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MEDICINA, MEDICO E SOCIETA’ NEL MONDO ANTICO

CAPITOLO 1: MEDICINA E MEDICINE

È convenzionale che ogni indagine sulle origini del pensiero medico occidentale abbia come punto di partenza il grado di

evoluzione raggiunto dalla medicina nella civiltà greca arcaica, quella preellenica pervasa da empirismo e superstizione

prima che raggiunta i connotati di scienza che caratterizza l’opera di Ippocrate e i testi del V secolo a.C.

La nozione di malattia e di medicina non nascono con Ippocrate, ma abbiamo notizie già in Oriente, a partire dalla

Babilonia, l’Egitto, la Persia e l’India. I primi medici di cui abbiamo notizie vengono dalla Mesopotamia. Nel codice di

Hammurabi sono contenute disposizioni precise su come un medico dovesse essere ricompensato o punito a seconda

degli esiti delle sue prestazioni professionali. Fu nell’Antico Egitto che i medici praticarono un’arte evoluta di cui resta

ampia traccia nei sofisticati metodi d'imbalsamazione dei cadaveri, che hanno permesso accurate ricerche sulle

patologie e sulle tecniche chirurgiche dell’epoca.

PAPIRO EBES = 1500 a.C. è il più antico testo medico che si conosca e contiene circa novecento ricette dedicate alla

cura delle malattie più varie, combattute con il ricorso ad un’accurata farmacopea ma anche all’aiuto di formule magiche

e scongiuri.

1.1 La medicina nell’età eroica

Nel mondo greco arcaico, che torna alla luce nei poemi di Omero, l’arte della medicina affonda le sue radici nel mito

dell’eroe guaritore ove l’arte della guarigione era concepita come un’arte da insegnare e da imparare.

Una tradizione importante collega le origini del sapere medico a Chirone, il migliore dei Centauri, si distinse come

educatore e maestro nell’arte della sacra medicina, arte che verrà tramandata anche da Achille istruendo l’amico

Patroclo su come cospargere le ferite dei rimedi “blandi ma efficaci”.

Altra storia omerica invece, privilegia la reputazione dell’esperienza medica proveniente dall’Egitto, popolato dai medici

della stirpe di Pèone, il medico degli dèi. Nell’Odissea, infatti, si legge di Elena che mescola il vino dei commensali con

un rimedio calmante che aveva imparato ad usare in Egitto.

L’esperienza della medicina greca può essere ricondotta a due diversi punti di vista: quello mitico-religioso che tende ad

accreditare l’origine al soprannaturale, e l’altro più laico e scientifico, che riconosce ai primi tentativi di guarigione

praticati in età arcaica una certa esperienza nell’uso di piante e droghe curative (per mano di chi ne era competente).

Qualcosa di analogo accade per l’insorgere delle malattie. Nel mondo omerico essa, solitamente, fa parte del sistema

degli dèi dell’Olimpo ed è mandata da Apollo, o da Zeus, come si vede nel passo omerico delle frecce avvelenate da

parte di una droga velenosa.

Nell’Iliade si narra delle ferite provocate ai guerrieri sul campo di battaglia e a come la lama della spada fosse quella che

mieteva più vittime, rispetto ad esempio, alla lancia di una freccia. I guerrieri sapevano bene dove colpire per lasciare

meno possibilità di vita ai nemici: sotto al diaframma e al fegato. Nei campi di battaglia, comunque, era sempre presente

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un medico, un “uomo guaritore” come Macàone descritto come colui di competente che estraeva dardi e applicava

“blandi rimedi”.

Nel complesso, l’accuratezza con la quale Omero descrive le ferite e la terminologia che addotta, fecero pensare a

diversi studiosi, che fosse un medico militare, o comunque una personalità che aveva avuto accesso a fonti di sapere

medico accumulate nei secoli.

L’origine della malattia rimane però divina con la presenza di tabù da rispettare per esorcizzare le forze maligne presenti

nella vita quotidiana indica il persistere di una dimensione magica (es. all’interno dell’Iliade viene descritta la peste che

colpì l’esercito greco durante l’assedio di Troia portata dalla collera di Apollo offeso dal modo arrogante con cui era stato

trattato il suo sacerdote Crise da parte di Agamennone.

1.2 Medicina popolare

La medicina primitiva in Grecia non ebbe connotati molto diversi dalle pratiche in uso presso altre popolazioni antiche, in

particolare quelle dell’Egitto e del mondo orientale.

Le prime tracce di farmacologia greca nei testi scritti rivelano molti punti di contatto con i contenuti e la struttura delle

ricette trasmesse dalla documentazione babilonese ed egiziana. Ci sono sufficienti argomenti per pensare che le

credenze popolari, e un certo sapere primitivo tradizionale, ebbero una parte importante nel successivo processo di

valutazione critica e di razionalizzazione che portò alla formazione di una scienza medica greca e del suo vocabolario

tecnico.

L’apporto delle tradizioni popolari continuò a giocare un ruolo rilevante nello sviluppo del pensiero medico scientifico nei

suoi vari aspetti: si pensi all’osservazione dei comportamenti degli animali, all’uso di rimedi a base di erbe scelte dai

raccoglitori di radici e al semplice e spontaneo condizionamento dei fattori ambientali e climatici. Dall’altra parte in caso
di malattia l’appello alla consulenza della divinità e dei suoi ministri, dei rituali catartici e l’uso terapeutico degli

incantesimi sono costumanze primitive che continuarono per secoli ad accompagnare, a livello popolare, la tradizione

medica scientifica e ad intrecciarsi con essa.

