“Zeus, perché hai dunque messo fra gli uomini un ambiguo malanno, portando
le donne alla luce del sole?”
EURIPIDE, Ippolito, 616-617
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elementi o anche dal fatto che essi lasciano il loro posto per occuparne un altro,
da concepire come estraneo.
Aristotele (384/5 - 322 a.C.) invece, possedeva delle buone conoscenze in
campo medico. Suo padre, infatti, apparteneva alla corporazione degli
Ascelpiadi concludendo la sua carriera come medico di corte di Aminta II, re di
Macedonia, nonno di Alessandro Magno.
Come Platone anche Aristotele credeva fortemente sul fatto che i principi della
medicina dovessero essere riscontrati da quelli della filosofia, ma con un
atteggiamento più empirico rispetto al suo maestro.
All’interno della Politica sostenne che «i l maschio è per natura migliore, la
femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra all’obbedienza»1, riprendendo
poi questo concetto dove maggiore attenzione viene posta al tema dell’anima
spiegando che la parte razionale governa per natura su quella irrazionale. La
donna quindi, incapace di governare sé stessa, deve lasciarsi condurre e
guidare dalle facoltà deliberative del maschio.
Aristotele inoltre riteneva passivo il ruolo della donna durante il processo
riproduttivo in cui, il maschio imprime la forma, il movimento e l’anima, mentre
la madre fornisce la materia inerte, paragonabile alla cera, o al legno, che tocca
all’artigiano plasmare.2
L’interrogativo che egli si pone è se la donna «emette seme, come il maschio, e
l’essere che si forma è una mescolanza dei due semi, oppure se dalla femmina
non si ha alcuna secrezione di seme» rispondendo che la femmina non
concorre con seme alla generazione ma offre soltanto il luogo nel quale questa
si compie, si rappresenta così la donna essenzialmente come “donna-ventre” o
“donna-materia”.3
In quest’ottica la riproduzione era una necessità della vita in base alla quale
l’essenza doveva svilirsi materializzandosi, e il parto, elemento fondamentale di
questo deterioramento necessario, restava escluso dagli interessi delle scienze
astratte e quindi anche della medicina.
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All’interno di un suo scritto Donne sterili, spiega quali mezzi di “esplorazione”
utilizzare per comprendere se una donna riuscirà a con concepire o no:
“[…] se volete sapere se una donna concepirà, datele da bere a digiuno del
burro e del latte di una donna che allatta un bambino; se la donna ha dei rutti
concepirà, se no, non concepirà. Altro: applicare a mo’ di pessario un pò di olio
di mandorle amare su lana arrotolata, all’interno della vagina, e poi al mattino
verificare se il prodotto emana un odore dalla bocca. Se emana un odore
concepirà, se no, non concepirà.” 4
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Tuttavia, la teoria umorale che finì per diventare canonica è quella che ne
individua quattro: sangue, flemma, bile gialla e bile nera.
A causa del flusso di umore all’interno o all’esterno del corpo si crea una
condizione di vuoto o di eccesso che determina dolore e malattia. Viceversa, la
salute, definita positivamente, è la mescolanza equilibrata degli elementi che
costituiscono il corpo. Il movimento dei flussi all’origine del fenomeno patologico
parte di regola dalla testa.
Fondamentale per la canonizzazione della teoria umorale è lo schema
quaternario elaborato dall’anonimo autore di un trattato che risale alla metà del
IV secolo a.C., noto con il titolo di Natura dell’uomo. In quest’opera il sistema
umorale fornisce il quadro di riferimento a una serie complessa di relazioni e
corrispondenze che è alla base di una vera e propria antropologia medica. In
tale sistema, in cui si tendono ad inglobare e a spiegare il maggior numero di
problemi, l’individuazione di un sintomo consente valutazioni di carattere
eziologico e patologico e le conseguenti decisioni a livello terapeutico.
