ex cathedra

John Arderne (1307-1380/1392) fu un chirurgo attivo a Newark-on-Trente scrisse il De arte phisicali et de


cirurgia.

La Farmacopea nasce nel Medioevo:


I fattori che impediscono il progresso dell’arte medica nel Medioevo comprendono:
 Le guerre frequenti
 La perdita dei valori romani
 La distruzione delle biblioteche mediche romane
 La distruzione delle vie di commercio
 La pericolosità dei viaggi
 L’espansione del Cristianesimo
 La condizione di basso livello economico
 La mancanza di trasmissione delle cultura: i medici non vengono istruiti

Ruolo del Cristianesimo rispetto al progresso della medicina: aspetti a favore e altri a sfavore:

Aspetti a favore: Aspetti a sfavore:


Attenzione verso gli altri Superstizione
Seguire l’esempio di Gesù Irrazionalità
I monaci e i preti si occupano degli ammalati Le malattie sono colpa del Diavolo o punizione divina
Monasteri e chiese sono luoghi dove gli
ammalati cercano aiuto

Gli aspetti salienti della Medicina Medievale sono:


 Adesione al Galenismo
 Regressione: superstizione, Astrologia
 Nel Basso Medioevo nasce la figura del medico laureato
 Il medico distingue i pazienti curabili da quelli incurabili
 I pazienti vengono suddivisi in base all’omogeneità clinica (lebbrosari, lazzaretti)

Novità che si hanno nel Basso Medioevo:


 Ruolo dello Stato: nasce il concetto di Salute Pubblica
 Libri dei morti
 Medici pubblici
 Farmacopea
 Isolamento dei lebbrosi
 Quarantena per la peste
PESTE

Peste in letteratura e cinema:


 Tucidide (460-395 AC)
 Bibbia (VI-V secolo AC)
 Lucrezio (99-55 AC), nel De rerum natura
 Boccaccio (1313-1375), nel Decameron
 Defoe (1660-1731), in The Plague. Defoe descrive un’epidemia di peste a Londra (‘600) come se fosse
stato presente, ma in realtà ha raccolto testimonianze.
 Manzoni (1785-1873), ne I promessi sposi e nella Storia della Colonna Infame
 Poe (1809-1849), ne La Maschera della Morte Rossa
 Camus (1913-1960), ne La Peste
 Il settimo sigillo (1957)

Patologia: la peste è una zoonosi, ossia una malattia con serbatoio animale ed una circolazione propria
nell’ambito della popolazione animale, in particolare i roditori, e un coinvolgimento dell’uomo in particolari
circostanze. L’uomo può entrare in contatto e infettarsi principalmente per puntura della pulce del ratto o
per manipolazione di tessuti animali infetti; in corso di epidemie la trasmissione può avvenire direttamente
da uomo a uomo (peste polmonare).
La malattia è provocata dal bacillo della peste, scoperto da Alexandre Yersin
nel 1894 (epidemia di Hong Kong) e da lui chiamato Pasteurella pestis, mentre
successivamente è stato denominato Yersinia pestis. Nel 1894, la peste si
diffuse in tutta la Cina orientale e fu proposto a Yersin di recarsi in Cina per
studiare il morbo sul posto. Yersin, che già dalle prime settimane era stato visto
di cattivo occhio dalle truppe francesi per le numerose esplorazioni a fine
incognito, venne scambiato per una spia inglese. Nel giugno dello stesso anno,
Yersin giunse a Hong Kong e qui incontrò un rivale, il dottor Shibasaburo
Kitasato, che tre giorni prima di Yersin era arrivato in città con un team di allievi
di Robert Koch. Questo medico giapponese era famoso per il suo lavoro
scientifico nell'ambito della ricerca dei germi del tetano. Sia Yersin sia
Shibasaburo scoprirono quasi contemporaneamente il bacillo scatenante la malattia, ma fu Yersin a
ottenere risultati più precisi ed accurati e a dare una specifica denominazione tassonomica, tanto che nel
1954 il bacillo, da lui denominato Pasteurella pestis, venne chiamato Yersinia pestis. Yersin eseguì delle
autopsie su corpi di appestati ma, risultate inutili, decise di lavorare alle colture del bacillo in una capanna
di bambù a temperatura ambiente, dato che il bacillo cresceva meglio a temperature inferiori a quelle del
corpo umano. Scoprì inoltre che i ratti erano il principale fattore di trasmissione della malattia e quando
tornò a Parigi sintetizzò il siero anti-peste dal sangue dei cavalli. Ritornato nel 1895 in Indocina, scoprì il
vaccino preventivo della peste ricavandolo da una forma attenuata della malattia, che dava però una
protezione sicura per soli 15 giorni. Anche se riuscì ad isolare il microbo responsabile della malattia, Yersin
non riuscì mai a risolvere il problema della trasmissione diretta dai ratti agli esseri umani; così nel 1896
viaggiò fra i malati del sud della Cina e in India per testare l’efficacia del suo siero anti-peste realizzato
nell’Istituto Pasteur ma i risultati non furono soddisfacenti.
L’agente patogeno si annida principalmente nei piccoli roditori, infettati dalle loro pulci.
Se la pulce infesta il ratto delle chiaviche, la peste rimane con una certa probabilità endemica, cioè compare
soltanto qua e là a intervalli irregolari senza sviluppare una vera epidemia. Se invece la pulce infesta il ratto
comune, l’agente patogeno arriva moltiplicato nei luoghi di insediamento urbano: nelle case, nelle stalle,
nei magazzini, nelle cantine, ma anche nelle stive delle navi. La pulce del ratto, avendo il potere di far
ammalare non solo il ratto stesso, ma anche l’uomo, è la causa principale dell’epidemia che si diffonde per
lo più partendo dalle città dai porti e dai villaggi più grandi.
Si conoscono due vie di trasmissione del contagio: attraverso la pelle e attraverso i polmoni. L’infezione
contratta attraverso il morso della pulce porta la peste bubbonica, così detta perché si manifesta con
comparsa di tumefazioni dei linfonodi e febbre altissima. I malati muoiono normalmente entro una
settimana dal contagio. La forma più pericolosa, però, è la cosiddetta peste polmonare, che viene trasmessa
per via aerea; essa conduce quasi sempre alla morte entro 1-2 giorni, tra atroci sofferenze. Tutti e due i tipi
di peste colpirono le popolazioni europee.
In particolare, la peste può avere 3 forme cliniche diverse: bubbonica, polmonare e setticemica.

Nella maggior parte dei casi la malattia si presenta nella forma bubbonica. Dopo un’incubazione di 2-8
giorni dopo la puntura della pulce, si manifesta febbre accompagnata da brividi, debolezza, cefalea; nella
zona della puntura della pulce si forma una vescicolo-papula che in seguito si trasforma in pustola. Entro 24
ore compare la tumefazione dei linfonodi che drenano la sede della lesione della pulce (da 1 a 10 cm),
molto dolente; il collo, l’ascella e l’inguine sono le sedi più frequentemente interessate. Non si notano di
solito lesioni cutanee circostanti né linfangite. Nei casi favorevoli la febbre cessa dopo circa 2 settimane, il
bubbone si svuota all’esterno e nella zona si forma una cicatrice; i pazienti sono letargici e soggetti a
nausea, vomito, delirio, convulsioni. La malattia è estremamente grave: vi è un tasso di letalità fino al 50%
in assenza di trattamento e dell’8-10% con trattamento antibiotico.
Pazienti con bubboni:

Le altre forme, setticemica e polmonare, sono più rare e quasi inevitabilmente letali; non presentano la
classica adenopatia, ma un quadro di infezione disseminata con polmonite e stato di shock.

La peste polmonare è la forma più letale (tasso di mortalità del 97-100%). Si contrae inalando i bacilli
espulsi nell’aria dai colpi di tosse del malato: in questo caso l’infezione si concentra maggiormente nei
polmoni. I primi segni della malattia sono febbre, cefalea, debolezza e tosse produttiva con escreato sieroso
o ematico. La polmonite progredisce per 2-4 giorni e può portare a shock settico. Anche in questo caso
sono visibili le caratteristiche tumefazioni. Lo shock settico si accompagna a CID, con petecchie: emorragie
cutanee che dal rosso tendono al nero, di dimensioni assai variabili, con necrosi dei tessuti epidermici
soprattutto di orecchie, naso, dita di mani e piedi, avambracci. Da qui il nome di “morte nera” attribuito alla
peste.

Interessante è la descrizione di Don Rodrigo, affetto da peste e moribondo, nel capitolo XXXV de I promessi
sposi: “Stava l'infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie
nere; nere ed enfiate le labbra: l'avreste detto il viso d'un cadavere, se una contrazione violenta non avesse
reso testimonio d'una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la
destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla
punta nere.”
La peste setticemica non presenta bubboni o sintomi polmonari caratteristici, però ha uno sviluppo
immediato che viene caratterizzato da ipertermia, epatosplenomegalia, diarrea, sindrome emorragica
grave, torpore mentale. Il decesso soggiunge dalle 24 ore dai primi sintomi alle 48 ore per uremia e collasso
cardiaco, anche se la morte può avvenire addirittura prima che si manifestino i sintomi. La peste setticemica
è quasi sempre mortale.

La peste è generalmente trasmessa con il morso della pulce, anche se l’infezione può intervenire anche per
contatto diretto o ingestione. Quando una pulce punge un mammifero setticemico, il sangue che contiene
la Y. pestis entra nell’apparato digerente della pulce. Qui il bacillo si riproduce fino a produrre una massa
gelatinosa di color marrone scuro, costituita da batteri e materiale fibrinoso che si estende al proventricolo
e all’esofago, senza invadere altri tessuti della pulce, né singole cellule. Il proventricolo è una struttura a
valvola equipaggiata da spine rivolte all’indietro che facilitano la rottura dei globuli rossi. Alla fine la massa
gelatinosa blocca completamente il proventricolo e si dice che in questa fase la pulce è “bloccata”, perché
non può far arrivare il sangue nello stomaco. Sono le pulci bloccate a trasmettere la peste, il blocco le rende
affamate ed esse tentano ripetutamente di nutrirsi. Nel corso di questi inutili tentativi il sangue del
mammifero è pompato nell’esofago e nel proventricolo, dove rimuove i batteri che lì crescono. Il sangue
ingerito si mescola con i bacilli della peste ed è rigurgitato nella ferita, trasferendo i batteri nel nuovo
ospite. Quando una pulce bloccata dalla Y. pestis punge una persona, rigurgita circa 25000-100000 Y. pestis
nella lesione. I bacilli possono migrare tramite i vasi linfatici ai linfonodi locoregionali, dove la maggior parte
dei batteri viene fagocitata e uccisa dai leucociti polimorfonucleati che arrivano in gran numero. Tuttavia,
alcuni bacilli vengono fagocitati dai macrofagi, che non sono capaci di ucciderli, e qui possono crescere,
resistenti ai tentativi di fagocitosi. Si pensa che i macrofagi infettati provvedano un ambiente protetto ai
microbi, che proliferano a livello intracellulare e sintetizzano le loro strutture di virulenza, alcune di tipo
capsulare. I batteri acquisiscono così resistenza alla fagocitosi. Una volta rilasciati nell’ambiente
extracellulare, i patogeni si moltiplicano rapidamente. L’infezione che ne risulta si estende rapidamente ai
linfonodi collegati, che si gonfiano per infiltrazione dei polimorfonucleati. Si ha un esordio improvviso di
febbre, brividi, debolezza generale e cefalea, seguito da tumefazione dolente dei linfonodi (bubboni),
generalmente a livello di inguine, ascella e collo. I linfonodi appaiono infiammati e talora ascessualizzano.
L’infezione prosegue con l’invasione del circolo e infine del fegato e della milza. A seguito dell’invasione
degli organi viscerali, si sviluppa la forma sistemica, detta peste setticemica, entro 2-6 giorni. Tutti i pazienti
hanno probabilmente batteriemia intermittente negli stadi precoci. La setticemia secondaria si sviluppa con
i tipici segni clinici e di laboratorio di una setticemia da Gram negativi. Le classiche implicazioni includono
shock, CID, cancrena periferica e porpora.
La peste polmonare secondaria deriva dalla fase di disseminazione ematogena con localizzazione
polmonare. È una gravissima complicanza con elevata mortalità. Si presenta come una grave
broncopolmonite, con produzione di escreato striato rossastro o purulento. Questa forma è altamente
contagiosa per via aerea e per contatto interumano. In questo caso i contatti sono a rischio di sviluppare
peste polmonare primitiva entro 1-3 giorni. Questa deriva dal fatto di aver inalato gocce infette. Le
caratteristiche della peste polmonare primitiva includono profonda essudazione polmonare e aggregazione
batterica.
La mortalità è attorno al 60% per la peste bubbonica non trattata, ma raggiunge il 100% per la forma
polmonare non trattata e per le forme setticemiche. Con la terapia antibiotica mirata i casi mortali sono
circa il 5% per la bubbonica, 33% o di più per le altre.
La prognosi peggiora nei pazienti con compromissione polmonare. La polmonite primitiva rimane
invariabilmente fatale se la terapia non è iniziata entro le 24 ore dall’esordio. Un trattamento tempestivo
riduce la mortalità al 10% o meno.
Il circuito della trasmissione della peste:

Non esiste più un vaccino per la peste. Le persone potenzialmente esposte nelle aree endemiche o durante
episodi endemici devono proteggersi dalle punture delle pulci ed evitare contatti con i roditori.
Chemioprofilassi: consigliata chemioprofilassi antibiotica in caso di contatto stretto con pazienti e in corso
di epidemia. Doxiciclina 200 mg/die per 7 gg; per bambini > 8 anni, 4 mg/Kg/die; oppure ciprofloxacina (se
età >18 anni) 500 mg due volte al giorno per 7 gg. In alternativa, per i bambini cotrimossazolo 40 mg/Kg/die
in due somministrazioni per 7 gg.

Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) è una delle 13 principali componenti del Department of
Health and Human Services (HHS): principale agenzia negli USA per la protezione della salute e per
intervenire a livello di tutte le popolazioni del mondo. Fondato nel 1946 per il controllo della malaria, il CDC
si propone di controllare le infezioni e le malattie croniche.
La malattia è presente in molte nazioni dell’Africa e dell’Asia (> 10mila casi/anno). I Paesi che segnalano più
di 100 casi/anno sono: Tanzania, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Vietnam, Perù, India,
Myanmar, Zimbabwe, Mozambico, Uganda e Cina. Rari casi sono segnalati anche nel sud degli USA (2006:
13 casi).

La scomparsa della peste fu forse favorita dal fatto che alla fine del ‘600 ci fu un'invasione di ratti marroni
che soppiantarono il ratto nero (molto più recettivo alla peste), e anche perché si cominciò a evitare di
costruire i solai in legno dove potevano albergare i ratti (questo accadde soprattutto nelle zone calde).
Un'altra ipotesi sostiene che ciò è dovuto alla comparsa di un germe meno virulento che permise
l'immunizzazione dei ratti.
In alto, il ratto marrone Norvegese; in basso, il ratto nero, carrier della peste

La peste viene spesso rappresentata come un cavaliere latore di morte:

Dall’Apocalisse: "E quando aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale dire: <Vieni>. Guardai, ed
ecco un cavallo pallido, e chi vi stava sopra si chiama Morte, e l'accompagna l'Inferno. E fu dato loro il
potere sopra un quarto della terra, e di uccidere, con la spada, la fame e la peste, le belve della terra.“

La peste nella Bibbia, I libro di Samuele: “I Filistei, catturata l'arca di Dio, la portarono da Eben-Ezer ad
Asdod […] Allora incominciò a pesare la mano del Signore sugli abitanti di Asdod, li devastò e li colpì con
bubboni […] Si era diffuso un terrore mortale in tutta la città, perché la mano di Dio era molto pesante. […]
Quelli che non morivano erano colpiti da bubboni e i lamenti della città salivano al cielo. […] Rimase l'arca
del Signore nel territorio dei Filistei sette mesi. Poi i Filistei convocarono i sacerdoti e gli indovini e dissero:
<Che dobbiamo fare dell'arca del Signore? Indicateci il modo di rimandarla alla sua sede>. Risposero: <Se
intendete rimandare l'arca del Dio d'Israele, non rimandatela vuota, ma pagate un tributo in ammenda
della vostra colpa. Allora guarirete […]>. Chiesero: <Quale riparazione dobbiamo pagarle?>. Risposero:
<[…]Cinque bubboni d'oro e cinque topi d'oro […]. Fate dunque immagini dei vostri bubboni e immagini dei
vostri topi che infestano la terra e datele in omaggio al Dio d'Israele, sperando che sia tolto il peso della sua
mano da voi, dal vostro dio e dal vostro paese>”.

In un antico testo indiano, Bhagwat Puran (ca 1000-800 AC), la comparsa della peste era ritenuta essere
legata alla morte dei ratti.

Il primo storico a descrivere accuratamente un’epidemia di peste è il greco Tucidide, che narra gli eventi di
Atene durante la guerra del Peloponneso (431-430 AC). L’epidemia si dice si arrivata dall’Etiopia, e che
abbia imperversato in Persia e in Egitto prima di raggiungere la Grecia. Arrivò in un momento critico, in
quanto imperversava la guerra e Atene era presa d’assedio. Migliaia furono i morti, malgrado l’opera di
medici e sacerdoti. Fra le prime vittime vi fu lo stesso Pericle, la cui morte avvenuta nel 429 AC privò Atene
di una forte guida.

Importanti sono state anche la peste di Antonino (165-180 circa) e la peste di Cipro (circa 251-266).
Le principali pandemie di peste sono state 3:
 I pandemia: peste di Giustiniano del 542, che ha causato 100 milioni di morti;
 II pandemia: iniziò nel 1334 in Cina (25 milioni di morti) e si protrasse, con esordi ogni 2-5 anni, fino al
XVIII secolo;
 III pandemia: è quella del periodo tra il 1860 e il 1918, ed è ancora attuale.
Distribuzione delle 3 pandemie: in rosso la I, in verde la II, in blu la III:

II pandemia

La peste nel 1347

Nel ‘300, le popolazioni europee vivevano un periodo molto particolare e turbolento, a causa di un fermo
dell’espansione demografica ed economica iniziata nell’XI secolo, dovuto in parte alla scarsa fertilità delle
nuove terre che erano state coltivate e alla scarsa produttività dei metodi agricoli. La situazione si aggravò
ulteriormente anche a causa dell’inasprimento del clima: inverni freddi e piovosi gelavano i raccolti e
trasformavano i campi in acquitrini. Carestie ed epidemia formavano spesso un tragico binomio perché le
malattie trovavano terreno fertile e si diffondevano velocemente tra le popolazioni indebolite dalla fame.
La manifestazione più evidente di tutto ciò fu l’abbandono di molti insediamenti: interi villaggi
scomparirono, lasciando il posto al pascolo e alla foresta. Gravissima fu la carestia del 1315 che si abbatté
su Inghilterra, Francia, Olanda, Germania, Russia, Scandinavia.
Si può affermare che all’inizio del XIV secolo l’Europa era sovrappopolata e che le carestie furono
conseguenza di uno squilibrio tra il numero degli uomini e la produttività agricola scarsa. Inoltre le
popolazioni europee furono vittime delle diatribe dinastiche fra famiglie regnanti che condussero alla
guerra. Tra Francia ed Inghilterra nel 1337 ne era iniziata una terribile, la Guerra dei Cent’Anni , che causò
specie in Francia immani stragi e rivoluzioni; mentre i cristiani si uccidevano tra loro, i Turchi avanzavano
numerosi e con estrema ferocia alla conquista di quello che rimaneva dell’impero di Bisanzio, avendo nel
frattempo già conquistato tutta l’Asia Minore. Anche la Chiesa era indebolita dall’esilio dei papi ad
Avignone (1309-1378) e all’orizzonte già si profilava il Grande Scisma che si abbatté sulla Chiesa tra il 1378
ed il 1417.
E proprio in questa Europa dilaniata da guerre, miseria e carestie, fece la comparsa nel 1347 – quasi una
punizione divina - un’epidemia di peste che passò alla storia come “ la peste nera “. Essa durò quasi 5 anni,
dal 1347 al 1351, e secondo calcoli abbastanza attendibili uccise circa un terzo della popolazione europea.
Papa in questo periodo fu Clemente VI (1342 -1352).
La peste nera arrivò dall’Asia e sembra che abbia avuto origine precisamente in Turkestan, una regione ai
piedi dell’Himalaya fra India, Cina e Birmania; qui il bacillo trovò condizioni climatiche e biologiche ideali per
impiantarsi stabilmente nelle colonie di roditori che popolavano quella zona. Dall’Himalaya si propagò in
Cina, dove documentazioni dell’epoca attestano che il contagio iniziò nel 1331.
Dalla Cina, il morbo impiegò circa 15 anni per raggiungere nel 1436 la colonia genovese di Caffa in Crimea
(l’odierna Feodosia), allora centro di commercio dove avvenivano lo scambio di merci con i tartari, i russi e
altre popolazioni asiatiche. Essa fu la prima città europea a essere raggiunta dalla peste e fu il commercio a
favorire la diffusione dell’epidemia. Durante l’assedio della città una epidemia di peste divampò tra gli
assedianti tartari e li costrinse alla ritirata non prima però che il khan tartaro Gani Bek facesse un attacco di
tipo guerra biologica, catapultando cadaveri infetti al di là delle mura della città. Mercanti genovesi
partirono alla volta dell'Italia in 12 navi trasportando così la peste prima a Pera, nel porto di Costantinopoli,
poi a Messina, come narrato anche dal francescano Michele da Piazza nella sua Historia Siculorum:
“Successe dunque che, si era nell'anno del Signore 1347, circa all'inizio del mese di ottobre, dodici galee
genovesi fuggirono dalla vendetta divina che il Signore fece scendere su di loro e raggiunsero il porto di
Messina. Essi portavano con sé una così grave forma di peste che chiunque avesse parlato con un membro
dell'equipaggio fu vittima della malattia mortale e non poté più sottrarsi in nessun modo alla morte...”.
La maggior parte della ciurma era morente di una malattia sconosciuta. Gli ufficiali della città isolarono le
navi per due giorni, ma questo non impedì la diffusione dell'epidemia. In due mesi circa metà della
popolazione messinese morì di peste. Quando i Messinesi intuirono da chi aveva avuto origine il contagio
cacciarono le navi, ma ciò non bastò a fermare la peste.
Genova rifiutò di accogliere le proprie navi infette, così che queste dovettero ripiegare sul porto di
Marsiglia, nel gennaio 1348, ma ormai il contagio si era sparso per tutti i porti del Mediterraneo. Si diffuse
poi a tutta l'Italia continentale, diffondendosi anche come peste polmonare, molto più letale e più
contagiosa. La stima per la città di Firenze è di 1/3 dell'intera popolazione morta per peste nei primi 6 mesi
di epidemia.
Agli inizi del 1348 la peste si spostò nell’entroterra; il 20 agosto raggiunse Parigi, il 29 settembre Londra.
Nello stesso anno raggiunse la Spagna e il Portogallo. Dopo una pausa durante l'inverno, il 1349 vide la
peste imperversare in tutta Europa. Nel 1351 toccò la Svezia e nel 1353 gli stati baltici e la Russia: soltanto
le zone più remote e scarsamente popolate riuscirono ad evitarla. In Europa la stima è di 20 milioni di morti
su di una popolazione di 20 milioni di abitanti.
La Morte Nera si estese come un’onda verso il Nord dell’Europa ad una velocità media di circa 4 km al
giorno e raggiunse il Circolo Artico nel 1350, velocità veramente cospicua in giorni in cui i mezzi di trasporto
erano molto limitati.
Per quanto riguarda l’Asia, era comparsa prima in Asia Minore e in Crimea e si era estesa ad Antiochia; era
presente nel Levante e si era estesa lungo le coste settentrionali dell’Africa fino alla Mecca in Arabia
Saudita, coprendo in tutto un’area di 7 milioni di metri quadri.
Nel 1348 dilagò con velocità impressionante in Africa del Nord, Egitto, Palestina, Siria, e anche in Italia,
Francia, Germania, Spagna, Ungheria e Scandinavia. Per 5 anni, la morte proiettò la sua sinistra ombra su
tutte le popolazioni del mondo allora conosciuto.

Giovanni Boccaccio (1313-1375) scrisse nel suo Decameron che la peste rendeva nulle le leggi umane,
come rendeva vano ogni ordine sociale e civile: “altri [...] affermavano il bere assai e il godere e l'andar
cantando a torno e sollazzando e il sodisfare d'ogni cosa all'appetito che si potesse e di ciò che avveniva
ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male”.

La peste a Firenze, descritta da Boccaccio

Il cronista Matteo Villani (1280/90-1363), nella sua Cronica (1348-1363) riporta che “trovandosi pochi, e
abbondanti per l'eredità e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non
fossero, si diedero alla più sconcia e disonesta vita che prima non avieno usata”.

La gente, in preda al terrore, abbandonava al destino anche i propri congiunti: “… moltissimi morirono che
non fu chi li vedesse, e molti ne morirono di fame, imperocché come uno si ponea in sul letto malato, quelli
di casa sbigottiti gli diceano: <Io vo per lo medico> e serravano pianamente l’uscio da via, e non vi
tornavano più”, come racconta il cronista fiorentino Marchionne di Coppo Stefani.
Ancora, da Boccaccio: “Costui abbandonato dalle persone e poi da cibo, ed accompagnato dalla febbre si
venia meno. Molti erano, che sollicitavano li loro che non li abbandonassero, quando venia alla sera; e
diceano all'ammalato: <Acciocché la notte tu non abbi per ogni cosa a destare chi ti serve, e dura fatica lo dì
e la notte, totti tu stesso de' confetti e del vino o acqua, eccola qui in sullo soglio della lettiera sopra 'l capo
tuo, e po' torre della roba>. E quando s'addormentava l'ammalato, se n'andava via, e non tornava. Se per
sua ventura si trovava la notte confortato di questo cibo la mattina vivo e forte da farsi a finestra, stava
mezz'ora innanziché persona vi valicasse, se non era la via molto maestra, e quando pure alcun passava, ed
egli avesse un poco di voce che gli fosse udito, chiamando, quando gli era risposto, non era soccorso.
Imperocché niuno, o pochi voleano intrare in casa, dove alcuno fosse malato”.
Jean Froissart, un sacerdote nato attorno al 1330 e morto dopo il 1404, scrisse correttamente nel suo
lavoro più famoso, le Cronache, che “morì un terzo dell’umanità”.
Un’altra testimonianza: “Ed io, Angelo di Tura […] con le mie stesse mani ho seppellito cinque dei miei figli in
una singola tomba; e molti altri hanno avuto un analogo destino. Alcuni dei cadaveri erano così poco
ricoperti di terra che i cani li dissotterravano, mangiavano le loro membra e li portavano in giro per le
strade. Nessuna campana risuonava, nessuno piangeva grandemente la loro perdita, poiché quasi ognuno
attendeva la morte… e la gente diceva e credeva: <Questa è la fine del mondo>” (Siena, Cronache, 1354).

Si legge nell’introduzione al Decameron: “Già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio
al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza [...] pervenne la
mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di
Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata [...]
senza ristare d’un luogo in un altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. [...]
Nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella
certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come un uovo, e alcune più e
alcun’altre meno [...] A cura delle quali infermità né consiglio di medico né virtù di medicina alcuna pareva
che valesse o facesse profitto [...] E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare
cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque
altra cosa da quegli infermi era stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator
transportare [...] Che altro si può dire [...] se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse in parte
quella degli uomini, che infra’l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pestifera infermità
e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre a
centomila creature umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita tolti,
che forse, anzi l’accidente mortifero, non si saria estimato tanti averne dentro avuti?”
Boccaccio descrive anche il seppellimento dei cadaveri di infetti: “non bastando la terra sacra alle
sepolture... si facevano per gli cimiterii delle chiese, poi che ogni parte era piena, fosse grandissime nelle
quali a centinaia si mettevano i sopravegnenti... con poca terra si ricoprieno”.
I luoghi, le case, le splendide residenze, un tempo popolate da Signori, erano ora desolati, anche dai più
semplici servi. Quanti uomini prodi, quante gentili damigelle ed anche quanti giovani galanti avevano
interrotto le feste al mattino ed ora di sera cenavano con gli antenati all’altro mondo! Di ciò si doleva il
Boccaccio nel Decameron.

A Parigi, durante la fase più acuta della peste nera, sarebbero morte dalle ottocento alle mille persone al
giorno. I medici non sapevano più a che santo votarsi, attorno a loro le persone continuavano a morire
come mosche. La scienza medica, impotente, congetturava ipotesi che sapevano più di magia che di
medicina.

La medicina del tempo non aveva gli strumenti per spiegare e debellare la malattia. Nella lotta contro la
peste i dottori del Medioevo si affidarono ai grandi medici del mondo antico, come Galeno, Ippocrate e altri
autori, e sulla causa della malattia seguivano la teoria umorale, per cui i disturbi della salute erano causati
da una cattiva mescolanza dei quattro umori, ossia sangue, flegma, bile gialla e bile nera; secondo questa
teoria, la peste era causata da un’eccedenza di sangue, che indicava un processo di putrefazione degli
organi interni; si ritemeva che ciò che causava la putrefazione entrasse nell’organismo attraverso l’aria o il
cibo ingerito. I medici si appellavano alla vis sanatrix naturae: “Crediamo che gli astri con l’aiuto della
natura, grazie alla loro forza celeste, si adoperino per conservare il genere umano e per liberarlo dalla sua
sofferenza. Con l’aiuto del sole e grazie alla forza del suo fianco, spezzeranno queste spesse nubi nell’arco di
dieci giorni, entro il 17 luglio”.
I medici non erano immuni dalla malattia. Di 24 medici esistenti a Venezia, 20 si diceva che avessero perso
la vita. A Montpellier, Simone de Corvino aveva riportato che sebbene ci fossero molti medici difficilmente
essi potevano sfuggire al contagio. La malattia si diffondeva così rapidamente di persona in persona che
sembrava che una sola potesse infettare il mondo intero.
I medici temevano che lo sguardo fisso di una persona o il tanfo della malattia potessero trasmetterla,
quindi si ricoprivano con panni pesanti e tenevano coperto il naso; alcuni vestivano maschere elaborate a
forma di testa di uccello (il Dottor Becco era una maschera di Venezia), che avevano sostegni per
sorreggere semi di incenso che bruciavano.

All’inizio del ‘600, i medici usavano una veste di tela cerata, una sottile tela di lino ricoperta di una pasta
fatta con cera e sostanze aromatiche, il cui scopo era di non far impregnare i vestiti dei miasmi. In realtà,
dice padre Antero Maria di Bonaventura (Filippo Micone, 1657), che gestiva il lazzaretto di Genova: “la
tonica incerata in un lazzaretto, non ha altro buon effetto, solo che le pulci non facilmente vi si annidano”.
Era arrivato molto vicino a scoprire la verità.

Un professore di Montpellier consigliò ai suoi colleghi di far chiudere gli occhi ai pazienti o di coprirli con un
piccolo telo, in modo da evitare il contagio attraverso lo sguardo.

Chirurgo che fa scoppiare un bubbone

Scrive Boccaccio: “portando nelle mani chi fiori, chi erbe odorifere, e chi diverse maniere di spezierie […]
estimando di essere ottima cosa il cerebro con cotali odoro confortare, con ciò fosse cosa che l’aere tutto
paresse del puzzo de’ morti corpi e delle infermità e delle medicine compreso e puzzolente”.