Indipendentemente da tutto, la medicina magica aveva successo soprattutto come extrema ratio nei casi disperati e

come medicina-rifugio di poveri e sprovveduti. Due furono le manifestazioni più evidenti della persistenza nella società di

una tradizione medica popolare:

 L’uso degli incantesimi nei rituali terapeutici;

 Il ricorso ad erbe prodigiose.

L’altro campo della medicina tradizionalmente legato alla sfera delle opinioni e delle esperienze popolari è il complesso

mondo di piante e droghe ad uso terapeutico. Si riteneva che la loro potenzialità derivasse da forze divine, se è vero che,

come tramanda Plutarco, anche il famoso medico Erofilo, scriveva che le droghe sono “la mano degli dèi”.

Nel mondo romano invece la medicina si afferma tardi ed attende per svilupparsi gli stimoli decisivi che le arrivano dal

mondo greco nel III secolo a.C. Questo non vuol dire che prima non esistesse un sapere medico a base popolare, in

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quanto esemplificativo è la prima opera completa che ci sia giunta scritta in latino, il trattato “Sull’agricoltura” di Catone il

Censore.

Meno della metà dell’opera riguarda l’agricoltura in senso stretto, e soprattutto nella seconda parte le formule magiche si

accompagnano ai consigli legali e ai suggerimenti di veterinaria e medicina generale.

Indicativo è il modo in cui secondo Catone si riduceva una lussazione: solo la recitazione di una formula poteva rendere

efficace l’immobilizzazione dell’arto; si metteva così in atto una magia di tipo “simpatico” = l’operante agiva sulle canne

spezzate come avrebbe potuto agire sull’osso; il presupposto era che il potere del guaritore si trasferisse magicamente

dalle canne al malato.

= l’attenzione in questo libro si concentra sulle qualità terapeutiche delle verdure con valutazioni nelle quali conoscenza

empiriche s’intrecciano a una ritualità di tipo magico-religioso.

Prima dell’influenza greca i Romani risentirono di quella etrusca. Gli Etruschi possedevano nozioni piuttosto evolute di

anatomia che erano funzionali all’arte di prevedere il futuro sulla base dell’ispezione delle viscere degli animali. Oggetti

offerti come ex-voto presentano produzioni degli organi interni dell’uomo (sembra in realtà, che ad essere influenzata

dagli Etruschi sia stata soprattutto l’arte divinatoria romana).

1.3 La medicina templare

Quello che conosciamo sulla medicina e sul medico del mondo greco prima della fine del V secolo a.C. consiste

essenzialmente in narrazioni più o meno leggendarie di epoca successiva.

Prima dell’avvento della medicina razionale in età classica, nella Grecia antica dominava una forma peculiare di

medicina, quella di matrice religiosa = i malati potevano rivolgersi ad una vasta gamma di dei e semidei. Il primo dio

greco in senso cronologico attestato con le funzioni di guaritore sembra essere Pèone, che nei poemi omerici compare
come il medico degli dèi.

La pratica della medicina templare può essere studiata attraverso due principali tipi di documento:

 Gli Iàmata di Epidauro, ovvero le registrazioni di cure divine incise sulla pietra e poste su una parete di un

portico;

 Le testimonianze del sofista Elio Aristide del II secolo d.C. che trascorse ben diciassette anni nel santuario di

Pergamo.

Il culto che maggiormente veniva professato era quello del dio Ascelpio, figlio di Apollo, inteso come vero e proprio

guaritore. Si narra anche che durante la notte, successivamente a diversi rituali *, giungesse in sogno per curare ad

esempio la cecità dei suoi fedeli che si risvegliavano guariti = templi in suo onore che successivamente diverranno case

di cura o dei sanatori per pellegrini.

*normalmente erano degli ex voto, quindi doni fatti alla divinità per il suo intervento benefico o donati ancora prima per

suscitare la sua benevolenza.

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CAPITOLO 2: L’EVOLUZIONE DELLA MEDICINA ANTICA

2.1 Dalla medicina preippocratica a Ippocrate: l’arte medica come scienza

La nostra conoscenza della letteratura medica greca anteriore alle opere del Corpus Hippocraticum è molto ridotta.

L’unico medico preippocratico delle cui teorie abbiamo qualche conoscenza diretta è Alcmeone di Crotone, vissuto

intorno al 500 a.C.

La sua teoria medica rivela una forte propensione a servirsi della filosofia quando questa soddisfa il suo scopo. Egli si

distacca nettamente da Omero, rifiutando l’idea che le malattie avessero un’esistenza a sé stante, ed è il primo a fornirci

una definizione sui concetti di SALUTE e MALATTIA.

 La prima è l’equilibrio e la mescolanza delle qualità costitutive dell’uomo (umido, secco, caldo, freddo, amaro,

dolce e così via);

 La seconda consiste nel predominio di una delle qualità sopra citate.

Un’influenza significativa sulla storia successiva della medicina fu esercitata dalla dottrina di Empedocle di Agrigento (V

secolo a.C.), in base alla quale gli umori costitutivi del corpo umano furono ridotti al numero di quattro: flegma, sangue,

bile gialla e bile nera. Il principio secondo cui la salute era il risultato dell’equilibrio fisico, e della giusta proporzione tra le

componenti umorali, ebbe importanti conseguenze. Alla dietetica, nella sua accezione più ampia, fu riservato ampio

spazio, in quanto il medico prescriveva una dieta ferrea con particolari pratiche igieniche e opportuni cambiamenti del

clima per ristabilire l’ordine di questi quattro umori.

