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La medicina antica
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riservati. Per altre informazioni si veda http://www.carocci.it/
Introduzione
1
Per una storia della medicina antica
2
La medicina in Grecia
3
Tra Grecia e Roma
4
La medicina delle donne
5
Miasmi, impurità e pesti
6
Essere medico
Bibliografia
Molte medicine
Un’ultima difficoltà va denunciata a chi si accinga a leggere
un testo sulla storia della medicina antica: dalla metà
dell’Ottocento il mondo occidentale è abituato a pensare alla
medicina secondo i dettami della disciplina sperimentale,
tendente all’acquisizione della verità scientifica, così come
essi sono stati stabiliti nell’opera di Claude Bernard o nei
lavori dei grandi batteriologi francesi e tedeschi, e in genere
dei medici delle generazioni successive, impegnati ad
attribuire un senso sperimentale e scientifico a una disciplina
che per molti secoli era stata fondata essenzialmente
sull’esperienza e sull’accumulo dei dati di osservazioni
ripetute. Siamo abituati, insomma, a pensare al singolare: a
una pratica medica che risponda ai dettami di una teoria,
epistemologicamente fondata e metodologicamente
determinata, nonché impegnata nella ricerca di molteplici
causalità di malattia.
La medicina in Grecia
Parimenti anche nel cuore la parte più sottile del sangue è attirata dal
ventricolo destro verso il sinistro, dal momento che il setto che si trova
nel mezzo delle due cavità possiede alcuni orifizi, visibili per la
maggior parte, i quali assomigliano a delle fossette che da una bocca
assai larga si restringono sempre più; non è possibile tuttavia
osservarli fin nelle loro parti estreme sia per la loro piccolezza sia
perché, essendo l’animale oramai morto, tutte le parti si sono
raffreddate e sono divenute compatte. Ma anche a questo proposito la
ragione, muovendo dalla costatazione che nulla è compiuto invano
dalla natura, scopre queste anastomosi dei ventricoli del cuore;
certamente, del resto, non senza un disegno né casualmente le
fossette finiscono per diventare così strette (III, 208).
Il logos è invocato come sostituto del dato di osservazione, e
il progetto divino della natura giustifica la correttezza del
ragionamento; la ragione è chiamata a dar conto dell’evidente
mancanza di riscontro in sede autoptica, che si deve al
raffreddamento delle parti, sottoposte a un processo di
consolidamento per effetto della morte. A queste righe viene
tradizionalmente imputata la responsabilità di aver, se non
bloccato, almeno ostacolato la riflessione medica sulla
circolazione del sangue, sino a quando William Harvey,
applicando il metodo quantitativo-sperimentale di stampo
galileiano alla misurazione della quantità di sangue emessa
dal ventricolo sinistro in una data unità di tempo, osserva che
essa è di gran lunga superiore alla quantità di sangue
contenuto all’interno del corpo. L’idea di una circulatio
perfetta, secondo cui il sangue riflette nel microcosmo
corporeo l’ordinato moto circolare degli astri, diventa l’unico
criterio esplicativo possibile di alcune incongruenze già
annotate nella tradizione anatomica della metà del secolo
precedente. Già Vesalio, infatti, aveva invocato la fede nella
grande sapienza di Dio come sola giustificazione della
mancata osservazione dei foramina del setto descritti da
Galeno. La storiografia più recente che si è occupata della
riflessione comparata tra la fisiologia cardiaca galenica e
quella degli anatomisti dei secoli XVI e XVII ha però dimostrato
come la complessità del testo galenico celi una grande
ricchezza di suggerimenti, a pieno sfruttati dalla tradizione
successiva.
Di altrettanto impatto è la descrizione galenica della rete
mirabile: il termine, che oggi designa una struttura patologica,
indica in Galeno una supposta complessa rete di arterie molto
sottili, poste alla base del cranio, in corrispondenza della
struttura anatomica del cervelletto. A questa struttura di
intreccio complesso come quello di una rete da pesca, che
probabilmente Galeno osserva effettivamente nelle capre o in
animali ruminanti, è attribuito un significato funzionale
preciso; la tortuosità dei suoi canali servirebbe a far decantare
l’aria immessa durante la respirazione che, per essere
trasformata nella sostanza immateriale complessa che
prende il nome di pneuma psichico, si deve liberare della sua
componente materiale. La rete mirabile funzionerebbe,
pertanto, come una vasca di decantazione, in grado di
produrre la sostanza lieve e pura che garantisce la vita
psichica dell’individuo (De usu partium III, 4, 9); il suo ruolo è
dunque quello di un vero organo vitale.