Medico che sparge una mistura odorosa nella stanza in cui sono presenti appestati, per eliminarne i miasmi

Già allora si cercava di capire quali fossero state le cause che avevano determinato l’epidemia di peste. Un
documento ufficiale del 1350 redatto da alcuni professori di medicina dell’Università di Parigi dice: “ La
causa remota e prima di questa pestilenza è stata ed è tuttora in qualche costellazione celeste... Una
congiunzione astrale è causa reale della mortifera corruzione dell’aria che ci circonda... Molti vapori corrotti,
a causa di dette congiunzioni, si sono innalzati dalla terra e dal mare e sotto l’influenza dei venti meridionali
caldi e umidi hanno corrotto l’aria. Per conseguenza, questa, così corrotta, penetrando necessariamente nei
polmoni, dà luogo alla corruzione e alla putrefazione”.
Il famoso medico dei papi, Guy de Chauliac, credeva che la causa della peste fosse dovuta alla congiunzione
astrale di Giove e Saturno nel segno dell’Acquario, avvenuta nel 1345. Il papa Clemente VI, nel 1348,
concesse a Guy de Chauliac di praticare la dissezione sugli appestati; il medico rinvenne solo la congestione
polmonare. Fu il primo medico a eseguire l’autopsia sui morti di peste.

Per tentare di arginare il male e curare il corpo malato si raccomandavano salassi e clisteri, rimedi
fondamentali per eliminare sia una parte di sangue infetto sia i gas della putrefazione e i resti marci di cibo.
Venivano forniti consigli dietetici: “Non debbono essere mangiati pollame, uccelli acquatici e maialini di
latte, non carne stagionata di manzo e carne grassa, ma solo carne di animali di natura e asciutta e sono
altresì da evitare carni che riscaldano e infiammano. Si consigliano brodi con pepe pestato, cannella e altre
spezie, soprattutto per coloro che normalmente mangiano poco e in modo ricercato. È inoltre malsano
dormire durante il giorno. Il sonno può durare fino all’alba. A colazione si deve bere poco e il pranzo andrà
consumato intorno alle ore undici. A pranzo potrà essere assunta una maggior quantità di liquidi rispetto
alla colazione, in particolare vino chiaro e leggero cui andrà aggiunto un sesto d’acqua. Innocui sono da
considerare i frutti freschi e secchi se assunti assieme al vino”.
Veniva preparata in grandi pentoloni e servita abbondantemente la teriaca o triaca, una mistura di decine
di ingredienti, incluso il veleno di serpente, era considerata una panacea, già gli arabi, con Al-Rhazes, la
conoscevano e l’adoperavano per far fronte a diverse patologie.

Preparazione della teriaca nel Medioevo

Per Boccaccio, “niuna altra medicina essere contro alle pistilenze migliore né così buona come il fuggir loro
davanti”.
Quando infuriava la peste, venivano invocati, in particolare, i santi: i Santi Medici Cosma e Damiano; Santa
Rosalia; San Rocco. San Rocco nacque a Montpellier in una famiglia agiata della grande borghesia
mercantile tra il 1345 e il 1350. Secondo la tradizione, una volta morti i genitori e donate tutte le sue
ricchezze ai poveri, egli lasciò la Francia e venne in Italia, dove infuriavano pestilenze e guerre, con lo scopo
di curare i pellegrini ammalati. A Piacenza, dove giunse nel luglio del 1371, mentre assisteva gli appestati
dell’Ospedale di Santa Maria di Betlemme, si ammalò egli stesso. Tormentato da un grossissimo bubbone
all’inguine, si ritrovò cacciato dagli altri ammalati, stanchi dei suoi lamenti. Trascinatosi fino a Sarmato (a 17
km dalla città), Rocco si riparò in una grotta aspettando la morte. Fu un cane che lo salvò. La bestiola,
accortasi della sua presenza e della sua sofferenza, gli portò ogni giorno un pezzo di pane, fino alla sua
guarigione. San Rocco, una volta guarito, non tornò in Francia, ma riprese la sua attività a favore degli
appestati per la quale ancora oggi è ricordato.

Raffigurazione di San Rocco che mostra il bubbone all’inguine e che regge il bastone (utile per allontanare
gli appestati); è rappresentato anche il cane.

San Sebastiano, nativo di Narbona e cittadino di Milano, nella prima metà del secolo V era una guardia
pretoriana di Diocleziano e svolgeva una intensa attività caritativa verso i bisognosi. E’ il principale santo
protettore invocato contro la peste; durante il suo martirio venne condannato a morte mediante il supplizio
delle frecce e sopravvisse miracolosamente ai colpi infertigli dai commilitoni. Curato da santa Irene, si
presentò di nuovo all'Imperatore che lo fece uccidere a bastonate.
Le ferite causate dalle frecce sono paragonate ai segni (bubboni) della peste: inoltre il santo si è salvato,
perciò il popolo, rivolgendosi a lui, spera di salvarsi dalla peste. Ma c’è un altro legame tra le frecce e la
peste: l’ira divina è paragonata alle frecce scagliate da un arco e, nel Medioevo, il diffondersi della peste fu
visto come lo scatenarsi dell’ira di Dio.
Il suo corpo fu sepolto sulla via Appia e forse successivamente traslato.

Raffigurazione di San Sebastiano trafitto dalle frecce

Sant'Antonio abate era un eremita che viveva nel deserto. La sua vita, che si svolse attorno all’anno 340,
sotto Costantino imperatore, fu narrata da Anastasio. Viene raffigurato spesso con un maialino, che forse
indica il demonio piegato e vinto. Non è chiaro il rapporto tra sant'Antonio abate e la peste, ma anche lui
venne invocato, forse a causa delle numerose rinunce e privazioni e della ben nota santità della sua vita.
Durante l’epidemia della Morte Nera, la continua presenza della morte scatenò reazioni isteriche. Di fronte
all’avanzare inesorabile e rapidissimo del morbo, gli uomini si sentivano senza difesa, e, come spesso
avviene in queste circostanze, l’impotenza e il terrore provocarono il manifestarsi tra la gente dei
comportamenti isterici che portarono alla nascita di fenomeni irrazionali come quello dei flagellanti e, cosa
peggiore, quello del massacro degli ebrei.

Una delle manifestazioni dell’isterismo collettivo fu rappresentato dai flagellanti, bande di penitenti che
andavano di città in città, mortificandosi per cercare di placare l’ira divina, predicando la prossima fine del
mondo e con essa la realizzazione delle profezie dell’Apocalisse. Col tempo, i flagellanti si diffusero in quasi
tutti i paesi e regni europei, quali Italia, Francia, Germania, ecc.
I partecipanti s’impegnavano per 33 giorni e mezzo (lo stesso numero degli anni di Cristo) a durissime
penitenze: coperti da un cappuccio e con una croce sulle spalle, cantando salmi, intonando preghiere ed
invitando la gente che li osservava a praticare penitente come riparazione ai peccati commessi, così da
placare l’ira divina e far cessare la peste. Le loro pubbliche esibizioni si concludevano spesso con uccisioni di
ebrei ritenuti la maggior causa della diffusione della peste.
Se nei primi tempi i flagellanti furono venerati come santi uomini da imitare, col tempo la gerarchia
cattolica non li tollerò più, poiché essi erano portatori di una forma di religiosità troppo ascetica e
spontanea, che si poneva al di fuori del quadro istituzionale ecclesiastico. Il Papa stesso vietò addirittura gli
atti di penitenza pubblici e il proseguimento delle processioni e nel giro di qualche anno tale fenomeno
diminuì di molto, restando circoscritto solo a piccole minoranze locali.
La difficoltà di dare una spiegazione al meccanismo del contagio ed il timore che derivava da questo
fenomeno misterioso, portò tale paura a livelli insostenibili tanto che, per placare l’angoscia, si pensò bene
di individuare un colpevole, qualcuno da identificare come causa del male. Questo qualcuno non poteva
che essere un individuo ”diverso” rispetto alla grande maggioranza della popolazione sia per usi che per
costumi e il diverso per eccellenza nella storia d’Europa era sempre stato l’ebreo. A partire dal IV Concilio
Lateranense del 1215, gli ebrei erano stati bollati come stranieri e nei loro confronti era stato promulgato
l’obbligo di portare il tipico cappello e in seguito una toppa rotonda gialla sul vestito.
Accusati di aver provocato volontariamente l’epidemia, gli ebrei furono dovunque massacrati. Tra il 1348 e
il 1349 tutte le maggiori e minori comunità ebraiche della Germania divennero campi di sistematici, inauditi
massacri, sia a fil di spada sia con roghi (si ricorda in particolare il rogo del 1349).

Ebrei con il tipico cappello medievale (XV secolo)

Il rogo degli Ebrei del 1349

Il Papa Clemente VI cercò di opporsi duramente alla diceria, nel luglio e nell'ottobre del 1348, facendo
notare che alla peste soggiacevano in eguale misura ebrei e cristiani. Anche l’erudito Konrad di Magenberg,
nella sua opera del 1349-51 Das Buch der Natur, dimostrava che la mortalità a causa della peste colpiva sia i
cristiani sia gli ebrei.

Clemente VI

Soltanto pochi ebrei riuscirono a scampare con la fuga, e una parte cercò asilo in Italia, dove il contagio
aveva fatto altrettante vittime che nel resto d'Europa, ma dove il naturale equilibrio della popolazione e
l’intervento della Chiesa avevano risparmiato ai suoi ebrei l’obbrobrio e il castigo di esserne considerati la
causa.
Si pensò anche alle streghe come portatrici del contagio.

Numerose sono le raffigurazioni della danza macabra, in cui si vedono scheletri (rappresentanti la morte)
che danzano insieme a umani:

Solo lentamente, e innanzitutto nelle città, si cominciarono a mettere in atto delle misure per limitare
l’epidemia. Una volta intuiti i suoi meccanismi di diffusione, infatti, si cominciò a tenere pulite le strade, a
dare la caccia agli animali erranti, e chiudere le porte agli stranieri e ai mendicanti, a reclutare medici pagati
dalle municipalità.
Di fronte all’imperversare della peste, i consigli comunali cercarono di stabilire delle regole per evitare la
diffusione del contagio.
Un esempio per tutti comuni era quello di Pistoia: venne stabilito che nessun cittadino o abitante del
contado o del distretto della città, di qualunque condizione, stato o autorità, potesse recarsi nelle città di
Pisa o di Lucca; per chi infrangeva questa regola c’era una multa, prevista anche per chi accoglieva persone
provenienti da tali luoghi. Gli abitanti di Pistoia potevano recarsi a Pisa e Lucca e far ritorno solo con
esplicita autorizzazione del consiglio del popolo cittadino, scritta dal Notaio degli Anziani, e del
Gonfaloniere di Giustizia. Stabilirono ancora che nessun cittadino del contado potesse portare o far entrare
in città panni usati di lino o di lana, a qualunque uso fossero destinati, altrimenti avrebbe dovuto pagare
duecento lire e gli sarebbero stati bruciati tali panni. Coloro che si allontanavano potevano condurre con sé
per uso personale vesti di peso massimo di trenta libbre. Stabilirono che i morti dovevano esser portati
fuori in casse di legno inchiodate, affinché nessun fetore potesse uscire; i rettori delle parrocchie erano
tenuti a fare denuncia alle autorità cittadine di ogni morto prima della sepoltura. La profondità della fossa
per la sepoltura dichiarata regolare era di due braccia e mezzo. Nessuno dei parenti poteva accompagnare i
defunti oltre la porta della chiesa, né potevano far ritorno alla casa dove abitava il morto. Onde evitare
spese inutili nessuno doveva, in caso di lutto, vestirsi con indumenti nuovi, ad eccezione delle mogli dei
defunti.
Nel marzo del 1348 a Venezia vengono nominati tre funzionari incaricati di operare pro conservatione
sanitatis. Anche a Firenze in aprile sono nominati degli ufficiali che avevano il compito di sorvegliare i
mercati, di accertare la provenienza di merci e mercanti, di impedire la rivendita di indumenti e suppellettili
appartenuti a individui morti di peste. Nello stesso anno ad Orvieto, in agosto, si colpisce lo sciacallaggio
nelle case abbandonate, e tra i controllori della peste c'è anche un medico reclutato a specifico incarico di
sorveglianza sanitaria civile.
A Milano si barricano porte e finestre di tre case infette lasciandovi reclusi gli appestati e i loro parenti.
Sempre a Milano, Bernabò Visconti emana un decreto da far rispettare nella propria città, nei borghi, nei
castelli e nei territori, lo scopo era quello di contenere il contagio. Compariva anche un elenco dei malati
perché ciascun medico notificasse i nomi dei malati, che ha in cura.
Nel 1374 Venezia e Genova chiudevano il loro porto alle navi provenienti da località infette. Nel 1477
Ragusa decreta che le navi provenienti da queste località entrino in porto dopo un mese di isolamento.
Questo periodo viene chiamato quarantena. La dottrina di Ippocrate stabilisce che il quarantesimo è
l'ultimo giorno nel quale può manifestarsi una malattia acuta come appunto la peste; una malattia che
insorge dopo questo termine dunque non può essere peste.
Nel 1400 nascerà a Venezia un'altra fondamentale istituzione: il lazzaretto. La quarantena si svolge in
un'isola della laguna, dov'è il monastero agostiniano di Santa Maria di Nazareth, nella quale vi affluisce
personale assistenziale proveniente dall'ospedale lagunare per lebbrosi dedicato a San Lazzaro.

Il 1348, l’anno della peste nera, fu verosimilmente l’anno del concepimento dell’uomo moderno. Prima
della peste, l’Italia e le Fiandre apparivano come i Paesi più agiati in Europa, poi un insieme di fattori
contribuì a svolte che poterono apparire decisive ed effettivamente lo furono, nella costituzione di quella
che fu una nuova era storica. Possono essere considerati i seguenti fattori: il commercio, le banche, la
cultura, i rapporti sociali, la situazione politica, la carestia, i cambiamenti di potere ai vertici, assieme alle
paure e alle preoccupazioni crescenti, mai sommerse, anzi alimentate da nuove guerre e dalla cresciuta
criminalità.
Anche crisi spirituali e riforme dei diritti feudali accompagnarono nuovissime ma determinanti evoluzioni,
quali le armi da fuoco con la polvere da sparo, la stampa, con la crescente influenza sull’analfabetismo,
valutato a quasi il 90% della popolazione, lo sviluppo della tecnologia con la misurazione del tempo grazie
all’orologio.
Ma furono certamente molteplici le ragioni (e le invenzioni) per cui vennero a scomparire gli ideali
cavallereschi e le tradizioni che avevano accompagnato la storia del Medioevo.
Nello stesso periodo vi fu anche un sensibile mutamento delle condizioni climatiche, con la diminuzione
delle temperature e anche alcuni terremoti in varie aree del pianeta. Tutto sembrava indicare che la peste
poteva essere la chiave di volta per una “annunciata” catastrofe globale.
Attorno alla metà del XIV secolo comparvero anche nuove informazioni e nuovi dati relativi a terre lontane
che diventavano “realmente esistenti” e non più solamente frutto di fantasie e racconti improbabili. Il Catai,
la Persia, al pari del Nord europeo, iniziavano ad avere la consistenza di Paesi in cui era iniziata o si era
diretta la grande pestilenza.
La paura della fine dell’umanità o della stessa morte era vissuta con ansie simili dall’Italia (primo paese ad
essere colpito in Europa) alla penisola Iberica, dalla Germania all’Inghilterra. La fame e l’insicurezza
generale, motivata anche da ripetute piccole pestilenze negli anni seguenti, determinarono le tre principali
crisi che accompagnarono quegli anni:
 Grave crisi religiosa, con la ricerca di colpevoli, l’attesa dell’Anticristo e l’espiazione di peccati;
 Grave crisi del commercio, con emergenze economiche, perdita di consolidate consuetudini etiche;
 Grave crisi della medicina, con la inesauribile richiesta di cure efficaci ed oscure profezie.
Tutto ciò per nominare solo alcuni degli eventi che presagivano la fine di un’epoca, la fine del Medioevo.
Emblematico il “facciatone” del duomo di Siena, rimasto incompiuto a causa della pestilenza che nel 1348
ha colpito la città:

La peste, paradossalmente, creò una forte ricchezza nella gente sopravvissuta, in quanto pochi morivano
lasciando delle volontà testamentarie, anche perché difficilmente i notai si recavano nelle case dei
moribondi. Dopo la peste, i tribunali vennero intasati da centinaia di cause legate a dispute ereditarie.
La peste favorì la rinascita delle Arti, è stata un importante precursore del Rinascimento.
La Chiesa e la Società laica sembravano proprio aver bisogno di un rinnovamento, dopo il chiaro
imbarbarimento e la cronica “crudeltà” dell’uomo medievale, e il bisogno di una nuova fiducia nelle
autorità (sia civili, sia religiose), per dare avvio ad inattese (per allora) consuetudini e speranze per il futuro.
In definitiva, si voleva smettere di aver paura, si voleva iniziare (nuovamente) ad apprezzare la vita, intesa
anche come piacere e divertimento oltre allo sviluppo economico, all’arte ed all’avventura. Il tutto,
ovviamente, salvaguardando la propria anima, magari compiendo viaggi ai luoghi santi o un pellegrinaggio a
Roma (v. Anno Santo, 1350).
La medicina, in particolare, rinnovò l’etica professionale e la deontologia ebbe anche una nuova
importanza, anche politica, sempre più orientata al bene comune.
Le Università acquisirono l’importanza che viene ad esse destinata, la mentalità orientata al dovere ed alla
morale, con la richiesta (e l’offerta) di un impegno totale, indipendente da ricompensa, guadagno ed anche
rischio di vita.
Non mancarono settori in cui le conseguenze della peste non furono “novità”. Furono decisivi la crisi
economica, il crollo demografico, le aumentate ricchezze dei sopravvissuti e l’incredibile formazione di un
nuovo ceto sociale: il ceto medio, con l’aumentata intolleranza verso gli stranieri e le minoranze etniche.
Non mancarono fenomeni (oggi facilmente prevedibili) conseguenti a tale crisi generale: rivolte, reati
contro la proprietà, l’esodo dalle campagne, il cambio delle professioni (l’allevamento, la filatura),
l’inasprirsi delle pene e la crudeltà delle esecuzioni, l’intensificarsi di crisi latenti. Le città ebbero nuovi
cittadini; furono favoriti il lusso, la ricchezza, il piacere. Grandi rinnovamenti erano in atto: la peste ne
determinò l’apice; essa non fu la sola causa degli sviluppi, ma li favorì in modo decisivo.

Alla peste del 1348 ne seguirono numerose altre e ad esse si associarono, nei decenni successivi, tutta una
serie di affezioni non sconosciute all’epoca precedente, ma che vennero ad assumere una virulenza molto
superiore: così la varicella, la scarlattina, la parotite, la meningite (che colpiva soprattutto bambini e
adolescenti), il tifo, il morbillo, la tubercolosi, il vaiolo. Fra il 1326 e il 1400 si registrarono in Germania
trentadue anni di epidemie, trenta in Inghilterra tra il 1351 e il 1485, trentasette in Italia tra il 1361 e il
1502. Sul piano demografico l'impatto di questi diversi morbi fu devastante, più nelle città che nelle
campagne. Ciò è facilmente spiegabile con il fatto che le concentrazioni urbane favorivano il contagio. In
città, tuttavia, la ripresa era resa più pronta dall'arrivo di immigrati, mentre in campagna gli effetti furono
più duraturi. Tutta una serie di piccoli centri, ripetutamente falciati dalle epidemie trequattrocentesche,
scomparvero. E’ il cosiddetto fenomeno dei "villaggi abbandonati", particolarmente forte in Germania, dove
i 170mila insediamenti umani del 1300 divennero 130mila nel 1500. Anche in Italia, e particolarmente in
Sardegna e nel Mezzogiorno continentale, molti centri abitati vennero meno. Nelle città della Penisola il
quadro degli effetti delle epidemie sulle popolazioni fu assai differenziato.
Secondo stime attuali, morì da un terzo a metà della popolazione dell'Europa, del Medio Oriente, del Nord
Africa e dell'India.
Circa un terzo della popolazione europea morì: per un confronto, durante la Seconda Guerra Mondiale, che
non fu seconda a nessuno per stragi e distruzioni, i morti furono “soltanto” il 5%!

La peste del Manzoni

Si verificò in Europa dal XV al XVIII secolo (alcuni considerano questa la III pandemia). Fu a Londra nel 1563-
1564 e lì causò 14086 morti. Nel 1603 morì il 22,6% della popolazione. La Grande Peste di Londra del 1665
uccise 70mila persone, il 15% della popolazione totale della città. Tipica è la canzone cantata dai bambini
londinesi all’epoca, per tenere lontana la peste: “A ring a ring of roses / a pocket full of poses / etischu
etischu /we all fall down”.

La peste del ‘600 a Milano è descritta da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi e nella Storia della
colonna infame.
Era una credenza comune e diffusa che l’epidemia avesse un’origine dolosa: in molte città degli innocenti
vennero accusati di essere i diretti responsabili dell’epidemia e furono denominati “untori”, perché si
credeva che ungessero le porte e i muri delle case per diffondere la malattia. Era considerato untore chi
camminava in modo circospetto, perché si credeva che aspettasse il momento giusto per colpire; se
procedeva rasente le case, ungeva persino con i gomiti. Se giravano lo sguardo intorno era per sincerarsi di
non essere visti, e se si accostavano a qualcuno era per far avvicinare la vittima prescelta e colpirla da
vicino, a tradimento.
La II pandemia di peste imperversò per 4 secoli: dal 1347 al 1720.
 In Francia si verificano 24 epidemie tra 1347-1536 e 12 tra il 1536-1670
 L’epidemia colpisce il Nord Italia nel 1477
 A Venezia, nel 1575, muore il 50% della popolazione
 Nel 1630, a Milano muore il 50% della popolazione
 Si ricorda la peste di Napoli del 1656
 Ultima epidemia: 1720, a Marsiglia, con 100mila morti

III pandemia

La III pandemia iniziò intorno al 1860 nella provincia cinese dello Yunnan. Raggiunse Canton (Guangzhou) e
Hong Kong nel 1894. Uccise dalle 80mila alle 100mila persone. In 20 anni si diffuse dai porti cinesi e causò
più di 10 milioni di morti nel periodo 1860-1918 in Cina e India. Il picco fu nel 1907 e continuò per 11 anni.
La peste fu introdotta anche negli USA da San Francisco nel 1899-1900 tramite un trasporto per nave di ratti
infetti dall’Asia. Questi subito infettarono la popolazione locale di mammiferi, specie gli scoiattoli che
portarono la malattia in tutto il Nord America. Tra il 1900 e il 1904 vi sono 121 casi di peste a San Francisco,
con 113 morti. Nel 1908 si verificano 160 casi, con 78 morti.
Negli anni ’60-’70, il Vietnam divenne il paese in cui la pesta era più frequente, con più di 10mila casi
all’anno.
Attualmente, negli USA si verificano 7 casi/anno, con un tasso di mortalità dell’8%.
L’ultima pandemia risale al periodo compreso tra il 1970 e il 2012. Distribuzione negli USA:

Nel 2003, in tutto il mondo, vi sono più di 2100 casi e 180 morti, la maggior parte in Africa. L’ultima
epidemia nel 2006 nella Repubblica Democratica del Congo, in Africa Centrale, ha provocato almeno 50
morti. Stati Uniti, Cina, India, Vietnam e Mongolia hanno registrato casi di peste negli ultimi anni.

Ci sono stati casi di infezione iatrogena da Y. pestis. Nel novembre del 1906, Richard Pearson Strong
(Direttore del Philippines Biological Laboratory) inoculò 24 prigionieri della prigione Bilibid di Manila con un
vaccino per il colera contaminato per errore da Y. pestis, causando 13 morti.

La peste polmonare è considerata una possibile arma biologica perché il germe può essere disseminato per
via aerea. Nel 1998, Larry Wayne Harris, che faceva parte di un gruppo per la supremazia bianca, ottenne
colture di batteri della peste. Per fortuna il complotto venne svelato e Harris fu arrestato (Tucker, 1999).

Per tutto il XX secolo la comunità scientifica rimase convinta che l’epidemia che imperversò in Europa dal
XIV al XVIII secolo (1347-1670) fosse dovuta alla peste bubbonica. Una serie di articoli degli ultimi 4-5 anni
ha messo in dubbio tale sicurezza. Interessante è il seguente articolo: C. J. Duncan, S. Scott, What caused
the Black Death?, Postgrad Med J, 2005;81:315–320. Viene fatta tale considerazione: la Morte Nera si
estese come un’onda verso il Nord dell’Europa ad una velocità media di circa 4 km al giorno e raggiunse il
Circolo Artico nel 1350, velocità veramente cospicua in giorni in cui i mezzi di trasporto erano molto limitati.
Viene quindi formulata un’ipotesi alternativa: non si tratta di peste bubbonica da Y. pestis, ma di una forma
virale, estremamente contagiosa e gravissima, simile alla malattia emorragica da virus Ebola. Le malattie
emorragiche virali provocano frequenti e gravissime epidemie in Africa, e si ritiene si originino da serbatoi
animali.
Un altro articolo, pubblicato nel 2006 su Plos Pathogens da numerosi autori, è titolato Distinct Clones of
Yersinia pesits Caused the Black Death. Sono stati studiati cinque siti archeologici: Parma, Saint-Laurent-de-
la-Cabrerisse, Augsburg, Bergen op Zoom, Hereford. Però, nel 2010, sequenziando il genoma dei
microrganismi rilevati si arriva alla conclusione che il batterio era lo stesso!
Ma se si trattava in tutti i casi di peste bubbonica da Y. pestis, come mai era più contagiosa di quanto non
sia ora la peste moderna? E come si spiega la velocità di propagazione? Forse anche la pulce umana aveva
contribuito (pulce che si blocca di meno, quindi muore di meno). La popolazione, inoltre, era
immunologicamente vergine.
Altre ipotesi:
 L’ipotesi di Frederique Audoin-Rouzeau (la scrittrice Fred Vargas) dell’utilizzo di un altro vettore: es.
Nosopsylla fasciata, che non si blocca (quindi infetta più persone) ed è più frequente in Europa.
 Un’altra malattia o una combinazione di malattie.
 Differente recettività dell’ospite ratto e dell’uomo.
MEDICINA RINASCIMENTALE E DEL XVI SECOLO

Il Rinascimento occupa un periodo storico compreso tra la metà del XV secolo e la metà del XVI secolo,
interessato da un profondo avanzamento delle conoscenze teoriche.
Il Rinascimento è, per definizione, un periodo di rinascita. Le idee classiche vengono rivisitate, riaffiora un
interesse per le teorie greco-romane.
Nel 1453 avviene la caduta di Bisanzio: gli studiosi fuggono dai Turchi e vanno in Italia. Con la riconquista
della Spagna, assume nuova importanza la biblioteca di Cordova.

Nel Rinascimento si assiste a numerose innovazioni rispetto al Mondo Classico:


 Disponibilità di nuove tecniche
 Maggiore stima di sé
 Riesame dei testi greci e latini: vengono notati errori e contraddizioni
 Tentativo di migliorare le tecniche classiche
 Curiosità e sperimentazione

La Riforma (Martin Lutero, nel 1517, sfida la Chiesa Cattolica e il Papa) determina l’affermarsi di un
rinnovamento anche in campo di religione. Copernico, inoltre, mostra le contraddizioni negli insegnamenti
della Chiesa.
Ci si chiede come si possa riesaminare il mondo. Ciò è possibile con l’osservazione e con la
sperimentazione:
 Il metodo di Copernico si basa sull’osservazione: le stelle e i pianeti si muovono nella direzione sbagliata
se la Terra è il centro dell’Universo.
 Anche Galileo adotta un metodo basato sull’osservazione. Inventa e utilizza il telescopio e il microscopio.
 Un grande “sperimentatore” è stato Cristoforo Colombo.

Nel 1452 Gutenberg inventa la stampa, che offre numerose opportunità per il diffondersi della cultura. Ha
vantaggi: è poco costosa ed è atta al circolo delle idee. Rappresenta una sfida a controllo esercitato dalla
Chiesa Cattolica sul circolo delle idee.
Nel 1525 si hanno la prima edizione greca dell’opera di Galeno e la prima versione in latino di Ippocrate; nel
1526 viene pubblicata la prima versione in greco di Ippocrate.

La Chiesa rimuove il veto sulle dissezioni che aveva imposto nel 1299.

Anche l’Arte nel Rinascimento adotta i criteri di osservazione e sperimentazione. Dall’osservazione deriva
l’esame della Natura (funzionamento, studio di piante e animali) e dalla sperimentazione deriva lo studio
dell’Anatomia: Leonardo da Vinci (1452-1519) ha compiuto molte dissezioni. Nel Medioevo le conoscenze
di anatomia si limitavano ai punti in cui eseguire o meno i salassi, basandosi su figure schematiche, e si era
avuto solo un rinnovamento grazie a Mondino de’ Liuzzi, che aveva sostenuto, a Bologna, la necessità di
accompagnare la dissezione alla lettura dei trattati di Galeno; l’insegnamento rimaneva comunque ex
cathedra, da parte del docente che si basa sui libri.
Le pubbliche dissezioni dei condannati a morte erano fonte di istruzione. Dal XV secolo gli artisti si
interessano di anatomia e vogliono seguire le dissezioni. Leon Battista Alberti, nel trattato De statua
(1435), afferma che la conoscenza delle parti del corpo umano è indispensabile allo scultore. Verrocchio,
Mantegna e Signorelli dimostrano buona conoscenza della muscolatura superficiale e talora anche di
quella profonda.

San Sebastiano, Mantegna, 1481

Leonardo da Vinci (1452-1519) è stato uno dei più illustri cultori dell’anatomia. Fece numerosissime
scoperte che riprodusse fedelmente nei codici che rimasero più o meno segreti, sino a quando un allievo di
Leonardo, nel 1600, li vendette ai reali di Inghilterra (oggi costituiscono il codice Windsor). Le sue scoperte
non influirono sull’evoluzione della scienza e della medicina, perché non vennero diffuse, ma rimasero
nascoste per secoli. Studiò l’anatomia delle ossa, dei muscoli, dei nervi, degli organi interni. Si interessò
dello sviluppo del feto (il mistero della matrice). Nemmeno lui aveva compreso la circolazione del sangue.
Alcuni codici di Leonardo:

Leonardo da Vinci collaborò con Marcantonio della Torre, noto anatomico, professore a Padova e a Pavia,
che morì a soli 33 anni, agli inizi del ‘500. Aveva progettato un libro di anatomia illustrato da Leonardo.

Berengario da Carpi (1460-1530) riportò l’interesse nuovamente sulle dissezioni. Il suo vero nome era
Jacopo Barigazzi, era figlio di un chirurgo, studiò a Bologna; nel 1502 divenne lettore di chirurgia, poi
chirurgo alla corte di Ferrara. Usò il testo del Mondino, di cui fece un’edizione nel
1514. Con Berengario da Carpi, l’anatomia non viene studiata solo sui libri, ma anche
con l’impiego di “visus et tactus”.
Di Berengario da Carpi ricordiamo due opere in particolare:
 Carpi commentaria cum amplissimis additionibus super anatomia mundini: opera
molto vasta, risalente al 1521.
Isagogae breves perlucide ac uberime, in anatomiam humani corporis a communi

academia usitatam: è un trattato agile, si tratta di brevi introduzioni, utili per la


didattica; viene pubblicata nel 1521.
Nei Commentaria, Berengario da Carpi pone in discussione uno dei capisaldi della teoria galenica: la
presenza, nell’uomo, della rete mirabile formata dallo sfioccarsi delle carotidi interne alla base
dell’encefalo, il luogo dove avverrebbe la trasformazione dello spirito vitale in spirito animale.
Nelle Isagogae breves, vediamo illustrazioni di corpi in movimento, di scorticati e di organi, adatte
all’insegnamento:

Nicolò Leoniceno (1428-1524) insegna Medicina a Ferrara. Introduce il concetto per cui le malattie hanno
un’origine naturale (clima, alluvioni, carestie); nel 1493 descrive una nuova malattia, di cui tratta nel Libellus
de epidemia quam Itali morbum gallicum Galli vero napolitanum vocant. La stesura
del De epidemia fu occasionata da una disputa tra medici intorno alla natura e
all’origine della siflide, esplosa al passaggio sulla penisola delle armate di Carlo VIII,
cui Nicolò assistette a Ferrara nel 1496. Egli liquida ogni implicazione di carattere
astrologico. Spiega l’origine del morbo ricorrendo alla patologia umorale di matrice
ippocratico-galenica. Esclude l’ipotesi che si tratti di una malattia del tutto nuova,
ma si oppone alle identificazioni con affezioni già note che erano state proposte e
di cui forniva una puntuale rassegna. Chiude l’opuscolo una dettagliata descrizione
dei sintomi e del decorso del morbo.
Nicolò ribadisce la necessità di attingere direttamente alle fonti mediche greche, depurate dalla “barbarie e
i commenti arabi e scolastici”.