Ippocrate e il Corpus Hippocraticum

È caratteristico del pensiero antico attribuire momenti fondamentali di svolta storica, culturale e letteraria all’opera di un

unico individuo. È alla sola azione di Ippocrate che è ricondotta la maturazione del pensiero medico che si verifica in

quest’epoca.

Pochi sono i dati sicuri della sua vita. Sappiamo che la sua nascita è fissata intorno al 460 a.C. nell’isola di Coo.

Apparteneva alla famiglia degli Asclepiadi che facevano risalire la propria origine al dio Asclepio e che da varie

generazioni esercitava l’arte della medicina (figura come autore di oltre settanta trattati, tutti scritti in greco ionico, la

lingua scientifica del tempo).

Bisogna tenere conto che molti dei trattati ippocratici sono stati concepiti come dei manuali finalizzati all’esercizio della

medicina da parte dei professionisti del tempo.

Platone, Aristotele e la sua scuola

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Le conoscenze mediche di Platone (427-347 a.C.) non sembrano essere dirette, ma derivanti probabilmente, oltre che

dai medici anche dai filosofi della natura, contemporanei e anteriori, ma rimangono da considerarsi delle teorie notevoli

per il grado di sistematicità che presentano.

Platone elaborò una concezione elevata della medicina come scienza del corpo in quanto la vera scienza si pone il

problema della conoscenza delle cause, un’impostazione che la rende superiore ad altre competenze e che le qualifica

come arte. La causa, infatti, delle malattie secondo questi è evidente per tutti in quanto il corpo è composto di terra,

fuoco, aria e acqua e i disordini e le malattie nascono dalla prevalenza o dalla parziale o totale mancanza di questi

elementi o anche dal fatto che essi lasciano il loro posto per occuparne un altro, da concepire come estraneo.

La spiegazione di Platone alle psicopatologie merita attenzione = come i suoi predecessori ne rifiuta l’origine

sovrannaturale e la considera alla stregua di normali affezioni fisiche. La sua analisi si basa sulla teoria dell’anima

tripartita ove le due principali psicopatologie identificate sono la follia e la stupidità letargica, spiegate come un’incapacità

della ragione ad avere il controllo sul resto dell’anima e sono da lui attribuite a tare genetiche ereditate dai genitori

oppure a cattiva educazione.

Aristotele (384/5 - 322 a.C.) invece, possedeva delle buone conoscenze in campo medico. Suo padre, infatti,

apparteneva alla corporazione degli Ascelpiadi concludendo la sua carriera come medico di corte di Aminta II, re di

Macedonia, nonno di Alessandro Magno.

Come Platone anche Aristotele credeva fortemente sul fatto che i principi della medicina dovessero essere riscontrati da

quelli della filosofia, ma con un atteggiamento più empirico rispetto al suo maestro. Un passo in avanti venne fatto da

Aristotele identificando il cuore come l’organo dal quale si diparte la circolazione del sangue + interesse tra uomo e

natura che, come per la tradizione ippocratica, la natura viene considerata il fondamento di ogni corretta terapia.

ESAMI DI FECONDITA O STERILITA: “[…] se volete sapere se una donna concepirà, datele da bere a digiuno del burro

e del latte di una donna che allatta un bambino; se la donna ha dei rutti concepirà, se no, non concepirà. Altro: applicare

a mo’ di pessario un po’ di olio di mandorle amare su lana arrotolata, all’interno della vagina, e poi al mattino verificare se

il prodotto emana un odore dalla bocca. Se emana un odore concepirà, se no, non concepirà.”

2.2 La medicina dell’età ellenistica e le prime scuole mediche

La scuola alessandrina. Erofilo ed Erasistrato

La medicina razionale greca conosce il suo pieno sviluppo ad Alessandria d’Egitto, la città fondata da Alessandro Magno

sulla costa del Mediterraneo nel 331 a.C. ove l’ambiente cosmopolita offrì ai medici emigranti la possibilità di condurre in

piena liberà le loro ricerche.

Prima di recarsi ad Alessandria, Erofilo aveva studiato con Prassagora di Coo le cui pionieristiche intuizioni anticiparono

alcune scoperte del grande alessandrino. Era arrivato molto vicino alla scoperta del sistema nervoso e pervenne alla

distinzione tra arterie e vene, attribuendo la pulsazione alle sole arterie e assegnò al polso una funzione importante nella

diagnosi e nella terapia.

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Le ricerche anatomiche di Erofilo e Erasistrato ebbero come esito le sensazionali scoperte compiute ad Alessandria nel

corso del III secolo a.C. Alla base di queste scoperte c’era il ricorso sistematico alla dissezione degli animali, già

praticata al Liceo da Aristotele, e soprattutto a quella legata ai cadaveri legata all’uso rituale egiziano della loro

imbalsamazione (sembra accertato anche il ricorso alla vivisezione) = metodo che scomparve subito dopo la morte dei

due medici citati.

Grazie agli studi del cervello, Erofilo, pervenne alla distinzione tra cervello e cervelletto, dove aveva sede, secondo lui, il

principio regolatore del corpo umano, e dimostrò l’origine e la direzione dei nervi in partenza dal cervello e dal midollo

spinale. Dopo aver scoperto la funzione dei nervi pervenne alla distinzione tra nervi sensitivi e motori e riuscì a

individuare i nervi ottici che vanno dal cervello all’occhio + teorie sulla pulsazione.

