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Volume 5
Ledizioni
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Pizzerie – Maria Luisa Fagiani
Pronto soccorso – Alfredo Sguglio
P Il pronto soccorso: il primo accesso alle cure
di Alfredo Sguglio1
La tipologia di tale luogo è intrecciata alla storia della medicina e dell’assistenza. L’ana-
lisi mette in risalto come la componente mistica e religiosa abbiano sempre connotato
la nascita e lo sviluppo di questi luoghi, dalla rivoluzione urbanistica delle società pri-
mitive che ne influenzarono lo sviluppo nel periodo greco e romano, così come nelle
società cristiane fino ai giorni nostri. Dalla fine del diciottesimo secolo con la nascita
della medicina moderna basata sull’esperienza empirica, sull’osservazione e sul meto-
do scientifico, la tipologia di questi luoghi subisce radicali cambiamenti: da indefiniti
e miseri contenitori della più eterogenea umanità sofferente, laddove la componente
assistenziale di carattere sociale e religioso si mescolava con l’assistenza sanitaria vera e
propria, si trasformano in luoghi più strutturati. Dalla seconda metà del ‘900 i successi
della medicina hanno incentivato una più complessa organizzazione del lavoro e una
rinnovata architettura dei luoghi capaci di rispondere oggi anche ad esigenze di natura
psico-emotiva. Lo studio rileva la presenza in Italia di luoghi nuovi di eccellenza, ma
anche la presenza di luoghi decadenti con una marcata insufficienza delle risorse rispet-
to ai bisogni dell’utenza. Il lavoro approfondisce queste tematiche alla luce anche della
crisi sanitaria da Covid-19 con l’analisi approfondita di due casi specifici.
The typology of such a place is intertwined with the history of medicine and care. The analysis
highlights how the mystical and religious component has always characterized the birth and
development of these places, from the urban revolution of primitive societies that influenced
their development in the Greek and Roman period, as well as in Christian societies up to the
present day. Since the end of the eighteenth century, with the birth of modern medicine based
on empirical experience, observation and the scientific method, the typology of these places
undergoes radical changes: from indefinite and miserable containers of the most heterogeneous
suffering humanity, where the social and religious welfare component was mixed with the real
health care, they become more structured places. From the second half of the 1900s, the suc-
cesses of medicine stimulated a more complex organization of work and, therefore, a renewed
architecture of places, capable of responding today to psycho-emotional needs. The study notes
the presence in Italy of new places of excellence, but also the presence of decadent places with a
marked lack of resources compared to the needs of users. The work explores these issues also in the
light of the health crisis from Covid-19 with an in-depth analysis of two specific cases.
1 Phd in Scienza Tecnologia e Società (STS). Coordinatore del Centro Studi Smart City Res
Novae presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica Energetica e Gestionale dell’U-
niversità della Calabria. È amministratore di Smart City Instruments, Spin-off dell’Uni-
versità della Calabria. Collabora attivamente in America Latina e nei Caraibi in progetti
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di ricerca e attività formative sui temi della sociologia dell’ambiente e del territorio con i
seguenti Atenei: Universidad Iberoamericana, Universidad Federico Henriquez y Carvajal,
Pontificia Universidad Catolica Madre y Maestra, Instituto Global de Altos Estudios en Cien-
cias Sociales (IGLOBAL) e Instituto Tecnico Superior Comunitario.
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il prossimo, uno degli aspetti rivoluzionari della fede cristiana, troverà consi-
stenza in un ampio piano di aiuto al prossimo sofferente che avrebbe avuto un
ulteriore sviluppo e diffusione nelle società bizantine e islamiche sopravviven-
do nel corso dei secoli fino ai giorni nostri.
La prima traccia di una disposizione relativa all’istituzione di strutture de-
stinate all’assistenza di malati o bisognosi risale al Concilio di Nicea del 325
d.C.; in una bolla venivano invitati Vescovati e Monasteri a riservare in ogni
città un’area “Hospitalis” destinata all’assistenza di pellegrini e bisognosi.
Verso la fine del IV secolo, si ebbe la fondazione del primo ospedale cristia-
no nell’Impero Romano d’Oriente da parte di Basilio di Cesarea (noto come
San Basilio Magno) che, per rispondere alle sofferenze causate dalle numero-
se carestie e pestilenze, costruì in Cappadocia una cittadella della carità con
locande, ospizi e lebbrosario, chiamata Basiliade (Sgreccia 2000) che molti
storici definiscono come “il primo ospedale d’Oriente” (Wilken 2013).