Il medico-filosofo Paracelso (1493-1541) mise in discussione tutta la teoria ippocratico-galenica. Il suo vero
nome era Aureolus Philippus Theophrastus Bombastus von Hoenheim; era neurologicamente instabile. È
considerato il fondatore della iatrochimica, ma in realtà era un alchimista. È stato
professore universitario a Basilea. Ha messo in dubbio l’opera di Galeno, infatti ha
bruciato i libri di Galeno di fronte agli studenti, affermando: “Galeno è bugiardo e un
impostore; Avicenna è un maestro di cucina. Sono inutili. Non abbiamo bisogno di loro.
Leggere non serve ai medici. I pazienti sono l’unico libro utile”.
Non è d’accordo con la teoria dei 4 umori. Introduce l’idea per cui il corpo viene
attaccato da agenti esterni. Promuove l’uso di minerali e magia per aiutare il corpo a
proteggersi. Gli elementi chimiche che Paracelso considerava alla base dell’universo
erano il sale, lo zolfo, il mercurio (qualcosa che tutto sommato si rifaceva alla teoria
degli elementi). Dice che alla base delle malattie c’è quindi un’alterazione chimica di questi elementi.
Per la prima volta usò l’etere e si accorse delle sue capacità anestetiche; questa pratica andò scemando e
venne riscoperta in America solo 300 anni dopo.
Utilizzò anche il laudano per lenire i dolori e altri composti chimici come l’antimonio.
Le sue cognizioni fisiologiche rimasero confuse anche se certamente in opposizione con quelle galeniche.
Il grande sviluppo dell’anatomia si ebbe grazie ad Andrea Vesalio (Andreas Van
Wesel, 1514-1564), figlio del medico-farmacista dell’imperatore Carlo V. Nato a
Bruxelles, studiò a Parigi, Montpellier, Padova. Osservò le vittime della forca e i corpi
decomposti dei criminali, di cui portava a casa dei pezzi. All’età di 23 anni divenne
professore a Padova.
Praticò dissezioni e insegnò agli studenti a imparare da sé e a non dipendere da altri.
Nel 1543 pubblica il De humani corporis fabrica, in cui descrive il corpo umano visto
nella dissezione operata da lui stesso, indicando gli errori di Galeno (ad esempio
riguardo l’osso della madibola). La stampa permette al suo libro di diffondersi. La
dissezione divenne autopsia nel senso ellenistico, qualcosa che si vedeva con i propri occhi. Si può notare
l’orgogliosa affermazione dell’uomo rinascimentale che crede a quello che vede lui stesso. Nel frontespizio
della sua opera (vedi figura) osserviamo l’anatomico (lo stesso Vesalio) che opera direttamente sul
cadavere. Questa tavola è opera del pittore autore dei disegni che corredano il libro: Giovanni di Stefano
Calcar, allievo di Tiziano. Nell’intestazione leggiamo: “Andreae Vesalii Bruxellensis, scholae medicorum
Patauinae professoris, de Humani corporis fabrica - Libri septem”.

Nelle tavole di Calcar c’è una raffigurazione molto precisa del corpo umano: in piedi e con paesaggi di
fantasia. Le tavole non venivano colorate, perché sarebbe stato troppo dispendioso.

Vesalio corresse Galeno in 250 punti; non attaccò direttamente la concezione galenica del movimento del
sangue, anche se la demolì, dimostrando che non esistevano pori nel cuore, non esisteva il circolo mirabile,
ma lì si fermò.
Riguardo alla rete mirabile proposta dal Galeno, Vesalio scrive:
“Quante, spesso assurde cose sono state accettate in nome di Galeno... Tra queste quel mirabile plesso
reticolare, la cui esistenza viene costantemente sostenuta nei suoi scritti e di cui i medici parlano
continuamente. Essi non lo hanno mai visto, ma tuttavia continuano a descriverlo sulla scorta
dell'insegnamento di Galeno. Io stesso sono ora realmente meravigliato per la mia (precedente) stupidità...
Causa la mia devozione a Galeno non intrapresi mai una pubblica dissezione di una testa umana senza
contemporaneamente servirmi di quella di un agnello o di un bove per mostrare cose che non riuscivo a
riscontrare in alcun modo nell'uomo... e per evitare che gli astanti mi rimproverassero di essere incapace di
trovare quel plesso a tutti loro cosi ben noto per nome. Ma le arterie carotidi non formano affatto il plesso
reticolare descritto da Galeno.”
Vesalio capisce anche che i nervi non sono cavi: “Posso affermare di non aver mai trovato passaggio di
alcuna sorta, nonostante a questo scopo abbia esaminato i nervi ottici durante la vivisezione di cani e di
altre specie animali di dimensioni maggiori, ed il capo di un uomo ancora caldo, meno di un'ora dopo la
decapitazione.”
Per quanto riguarda lo spirito animale, Vesalio afferma: “Non nego che i ventricoli elaborino lo spirito
animale, ma sostengo che questo non spiega nulla sulla sede cerebrale delle facoltà più elevate dello spirito.
(...) Non sono in grado di comprendere come il cervello possa esercitare le sue funzioni.”
Nel 1543, anno di pubblicazione dei libro di Vesalio, vengono confutati due tra i più importanti miti
scientifici dell’epoca: la concezione antropocentrica e la concezione geocentrica; nello stesso anno viene
pubblicato il De rivolutionibus orbium celestium di Copernico, libro che confuta la teoria geocentrica.
Poco dopo aver pubblicato il libro, Vesalio lasciò l’insegnamento, forse a causa delle feroci critiche dei
galenisti. Divenne medico personale dell’imperatore Carlo V. Dopo un certo periodo pensò di tornare a
Padova, il Senato veneto lo aveva richiamato in patria e inoltre Carlo V era morto e il suo successore, Filippo
II, non gli era molto affezionato. Tuttavia, Vesalio ebbe un incidente di lavoro: fece una dissezione di un
uomo vivo (notizia dubbia, non ci sono atti del processo). Fu processato dall'Inquisizione, riuscì ad ottenere
il perdono grazie alla promessa di un pellegrinaggio in Palestina. Andò in Palestina con un brevetto del
Senato veneto che lo rivoleva a Padova, ma nel viaggio di ritorno, quando la nave attraccò all'isola di Zante,
morì, probabilmente di peste. Venne sepolto a Zante, ma non si conosce la sua tomba (1564).
Vesalio infranse il grande dogma galenico e affermò l’anatomia come scienza dovuta all’osservazione
diretta. Venne attaccato per aver contestato non con le parole (si professava galenista) ma con i fatti. Uno
dei critici nei confronti di Vesalio fu Francesco dal Pozzo (Puteus) di Vercelli, autore dell’Apologia in
anatome pro Galeno, contra Andream Vesalium (Venezia, 1562).

La scuola di Padova, in epoca rinascimentale, era la più importante. Vi si insegnava in latino e gli studenti vi
si recavano divisi per nazioni. A Padova si riuscì, fin dall'inizio, a fare in modo che le lauree non venissero
conferite dal Vescovo (come in tutte le altre università, con la bolla papale), ma dal sindaco. Il fatto ebbe
una importanza notevole: l’Università fu frequentata da studenti protestanti, che non potevano accedere
alle altre università, cattoliche, perché dovevano giurare fiducia alla fede cattolica; a Padova, fino a quando
la repubblica di Venezia riuscì a contrastare politicamente l'influenza del papato, si recavano numerosi
protestanti. L'intolleranza religiosa dovuta alla controriforma fu una delle cause del declino delle università
italiane.
A Padova Vesalio ebbe dei grandi successori.

Anatomici seguaci di Vesalio furono: Realdo Colombo, che lo sostituì a Padova, Gabriele Falloppia (1523-
1562), Girolamo Fabrici di Acquapendente (1533-1619). Si ricorda anche Giulio Casserio (1552-1616),
inserviente non colto che studiò latino e divenne professore. Fu il fondatore dell’anatomia comparata e
diede un grosso contributo allo studio della laringe.

Realdo Colombo pubblica le sue osservazioni nel De re anatomica (1559). Egli descrive
il piccolo circolo. Taglia la vena polmonare in un cane e si accorge che da essa non esce
aria, bensì sangue di tipo arterioso. Come Vesalio, non trova fori nel setto del cuore,
perciò capisce che il sangue scorre dalla parte destra a quella sinistra passando
attraverso i polmoni; nel polmone si forma sangue di tipo arterioso, “sottile e brillante”,
costituito da aria e da sangue venoso. Il nome “piccolo circolo” o circolo polmonare,
però, ancora non viene introdotto. Inoltre, Realdo Colombo rimane ancora legato alla
teoria galenica per alcuni punti, infatti per lui il sangue venoso viene attratto e
utilizzato dalle diverse parti del corpo.
Altro grande anatomico, che operò a Roma, fu Bartolomeo Eustachi (1500/1510-1574): scrisse un trattato
quasi superiore a quello di Vesalio, non tanto dal punto di vista artistico quanto da quello scientifico, anche
se con immagini estremamente dettagliate. Questo trattato, che Eustachi non riuscì a pubblicare perché
morì prima, venne scoperto agli inizi del ‘700 da Lancisi. Riuscì a influenza ugualmente la scienza: conteneva
dettagli che Vesalio aveva omesso.

Gerolamo Fabrizi di Acquapendente (1533-1619) fu un grandissimo chirurgo e


fu professore a Padova dal 1565 al 1619. Pubblicò numerosi trattati di chirurgia
e fu il maestro di William Harvey, lo scopritore della circolazione del sangue.
scrisse il De venarum ostiolis. Descrisse le valvole venose, ma non ne comprese
la funzione, infatti pensava che servissero a rallentare il flusso dal sangue che
scorreva dal centro alla periferia.
A lui si deve l’idea di colorare le illustrazioni.
Costruì a Padova il primo teatro anatomico stabile al mondo: il teatro era
circolare e poteva contenere fino a 300 spettatori, gli studenti stavano in piedi
entro 10 metri al di sopra del tavolo, che era al centro, in modo da avere una
visione precisa del cadavere disteso sul tavolo. Sotto il tavolo c’era un canale che
serviva per eliminare i rifiuti e far arrivare i cadaveri. Gli altri teatri fino ad allora conosciuti, invece, erano
mobili, quello di Padova è il primo ad essere stabile costruito in Europa.

Come già detto, l’anatomia diventa una protagonista importante dell’arte di allora. La più celebre anatomia
artistica mai eseguita è quella di Rembrandt, conservata al museo dell’Aia. In essa osserviamo Nicolao
Tulpius (1593-1674), che aveva studiato a Padova, che illustra ai suoi colleghi una dissezione. Dal punto di
vista strettamente anatomico, però, è un disastro. L’anatomia diventa una specie di natura morta.

Rembrandt, Lezione di anatomia

Adriaen Backer, La lezione di Anatomia del prof. Cornelis Troost, La lezione di Anatomia del prof. Willem
Frederick Ruysch, 1670, olio su tela, Museo Storico di Roëll, 1728, olio su tela, Rijsksmuseum, Amsterdam
Amsterdam
La maggior parte dei chirurghi erano però barbieri senza una cultura universitaria. La chirurgia andava
avanti come nel Medioevo. A seguito dalla bolla del 1215 Ecclesia Abhorret a Sanguine, i monaci avevano
lasciato la chirurgia che veniva ora praticata da persone non colte. In precedenza in Umbria e nelle Marche,
vicino a Norcia e Preci, l’abbazia di Santo Eutichio era stata un importante centro di cultura chirurgica: i
monaci istruivano i contadini del luogo. Norcia divenne nota per la tradizionale abilità nella castrazione
degli animali. I Norcini e i Preciani diventarono artigiani abilissimi e tramandarono di padre in figlio i segreti
chirurgici. I Preciani divennero famosi soprattutto per la cura degli occhi (da ricordare la famiglia degli
Scacchi). I Norcini facevano operazioni di chirurgia plastica molto avanzate, operavano di cataratta,
estrazione di calcoli. Essi praticavano anche la castrazione dei bambini per procurare voci bianche per i cori
delle chiese, in quanto le donne non vi erano ammesse. La chirurgia spicciola (estrarre i denti , curare le
ferite, era praticata dai barbieri: la loro insegna è ancora oggi il bastone bianco (come le bende) e rosso
(come il sangue).
Lo sviluppo dell’anatomia portò all’utilizzo delle nuove acquisizione nella chirurgia, rimanendo però
riservata all’élite medica. Ci furono medici famosi che divennero anche chirurghi, questo avvenne
soprattutto in Francia.

Ambroise Paré (1510-1590) era un barbiere-chirurgo nell’Armata Francese. Diede


importanza estrema all’anatomia e alle dissezioni. Creò la Confraternita di Cosma e
Damiano, distinta da quella dei barbieri, che non erano ancora medici togati perché
non conoscevano il latino in maniera ufficiale. A lui si devono importanti innovazioni
nella cura delle ferite: l’uso dell’olio di rosa e le legature.
Prima di Paré, i chirurghi cauterizzavano le ferite da arma fa fuoco con olio bollente, il
che procurava dolore, shock, infezioni; si pensava che esso servisse per estrarre la
materia peccans. Mentre seguiva una campagna in Piemonte, e non aveva più olio
bollente da mettere sulle gambe amputate, Paré seguì un consiglio datogli da un
norcino e utilizzò olio di rosa (che contiene fenolo, un blando disinfettante) e con grande meraviglia si rese
conto che i malati trattati con olio di rosa stavano meglio di quelli trattati con olio bollente.

La seconda soluzione proposta da Ambroise Paré per la cura delle ferite fu la legatura: usò fili di seta e aghi
per suturare i vasi sanguinanti. L’infezione, comunque, rimaneva ancora un grande problema.
Paré, inoltre, classificò i vari tipi di gemelli congiunti (siamesi):
Fabrizio Hildanus (1560-1634) sosteneva che non si doveva fare venire il pus nelle ferite per farle guarire
per seconda infezione e che si doveva procedere alla legatura dei vasi prima delle operazioni. Fu un critico
del galenismo.

Gaspare Tagliacozzo (1545-1599), professore di Anatomia a Bologna, imparò il metodo di ricostruzione del
naso dai Norcini, che operavano soprattutto nell’Italia meridionale. La ricostruzione del naso era
importante, visto che era soggetto a distruzione per via di molte malattie, come la tubercolosi e la sifilide, e
per via delle frequenti mutilazioni della faccia dovute alle armi da fuoco. Il metodo di Tagliacozzo era quello
di prelevare un lembo cutaneo dal braccio con cui ricostruire il naso.

Divenne celeberrimo in tutta Europa. Dopo la sua morte, la sua opera fu continuata da un allievo, ma per
poco tempo, infatti un irrigidimento della morale cattolica impedì di porre mano su ciò che era stato creato
da Dio. Così il cadavere di Tagliacozzo fu estratto dal cimitero consacrato e sepolto in una zona non
consacrata, mentre il suo allievo fu imprigionato. Il Tagliacozzo fu colpito dopo la morte dall’Inquisizione, in
quanto era considerato peccato ricostruire una parte del corpo.
Il suo lavoro è comunque rimasto grazie a un suo trattato di chirurgia plastica, il De Curtorum Chirurgia per
insitionem. Il suo metodo venne riscoperto nell’Ottocento inoltrato.

La Rivoluzione Scientifica risale un periodo compreso tra la fine del ‘500 e l’inizio del
‘600. Fondamentale fu il ruolo di Galileo Galilei (1564-1642), fisico, filosofo,
astronomo e matematico italiano, uno dei più grandi scienziati dell’epoca moderna.
Era figlio di un famoso musicista pisano, il padre avrebbe voluto che si laureasse in
medicina, ma lui preferì interessarsi di matematica. Fu docente di Matematica
all’Università di Pisa e poi a Padova. Fu il primo a introdurre il calcolo matematico
negli esperimenti scientifici. Abbracciò la teoria democritea, in contrapposizione alla
teoria aristotelica finalistica secondo cui tutto quello che accade in natura ha uno
scopo. Democrito sosteneva che l'universo e gli organismi erano formati da atomi in
un continuo e casuale movimento, quindi la filosofia democritea si basava sull'osservazione e non sul
finalismo come era quella di Aristotele. Galileo diede notizia nel Sidereus nuncius di essere riuscito a
dimostrare sperimentalmente la teoria di Copernico: infatti utilizzando il cannocchiale mostrò l'esistenza
dei satelliti di Giove e dimostrò che il Sole era al centro dell'universo, e non la Terra; quindi dimostrò che la
teoria Tolemaica era falsa.
Quando lasciò Padova, dove insegnava presso l’Università, fece l’errore di andare a Firenze, città che allora
era molto vicina al Papa, al contrario di Venezia, che invece godeva ancora di una certa autonomia perché
politicamente forte e lontana da Roma. Fu perseguitato dall’Inquisizione. Accusato di voler sovvertire la
filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galileo venne condannato come eretico dalla Chiesa
Cattolica e costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni astronomiche.
Il nome di Galileo Galilei è associato ad importanti contributi in dinamica (principio di inerzia, legge della
caduta dei gravi) e in astronomia (con la scoperta della rotazione della Terra, delle macchie solari, delle
montagne della Luna, dei satelliti di Giove, delle fasi di Venere, delle stelle che compongono la Via Lattea) e
all’introduzione del metodo scientifico (detto spesso metodo galileiano).
Egli scrive: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli
occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i
caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre
figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un
aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.” (Opere VI)
Galileo ebbe anche il merito di usare il cannocchiale, non solo per vedere le cose grandi ma anche per
vedere quelle piccole, e consigliò ai suoi allievi di usare il microscopio, che fu denominato così da Francesco
Stelluti (1577-1652), un allievo di Galileo.

C’è una tradizione senza alcuna base storica, secondo la quale chi scoprì il microscopio fu l’olandese
Zacharius Jansen; in realtà, l’unica cosa certa è che egli costruisse lenti. L’uso del microscopio per vedere
cose invisibili a occhio nudo è da attribuire solo a Galileo: ciò è documentato in una sua lettera in cui esorta
gli allievi a usare questo strumento.
Poiché Galileo era un fisico, egli aveva elaborato la teoria secondo cui il corpo umano era una macchina, e
gli organi delle minute macchine; bisognava pertanto ricercare la macchina elementare.
I microscopi di Galileo avevano dei grossi problemi perché presentavano dei difetti di riflessione e rifrazione
della luce, per cui si vedevano molte immagini illusorie: ciò comportò feroci critiche al microscopio.
La scienza galileiana aveva come base l’esperimento: bisognava dare un significato alle cose solo dopo
averle osservate e misurate.

Marco Aurelio Severino (1580-1656), nato a Tarsia (in Calabria) studio alla Scuola
salernitana e fu professore di Medicina e Anatomia a Napoli. Egli abbracciò in pieno la
filosofia galileiana e usando il microscopio descrisse addirittura l’utero dello scarabeo
(che in realtà ne è privo!). Dimostrò tuttavia che negli insetti ritroviamo gli organi che
ci sono negli animali superiori. Sosteneva anche che il microscopio doveva servire a
vedere cose invisibili e che l’anatomia non doveva essere considerata come “l’arte del
tagliare”, ma doveva servire per scomporre e per andare a ricercare gli atomi:
“Anatomia dissutrix non dissectrix”. Lo studio microscopico degli insetti dimostrò che
cose che sembravano assolutamente grossolane erano in realtà molto complicate.
Opere importanti di Severino sono:
 Sulla natura degli ascessi, stampata a Napoli nel 1632
 Sull’efficacia della medicina, stampata a Francoforte nel 1646
 Sulla chirurgia, stampata sempre a Francoforte nel 1653
Severino fu anche un grande chirurgo e pubblicò nel 1632 il primo trattato illustrato di patologia chirurgica.
A Napoli ci fu un’epidemia di difterite ed egli, praticando la laringectomia, salvò molte vite. In periodo di
peste non scappò dalla città, come fecero molti altri medici, ma rimase a curare i malati; morì di peste.

Molti allievi della scuola di Galileo, con degli artifizi, riuscirono a mettere in evidenza delle strutture molto
fini, dando perciò il via alla cosiddetta anatomia scompositiva o artificiosa.
Ad esempio, Giovanbattista Odierna (1597-1660), a Palermo, bollì l’occhio di una mosca e dimostrò che era
formato da una miriade di cristallini che permettevano alla mosca di vedere a 360°.
Oltre al microscopio, si poteva usare il “microscopium naturae”, infatti Claudio Auberio, lorenese, che era
un allievo di Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), a sua volta allievo di Galileo, per dimostrare com’era
fatto il testicolo studiò quello del cinghiale (il maiale aveva già colpito Galeno proprio perché gli organi
vegetativi erano simili quelli dell’uomo), e mise in evidenza i tubuli seminiferi, la struttura dei tubuli
efferenti e l’epididimo, che poi furono comparati a quelli dell’uomo. Questo studio è oggetto dell’opera
Testis examinatus a Vauclio Dathirio Bonglaro (1658). Lo scopo era quello di riuscire a capire come fosse
fatto e come funzionasse il corpo umano.

Sulla destra, tubuli seminiferi e testicolo di cinghiale, sulla sinistra quelli umani

Il grande scienziato Santorio Santorio (1561-1636), istriano e allievo della scuola galileiana, trascorse gran
parte della sua vita sopra a una bilancia dove si pesava quando mangiava e dopo aver defecato, misurando
ciò che rimaneva dopo aver mangiato: ebbe l’intuizione dell’esistenza del metabolismo. Capisce che la
sudorazione ha un ruolo nell’eliminazione del calore. È il primo a fare la misurazione del polso e ad usare il
termometro per misurare la febbre. La sua opera principale è La medicina statica.

Santorio Santorio

Gaspare Aselli (1581-1626) fu un medico milanese, professore all’Università di Pavia. Condusse un


esperimento su un piccolo cane: quando aprì l’addome sotto al diaframma vide una rete bianchissima nelle
maglie del mesentere e si rese conto di aver scoperto un altro tipo di vasi. Lo stesso esperimento fatto su
un grosso cane randagio non diede lo stesso risultato. Egli ripeté l’esperimento su un terzo cane, dopo
averlo fatto mangiare, e scoprì i vasi chiliferi. In seguito pubblicò un atlante che conteneva le prime stampe
a colori.
Un grosso errore che fece Aselli fu quello di confondere un linfonodo con un organo che lui chiamò
pancreas. Ancora non si conosceva il sistema linfatico, che verrà scoperto solo qualche decennio dopo:
prima Jean Pequet (1622-1674) scoprì la cisterna del chilo, e poi l’intera circolazione venne descritta dal
medico romano Giovanni Guglielmo Riva (1627-1677) e da Thomas Bartolin (1616-1680), danese. In realtà,
Bartolomeo Eustachi aveva già descritto nel 1564 il dotto toracico del cavallo.

William Harvey (1578-1657), che aveva studiato a Padova, confutò la teoria di Galeno
secondo la quale il sangue veniva creato continuamente. Fece esperimenti per
dimostrare che il sangue fluisce in un’unica direzione su animali e cadaveri. Dimostrò che
il cuore è una pompa e che il sangue ricircola.
Misurò la quantità di sangue che c’è nel corpo e vide che era molto limitata, aveva preso
un animale, gli tagliò una vena e ne estrasse tutto il sangue. Il fatto che il volume del
sangue circolante fosse limitato era in contrasto con il concetto galenico secondo cui il
sangue veniva continuamente prodotto per essere assorbito dalle strutture periferiche.
Nel 1628 Harvey pubblicò il suo trattato intitolato Exercitatio Anatomica de
Motu cordis et sanguinis in animalibus. Secondo Galeno il sangue andava dal
fegato alla periferia. Harvey dimostrò il contrario: aveva visto che, mettendo
un laccio a una vena, questa diventava turgida; chiudendo altri due segmenti,
il sangue andava dalla periferia verso il centro. Harvey capì il meccanismo
della circolazione venosa e il ruolo del cuore come pompa. Tuttavia, Harvey
non riuscì a trovare l’anello di congiunzione tra le arterie e le vene, perché
non riusciva a vedere i capillari. Questa nuova teoria ebbe diversi consensi, ma anche molte critiche, anche
perché il concetto della circolazione fu associato a idee politiche sulla circolazione del potere.
I capillari vennero scoperti, più tardi, da Malpighi negli animali a sangue freddo, e in quelli a sangue caldo
da Spallanzani, che confermò le precedenti osservazioni di William Cowper (1666-1709).
Harvey all’inizio fu criticato moltissimo, ma poi la sua teoria si affermò declassando il fegato che da organo
principale divenne solo l’organo che secerne la bile. Addirittura ci fu un famoso anatomico, Thomas
Bartholin (fu maestro di Stenone), che pubblicò “le esequie del fegato”: Vasa lymphatica nuper hafniae in
anibalibus inventa et hepatis exsequiae.
William Harvey pubblica anche, nel 1651, il De generatione animalium, in cui descrive i problemi relativi alle
somiglianze tra le specie.

Nonostante conoscessero la peste e nonostante ci fossero molte malattie endemiche come la lebbra e la
tubercolosi (non una sola malattia, ma 6-7 diverse) non avevano il concetto di contagio ad opera di
organismi viventi. Non si capiva come si trasmettessero le malattie. L’idea più accreditata era che i miasmi
portassero il contagio, ma non si capiva quale fosse la via di trasmissione. Non c’era nessun concetto
d’igiene, i malati venivano messi su letti con lenzuola sporche he poi venivano riciclate senza lavaggio, ciò
favorisce la diffusione di malattie, soprattutto nelle zone molto affollate.

Quali malattie c’erano nel Rinascimento?


A causa delle carestie, numerosissime erano le morti per fame e inoltre le difese immunitarie risultavano
estremamente ridotte, aumentava così la suscettibilità alle malattie infettive. La scoperta dell’America
determinò l’innesco di un circuito epidemico.
Le malattie infettive principali di allora erano: malattie già medievali, come tubercolosi, lebbra, vaiolo,
peste; malattie che venivano confuse con il vaiolo, come morbillo, scarlattina, varicella; la malaria, diffusa
nelle zone paludose litoranee; malattie riscoperte, come pertosse, parotite, influenza. Importanti erano le
malattie portate dagli eserciti, ossia tifo esantematico e dissenteria bacillare.
Le malattie tossiche o carenziali comprendevano: l’ergotismo, per intossicazione a causa di ingestione di
segale cornuta; lo scorbuto, tipico dei marinai che affrontavano le lunghe navigazioni, e causato da carenza
di vitamina C; la pellagra, malattia da deficit di vitamina PP (niacina), a causa di monofagismo maidico, a
basa di granturco.
Si afferma il concetto di contagio, alla base della diffusione, seppur episodica, della peste, del vaiolo, più
endemica, e della sifilide.
SIFILIDE

La sifilide o lue è una malattia che ha sempre destato grande curiosità ed è sempre stata avvolta da un
alone di mistero. Come mai è apparsa di colpo alla fine del ‘400? È stata definita “grande simulatrice” a
causa delle difficoltà che venivano incontrate nella diagnosi. Il T. pallidum non cresce il coltura facilmente, il
suo genoma è stato sequenziato nel 1998. La patogenesi di questa malattia appare complessa.
Le teorie secondo le quali la sifilide appare nel ‘500 sono:
 Teoria colombiana: la sifilide venerea è arrivata in Europa con i marinai di Colombo.
 Teoria precolombiana: la sifilide era già presente in Europa prima della scoperta dell’America e si
sarebbe diffusa in rapporto alla cacciata degli Ebrei dalla Spagna e alle guerre rinascimentali.
La sifilide colpisce per la prima volta in modo epidemico alla fine del ‘400 durante l’assedio da parte di Carlo
VIII a Napoli (1495), e segue la ritirata di Carlo VIII. All’inizio ha un andamento acuto, ma alla fine del XVI
secolo assume un andamento cronico. Si configura come un male incurabile, tanto che nascono ospedali
per i malato incurabili, come i lebbrosari per la lebbra.

Quasi contemporaneamente alla pubblicazione dell’opera di Vesalio, un famoso


medico e anatomico veronese, Gerolamo Fracastoro (1478/9-1553) diede il nome a
una malattia che si era appena sviluppata, appunto la sifilide. Essa era stata già
descritta da Nicolò Leoniceno. Fracastoro sosteneva che esistessero degli organismi
viventi invisibili, da lui chiamati “seminaria”, che portavano il contagio. I seminaria si
potevano trasmettere non solo per contatto diretto, ma anche tramite vestiti,
lenzuola, oggetti.
Fracastoro diede il nome alla sifilide in un famoso epitteto, dedicato a Pietro Bembo,
scritto nel 1530 in latino e intitolato Syphilis sive morbus gallicus, il più conosciuto
poema del tempo sulla sifilide. L’opera, divulgata in varie lingue, fu tradotta in italiano dal Benini:
“primieramente era mirabil cosa che l’introdotta infezione sovente segni non desse manifesti appieno se
quattro corsi no compia la luna”. Il nome “sifilide” deriva dalla figura mitologica di Sifilo, pastore a cui la
malattia era stata indotta da Apollo per invidia della sua bellezza.

A Napoli, occupata dai di francesi Carlo VIII (1494), compare tra i difensori una nuova malattia caratterizzata
da lesioni genitali, ulcere cutanee, dolori ossei; l’evoluzione è acuta e porta rapidamente a morte. In
seguito si ha diffusione in tutta Europa e la sua comparsa in India (1498), portata da Vasco da Gama, e in
Giappone (1505).
Diversi sono gli appellativi dati alla sifilide, a seconda della zona:
 I napoletani la chiamano “mal francese” o “morbo celtico” (“morbus gallicum”), da cui l’espressione
“infrancesato”
 I francesi la chiamano “mal napolitain”
 Per gli inglesi è “French pox” o “great pox”
 Tedeschi, fiamminghi, olandesi, portoghesi e nordafricani la definiscono “mal spagnolo” o “mal di
Castiglia”
 Dai giapponesi è chiamata “eruzione di Canton” o “ulcera cinese”

Gonzalo Fernandez de Oviedo (1476-1557), storico e naturalista spagnolo, nonché ispettore e cronista
delle Indie, scrive: “Mi ridea molte volte in Italia sentendo gli Italiani nominare il mal francese e dalli
Francesi dir il mal di Napoli: in effetto, che questi o che quelli avrebbono indovinato il vero nome, se il male
dell’Indie chiamato lo avessero”.

Due sono le teorie che cercano di spiegare perché la sifilide sia comparsa alla fine del ‘400:
 Teoria I: recrudescenza di una malattia che ha cambiato fisionomia, ma che era già endemica
nell’Oriente arabo
 Teoria II: venne portata dall’America ad opera dei marinai di Cristoforo Colombo.
Si riconobbe subito che la sifilide era a contagio sessuale e si diceva che si era sviluppata a causa
dell’amplesso di una prostituta con un lebbroso. Ci si chiese quindi se fosse possibile che alcuni casi di
lebbra fossero invece di sifilide.