Erasistrato conseguì ulteriori risultati nelle ricerche anatomiche e fisiologiche, grazie alla pratica della dissezione dei

cadaveri ed anche alla vivisezione. Le sue opinioni sull’impotenza e sulla struttura del cuore sembrano segnare un

progresso rispetto a Erofilo, a lui si deve la scoperta delle funzioni coordinate delle quattro valvole del cuore. + dimostra

che è il cuore a causare il battito del polso, agendo come una sorta di pompa, avvicinandosi così a quella che è oggi

considerata la verità scientifica. Dal punto di vista clinico adottò il criterio della prevenzione, rigettando metodi di cura

drastici come la flebotomia; secondo lui un regime alimentare idoneo è superiore a qualsiasi terapia d’urto. La sua

preferenza andava ai metodi evacuanti, ai bagni di vapore e all’astinenza dal cibo.

La formazione di una terminologia medica

Tra i meriti di Erofilo si deve ricordare il suo contributo allo sviluppo di una specifica terminologia medica che non

esisteva sino a quel momento.

Alla formazione di una lingua tecnica medica contribuì dunque, nel panorama generale dello sviluppo culturale e

scientifico in Alessandria, l’opera di esegeti e lessicografi svolta dai medici erofilei e poi proseguita intensamente dagli

esponenti della scuola empirica. È interessante segnalare, l’innovazione di carattere scientifico, testuale e bibliologico

introdotto da Apollonio di Cizio. Le novità che introduce sono le illustrazioni che accompagnano i passi estratti da

Ippocrate, offrendo un esempio concreto di una rinnovata concezione del libro tecnico in cui il testo è spiegato

dall’immagine che ne costituisce il naturale completamento.

NOMENCLATURA =

 il modo più facile è che il nome derivasse dalla parte del corpo interessata;

 il nome poteva derivare dal modo in cui l’affezione si presentava, dal suo aspetto esteriore.

Es. “cornea” = dal greco “simile al corno”

“retina” = dal neologismo per significare “simile a una rete”.

I nomi di malattia che compaiono nel Corpus Hippocraticum sono numerosi e alcuni di essi si ritrovano e utilizzano

ancora oggi (artrite, asma, cancro, colera, …).

Le scuole mediche

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Gli Empirici sono la prima scuola che compare ad Alessandria. Si tratta di un fenomeno nuovo rispetto al passato poiché

le scuole precedenti, erano iniziate come denominazioni locali di medici che avevano tradizioni comuni sia di dottrina che

di terapia.

Rappresentano il primo esempio di setta medica. Si opponevano all’eccesso di teoria che ritenevano dominasse in

Alessandria. Sulla base di un’impossibilità di una conoscenza assoluta nel campo della medicina, essi rifiutavano la

fisiologia sistematica che comprende anche quanto non direttamente accessibile attraverso i sensi; pertanto, nell’esame

delle malattie essi si basavano solamente su quanto potessero analizzare e vedere direttamente.

L’arte medica si fonda dunque sull’esperienza personale costituita dall’accumulo delle esperienze particolari, sulla

trasmissione dei dati osservati da altri e sulla transizione per similitudine.

2.3 La medicina dell’età imperiale

Medici ed enciclopedisti nel I secolo d.C.

Il primo e forse il solo manuale sistematico di medicina che ci sia prevenuto dall’antichità, scritto intorno al 30 d.C., è

quello di Aulo Cornelio Celso, iniziatore di una letteratura medica latina.

La sua opera “Medicina” in otto libri faceva parte di un’enciclopedia generale dei saperi che intendeva rivolgersi a un

pubblico eterogeneo di persone ricche e interessate anche all’agricoltura e alle cose militari. Essa rappresenta un

compendio di tutto il sapere medico del tempo, dalla dietetica alla farmacologia alla chirurgia.

Una parte storiografica è riservata all’origine e allo sviluppo della medicina fino alla nascita delle scuole mediche delle

quali illustra le posizioni e il dibattito interno. Il corpo dell’opera è poi dedicato al regime, di cui descrive i principi e le

varie tipologie applicate ai casi singoli.

Le conoscenze anatomiche e fisiologiche messe in luce nel manuale di Celso sono funzionali agli scopi terapeutici. Il

metodo di trattazione consiste nel passare da argomenti più generali ad altri più specifici, per lo più ispirati alla varietà

degli individui e dei fattori ambientali. La composizione risulta perciò articolata in sezioni e sottosezioni: così per ogni

malattia ci sono i segni più generali, quelli specifici dei diversi tipi di malattie, quelli che indicano aggravamento o

miglioramento; inoltre, ci sono le concomitanze delle stagioni e delle costituzioni individuali dei pazienti. Ogni quadro è

seguito dalla descrizione delle terapie, anch’esse suddivise in classi di intervento generali e specifici.

Galeno

Nessun medico nel mondo antico acquisì la fama e il prestigio conseguiti da Galeno nella seconda metà del II secolo

d.C., destinati a rimanere ineguali nella cultura occidentale e araba sino al Rinascimento.