La Basiliade in realtà fu un primo grande progetto di cittadella ospedaliera,
dove la cura dei malati rientrava in una più ampia visione strategica finalizzata
a ricostruire quella dimensione comunitaria che il disagio e la malattia sottra-
evano alla persona malata e indigente.
Nel giro di pochi decenni l’ospedale come luogo di cura si diffuse gradual-
mente anche nella società islamica contribuendo ad avviare i primi progressi
nel campo della medicina che gli studiosi musulmani avrebbero perseguito nel
corso dei secoli successivi.
Prima dello sviluppo delle grandi città, in Oriente era nata la prima versione
itinerante dell’ospedale islamico, il bimaristan, con funzioni di pronto soccor-
so, allestito in tende trasportate dai cammelli, all’interno dei quali operavano
medici e infermieri, in grado di viaggiare verso i pazienti nelle aree più remote.
Gli storici riconducono la nascita di questi luoghi alla Battaglia del Fosso (627
d.C.) quando per l’occasione vennero allestite tende mediche per curare i feriti
di guerra. Quello del pronto soccorso fu inoltre il primo luogo ad essere alle-
stito e ri-organizzato negli ospedali fisici costruiti nelle nascenti città. Il primo
venne costruito nel 706 a Damasco dal Califfo omayyade di nome Al-Walid;
seguirono quello del Cairo e poi quello di Bagdad nel 805 d.C. Queste struttu-
re anticipavano l’idea del moderno policlinico: apposite istituzioni per la cura
delle malattie, con annessi servizi medici, farmaceutici e scuole di medicina
(Miller 2006).
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il 1439 e il 1446 nella sala del Pellegrino in Santa Maria della Scala a Siena,
ospedale gestito dai canonici del Duomo che progressivamente si laicizzò pas-
sando nel Quattrocento sotto il controllo diretto del Comune.
Il Pellegrinaio è un ambiente monumentale di Santa Maria della Scala all’in-
terno del quale troviamo una serie di celebri cicli di affreschi del Quattrocento
senese. All’interno di esso, sulla parete ovest, ritroviamo l’affresco di Domenico
De Bartolo dal titolo Governo e cura degli infermi, considerato uno dei più im-
portanti della sala, la cui analisi ci può fornire la ricostruzione degli elementi
cardine della gestione sanitaria delle emergenze medico-chirurgiche in regime
di pronto soccorso.
Figura 2. Domenico di Bartolo, Cura degli infermi, dettaglio di un affresco della Chiesa
di Santa Maria della Scala a Siena. (Fonte: Wikipedia, public domain)
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Figura 3. Josef Horemans – Interior with a Surgeon and His Apprentice Attending to a
Patient- (Fonte: Wellcome Collection London, public domain)
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cato in un’area dedicata nella quale si eseguono tutte le attività: visita, attesa
degli esami diagnostici, trattamento terapeutico e dimissioni (Rosselli, Serrani
e Sergi 2006). Negli anni ’70 la medicina d’urgenza incomincia a divenire una
professione sempre più diffusa, anche se fino agli anni ’90 il pronto soccorso,
in particolare in Italia, opererà con la rotazione del personale medico degli
altri reparti. Gli Stati Uniti furono il primo paese a riconoscere formalmente
la medicina d’urgenza come disciplina a sé stante. In Italia la disciplina di me-
dicina e chirurgia di urgenza e accettazione sarà istituita nel 1997; in quegli
anni anche la maggior parte dei Paesi Arabi riconoscerà la medicina di urgenza
come disciplina uniformandosi ai modelli americani. Nel Regno Unito, que-
sto riconoscimento è avvenuto solo 2005, con l’istituzione del Royal College of
Emergency Medicine.
Figura 5. Parkland Memorial Hospital, Dallas, 1960, Trauma Room #1 dove venne
portato il Presidente Kennedy dopo l’attentato, UT Southwestern
(Fonte: Parkland Hospital Collection)
Agli inizi del secolo, il modello di pronto soccorso più diffuso a livello in-
ternazionale è quello delle ER Emergency Room sviluppato negli degli Stati
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Tale morfologia fisica del pronto soccorso non è legata alla sola logica fun-
zionale, in realtà ci pone difronte ad un rinnovato rapporto tra spazi, utenza
e personale sanitario. Questo luogo possiede caratteristiche architettoniche e
ambientali (dalla forma degli spazi, agli arredi, ai colori, ai materiali, alle vi-
ste e all’illuminazione) che rispondono alle esigenze di benessere dell’utente.
