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RIASSUNTO DELL’ECO DI BROWN

Le innovazioni hanno portato dei cambiamenti a livello sociale, quindi la storia progredisce e fa un
passo in avanti. Questo discorso della medicina lo dobbiamo vedere all’interno della vicenda del
progresso sociale, di questo vivere civile che migliora anche attraverso l’impatto che determinate
scoperte scientifiche e che determinate scelte democratiche hanno portato proprio nel contesto
della società. Questo progresso della società si lega ai contesti sociali entro i quali avvengono questi
progressi cioè anche a livello cittadino urbano, in particolare nascono i luoghi della medicina,
l’università si modifica attraverso uno studio che diventa sempre più sostanziale, la città si modifica
con la costruzione del sanatorio, dell’ospedale, della clinica in progressione. Questo contesto poi
viene infarcito di incursioni di tipo politico, amministrativo, sociale, quindi dobbiamo ritenerlo
importante in questo senso. La medicina affonda le sue radici in epoca antica, Esculapio era il dio
della medicina, il mito ci racconta che era figlio di Apollo e di una ninfa e che poi venne iniziato
all’arte medica, stiamo pensando però ancora ad una cosa molto legata al mito cioè a quel tipo di
medicina legata alla magia. Quello che fa la differenza è Ippocrate che, nonostante sia un
personaggio di IV sec. a.C., rappresenta una novità in questo contesto, intanto perché lui è il primo
che davvero in maniera sostanziale cerca di passare quel misticismo e capisce che,
fondamentalmente, bisogna cercare di oggettivare la malattia. Ippocrate parte dagli elementi della
natura quindi l’aria, il fuoco, la terra e l’acqua, lega questi elementi della natura legati ai fluidi
corporei quindi il sangue, la bile, il muco (quello che si conosceva, che era visibile) era convinto che
tutto questo fosse il fondamento della malattia, cioè lo squilibrio di questi umori legati a questi
elementi esterni portava alla malattia. Ippocrate per primo cambia l’approccio al malato, per primo
comincia a comprendere che bisogna passare dall’osservazione del malato, la diagnosi, la prognosi e
poi la terapia come avviene oggi. Ancora oggi i medici fanno il giuramento di Ippocrate. Quindi
questo personaggio segna la svolta.

Galeno è nato a Bergamo, migliora l’idea dello squilibrio degli umori che aveva inaugurato
Ippocrate. Il successo di Galeno è legato al fatto che lui fu medico di corte di Marco Aurelio, di
Commodo ecc. quindi partecipò molto alla vita politica e sociale di Roma. Galeno dà l’idea di quel
medico guida, un personaggio importante all’interno dei contesti sociali. Galeno riprende la teoria
degli umori di Ippocrate, però ovviamente è sempre l'idea filosofica della medicina tanto è vero che
qua leghiamo fortemente la filosofia alla medicina, prima che poi finisca questa idea passeranno
tantissimi secoli. Ha avuto una diffusione molto vasta ma la cosa fondamentale è che quello che lui
scrisse rimase lungamente negli annali della medicina e venne studiato moltissimo nel tempo, cioè
ebbe una durata forte. Talmente si cimenterà il pensiero galenico all'interno della società che sarà
duro da scalfire, la teoria galenica non uscirà facilmente dalle aule universitarie. I nuovi medici
avevano un grave problema in quanto il corso di laurea in medicina consisteva in 3-4 materie, si
faceva anatomia ma a livello molto teorico quindi poca esperienza pratica e poi quella che si
chiamava “medicina de mane” e “medicina de sero” cioè fondamentalmente erano “lezioni della
mattina” e “lezioni serali” ed erano nozioni generiche diciamo che comprendevano tutto il resto
della medicina perché ancora non era suddivisa nelle materie e nelle specializzazioni che noi oggi
conosciamo (la fisiologia, l'ostetricia ecc.)