Carlo VIII morì all’età di 28 anni, pare per sifilide cerebrale.


Era al seguito dell’esercito francese un gruppo di circa 800 prostitute e non c’è dubbio che proprio la
diffusione del meretricio negli eserciti e tra la popolazione contribuisse in massima parte a propagare la
malattia.
A Roma, verso la fine del ‘400, si contavano circa 6800 meretrici, escludendo le clandestine.

Si pensava anche che la sifilide fosse una malattia da curare secondo i principi ippocratici, per cui bisognava
eliminare la materia peccans: in questo caso si doveva togliere l’eccesso di flemma con l’uso di farmaci che
provocassero la sudorazione, come il legno guaiaco e il mercurio. Si diceva “una notte con Venere: tutta la
vita con Mercurio”.

Sifilide Il demone della sifilide Il trattamento

La sifilide è una malattia che fece la fortuna dei medici perché nel 30% dei casi guariva da sola e, quando un
malato guariva, il medico sosteneva che era merito delle sue cure. Per combattere la sifilide ci
somministrava il mercurio che, essendo tossico per le ghiandole salivari e per quelle sudoripare, provocava
una secrezione potentissima.
Del resto nei secoli successivi, benché non fosse ancora stata individuata una terapia specifica e risolutiva,
la malattia andò assumendo, forse anche con il miglioramento delle condizioni socio-economiche e quindi
igienico-alimentari, una forma più attenuata nel suo manifestarsi e un aspetto endemico. Fino ai primi del
‘900 l’unico farmaco utile era ancora il mercurio. Nel 1910 Paul Ehrlich introdusse l’arseno-benzolo. Solo
nel 1928 Fleming scoprì la penicillina, che venne prodotta su scala industriale nel 1941.
In realtà, il mercurio e i composti arsenicali hanno un effetto batteriostatico e debolmente battericida. Un
effetto del mercurio era quello di annerire i denti, costringendo le nobildonne a limarsi i denti per il fatto
che stavano seguendo la terapia mercuriale contro la sifilide. Inoltre, il mercurio è tossico per il rene.

La cura della sifilide con i fumi di mercurio in un’incisione di metà Seicento


La sifilide è causata dall’infezione da Treponema pallidum, una spirocheta, ossia un fragile organismo a
spirale che viene riconosciuto per la caratteristica morfologia e per la sua mobilità; è visibile al microscopio
in campo oscuro o con tecniche fluorescenti. Non cresce nei normali terreni di coltura, si riproduce
scarsamente nelle colture tissutali e non può sopravvivere a lungo al di fuori del corpo umano; l’uomo è
l’unico ospite naturale.
Attualmente sono disponibili due classi di test sierologici per la sifilide (TSS):
 I test di screening, che utilizzano antigeni lipoidei non treponemici ed evidenziano le reagine sifilidiche;
includono il Venereal Disease Research Laboratory (VDRL) e la reagina plasmatica rapida (RPR).
 I test treponemici specifici evidenziano gli anticorpi antitreponemici e comprendono il test di
assorbimento di anticorpi anti-treponema fluorescenti (FTA-ABS), il saggio di microemoagglutinazione
per gli anticorpi anti Treponema pallidum (MHA-TP) e il test di emoagglutinazione per il Treponema
pallidum (TPHA).
Il genoma del T. pallidum è di 1,14 Mb e codifica per 1041 proteine; è uno dei genomi batterici più piccoli
(altri Gram negativi, come E. coli e B. subtilis, hanno un genoma molto più grande). Ha scarse capacità
metaboliche, infatti pur possedendo gli enzimi per la glicolisi non può effettuare il ciclo di Krebs né la catena
respiratoria. Usa dei trasportatori per assumere macromolecole. È sensibili all’ossigeno, allo stress, al
calore; nel 1918 il futuro premio Nobel Julius Wagner von Jauregg mette a punto un trattamento della
sifilide con la malaria.
La manipolazione genetica del T. palllidum è difficile, in rapporto alla difficoltà di coltivazione e alla fragilità
della membrana esterna.
La sua disseminazione non solo è estesa, ma è rapidissima. Nell’infezione del coniglio il T. pallidum entra nel
circolo entro pochi minuti dopo inoculazione intradermica e organismi applicati a livello mucoso si trovano
in tessuti più profondi entro ore.
Il T. pallidum si attacca alle cellule, si muove (la motilità è un fattore di virulenza) ed è capace di
chemiotassi. In rapporto all’assenza di tossine o di altri fattori di virulenza, i T. pallidum provoca la
distruzione dei tessuti tramite la risposta infiammatoria e la risposta immunitaria, determinando uno stato
di flogosi cronica.

La malattia procede seguendo tre stadi:


1) Sifilide primaria: infiammazione locale lieve nella sede dell’inoculo
2) Sifilide secondaria: diffusione generalizzata dei batteri con lesioni cutanee
3) Sifilide terziaria: lesioni infiammatorie distruttive e riparative localizzate alle ossa, ma anche al cuore, ai
vasi, al cervello, al midollo spinale.

1) Sifilide primaria: da 1 settimana a 3 mesi dopo il contagio compare l’ulcera dura o sifiloma, indolore,
nella sede del contagio, associata a tumefazione indolente dei linfonodi regionali. La lesione guarisce da
sola in qualche settimana. La superficie è ricca di spirochete e il paziente e molto contagioso.
Al microscopio, la lesione è caratterizzata da un’endoarterite obliterante: l’endotelio dei vasi prolifera e
si rigonfia, causando ischemia e microinfarti. È presente inoltre un denso infiltrato perivascolare
plasmacellulare e macrofagico.

Infiltrazione di linfociti, plasmacellule e macrofagi attorno ai vasa vasorum della tonaca media
2) Sifilide secondaria: da alcune settimane a pochi mesi dopo la scomparsa della lesione primaria, il
paziente sviluppa un esantema, spesso di breve durata, la rubeola sifilitica, su cute e mucose. Le lesioni
possono ulcerarsi. Lo stadio secondario è contagioso e caratterizzato da varie lesioni dermatologiche
simili a quelle di altre patologie, da qui la definizione di “grande simulatrice” data alla sifilide. In
particolare, nella sifilide secondaria abbiamo 3 possibili decorsi:
 Stadio latente: asintomatico, può persistere indefinitamente o essere seguito dallo stadio tardivo.
 Sifilide latente precoce: infezione di durata inferiore ai 2 anni; lesioni infettive possono recidivare,
 Sifilide latente tardiva: infezione di durata superiore ai 2 anni.
La sifilide secondaria è caratterizzata da:
 Rash cutaneo/condiloma piano
 Adenopatia
 Febbre
 Atralgia/artrite
 Cefalea
 Meningite
 Uveite anteriore/retinite
 Neuropatia cranica
 Glomerulonefrite
 Epatite
 Osteite/periostite
 Alopecia
 Malessere/anoressia

3) Sifilide terziaria: non contagiosa, caratterizzata dalla presenza di gomme luetiche in vari organi. Il
coinvolgimento dell’aorta prossimale (compromissione dei vasa vasorum) causa insufficienza aortica e
dilatazione della parete, con formazione di un aneurisma. A questo stadio, la sifilide assume 4 aspetti:
 Paresi generalizzata, con demenza, mania, psicosi.
 Lue meningovascolare, fibrosi delle meningi, cefalgia, idrocefalo.
 Tabe dorsale, con sindrome sensoriale (dolori terebranti cronici, perdita dei riflessi propriocettivi) che
coinvolge le colonne dorsali del midollo spinale.
 Gomme, ossia granulomi con necrosi colliquativa e plasmacellule; sono a localizzazione intracranica,
nel fegato, nei testicoli, nel periostio. Naso a sella per distruzione del naso. Glomerulonefrite.
Anergia.

Cuore fetale: gomma luetica in un caso di sifilide congenita (contraibile nel terzo trimestre di gestazione).

Il linfonodo tumefatto è sostituito da cellule epitelioidi a livello multifocale. Si vede la gomma luetica.
Nella sifilide congenita (trasmissione materno-fetale) osserviamo: tibie a sciabola e deformità ossee e
dentarie; naso a sella (v. figura); polmonite alba, per disseminazione nelle vie aeree; epatosplenomegalia e
deformità epatiche dovute alle bolle; esantema, ad esempio a livello dei palmi delle mani e dei piedi;
ritardo mentale, sordità, cecità; funicolite necrotizzante; segni di sifilide secondarie e terziaria.

Evoluzione della lue:

Malati famosi di sifilide sono stati: Carlo V, Francesco I, Enrico VIII, Elisabetta I, Richelieu, Ugo Foscolo,
Nietzsche, Oscar Wilde, Adolf Hitler.

Nel ‘400 e inizi ‘500 è stata chiamata “grande vaiolo” (great pox). Era una malattia acuta ad andamento
epidemico, forse perché era una malattia nuova e la popolazione era immunologicamente vergine.

Le treponematosi possono essere così classificate:


 Pinta: sudamericana
 Yaws o framboesia: africana
 Sifilide endemica o bejel: medio-orientale
 Sifilide venerea: europea
Le 3 teorie formulate per spiegare l’origine della diffusione in Europa della sifilide sono:
 Teoria colombiana: è stata importata in Europa da Colombo: non c’era in Europa prima del 1492.
 Teoria pre-colombiana: è una malattia europea, solo alla fine del ‘400 si è imparato a distinguerla dalla
lebbra: è stata trasportata dall’Europa nel Nuovo Mondo.
 Teoria di compromesso: è una malattia che c’era sia nel Nuovo Mondo che nel Vecchio, essendo
originata indipendentemente da altre forme di treponematosi.
Possiamo porci alcune domande:
 Abbiamo dati oggettivi, ossia scheletrici, della presenza di una treponematosi prima del 1495 in Europa?
 Se c’era una treponematosi, si trattava di sifilide?
 Esiste una dimostrazione antropologica relativa all’esistenza di treponematosi in Europa prima del
1492?
Si possono studiare le lesioni ossee, infatti le treponematosi determinano lesioni caratteristiche: tibie a
sciabola ed erosioni ossee da gomma.

Radio incurvato, ulna con lesione da gomma e tibia con reazione periostale

Tibia a sciabola in sifilide

Considerazioni sulle treponematosi:


 Sifilide, framboesia e bejel sono treponematosi trasmesse da treponemi indistinguibili sierologicamente
e morfologicamente.
 Solo la lue è venerea, le altre si trasmettono per contatto cutaneo.
 Tutte causano lesioni ossee con flogosi del periostio.
Gli agenti causali sono treponemi sierologicamente e morfologicamente indistinguibili, però sono differenti:
 Il T. pallidum sottospecie endemicum causa la sifilide endemica, detta anche sifilide non venerea o bejel
 Il T. pallidum sottospecie pertenue causa la yaws o framboesia
 Il T. carateum causa la pinta
 Il T. pallidum sottospecie pallidum causa la sifilide venerea

Dal diario di John Lawson, esploratore dei primi del ‘700, leggiamo: “gli indiani sono affetti da una specie di
reumatismo o ‘incendio’ degli arti, per cui le loro gambe sono così calde… per cui costringono i ragazzi a
versare acqua fresca in continuazione su di esse… La malattia non raramente li priva del naso. Io stesso ho
visto tre o quattro di loro raggiungere il più miserevole aspetto a causa di questo ‘cimurro’. Ma, sebbene
essi non se ne curino troppo e raggiungano questo stadio senza poter rallentare il decorso della malattia,
alla fine vanno incontro guarigione e vivono poi per molti anni…”
La sifilide endemica o bejel inizia nell’infanzia come una chiazza mucosa, spesso sulla mucosa buccale,
seguita da lesioni papulosquamose e papulari erosive del tronco e degli arti. Frequente è una periostite alle
ossa delle gambe. In fasi successive si sviluppano lesioni gommose del palato molle e del naso.

La framboesia o yaws, dopo un periodo di incubazione di diverse settimane, inizia come una lesione
granulomatosa o maculare nella sede di inoculo, che spesso sono le gambe. La lesione si rimargina, ma è
seguita da un’eruzione generalizzata di granulomi soffici sul volto, sugli arti e sui glutei, spesso alle giunzioni
mucocutanee. Questi granulomi guariscono lentamente e possono recidivare.
Possono svilupparsi lesioni cheratosiche alle piante dei piedi, che provocano ulcerazioni dolorose. Più tardi
possono manifestarsi lesioni distruttive come periostite, specialmente a carico della tibia, esostosi
proliferative della regione della porzione nasale dell’osso mascellare (goundou), noduli iuxta-articolari,
lesioni cutanee gommose e, infine, anche ulcere facciali mutilanti, specialmente attorno al naso (gangosa).

La pinta produce lesioni confinate al derma. Esordiscono nella sede di ingresso come piccole papule che
progrediscono in placche eritematose nell’arco di diversi mesi. Più tardi si sviluppano chiazze eritematose e
squamose soprattutto agli arti, al volto e al collo. Dopo diversi mesi si sviluppano chiazze simmetriche di
color blu ardesia, soprattutto al volto e agli arti, oltre che sulle prominenze ossee: esse più tardi diventano
depigmentate e assomigliano alla vitiligine. Può anche verificarsi ipercheratosi a livello dei palmi delle mani
e delle piante dei piedi. Le lesioni distruttive lasciano una cicatrice.

Ambiente Età Contagio


Pinta Foresta tropicale Infantile Cutaneo, mucoso
sudamericana
Yaws Foresta tropicale Infantile Cutaneo, mucoso
africana
Sifilide endemica Regioni aride del Nord Infantile Cutaneo, mucoso
Africa
Sifilide venerea “Occidente” Adulta Sessuale

Neonatale Congenita
Teoria di Hackett (1963): germi diversi causano malattie diverse, le “treponematosi”. V. treponemi e
malattie.
Teoria di Hudson (1958): una sola specie è causa di manifestazioni cliniche diverse (le treponematosi): si
tratta del T. pallidum. Secondo Hudson, il responsabile sarebbe un primitivo treponema africano, poi
scomparso, che dava una malattia simile alla pinta; in seguito alla migrazione tramite lo Stretto di Bering e
in altre zone, la pinta si sarebbe poi differenziata in yaws, bejel, sifilide venerea e pinta in Sud America.
Secondo Hudson, “ogni gruppo sociale possiede il tipo di treponema adatto a quel particolare ambiente
geografico e climatico e a quel particolare stadio di sviluppo culturale”. Quindi:

Treponematosi Clima Popolazione Trasmissione

Pinta
Yaws Caldo, umido Piccoli gruppi di cacciatori nomadi Cute
senza vesti

Sifilide endemica Caldo, arido Cospicui gruppi di agricoltori e Cute, mucose


pastori

Sifilide venerea Temperato Popolazioni urbane, vesti Genitale

Teoria “alternativa” di Livingstone (1991): i portoghesi che erano stati in Ghana, già 15 anni prima della
scoperta dell’America, avrebbero avuto contatto con lo yaws africano e lo avrebbero importato in Europa,
dove si sarebbe adattato alla temperatura corporea degli europei. Il ceppo europeo sarebbe divenuto più
virulento e avrebbe determinato l’epidemia di sifilide post-colombiana.

Ipotesi sulle migrazioni umane e sulla diffusione della treponematosi nelle due diverse forme

Considerazioni:
 L’esistenza della lue in America già prima della scoperta di tale continente è attestata da testimonianze
osteoarcheologiche.
 Ci sono documenti anteriori al 1492, che suggeriscono la presenza della lue in Europa prima del 1495,
ma i casi paleopatologici sono scarsi.
 È difficile stabilire se l’epidemia europea del 1495 fu dovuta a importazione dall’America o alla
virulentazione di un organismo già endemico in Europa.

I Rothschild hanno studiato una serie di scheletri di soggetti sicuramente affetti da una delle tre patologie
per definire criteri diagnostici da utilizzare in studi di paleopatologia. Hanno studiato una collezione di
scheletri nordamericani di luetici, una collezione di Guam (Marianne, Pacifico, a est delle Filippine) di
scheletri anteriori al 1668 che non potevano avere altro che la framboesia perché era l’unica treponematosi
presente nell’isola all’epoca, e una collezione di Beduini che avevano avuto il bejel o sifilide endemica.
I criteri che hanno utilizzato sono stati i seguenti:
 Le lesioni ossee sono più frequenti nella yaws e nel bejel (10-20% dei casi) rispetto alla lue (2%).
Lesioni della tibia e della caviglia sono più frequenti nella sifilide, mentre il coinvolgimento di mani e piedi è
più tipico della framboesia piuttosto che della sifilide o del bejel.
 La sifilide ha lesioni a pochi siti, mentre le altre malattie a molti siti dello scheletro.
Usando tali criteri hanno esaminato 687 scheletri ottenuti da vari siti archeologici degli USA e dell’Ecuador
in un range da 400 a 6000 anni. Popolazioni del Sud America (New Mexico, Florida, Ecuador) avevano segni
tipici della lue, mentre quelli del Nord (Ohio, Illinois, Virginia) avevano i segni della framboesia. Invece, 1000
scheletri del Vecchio Mondo di individui vissuti prima del 1492 non avevano segni imputabili alla lue, ma ad
altre treponematosi. Questo suggerisce che la lue è stata importata in Europa da Colombo.
Inoltre, i Rothschild hanno scoperto che i casi più antichi di yaws del Nuovo Mondo datavano a 6000 anni
fa, mentre i primi casi di sifilide erano vecchi di 800 anni e forse più di 1600 anni. Questo suggerisce che la
lue potrebbe essersi originata come una mutazione della yaws nel Nuovo Mondo, da cui poi si è diffusa. È
improbabile che si siano state due mutazioni indipendenti nel Vecchio e nel Nuovo Mondo.
Un caso particolare è rappresentato da uno scheletro di feto di 7 mesi trovato a Costebelle (Francia) e
risalente al IV secolo DC. Dutour et al, nel 1995, ritennero che fosse un caso di sifilide congenita, ma i
Rothschild pensano sua un litopedio da gravidanza extrauterina di una donna di 52 anni.

Fonti letterarie contemporanee alla comparsa della lue in Europa:


 Niccolò Leoniceno: Libellus de epidemia quam Itali morbus gallicus vocant (1497)
 Lopez de Villalobos: Tratado sobre las pestiferas bubas (1498)
 Giovanni da Vigo: scrive dell’unguento mercuriale (1514)
 Girolamo Fracastoro: Syphilis sive morbus gallicus (1521)
 Leonardo Botallo (1530-1587): Lues Venerea
Vi era una dicotomia interpretativa già nel 1500: per Niccolò Leoniceno e Niccolò Massa si trattava di una
nuova malattia, mentre per Rodrigo Ruiz de Isla e Gonzalo Fernandez de Oviedo la malattia era stata
portata da Colombo, a Barcellona nel 1493 e a Napoli nel 1495.

Hackett ha studiato le lesioni osteoarcheologiche e l’evoluzione di quelle craniche. La sequenza iniziale è


data da cribrosità raggruppate, che successivamente coinfluiscono. Dopodiché, vi sono 2 decorsi possibili:
 Sequenza isolata: cavitazione superficiale, poi cavitazione circumvallata, infine cicatrici radiali.
 Sequenza contigua: cavitazione serpiginosa, poi cavitazione nodulare, infine “caries sicca”.
Ad essere colpiti dalla lesione sono primariamente cranio (osso frontale, parietale) e tibia, possibile è
l’interessamento anche di femore, radio, ulna, omero, sterno, colonna vertebrale.
Sequenza isolata di lesioni Sequenza contigua di lesioni

Cavitazioni superficiali: le lesioni iniziali presentano una distruzione centrale e osso reattivo periferico:

Cavitazione superficiale isolata Cavitazioni superficiali confluenti

Cavitazioni isolate e serpiginose Cavitazioni nodulari e caries sicca

Per quanto riguarda le lesioni dello scheletro post-craniale, tibie e femori presentano lesioni simili a quelle
della superficie cranica, ma andamento più diffuso e forte reazioni periostitica. La periostite determina:
 Ispessimento e deformazione dell’osso
 Osteite e osteoperiostite gommosa, cui conseguono cribrosità e irregolarità di superficie, lesioni
distruttive e riparative gommose, restringimento della cavità midollare.
Periostite e cavitazioni di omero distale, ulna e radio Femore: massiva periostite con cavitazioni (gommosa)

Osteoperiostite massiva di femore, tibia e fibula. Si nota il notevole ispessimento della metà distale del
femore e della porzione centrale della diafisi della fibula.

Periostite massiva della tibia, con ispessimento corticale e restringimento della cavità midollare

Ritrovamenti paleopatologici importanti in Europa:


 Siberia: tibie e ossa lunghe
 Londra: cranio femminile
 York: cranio con caries sicca (XV-XVI secolo)
 Provenza, Costebelle: feto di 7 mesi con osteoperiostite (III-IV secolo)
 Metaponto (580-250 AC)
 Roca Vecchia, Melendugno (Lecce): scheletro intero (XIV-XVI secolo)
Si tratta in genere di casi isolati, non si può sospettare una forma epidemica, e gli scienziati ne danno
diagnosi contrastanti.
Vi è un problema, rappresentato dall’assenza di sifilide ossea in migliaia di scheletri egiziani ed europei.

Interessante è il caso di Roca Vecchia (Melendugno, Lecce): si tratta di uno scheletro intero, datato tra la
metà del XIV e gli inizi del XVI secolo; è l’unico scheletro quasi completo trovato in Europa. Presenta un
quadro di sifilide venerea al terzo stadio, si vedono infatti fenomeni distruttivi con profonde cavitazioni,
accompagnate da fenomeni proliferativi.
Il cranio presenta:
 Massiccio coinvolgimento del frontale con lesioni erosive, riscontrabili anche a carico della mandibola.
 Tipico aspetto con cavitazioni serpiginose.
 Rx rivelano lacune circondate da margini sclerotici, con reazione ossea.
A livello delle ossa lunghe si osservano:
 Lesioni cavitarie osteolitiche nei tratti diafisari e metafisari.
 Marcata periostite delle diafisi di femori e tibie.
 Aspetto caratteristico di un’osteomielite gommosa.
Visto il carattere particolarmente violento delle lesioni, che sono presenti anche su mandibola e
avambracci, è probabile che il caso di Roca Vecchia, particolarmente virulento, appartenga alla prima fase
della diffusione dell’epidemia in Europa.

Per la sifilide non esiste vaccino, anche se la sua produzione è di grande interesse, poiché è una malattia
cronica ed estremamente invalidante. Si contano 12 milioni di nuovi casi all’anno, e dal 2000 si è osservato
un incremento di nuovi casi soprattutto tra gli omosessuali maschi. Il 50% delle morti fetali in Tanzania è
causato dalla lue; avere questa malattia, inoltre, aumenta il rischio di contrarre l’AIDS.
LA MEDICINA DAL 1600 AL 1800

I progressi che interessano la scienza medica nei secoli XVII e XVIII riguardano principalmente l’anatomia e
la fisiologia, tuttavia si assiste ancora alla mancanza di cure efficaci per le malattie e alla persistenza di
epidemie (peste, vaiolo).
Dopo Galileo, alcuni medici cercano di portare la medicina tra le scienze esatte, tramite controllo dello
studio, misure e analisi matematica. Nascono la iatromeccanica e la iatrochimica. Si ritiene che il corpo
umano sia costituito da una serie di macchine che funziona in accordo alle leggi della fisica.

Si deve ricordare Santorio Santorio, con La medicina statica.

Alfonso Borelli (1608-1679) è considerato il padre della iatromeccanica, nonché


illustre matematico e astronomo; non era però un medico. Nacque a Napoli e insegnò
presso le Università di Messina e di Pisa. Era stato allievo di Benedetto Castelli, allievo
di Galileo. Fu maestro di Malpighi.
Usò il metodo galileiano, che prevede: 1) teorema; 2) dimostrazione sperimentale; 3)
applicazione pratica. Le sue ricerche, in ambito medico, interessano diversi campi:
meccanica articolare, fisiologia della respirazione, fisiologia della nutrizione,
secrezioni, generazione. È autore del De motu animalium, pubblicato nel 1681. Borelli
applica le leggi della fisica al movimento, compresa la teorie delle leve; secondo lui, la
vita è dovuta al moto interno di piccole macchine. La malattia, quindi, deriverebbe da un’alterazione di
questo moto; la morte è l’assenza di moto.

Dal De motu animalium

Nel periodo che va dal 1646 al 1648 scoppia in Sicilia un’epidemia di febbre tifoide, che provoca numerose
vittime. Borelli pubblica a nel 1658 il Delle cagioni delle febbri maligne, in cui inizia l’analisi dai fondamenti
del problema, studiando le varie definizioni del concetto di epidemia e i tipi di cause che ne
provocherebbero l’insorgenza, individuandone 3:
1) Cause “celesti”, dovute a influssi astrali
2) Cause “elementari”, per influssi dell’atmosfera e del clima
3) Cause “terrestri”, per emanazioni di sostanze presenti nel terreno
Quindi, Borelli:
1) Esclude le cause celesti, per incongruenze logiche.
2) Esclude le cause climatiche, in base a considerazioni empiriche: il contagio si manifesta in paesi con climi
assai diversi.
3) Si schiera a favore della terza tesi: ritiene che la prolungata stagione secca avutasi in Sicilia prima delle
febbri abbia sollevato dal terreno delle emanazioni velenose in forma di masse di corpuscoli a cui si deve
il contagio (adozione di un’ipotesi atomistica).

Claudio Auberio era allievo di Borelli e studiò il testicolo mediante il microscopio della natura. V.

Le scoperte in campo anatomico e fisiologico, tuttavia, non migliorarono la cura delle malattie, contro le
quali si adottavano ancora rimedi naturali basati sull’idea ippocratica di “vis sanatrix naturae” (fenomeno
del Neoippocratismo”. Si effettuava una fine valutazione dei segni e dei sintomi e a questo periodo risale
una classificazione delle malattie (“species morborum”).
Importante è stato il lavoro di Thomas Sydenham (1624-1689, inglese), da cui la definizione della corea di
Sydenham, una complicanza encefalitica della febbre reumatica.
Si ricorda anche Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) protomedico a Roma.

Si cerca di capire quali siano le cause delle malattie. Vigono ancora le teorie galeniche, inoltre è in voga la
teoria del miasma o della generazione spontanea: la malattia è causata dall’aria putrida oppure dai vermi,
responsabili del processo di decomposizione; pus e cancrena formano i vermi, da cui compaiono larve e
mosche. Si pensa che l’assenza di vita crei forme di vita (teoria proposta da Aristotele).
La costruzione del microscopio permise l’osservazione di piccolissime creature e della loro complessità,
ponendo il dubbio che potessero generarsi da sole. Tuttavia, molti rimasero fedeli alla teoria classica della
generazione spontanea, come Athanasius Kircher, religioso e matematico a Wurtzburg e a Roma, che
pubblica il Mundus subterraneus.

Francesco Redi (1626-1698), allievo di Galileo, nel 1668 prese un grosso vaso, vi mise un pezzo di carne,
coprì il vaso con una garza e notò che su questa si formavano delle uova che, seminate poi sulla carne,
davano luogo alle larve. Dimostrò quindi che la teoria della generazione spontanea non era valida. Redi
raccolse le sue osservazioni nelle Esperienze intorno alla generazione degli insetti (Firenze, 1668). Aveva
scoperto l’ovidotto degli insetti e la deposizione delle uova. Con Redi inizia la tafonomia, lo studio dei
processi di decomposizione del cadavere.

Esperimento di Redi

Di Redi si ricordano anche le Osservazioni sugli organismi viventi che si trovano negli animali viventi (1684).
Redi fu anche il fondatore della parassitologia e fece degli importanti esperimenti su come debellare i
vermi. Alcuni farmaci, tuttora utilizzati contro i vermi, furono introdotti da lui.

La concezione di contagio in vivo ebbe un gradissimo antesignano in Cosimo Bonomo (1666-1696), che
scoprì che la scabbia era dovuta a un animale piccolissimo, il Sarcoptes scabiei.
La scabbia o rogna è causata da una specie di acaro, che veniva considerato una particella di materia
peccans (teoria galenica), perché si pensava che la rogna fosse dovuta a un eccesso di bile nera ( melaina
kolè o melancolia), quindi bisognava curarla con delle sostanze che eliminassero la bile nera, e non in modo
topico. Cosimo Bonomo, allievo di Redi e medico delle galere (navi in cui i carcerati scontavano la pena
remando, e dove la scabbia era diffusa), si accorse che le donne applicavano un rimedio particolare per
curare i figli “rognosi”: estraevano con un ago dei “globetti bianchi” dalle bolle che si formavano sulla cute.
Bonomo guardò al microscopio tali globetti e vide che si trattava di “minuscoli bacherozzolini”, che lui
chiamò pellicelli. Bonomo cercò il modo per debellare la scabbia e stabilì che bastavano dei bagni
antisettici, fatti per un certo periodo di tempo, per uccidere anche le larve derivate dalla schiusa delle uova
formatesi all’interno della cute, e quindi per eliminare la malattia.
Grazie all’aiuto di Giacinto Cestoni (1637-1718) isolò l’acaro e lo descrisse come si vede al microscopio.
Comunicò questo a Redi e il tutto fu pubblicato nel 1687 nelle Osservazioni intorno ai pellicelli del corpo
umano.
La teoria, però, fu ignorata dalla medicina ufficiale. Il trattamento proposto da Bonomo rimase circoscritto
alla Toscana e fu poi esteso a Corsica e Sardegna, ma non al resto dell’Europa.
Nel 1834, uno studente corso, Simone Renucci, durante una lezione sulla scabbia tenuta all’Ospedale San
Luigi di Parigi dal famoso professor Alibert, fece notare al docente che in Corsica le persone malate
venivano curate con lavaggio con soluzioni disinfettanti, cosa di cui il professore non era a conoscenza.

Alla fine del 1600, si assiste a una serie di progressi in ambito medico:
 Migliorano le conoscenze in campo anatomico
 Le nozioni anatomiche vengono estese ai chirurghi
 Nasce l’istologia
 I nuovi sviluppi della fisica e della matematica vengono applicati alla medicina
La filosofia meccanica propugnata da René Descartes, Robert Boyle e Hooke viene applicata alla medicina. Il
corpo umano è visto come una macchina di cui occorre comprendere il funzionamento.

