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Arte medica e piante di potere nel periodo pre-romano

Giovanni Pierini Paola Degli Esposti

Dip. Medicina e sanità Pubblica Sezione di Medicina legale Università di Bologna

Dalle scarne fonti rimaste possiamo comunque dedurre quanto la medicina italica preromana fosse legata ai
cicli naturali come aspetto peculiare e immaginifico della più ampia Tradizione ciclica primordiale, e quindi
anche agli aspetti ctoni della Grande Madre; le sfumature esoteriche di Esiodo e dalle opere di agricoltura di
Catone e Columella ben si accordano con la narrazione sul serpente Asclepio guaritore di Roma da una
pestilenza (nel IV° secolo a.C.) tanto che il suo culto nell’isola tiberina non verrà poi mai dimenticato, anche
nel mutare delle posizioni del vivere civile e culturale via via più vicine al razionalismo greco. L’arte della
Medicina rimaneggi in tratti nei dipinti di Vulci (cfr. F.Messerschmidt: Nekropolen von Vulci, 1930) sulle
figuarazioni di vasi e crateri e in una iscrizione dell’imperatore Claudio (Corp.Inscr.Lat. XIII 1668) a fronte
della perdita della enciclopedia claudiana in 20 volumi Tyrrhenika.

Il medico dell’epoca italica preromana era figura non strutturata, come invece lo sarà poi in Grecia e in
Roma; non faceva parte della elite e nemmeno di una categoria professionale, ma era forse inserito nelle
caste sacerdotali, almeno per quanto possiamo capire dall’importanza data all’aruspicina, soprattutto sul
fegato, ritenuto specchio del cosmo, anzi, una rappresentazione dello stesso densa di contenuto simbolico al
punto da poter veicolare di per sé energie guaritrici e aperture sull’enigmatico futuro all’aruspice quanto
all’oracolante istruito ai Misteri (fegato di Piacenza, bronzo, III sec., foto 1).

Foto 1

La tradizione etrusca poi raccolta dai Latini è che la volontà divina si conosce infatti solo per rivelazione, da
segni esterni (Etrusca disciplina: Libri haruspicini o Tagetici; Libri fulgurales, Libri rituales) L’etrusca
disciplina aveva quindi carattere esoterico e costituiva anche base di formazione culturale, ambita da parte
delle famiglie romane più in vista per i loro rampolli.

Il mito della Disciplina narra che la stessa fu portata e insegnata nell’epoca arcaica da Tagete, fanciullo di
aspetto ma vecchio di esperienza, che uscì da un solco arato insegnando all’uomo il computo dei secoli
(teogonia e Grande Ciclo) nonchè quello dell’organizzazione del calendario, scandito sul ciclo lunare (“la
vita dell’uomo si compie in 12 settimane di anni”). La leggenda rimanda al tema mitico del Puer/Senex e ai
riti di iniziazionedell’area mediterranea, che si calcola precedenti al rituale di Eleusi, e che probabilmente
rappresentano miticamente il mistero del Dai mon platonico all’interno del corpo umano, dello spirito che si
eleva e dell’uomo che si muove orizzontalmente sul piano del mondo e della vita, dello sgorgare di vita e del
conservatorismo, tutti aspetti quindi del fanciullo interiore all’essere umano in evoluzione. Si tramanda
anche che sul tempio ora sommerso di questo culto primordiale fosse rappresentato un vecchio che teneva
per mano un bambino, ma in modo da permettere anche la lettura inversa del bimbo che conduceva il
vecchio.