Vesalio era un medico di Bruxelles che aveva studiato a Padova, poi divenne professore a Padova di
anatomia. Fece la differenza perché scrisse l’opera “de humani corporis Fabrica” che segna
assolutamente la svolta, siamo nel 500. Vesalio è il primo che dice di dover perlomeno spiegare ai
futuri medici che studiano questo corpo umano com’è fatto, comincia questa pratica dell'anatomia
(autopsie), lui credeva proprio in questa opportunità dei ragazzi giovani studiosi che durante le il
corso di medicina osservassero e facessero questa pratica, non era così scontato. Il chirurgo è un
personaggio della bassa società lavorativa perché toccare le persone e sporcarsi le mani con il
sangue venivano ritenute “procedure basse”. Tant'è vero che non esisteva la laurea in chirurgia,
esisteva la laurea in filosofia e medicina, per diventare medicina e chirurgia dobbiamo aspettare
l’800. Quindi lentamente c'è il cambiamento, inizia questo ingresso prepotente di questa medicina
che vuole essere più scientifica e sperimentale possibile, anche attraverso l'attivazione di questi
grandi teatri anatomici, questi istituti che venivano votati proprio alla dissezione dei cadaveri sotto
l'osservazione dei giovani studenti di medicina, quindi è la classica stanza a forma di cono con tutti i
ragazzi che osservano e il cadavere nel mezzo con il medico che taglia e fa vedere dove sono messi
gli
organi, questa pratica fu una grande novità perché fino a quel momento si spiegavano gli eventi
medici anche attraverso le maree o le congiunture astrali. Questa novità veniva ritenuta quasi
sovversiva dai doctores galenici della vecchia scuola legate all'idea della filosofia della medicina. A
Catania abbiamo un antico ospedale che è quello di San Marco, è seicentesco, là ci fu il primo teatro
anatomico; nell’aula 1 di Palazzo Ingrassia c’era un altro teatro anatomico.

William Harvey è stato il medico di Carlo I re d'Inghilterra. Nella sua opera “Exercitatio anatomica”
comincia a capire come in effetti circola il sangue, quindi a capire il moto, il passaggio nei vasi
sanguini, le vene, il cuore che pompa i polmoni cioè tutto il ruolo che noi conosciamo, anche questo
è un'innovazione. Sulla scia di questa basilare esperienza che si sta applicando sul corpo del malato
o sul cadavere nel caso specifico, si cominciano a fare quei passi verso il progresso. La medicina
cerca di essere più oggettiva, i medici si cimentano sempre di più in queste autopsie, avviene
l’osservazione diretta quindi la prognosi, la diagnosi e la terapia. Si comincia così a sviluppare l'idea
che ci dovessero essere dei luoghi adatti deputati proprio alla pratica della medicina; quindi,
cominciano a sorgere questi ospedali come l’ospedale di San Marco di Catania. Dunque, si sviluppa
l'idea che bisognasse accogliere malato all'interno di strutture che gli consentissero di curarsi in
maniera specifica, dettagliata secondo le specializzazioni dei medici.

Il 500 e il 600 è stato accompagnato anche dal fatto che dall'America arrivano le malattie nuove e
viceversa; quindi, ovviamente siamo in un momento storico in cui ci sono delle malattie molto forti
cioè a parte ovviamente per la sifilide e la peste, abbiamo molte altre epidemie che colpirono molti
territori soprattutto europei e che provocavano una difficoltà di gestione. C'era quell'idea di studiare
per cercare di capire come migliorare.

Ingrassia è stato il primo medico che in Sicilia nel 500 scrive l’opera “Informatione del pestifero” che
ha una sua valenza molto attuale, lui nel 500 dice che ci voleva la patente per entrare a Palermo
(oggi green pass). Quindi Ingrassia nel suo piccolo ebbe idee geniali, diceva che la peste si doveva
contenere con tre mezzi che erano l’oro, il fuoco e la forca, riguardo l’oro intendeva che bisognasse
investire anche a livello di spese quindi i governi dovevano investire anche per cercare di trovare
delle soluzioni e non dovevano badare a spese, il fuoco perché lui pensava che per poter arginare il
fenomeno bisognasse bruciare le vesti (non era così scontato che si capisse che la peste fosse
contagiosa). A Padova personaggi come Fracastoro e altri medici cominciano a parlare di questo tipo
di diffusione virale e lui recepisce e dice dobbiamo isolare (quindi l'isolamento, la quarantena parole
che noi conosciamo), punire con la forca chi magari non rispettasse quelle regole (oggi parliamo
sempre di regole, di indicazioni dei decreti che ci dicono cosa dobbiamo fare e cosa non dobbiamo
fare). Così Ingrassia nel 500 argina la peste a Palermo. Lui si pone anche il problema dell’igiene, che
noi diamo per scontato ma come la intendiamo noi è attualissima, i cimiteri non esistevano
distanziati dalla città (le persone che avevano possibilità venivano seppelliti dentro le chiese, in caso
contrario era difficile disfarsi dei corpi), la biancheria intima e il lavarsi erano pratiche sporadiche.