René Descartes o Renato Cartesio (1596-1650), filosofo francese, visse i suoi anni
più creativi in Olanda. Sviluppò una teoria dualistica: la mente (res cogitans) e il
corpo (res extensa) sono due entità distinte. Diventa così possibile distinguere la
cura dell’anima da quella del corpo e quest’ultima, essendo il corpo una macchina,
diventa di pertinenza del medico.
Le 4 regole del metodo di Cartesio:
1) La prima è quella della evidenza, per la quale non si
accetta mai nulla di vero se non è evidente. Evidenza vuol
dire intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del
pensiero e l’esclusione di qualsiasi dubbio.
2) La seconda è quella dell’analisi, per cui un problema è risolto dapprima nelle sue parti più semplici, da
considerarsi separatamente.
3) La terza è quella della sintesi, per cui si passa dalle conoscenze più semplici a quelle via via più
complesse.
4) La quarta è quella di enumerazione e revisione, per poter "fare in ogni caso enumerazioni così complete
e revisioni così generali da essere sicuro da non omettere nulla". L’enumerazione controlla la
completezza dell’analisi, la revisione la correttezza della sintesi.
Questo è poi il modello per la stesura di un articolo scientifico:
1) Introduzione: descrizione delle evidenze già assodate e proposta di un’ipotesi.
2) Materiali e metodi: descrizione della strategia nelle sue parti.
3) Risultati: osservazione dei risultati e loro interpretazione.
4) Discussione, con enumerazione e revisione.
Sono regole semplici, che sottolineano la necessità di avere una piena consapevolezza dei passaggi in cui si
articola una qualunque ricerca rigorosa. L’assunzione di tale modello comporta il rifiuto di nozioni
approssimative, imperfette, fantastiche o anche solo verosimili che erano tipiche di gran parte del sapere
del tempo, troppo astratto e formale.
Marcello Malpighi (1628-1694), allievo di Borelli (a sua volta allievo di Castelli, allievo
di Galileo), sostenne che tutti gli organi erano formati da delle minute macchine, le
“ghiandole”. Questa teoria si dimostra vera e falsa allo stesso tempo: è vero che si
può riconoscere una struttura ghiandolare in organi come il fegato o il rene, ma
questo non vale per altri, come il cervello.
Malpighi fece altre scoperte importanti, tra cui gli strati dell’epidermide, il glomerulo
renale, i corpuscoli della milza, in globuli rossi. Il suo genio deriva dall’essere riuscito
a distinguere ciò che era artefatto da ciò che era realtà, perché i microscopi di allora davano immagini
estremamente fallaci.
Scoprì inoltre i capillari nel polmone di rana (animale a sangue freddo), completando lo schema della
circolazione di Harvey.

Il concetto di ghiandola esocrina fu dato da un famoso scienziato danese, Niels


Stensen o Niccolò Stenone (1638-1686), che scoprì il dotto di Stenone, che veniva
considerato un vaso. Oltre a descrivere il dotto, descrisse anche le ghiandole
parotidi e sostenne che la saliva, derivata dal sangue, veniva prodotta nella
ghiandola e veicolata dal dotto nella bocca. Idem per le ghiandole lacrimali: anche
le lacrime derivano dal sangue.
Stenone fu il primo a dire che il cuore era semplicemente un muscolo e non
conteneva l’anima e a chiamare le tube uterine; stabilì inoltre l’omologia tra le ovaie dei mammiferi e
quelle degli uccelli.
Successivamente Stenone divenne prete e per questioni di coerenza abbandonò la scienza. Venne mandato
come missionario nelle regioni luterane e morì in estrema povertà, avendo dato tutto ai poveri. Il granduca
di Firenze Cosimo III volle che il suo corpo fosse trasferito a Firenze, ed esso venne sepolto prima nella
cripta, poi nella basilica di San Lorenzo.
Stenone fu nominato beato e protettore degli scienziati nel 1988.

Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723), commerciante di tessuto, appassionato di


microscopi, se ne costruì uno con le sue stesse mani e riuscì a vedere delle cose
straordinarie che, non essendo dotto e non sapendo interpretare, mandava alla
Royal Society di Londra, che le pubblicava, dopo traduzione, senza commentarle.
Egli, ad esempio, si rese conto che esistevano dei piccolissimi esseri viventi nella
placca dentaria; un suo allievo scoprì lo spermatozoo.
Questo commerciante descrisse tantissime altre cose che, però, essendo solo delle
osservazioni, venivano ignorate e magari venivano apprezzate e verificate decenni dopo.
Bernardino Ramazzini (1633-1714) è stato l’antesignano della medicina del lavoro.
Fu professore di medicina all’Università di Padova fino alla sua morte. Propose l’uso
della china nella terapia della malaria. Scrisse il De morbis artificum (1700), un
trattato sulla medicina del lavoro, dove descrisse molte patologie legate alla
situazione lavorativa; il trattato parla di 52 rischi di tipo professionale, tra cui
composti chimici, polveri, metalli. Ramazzini inoltre osservò un’alta incidenza di
cancro mammario nelle suore, e la rapportò al fatto di non aver avuto figli (le donne
che non hanno avuto figli sono state più a lungo esposte agli estrogeni, che hanno
effetto promuovente il tumore mammario).

Sir Percival Pott studiò il cancro allo scroto che colpiva gli spazzacamini e, nel 1775, fu il primo a capire
l’associazione tra l’esposizione a un certo agente, la fuliggine in questo caso, e lo sviluppo di un tumore; si
identificò una malattia professionale che poteva essere prevenuta con il lavaggio delle mani, il concetto di
prevenzione era del tutto nuovo.

Alcuni scienziati, come Thomas Sydenham (1624-1689) e Hermann Boerhaave (1668-1738) praticarono il
ritorno al galenismo, cioè alla cautela assoluta nel trattare il malato, e dissero che bisognava avere degli
ospedali come luoghi di cura. La prima clinica universitaria, infatti, fu fondata a Leida, in Olanda, dove
lavorava Boerhaave, università che era stata regalata, più di un secolo prima, dal principe d’Olanda agli
abitanti, come premio per aver valorosamente combattuto contro gli spagnoli nella guerra d’indipendenza.

In questo periodo nasce la ceroplastica. Le cere anatomiche erano un mezzo visuale per insegnare e
diffondere l’anatomia, che era ancora un patrimonio dei medici dotti che conoscevano il latino e che
avevano accesso ai trattati, a differenza dei chirurghi, personaggi di secondo piano, nella maggioranza dei
casi barbieri, persone che non avevano avuto un’istruzione classica e nessun accesso alle opere scientifiche.
Le cere anatomiche furono prodotte su larga scala a Bologna e a Firenze e poi si diffusero in tutta Europa.

Dall’inizio del XVIII secolo si formò a Bologna una scuola di celebri ceroplasti che furono i maestri cui gli
artisti fiorentini del Museo della Specola si ispireranno. Il bolognese Ercole Lelli (1702-1766), pittore,
scultore, architetto e appassionato cultore di anatomia umana, pensò di servirsi di modelli di cera colorata
per insegnare agli studenti la struttura del corpo umano senza ricorrere alle dissezioni. Lelli otteneva i suoi
preparati anatomici modellando su veri scheletri umani stracci e stoppa intrisi di cera ed essenza di
trementina.
Ercole Lelli
Nel 1742 Lelli fu incaricato dal pontefice Benedetto XIV di allestire una collezione di modelli in cera per
arricchire il Gabinetto di Anatomia dell’Università di Bologna.

Contemporaneo di Lelli e suo aiuto fu il bolognese Giovanni Manzolini (1700-1755), pittore, scultore e
anatomico, affiancato nei suoi lavori dalla moglie Anna Morandi (1716-1774). Alla morte del marito, la
Morandi, che aveva ormai acquisito una notevole esperienza anatomica, continuò a modellare preparati in
cera raggiungendo una perfezione tale da essere conosciuta in tutt’Europa.

Giovanni Manzolini e Anna Morandi

Anna Morandi fu forse l’unica donna del suo tempo a occuparsi di ceroplastica anatomica; ricoprì anche
l’insegnamento di Anatomia Umana nell’Archiginnasio bolognese.

Una cera di Anna Morandi

Felice Fontana (1730-1805), abate e prezioso consigliere del Granduca di Firenze, ebbe l’idea, per istruire i
chirurghi, di allestire dei calchi in cera di preparati anatomici. Quest’idea si rivelò utile per 3 motivi:
 Costituiva un’alternativa agli atlanti a colori, che costavano moltissimo
 I chirurghi non conoscevano il latino
 In assenza delle tecniche del freddo era difficile conservare i cadaveri

Felice Fontana

Fontana allestì al Museo La Specola di Firenze, con l’aiuto di vari anatomici, una vera e propria officina di
ceroplastica, in cui si facevano in calchi dei cadaveri prima in gesso, e poi si voltavano in cera, ad opera di
abili artisti, tra cui Clemente Susini. L’idea veniva da Bologna.

Particolare cera in cui i visceri sono asportabili

Dell’organo in esame, ad esempio il cuore (v. figura), si faceva un calco in gesso, che prima dell’indurimento
si apriva in due con una cordicella, e poi lo si riempiva di cera (sistema a cera a persa); poi la cera veniva
colorata e infine la mano dello scultore definiva i dettagli.

Nel 1793 il dottor De Genettes, medico delle armate napoleoniche in Italia, dopo aver soggiornato per circa
un anno nel Museo della Specola, ci ha lasciato una preziosa testimonianza sulla tecnica ceroplastica in uso
in quella Scuola.
“La maggior parte degli organi rappresentati dalle cere colorate sono gettati dentro calchi di gesso formati
direttamente sugli organi naturali; successivamente vengono ritoccati accanto al cadavere da uno scultore
abile, sempre sotto la direzione di un anatomico, e questo perché senza tale sorveglianza neppure gli
scultori più eccellenti copiano la natura con esattezza.
Tutti gli organi sui quali non si può eseguire il calco direttamente vengono modellati in argilla o in cera
presso il cadavere da artisti abilissimi in questo genere di lavoro.
Successivamente si getta il calco in gesso su questi modelli. Si fa soprattutto per le statue intere.
Quando si vuole un calco di gesso per una statua anatomica, si comincia a far fare a uno scultore un
modello in cera a grandezza naturale, copiandolo dal vivo, nudo e nella posizione che l'anatomico ha
trovato più conveniente per rappresentare gli organi o le parti che devono essere visti. Questo primo lavoro
richiede circa sei mesi. Quando ciò è finito, bisogna rimodellare separatamente, in seguito a dissezioni
multiple, gli organi che si vogliono rappresentare; e tutto deve essere costantemente sorvegliato e diretto.”

La Scuola ceroplastica anatomica di Firenze, che deriva direttamente da quella bolognese, iniziò la sua
attività grazie al chirurgo fiorentino Giuseppe Galletti, professore di Ostetricia nell’Arcispedale di S. Maria
Nuova a Firenze. Il Galletti si recò a Bologna per vedere le opere del Lelli, del Manzolini e le cere ostetriche
di Giovanni Antonio Galli (1708-1782), professore di Ostetricia a Bologna. Il Galletti rimase così affascinato
dalla bellezza di queste opere d’arte che, una volta rientrato a Firenze, si impegnò per formare una
collezione di preparati ostetrici in cera e in terracotta, che servivano per mostrare i diversi tipi di parto agli
studenti di medicina, di chirurgia e della scuola di Ostetricia.

Giuseppe Galletti

Nel 1771 Ferrini passò a lavorare sotto la direzione del Fontana, fondatore del Museo La Specola di Firenze;
tanti altri musei universitari italiani e stranieri posseggono collezioni di cere anatomiche modellate nella
Scuola fiorentina. Celebri sono le opere di Clemente Susini (1754-1818):
Gaetano Giulio Zumbo, o Zummo (Siracusa, 1656 – Parigi, 1701) è stato un abate e ceroplasta siciliano, il
più famoso del XVII secolo. I suoi soggetti riguardavano per lo più gli aspetti legati alla morte, alla malattia e
alla putrefazione dei corpi. Studiò probabilmente a Bologna e fu a Firenze al servizio del Granduca Cosimo
III de Medici dal 1691 al 1695; a questo periodo risalgono le quattro composizioni che hanno come soggetto
i vari stadi della decomposizione di cadaveri umani. Lavorò anche a Genova e a Parigi.
Al Museo della Specola sono conservati, ad esempio: Trionfo del tempo (Corruzione I); Vanità della gloria
umana (II sepolcro o Corruzione II); La pestilenza; Morbo gallico; Testa anatomica maschile. Si tratta di
opere definite “teatrini”, che ricordano presepi; molte di esse sono state danneggiate a causa dell’alluvione
di Firenze del 1966.

La pestilenza

Morbo gallico
Anatomia di testa maschile

Domenico Cotugno (1736-1822) scoprì il liquor cefalorachidiano e notò per la prima volta la presenza di
albumina nelle urine dei nefropatici. Descrisse la sciatica, nel 1764 nel De Ischiatis Nervosum rapporta alla
sofferenza del nervo sciatico i dolori che partono dal gluteo e scendono lungo la parte posteriore della
coscia e della gamba fino al piede.

Domenico Cotugno

Luigi Galvani (1737-1798), anatomico a Bologna, parlò di elettricità animale, aveva studiato le zampe di
rana appese con un filo di rame a una struttura di ferro. Alessandro Volta, però, dimostrò che non era
elettricità animale, bensì un fenomeno fisico (1792): un muscolo si contrae quando viene applicato uno
stimolo elettrico. Queste scoperte destarono grandissimo interesse e da questa teoria dell’elettricità Mary
Shelley derivò l’ispirazione per il suo Frankenstein (1818).

Antonio Scarpa (1752-1832), anatomico e chirurgo, operò a Modena e a Pavia, dove fu


chiamato da Brambilla.
Diede importanti contributi all’anatomia dell’occhio, dell’orecchio (endolinfa e timpano
secondario), al trattamento chirurgico delle ernie e a quello degli aneurismi. Scoprì il
nervo nasopalatino e insieme al Vicq D’Azyr i nervi olfattivi; descrisse i nervi cardiaci.
Contribuì grandemente alla definizione dell’anatomia topografica, soprattutto di quella
degli arti inferiori, ed è considerato, insieme a John Hunter, il fondatore dell’Anatomia
Chirurgica.

John Hunter (1728-1793), inglese, fu un grande chirurgo e medico.


Fece un esperimento su di sé: poiché sosteneva che non poteva esserci un soggetto
con 2 malattie, per stabilire se la gonorrea e la sifilide fossero 2 morbi diversi o
meno, si inoculò nel glande del pus proveniente da un soggetto con la gonorrea, per
vedere se sarebbe comparsa la gonorrea o la sifilide. Si ammalò di sifilide perché
quel soggetto aveva entrambe le malattie, e fu fortunato perché ne guarì. Da ciò
derivò una gran confusione.
Luigi Rolando (1773-1831), nato a Torino, a Sassari fu autore del saggio La vera struttura
del cervello dell’uomo e degli animali. Egli, seguendo la teoria dell’elettricità animale,
toccando la corteccia di un maiale su un lato davanti alla scissura centrale del cervello
(che si chiama appunto “scissura rolandica”), dimostrò la contrazione muscolare.
Rolando paragonò il cervelletto a una pila.
V. museo Rolando.

La chirurgia diventa una scienza. I chirurghi del primo ‘700 dovevano operare rapidamente, perché più
durava l’operazione, maggiori erano i rischi di infezione. Il paziente era tenuto fermo dagli inservienti e, in
genere, prima dell’operazione, si confessava. La maggior parte dei chirurghi non conosceva l’anatomia, essi
erano considerati persone non dotte. I chirurghi si occupavano solo di piccola chirurgia: fratture, estrazioni
dentarie, cura delle piaghe dei sifilitici. Erano barbieri, spesso itineranti.

Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) promosse lo sviluppo della chirurgia


nell’Europa centrale. Fu arruolato nell’esercito austriaco come chirurgo. Entrato
nelle grazie del comandante del suo reggimento, divenne il medico di Giuseppe II,
primogenito di Maria Teresa, imperatrice d’Austria.
Brambilla usò la sua influenza su Giuseppe II affinché ai chirurghi venisse insegnato il
latino, per poter studiare i testi scientifici e per essere quindi messi al pari dei
medici. Le prime cose da fare erano quindi l’insegnamento del latino e
dell’anatomia. Grazie a lui fu fondata una grande accademia a Vienna, lo
Josephinum, in cui si praticava l’insegnamento del latino ai chirurghi. Lo stemma
dello Josephinum consiste in due mani congiunte, di cui una è quella della medicina (col bastone e il
serpente) e l’altra è quella della chirurgia, al di sopra della scritta “ In unione salus”. Lo Josephinum
custodisce anche delle splendide cere anatomiche fiorentine.

Nei secoli XVI-XVII, quindi assistiamo a importanti cambiamenti nella medicina, come il superamento del
dualismo tra:
 Medico/fisico e filosofo: dottore laureato
 Chirurgo-barbiere: praticone
Nel 1731 viene fondata l’Academie Royale de la Chirurgie. Nel 1742 Luigi XVI elimina il legame tra chirurghi
e barbieri. Permane, però, il contrasto tra medicina interna (teorica) e chirurgica (pratica).

Giovanni Battista Morgagni (1682-1771) è considerato il vero fondatore della medicina


clinica moderna e dell’anatomia patologica.
Apparteneva come derivazione alla scuola galileiana (era allievo di Antonio Maria
Valsalva (dà il nome alla manovra in ORL e ai seni aortici), il quale a sua volta era allievo
di Malpighi, allievo di Borelli, allievo di Galileo). Morgagni aveva una concezione
iatrofisica, però non usava il microscopio, usava l'occhio: voleva di scoprire il
funzionamento del corpo umano, inteso come macchina.
Il Morgagni si riferì a delle precedenti pubblicazioni. Quella più accurata risaliva alla fine
del '400: a Firenze c'era stato Antonio Benivieni (1443-1502) che aveva fatto diverse
autopsie e le aveva correlate con la causa di morte; il suo libro è intitolato De abditis morborum causis (le
cause nascoste delle malattie).
Col Morgagni ci fu un ritorno alla pratica del “tripode alessandrino”, che era comprendeva.
1) Storia clinica
2) Autopsia (per gli alessandrini, l’osservazione)
3) Diagnosi clinica
Il Morgagni raccolse ben 700 quadri autoptici, correlò il quadro autoptico con la storia clinica del paziente,
dimostrò che per la stragrande maggioranza delle malattie vi era una patologia d’organo alla base.
Il Morgagni è stato un anatomico celeberrimo, era chiamato “sua maestà anatomica” in Europa, perché
aveva pubblicato alcuni appunti di anatomia, gli Adversaria Anatomica, che divennero molto famosi per la
revisione di cose che erano già state viste.

La sua opera maggiore, una pietra miliare per la nascita della medicina moderna, apparve nel 1761 in 5
volumi, dedicati alle più importanti accademie mediche nel mondo di allora. Fu pubblicata in latino ed
intitolata De Sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (sulle sedi e le cause delle malattie
studiate attraverso l'anatomia); raccoglieva 700 casi clinici.

Per ogni cadavere, sono indicati:


 Età
 Sesso
 Lavoro
 Ereditarietà
 Epoca di insorgenza della malattia
 Evoluzione clinica
 Ricerca della causa prossima del decesso: un danno ben visibile e localizzato
 In assenza di un danno visibile, si presuppone un danno funzionale
Dei 700 casi clinici, alcuni appartenevano anche a Marcello Malpighi, e al suo maestro Antonio Maria
Valsalva (1666-1723). Questo trattato destò grande interesse in tutto il mondo di allora; dopo due anni, la
prima edizione era esaurita. Furono fatte molte altre edizioni, tradotte in tutte le lingue d'Europa. Una delle
ultime edizioni fu in italiano. I dotti parlarono il latino fino alla rivoluzione francese; in Italia non venne
apprezzato subito; i principi di Morgagni, invece, furono applicati all'estero e furono alla base dello sviluppo
della clinica negli altri paesi. Influenzò però Domenico Cotugno ed ebbe come allievo
Antonio Scarpa.

Nello stesso periodo in cui Morgagni pubblicò il suo trattato, nel 1761 uscì in Austria un
altro piccolo trattato, il De Inventu Novo, in cui il figlio di un bottaio, Leopold
Auenbrugger (1722-1809), descrisse la percussione come un mezzo per osservare in
vivo le alterazioni degli organi toracici. Questo libro rimase lettera morta fino ai primi
dell’Ottocento, quando il medico di Napoleone Jean Nicolas Corvisart (1755-1821) lo
riscoprì.

Nasce la figura dell’uomo-levatrice, sebbene alla fine del XVIII secolo gli uomini-levatrice non possano
guardare la partoriente.

Nonostante l’acquisizione di importanti nozioni, come quelle sulla circolazione, la fisiologia rimane ancora
ricca di lacune: ad esempio, non si sa ancora nulla sul metabolismo, né sulla respirazione.
Nel 1700 un problema molto discusso fu quello della respirazione e della combustione. Era stata ipotizzata
(da G. E. Stahl, 1660-1734) l'esistenza di una sostanza, il flogisto, che consumandosi dava il fuoco. Tutte le
sostanze infiammabili contenevano flogisto. Questo concetto però non spiegava alcuni esperimenti che
erano stati fatti dalla scuola di Oxford: ad es., collocato un animale sotto una campana con una candela
accesa, man mano che la candela bruciava dava segni di asfissia, fino a morire. Non si capiva quale nesso
esistesse con il flogisto, si diceva che quell’aria era diventata “aria fissa”. Joseph Priestley (1733-1804) fu il
primo ad affermare che doveva essere qualche gas che veniva consumato, e Antoine Laurent Lavoisier
(1743-1794) dimostrò che questo gas era l’ossigeno. Lavoisier fu un grandissimo scienziato e fondatore
della chimica moderna; venne ghigliottinato per la sua condizione di aristocratico.

Lazzaro Spallanzani (1729-1799), abate, fu uno dei più grandi scienziati mai esistiti. Subito dopo la scoperta
dell’ossigeno mise in relazione il consumo di ossigeno con la respirazione tissutale.
Spallanzani è famoso soprattutto nel campo della riproduzione: fu il primo a dimostrare che senza il
contatto del liquido seminale con l’uovo non si aveva la fecondazione; fu il primo che operò la fecondazione
artificiale nella cagna.
Era uno sperimentatore feroce: per dimostrare l’azione dei succhi gastrici infilava nello stomaco una
spugnetta on dentro della carne che poi tirava fuori dopo alcune ore, per constatare gli effetti del succo
gastrico.
Capì che, durante il volo, i pipistrelli si orientano mediante gli ultrasuoni.
Dimostrò la presenza dei capillari nel pollo, chiudendo il cerchio del circolo sanguigno anche negli animali a
sangue caldo.
Confermò quanto visto da William Cowper nel mesentere del gatto e del cane.
Tra le scoperte più importanti dello Spallanzani, per cui Pasteur lo riverì come il più grande scienziato mai
esistito, vi fu quella di aver confutato la tesi della generazione spontanea. Il problema della generazione
spontanea era fermo ancora a Redi, che aveva dimostrato che gli insetti derivavano da altri insetti. C'erano
stati dei precursori: ad esempio, tra gli italiani, Antonio Vallisneri (1661-1730), medico padovano, aveva
sostenuto l'esistenza di "semi" in aria, simili a quelli descritti da Fracastoro; Carlo Francesco Cogrossi (1682-
1769) aveva affermato che nella peste bovina c'erano degli organismi viventi che trasmettevano la peste.
Entrambe queste tesi però erano cadute nel vuoto. Un irlandese, John Turbeville Needham (1713-1781),
pensava che gli "infusori" (che si vedevano perché erano dei protozoi) derivassero dal fluido contenuto
nella fiasca, e quindi derivassero dalla materia e non da altri protozoi. Questo esperimento fu condiviso da
Georges Buffon (1707-1788), il più grande naturalista dell'epoca. Ma Spallanzani lo confutò, dimostrando
che se si praticava veramente una sterilizzazione (fu lui il primo che mise in atto questo procedimento,
applicato successivamente anche da Pasteur) col calore i protozoi non si formavano. Quindi dimostrò che
per avere dei protozoi bisognava avere altri protozoi. Questa fu la prima dimostrazione che esseri molto
piccoli derivavano da altri esseri molto piccoli.

Agostino Bassi (1773-1856) era un avvocato, figlio di un ricco proprietario terriero di Lodi; aveva la passione
per la biologia. Il padre non voleva che facesse il biologo, ma che si occupasse delle sue terre e che entrasse
nell’amministrazione imperiale. Egli comunque seguì costantemente le lezioni dell’abate Spallanzani, fino a
quando questi morì.
Bassi scoprì che i bachi da seta erano spesso affetti da un fungo, e trovò anche un meccanismo per
ucciderlo. Il suo trattato Del Mal del Segno, Calcinaccio o Moscardino venne tradotto in francese e diffuso in
Europa. Subito dopo ci fu la scoperta dell’eziologia fungina di certe malattie come la tigna dei capelli. Il
lavoro di Bassi influenzò moltissimo Louis Pasteur (1822-1895), tant’è che nello studio di Pasteur c'erano
sia il ritratto di Spallanzani, sia quello di Bassi.

Allora si vedevano solo i funghi e i protozoi; il microscopio non era ancora arrivato a visualizzare i batteri.
Solo negli anni ‘20 dell'800 Gian Battista Amici (1786-1863), un astronomo che costruiva telescopi, inventò
il prisma di riflessione. Poi il microscopio fu perfezionato soprattutto da inglesi e tedeschi). Questo permise
un aumento del potere di risoluzione del microscopio.

Ancora non si sapeva da cosa fossero provocate le malattie, ma si riuscì ad avere un


grande successo in campo di prevenzione di una malattia terribile, il vaiolo, infatti a
questo periodo risale l’avvento della vaiolizzazione o vaccinazione.
Il vaiolo è dovuto a un virus Pox che si trasmette come quello dell’influenza. Si forma
inizialmente un esantema, che poi viene sostituito da bolle piene di pus. Muore 1/3
degli ammalati con la forma grave. I sopravvissuti hanno cicatrici permanenti e
fortemente deturpanti.

Non c’è una cura specifica, ma si può effettuare una prevenzione tramite
la vaccinazione.
Due forme della malattia:
 V. maior, più grave e più comune; vi sono 4 tipi di vaiolo maior, tra cui la forma emorragica
 V. minor (morte 1%)
Si sono verificate epidemie di vaiolo in migliaia di anni, in epoca romana, medievale, rinascimentale (c’è
addirittura un caso egizio).
Ora il vaiolo è stato eradicato, l’ultimo caso è avvenuto negli USA nel 1949 e l’ultimo caso spontaneo è
stato in Somalia nel 1977. Infatti, il programma di vaccinazione è stato interrotto.
Il virus del vaiolo è presente ancora in alcuni laboratori. Dall’11 settembre in USA si teme per il suo possibile
uso come arma biologica e sono state implementate misure per contenere un’eventuale guerra biologica.
Il contagio avviene per contatto diretto, per contatto con liquidi umani infetti od oggetti (vestiti, lenzuola);
si può verificare anche per via aerea in luoghi chiusi. L’uomo è l’unico ospite naturale, il virus non può
essere trasmesso dagli animali.
Il contagio si può avere nel periodo prodromico, ma il malato diventa fortemente contagioso quando
compare l’esantema e lo rimane fino alla caduta dell’ultima crosta. Quando compare il rash le condizioni
sono molto gravi e il paziente non può muoversi.
Evoluzione del morbo:
1) Fase di incubazione di 7-17 giorni, il paziente è asintomatico e non contagioso;
2) Sintomi prodromici della durata di 2-4 giorni, con febbre, malessere, dolori diffusi, cefalea, a volte
vomito; il paziente talora è contagioso;
3) Esantema precoce 4 giorni dopo i sintomi prodromici, esordisce sulla mucosa buccale e linguale, le bolle
si rompono e il virus si diffonde in bocca e nel faringe; il paziente è molto contagioso.
Differenza a livello della sede delle eruzioni in vaiolo (a sinistra) e varicella (a destra9:

Il vaiolo si diffonde in tutto il corpo in 24 ore e crolla la febbre. La persona si sente meglio. Al terzo
giorno dell’esantema le macule si fanno rilevate, e nel quarto si trasformano in bolle ripiene di liquido
denso e opaco. Spesso depressione centrale. La febbre risale e rimane alta fino alla formazione della
crosta. Il rash pustoloso dura 5 giorni.
4) Le pustole diventano dure al tatto e su di esse si formano delle croste; il paziente è molto contagioso.
Caduta delle croste, che avviene per tutte entro 2 settimane dall’inizio dell’esantema; il paziente è
contagioso anche in questa fase. Al posto della crosta rimane una cicatrice depressa.

Durante il regno di Marco Aurelio, l’Impero Romano fu colpito da una epidemia lunga e distruttiva. Iniziò in
Mesopotamia nel 165 o all’inizio del 166 durante la campagna di Vero contro i Parsi, e si diffuse
rapidamente fino a Roma. Durò fino a dopo la morte di Marco Aurelio nel 180 e si estese nella prima parte
del regno di Commodo; Galeno ebbe modo di assistere alla epidemia, era a Roma nel AD 166. Parla
dell’epidemia nei suoi scritti, in vari punti, ma in modo abbastanza circostanziato per poterla descrivere
come vaiolo. La descrizione dell’esantema particolarmente nella fase emorragica è specifica.

Il medico arabo Al-Rhazes descrisse il vaiolo, distinguendolo dal morbillo.


È stata fatta una diagnosi macroscopica e istologica di vaiolo in una mummia infantile della Basilica di S.
Domenico Maggiore a Napoli (XVI secolo). L’esame ultrastrutturale di campioni di pustole cutanee ha
portato all’identificazione di particelle simil-virali compatibili, per dimensioni e morfologia, con i Poxvirus.
Specifici anticorpi anti-virus vaccinico e del vaiolo umano rivelarono, al microscopio elettronico e tramite la
tecnica dell’immunogold, l’avvenuta reazione antigene-anticorpo (straordinaria conservazione delle
strutture virali). Il gruppo di Paleopatologia di Pisa ha identificato il virus Pox nei tessuti di tale mummia.

Alla fine del 1700 ci fu una grande scoperta di carattere empirico. Il chirurgo inglese Edward Jenner (1749-
1823), allievo di John Hunter, si accorse per caso che le mungitrici, che avevano in passato contratto il
vaiolo bovino, quando si ammalavano di vaiolo guarivano sempre.

Edward Jenner

Il vaiolo, allora, era la malattia più terribile e colpiva soprattutto i bambini.


C'erano stati già tentativi precedenti risalenti al tardo '600 di indurre la resistenza alla malattia col sistema
della vaiolizzazione. La vaiolizzazione era il sistema di innesto del vaiolo: si prelevava, da un malato che
stava per guarire (forma mite), un po' di pus e lo si iniettava ad un soggetto sano, provocando il vaiolo.
Spesso il procedimento era letale e molti bambini morivano. La vaiolizzazione era stata promossa dalla
moglie dell'ambasciatore inglese a Costantinopoli, Lady Mary Wortley Montagu, perché nell'Oriente si
praticava da tempo tale sistema. Era poi stata introdotta in Italia dai medici greci che operavano soprattutto
a Venezia. Un grande fautore fu il Papa Benedetto XIV (Papa Lambertini) il quale cercò di introdurre la
vaiolizzazione nello Stato pontificio.
Figlia di un duca, Mary sposò Sir Wortley Montagu, avvocato, nel 1713. A 26 anni contrasse il vaiolo che la
deturpò (suo fratello morì di vaiolo). Nel 1716 Montagu divenne ambasciatore in Turchia. Qui venne a
sapere della pratica turca della vaiolizzazione e fece inoculare il proprio figlio di 6 anni e la figlia di 6 mesi.
Promosse la pratica in Inghilterra.

Vaiolizzazione

Lady Montagu fu scrittrice e poetessa e, nelle Letters from the Levant, scrive: “There is a
set of old Women, who make it their business to perform the Operation. Every Autumn,
in the month of September, when the great Heat is abated, people send to one another to know if any of
their family has a mind to have the small pox. They make partys for this purpose, and when they are met
(commonly 15 or 16 together) the old Woman comes with a nutshell full of the matter of the best sort of
small-pox and asks what veins you please to have open'd. She immediately rips open that you offer to her
with a large needle (which gives you no more pain than a common scratch) and puts into the vein as much
venom as can lye upon the head of her needle, and after binds up the little wound with a hollow bit of shell,
and in this manner opens 4 or 5 veins.
The children or young patients play together all the rest of the day and are in perfect health till the 8th.
Then the fever begins to seize 'em and they keep their beds 2 days, very seldom 3. They have very rarely
above 20 or 30 in their faces, which never mark, and in 8 days time they are as well as before their illness.
Where they are wounded there remains running sores during the Distemper, which I don't doubt is a great
releife to it. Every year thousands undergo this Operation, and the French Ambassador says pleasantly that
they take the Small pox here by way of diversion as they take the Waters in other Countrys. There is no
example of any one that has dy'd in it, and you may beleive I am very well satisfy'd of the safety of the
Experiment since I intend to try it on my dear little Son [Edward]. I am Patriot enough to take the pains to
bring this usefull invention into fashion in England.”
La scoperta di Edward Jenner risolse il problema del vaiolo. Jenner fece la prima inoculazione su suo figlio:
prese un po’ di pus dalla pustola di una vacca, lo iniettò nel figlio e vide dopo che si era formata la pustola
del vaccino (che si chiamava ancora innesto) che il bambino era immune dal vaiolo.

