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MAGISTRALE SCIENZE STORICHE

RELAZIONE STORIA CULTURALE E SOCIALE DELLA MEDICINA

LA CONCEZIONE DEL CORPO FEMMINILE


TRA FILOSOFI E MEDICI ANTICHI

Alunna: Sara Piccoli


Matricola: 227857

Docente: Alessandro Arcangeli


INDICE:

1. Da dove nasce la discriminazione femminile


1.1 Platone e Aristotele pp. 1 – 3
1.2 Ippocrate e la sua scuola pp. 3 – 6

2. Il modello monosessuale pag. 7 - 8


3. Conclusioni pag. 9
4. Bibliografia pag. 10
1. Da dove nasce la discriminazione femminile

“Zeus, perché hai dunque messo fra gli uomini un ambiguo malanno, portando
le donne alla luce del sole?”
EURIPIDE, Ippolito, 616-617

1.1 Platone e Aristotele

I mutamenti della condizione femminile, il riconoscimento della piena capacità


delle donne di poter essere titolari dei diritti soggettivi e di esercitarli, la
conquista della parità formale con gli uomini non hanno interamente cancellato
quel retaggio, arcaico, di un’ideologia discriminatoria di cui solo uno studio
storico può aiutare a comprenderne le matrici cercando, anche, di individuarne
le cause.
La formazione sociale, come ad esempio nella polis greca, impose la fissazione
di ruoli sessuali invalicabili intesi come condizione di sopravvivenza e creò
proprio in questo periodo storico, la teorizzazione della “naturale” diversità e, di
conseguenza, inferiorità femminile.
Le conoscenze mediche di Platone (427-347 a.C.) non sembrano essere dirette
ma derivanti probabilmente, oltre che dai medici anche dai filosofi della natura,
contemporanei e anteriori, ma rimangono da considerarsi delle teorie notevoli
per il grado di sistematicità che presentano.
Platone elaborò una concezione elevata della medicina come scienza del corpo
in quanto la vera scienza si pone il problema della conoscenza delle cause,
un’impostazione che la rende superiore ad altre competenze e che la qualifica
come arte. La causa, infatti, delle malattie secondo questi è evidente per tutti in
quanto il corpo è composto di terra, fuoco, aria e acqua e i disordini e le
malattie nascono dalla prevalenza o dalla parziale o totale mancanza di questi

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elementi o anche dal fatto che essi lasciano il loro posto per occuparne un altro,
da concepire come estraneo.
Aristotele (384/5 - 322 a.C.) invece, possedeva delle buone conoscenze in
campo medico. Suo padre, infatti, apparteneva alla corporazione degli
Ascelpiadi concludendo la sua carriera come medico di corte di Aminta II, re di
Macedonia, nonno di Alessandro Magno.
Come Platone anche Aristotele credeva fortemente sul fatto che i principi della
medicina dovessero essere riscontrati da quelli della filosofia, ma con un
atteggiamento più empirico rispetto al suo maestro.
All’interno della Politica sostenne che «i l maschio è per natura migliore, la
femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra all’obbedienza»1, riprendendo
poi questo concetto dove maggiore attenzione viene posta al tema dell’anima
spiegando che la parte razionale governa per natura su quella irrazionale. La
donna quindi, incapace di governare sé stessa, deve lasciarsi condurre e
guidare dalle facoltà deliberative del maschio.
Aristotele inoltre riteneva passivo il ruolo della donna durante il processo
riproduttivo in cui, il maschio imprime la forma, il movimento e l’anima, mentre
la madre fornisce la materia inerte, paragonabile alla cera, o al legno, che tocca
all’artigiano plasmare.2
L’interrogativo che egli si pone è se la donna «emette seme, come il maschio, e
l’essere che si forma è una mescolanza dei due semi, oppure se dalla femmina
non si ha alcuna secrezione di seme» rispondendo che la femmina non
concorre con seme alla generazione ma offre soltanto il luogo nel quale questa
si compie, si rappresenta così la donna essenzialmente come “donna-ventre” o
“donna-materia”.3
In quest’ottica la riproduzione era una necessità della vita in base alla quale
l’essenza doveva svilirsi materializzandosi, e il parto, elemento fondamentale di
questo deterioramento necessario, restava escluso dagli interessi delle scienze
astratte e quindi anche della medicina.