Galeno era nato a Pergamo, in Asia Minore, nel 129 o 130 d.C. Suo padre Nico era un architetto che si era distinto nella

progettazione di alcuni edifici importanti della sua città. Un sogno lo indusse ad avviare il figlio allo studio della medicina

e della filosofia. Galeno menziona come suo primo insegnante di medicina un certo Satiro, professore a Pergamo. La

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svolta nella sua carriera fu determinata dal suo arrivo a Roma nel 162. Qui il filosofo peripatetico Eudemo lo presentò a

Flavio Boeto, un personaggio di rango consolare di origine siriaca. Galeno aveva curato la moglie e il figlio di Boeto e,

quando questi partì per assumere il governo della provincia di Siria-Palestina, gli chiese alcuni suoi scritti utili da

consultare.

Nello stesso periodo in cui Galeno costruiva la sua fama e la medicina razionale conosceva il suo apice, si assiste alla

rinnovata fortuna del culto di Asclepio e della medicina religiosa, che punta alla terapia della psiche.

Fu probabilmente grazie al sostegno di Boeto che Galeno poté presentare in pubblico una serie di dimostrazioni

anatomiche che proseguirono forse per ben tre anni meritando l’attenzione di personalità eminenti. Grazie alle sue

capacità e alle sue relazioni Galeno entra in contatto con i circoli più influenti di Roma. Tuttavia, le sue denunce del

comportamento di alcuni colleghi, che giudicava scorretto o, comunque, meno rigoroso del suo, gli guadagnarono una

forte ostilità nell’ambiente medico.

La produttività di Galeno è prodigiosa: da una stima attendibile i 20 volumi che raccolgono gli scritti giunti sino a noi,

secondo l’edizione moderna stampata a Lipsia nel 1821 e 1833, rappresentano forse solo un terzo di quanto da lui

effettivamente scritto. Tra i meriti che gli vengono riconosciuti c’è quello di aver collocato la medicina in un contesto

culturale e sociale.

Nel suo sistema rimane fondamentale la teoria dei “quattro umori” come componenti del corpo. Galeno comprese

l’esistenza di cause come elementi scatenanti delle malattie, prescrisse regimi terapeutici idonei ma anche molte

medicine, sempre nel rispetto del benessere del malato. La sua anatomia fu basata sullo studio degli animali, in quanto

la dissezione umana era illegale. Nella fisiologia riconobbe il principio vitale dello “pneuma” come fattore determinante

della respirazione e dei movimenti del sangue.

Per comprendere la sua fama basti pensare che durante il Medioevo, l’Umanesimo e il Rinascimento sfruttarono il suo

nome per mettere in circolazione una serie di trattati estratti dall’opera originale creando una consistente produzione di

scritti pseudo-epigrafi, quei trattati noti ai più come “pseudo-galenici”.

2.4 Medici e compilatori in età tardoantica e bizantina

Con Galeno si chiude la grande stagione della medicina antica. Ma i nomi non smettono di essere presenti.

Allo stesso genere di trattazioni enciclopediche che rappresentano una sintesi della medicina precedente e, a volte

anche costituite sulla base di fonti attendibili e antiche, appartengono i 16 “Libri di medicina” di Ezio di Amida, che aveva

studiato ad Alessandria agli inizi del VI secolo. La sua produzione consiste per lo più nel collezionare estratti selezionati

da Dioscoride e da Galeno.

I primi libri sono dedicati alla raccolta delle droghe e dei rimedi semplici. A questa parte seguono i libri contenenti sezioni

diagnostiche e terapeutiche, suddivise per generi di malattie e di rimedi, con riferimenti precisi ed espliciti alla tradizione

precedente. Due trattazioni piuttosto originali sono riservate ad oftalmologia (oculistica) e ginecologia.

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CAPITOLO 3: MALATI E MALATTIE

3.1 Ambiente e clima

Nel processo di concettualizzazione delle malattie nel mondo antico, e quindi nella loro classificazione, ebbero un ruolo

importante l’area geografica e l’habitat naturale. Per cui le teorie nosologiche e diagnostiche elaborate dai medici furono

condizionate dall’osservazione di molteplici fattori esterni.

Tra le acquisizioni della medicina ippocratica c’è la considerazione della componente climatica nell’insorgere delle

malattie, come naturale conseguenza della concezione della malattia come squilibrio prodotto da cause esterne ed

interne, e del corpo umano come insieme di fluidi. La componente climatica è valorizzata perché si tende a stabilire una

relazione tra condizioni ambientali e malattie, ponendo attenzione alla ricorrenza di determinati morbi in ambienti

compatibili.

Per Ippocrate i repentini cambiamenti climatici, come l’esposizione al sole o al fuoco, con il successivo raffreddamento,

sono le cause scatenanti degli attacchi epilettici. Un ruolo centrale è assegnato al cambiamento dei venti; in particolare si

ritiene che l’effetto liquefacente delle sostanze liquide del cervello sia provocato dal malefico vento del Sud. Di

conseguenza nelle zone esposte a questi venti, caldi e umidi, prevalgono le malattie umide e flegmatiche (diarrea), nei

luoghi invece esposti ai venti freddi e secchi del Nord dominano le malattie secche e biliose (pleurite, polmonite).

Esemplare è il caso delle afte descritte dai medici antichi come ulcerazioni biancastre, infiammate e superficiali, che si

producevano nelle parti molli della bocca, soprattutto dei neonati; la loro insorgenza veniva attribuita al latte non buono o

alla malnutrizione.

Anche il ciclo patologico era condizionato dalle stagioni, per cui tutte le malattie che insorgono in inverno devono

fermarsi con l’estate. Il medico, deve aver presente, quando si oppone alle malattie, che ciascuna di esse domina nel

corpo secondo la stagione che è conforme alla sua natura.