Il Medico era sacerdote per quanto riguarda l’aspetto dell’aruspicina, e medico vulnerario come
curatore di ferite, mentre il dispensatore di farmaci (connotati da riti ternari di composizione degli
ingredienti e di tempi di somministrazione) era da sempre il pater familias. Il primo medico etrusco che
venne noto ai romani fu Arcagato (219 AC dal Peloponneso, detto Carnifex, ovvero vulnerarius o chirurgo);
dopo un secolo arrivò dalla Bitinia Asclepiade, quindi Pedanio Dioscoride da Anazarbo (Tarso in Turchia)
autore del De Materia medica e Galeno, entrambi chirurghi dell’esercito romano. La farmacopea del tempo
non risulta fosse organizzata sistematicamente; il primo documento in tal senso sarà un prodotto della
cultura medica greca ad opera di Teofrasto, autore di una storia delle piante, De plantis, che oltre al valore
botanico conserva anche quello tossicologico avendo descritto il modo di preparare i veleni ad azione lenta.
Questa medicina preromana presenta quindi due aspetti che ricorreranno in proporzioni diverse fino all’età
imperiale:

- i riti ancestrali del mondo agricolo, con rituale di derivazione sciamanica, patriarcale;

- l’aruspicina etrusca inserita nella religione di Stato, sotto la figura di Minerva, guida delle arti (in
particolare degli strumenti musicali), della medicina e della guerra; si celebravano in suo onore dal 19 al 23
marzo le feste delle Quinquatria, aperte anche agli studenti delle arti, feste di probabile origine etrusca, dove
la dea era denominata Menrva poi Menerva e poi assimilata a Athena. Il culto di Minerva era associato in
triade a Giove e Giunone, al vertice del pantheon religioso.

Come il teurgo aveva il potere di conciliare i due aspetti della realtà, intesa come manifestazione
dell’unità divina, ponendo fine al conflitto e raggiungendo la pace e l’equilibrio, così la Medicina teurgica
risanava dirimendo la contrapposizione fra salute e malattie. Il mondo è infatti concepito come derivante dai
reciproci contrasti e dalle affinità, per opera dei quali la salute è il risultato del bilanciamento fra le forze che
partecipano alla costituzione individuale (crasis o complexio in Ippocrate, poi “temperie”).

Il quesito all’aruspice non era inspicere ma consulere exta, cioè molto più che una risposta a un quesito
del tipo si/no, da cui l’arte ragionata medica. D’altronde inspicere era vedere i segni della Divinità, per
quanto detto sopra. Il fegato rappresenta la casa del cielo così come il temenos l’area in cui la Divinità si
manifesta con segni: fare spazio alla manifestazione è il tema più antico, e di riflesso la guarigione è fare
spazio interno alla Divinità, che quindi è presente e allora guaritrice. La malattia è un elemento della
manifestazione degli opposti, e non un elemento occasionale estraneo e di disturbo come per noi oggi. Per
guarire occorre fare uno spazio interno così come quello esterno limita il velo delle apparenze aprendo a
nuovi spazi di ordine superiore. Guarire allora non è solo guarire dalla malattia, la restitutio ad una
situazione precedente, ma un salire ad una dimensione superiore.

L’attivazione delle affinità, poi note come rapporti fra micro e macrocosmo, porta guarigione poiché si è
stabilito di nuovo un contatto, o dopo interruzione o dopo modificazione normale, ristabilito secondo
proporzioni che sono i mattoni fondamentali di tutte le relazioni. E la relazione è il regredior all’Unità dopo
la separazione da questa, separazione presente in tutti i miti come Caduta.

La Medicina è quindi teurgia, ma in Chirurgia appaiono strumentari e tecniche di grande livello. Da notare i
resti di trapanazione cranica, come in altre aree, e la presenza di strumenti di funzione ignota detti Thumi;
rilevante la tecnica odontostomatologica. Da ricordare a proposito di queste osservazioni la fasciatura dei
bimbi, che ricorda da vicino la tecnica funeraria egizia, forse rimandando a significati ben più profondi delle
osservazioni banali che sono state fatte. E veniamo adesso alle poche notizie circa la terapia: Teofrasto dice
che Eschilo chiama l’Etruria terra ricca di vegetazione di farmaci. Per gli Etruschi la conoscenza dei principi
naturali era un fatto teologico quindi.