1 Aristotele, Pol.I, 5 ,1254b,13-14.


2 Campese, Manuli,Sissa,1983;Sissa,1990.
3 Ibidem

2
All’interno di un suo scritto Donne sterili, spiega quali mezzi di “esplorazione”
utilizzare per comprendere se una donna riuscirà a con concepire o no:
“[…] se volete sapere se una donna concepirà, datele da bere a digiuno del
burro e del latte di una donna che allatta un bambino; se la donna ha dei rutti
concepirà, se no, non concepirà. Altro: applicare a mo’ di pessario un pò di olio
di mandorle amare su lana arrotolata, all’interno della vagina, e poi al mattino
verificare se il prodotto emana un odore dalla bocca. Se emana un odore
concepirà, se no, non concepirà.” 4

Queste teorie aristoteliche vennero prese in considerazione per molti secoli,


sino al cristianesimo che, nonostante avesse predicato l’uguaglianza di tutti gli
esseri umani, inasprì i toni della cultura misoginia, ribadendo la concezione
dell’inferiorità femminile e della “donna-demonio” simbolo del peccato.

1.2 Ippocrate e la sua scuola

È caratteristico del pensiero antico attribuire momenti fondamentali di svolta


storica, culturale e letteraria all’opera di un unico individuo. È alla sola azione di
Ippocrate che è ricondotta la maturazione del pensiero medico che si verifica in
quest’epoca.
Pochi sono i dati sicuri della sua vita. Sappiamo che la sua nascita è fissata
intorno al 460 a.C. nell’isola di Coo. Apparteneva alla famiglia degli Asclepiadi
che facevano risalire la propria origine al dio Asclepio, che da varie generazioni
esercitava l’arte della medicina (figura come autore di oltre settanta trattati, tutti
scritti in greco ionico, la lingua scientifica del tempo).
Bisogna tenere conto che molti dei trattati ippocratici sono stati concepiti come
dei manuali finalizzati all’esercizio della medicina da parte dei professionisti del
tempo.
È caratteristico della fisiologia ippocratica, in cui è assente la nozione stessa di
organo a causa della mancanza di conoscenze anatomiche sistematiche, lo
sviluppo di un concetto fluido del corpo. La salute è considerata come una
situazione di equilibrio, di contemperamento positivo dei liquidi. La diversa
individuazione dei fluidi corporei determinò una serie di controversie dottrinali.

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Tuttavia, la teoria umorale che finì per diventare canonica è quella che ne
individua quattro: sangue, flemma, bile gialla e bile nera.
A causa del flusso di umore all’interno o all’esterno del corpo si crea una
condizione di vuoto o di eccesso che determina dolore e malattia. Viceversa, la
salute, definita positivamente, è la mescolanza equilibrata degli elementi che
costituiscono il corpo. Il movimento dei flussi all’origine del fenomeno patologico
parte di regola dalla testa.
Fondamentale per la canonizzazione della teoria umorale è lo schema
quaternario elaborato dall’anonimo autore di un trattato che risale alla metà del
IV secolo a.C., noto con il titolo di Natura dell’uomo. In quest’opera il sistema
umorale fornisce il quadro di riferimento a una serie complessa di relazioni e
corrispondenze che è alla base di una vera e propria antropologia medica. In
tale sistema, in cui si tendono ad inglobare e a spiegare il maggior numero di
problemi, l’individuazione di un sintomo consente valutazioni di carattere
eziologico e patologico e le conseguenti decisioni a livello terapeutico.
Poco spazio però all’interno del Corpus Hippocraticum è riservato alla fisiologia
del corpo femminile.
Tale rilevo minore va ricondotto al fatto che esse entrano in gioco per lo più in
un contesto clinico.
I medici ippocratici avevano conoscenze ridotte dell’anatomia della vagina e
dell’utero, ignorando anche l’esistenza delle ovaie e tube di Falloppio,
considerando l’anatomia femminile come una replica di quella maschile.
Dal punto di vista antropologico gli scritti ippocratici offrono una concezione del
corpo femminile contrassegnata da una patologica fragilità che solo una
gravidanza può salvare da una degenerazione completa. Il corpo femminile,
infatti, è destinato ad invecchiare precocemente per la sua debolezza intrinseca
e per l’impossibilità di eliminare quanto di nocivo si forma nel loro corpo
attraverso un’adeguata attività fisica.
Una delle problematiche che, i medici ippocratici sottolineano come più
comune, è la così chiamata “soffocazione isterica”: l’utero, spostandosi dalla
sua sede in cerca di umidità, quando questa gli viene meno, si dirige verso altre
zone, andando ad intaccare altri organi. Per far ritornare l’utero al suo posto è