Si potrebbe facilmente affermare che la meteoropatologia, la scienza che studia i rapporti tra patologie umane e i

fenomeni meteorologici, nasce con Ippocrate. Non solo le stagioni, infatti, ma anche i movimenti celesti, il sorgere e il

tramontare degli astri, potevano influire sulla salute e sulla malattia = il medico doveva avere anche una certa

competenza dei fatti meteorologici, perché per gran parte l’astrologia contribuisce alla medicina (Ippocrate).

3.2 Patologie e diagnosi

Già al tempo di Ippocrate il panorama delle malattie conosciute si presentava assai vasto. Il medico ippocratico deve

confrontarsi con una grande quantità di affermazioni che tenta di organizzare secondo criteri diversi, tenendo conto del

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bagaglio speculativo del suo tempo. Le riflessioni sulla natura elaborate dai primi filosofi meritarono l’interesse dei medici

ippocratici.

Nella costruzione di una teoria patologica complessa rientravano non solo le modificazioni della salute dovute ai luoghi e

al clima, ma anche quelle che dipendono dalla natura del malato, in qualche modo congenite, e dall’età = il medico è

consapevole, per esempio, che nelle persone anziane si manifestano difficoltà respiratorie di vario genere, e che

glaucomi e peggioramento dell’udito sono all’ordine del giorno.

Un’altra classificazione importante riguarda le malattie individuali e quelle generali, cioè che colpiscono un gran numero

d’individui allo stesso tempo. Le febbri, ad esempio, venivano classificate come delle vere e proprie malattie distinguibile

in base alla loro frequenza: la classificazione fondamentale riguardava la febbre continua, quella quotidiana, la terzana e

la quatrana.

Uno strumento diagnostico del tutto nuovo basato sulla nozione del polso arterioso fu acquisito dai medici del periodo

ellenistico e mantenuto in seguito = consisteva nel misurare la frequenza del polso per rivelare il battito normale e di

diagnosticare la deviazione dalla norma come un fatto patologico.

Una certa importanza è rivestita anche dal contesto sociale in cui si svolgeva la professione medica. Per il medico

itinerante protagonista delle opere ippocratiche la tecnica prognostica aveva una chiara finalità pratica, offrendo un

riscontro immediato per verificare la competenza del medico. Data la precarietà delle sue conoscenze, la prognosi gli

consentiva di distinguere in modo efficace le realtà patologiche all’interno della casistica e di orientarsi sulla base del

ripetersi di determinate tipologie di malanni. Un metodo di questo tipo aveva lo scopo di porre il medico nelle condizioni

di formarsi un’opinione e, quindi, di formulare delle previsioni sul decorso della malattia tenendo conto della storia clinica

del paziente.

La teoria degli umori

E’ caratteristico della fisiologia ippocratica, in cui è assente la nozione stessa di organo a causa della mancanza di

conoscenze anatomiche sistematiche, lo sviluppo di un concetto fluido del corpo. La salute è considerata come una

situazione di equilibrio, di contemperamento positivo dei liquidi. La diversa individuazione dei fluidi corporei determinò

una serie di controversie dottrinali. Tuttavia, la TEORIA UMORALE che finì per diventare canonica è quella che ne

individua quattro: sangue, flemma, bile gialla e bile nera.

A causa del flusso di umore all’interno o all’esterno del corpo si crea una condizione di vuoto o di eccesso che determina

dolore e malattia. Viceversa, la salute, definita positivamente, è la mescolanza equilibrata degli elementi che

costituiscono il corpo. Il movimento dei flussi all’origine del fenomeno patologico parte di regola dalla testa.

Fondamentale per la canonizzazione della teoria umorale è lo schema quaternario elaborato dall’anonimo autore di un

trattato che risale alla metà del IV secolo a.C., noto con il titolo di “Natura dell’uomo”. In quest’opera il sistema umorale

fornisce il quadro di riferimento a una serie complessa di relazioni e corrispondenze che è alla base di una vera e propria

antropologia medica. In tale sistema, in cui si tendono ad inglobare e a spiegare il maggior numero di problemi,

l’individuazione di un sintomo consente valutazioni di carattere eziologico e patologico e le conseguenti decisioni a livello

terapeutico.

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Galeno accolse la teoria di Ippocrate dei quattro umori fondamentali, che tentò di collegare ai quattro maggiori elementi e

alle quattro qualità sensoriali: caldo, freddo, umido e secco. Il corpo era costituito dall’unione di qualità e di elementi, e il

buon funzionamento delle singole parti e degli organi dipendeva dall’ottimale combinazione di elementi e di facoltà, che

permettevano loro di comportarsi adeguatamente.

La teoria umorale nella sua sistemazione definitiva realizzata da Galeno giunge con poche varianti sino all’età moderna.

3.3 Malattie epidemiche

Il concetto di malattia epidemica nel mondo antico è ben diverso da quello moderno: al tempo di Ippocrate “epidemia” e

“epidemico” designano, in contrasto con le malattie individuali, quelle patologie che affliggono un gran numero di

individui in un determinato luogo e tempo. Ma da questa concezione è esclusa l’idea della trasmissione della malattia da

un soggetto all’altro: il contagio che invece caratterizza l’accezione moderna della parola “epidemia” nel linguaggio

medico dal XIX secolo ad oggi.