Le forme più antiche di terapie sono accennate da Varrone (De Re rustica) come medicina di matrice
appunto teurgica, nella quale era importante la danza rituale (istono) cioè balli monotòni sembra senza
accompagnamento o canto. Certo che essendo le fonti sempre letterarie è difficile organizzare il poco
materiale rimasto secondo una prospettiva storica in senso moderno.

Di sicuro era nota la teoria della simpatia e poco si sa dell’anatomia, se non dai reperti di ex-voto, spesso
ben fatti nonostante le critiche. Però a favore va ricordato che i manufatti poliviscerali si trovano
archeologicamente solo in zona italica.

Quale poteva essere il concetto di malattia e di dolore, al quale riferire, di conseguenza, ipotesi di
pratiche terapeutiche, a partire dai pochi segni rimastici?

La fisiologia insegna il dolore come forma di apprendimento, diverso dal piacere solo a causa dei
trasmettitori che attivano le due diverse vie; mentre però il piacere si sviluppa lungo una curva di intensità
sempre maggiore fino all’acme, una vera e propria saturazione della soddisfazione, e quindi una posizione
di immobilità, lo stimolo del dolore porta alla ricerca di un’altra posizione, di un’altra condizione, urge a
salire ad una diversità, che nell’uomo antico ha il profumo della trascendenza. Piacere e dolore sono capaci
di istruirci sulla realtà psicologica, non su come sia effettivamente quindi: questo sapere è vanitas, fumo,
inconsistenza, irrealtà.

Il funzionamento degli organi, nella filosofia antica, trascende la legge fisica perché è la natura dello
spirito la forza che agisce, superiore ma non separata dal mondo fisico, e che costituisce il nucleo dell’
archetipo. L’archetipo, portato verso la coscienza, pone l’uomo a confronto con l’abissale contraddittorietà
della sua condizione, offrendo insieme luce e tenebre. Il senso profondo della medicina antica è che senza
esperienza dei contrari non può esservi percezione della totalità, come dire che il paradosso è il bene più
prezioso.

Nei miti mediterranei Astarte diverrà simbolicamente da Dea Madre di sapienza e vita, Dea della
guerra: la conoscenza uccide, perché separa come la spada, come il logos dell’uomo; la conoscenza non può
nascere infatti dalla separazione razionale, mentale degli opposti, non è sapere la presa in carico di un
elemento dopo l’eliminazione del suo opposto. Nel mondo vero della Natura ogni elemento si trasforma in
un altro, dinamicamente, e nessuna sapienza potrà mai fondarsi sulla rigidità di concetti separati dalla spada
del logos, nessun nodo gordiano potrà mai più essere vivo dopo il taglio di Alessandro.

Nei riti antecedenti la nascita della tragedia, l’ antagonismo polarizzato sulla vittima dissolveva con la
morte di questa la frattura della contrapposizione degli opposti, del bene che stava dando luogo ad un male
(una comunità prospera ad es. invasa da una pestilenza improvvisa), divenendo radice della futura
prosperità. L’accusato, l’empio (forse un uomo, sicuramente più tardi simbolicamente un capro, tragos) è il
farmakos che nella morte rituale diviene farmakon, il rimedio.

Per guarire occorre dunque, come fare uno spazio interno, così come quello esterno del temenos esclude
dalla traccia dello spazio sacro il velo delle apparenze del mondo profano, aprendo a nuovi spazi di ordine
superiore. Guarire allora non è solo guarire dalla malattia, la restitutio ad una situazione precedente, ma un
salire ad una dimensione superiore.