Edward Jenner che inocula il vaccino antivaioloso al figlio

La vaccinazione destò un interesse grandissimo, anche se ci fu una violenta opposizione da parte di certi
ambienti, soprattutto ecclesiastici, nei quali essa venne ritenuta un insulto al creatore, essendosi una
commistione tra il “bruto”, ossia l’animale, e l’uomo. Lo scontento pubblico contro l’introduzione della
vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo del 1853 era rimasto cospicuo. Un esempio è dato dalla busta di
protesta (1859), dove espressa come disegno sulla parte anteriore della busta, la protesta continua sul
retro.

La vaccinazione venne praticata su larga scala perché le idee della Rivoluzione Francese prevalsero. Al di
fuori dell’Inghilterra, divenne la bandiera della sinistra, dei giacobini: i giacobini vaccinavano, i codini
(reazionari) no.
Differenze tra pustole da vaccinazione e pustole da vaiolizzazione

In Italia il milanese Luigi Sacco (1769-1836) diffuse negli stati della Repubblica Cisalpina la vaccinazione, per
cui in tali zone ci fu un crollo verticale della mortalità del vaiolo.

Con la Rivoluzione Francese si assistette a:


 Promozione di ricerca e sperimentazione
 Superamento della dicotomia medici/chirurghi
 Studenti che iniziarono a fare esperienza clinica negli ospedali

La Rivoluzione Scientifica e Industriale, iniziata a partire dal 1750 e protrattasi fino agli inizi del 1900, porta
il progresso e nuovi problemi. Si tratta di un periodo di grandi cambiamenti, alcuni contribuirono allo
sviluppo della medicina, mentre altri crearono nuovi problemi. La Gran Bretagna iniziò per prima la
Rivoluzione Industriale e tutta l’Europa la seguì.

Grazie all’affermarsi delle industrie manifatturiere, venivano prodotti strumenti medici più sofisticati e
meno cari, anche perché la disponibilità economica era aumentata; tuttavia, le condizioni lavorative erano
scadenti, l’orario giornaliero di lavoro durava troppo, si richiedeva grande sforzo fisico e ampie popolazioni
di lavoratori si trovavano a contatto tra loro. Nelle industrie, inoltre, si producevano anche armi.

Esempio di migliorie nell’industria è dato dal microscopio, con l’introduzione di lenti migliori in rapporto a
innovazioni nella lavorazione del vetro. Importanti sono le migliorie introdotte da Joseph Jackson Lister
(1786-1869), padre del chirurgo Joseph Lister, nel 1826: si trattava del primo microscopio che utilizzava una
lente obiettivo acromatica con correzione per l’aberrazione cromatica e sferica, così che l’immagine
risultante era molto più chiara.
Altro esempio di migliorie nell’industria è dato dalla produzione delle siringhe, infatti perfezionamenti della
produzione dell’acciaio permisero la produzione di aghi per siringhe più sottili che non si rompevano ed
erano meno dolorosi per il paziente.
Vennero prodotti i primi termometri in vetro, in rapporto all’avanzamento nella produzione del vetro e al
miglioramento delle conoscenze scientifiche.

L’urbanizzazione ha aspetti negativi e positivi:

Problemi Progressi
Case scadenti
Sovrappopolazione L’esposizione ai germi in età giovanile favorisce lo
Ottimo pabulum per la proliferazione dei germi sviluppo di immunità
Acqua infetta (colera)

Anche la comunicazione presenta aspetti positivi e negativi:

 Positivo è il fatto che grazie a treni a vapore, telegrafi e navi a vapore le notizie si diffondono
velocemente e che medici, ricercatori e inventori possono viaggiare e scambiarsi idee più agevolmente;
 Negativo è l’aumento di emigrazioni e di scambi internazionali, nel senso che i patogeni si possono
propagare più facilmente e possono infettare popolazioni che non sono mai venute in contatto con essi
e che quindi non hanno acquisito resistenza. Il colera, ad esempio, fu trasmesso dall’India alla Gran
Bretagna negli anni ’30 dell’Ottocento: l’India era una colonia britannica, la popolazione locale aveva
acquisito una certa immunità ma quella inglese no, infatti in Gran Bretagna l’effetto del colera fu
devastante.

Anche la figura dell’imprenditore ha aspetti positivi e negativi:


 Progressi: producono denaro per la ricerca e lo sviluppo, favoriscono il miglioramento del mercato per
nuovi prodotti medici.
 Problemi: molti sono ciarlatani e vendono qualsiasi cosa ai pazienti.
John Brown (1635-1788) introduce il vitalismo, secondo il quale vi è uno spirito vitale che permea l’uomo,
identificabile con l’eccitabilità, insita nel cervello e nei muscoli. La vita viene mantenuta da continue
sollecitazioni che agiscono sulla eccitabilità degli organi, da un difetto o un eccesso di stimoli si origina la
malattia.
John Brown fu tradotto in italiano da Giovanni Rasori (1766-1837), professore a Pavia. Sua è la teoria del
controstimolo, ossia una sostanza che agisce in senso contrario allo stimolo; da essa dipende la
predisposizione individuale ad ammalarsi.

Tra i rimedi dei ciarlatani si ricordano gli estrattori Perkins, che “permettono la fuoriuscita di qualunque
malattia”.

A questo periodo risale anche una scienza fasulla, la frenologia (dal greco frenos, mente, e logos, studio),
una teoria che si basa sulla supposta capacità di definire il carattere, la personalità e le tendenze criminali di
una persona basandosi sulla forma della testa. Fondata dal medico viennese Franz Gall (1758-1828) rimase
accreditata fino all’inizio del ‘900, infatti si basò su questi studi anche Cesare Lombroso e nel 1913 Mary
Stanton pubblica L’Enciclopedia del volto e della lettura della forma. “La combinazione dei segni facciali
denota una volontà egoista e dispotica e la tendenza ad amare in modo incontrollato; l’insieme rende
questo carattere detestabile”: questa è l’analisi del volto di Enrico VIII.

Di questo periodo è anche la fisiognomia comparata, in cui il volto della persona è paragonato, per forma e
lineamenti, a quello di un animale, con il quale si ritiene anche che vi siano delle somiglianze nel
comportamento. Nel 1887 James Redfield pubblica un trattato su questo argomento, la Redfield’s
Comparative Physiognomy. Già nel 1866 era stata pubblicata la New Physiognomy or Sins of Characters, di
Samuel Revells.
Le terapie in questo periodo sono svariate e spesso inefficaci: si ricordano l’idroterapia, la doccia epatica
(figura 1), la terapia della luce, i massaggiatori oculari per migliorare la vista (figura 2).

1 2

Franz Anton Mesmer (1734-1825), medico, laureato a Vienna, sviluppò la teoria del magnetismo animale,
che si poteva trasmettere da una persona all’altra. Praticava rituali elaborati, usò anche l’ipnotismo.
In quell’epoca crebbe anche interesse per lo spiritismo.
Le cure magnetiche erano praticate anche da ciarlatani, che addirittura effettuavano bagni magnetici.

Il clima è di scarsa fiducia nella medicina, come possiamo leggere nelle opere di Pietro Verri e Giacomo
Leopardi. I cambiamenti politici influenzano la medicina, infatti:
 Democrazia: poiché molta più gente ha diritto al voto, essi si aspettano di più dai loro rappresentanti.
 Governo: diventa più efficiente, migliorano notevolmente tecnologia, istruzione, comunicazioni,
organizzazione.
 Competizione con altri governi: non bisogna rimanere indietro rispetto ai rivali.
Importanti sono i miglioramenti nell’istruzione, infatti:
 Viene ridotto l’analfabetismo
 L’università viene potenziata e compare il tirocinio dei medici
 Appare il concetto di specializzazione scientifica
 La matematica e la statistica vengono utilizzate per valutare la diffusione delle malattie. Ad esempio,
vengono valutate le cause di morte nell’anno 1889 nel distretto sanitario di Maidstone.

Le nuove conoscenze vengono applicate allo studio dell’epidemia di colera, trasmesso dall’India alla Gran
Bretagna negli anni ’30 dell’Ottocento.
Il colera è la malattia da infezione da Vibrio cholerae (Gram negativo); è caratterizzato da diarrea violenta
che provoca disidratazione e morte. La trasmissione è oro-fecale. Era frequente anche nel Medio Evo. Fasi
della malattia:
1) Incubazione di 1-5 giorni.
2) Comparsa improvvisa di diarrea acquosa (ad acqua di riso), con scarsi dolori addominali, causata
dall’enterotossina che è attiva contro l'epitelio intestinale, con scariche sempre più liquide e incolori, e
quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio e grave prostrazione generale.
3) Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione.
4) l paziente è ipoteso, tachicardico e con diuresi ridotta o addirittura assente (anuria).
5) La perdita di potassio può determinare alterazioni della contrazione cardiaca.
6) Perdita di anche un litro di liquido per ora.
7) Se non interviene la cura reidratante, si ha shock irreversibile e morte, che subentra spesso entro poche
ore.
Il tasso di letalità è di oltre il 50%.
La trasmissione si verifica quando il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto, per carenze del
sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell'acqua, per cui può arrivare all'uomo sano,
attraverso gli alimenti e le bevande. Il vibrione resiste fino a 2 settimane nei crostacei. È più rara, ma
possibile, la trasmissione da malato a sano nelle condizioni di scadente igiene personale.
Il medico-poeta veronese Gerolamo Fracastoro (1478-1553) suggerì nel De contagione et contagiosis
morbis (1546) l'esistenza di vettori di contagio: egli aveva infatti osservato che la malattia si trasmetteva sia
per contatto diretto tra i soggetti (contactu), sia attraverso oggetti (per fomitem), sia a distanza (ad distans).
Egli introdusse così l'idea di “germi di contagio”, piccoli germi vivi, cioè microrganismi capaci di causare le
malattie.
Filippo Pacini (1849-1883), allievo della Scuola Medico-Chirurgica di Pistoia e poi professore di Anatomia e
Istologia presso l’Istituto di Studi Superiori a Firenze, scoprì nel 1854 il vibrione del colera. La notizia di tale
scoperta, però, passò inosservata, e nel 1883 il vibrione venne riscoperto da Robert Koch (1843-1910).

Diffusione attuale del colera:

John Snow è stato lo scopritore delle modalità di trasmissione del colera. Ha usato la statistica e ha
introdotto la moderna epidemiologia. Ha studiato l’epidemia di colera del 1854 a Londra. Identificò su una
mappa tutti i casi di colera e notò che erano tutti attorno a una pompa dell’acqua; scoprì che i casi erano
tutti soliti fermarsi a bere da tale pompa. Snow capì da dove proveniva il contagio. Rimosse la manovella
dalla pompa e l’epidemia finì di colpo. NB il Vibrio cholerae era sconosciuto, ai tempi.

Si studiano e si capiscono le cause di alcune malattie infettive. Un esempio è dato dalla febbre puerperale,
un’infezione dell’utero che si contrae al momento del parto o di un aborto. È dovuta alla contaminazione
batterica ed è caratterizzata da dolore uterino e febbre elevata; può evolvere a setticemia; il quadro
anatomo-patologico prevede una suppurazione dei genitali, del peritoneo e a distanza. In passato, la
mortalità per febbre puerperale era elevatissima, praticamente al 100%. Era maggiore nelle donne che
partorivano in ospedale che in quelle che partorivano in casa. Nei corso dei secoli numerose sono state le
congetture sul perché le donne contraessero la febbre puerperale:
 Ritenzione dei lochi: sostenuta da Ippocrate, Galeno, Avicenna, Paré, Silvio, Sydenham
 Metastasi lattea: sostenuta da Willis, Puzos, Levret
 Pus addominale di Francesco Marabelli
Nel XVIII secolo le ipotesi sono:
 Stitichezza: secondo White
 Ritenzione di orina oppure freddo e umidità: secondo Baudelocque
 Eccesso di cibi post-partum: secondo Boerhaave
 Imbarazzo gastrico: secondo Riverio
 Alterazione dell’aria o teoria miasmatica: per diversi motivi, ad esempio sala delle puerpere posta sopra
quella dei feriti, affollamento e promiscuità delle puerpere (sane e malate), abitazioni malsane dei
quartieri poveri. Trousseau formula la teoria dei germi aerei specifici.

Ignaz Philipp Semmelweis (1818-1865) era aiuto-ostetrico in una clinica viennese.


Osservò una maggiore mortalità tra le donne che partorivano nelle divisioni
ospedaliere frequentate dagli studenti di medicina che fra quelle che lo facevano a
casa o nelle divisioni frequentate da allieve infermiere ostetriche.
La clinica ostetrica di Vienna era così strutturata: nella I sezione, quella del prof.
Klein, facevano pratica gli studenti di medicina; nella II sezione, quella del prof.
Bartch, imparavano le allieve ostetriche. Nella I sezione, Semmelweis osservò più
del 10% dei decessi per febbre puerperale, mentre nella II meno del 3%.
Semmelweis studia i decessi per febbre puerperale nella sezione del prof. Klein,
dove fanno pratica gli studenti di medicina, e ottiene tali risultati:

Agosto 1842 27%


Ottobre 1842 20%
Dicembre 1842 33%
Maggio 1846 96%
Novembre 1846 28%
Gennaio 1847 40%
Semmelweis fu colpito da tale fenomeno e pensò che probabilmente erano responsabili gli studenti di
medicina, che passavano dalla sala settoria alle partorienti senza lavarsi le mani o usare i guanti.

Visita ginecologica agli inizi del XIX secolo

Semmelweis fece alcune considerazioni innovative:


 La febbre puerperale può essere causata da medici tramite particelle putride dei cadaveri
 La febbre puerperale può essere trasmessa dai medici tramite particelle putride presenti in un altro
malato
 L’infezione può avere come veicoli la biancheria, le spugne, gli asciugamani e le mani del personale
 La febbre puerperale può essere trasmessa alla puerpera da ferri chirurgici infetti
Semmelweis, quindi, nel 1847 condusse un esperimento: obbligò medici e studenti a lavarsi le mani tra una
visita e l’altra con cloruro di calce posto in bacinelle all’ingresso della clinica. La mortalità puerperale cala
drasticamente nel giro di pochi mesi, infatti:
 Aprile: mortalità del 9%
 Arrivo degli studenti di medicina
 Maggio: mortalità del 27%
 Semmelweis, dal 15 maggio, obbliga la disinfezione delle mani
 Giugno: mortalità del 12%
 Luglio: mortalità dello 0,23%

Le bacinelle di Semmelweis

L’ostilità del prof. Klein nei confronti di Semmelweis obbliga quest’ultimo a trasferirsi a Budapest.
Semmelweis ebbe problemi mentali e per questo fu ricoverato in una clinica psichiatrica. Quando si diffuse
la pratica di igiene ospedaliera, si resero conto che aveva ragione. Ultimi anni di vita:
 1855: docente di clinica ostetrica all’Università di Budapest
 1861: esce Eziologia, teoria e profilassi della febbre puerperale
 1861: al XXXVI Congresso dei Medici Tedeschi incontra una forte opposizione, addirittura da parte di
Virchow
 1861-1864: sostiene polemicamente la sua teoria
 14 agosto 1865: muore a soli 47 anni di età per paralisi progressiva.
Ipotesi sulle cause della febbre puerperale dopo Semmelweis:
 Leonesio, Milano (1852): contatti con cadaveri, esplorazioni vaginali con mani contaminate
 Giordano, Torino (1858): “vita sedentaria, stenti, lunghi patemi d’animo, modifiche negli umori e solidi
della gestazione”
 Hervieux (1865): "principio tossico nell'aria"
 Levi (1867): "condizione viziata dell'aria"
 Coze e Feltz: "animacules microscopiques" nel sangue di puerpere ammalate
 Braun (1870): metamorfosi prodotte dallo sperma, aumento di fibrina e calo dei globuli rossi,
cambiamenti del sangue in gravidanza, “scosse” del sistema nervoso, scarsità o mancanza di secrezioni
lochiali, lacerazioni dell’utero, mancata contrazione dell’utero, putrefazione endouterina del feto,
diarree in gravidanza, manovre operatorie, patemi d’animo, errori dietetici e sete in puerperio,
temperatura alta della stanza e azione del freddo
 Corradi (e gli ostetrici del tempo): non viene data importanza all’origine batterica
 Pasteur (1879): "la febbre puerperale è causata da batteri rotondi che infettano le superfici cruentate e si
spandono nell'organismo"
 Stoltz (1882): "è l'aria che, con i miasmi, trasporta i germi"
Mangiagalli accomuna, dal punto di vista preventivo, la febbre puerperale con le febbri chirurgiche. Alla
fine dell’Ottocento l’ipotesi infettiva è pienamente accettata e, nel 1906, viene eretto un monumento a
Semmelweis.
LA MEDICINA DAL XIX AL XX SECOLO

Quadro relativo al XIX secolo:


Strumenti medici (qualitativi e quantitativi):
 Storia del paziente (anamnesi)
 Percussione
 Esame fisici, auscultazione
 Oftalmoscopia
 Radiografia (fine secolo)
 Esami di laboratorio (fine secolo)
 Termometro medico
 Sfigmomanometro
 Sfigmografo
Nuove discipline:
 Istopatologia
 Chimica biologica
 Microbiologia
Effetti positivi:
 Vaccinazione
 Regressione della febbre tifoide
 Regressione della malaria
Vie commerciali, affollamento delle città e industrializzazione influiscono su malattie come:
 Colera asiatico
 Poliomielite
 Meningite
 Sifilide
 Tubercolosi
 Rachitismo
 Forme di cancro.

La chirurgia prima dell’800

Anestesia: spongia somnifera.


Strumentario:
 Strumenti per litotomia
 Cauterizzazione
 Trapanazione
 Ablazione di tumori
 Pinze cavapalle (es. l’alfonsino di Alfonso Ferri)
 Apparecchiature per estensione degli arti
 Fasciature
 Protesi
Trattamento delle ferite:
 Trattamento “umido”, con suppurazione della ferita inteso come fenomeno positivo ( pus bonum et
laudabile”, il pus era ritenuto un eccesso di bile gialla da evacuare)
 Trattamento “secco”, con pulizia accuratissima dei labbri
 Trattamento con olio bollente delle ferite da arma da fuoco
 Trattamento “dolce” con acqua fredda e fasciatura, conservativo, delle ferite d’arma da fuoco (Paré)
 Incisione e drenaggio per far uscire i proiettili
 Sutura delle ferite del volto e del collo
 Lavaggio e legatura dei vasi in caso di emorragia (Paré), metodica poi abbandonata
Prima del XIX secolo, le possibilità di sopravvivere a qualsiasi intervento chirurgico erano scarse. Era
impossibile far fronte al dolore, poiché non esistevano gli anestetici; i pazienti erano coscienti per tutto il
tempo (a meno che non svenissero per il dolore, il che facilitava il lavoro del chirurgo). Non si sapeva nulla
dei germi né del loro ruolo nel provocare le infezioni, che quindi risultavano frequentissime in caso di
operazione chirurgica. Le emorragie rappresentavano un grave problema, per la difficoltà nel controllo del
sanguinamento e l’impossibilità di rimpiazzare il sangue perduto.

La chirurgia dal 1800 in poi

Le infezioni, come già detto, erano frequenti in caso di interventi chirurgici. V. Ignaz Semmelweis e febbre
puerperale causata da studenti di medicina che visitavano le puerpere senza essersi lavati le mani dopo
aver praticato autopsie.
L'articolo di Pasteur sulla teoria della generazione spontanea finì tra le mani di un chimico inglese, Joseph
Lister (1827-1912), che lo fece vedere al chirurgo che operava a Edimburgo, che fu impressionato da tale
ipotesi: i germi erano i responsabili dell'infezione. Ispirandosi al fatto che per bonificare le fogne di una
cittadina inglese era stato usato il fenolo, nebulizzò tale sostanza sul tavolo operatorio durante l'intero
intervento chirurgico, ottenendo una drastica riduzione dei decessi per sepsi della ferita (1867). Tale
processo venne chiamato antisepsi.

Spruzzatore di Lister e suo impiego in sala operatoria

È importante ricordare anche Enrico Bottini (1835-1903): nato a Stradella, si laureò nel 1860 a Torino, ove
fu allievo di Alessandro Riberi, dal quale si allontanò presto per assumere, come vincitore di concorso, il
posto di assistente di L. Parravicini, docente di Patologia Chirurgica all’Università di Pavia. Nel 1864 ottenne
l’incarico di docente di Anatomia Chirurgica; nel 1865 fu nominato Professore di Ostetricia e Chirurgo-Capo
Operatore nell’Ospedale Maggiore di Novara. Pur avendo avuto un grande successo professionale e pur
avendo potuto fare una vasta esperienza operativa seguendo i metodi più moderni ed arditi, dopo dieci
anni abbandonò il posto per dedicarsi allo studio. Gli fu così possibile vincere il concorso di Clinica
Chirurgica e quindi essere chiamato ad occupare nel 1877 la cattedra di Clinica Chirurgica già di Luigi Porta
nel 1877, cattedra che tenne fino all’anno della sua scomparsa, il 1903.

Targa in onore di Enrico Bottini, affissa presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale di Novara
Enrico Bottini è autore del trattato Sull’acido fenico nella Chirurgia pratica e nella tassidermica (1866),
opera nella quale dimostra di aver già chiaramente intuito il concetto dell’antisepsi con soluzioni di acido
fenico (da lui usate nelle ferite infette allo scopo di distruggere i “microfiti” che pullulano sulle ferite), e di
averne compresa, applicando le scoperte di A. Bassi e di Pasteur, tutta l’importanza nell’applicazione
pratica prima ancora che nel mondo si diffondesse il metodo listeriano.
Patologo vivamente interessato alle grandi scoperte batteriologiche del tempo, che segnavano gli albori
della batteriologia, scrisse nel 1871 Sulla gangrena traumatica invadente, ne dimostrò per primo la natura
infettiva e l’inoculabilità e ne descrisse il quadro clinico con grande completezza.
Eletto Deputato prima, poi Senatore, si adoperò per risolvere molti problemi della vita universitaria. Ebbe
sempre un grande attaccamento alla sua Università, alla quale procurò larghi mezzi per il suo
rinnovamento. Morì a San Remo dopo breve malattia l’11 marzo 1903, alla vigilia dei festeggiamenti in suo
onore in occasione del suo 25 anno di insegnamento.

Più tardi si capì che la sterilizzazione preventiva o asepsi introdotta da Ernst von Bergmann (1836-1907),
chirurgo tedesco, era più pratica ed efficace dell'antisepsi.
L'uso dei guanti in gomma fu introdotto dal chirurgo americano William Halstead (1852-1922).

La teoria dei germi, basata sugli studi di Pasteur, Koch, Emil von Behring (18541917), Shibasaburo Kitasato
(1852-1931), Almroth Edward Wright (1861-1941) e molti altri, ebbe, almeno nel mondo occidentale, un
influenza grandissima anche sulla vita di tutti i giorni e persino sulla economia. Fu la paura dei germi a far sì
che le donne smettessero l'uso delle sottovesti multiple e delle gonne lunghe tipiche dell'età vittoriana
e che gli uomini si radessero il viso.
Un'altra conseguenza fu la nascita della moderna industria degli apparecchi igienico-sanitari, dei
disinfettanti per le case e quella degli accessori usa e getta: carta igienica, assorbenti, bicchieri e fazzoletti di
carta, etc.

Rimanevano ancora dei problemi. Il dolore non poteva esser placato: i pazienti non stavano fermi, i medici
di successo erano quelli che operavano velocemente. Prima degli antibiotici non si eseguiva chirurgia
addominale. Il paziente poteva morire per gli effetti dell’operazione.
Il dolore senza anestesia era atroce, pensiamo alla mastectomia eseguita da Wilhelm Fabricius Hildanus
(1560-1634). Anche Johannes Scultetus, autore dell’Armentarium Chirurgicum (1741) è ricordato per aver
praticato una mastectomia. Nel 1810 la scrittrice Fanny Burney subì tale operazione a 47 anni e ne descrisse
l’orrore. La donna sopravvisse e morì in tarda età.

Procedimento seguito per praticare la mastectomia Hildanus all’opera

Successivamente, si passa all’uso di anestetici generali. Un esempio è dato dall’etere: scoperto nel 1799, i
dentisti lo usarono per primi, e John Warren fu il primo a usarlo per un’operazione in USA nel 1846.
L’etere, però, dà dei problemi: irrita i bronchi, causando tosse in molti pazienti; può bruciare ed esplodere
facilmente.
Un altro anestetico generale è il cloroformio. Nel 1847 James Simpson e assistenti cercarono un anestetico
migliore dell’etere sperimentando su se stessi, e si svegliarono sotto il tavolo: avevano trovato una valida
alternativa. Problemi legati al cloroformio: la dose deve essere valutata accuratamente (può essere letale);
il medico deve fare attenzione a non anestetizzare se stesso.
Quando la Regina Vittoria sperimentò i vantaggi del cloroformio in occasione di un parto nel 1857,
l’opposizione al suo uso venne meno. (Ricordare: Vittoria era portatrice sana di emofilia!).

Il successo con l’anestesia permise di sperimentare nuove procedure chirurgiche, ma anche produrre
infezioni più profonde e provocare maggiore perdita di sangue. Non era da sottovalutare il problema
dell’emorragia, difficile da controllare solo con semplici misure, quali:
 Usare il laccio emostatico
 Sollevare la parte ferita
 Esercitare una pressione diretta sulla ferita.
Il sangue perduto non poteva essere sostituito. Le trasfusioni fallivano per:
 Coagulazione del prelievo
 Ignoranza dei gruppi sanguigni
 L’infezione era spesso introdotta cercando di bloccare l’emorragia
Ricordiamo le legature dei vasi operate da Paré, pratica che però non ebbe seguito. Joseph Lister utilizzò
Catgut sterile per le legature dei vasi: la pratica ridusse le infezioni e le perdite ematiche intraoperatorie
potevano essere controllate.

Alla fine dell'800 la chirurgia aveva ormai fatto passi da gigante, infatti si avevano le conoscenze
anatomiche, veniva effettuata l'anestesia, c'era il concetto di asepsi, però mancava ancora una componente
importante: la monitorizzazione delle condizioni del paziente durante l'intervento chirurgico. Infatti quando
il chirurgo operava un paziente sotto anestesia non si accorgeva se esso stava per morire o meno. Colui che
inventò l'apparecchio per monitorare il paziente fu Scipione Riva-Rocci (1863-1937), che nel 1896,
utilizzando semplici oggetti (un calamaio, del mercurio, un tubo di bicicletta), mise a punto un apparecchio
che, per le sue piccole dimensioni, poteva entrare in sala operatoria o essere usato nelle guardie mediche;
infatti, erano già stati inventati degli strumenti che misuravano la pressione sanguigna, ma erano molto
ingombranti e difficili da usare.

Sfigmomanometro di Riva-Rocci
L'uso dello sfigmomanometro fu poi perfezionato utilizzando l'auscultazione dei toni cardiaci scoperti dal
russo Nicolaj Sergievich Korotkov (1874-1920): fu così possibile misurare anche la pressione arteriosa
minima.
Lo sfigmomanometro di Riva-Rocci incuriosì Harvey Cushing (1869-1939), famoso neurochirurgo
americano, che venne in Italia appositamente per vederlo e poterlo introdurre nelle sale operatorie.
Cushing portò lo sfigmomanometro in America e da lì si diffuse in tutto il mondo; chiaramente fu poi
perfezionato.

La guerra mondiale ebbe un notevole impatto sulla chirurgia, in quanto diede modo ai medici di fare molta
pratica nel settore. Venne potenziata l’industria bellica, con diffusione di fucili ad alta potenza, mitragliatrici
e impiego dell’artiglieria: di conseguenza, abbondanza di ferite da proiettili. Inoltre, i generali avevano
interesse a che i soldati feriti si ristabilissero in fretta per tornare in linea, perciò le cure dovevano essere
adeguate.

Soldati sfigurati dalle ferite di guerra

A questo periodo (fine ‘800 - inizio ‘900) risale la nascita della radiologia. Nel 1895 il fisico tedesco Wilhelm
Konrad Roentgen (1845-1913) scoprì casualmente che i raggi emanati da un tubo catodico potevano
attraversare la carta, il legno e anche la pelle, ma non il metallo e le ossa. L’immagine dello scheletro
poteva impressionare una lastra fotografica: in questo modo nasce la radiologia.

La prima radiografia fatta da Roentgen è quella della mano della moglie; fece il giro del mondo

Gli ospedali acquisirono esperienza le macchine per le radiografie prima della I Guerra Mondiale. Durante la
guerra esse dimostrarono la loro utilità: i chirurghi potevano localizzare accuratamente i proiettili, senza più
il bisogno di chirurgia esplorativa.
L’interesse per la radiologia, però, fu tale da dar luogo a rimedi da ciarlatani: le radiazioni ionizzanti
divennero un trattamento radiante per malattie non neoplastiche come ipertrofia timica, micosi, mastite,
tubercolosi. L'uso smodato dei raggi X senza nessuna protezione ebbe gravi conseguenze anche nei medici
che li adoperarono senza conoscerne gli effetti lesivi (i radiologi morirono di radiodermite o di tumore).
Un grande progresso nella radiografia si ottenne successivamente grazie all'americano Walter Canon
(1871-1945), che introdusse l'uso dei mezzi di contrasto che permettevano di visualizzare organi altrimenti
invisibili. Poi, gradualmente, vennero messe a punto nuove tecniche come l'ecografia (che utilizza gli
ultrasuoni) cui seguirono la TAC e la risonanza magnetica.

Un'altra grande scoperta all'inizio del secolo, importante per la medicina e la chirurgia, fu la scoperta dei
gruppi sanguigni nel 1901 ad opera del medico austriaco Karl Landsteiner (1868-1943). Grazie a questi si
capì finalmente il meccanismo che rendeva incompatibile il sangue di soggetti diversi.
Le trasfusioni di sangue erano ancora difficili, infatti restava il problema della coagulazione, per cui la
trasfusione doveva essere eseguita subito dopo il prelievo. Pensando ai campi di battaglia, le trasfusioni
immediate erano spesso impossibili e i medici avevano bisogno di trovare un metodo per impedire che il
sangue coagulasse. Viene scoperto il plasma, per cui la parte liquida può essere separata dal sangue; il
plasma poteva essere utilizzato al posto del sangue.

La cancrena era un terribile problema per i soldati feriti. I chirurghi scoprirono che se asportavano tutto il
tessuto infetto e lavavano la ferita in soluzione salina potevano bloccare l’estendersi della cancrena. Questo
era l’unico modo per bloccare l’avanzamento della cancrena in assenza di antibiotici.

Cancrena

Prima del 1880 i chirurghi consideravano alcune regioni “santuari” che non potevano essere aperti per via
dell’alta mortalità. Nel 1880 si apre la via dei visceri addominali: si praticano anastomosi ileo-digiuno,
operazioni di stenosi duodenale, resezione gastrica.
Un tumore cerebrale asportato con successo nel 1884 a Londra.
Alla fine dell’800 si arrivò al cuore, poi:
 1924: cateterismo cardiaco
 1939: corretta la pervietà del dotto di Botallo
Agli inizi del '900 furono fatte grandi scoperte anche in campo batteriologico: fu identificato il bacillo della
difterite, allestiti diversi vaccini. Fu anche identificato nel 1905 dal tedesco Fritz Richard Schaudinn (1871-
1906) il Treponema pallidum, agente eziologico della sifilide, malattia allora diffusissima: questa fu una
scoperta epocale.