In realtà Brown è un personaggio outsider, un po’ anomalo perché stiamo parlando della Catania del
‘400/500. È un po’ il precursore per quanto riguarda l’arte chirurgica perché viene ricordato per la
sua specializzazione nel riattaccare i nasi. Siamo nel periodo in cui si duellava con la spada e pare
che lui fosse specializzato, appunto, nel riattaccare i nasi. Come si nota in Villa Bellini, nel viale dove
ci sono tutti i busti, vi è anche il suo busto e si vede che anche lui ha avuto il destino che gli era stato
staccato il naso, come in tutti i busti di Catania. Pertanto, anche le circostanze contingenti, come i
duelli, portavano poi all’ingegno e al miglioramento anche dell’arte chirurgica dovuta a queste
esperienze quotidiane e normali. Il progresso della medicina conta delle attenzioni particolari alla
microscospia e alla fisiopatologia, quindi Morgagni, Antonio Cocchi che mostrano questa chirurgia
che si manifesta sempre in maniera più prepotente e che arriva a portare questo medico ad
accostarsi al letto dell’ammalato. Quindi, il medico lentamente si spoglia di tutte quelle istanze
metafisiche- filosofiche e si accosta al letto dell’ammalato. Incomincia ad indossare il camice bianco,
quindi adesso abbiamo il medico non più, come ci viene tramandato da alcuni storici, tipico del 500-
600 anche del 700, questo medico che era considerato un po’ ciarlatano, come lo definisce Garrison
“un pedante, includente, bell’imbusto, dai tacchi rossi, dalla lunga toga, che inalberava una
straripante parrucca sotto il tocco quadrato e faceva sempre sfoggio del proprio trionfo latino”.
Quindi abbiamo una figura del medico lontana da quella che conosciamo adesso. Alla fine del 700,
all’interno della facoltà medica abbiamo l’ingresso, un po’ in tutta Europa, di discipline che non
erano contemplate, anche la famosa anatomia che era studiata in maniera teorica e che adesso
prevedeva la dissezione dei cadaveri, ma ancora non era il medico ad essere l’anatomico, spesso si
accompagnava ad un assistente che magari doveva essere quello che poi nei fatti faceva la pratica
del taglio. Questo ci fa capire che è molto difficile da cambiare; già viene contemplato nelle
discipline mediche un progresso ma ancora accompagnata da qualcuno che nei fatti opera. Ci si
arriva piano piano. Soprattutto nella metà dell’Ottocento si inserisce quest’idea del tirocinio delle
branche diverse (ostetricia, clinica ecc). Anche il farmacista (allora si chiamava aromatario) partiva
dall’essere uno speziaro, spesso si praticava l’arte della farmacopea nei monasteri, con i monaci che
coltivavano erbe e poi facevano quell’intruglio medicamentoso; poi magari inizia ad esserci la figura
dell’aromatario, dello speziaro ma stiamo parlando di una persona che non aveva studiato, così
come non avevano studiato le levatrici. Vediamo l’evoluzione di questa figura (aromatario) da che
era visto come una sorta di stregone a che invece diventa un personaggio sostanziale. Fino al 900 le
mamme partorivano in casa con le levatrici, con tutto che esisteva già da un secolo la cattedra di
ostetricia e di chirurgia ostetricia, ma era complicato convincere le donne ad affidarsi ad un uomo
ed era complicato allontanare la figura della levatrice ignorante, che è vero che non aveva degli
studi alle spalle ma che si tramandava di madre in figlia. Nel corso dell’800 si inizia a dire che le
levatrici devono seguire un corso all’università per poter esercitare. Chiaramente queste cose
venivano disattese tantissimo, lo stesso vale per i salassatori, per cui difficilmente il salasso viene
eliminato dalla prassi medica, si cerca però di praticarlo in maniera più calma e meno frequente e
attraverso uno studio, un corso che si seguiva e quindi si poi si poteva decidere quando fosse
opportuno di farlo o non farlo. Quindi si cerca di far avere un’attenzione diversa alle varie categorie
mediche. Prima, ad esempio, non esisteva il dentista ma era il barbiere che tirava i denti. Man mano,
dunque, vengono migliorate una serie di competenze. In tutto questo noi abbiamo incontrato
Brown. Egli è un’anomalia nel 700. È un secolo in cui si discute molto, siamo in piena intemperia
scientifica, la rivoluzione scientifica è avvenuta, siamo in piena ad un progresso per quanto riguarda
le arti mediche intese come esperienza, accostamento al letto dell’ammalato, con questo medico
che si spoglia sempre di più da quell’immagine un po’ da ciarlatano del secolo precedente e si veste
di un camice bianco, si accosta al letto dell’ammalato e segue determinate pratiche. In tutto questo
Brown è un’anomalia nel senso che era la persona giusta, nel momento giusto e al posto giusto,
perché la sua teoria è una teoria assolutamente semplicistica, banale cioè lui riprende un po’ i