La guarigione non è più l’esclusione, l’allontanamento dell’intruso (malattia) e del dolore che lo
manifesta, ma la soglia di una nuova dimensione acquisita mediante l’impegno e l’aiuto: l’impegno si
rappresenta nella tenace partecipazione individuale dell’uomo che cerca, l’aiuto nella forza che si rende
attuale nel processo di trasformazione, attraverso il veicolo delle affinità. L’affinità del mondo profano è una
voce flebile e sfumata, un sinonimo per accennare a elementi della vita legati non troppo strettamente, è un
diminutivo di eguaglianza e di identità; nella Tradizione indica invece la dignità di un legame stretto,
profondo e individuato personalmente con la trascendenza; è quindi l’affinità che guarisce, non la rimozione
del dolore. Basta pensare con quante energie si operi con terapie sintomatiche, volte cioè all’eliminazione del
sintomo, identificato come una entità quindi a sé stante, all’interno del percorso della malattia. La malattia
stessa, si insegna in Medicina legale, è un fatto evolutivo, mentre spesso nell’opinione profana prende
l’aspetto della staticità, dell’ostacolo da eliminare, del “diverso”, del fenomeno che non dovrebbe
appartenere al mondo così come psicologicamente se lo rappresenta l’uomo di oggi.

E’ particolare l’uso della medicina delle acque, tanto che l’idrologia medica nasce qui (come accennato
nel Timeo platonico a proposito degli Atlantidei) e come testimonia anche Plinio (N.H. XXXI,II); le sorgenti
erano dette medicatae venae, così come il fitto di un bosco che si apre su una fonte (iniziazione) parla di un
Dio (Lettere a Lucilio, XLI,1-3).

Si diceva che in Etruria le acque nascessero dall’infissione di una verga di ferro nel terreno da parte di
Ercole, che nessuno poteva svellere e da lì sgorgarono le prime acque mediche sulfuree. (Tema poi arturiano
nei cicli medievali carolingi e nel tema del Graal). E la presenza di musici nelle terme romane sembra certo
che fosse ricordo etrusco. L’Aquilex era il rabdomante etrusco e poi tutta la grande tradizione di ingegneria
idraulica che poi passò tutta ai romani sotto forma di ingegneria civile. Narra Tito Livio che la Cloaca
Maxima fu fatta costruire da Tarquinio il Superbo (etrusco) e a fatica l’ingegneria di oggi potrebbe fare
altrettanto.
L’alimentazione sembra comune con con quella dei Latini, forse fin da partire dal periodo classico (cioè dai
reperti di Bolsena del IX°sec.), dopo la transizione fra l’epoca del bronzo a quella del ferro. I semi repertati
fanno riferimento a:

corniolo (Cornus Mas), susino (Prunum spinosa e Prunus insititia), nocciolo (Corylus avellana), Quercus,
Vitis vinifera; fra i cereali: Triticum dicoccum; per legumi: Vicia faba.

Nell’epoca arcaica (VI°) aumenta il consumo di carni, come documentato dall’aumento dello Zn nei reperti
ossei, poi livellato a causa delle crisi economiche del V° e della conquista romana.

Le rappresentazioni degli elementi naturali legati alla farmacopea sono rare e perlopiù stilizzate, come un
rimando a temi simbolici: la stessa osservazione può essere fatta per gli arredi funerari. Mentre le foglie dei
lapidari e delle terracotte sono quasi sempre riconoscibili, i fiori appaiono ordinati secondo sequenze
simboliche, a partire forse dalla struttura del papavero.

Il tema del fiore è schematizzato a destra, e si compone di tre elementi di disegno: le volute delle foglie,
scandite in due livelli (come i piani dei rami del motivo dell’albero) diversi per ampiezza (rastremati verso
l’alto); il nodo che ferma e sostiene il fiore; infine il fiore stesso, a 5_7 elementi, planare e pari a ¼ di cerchio.
Il fiore sorge dall’apertura, orizzontale, delle foglie del piano ultimo e superiore (fig. 1).

La scansione delle foglie su due piani rastremati è da porre in analogia simbolica con la raffigurazione
dell’albero sacro (stele di Bologna, foto 2).