Poco spazio però all’interno del Corpus Hippocraticum è riservato alla fisiologia
del corpo femminile.
Tale rilevo minore va ricondotto al fatto che esse entrano in gioco per lo più in
un contesto clinico.
I medici ippocratici avevano conoscenze ridotte dell’anatomia della vagina e
dell’utero, ignorando anche l’esistenza delle ovaie e tube di Falloppio,
considerando l’anatomia femminile come una replica di quella maschile.
Dal punto di vista antropologico gli scritti ippocratici offrono una concezione del
corpo femminile contrassegnata da una patologica fragilità che solo una
gravidanza può salvare da una degenerazione completa. Il corpo femminile,
infatti, è destinato ad invecchiare precocemente per la sua debolezza intrinseca
e per l’impossibilità di eliminare quanto di nocivo si forma nel loro corpo
attraverso un’adeguata attività fisica.
Una delle problematiche che, i medici ippocratici sottolineano come più
comune, è la così chiamata “soffocazione isterica”: l’utero, spostandosi dalla
sua sede in cerca di umidità, quando questa gli viene meno, si dirige verso altre
zone, andando ad intaccare altri organi. Per far ritornare l’utero al suo posto è
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previsto il ricorso alle fumigazioni4 (ma non sempre funzionanti e in tal caso si
consiglia anche l'atto sessuale, meglio se accompagnato da concepimento).
Secondo questa teoria, la soffocazione isterica sopraggiunge all’improvviso,
specialmente nelle donne anziane e donne che non hanno mai avuto rapporti
sessuali, piuttosto che in quelle giovani.
Nel cambiare posizione, l’utero si sovrappone al fegato aderendo ad esso,
provocando una soffocazione isterica interrompendo la via respiratoria che si
trova nel ventre.5
Le concezioni antiche che costituiscono quel ramo della medicina oggi noto
come “anatomia” si svilupparono grazie agli esperimenti di dissezione compiuti
sugli animali da Aristotele in poi e solo in età ellenistica anche sui cadaveri
umani.
L’antica tecnica consisteva nell’esplorare le parti interne dei corpi mediante un
preciso metodo scientifico individuato dall’atto di tagliare in mezzo, sezionare.
Più che di una disciplina specializzata l’anatomia per gli antichi era un insieme
di sperimentazione e di conoscenza che conobbe fasi di grande progresso ed
altre di notevole sistematizzazione della materia.
I medici ippocratici non praticando la dissezione, possedevano conoscenze
limitate delle strutture interne del corpo umano, ad eccezione delle ossa dello
scheletro. La posizione dell’utero femminile non era invece ben chiara in quanto
confondevano nervi e tendini, ma conoscevano dei condotti fibrosi adibiti al
trasporto di sangue, senza distinguere quasi mai le vene dalle arterie; perciò,
nella medicina di Ippocrate si è soliti parlare di un sistema di vasi che potevano
trasportare sangue, aria ma anche umori.
Dopo l’esperienza di Diocle di Caristo, che fu autore di un’opera anatomica
completa, la vera e propria esplosione di conoscenze anatomiche si ebbe con i
medici alessandrini Erofilo, Erasistrato ed Eudemo, che praticarono la
dissezione dei cadaveri e composero trattati di anatomia descrittiva. Essi furono
in grado di fornire descrizioni piuttosto accurate di alcuni organi principali e delle
relative membrane, vene e arterie, muscoli e nervi. La vivisezione veniva
effettuata sui criminali forniti dalle carceri da re Tolomeo. Osservarono che
4 Andorlini Isabella e Marcone Arnaldo, Medicina, medico e società nel mondo antico, Le Monnier
Università, 2007.
5 Ippocrate, Malattie delle donne, 1,7 = VIII, 32-33 ed. Littré.
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quando questi ancora respiravano la collocazione (che prima dalla natura era
nascosta) di questi organi, il colore, la forma, la misura, la disposizione, la
durezza, … venivano compresi e visti. Non era dunque crudele, secondo le
persone del tempo, sacrificare dei criminali (e di questi un numero limitato) per
cercare mezzi per guarire intere popolazioni oneste negli anni avvenire.