Una famosa descrizione ippocratica di un fatto epidemico è la cosiddetta “tosse di Perinto”, una importante località

portuale della Tracia. Questa tosse, che ebbe una diffusione “epidemica” e che viene diversamente identificata dagli

interpreti moderni, esordì alla fine di dicembre dopo un autunno lungo e denso di stranezze climatiche. Alcune di queste

tossi durano poco, altre più a lungo e ad alcune di queste seguono casi di peripneumonie. In parte diversi medici la

riconobbero come una sindrome influenzale e altri in segni d’infezione = nessuno come una pestilenza ma come una

grave sindrome influenzale.

3.4 Igiene e terapia

La prima tappa di un buon regime consisteva nell’adottare l’alimentazione alla natura umana attraverso un’accurata

cucina, che comprendeva cottura e miscelazione degli alimenti. Per prescrivere al malato un regime alimentare il medico

deve conoscere la proprietà degli alimenti solidi e liquidi, e il lungo trattato ippocratico intitolato “Regime” contenente una

grande quantità di informazioni su alimentazione e cucina nella Grecia classica. L’orzo in particolare è il cereale che sta

alla base del regime consigliato ai malati da Ippocrate, soprattutto nella forma della tisana d’orzo (adatto ai malati di

malattie acute).

Il procedimento normale era quello di mantenere libero l’apparato digerente e i malati più deboli dovevano astenersi dai

cibi solidi, e limitarsi alle bevande, per lo più acqua, vino ma anche mellicrate (miele mescolato con altro liquido). Il vino è

in genere efficace in quanto astringente, ma è opportuno passare dal vino rosso a quello bianco nel caso che il primo non

faccia bene.

Gli esercizi fisici potevano consistere in passeggiate, corse, ed erano accompagnati da frizioni e massaggi. Anche i

bagni praticati al malato mediante aspersione del corpo, fanno parte del bagaglio terapeutico ippocratico ed hanno lo

scopo di umidificare il corpo (particolarmente frequenti sono i bagni di vapore che fanno sudare il corpo).

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L’intervento medico classico consisteva nel tagliare e bruciare. Lo strumento chirurgico (il ferro) serviva per il salasso,

con il quale si eliminava il male espellendo i liquidi impuri = lo si praticava soprattutto nel braccio, alla piega del gomito,

alla caviglia, nella regione sublinguale e alla testa. Il ricorso al fuoco (bruciatura), con la quale si procedeva all’intervento

drastico del cauterizzare, era considerato un rimedio estremo per sbarrare il cammino del male.

La somministrazione dei rimedi aveva soprattutto lo scopo di evacuare le cavità del corpo: si trattava di eliminare

l’eccesso di umore ritenuto responsabile della malattia.

Alcuni studiosi moderni, inoltre, hanno riconosciuto nell’ipocondria un disturbo psichico causato dall’ansia per la salute.

CAPITOLO 4: MEDICI E SPECIALISTI

4.1 Anatomia

Le concezioni antiche che costituiscono quel ramo della medicina oggi noto come “anatomia” si svilupparono grazie agli

esperimenti di dissezione compiuti sugli animali da Aristotele in poi e solo in età ellenistica anche sui cadaveri umani.

L’antica tecnica consisteva nell’esplorare le parti interne dei corpi mediante un preciso metodo scientifico individuato

dall’atto di tagliare in mezzo, sezionare. Più che di una disciplina specializzata l’anatomia per gli antichi era un insieme di

sperimentazione e di conoscenza che conobbe fasi di grande progresso ed altre di notevole sistematizzazione della

materia.

I medici ippocratici non praticando la dissezione, possedevano conoscenze limitate delle strutture interne del corpo

umano, ad eccezione delle ossa dello scheletro. La posizione dell’utero femminile non era invece ben chiara in quanto

confondevano nervi e tendini, ma conoscevano dei condotti fibrosi adibiti al trasporto di sangue, senza distinguere quasi

mai le vene dalle arterie; perciò, nella medicina di Ippocrate si è soliti parlare di un sistema di vasi che potevano

trasportare sangue, aria ma anche umori.

Dopo l’esperienza di Diocle di Caristo, che fu autore di un’opera anatomica completa, la vera e propria esplosione di

conoscenze anatomiche si ebbe con i medici alessandrini Erofilo, Erasistrato ed Eudemo, che praticarono la dissezione

dei cadaveri e composero trattati di anatomia descrittiva. Essi furono in grado di fornire descrizioni piuttosto accurate di

alcuni organi principali e delle relative membrane, vene e arterie, muscoli e nervi. La vivisezione veniva effettuata sui

criminali forniti dalle carceri da re Tolomeo. Osservarono che quando questi ancora respiravano la collocazione (che

prima dalla natura era nascosta) di questi organi, il colore, la forma, la misura, la disposizione, la durezza, … venivano

compresi e visti. Non era dunque crudele, secondo le persone del tempo, sacrificare dei criminali (e di questi un numero

limitato) per cercare mezzi per guarire intere popolazioni oneste negli anni avvenire.

+ Ginecologia che è presente nella mia relazione, quindi studiare da lì.

CAPITOLO 5: MEDICO E MALATO

5.1 L’etica del medico

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La via verso la guarigione ha tre protagonisti in quello che si usa definire “il triangolo ippocratico”: il malato, il medico e la

malattia. Da una parte è decisiva l’esperienza personale del medico per una corretta definizione della terapia, dall’altra si

tiene conto della difficoltà che il malato incontra nell’enunciare i caratteri della sua malattia. Nel rapporto tra medico e

malato la tecnica ippocratica raccomanda di non tormentare inutilmente i malati, di essere compiacenti nel concedere ciò

che è piacevole e gradito al malato, in quanto come dirà anche Galeno, questo servirà per rendere il paziente

maggiormente docile e collaborativo.