Rispetto all’albero della vita (foto 3) si notano spesso due animali, disposti in maniera simmetrica, tema che
appare nell’arte sumera del III° millennio A.C. e nella porta dei Leoni (attorno a una colonna) di Micene, e
che ritorna anche nelle raffigurazioni delle steli italiche, anche se in pessimo stato di conservazione. Il tema
dell’albero, traslato nel bastone di comando, riappare sotto forma di gemmazione o fioritura, come nel
reperto in (foto 4).

Foto 2 Fig.1

Foto 3 Foto 4

I triangoli rappresentano quel movimento di rientro all’Unità che si concluderà con il diagramma equilibrato
delle forze, noto comunemente come sigillo di Salomone, e che rappresenta una delle forme di equilibrio
della grande Opera. Qui siamo all’inizio del viaggio, un momento cruciale, dove possono intervenire e agire
forze opposte a quella della luce spirituale, tanto da far sì che il simbolo del doppio triangolo andasse
incontro non ovviamente all’oblio, ma ad un mascheramento apparentemente tematico, per evitarne letture a
sfondo “arrovesciato” cioè di magia nera.

E’ uno dei pochi simboli che parlano delle forze in atto, atto inteso come dinamica di una manifestazione
(divina) e di un percorso (umano) che possono anche perdere il reciproco contatto. Questo momento di
pericolo viene raffigurato dalla traslazione, e non è il caso di discutere in questa sede la sottile geometria che
ha studiato le varianti della genesi dei percorsi demonici a partire dalla visione reciproca Uomo/Luce. Fatto
è comunque che il concetto di malattia fino alla fine del periodo demoiatrico rimane inteso non come una
evenienza sopravvenuta, esterna, ma come una modificazione di una forza interna che appare nel suo lato
oscuro.

Il lato oscuro della forza non viene scisso, nella terapia il medico è più vicino alla malattia che non negli
asettici tempi odierni.

Non a caso le forme triangolari dell’iniziazione si rappresentano nella configurazione generale o degli
ornamenti dei tripodi, portatori del fuoco. Interessante quello frammentato di Firenze (fig 2), e del quale si
possiede solo una approssimativa ricostruzione. Al centro, sulla verticale del tripode, sono poste le effigia
della testa di tre cervi, che andrà prospetticamente a culminare con tre teste di toro al bordo dell’anello che
portava (forse) il cratere. Il cervo in tutte le culture iniziatiche, e conosciute oggi col termine generico di
sciamaniche, rappresenta la manifestazione del punto insondabile all’uomo, metafisico, che aprendosi alla
manifestazione colloquia con l’uomo, portando guarigione spirituale e fisica, come specchio fedele della
prima.

Fig 2

La presenza del toro al bordo del tripode rimanda al Toro sul cerchio zodiacale, alla presenza di un tema del
sacrificio della Luce nel sangue per la salute dell’uomo che conosciamo come culto di Mitra, quando in età
imperiale Roma tenderà a ripercorrere alcune delle strade dei propri riti pontificali.

Secondo la Tradizione quella del Toro è la prima costellazione nella quale cominciò, nella notte dei tempi, il
leggero impercettibile movimento della precessione degli equinozi, quando l’ordine del mondo fu
ricostituito dopo la perdita della posizione precedente, per la quale l’asse terrestre puntava non sulla polare
di Ursa minor ma nella costellazione del Drago. Il Toro è la memoria del giorno che iniziò, e forse del giorno
che verrà, all’inizio di ogni Grande anno, segno di tutti i culti misterici di rinascita, luogo dove nella stabilità
matura il germe della distruzione, dalla quale nascerà un equilibrio nuovo e diverso. Ogni organismo è
quindi un kissos, un recipiente chiuso e oscuro, come il sacco in cui fermentavano il miele e le preparazioni
di erbe, il kissos epiteto antico di Dioniso, e la malattia è il germe che normalmente si sviluppa all’interno di
uno stato di equilibrio fisiologico, perché nel piccolo accadono le cose secondo le stesse leggi che regolano le
grandi: la malattia è un segno della Forza, della Legge.