4
previsto il ricorso alle fumigazioni4 (ma non sempre funzionanti e in tal caso si
consiglia anche l'atto sessuale, meglio se accompagnato da concepimento).
Secondo questa teoria, la soffocazione isterica sopraggiunge all’improvviso,
specialmente nelle donne anziane e donne che non hanno mai avuto rapporti
sessuali, piuttosto che in quelle giovani.
Nel cambiare posizione, l’utero si sovrappone al fegato aderendo ad esso,
provocando una soffocazione isterica interrompendo la via respiratoria che si
trova nel ventre.5
Le concezioni antiche che costituiscono quel ramo della medicina oggi noto
come “anatomia” si svilupparono grazie agli esperimenti di dissezione compiuti
sugli animali da Aristotele in poi e solo in età ellenistica anche sui cadaveri
umani.
L’antica tecnica consisteva nell’esplorare le parti interne dei corpi mediante un
preciso metodo scientifico individuato dall’atto di tagliare in mezzo, sezionare.
Più che di una disciplina specializzata l’anatomia per gli antichi era un insieme
di sperimentazione e di conoscenza che conobbe fasi di grande progresso ed
altre di notevole sistematizzazione della materia.
I medici ippocratici non praticando la dissezione, possedevano conoscenze
limitate delle strutture interne del corpo umano, ad eccezione delle ossa dello
scheletro. La posizione dell’utero femminile non era invece ben chiara in quanto
confondevano nervi e tendini, ma conoscevano dei condotti fibrosi adibiti al
trasporto di sangue, senza distinguere quasi mai le vene dalle arterie; perciò,
nella medicina di Ippocrate si è soliti parlare di un sistema di vasi che potevano
trasportare sangue, aria ma anche umori.
Dopo l’esperienza di Diocle di Caristo, che fu autore di un’opera anatomica
completa, la vera e propria esplosione di conoscenze anatomiche si ebbe con i
medici alessandrini Erofilo, Erasistrato ed Eudemo, che praticarono la
dissezione dei cadaveri e composero trattati di anatomia descrittiva. Essi furono
in grado di fornire descrizioni piuttosto accurate di alcuni organi principali e delle
relative membrane, vene e arterie, muscoli e nervi. La vivisezione veniva
effettuata sui criminali forniti dalle carceri da re Tolomeo. Osservarono che

4 Andorlini Isabella e Marcone Arnaldo, Medicina, medico e società nel mondo antico, Le Monnier
Università, 2007.
5 Ippocrate, Malattie delle donne, 1,7 = VIII, 32-33 ed. Littré.

5
quando questi ancora respiravano la collocazione (che prima dalla natura era
nascosta) di questi organi, il colore, la forma, la misura, la disposizione, la
durezza, … venivano compresi e visti. Non era dunque crudele, secondo le
persone del tempo, sacrificare dei criminali (e di questi un numero limitato) per
cercare mezzi per guarire intere popolazioni oneste negli anni avvenire.
Secondo il testo ippocratico Malattia delle donne (I, 1) la donna ha carni più
molli e tenere dell’uomo e ciò perché dal ventre il corpo femminile assorbe
l’umore più rapidamente ed in quantità maggiore rispetto al corpo maschile.
Un esempio riportato è quello della lana: se per due giorni e due notti si pone
una lana e una veste spessa, di peso identico, sopra dell’acqua o in un luogo
umido, si potrà constatare, tramite l’utilizzo di una bilancia, che la lana peserà
molto di più rispetto alla veste.
Questo accade in quanto la lana, rada e molle, assorbe una quantità di
esalazioni maggiori e lo stesso fenomeno si verifica anche nella donna.
Nella donna, pertanto, quando il corpo è colmo di sangue, se essa non se ne
libera e le carni restano pregne e calde, insorge il dolore.
L’uomo invece ha carne più compatta ed assorbe quanto basta per nutrire il
corpo e quest’ultimo non va incontro ad eccessi di calore, come invece succede
alla donna.

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2. Il modello monosessuale

La medicina occidentale, fino al XVIII secolo si sviluppò secondo il modello


monosessuale, ovvero il corpo maschile era assunto a forma neutra universale.
Indagando i principali trattati medici occidentali, lo storico Thomas Laqueur
segnala l’esistenza di definizioni di modelli culturali che hanno dato forma a
interpretazioni della biologia e dei rapporti sessuali.
Le prime teorizzazioni sulla sessualità considerano le donne come il rovescio
degli uomini. Specialmente nelle rappresentazioni mediche la vagina veniva
considerata come un pene interno, le labbra come prepuzio, l’utero veniva
associato allo scroto mentre le ovaie immaginate come testicoli.
Questo modello monosessuale e la sua costruzione socio-anatomica vennero
usati come retoriche per legittimare l’ordine simbolico esistente: se gli organi
genitali femminili sono da concepire come una “copia”, allora lo standard e
l’originalità devono essere riscontrati all’interno del corpo e del sesso maschile,
visione riscontrabile anche nella teoria aristotelica.