l’uomo […] partecipa di tutti gli elementi, caldi, freddi, secchi e umidi
– giacché nessuno di essi sussisterebbe un solo momento senza tutti
gli altri elementi sussistenti in questo universo, bensì se solo uno di
essi venisse meno, tutti sparirebbero […] così anche se uno dei
componenti di cui è fatto l’uomo venisse meno, non sarebbe possibile
la sua vita. Prevale nell’anno l’autunno, poi l’inverno, poi la primavera,
poi l’estate, poi di nuovo l’autunno; così anche nell’uomo prevale
prima il sangue, poi la bile gialla, poi la bile nera (De natura hominis 7).
Il maschio mancato
La diversità anatomica e funzionale femminile, tratteggiata
nel gruppo dei trattati ginecologici del Corpus, va incontro alla
sua definitiva codificazione all’interno del corpus degli scritti
aristotelici. Nel trattato Sulla generazione degli animali ne è
enunciata l’estrema conseguenza: la femmina è una creatura
incompleta e difettuale. Nell’embriogenesi, infatti, il seme
maschile, destinato a informare della sua virtù attiva la
materia prodotta dal corpo materno, tende in condizioni di
normalità a generare un figlio a sé simile, dunque maschio.
Tuttavia, la natura contempla la nascita delle femmine,
fenomeno degenerativo ma previsto dalle necessità
riproduttive della specie («dobbiamo guardare alla femmina
come a una deformità, sebbene una deformità che capita nel
corso ordinario della natura», 775 a 15); esso è ascrivibile a
indebolimento del seme maschile per eccessiva diluizione, a
esposizione a fattori climatici raffreddanti o anche al
semplice e moderato – comunque innaturale – prevalere delle
qualità femminili. Il difetto di cozione della materia residuale
che costituisce entrambi i semi generativi produce individui
in vario grado «incapaci di raggiungere la loro propria forma»;
quando il difetto di calore è lieve, figlie femmine; negli stadi
successivi, figli deformi e térata, le conclamate mostruosità.
La donna è dunque il primo stadio dell’imperfezione di
natura, quello in cui il principio attivo maschile «è incapace di
effettuare la cozione, e non plasma la materia nella forma che
le è propria, ma si degrada nel tentativo, e dunque
necessariamente muta nel suo opposto. Ora, l’opposto del
maschio è la femmina» (De generatione animalium 766 a 20-22).
La femmina, dunque, come un primo livello di deformità,
riproduce in modo incompleto l’eidos perfetto, la compiutezza
delle forme, la bellezza e l’equilibrio che caratterizzano il
corpo del maschio; è un «maschio sterile», cui manca il potere
di cuocere il seme che proviene dal nutrimento a causa della
freddezza e dell’umidità della sua natura (728 a 17); un
«maschio deforme», cui difetta il costituente principale che
rende i corpi in grado di generare figli sani e vitali, cioè
l’anima senziente (737 a 20 ss.). La natura femminile è, in
ultimo, una menomazione (728 a 17; 775 a 16), uno stadio di
sviluppo incompleto, che non consente la formazione perfetta
e funzionale di tutte le parti organiche.
Tutte le parti che hanno gli uomini le hanno anche le donne […] con la
sola differenza che le parti delle donne sono all’interno del corpo,
mentre nell’uomo sono esterne […] lo scroto prenderebbe
necessariamente il posto dell’utero, con i testicoli a lato, accanto ad
esso da ciascuna parte […] il pene diventerebbe il collo della cavità che
si è formata […] la pelle detta prepuzio diventerebbe la stessa vagina
[…] puoi vedere qualcosa del genere negli occhi della talpa […]
rimangono lì imperfetti come gli occhi degli altri animali quando sono
ancora nell’utero […] così la donna è meno perfetta dell’uomo per
quanto riguarda le parti destinate alla generazione, perché le parti
sono formate in esse nella vita fetale, ma non possono essere
proiettate all’esterno a causa della mancanza di calore (De usu partium
corporis humani XIV, 6-7).