In prospettiva la figura del tripode rimanda anche al tema della Montagna, e della grotta nascosta in essa,
nella quale verrà generato dalla “fermentazione” il nucleo della vita che verrà: la vita infatti intesa come zoé
è indistruttibile, perché non ha i caratteri della contingenza, che sono invece caratteristici della sua
manifestazione come ciclo della vita umana e individuale, il bion che si ribella alla morte e alla malattia;
l’individuo che sogna la stabilità di una eternità che invece lo trascende.

Ecco perché la terapia da sempre è stata così connessa con il mito, e per tale motivo la ricordiamo ancora
oggi con il nome di medicina teurgica.

Il fiori dell’iconografia lapidaria o pittorica relativa agli aspetti questa volta naturalistici (dipinti di Vulci)
permettono invece di riconoscere un grande numero di varietà botaniche, quasi tutte dotate di proprietà
terapeutiche.

Sono stati identificati la capsula del papavero, la ghianda della quercia, il fiore del croco e del giglio, alloro,
biancospino, calamo aromatico, convolvolo, colchico autunnale o efemero, larice, melograno, nardo
(Valeriana off.) olmo, pioppo, salice e tiglio. E poi ricino, scamonea, artemisia, coriandolo, sambuco, cavolo,
rabarbaro, cicoria, genziana, edera. Non si sa se venissero usati come semplici, rimangono però molti
unguentari con tracce anche di ferro e colatoi, piccoli boccali per l’assunzione di liquidi macerati (forse).

Dell’edera la foglia era impiegata come amaro stomachico, astringente, emmenagogo e vermifugo, quindi
era strumento principoe per i medici vulnerari; la bacca (nera o gialla a seconda delle varietà) invece non
aveva impieghi a causa della presenza dell’acido ederico, ma essendo appetita dai merli venivano usate
come richiamo. Alcune notizie non confermate dalla ricerca farmacologica narrano di proprietà eccitanti, in
generale, dovute all’impiego delle foglie. Dell’alloro la foglia serviva come carminativo e sudorifero, il frutto
per ricavare un olio per frizioni, che secoli dopo entrò nella composizione del ben noto Olio del Fioravanti,
utile anche per evitare l’irrancidimento dei grassi nella conservazione alimentare.

Da non dimenticare l’Atropa bella donna: l’atropina a basse dosi è miorilassante, ma a dosi maggiori per
paralisi del vago (e per blocco quindi della sua funzione inibitrice) stimola il cuore fino alla tachicardia
parossistica. Nell’avvelenemento si osserva la comparsa di deliri allucinatori di difficile inquadramento nella
nosografia psichiatrica, e che per il fatto di sopraggiungere alle soglie del coma non pare probabile che
potessero far parti di rituali magico religiosi.

Alcuni reperti sono poi estremamente interessanti, ovvero i calici o coppe binate (foto 5) che fanno rimando a
strutture naturali presenti nei funghi superiori (basidiomiceti): forse un rimando al Soma o Haoma dei
funghi sacri? Non a caso già nel periodo classico stanziamenti e commerci etruschi erano ben presenti in
Germania, terra di Amanite e di riti sciamanici muscarinici.

Foto 5

L’iconografia, simbolica, impressa soprattutto nei tripodi rituali e alla bocca dei crateri, rimanda anche a
segni della fauna selvatica; è stata accertata la presenza di Cervidi, Uursidi, del capriolo, del verro.

Vagando con la sguardo e la memoria associativa fra le raffigurazioni dei reperti, tentando di unire i
frammenti rimasti con i temi mitici arrivati sino a noi modificati dalle culture secolari fanno intravedere,
anzi, sentire internamente unioni e associazioni, identità di profondi significati, e a questo punto anche le
parole del Vallisneri (1662-1730), che nel suo trattato sull’origine delle fontane diceva a proposito dello
studio della Natura: Est vertigo quaedam, et circulus.

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