Si poté gradatamente passare alla cura delle malattie infettive, di cui ormai si conoscevano le cause e i modi
di prevenzione.

Emil Adolph von Behring (1854-1917) faceva parte della squadra di Koch, e scoprì che
gli animali sono in grado di produrre anticorpi contro i batteri. Nel 1890 dimostrò che la
risposta immunitaria nei confronti delle tossine difterica e tetanica protegge dalla
malattia. Identificò gli anticorpi contro la difterite, infatti:
 Rimosse le cellule del sangue
 Iniettò il siero nelle persone affette
 Gli anticorpi uccisero i germi e null’altro
Gli anticorpi vennero chiamati “proiettili magici”. Nel 1894 la sua scoperta venne messa
in pratica; i cavalli venivano utilizzati come fonte di siero antidifterico e antitetanico.

Nel 1910 un batteriologo mise a punto per la prima volta un farmaco di sintesi (chemioterapico) capace di
aggredire un germe: il germe della sifilide. Paul Ehrlich (1854-1915) faceva parte della squadra di Koch e
aveva lavorato con Behring. Voleva creare una versione chimica dei proiettili magici di Behring: composti
chimici che uccidessero i germi e null’altro. Ehrlic si era reso conto che certi coloranti si legavano ai batteri,
per cui pensò di trovare qualche sostanza che si legasse ai batteri e li uccidesse. Provò 606 composti e
proprio l'ultimo di questi, a base di arsenico, si dimostrò efficace: lo chiamò Salvarsan. Essendo tossico, il
Salvarsan 606 fu poi sostituito dal Neosalvarsan, meno tossico. Nel 1910 il Salvarsan venne utilizzato in
clinica su ammalati di sifilide nell’ospedale di Berlino; si trattava della prima scoperta di una terapia
specifica e destò una grande entusiasmo e ottimismo sul potere della nuova medicina.

La “spagnola” diede un grave colpo a questa visione ottimistica. Il trattamento disponibile per tale malattia
era sintomatico:
 Aspirina per ridurre la temperatura
 Chinino per ridurre la temperatura
 Ossigeno per combattere la cianosi
 Digitale
 Glucosate isotoniche iv e bicarbonato di sodio.

William Withering (1741-1799) suggerì l’impiego della digitale nella cura dell’idropisia, ma venne poi
abbandonata. Fu riaccolta dopo un secolo, si ricorda il suo An account on the foxglove and some of its
medical use, with practical remarks on Dropsy and other diseases (1785).
Il chinino era arrivato dall’America nel XVII secolo; deriva dalla corteccia dell’albero cincona; solo nel 1820
si isolò il suo principio attivo. Serviva solo per la malaria, non per le febbri di altra origine.
Nel 1830 venne isolata la salicina dalla corteccia del salice e venne usata come antipiretico. L’acido salicilico
venne modificato e messo in commercio nel 1899 dalla società Bayer.
Nel 1832 Augustus von Liebig isolò l’idrato di cloralio, sedativo e sonnifero alla fine degli anni ’60.
Adolph von Bayer (1835-1917) derivò il barbitale dall’acido barbiturico, introdotto in medicina come
Veronal nel 1903, e il fenobarbital venne messo in vendita nel 1912 (Luminal)
L’acetaminofene era usato dal 1893 come analgesico e antifebbrile.
La Farmacopea Italiana viene pubblicata nel 1892; per quanto riguarda gli altri Paesi, in Gran Bretagna nel
1864, in Germania nel 1872, in Francia nel 1866.
Qualche anno dopo il Salvarsan e precisamente nel 1935, Gerhard Domagk (1895-
1964) allievo di Erhlich, partendo da un derivato della anilina scoprì il prontosil-
rubro, precursore di una classe di chemioterapici: i sulfamidici. La solfanilammide
era nota da anni, ma non era noto il suo effetto antibatterico, che venne
sperimentato a Londra contro lo streptococco.
Domagk aveva provato a usare coloranti per combattere l’avvelenamento del
sangue (setticemia), riscontrando un certo successo con i roditori. Sua figlia
accidentalmente inseguì il suo porcellino d’India nel laboratorio e si infettò con del
sangue contaminato. Domagk fu obbligato a provare subito la sua cura, che
funzionò. Domagk aveva trovato il secondo proiettile chimico.
Queste scoperte erano veramente importanti perché allora le malattie infettive decimavano la popolazione,
tant'è che le aspettative di vita si aggiravano intorno ai 40 anni. Da qui l'importanza dei sulfamidici che,
sebbene un po' tossici, furono subito prodotti su larga scala, anche perché la molecola di base, l'anilina, era
un brevetto internazionale, per cui la sua produzione non divenne un monopolio.

La maggior parte della infezioni erano e sono causate da Stafilococchi e Streptococchi. Le infezioni
potevano evolvere in setticemia e condurre alla morte.
Nel 1928 venne scoperto il primo antibiotico. In quell’anno, il batteriologo Alexander
Fleming (1881-1955) faceva ricerche sugli Stafilococchi e notò che in una piastra che
aveva lasciato vicino alla finestra socchiusa si erano formate delle aree di inibizione in
cui i germi non erano cresciuti. Pensò che ci potesse essere un qualcosa che aveva
bloccato la crescita dei microrganismi, chiese quindi ad un collega di analizzare quella
piastra e questi vi trovò un fungo. Tuttavia nella prima analisi sbagliò e, invece del
Penicillum Notatum, che effettivamente aveva un potere inibente sulla crescita dei
batteri) identificò un altro Penicillum, non efficace. Fleming si accorse dell'errore e
pubblicò il lavoro sul Penicillum Notatum, che però rimase come una sorta di cura
biologica tant'è che in quel periodo l'estratto di Penicillum veniva usato solo per pulire le colture di batteri,
non come farmaco.
Howard Florey ed Ernst Chain lessero con interesse il lavoro di Fleming. Nel 1939 (anno dello scoppio della
Seconda Guerra Mondiale) ottennero dei grant governativi per scoprire come far crescere il Penicillium:
avevano bisogno di un’area molto ampia per far crescere la muffa, e lentamente produssero qualche
grammo di penicillina. Vennero effettuate prove di efficacia della penicillina:
 Sui topi: 8 furono iniettati con Stafilococchi e a 4 di essi venne data penicillina, agli altri 4 no: i primi
guarirono, i secondi morirono.
 Su un poliziotto nel 1941 che aveva un’infezione ingravescente : immediatamente migliorò, ma non
avevano penicillina abbastanza, allora la riciclarono isolandola dalle urine; nonostante ciò non fu
abbastanza e il paziente morì.
Ovviamente la penicillina era un farmaco potente, ma difficile da produrre. Si investirono soldi, personale
ed esperienza. La ricerca era difficile nella Gran Bretagna, dilaniata dalla guerra. Florey fu mandato negli
USA per continuare la ricerca; nel dicembre del 1941, il governo statunitense stanziò 80 milioni di dollari
per la ricerca. A 4 industrie multinazionali venne detto che la produzione della penicillina doveva essere tra
le loro maggiori priorità, ed enormi ditte farmaceutiche si misero di impegno. Al 1943 risale la
sperimentazione nei campi di battaglia in Nord Africa; nel 1944 la penicillina viene prodotta a sufficienza
per coprire le urgenze dovute al D-Day. I tedeschi ebbero solo i sulfamidici, meno potenti, per tutta la
durata della guerra. La penicillina era un monopolio degli alleati, per cui per averla, in Italia, si doveva
pagarla "oro" al mercato nero.

Dopo la penicillina fu scoperto (1944) da Selman Abraham Wacksman (1888-1973) un altro antibiotico: la
streptomicina; questo farmaco risultò efficace contro il Micobatterio tubercolare e anche se tossico è usato
ancora oggi.
La Sanità pubblica diventò un argomento rilevante nei secoli XIX e XX. Fu un risultato dell’industrializzazione
e dell’urbanizzazione. Si afferma il concetto per cui la salute non è un bene del singolo, ma della comunità,
e come tale va protetta.
Max von Pettenkohfer, professore a Monaco, scrisse nel 1882 l’Handbuch der Hygiene, che venne preso a
modello in molti paesi europei. Egli era scettico sul ruolo dei microorganismi; si dedicò al rapporto
popolazione-ambiente, specialmente riguardo alle malsane condizioni di vita
Le legislazioni dei vari paesi iniziarono ad affrontare la normativa in campo sanitario, attuando politiche per
la protezione del lavoro, dell’infanzia, della maternità, della salute, delle fabbriche, delle abitazioni. Di
conseguenza, si assistette a un notevole salto demografico.

Conquiste del XIX secolo:


 1802 Factory Acts
 1837 Dati statistici raccolti su nascite, morti, ecc.
 1848 Public Health Act: incoraggia i comuni a migliorare le condizioni
 1852 Vaccinazione
 1854 John Snow spiega l’epidemia di colera
 1858 Regolamentazione delle qualificazioni del medico
 1861 Teoria dei germi
 1867 Voto ai lavoratori
 1870 Education acts
 1875 Public Health Act: i comuni sono obbligati a fornire acqua pulita, fognature, Medical Officer
 1876 Regolamentazioni condominiali
 1876 Regolamentazioni sul cibo nei negozi
 1876 Leggi contro l’inquinamento dei fiumi
 1889 Isolamento per malattie infettive

In Italia:
 Condotte per cure mediche agli indigenti in Piemonte, poi Lombardo-Veneto
 Il medico condotto era pagato dai comuni
 Il medico condotto fece entrare la medicina nella vita dei poveri
 Isolamento scientifico e culturale, oberato dal lavoro
 Medicina come missione
 Nasce la guardia ostetrica
Giulio Bizzozero (inventore delle piastrine), nel 1883, inaugurando l’Anno Accademico a Torino, denunciò le
miserabili condizioni dell’igiene pubblica italiana.
Circolare De Pretis del 1885: inchiesta sulle condizioni igieniche e sanitarie nei comuni del Regno.
Nel governo di Francesco Crispi (1818-1901) viene istituita la Direzione Generale di Sanità Pubblica, sotto la
direzione di Luigi Pagliani, professore di Igiene a Torino, che preparò la Legge Sanitaria del 1888: istituzione
della figura del Direttore Generale e del Consiglio Superiore di Sanità, a cui corrispondevano a livello
periferico i consigli e i medici provinciali.

Viene messo in atto un accurato programma vaccinale:


 La vaccinazione anti-vaiolo diventa obbligatoria con la Legge Casati del 1859
 Per la poliomielite, nel 1953 Jonas Edward Salk (1914-1995) aveva messo a punto un vaccino con virus
ucciso, e successivamente Albert Bruce Sabin (1903-1993) uno con virus vivo attenuato.

Negli anni '60 si iniziò a parlare di trapianti d'organo. Il pioniere di questi interventi (ai primi del 900) fu uno
scienziato francese, trapiantato in America, Alexis Carre (1873-1944) che riuscì a mantenere vive in piastra
cellule umane e poi provò ad effettuare trapianti sugli animali.
Il primo trapianto di cuore fu eseguito in Sudafrica nel 1967 da Christian Barnard (1922-2001); i primi
tentativi fallirono perché mancava la ciclosporina (farmaco immunosoppressore e anti-rigetto introdotto
verso il 1983) per cui quei soggetti sopravvissero solo per poco tempo dopo l'intervento.
Christian Barnard

Italia il trapianto di cuore fu effettuato nel 1985 a Padova da Vincenzo Gallucci (1935-1991); il secondo a
Pavia, nello stesso mese e nello stesso anno, da Mario Viganò, che fece anche il primo trapianto riuscito di
cuore-polmone ed il primo impianto di cuore artificiale permanente.
Il primo trapianto di fegato fu eseguito nel 1967 in Colorado e nel 1982 in Italia da Raffaello Cortesini.

Agli inizi del '900, alla luce di nuove scoperte, fiorirono molte scienze tra le quali la vitaminologia e
soprattutto l'endocrinologia, il cui fondatore fu Charles Edward Brown Sequard (1817-1894).
La scoperta più importante in questo campo fu effettuata intorno agli anni venti a Toronto da Charles
Herbert Best (1899-1978), Frederick Grant Banting (1891-1941) e John James R. Mac Leod (1876-1935) (gli
ultimi due furono per questo insigniti del premio Nobel -1923). Essi scoprirono che il diabete, malattia
diffusa e in quel tempo mortale, si poteva curare con l'insulina, ormone prodotto dal pancreas e da questo
estraibile.

Best e Banting, scopritori dell’insulina (estratta dal pancreas di cane)

Viene scoperto il meccanismo molecolare alla base dell'anemia drepanocitica (dovuta alla mutazione di un
amminoacido nella globina) da Linus Carl Pauling (1901-1994).
Un’altra importantissima scoperta fu quella dei mediatori chimici, nel 1970, da parte di Julius Axerold, Ulf
Svante von Euler e Bernard Katz.

All'epoca in cui nacque Margaret Sanger ( 1879-1966), i contraccettivi erano considerati un crimine in tutto
il mondo. Sesta figlia in una famiglia cattolica di immigrati irlandesi residente a Corning (New York), all'età
di 19 anni vide la madre, cinquantenne, morire di tubercolosi dopo 11 parti e sette aborti. Diventata
infermiera, dedicò la sua vita a rendere legali le pratiche anticoncezionali e a renderle disponibili a tutte le
donne. Nel 1914 coniò il termine "controllo delle nascite" e cominciò subito a fornire alle donne
informazioni sugli anticoncezionali allora disponibili. Dopo diversi arresti e numerose condanne fondò la
Lega Americana per il Controllo delle Nascite e spese i restanti trent'anni della sua vita nel tentativo di
rendere disponibile un contraccettivo efficace e sicuro.
All'inizio degli anni 50, malgrado le numerose battaglie vinte, la Sanger non era affatto soddisfatta degli
anticoncezionali allora disponibili. Era dal 1912 che ella sognava la "pillola magica" in grado di assicurare
alle donne una contraccezione economica e sicura. La sua ricerca ebbe termine quando, nel 1951, incontrò
Gregory Goodwin Pincus (1903-1967) un medico esperto in riproduzione umana che era stato appena
espulso dall'Università di Harward per aver pubblicato un libro sulla fertilizzazione in vitro di uova di
coniglio. Pincus, che era assai interessato al progetto della Sanger e voglioso di metterlo in atto, era alla
ricerca di fondi per poterlo realizzare. Poco dopo, la Sanger gli trovò una finanziatrice nella sua ricca amica
Katharine McCormick (1875-1967), una delle prime donne al mondo in possesso di una laurea in
ingegneria. Nella sintesi degli ormoni Pincus fu aiutato dai chimici Russell Marker and Carl Djerassi, mentre
la sperimentazione clinica fu condotta, nell'isola di Portorico, dal medico cattolico John Rock (1890-1984).
La loro collaborazione portò, nel 1960, alla realizzazione dell'Enovid, il primo contraccettivo orale. In Italia il
controllo delle nascite venne legalizzato solo nel 1971.
Georges Papanicolau (1883-1962) mise a punto un mezzo per la raccolta e la colorazione degli strisci
vaginali, il Pap-test.

Finalmente, le donne si possono laureare in materie scientifiche:


 Donne laureate in Filosofia:
- Elena Cornaro Piscopio, Padova 1678
- Laura Bassi, Bologna 1732, che fu anche la prima cattedratica di una disciplina scientifica (Fisica
Sperimentale: Bologna, 1776)
 Donne laureate in Medicina nel mondo: Elizabeth Backwell, New York 1849
 Donne laureate in Medicina in Italia:
- Ernestina Paper, Firenze 1877 (originaria di Odessa). Primo anno a Zurigo (dove la prima donna
medico europea si laurea nel 1867)
- Maria Valleda Farnè, Torino 1878
- Anna Kuliscioff, Napoli,1887
- Maria Montessori, Roma 1894.

Entrano nella scena scientifica le donne, ad esempio:


 Marie Curie (18671934) vinse due premi Nobel, uno per la fisica e l'altro per la chimica, per le sue
scoperte sulle radiazioni, che vennero subito applicate per la cura dei tumori.
 Gerthy Theresa Cori (1896-1984), biochimico, rumena, studiò il ciclo dei pentoso fosfati;
 Helen Taussig (1898-1986) studiò le malformazioni cardiache e indicò quali dovessero essere i
trattamenti chirurgici da effettuare sui bambini affetti dal morbo blu (tetralogia di Fallot).

Sempre Helen Taussig scoprì che alla base della focomelia c'era la talidomide, un farmaco che le madri
usavano durante la gravidanza. Prima del 1961 non si sapeva molto delle cause delle malformazioni
congenite. Nel 1961, Lenz e McBride, indipendentemente, si accorsero che la somministrazione in
gravidanza di un sedativo, la talidomide, causava un aumento enorme di una serie di rare anomalie. La più
evidente era la focomelia, caratterizzata da un difetto di sviluppo delle ossa lunghe degli arti. Queste
potevano essere assenti (amelia) o gravemente ridotte (peromelia). Il nome focomelia deriva dall’aspetto
delle estremità, che rassomigliano a pinne di foca. Nacquero più di 10mila bimbi malformati. Bastava una
sola compressa di talidomide per compromettere lo sviluppo dei quattro arti.

Altre anomalie indotte dalla talidomide includono malformazioni cardiache, dell’orecchio esterno e
dell’intestino. Il farmaco venne eliminato dal commercio nel novembre del 1961.
Era stata sperimentata sugli animali, e approvata perché non provoca malformazioni né nei ratti, né nei
topi; nei conigli alcune malformazioni, ma diverse da quelle umane; nella scimmia marmoset determina
malformazioni simili a quelle dell’uomo.
A seconda del momento di somministrazione (giorno di gravidanza), si hanno determinati effetti:
 21-22 giorni: assenza orecchio esterno, difetto di nervi cranici
 24-27 giorni : focomelia (arto sup. specialmente)
 27-28 giorni : focomelia (arto inf. specialmente)
 34-36 giorni : pollice ipoplastico, stenosi anorettale
Attualmente, la talidomide è usata nel trattamento cancro per la sua spiccata attività anti-angiogenica
(inibisce i fattori di crescita VEGF e FGF).
Sono state formulate molte ipotesi per spiegare il meccanismo d’azione della talidomide, ma nessuna
spiega completamente il tipo di malformazioni e la specie-specificità. L’effetto della talidomide include la
produzione di ROS e l’interferenza con la funzione di fattori trascrizionali nella via di sviluppo dell’arto
superiore, in particolare interferisce con i fattori FGF10 e 8, la cui ridotta produzione condurrebbe a
troncamento dello sviluppo e focomelia.
LA TEORIA DEI GERMI

All'inizio della seconda metà del 1800 era completamente sconosciuto il concetto di contagio: si operava a
mani nude ignorando cosa fossero le cognizioni igieniche. Questa situazione ebbe fine con Louis Pasteur.

Teorie esistenti:
 Miasma e generazione spontanea: la malattia causata da aria sporca, i microrganismi sono causati dal
processo della decomposizione. Pus e cancrena formano i germi, infatti ben presto pullulano di mosche
e larve. L’assenza di vita crea forme di vita
 Francesco Redi, allievo di Galileo, nel 1668, prese un grosso vaso, vi mise un pezzo di carne, coprì il vaso
con una garza e notò che su questa si formavano delle uova che seminate poi sulla carne, davano luogo
alle larve. Dimostrò quindi che la teoria della generazione spontanea non era valida.
 Si è visto come Spallanzani (1729-1799) e i suoi allievi cercarono di confutare la teoria della generazione
spontanea, ma molti non credettero loro.
Leeuwenhoek, orologiaio olandese appassionato di biologia, costruì un microscopio potente ed esaminò
tutto quello che poteva. Notò la presenza di piccoli organismi viventi nel cibo, nell’acqua, nelle feci, nella
placca. Non sapeva che cosa fossero.
Successivamente vengono costruiti microscopi migliori, e Joseph Lister (1786-1869), nel 1830, grazie al
miglioramento della lavorazione del vetro, poté produrre microscopi con capacità di ingrandimento pari a
mille volte; ogni scienziato lo poteva acquistare, e i microrganismi vennero studiati in maggior dettaglio.

Louis Pasteur (1822-1895) era un chimico (non un medico). Una fabbrica di birra in Francia chiese a Pasteur
di studiare perché alcuni tini andassero a male. Formulò la sua teoria secondo cui
germe = germinazione, quindi un organismo vivente in grado di crescere era la causa
del problema. La sua soluzione prevedeva l’ebollizione del liquido per distruggere i
germi. La pasteurizzazione viene applicata a latte, birra, vino, aceto.
Pasteur fu incaricato dal governo francese di studiare i meccanismi di fermentazione
che permettevano la produzione del vino e della birra e si rese conto che essi erano
dovuti all'azione di microrganismi (saccaromiceti). Mise anche a punto un processo per
la conservazione degli alimenti col calore, la "pastorizzazione”, usata ancora oggi.
Fu anche incaricato di appurare o meno la veridicità della teoria della generazione
spontanea. Sulla base delle scoperte di Spallanzani e Bassi, arrivò alla conclusione che esistevano i batteri,
che erano germi responsabili di malattie. Verso i quarant'anni ebbe un ictus, ma ciò non gli impedì di
continuare a fare importanti scoperte.
Louis Pasteur trovò inoltre il modo di attenuare i germi attraverso trattamenti opportuni, mise a punto sieri
e vaccini (termine da lui coniato in onore di Jenner) importantissimi come il vaccino per immunizzare gli
animali contro il carbonchio ed il siero e il vaccino antirabbico. Questa scoperta entusiasmò il mondo intero
quando Pasteur vaccinò con successo il pastorello Meister, morso da un cane, e diversi contadini russi,
inviatigli dallo Zar.

Vaccinazione di Joseph Meister


Pasteur si oppone alla teoria della generazione spontanea, e l’Accademia francese indice una competizione
per provare o eliminare la teoria nel 1860. Pasteur mostra sperimentalmente la presenza di batteri nell’aria
Elabora la teoria della relazione germi-malattia: “se il vino e la birra vengono modificati dai germi allora la
stessa cosa può e deve succedere talora anche agli animali e all’uomo”.
L’industria della seta francese chiese a Pasteur di investigare perché i bachi morissero ed egli scoprì che la
moria era causata da un microrganismo.
La rivalità tra Pasteur e Robert Koch risentì della competizione nazionalistica, la Francia venne umiliata dalla
Prussia nella guerra del 1870/1. Il Governo francese decide di finanziare Pasteur (Koch già era stato
finanziato dal Governo tedesco).
Pasteur ha fortuna, era rimasto molto colpito dal lavoro di Jenner sul vaiolo, ma né Jenner né Pasteur
avevano capito come funzionasse la vaccinazione; avevano effettuato diverse prove e compiuto numerosi
errori.
In occasione del colera dei polli del 1879 (malattia comune che colpisce i polli di allevamento), Pasteur
somministrò forme più lievi per iniezione ai polli, con scarso successo; il suo gruppo si disperse per l’estate;
al loro ritorno utilizzarono per caso un ceppo che era stato lasciato scoperto per tutta l’estate, e questo
funzionò. L’esposizione all’aria, infatti, aveva reso più debole il germe.

Robert Koch (1843-1910) fu un altro grande microbiologo e fu premio Nobel nel


1905. La moglie per il 30° compleanno gli regalò un microscopio.
Si era interessato alla teoria di Pasteur sui germi. In seguito alla rivalità Franco-
Prussiana (Guerra Franco-Prussiana 1870/1), il governo tedesco diede a Koch fondi
per fondare un istituto di ricerca che tenesse testa a quello di Pasteur.
Nel 1882 scoprì il bacillo responsabile della tubercolosi e pensò di aver scoperto
anche la terapia grazie alla tubercolina: purtroppo fu un tragico errore perché tale
sostanza ha solo valore diagnostico e non terapeutico. Nel 1884 riscoprì il bacillo
del colera, descritto però vent'anni prima da Filippo Pacini, ispirato da Bassi.
I famosi postulati di Koch dicono che:
 quando si scopre una malattia il germe responsabile va isolato,
 coltivato in vitro,
 reinserito nell'animale per dare nuovamente la malattia
 di nuovo isolato.
Isolamento del batterio dell’antrace: 1 pecora e 20 generazioni di topi permisero di dimostrare che un
batterio specifico causa l’antrace.
Per quanto riguarda le colture batteriche, la tecnica di isolamento di Koch ricalca quella usata attualmente
facendo uso di colture su piastra. Egli estrasse sangue da un animale ammalato e scoprì che l’iniezione di
sangue da un animale affetto a uno sano accelerava la comparsa della malattia; più volte lo faceva e più la
malattia contratta era grave. Infine riuscì a estrarre il batterio e a farlo crescere in una piastra di vetro.

La tubercolosi era molto frequente nel Medio Evo, fu responsabile del 20% dei decessi negli anni non
interessati dalla peste; si manifesta sotto forme diverse, che anticamente erano considerate malattie
diverse l’una dall’altra, come tisi e scrofola (cerimonia della toccatura della scrofola, o TBC linfoghiandolare,
da parte dei re francesi e inglesi; Edward il Confessore impone le mani per la terapia della scrofola). In base
alla localizzazione, la tubercolosi ha assunto forme diverse:
 Tisi: localizzazione polmonare
 Scrofola: localizzazione nei linfonodi sottoangolomandibolari
 Miliare: disseminata
La manifestazioni più tipiche sono a carico di polmone e ossa:
 Polmone: tubercolosi cavitaria o tisi. Si parla di ascesso freddo perché non c’è pus ma materiale che
deriva dalla necrosi caseosa. I tubercoli si fondono. Il materiale colliquato, ricco di micobatteri, si scava
una via passando per i punti a minor resistenza e può andare in circolo.
 Ossa: lesioni tipiche. Osteomielite tubercolare. A colonna vertebrale  si formano granulomi nei corpi
vertebrali, che possono crollare, oppure si ha fusione tra i corpi  gobba. Si parla di morbo di Pott. Si
può avere ascesso freddo al muscolo psoas.

Evoluzione ed eziologia della tubercolosi:


Meccanismo di produzione della deformità spinale nel morbo di Pott: la crescita di un ascesso nel corpo
vertebrale può danneggiare l’osso fino a renderlo incapace di sostenere il peso del tronco. Dal momento
che l’arco neurale, indenne, fornisce un supporto, il collasso coinvolge inizialmente la parte anteriore del
corpo vertebrale, che assume una forma a cuneo, provocando la formazione del caratteristico “gibbo”.

Si ha frequentemente diffusione dell’infezione tubercolare dal corpo vertebrale. Le fasi sono:


1) Ascesso all’interno del corpo vertebrale
2) Estensione al disco intervertebrale
3) Migrazione sotto il legamento spinale longitudinale anteriore
4) Allargamento dell’ascesso con erosione del corpo vertebrale anteriore
5) Estensione alle vertebre adiacenti
6) Perforazione del legamento con ascesso dello psoas o peripsoas
7) Infine, estensione distale e caudale verso l’area pelvica.

Distribuzione scheletrica delle tubercolosi: le aree maggiormente colpite comprendono colonna vertebrale,
epifisi prossimale e distale del femore ed epifisi prossimale della tibia; le aree colpite occasionalmente
comprendono le epifisi dell’omero, l’epifisi distale della tibia, le ossa carpali e metacarpali, le ossa tarsali e
metatarsali.
Tubercolosi vertebrale con coinvolgimento del corpo di T8 e L1

Tubercolosi: grave deformità della colonna, con gibbo angolare a 90°

Ritrovamenti significativi:
 Egitto: figurine con cifosi (3700 AC); Nesperha (v.), sacerdote della XXI dinastia;
 Europa: Neolitico, Heidelberg; Neolitico danese (2500-1500 AC), vertebre toraciche superiori con segni
di morbo di Pott; romano-britannico, anchilosi del ginocchio;
 Italia: Neolitico antico, grotte Arma dell’Aquila e Arene Candide in Liguria; epoca romana, Collelongo in
Abruzzo.
Un tempo, ovvero prima dell’arrivo degli europei, la tubercolosi era assente nel Nuovo Mondo: ipotesi di
Hrdlicka (1909). Tuttavia, presenza di bacilli alcol-resistenti, lesioni tubercolari tipiche e rilevamento di DNA
di M. tubercolosis sono stati riscontrati in mummie precolombiane peruviane e cilene. I markers indicativi,
ossia lesioni vertebrali + lesioni costali, sono stati trovati in Sudamerica, America di Sud-Ovest, costa del
Nord-Ovest, nel Mid-West, nel Canada Orientale, nel Sud-Est dell’America.
L’uomo arriva in America nel Pleistocene Superiore; prima del Neolitico europeo, viveva di caccia e raccolta
(non agricoltura o allevamento); non c’era la tubercolosi fino all’avvento dell’agricoltura, infatti:
 Sono stati rinvenuti numerosi casi precolombiani di morbo di Pott nei villaggi Pueblo dell’Arizona, dove
era presente una cultura agricola e sedentaria.
 È stata evidenziata la tubercolosi in una mummia peruviana precolombiana, con: fibrosi e calcificazioni
polmonari, bacilli di tipo tubercolare, morbo di Pott, ascesso dello psoas.
 Negli anni ’90 è stata effettuata l’amplificazione del DNA di M. tubercolosis in una mummia peruviana
precolombiana.
Questi casi si sono verificati per evoluzione autoctona di micobatteri animali, in particolare di bisonte, alce,
cervo.
Mortalità per tubercolosi in Massachusetts (1860-1900) e negli USA (1900-1960): il declino è iniziato già
prima che Koch stabilisse che era una malattia infettiva ed ha raggiunto il punto più basso prima
dell’introduzione di antibiotici e chemioterapici specifici.
Cause del declino spontaneo della tubercolosi: nel XIX secolo: cattive condizioni sociali, infatti:
 Cattive condizioni delle case  alto rischio di infezione  alta mortalità infantile sopravvivenza e
affermazione di una popolazione resistente.
 Malnutrizione  scarsa resistenza alle infezioni  alto tasso di mortalità  riduzione delle fonti di
infezione.
Cause del declino spontaneo della tubercolosi nel XX secolo: miglioramento delle condizioni sociali, infatti:
 Migliori condizioni domestiche  riduzione del rischio di infezione
 Nutrizione adeguata  migliori difese contro le infezioni  diminuzione del rischio di contagio
Si arriva a una terapia anti-tubercolosi solo nel 1955.

Usando i metodi di Koch, altri scienziati furono in grado di isolare i batteri responsabili di altre malattie,
però la conoscenza delle cause non aiutò i medici a curare queste patologie.
Agostino Bassi nel suo libro scrisse: "sarei molto lieto se in futuro le mie scoperte potranno servire ad aprire
la strada allo studio e alla cura delle malattie che uccidono l' uomo, tra cui il colera ". Proprio su questa
indicazione un anatomico italiano, Filippo Pacini (1812-1883), scoprì nelle feci dei colerosi il vibrione
colerigeno, però la scoperta era troppo avanzata e rimase lettera morta.
Nel 1883 Robert Koch scoprì il vibrione del colera, ma ci si accorse che in realtà la cosa era stata già
descritta in modo chiarissimo da Pacini. Ci fu un lungo contenzioso che fu risolto dando la priorità a Pacini;
dal punto di vista pratico questa priorità era inesistente perché non si diffuse nell'ambiente scientifico
essendo troppo precoce.