Secondo il testo ippocratico Malattia delle donne (I, 1) la donna ha carni più
molli e tenere dell’uomo e ciò perché dal ventre il corpo femminile assorbe
l’umore più rapidamente ed in quantità maggiore rispetto al corpo maschile.
Un esempio riportato è quello della lana: se per due giorni e due notti si pone
una lana e una veste spessa, di peso identico, sopra dell’acqua o in un luogo
umido, si potrà constatare, tramite l’utilizzo di una bilancia, che la lana peserà
molto di più rispetto alla veste.
Questo accade in quanto la lana, rada e molle, assorbe una quantità di
esalazioni maggiori e lo stesso fenomeno si verifica anche nella donna.
Nella donna, pertanto, quando il corpo è colmo di sangue, se essa non se ne
libera e le carni restano pregne e calde, insorge il dolore.
L’uomo invece ha carne più compatta ed assorbe quanto basta per nutrire il
corpo e quest’ultimo non va incontro ad eccessi di calore, come invece succede
alla donna.
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2. Il modello monosessuale
Questi retaggi sono riscontrabili all’interno delle parole di Ippocrate di Kos (460-
377 a.C.) e Claudio Galeno (II secolo d.C.);
«La donna ha carne più molle e piena di umori, l’uomo carne più compatta. Per
questo la donna deve espellere mensilmente il sangue che ha troppo
abbondante, l’uomo invece ne assorbe quanto basta a nutrire il corpo.
Corpi maschili e femminili sono formati dalle stesse sostanze. Gli organi
La scelta di realizzare questa relazione deriva sia dal fatto che questa tematica
sarà il mio studio di ricerca per la tesi magistrale, ma ancor prima, in quanto
emotivamente e personalmente interessata a comprendere, a livello storico, la
concezione del corpo della donna, analizzandolo secondo diversi periodi e
contesti.
In questa breve relazione ho deciso di approfondire la concezione del corpo
della donna secondo filosofi e medici dell’antichità, partendo da Platone ad
Ippolito e giungendo sino ad un’analisi del modello monosessuale.
Essendo io in primis una donna malata (endometriosi e adenomiosi) mi è
sembrato utile cercare di rispondere ai quesiti che tutti i giorni, dalla diagnosi, mi
pongo, utilizzando la mia passione e i miei studi per guardare tutto questo sotto
un aspetto storico.
Ho deciso di collegare questo argomento al corso di storia culturale e sociale
della medicina in quanto, anche questa concezione, può essere riscontrabile e
ricollegabile alla tematica del “contagio” analizzata in aula.
Il mio pensiero è quello che, sin dall’antichità, come accade con il “contagio”,
anche la concezione femminile è stata tramandata da medico a medico, da
filosofo a filosofo, da uomo a uomo, riducendo la funzione del corpo femminile a
mera materia per sopportare e supportare una gravidanza e come “uomo
mancato”.
Nonostante fosse presente, già durante la scuola di Ippocrate, la vivisezione dei
corpi e nonostante fosse evidente che la diversità biologica tra uomo e donna, i
preconcetti e le teorie legate al mondo femminile non cessano di mancare e di
essere addirittura vissuti.
Il mio obbiettivo è quello, tramite queste analisi, di spiegare come mai, ancora
oggi, non vi siano sufficienti e necessari studi sulle malattie e i problemi che un
corpo femminile può recare e che, sia un diritto e non un dovere, per una donna
decidere e sentire di essere e diventare madre.
Comprendere che per secoli e contesti sociali/culturali la concezione e le
conoscenze del corpo femminile siano state tramandate per “contagio”, penso
possa essere il primo punto di partenza.
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BIBLIOGRAFIA:
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