«L’uomo determina la natura del piacere della donna, il quale è sì più


prolungato, ma anche, a causa del minor calore femminile, meno intenso. Al
momento dell’escrezione dei fluidi corporei, l’uomo avverte uno spasimo più
acuto, perché maggiore è la violenza con cui essi vengono strappati al suo
sangue e alla sua carne. Le sensazioni rispecchiano l’ordine cosmico, e al
tempo stesso suggeriscono lo scintillio di una candela in un vapore di vino
resinato».6

Questi retaggi sono riscontrabili all’interno delle parole di Ippocrate di Kos (460-
377 a.C.) e Claudio Galeno (II secolo d.C.);

«La donna ha carne più molle e piena di umori, l’uomo carne più compatta. Per
questo la donna deve espellere mensilmente il sangue che ha troppo
abbondante, l’uomo invece ne assorbe quanto basta a nutrire il corpo.
Corpi maschili e femminili sono formati dalle stesse sostanze. Gli organi

6 Thomas Laquer, L’identità sessuale dai Greci a Freud, Laterza, 1992.


7
sessuali femminili sono una forma mutilata e imperfetta di quelli maschili; infatti,
sono nella donna introversi e per questo malamente sviluppati. La sterilità è una
malattia tipica ed esclusiva delle donne. Non esiste sterilità maschile».7

7 Ippocrate, Malattia delle donne.


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3. Conclusioni

La scelta di realizzare questa relazione deriva sia dal fatto che questa tematica
sarà il mio studio di ricerca per la tesi magistrale, ma ancor prima, in quanto
emotivamente e personalmente interessata a comprendere, a livello storico, la
concezione del corpo della donna, analizzandolo secondo diversi periodi e
contesti.
In questa breve relazione ho deciso di approfondire la concezione del corpo
della donna secondo filosofi e medici dell’antichità, partendo da Platone ad
Ippolito e giungendo sino ad un’analisi del modello monosessuale.
Essendo io in primis una donna malata (endometriosi e adenomiosi) mi è
sembrato utile cercare di rispondere ai quesiti che tutti i giorni, dalla diagnosi, mi
pongo, utilizzando la mia passione e i miei studi per guardare tutto questo sotto
un aspetto storico.
Ho deciso di collegare questo argomento al corso di storia culturale e sociale
della medicina in quanto, anche questa concezione, può essere riscontrabile e
ricollegabile alla tematica del “contagio” analizzata in aula.
Il mio pensiero è quello che, sin dall’antichità, come accade con il “contagio”,
anche la concezione femminile è stata tramandata da medico a medico, da
filosofo a filosofo, da uomo a uomo, riducendo la funzione del corpo femminile a
mera materia per sopportare e supportare una gravidanza e come “uomo
mancato”.
Nonostante fosse presente, già durante la scuola di Ippocrate, la vivisezione dei
corpi e nonostante fosse evidente che la diversità biologica tra uomo e donna, i
preconcetti e le teorie legate al mondo femminile non cessano di mancare e di
essere addirittura vissuti.
Il mio obbiettivo è quello, tramite queste analisi, di spiegare come mai, ancora
oggi, non vi siano sufficienti e necessari studi sulle malattie e i problemi che un
corpo femminile può recare e che, sia un diritto e non un dovere, per una donna
decidere e sentire di essere e diventare madre.
Comprendere che per secoli e contesti sociali/culturali la concezione e le
conoscenze del corpo femminile siano state tramandate per “contagio”, penso
possa essere il primo punto di partenza.

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BIBLIOGRAFIA:

• Andorlini Isabella e Marcone Arnaldo, Medicina, Medico e società nel mondo


antico, Le Monnier Università, 2007;

• Angeletti L. R., Gazzaniga V., Storia, filosofia ed etica generale della


medicina, Milano, Elsevier Masson, 2008;

• Aristotele, Politica, a cura di Richard Congreve, Londra, Parker and Son,


1855;

• Giurovich Sara, Problemi e metodi di scienza ippocratica, Edizioni


Pendragon, 2004;

• Laquer Thomas, L’identità sessuale dai Greci a Freud, Laterza, 1992;

• Willemijn Ruber, History of the body, Red Globe Press, 2019.

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