Finalmente si era trovato un modo per identificare le malattie, così la malattia, e non più l'uomo, ritornò ad
essere al centro dello studio. La semeiotica compie notevoli passi avanti.
In questo periodo c'erano i mezzi per diagnosticare le malattie: il mezzo che aveva trovato Morgagni (1682-
1771) era la dissezione (patologia d’organo), ma già Auenbrugger nel 1861 aveva mostrato che si poteva
anche fare l'autopsia sul vivente con la percussione. Nello stesso periodo in cui Morgagni pubblicò il suo
trattato, nel 1761 uscì in Austria un altro piccolo trattato, De Inventu Novo, in cui il figlio di un bottaio,
Leopold Auenbrugger, descrisse la percussione come un mezzo per poter osservare in vivo le alterazioni
degli organi toracici.

La "autopsia" si fa ora sul vivente, nel quale si cercano le cause della malattia intesa come entità morbosa,
prescindendo dall'uomo. Questo è il principio riduzionistico che è alla base della medicina moderna.

Renè Theophile Laennec (1781-1826), nel primo '800, inventò lo stetoscopio, in origine costituito da un
tubo di legno che serviva per ascoltare il torace. Laennec, con l'uso dello stetoscopio, diede dei contributi
importanti alla definizione di molte malattie polmonari: le polmoniti, la tubercolosi, che non era
considerata una malattia unica, tre malattie diverse (tisi o consunzione, lupus, scrofola). Morì di tisi.
Laennec accetta la teoria delle membrane (tessuti) del Bichat e il loro significato funzionale. Abbandona il
sistema puramente descrittivo degli anatomisti, basato sull’aspetto delle singole lesioni; le malattie devono
essere classificate in base ai dati clinici, i sintomi sono considerati lesioni interne. Siamo quindi arrivati ad
un altro passo avanti della semeiotica: dopo l'ispezione (Ippocrate), la palpazione (Ippocrate), la
percussione (Auenbrugger), abbiamo l'auscultazione (Laennec).

Stetoscopio originale in legno usato da Laennec (1820)

Nel 1800, in Francia, prima di Laennec, Marie François Xavier Bichat (1771-1802)
aveva criticato l'uso del microscopio in quanto questo strumento, come era fatto
allora, era assolutamente inutile. Egli diceva che occorreva tornare all'antico, e cioè
usare metodi artificiali come la bollitura (come faceva Malpighi) e scomporre il
corpo nelle sue unità fondamentali che, secondo lui, erano i tessuti. Bollendo la
lingua, riusciva a spellarla, a notare sotto l'epitelio le papille, e ancora, poteva
continuare a delaminare la lingua; sosteneva che bisognava cercare le lesioni nei
tessuti. Nasce l’istologia. Si passa ad un livello più sottile rispetto a quanto
sostenuto dal Morgagni, perché Bichat diceva che bisognava cercare le lesioni nei
tessuti piuttosto che negli organi. Bichat, nel suo libro Anatomia Generale, in cui viene negato l'uso del
microscopio, coniò il termine di istologia.

Viene scoperta la cellula: la teoria della cellula è stata proposta da parte di un botanico, Mathias Jacob
Schleiden (1804-1881), il quale affermò che i tessuti vegetali erano formati da cellule. Questo concetto fu
ripreso da un grande istologo, Theodor Schwann (1810-1882). Egli dimostrò questa teoria negli animali: la
teoria cellulare (1839).
L'idea venne ripresa da uno scienziato tedesco, l’anatomopatologo Rudolf Virchow
(1821-1902). Egli fu anche un uomo politico di sinistra e si impegnò per migliorare le
condizioni igieniche dei minatori. Tuttavia fece anche degli errori: non credeva alla
dottrina del contagio attraverso i germi formulata da Pasteur.
Secondo Virchow, i fattori patogeni sono alterazioni fisiche o chimiche che
danneggiano le cellule e ne alterano le funzioni; le cause sono interne alle cellule.
“Omnis cellula e cellula”: “tutte le cellule derivano da altre cellule; quando una cellula
ha origine, deve essere stata preceduta da un’altra cellula, così come gli animali sono
prodotti solo da altri animali e le piante da altre piante".
La teoria cellulare di Virchow ebbe importanti conseguenze a livello della concezione dei tumori. I tumori
sono conosciuti fin dall’antichità: il papiro Ebers (1600 AC), scoperto da George Ebers a Luxor nel 1873,
riporta il caso di un "tumore contro il dio Xenus"; al tempo di Ippocrate (VI -V AC), i filosofi Greci ritenevano
che il cancro fosse dovuto ad un eccesso di bile nera, convinzione che continuò a essere ritenuta vera fino
al XVI secolo. Il cancro era considerato incurabile, anche se lo si provava a trattare con unguenti
all’arsenico.
La chirurgia per la terapia del cancro prende piede nel XVII secolo: le tecniche erano migliorate, ma in
assenza di anestesia e del concetto di asepsi le prospettive di sopravvivenza erano esigue. Un chirurgo
tedesco, Fabricius Hildanus, rimosse i linfonodi tumefatti nella terapia del cancro mammario. Johann
Scultetus eseguì mastectomie radicali.
D. Gendron (1663-1750), dopo 8 anni di ricerche, concluse che il cancro insorge come una massa dura, in
accrescimento, intrattabile con alcun farmaco, che deve essere rimossa con tutti i suoi "filamenti".

Matthew Baillie (1761-1823), medico personale del re Giorgio III, pubblicò The Morbid Anatomy of Some of
the Most Important Parts of the Human Body nel 1793, e una serie di incisioni nel 1799 e nel 1802.

Incisione di Baillie. È indicato un carcinoma gastrico

Preside della Facoltà di Medicina all’Università di Berlino, Johannes Müller iniziò a studiare i tumori al
microscopio nel 1836. Il suo libro del 1838 stabilì che i tumori sono fatti da cellule disorganizzate e
anormali. Prima applicazione dell’istologia (studio dei tessuti) ai tumori.
Solo nell’800, quindi, si capì che il cancro è una malattia della cellula, dove questa perde i meccanismi che
operano un controllo sulla proliferazione, sulla sopravvivenza, sull’interazione tra cellule.

Nel 1800 nascono la teoria dell’evoluzione e la genetica. Infatti, in questo periodo:


 Viene formulata la teoria dell'evoluzione di Charles Darwin (1809-1882)
 Le leggi della genetica vengono individuate verso il 1870 da Gregor Mendel (1822-1884) e riscoperte 30
anni dopo da Hugo deVries (1848-1935).
Queste teorie furono inizialmente ignorate e poi riscoperte dopo trent'anni.

Un'altra conseguenza della teoria cellulare fu l'uso dei coloranti per dimostrare le lesioni che Virchow era
riuscito a dimostrare solo in parte perché aveva a disposizione solo il carminio. Poco dopo vennero
introdotti altri coloranti come l'ematossilina-eosina e vennero affinate le tecniche di preparazione dei
tessuti: microtomia, inclusioni in paraffina, ecc.

C'erano però dei grossi problemi per quanto riguardava il sistema nervoso, che era quasi impossibile da
studiare, perché con i metodi in uso si vedeva solo il nucleo, una parte del citoplasma, ma non i
prolungamenti cellulari, per cui non si riusciva ad avere un'idea della neuroanatomia. Il metodo per
studiare il sistema nervoso (reazione nera) fu messo a punto da Camillo Golgi (1843-1926): il suo metodo
utilizza l'argento e grazie a questa metodica si mettevano in evidenza i prolungamenti cellulari. Tuttavia,
Golgi non aveva capito l’esistenza di connessioni neurone-neurone, credeva che i prolungamenti assonici
formassero una specie rete.

Gruppo di anatomici intorno a Golgi al congresso di Pavia (1900)

Un emulo di Golgi, Santiago Ramon y Cajal (1852-1934), mettendo insieme nozioni quali il concetto di
neuroni come entità cellulari indipendenti, formulato da Vilhelm His (1831-1904) e poi da Charles Scott
Sherrington (1857-1952), il concetto di neurite come prolungamento cellulifugo e quello di dendrite come
prolungamento cellulipeto, riuscì, guardando le cellule della retina, a comporre le prime vie nervose su
base morfologica.
Osservando preparati d'argento con il microscopio, sembra di vedere una rete, perciò Golgi sosteneva che i
neuroni non fossero entità separate ma connesse ad una rete nervosa. Cajal applicò il concetto di cellula
come unità indipendente ai neuroni e fu colui che diede dei contributi formidabili alla neuroanatomia.
Cajal era spagnolo, ma la Spagna in quel periodo era silente dal punta di vista scientifico, mentre Golgi era
di Pavia, città, fino al 1860, sotto il dominio austriaco: ciò permise che tutte le scoperte italiane venissero
diffuse in Europa centrale e tradotte in lingua tedesca. Al termine del dominio austriaco l'Italia ridiventò un
paese provinciale. Cajal, invece, diffuse le sue scoperte andando ai congressi e parlando e scrivendo in
francese e tedesco.
Nel 1906, Golgi e Cajal ebbero insieme il premio Nobel.

Golgi diede, inoltre, notevoli contributi a studi di patologia della malaria; mise in relazione la comparsa
della febbre con la fuoriuscita del parassita nel sangue. In quel periodo (fine '800) l'umanità era flagellata
da diverse malattie infettive (colera, febbre gialla, malaria). A proposito della malaria, in Sardegna la
popolazione risultava più resistente, perché vi era una grossa percentuale di portatori di tare
eritrocitemiche (favismo, talassemie), per cui il Plasmodio non trovava un ambiente adatto alla sua crescita
negli eritrociti alterati. Invece i colonizzatori non erano protetti e venivano decimati dalla malaria; per
questo motivo solo pochi gruppi riuscirono ad impiantarsi in Sardegna: carlofortini, Greci e ad abitanti del
delta del Po (tutti provenienti da zone di endemia malarica, e in cui era diffusa la tara eritrocitemica).
Dopo il morso da parte della zanzara Anopheles, un periodo di incubazione privo di sintomi dura da 7 a 30
giorni. È più breve con P. falciparum, più lungo con P. malariae. La crisi malarica dura 6-10 ore ed è
caratterizzata da:
 Stadio freddo (sensazione di freddo, brivido)
 Stadio caldo (febbre, cefalea, vomito, convulsioni)
 Stadio di sudorazione intensa con ritorno alla temperatura normale, spossatezza (caduta della febbre
per crisi)
Classicamente, gli attacchi compaiono ogni due giorni (febbre terzana) (P. falciparum, P. vivax, e P. ovale) e
ogni tre giorni con P. malariae (quartana).
Meccanismo di infezione: i parassiti infettano in successione due ospiti, uomini e la femmina di Anopheles.
Negli uomini i parassiti crescono e si moltiplicano prima negli epatociti e poi nei globuli rossi. Nel sangue, i
parassiti provocano la lisi degli eritrociti e il rilascio dei parassiti figli (merozoiti) che continuano il ciclo
invadendo altri globuli rossi; questo è lo stadio sintomatico. Quando alcune forme di parassiti (gametociti)
vengono assunti da una femmina Anopheles iniziano un altro stadio di crescita nella zanzara. Dopo 10-18
gg, i parassiti (sporozoiti) si localizzano nella ghiandola salivare. Di qui vengono inoculati in un altro essere
umano, etc. La zanzara è il vettore, non soffre delle conseguenze dell’infezione.
Le complicanze, quali malaria cerebrale, anemia, insufficienza epatica, possono provocare la morte.

Un allievo di Pasteur, Alphonse Laveran (1945-1922), scoprì l'agente eziologico della malaria cui diede il
nome di "oscillatorium malariae"; esso fu poi chiamato "Plasmodio" dai due studiosi italiani, Ettore
Marchiafava, (1847-1935), e Angelo Celli, 1857-1914).
Walter Reed (1851-1902), invece, scoprì il ruolo di una zanzara nella trasmissione della febbre gialla,
mentre Ronald Ross (1857-1932), dimostrò il ciclo della malaria negli uccelli (vinse il premio Nobel).
In realtà chi diede il contributo più importante per capire il ciclo biologico del Plasmodio nell'uomo fu
Giovanni Battista Grassi (1854-1925), che identificò il vettore nelle zanzare del genere Anopheles; per
motivi politici, tuttavia, il Nobel fu assegnato a Ross.

Giovanni Battista Grassi

In Sardegna la malaria fu debellata solo nel 1950 dalla Fondazione Rockfeller dopo una massiccia campagna
di bonifica del territorio con l'insetticida DDT, che impegnò 30mila uomini e durò 4 anni.
INFLUENZA SPAGNOLA

Canada, 1919: medici che aspettano pazienti con l’influenza

Pandemie di influenza del XX secolo:


1) 1918, “Spanish Flu”: 50 milioni di morti
2) 1957, “Asian Flu”: 1-4 milioni di morti
3) 1968, “Hong Kong Flu”: 1-4 milioni di morti

1 2 3

Definizioni del CDC (Centers for Disease Control and Prevention):


 Epidemia: la comparsa di più casi di una stessa malattia di quanto atteso in una specifica area o in uno
specifico gruppo di persone lungo un particolare periodo di tempo.
 Pandemia: un’epidemia che si verifica in un’area molto ampia (molti stati o continenti) e colpisce una
vasta proporzione della popolazione.

Le pandemie di influenza sono eventi ricorrenti, avvengono più volte per ogni secolo e finché il virus
continua a mutare si continuerà ad avere pandemie. Non possiamo prevedere quando avrà luogo una
nuova pandemia.

La pandemia del 1918-1919 ha ucciso più persone della Grande Guerra: tra i 20 e i 40 milioni di persone. È
stata citata come la più devastante epidemia del mondo moderno. Morirono più persone in un anno di
influenza che in 4 anni della peste nera dal 1347 al 1351. È nota come ”spagnola" o "La Grippe" e fu un
disastro globale.

The Grim Reaper (tristo mietitore-grande falciatrice) di Louis Raemaekers


La spagnola è stata causata da un ceppo aviario del virus influenzale (H1N1), simile all’attuale virus aviario.
Si estese a tutto il mondo in 4-6 mesi. Ha avuto diverse ”ondate" di infezione, ciascuna di 612 settimane.
Viene infettato 25-30% della popolazione mondiale e muoiono 40-100 milioni di persone nel mondo; la
maggioranza dei morti aveva tra i 18 e i 40 anni. La spagnola è caratterizzata da sintomi simili a quelli
dell’influenza normale, ma più gravi.

Nell’autunno del 1918 la Grande Guerra in Europa era verso la fine. Gli Americani erano entrati in guerra e
avevano portato gli Alleati vicino alla vittoria contro i Tedeschi. Nelle trincee questi uomini avevano vissuto
in condizioni disumane. Proprio allora in vari punti del globo emerse una malattia che sembrava benigna
come il comune raffreddore, ma era ben di più. In 2 anni infettò 1/5 della popolazione mondiale e la
mortalità era maggiore nei giovani (20-40 anni). Questo pattern di morbilità era molto inusuale per
l’influenza, che in genere uccide anziani e bambini.
Infettò il 28% degli Americani e ne morirono 675mila Americani (10 volte di più che nella guerra mondiale).
Dei soldati statunitensi che morirono in Europa, la metà morì per l’influenza.
La vita media si ridusse di 10 anni. La mortalità nella spagnola era del 2,5%, mentre nelle altre influenze era
meno di 0,1%. La mortalità nell’età 15-34 anni per influenza e polmonite era 20 volte più alta nel 1918 che
negli anni precedenti.

I sintomi e le caratteristiche dell’influenza sono:


 febbre, cefalea, mialgia, prostrazione, faringodinia e tosse
 Incubazione: 1-3 giorni
 Periodo di contagiosità: 3-5 gg dall’esordio, 7 gg nei bambini
Nella spagnola, i sintomi dell’influenza erano quelli tipici: dolori profondi, ai muscoli e alle articolazioni,
cefalea, faringodinia e tosse non produttiva, febbre elevata per alcuni giorni. L’esordio era brusco (di colpo,
per la strada). Complicanze primarie:
 Emorragie delle mucose, vomito, diarrea o stipsi; alcuni medici associarono la comparsa di disturbi
mentali.
 Temibili erano le complicanze batteriche dopo o 4 giorni: polmonite letale, che spesso appariva dopo
alcuni giorni di sfebbramento.
Evoluzione verso complicanze secondarie:
 Dolore lancinante
 Palpitazioni
 Brivido violento e incontrollabile
 Delirio, depressione
 Distress intestinale
 Enfisema sottocutaneo
 Dolori auricolari
 Gravi cefalee
 Cianosi
 Emorragie a carico delle membrane mucose
 Epistassi
 Scariche emorragiche vaginali
La gente si sentiva male e moriva per strada. Un aneddoto del 1918 racconta di 4 donne che una sera
giocarono a bridge fino a tarda notte. Nella notte tre morirono di influenza. Altri raccontarono di persone
che uscirono al mattino per andare al lavoro, svilupparono i sintomi di colpo e morirono in poche ore. Un
medico racconta di pazienti che iniziavano con un’influenza apparentemente normale, che poi evolveva
verso una polmonite con muco vischioso; presto compariva cianosi e morivano soffocati. A volte si
produceva un escreato schiumoso striato di sangue.
I medici non avevano mezzi di cura.

La pandemia girò in tutto il mondo. Si estese lungo le vie di comunicazione del commercio e il traffico
navale: furono interessati Nord America, Europa, Asia, Africa, Brasile e Pacifico del Sud. In India la mortalità
fu altissima: 50 morti per influenza per mille persone. La Grande Guerra favorì la diffusione inducendo
movimenti di massa di soldati.

Le origini della spagnola sono sconosciute, ma molto discusse. Alcuni fra gli alleati credettero che si
trattasse di un’arma biologica dei Tedeschi. Molti pensarono che fosse dovuta alla vita di trincea, alle
mostarde azotate e al fumo della guerra. Altri cercarono spiegazioni nel clima e nella composizione razziale.
Il clima umido favoriva “la disseminazione dei batteri”, secondo il Committee on Atmosphere and Man del
1923. Nel frattempo la nuova scienza era alla ricerca dell’agente infettivo, di un vaccino o di una terapia per
bloccare l’epidemia.
Tuttora non conosciamo le origini di questa variante. Forse originò in Cina una rara variante del virus
influenzale: la ricombinazione dei geni delle proteine di superficie creò un virus nuovo per tutti e una
perdita della immunità delle bestie. Recentemente il virus è stato ricostruito a partire dai tessuti di un
soldato ed è stato geneticamente caratterizzato. Il nome derivò dalla grande mortalità in Spagna, dove il
morbo uccise 8 milioni nel maggio del 1918.
La prima ondata di influenza comparve nella primavera del 1918 in Kansas e nei campi militari negli Stati
Uniti. Pochi si accorsero dell’influenza nel mezzo della guerra, non ci fu alcuno stato di allerta per
l’epidemia che aveva colpito nei mesi di marzo e aprile, non venne fatto nulla per prepararsi alla
recrudescenza usuale dell’influenza nei mesi invernali. Questo comportamento venne criticato in seguito,
quando l’epidemia non poté essere ignorata nell’inverno del 1918. Le epidemie dei campi di
addestramento furono un avvertimento di ciò che successe poi nell’inverno.
L’epidemia di spagnola del 1918 iniziò dai porti. La fine della guerra riportò indietro negli Stati Uniti il virus
per la seconda ondata. Arrivò a Boston nel Settembre del 1918 dal porto affaccendato a spedire macchinari
e vettovaglie; la guerra favorì la diffusione, uomini da tutta la nazione erano arruolati. Il virus uccise circa
200mila persone solo nell’ottobre del 1918. Nel novembre del 1918 la fine della guerra portò i soldati a
casa. Il giorno dell’Armistizio venne celebrato con parate e feste e l’epidemia ritornò. L’influenza
quell’inverno fu terribile: milioni furono infettati e migliaia morirono.
Quando i soldati feriti tornarono dalla guerra con lesioni inflitte in battaglia e ustioni da gas urticanti gli
ospedali erano sovraffollati e il personale insufficiente. Ci fu una grave carenza di medici specie tra i civili, in
quanto molti erano stati arruolati. Poiché i medici erano via con le truppe erano rimasti solo gli studenti di
medicina. Il terzo e il quarto anno vennero chiusi e gli studenti vennero impiegati come medici interni e
infermieri.
La spagnola ha un forte impatto sul sistema sanitario: i sanitari sono terrorizzati dal contagio, il 25% di essi
non si presenta al lavoro. I medici, troppo occupati, non denunciano i nuovi casi. Mancano i medici, perciò:
 Vengono anticipate le lauree in medicina +
 I dentisti sono autorizzati a praticare la medicina
 Vengono richiamati medici in pensione
 Sono reclutati gli studenti di scuole infermieristiche e gli studenti di medicina
 Vengono reclutati volontari dalla Croce Rossa
Si era vicini a un punto di rottura (BMJ, 2 nov 1918), e tutto peggiorò con la morte dei medici nell’epidemia.
C’era un deficit anche di infermiere.
Negli USA la Croce Rossa reclutò volontari, creò the National Committee on Influenza; era coinvolta sia negli
ospedali militari che civili. La Croce Rossa in alcune zone chiese ai proprietari delle fabbriche di consentire
che i lavoratori avessero giorni di ferie se avessero lavorato come volontari negli ospedali alla notte. Furono
creati ospedali di emergenza per accogliere i malati da oltremare e quelli locali.

Tendopoli-ospedale ai tempi della Spagnola

Nel 1918-19 il USPHS (US Public Health Service) nominò un direttore per combattere l’influenza in ogni
stato. Purtroppo mancavano le truppe a cui delegare gli ordini. La sola Boston chiese 500 medici, molti di
più di quanti l’USPHS potesse provvedere.
Ancora peggiore era la carenza di personale infermieristico: i medici non erano essenziali, a differenza delle
infermiere.
Negli ospedali:
 Vengono estesi i turni di guardia
 Sono dimessi i pazienti in migliori condizioni
 Solo i casi gravi vengono ammessi
 C’era grave carenza di lenzuola, padelle, camici, materassi
 Vengono occupati uffici, scuole, magazzini
 Sono usate tende per isolare gli ammalati

All’arrivo dei soldati, nel 1918, gli ospedali erano sovraffollati. C’era personale insufficiente, che venne
decimato dalla malattia e dal lavoro senza requie. Non c’era personale specializzato.

Vi era necessità di assistenza domiciliare, la maggioranza degli ammalati si curò a casa; intere famiglie
erano malate, occorrevano infermiere e volontari per accudirle (nutrirle, lavare la biancheria, occuparsi dei
bimbi).
Proliferarono i ciarlatani, che fecero fortuna perché la gente era pronta a usare qualsiasi rimedio, dato che
non c’era una cura.

La spagnola ebbe un forte impatto anche sulle reti sociali: il 25% dei lavoratori con ruolo sociale non si
presentava al lavoro, vennero bloccati i trasporti, l’approvvigionamento di cibo e le comunicazioni. Gli
obitori erano oberati dal lavoro, infatti era aumentato di 10 volte il volume dei cadaveri); i becchini non
riuscivano a scavare le tombe in tempo. Intere famiglie erano malate e non riuscivano a curarsi da sole.

La spagnola colpì tutti, era impossibile sfuggire alla pandemia: 1/4 dei cittadini statunitensi e 1/5 di tutto il
mondo erano affetti. Anche il Presidente Woodrow Wilson prese l’influenza all’inizio del 1919 proprio
mentre stava negoziando il trattato di Versailles per la fine della guerra.

Woodrow Wilson

Le sepolture erano effettuate in fosse comuni. Il problema era maggiore nelle città, dove regnavano l’orrore
e il panico nei sopravvissuti e dove era alto il rischio di epidemie secondarie.

Scavo di una fossa comune

Conoscenze mediche e scientifiche sull’Influenza scientifiche sull’influenza

I postulati di Koch avevano permesso di dimostrare la relazione causale tra un germe e una malattia. Le
piastre di Petri erano utilizzate per coltivare i batteri. Erano stati creati vaccini per molti batteri e persino
per il virus invisibile della rabbia mediante passaggi seriali. Il sistema immunitario era stato descritto da
Paul Erhlich.
Per quanto riguarda la clinica:
 Venivano monitorati regolarmente la temperatura (elevata), il polso (flebile), la frequenza respiratoria.
Ogni tanto ai pazienti veniva fatta una rx torace.
 Il numero dei globuli bianchi veniva monitorato: si riscontrava leucopenia.
 Talora albuminuria
Questi parametri permettevano di seguire il decorso e talora di formulare una prognosi.
Da emocolture, da colture dall’escreato e del nasofaringe si cercava di isolare il germe. Si trovavano
pneumococchi, streptococchi, stafilococchi e il Bacillus influenzae. La medicina era basata ora sulla scienza.
La terapia era meno scientifica che la diagnostica ed era fatta di misure di buon senso. Il trattamento era
sintomatico:
 Aspirina per la febbre
 Ossigeno per combattere la cianosi
 Cannella in polvere oppure olio e chinino per ridurre la temperatura
 Il paziente era tenuto a letto e veniva reidratato
 Ghiaccio in testa
Scientifiche furono le proposte di trattare i pazienti con il siero di pazienti convalescenti. Venivano usate
anche digitale, glucosate isotoniche iv e bicarbonato di sodio.

La pandemia avveniva alla fine della guerra quando la gente era già abituata a restrizioni. I governi
aspettavano la soluzione dagli scienziati ora armati dalla teoria dei germi e dai nuovi successi in campo
chirurgico ottenuti grazie all’antisepsi. Ci si aspettava vaccini. Queste attese consentirono una risposta
relativamente calma della popolazione. I medici avevano nuove teorie e le applicarono alla definizione di
misure preventive e di cura. Le conoscenze scientifiche permearono la salute pubblica.
Nel 1918 si cominciava a capire le cause delle malattie infettive. Pasteur e Koch avevano dimostrato la
veridicità della teoria dei germi (1860-90). Vi era un grande interesse ad isolare il germe. Il Bacillus
influenzae venne scoperto, nominato e scartato. Alcuni pensavano che fosse un agente diverso. Un articolo
scrisse che "there can be no question that the virus of influenza is a living organism... it is possibly beyond
the range of microscopic vision" (BMJ, 11/16/1918). Un altro lo definì un "virus sconosciuto" e notò che
pneumococchi e streptococchi erano responsabili delle complicanze polmonari.
Il concetto di virus era nell’aria da anni. Il termine virus era usato come sinonimo di bacillo. Nel 1918 un
virus venne definito come un’entità infettiva submicroscopica che poteva essere filtrata, ma non coltivata.
Negli anni ’80 del 1800 Pasteur aveva prodotto un virus attenuato per il vaccino della rabbia. Ivanoski
aveva identificato il virus del mosaico del tabacco negli anni 1890, un microorganismo che non era
trattenuto dai filtri. Entro gli anni 1910 molti virus, definiti microbi, erano stati identificati come causa di
malattie infettive. Però non avevano ancora definito il virus come un parassita obbligato con un ciclo vitale
distinto dipendente dall’infezione di una cellula ospite.
La spagnola diede l’opportunità di studiare i virus. Gli esperimenti di Nicolle e Le Bailly a Parigi suggerirono
che la malattia fosse dovuta a un "filter-passing virus" (BMJ, 11/2/1918). Filtrarono i batteri dall’espettorato
di un paziente e iniettarono il filtrato negli occhi e nel naso di due scimmie, che svilupparono febbre e
depressione. Poi iniettarono volontari per via sottocutanea e si ammalarono di influenza. Seguirono poi i
postulati di Koch e isolarono l’agente causale dai pazienti ammalati e lo usarono per riprodurre la malattia
in animali. Così provarono che l’influenza è una malattia dovuta a un agente submicroscopico. Queste
scoperte ebbero conseguenze immediate sulla medicina preventiva; tuttora il vaccino è l’arma migliore nei
confronti delle influenze. Molti cercarono di produrre vaccini: il Dr. Rosenow inventò un vaccino contro i
batteri delle complicanze allo scopo di rafforzare i pazienti contro le cause delle complicanze; anche i
vaccini prodotti per i soldati inglesi erano simili.
I provvedimenti dei dipartimenti di sanità pubblica in Europa e in America si attennero alle scoperte
scientifiche, ma non erano molto diversi dalle misure prese nel Medioevo o anche prima per la peste e altre
malattie infettive, il concetto di contagio e quello della quarantena risalgono alla peste di Giustiniano.
Tuttavia il lavoro di Snow e altri nel XIX secolo aveva approfondito e validato queste cognizioni. Le misure di
igiene, le vaccinazioni e altre pratiche attuate nel tardo XIX secolo avevano dato potere e credibilità ai
dipartimenti per la salute pubblica. La spagnola incrinò la credibilità di queste strutture; la gente aveva
paura, le misure preventive non funzionavano. Non erano preparati a una pandemia di questo tipo. Furono
prese sostanzialmente le stesse misure proposte ai tempi della Peste Nera, ma aggiornate in base alla
cognizione del meccanismo con cui si diffondeva il contagio (starnuti, colpi di tosse). Si impone il concetto
per cui per ridurre la trasmissione vanno ridotti i contatti: si deve impedire di respirare la stessa aria dei
malati, vengono proibite le riunioni pubbliche, è consigliata la ventilazione delle camere, vengono chiusi
luoghi di ritrovo, sale da ballo e cinema, sono ridotte al minimo le funzioni religiose. Le vetture pubbliche
erano considerate una minaccia. In Gran Bretagna i concerti vennero ridotti a meno di tre ore e negli
intervalli erano effettuate aerazioni; in Svizzera furono eliminati cinema e concerti.
Venne discussa la possibilità di chiudere le scuole. Nel Regno Unito vennero chiuse le elementari, in Francia
gli studenti sintomatici e i loro fratelli venivano esclusi da scuola. Se 3/4 della classe era assente allora tutta
la classe veniva tenuta a casa per 15 giorni. Negli USA non tutti gli stati chiusero le scuole. In genere venne
considerato un mezzo più utile in campagna che in città.
I metodi più restrittivi furono le quarantene con isolamento dei malati; Illinois e New York State Health
Departments ordinarono queste misure. Solo i casi più gravi erano ospedalizzati.
Vennero attuate misure per bloccare il contagio:
• Lavarsi le mani spesso e adottare misure di igiene
• Ventilazione
• Speciali reparti con meno letti
• Letti circondati da lenzuola per isolare i malati
• Malati a letto per 48 ore da sfebbrati
• Soldati tenuti lontani in mensa l’uno dall’altro
• Disinfezione
• Uso dei fazzoletti di carta
• Disinfezione delle sputacchiere
• Venivano proposti camici da usarsi solo nei reparti per il personale
• Uso delle mascherine da parte del personale sanitario
I dipartimenti di salute pubblica distribuirono maschere di garza che dovevano essere indossate nei luoghi
pubblici (ad esempio a San Diego e a san Francisco).

I supermercati non poterono fare saldi; i funerali furono limitati a 15 minuti. Alcune città richiedevano un
certificato ufficiale per consentire l’ingresso e le ferrovie non accettavano passeggeri che ne fossero
sprovvisti; erano previste multe elevate per chi contravveniva. I corpi si ammucchiavano, c’era mancanza di
bare, di becchini, di provviste sanitarie, come ai tempi della Peste Nera.
La prevenzione era insegnata con canzoni e filastrocche: “Obey the laws / And wear the gauze / Protect
your jaws / From Septic Paws”, oppure “I had a little bird, / Its name was Enza. / I opened the window, / And
in-flu-enza”.
Venivano forniti consigli per mantenersi in buona salute generale: mangiare regolarmente, non esporsi al
freddo, effettuare gargarismi con soluzioni debolmente disinfettanti. Queste pratiche erano eseguite anche
in luoghi pubblici, come le scuole:

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