Quest’ultimo è inteso come portatore di una patologia ma anche come per-
sona con esigenze fisiche, funzionali e psico-emotive che coinvolgono diret-
tamente il rapporto con lo spazio fisico e relazionale (linguaggio, strumenti e
modalità di scambio comunicativo).
L’attenzione verso tutti questi ambiti ci pone dinanzi alla transizione da un
approccio biomedicale, secondo cui curare la malattia voleva dire trattare l’or-
gano malato, ad un approccio bio-psico-sociale che pone maggiore attenzione
all’ambiente psico-fisico e relazionale dell’utenza.
Tale processo di umanizzazione (Frampton e Guastello 2006) del luogo è
rivolto a ridurre le condizioni e le situazioni di stress attraverso l’innalzamento
della qualità ambientale percepita dagli utenti e dal personale sanitario e si
riflette in evidenti risposte positive sui pazienti – in termini di miglioramento
degli esiti clinici della malattia e delle condizioni di sicurezza – quanto sul
personale – in termini di potenziamento delle performance – e sull’efficacia e
qualità della cura.
Risposte positive emerse anche durante la crisi sanitaria Covid-19. Già dai
primi giorni dell’emergenza la struttura avviò l’implementazione di nuovi po-
sti letto: dai 61 posti letto totali, in terapia intensiva, si è passati in una sola
settimana a 308, convertendo altri reparti. Il proficuo sodalizio tra ospedale,
Ausl e strutture private convenzionate ha consentito di integrare inoltre la ge-
stione dell’emergenza con le attività svolte sul territorio dai medici di medicina
generale e dal dipartimento di sanità pubblica, facendo sì che negli ospedali
della provincia le cure ordinarie non si arrestassero e non venissero trascurate.
Così come a Parma in tante realtà italiane i pronto soccorso hanno risposto
in maniera eccellente alla crisi. Logicamente nelle strutture più moderne da
punto di vista socio-strutturale tale processo è stato avvantaggiato.
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tirrenica della Provincia di Cosenza, con 27000 accessi all’anno, molti dei
quali concentrati nei mesi di luglio e agosto. L’Unità Operativa è organizzata
in due strutture di pronto soccorso, collocate rispettivamente nei comuni di
Paola e di Cetraro con un’unica arteria di collegamento, la Statale 18, molto
trafficata in particolare nella stagione estiva.
In questa regione, la Calabria, la sanità, commissariata dal 2010, è stata pe-
nalizzata da anni di mala gestione i cui risultati sono purtroppo evidenti: ospe-
dali fatiscenti, realizzazione di nuove strutture mai rese operative, chiusura di
ospedali di eccellenza, carenza di personale, reparti abbandonati, prenotazioni
in tilt, migrazione sanitaria, attrezzature obsolete, strutture di pronto soccorso
al collasso e un debito pubblico pari a 187,5 milioni di euro.
Con la crisi sanitaria da Covid-19 a queste criticità si sono aggiunte nuo-
ve e preoccupanti questioni che hanno contribuito al crollo dell’intero si-
stema sanitario regionale, lasciando nelle sole mani del personale che opera
in prima linea, in particolare in quello di pronto soccorso, la totale gestione
dell’emergenza.
Nonostante tutto, il sistema di pronto soccorso di Paola-Cetraro è riuscito
a fornire soluzioni adeguate alla gestione dell’emergenza, dimostrando un ele-
vato grado di flessibilità e resilienza.
Caratteristiche che il personale di queste strutture sanitarie ha maturato nel
tempo perché costretto ad operare di frequente in situazioni di crisi per la ca-
renza di personale e soprattutto all’interno di strutture dalla morfologia fisica
complessa e poco rispondente ai requisiti architettonici moderni.
Di fronte all’immobilismo dell’Azienda Sanitaria, il personale sanitario ha
modificato in maniera autonoma questi luoghi migliorandone le condizioni di
comfort e benessere non solo per il personale interno ma anche per l’utenza.
Un processo di umanizzazione degli spazi che si è realizzato dal basso sulla base
dell’esperienza diretta sul campo.
Il primo percorso Covid-19 è stato realizzato con lo stesso modello di au-
torganizzazione e grazie al rapporto sinergico con istituzioni locali e aziende
del territorio. Durante la crisi sanitaria il pronto soccorso è divenuto infatti
spazio sociale in cui gli attori hanno riconosciuto comuni intenti, da cui si sono
mossi collettivamente sulla base di progetti e programmi che sono riusciti a
comunicarsi, a discutere assieme, ad affinare e a condurre in direzione del bene
comune.
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