Altro aspetto caratteristico è da parte del medico rifiutare sospetti di ciarlataneria, arrivismo e avidità: il medico deve

essere di costumi irreprensibili, dotato di seria autorevolezza e di umanità al tempo stesso, evitando di apparire petulante

o troppo alla mano. I comportamenti scorretti sono giudicati volgari e controproducenti in quanto confondono il buon

medico con gli imbroglioni e ciarlatani.

Nel mondo romano si apprezza moltissimo il medico che si applica sempre con maggiore consapevolezza e

compassione verso chi soffre. Il medico ideale è quello che agisce con efficacia in tutti e tre gli ambienti dell’area medica

(dietetica, farmacologia e chirurgia), pur ispirandosi alla prudenza, non sottraendosi però ai rimedi estremi.

È peraltro fuori luogo ritenere la letteratura specialistica non idonea della medicina popolare. La professione medica a

Roma era aperta, oltre che ai discussi professionisti provenienti dalla Grecia e dall’Oriente, anche ai mestieranti e a

personaggi sinistri che non esitavano ad aggravare deliberatamente le malattie che erano chiamati a curare. La figura del

medico avvelenatore conosce una sua fortuna a livello di oratoria giudiziaria come risulta da due discorsi di Cicerone.

Il medico ideale, per Galeno, deve essere “filosofo” nel senso che, per esercitare in modo adeguato la professione, deve

essere competente nei tre grandi rami della filosofia: logica, fisica ed etica. La logica è un requisito indispensabile per

procedere secondo un metodo rigoroso; la fisica è fondamentale per la conoscenza dell’anatomia; l’etica fornisce infine

al medico i valori rispetto ai quali orientare il suo comportamento.

La polemica di Galeno verso i cattivi medici non è diretta solo contro specifiche deficienze nelle capacità cliniche o

terapeutiche, quanto contro la mancanza di un quadro di riferimento culturale. Questo è vero soprattutto per quelle sette

che negavano la possibilità di poter prevenire a una qualsiasi conoscenza sicura della natura delle cause limitandosi ai

fenomeni osservabili.

Le meraviglie del corpo umano richiedono che la loro realizzazione sia stata prodotta da una qualche forma di entità

divina (chiamata natura), ma esse non forniscono alcuna informazione oltre a quella del potere e della provvidenzialità di

questo creatore. In questo il pensiero di Galeno si avvicina così, malgrado qualche differenza non secondaria, alla

concezione stoica della natura come provvidenza.

5.2 La responsabilità del malato

Nella professionalità del medico antico ad un’altra coscienza dei propri doveri e dei propri errori corrispondeva altrettanta

consapevolezza della inadeguatezza dei malati.

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Spesso ritratto come ignorante dei propri malanni, timoroso e angosciato, il paziente non collabora, trascura le

prescrizioni ricevute e il regime salutare, mettendo a rischio non solo la propria vita ma anche la reputazione del medico

curante.

Per conto, i medici non risparmiano recriminazione o rimproveri nel caso che il malato non abbia pazienza nel seguire le

terapie, oppure una volta scomparsa la sofferenza dimentichi tutte le prescrizioni ricevute fino ad incorrere in una

ricaduta.

Nella dialettica medico-malato circa le regole da rispettare durante la cura, le costanti lamentele del medico scrupoloso

riguardano sia la questione del ricorso a terapie non avallate dalla scienza medica, sia l’inosservanza da parte del

soggetto sottoposto a terapia delle norme prescritte per tutto il tempo necessario. In sostanza il malato è ragionevole e

diligente solo quando soffre e ha davvero paura di morire.

Diverso è il rapporto tra medico-malato quando il secondo si tratta di una donna in quanto questa possiede una

consapevolezza del suo corpo e dei segni delle proprie malattie collaborando necessariamente alla costituzione del

quadro clinico.

La negligenza del paziente, comunque, è aspramente censurata dai professionisti dell’età romana, tanto più quando il

comportamento credulone o pusillanime si presenta ad essere sfruttato dai soliti medici disonesti che confondono

volentieri la propria imperizia con quella del malato.

5.3 Il cristianesimo e la medicina

L’avvento del cristianesimo segna un accresciuto interesse per la figura del malato. Nella mentalità cristiana i tre soggetti

sopra citati, sono equiparati in una sorta di equazione che non è solo metaforica:

il peccatore si pone rispetto al Cristo Salvatore = il malato sta di fronte al medico

Un malato che non si rende conto della sua condizione è paragonato a un peccatore ostinato che rifiuta la via della

salvezza. Il motivo del Cristo-medico è tipico della letteratura di S. Gerolamo che arriva a definirlo come “quasi un

Ippocrate spirituale”.

In una scala gerarchica delle discipline la medicina occupa per i cristiani una posizione intermedia tra la filosofia e la

teologia. A livello generale risulta che gli autori cristiani trattano di medicina in modo diffuso soprattutto in opere

esegetiche o ascetiche indirizzate ad un pubblico colto.

+ si creano nuove strutture che prendono il nome odierno di ospedali e che venivano differenziati per il tipo di cura che

all’interno si voleva cercare di ospitare (ospedale, ospizio per stranieri, ospizio dei poveri, lebbrosario).

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