Nella teorizzazione galenica, anatomia del maschile e
anatomia del femminile finiscono per coincidere. La struttura
sessuale è composta di parti simili, riversatesi all’esterno nel
maschio, durante le fasi finali della gestazione, per effetto del
corretto apporto di calore paterno; introflesse, invece, nel
vuoto interno delle donne a causa di un difetto termico e lì
ricostruite in un’immagine speculare che mima gli organi
sessuali maschili.
“Cose di donne”
La patologia delle donne, in ampia parte del pensiero
medico antico, è uterocentrica. Attorno alla “matrice” si
organizzano, si è visto, un modello concettuale di corpo
femminile e una teoria fisiopatologica precisa – i cui caratteri
fondamentali, a partire dai testi ippocratici, sono rinvenibili
nell’anatomia “cava”, in cui ogni parte comunica con le altre
rendendo del tutto permeabile l’interiorità femminile – e
l’idea di una precarietà fisica perenne che caratterizza il
genere. Alle donne, infatti, non pare essere concessa la
diversità delle singole nature che caratterizza il corpo degli
uomini, al punto che a una supposta “norma” femminile gli
autori ippocratici – si è visto – dedicano un insieme di testi
coerenti e coevi. Tutte le donne, infatti, tendono ad
accumulare umidità nelle loro carni lasse; l’umidità raffredda
i corpi e li rende incapaci di cuocere i residui nutrizionali;
questi si trasformano in scorie e sangue residuale, che si
raccolgono nell’utero, in un deposito continuo. La salute
femminile è garantita solo dal regolare accadere
dell’espulsione mestruale; quando il ciclo è sospeso, i
condotti si occludono, i corpi si ammalano o vanno incontro a
processi di mascolinizzazione che rendono le pazienti sterili
(De morbis mulierum I, 1-2; 6). Se il sangue che deve fluire
all’esterno del corpo viene trattenuto all’interno, esso può
essere indirizzato verso parti non deputate ad accoglierlo, con
la conseguente produzione di ascessi che, se localizzati nel
cuore o nei polmoni, causano visioni angoscianti, crisi di
delirio, febbri violente e, in casi estremi, anche pazzia. Il
rapporto sessuale è l’unica via che garantisce alle donne,
attraverso la dilatazione dei condotti e l’apertura della bocca
dell’utero, la corretta purgazione e nel contempo, per mezzo
del contatto con lo sperma, l’opportunità di raggiungere lo
stato di bilanciamento umorale che è loro fisiologicamente
precluso. La sospensione del flusso mestruale è, dunque, di
per sé stessa elemento patogeno, così come lo è l’astinenza
sessuale: ai margini estremi della sfera riproduttiva (nelle
donne molto giovani o nelle anziane), la mancanza di
contatto con il calore maschile non riesce a garantire uno
stato di corretta crasi umorale.
Essere medico
Maiai o medicae?
Miti, iscrizioni funerarie, testi medici e passi letterari greci e
latini testimoniano dell’esistenza di donne che assistono al
parto e sono in grado di risolvere alcune patologie femminili.
L’analisi e la comparazione di fonti tanto diverse per
datazione e caratteristiche consentono di tratteggiare un
quadro quanto mai variegato di una competenza femminile,
trasmessa all’interno di ristretti circuiti familiari, che rimane
oscillante, tanto nel mondo greco quanto in quello romano,
tra le contraddittorie dimensioni della guarigione magica e
rituale, del sapere popolare e della conoscenza empirica di
piante e rimedi naturali cui si attribuisce un potere
terapeutico.
Il chirurgo di Rimini
Nella primavera del 1989, durante lavori di ordinaria
manutenzione urbana in piazza Ferrari a Rimini, il
rinvenimento di alcuni frammenti dipinti ha indotto alla
conduzione di scavi archeologici sistematici che, protrattisi
fino al 1997, hanno portato alla luce la dimora e il cubiculum di
un medico operante ad Ariminum nella prima metà del III
secolo d.C. La scoperta, di straordinaria ricchezza
archeologica, è resa più significativa per la storia della
medicina e della professione nell’antichità dal ritrovamento
di un ricchissimo corredo di strumentaria: circa
centocinquanta strumenti, di datazione compresa tra I e III
Fonti
La traduzione dei testi greci e latini, quando non
diversamente indicato, è a cura dell’autrice.
MORTARINO M. (a
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