discorsi di Ippocrate, anche si allinea un po’ ad Ippocrate e ritenendosi però il superatore dell’idea
ippocratica, perché ricordiamoci che Brown opera, lavora e ragiona in un momento storico molto
particolare. Questo 700 illuminato, che, come abbiamo detto, non è un secolo che prescinde dagli
antichi, anzi guarda all’antico, l’abbiamo visto il secolo del collezionismo, della riscoperta del
classico, degli scavi archeologici, però c’è quest’idea che nel 700 si hanno delle conoscenze che
ovviamente non si potevano avere ai tempi di Galeno e di Ippocrate e quindi guardiamo gli antichi e
quello che di buono ci hanno offerto e li superiamo attraverso la nostra esperienza. Quindi
prendiamo in prestito le basi che ci hanno dato ma miglioriamole attraverso le nostre conoscenze e
competenze che non possono essere uguali a quelle del 500. Quindi Brown un po’ si allinea a questa
idea. Brown pensa che il nostro stato, del vivere bene e in salute sia dovuto ad un equilibrio di
fattori. Questo equilibrio è un equilibrio che è derivante da fattori esterni in qualche maniera. Lui
parla dei fattori esterni (climatici, ambientali, ecc) che possono portare ad uno squilibrio di questi
elementi vitali che caratterizzano il nostro corpo. Lo squilibrio può essere o per eccesso o per
difetto. Cioè ci può essere una mancanza di un elemento che porta a quell’indebolimento così come
ci può essere un elemento che si produce in eccesso nel nostro fisico e deve quindi essere eliminato
per riportare l’equilibrio. Quindi lui dice che per riportare la salute bisogna ripristinare questo
equilibrio nel nostro corpo. Il problema però è che lui, soprattutto per quanto riguarda il momento
in cui c’è l’astemia e quindi il difetto di quel fattore che ci da l’equilibrio giusto, quindi la mancanza
di un elemento, lui dice che questo elemento andava dato con il mangiare bene, bere il vino, l’oppio,
cioè lui pensava che lo stimolo del corpo dovesse derivare da elementi esterni molto stimolanti.
Browm sostiene che questo stile di vita non deve essere uno stile di vita di privazioni, soprattutto se
c’è l’astemia, ma anzi deve essere uno stile di vita ricco di elementi esterni che sollecitano l’ingresso
nel nostro corpo di elementi stimolanti che riportano l’equilibrio. A Brown viene contestato che era
troppo semplicistico, cioè lui riduce le malattie a questo, non fa le diagnosi specifiche per le
malattie, non dice quello mal di pancia, quello mal di testa, quello raffreddore ecc, ma ritiene che
quando ci sia un malessere deriva da fatto che il corpo ha una mancanza di stimolo, generico. Quindi
viene accusato di questa estrema semplicità nel non definire un catalogo di malattia e soprattutto
quella di non ritenere di dover differenziare le terapie, perché ovviamente gli viene contestato che
se una malattia ce l’ha un bambino, gli dai l’oppio o il vino? Gli dai la carne al sangue? Questo viene
ritenuto strano dai suoi detrattori. Ovviamente poi ci sono anche le voci a favore e quelle contro.
Uno dei successi di Brown è dato dal fatto che morì molto giovane e morì probabilmente per una
malattia che lui curò con il suo metodo che per cui lo portò evidentemente alla morte, perché
comunque visse in maniera poco moderata, nel senso che era malato e lui beveva, mangiava perché
riteneva fosse la cura, cioè di stimolare il corpo attraverso degli incentivi esterni che dessero
l’equilibrio. Era questa la sua teoria, il suo sistema molto semplicistico. I detrattori si muovono in
questo modo, cioè dicono che non sta facendo una nosologia di tutte le malattie, non sta facendo
un elenco differenziato di malattie, non sta differenziando né per età, né per contesto, né tenendo
conto di altri fattori del paziente. Lui accomuna tutti i pazienti, invece ogni paziente, ci insegna oggi
il medico, ha la sua storia e quindi bisogna indagare singolarmente quel paziente. Deve essere una
cura individuale a seconda di ciò che si ha, lui invece catalogava in maniera molto generica e questo
gli viene contestato. Chi invece lo ama ritiene che sia il superamento di alcune forme di pratica
medica. Quindi questa idea della medicina che sta svecchiando, seppur in maniera sbagliata, è
proprio il fatto che lui si vede nel momento giusto, questo è un momento storico in cui si ha anche
l’idea che questo decadimento dell’antico regime, questo sgretolamento del privilegio che è tipo
dell’antico regime, debba derivare anche dal togliere quei privilegi legati a queste caste familiari
anche a livello di professione oltre che nobiliari ecc. Quindi il giovane che volesse fare il medico ma
non poteva possibilmente accedere perché non faceva parte di una categoria sociale che gli
consentisse di accendere a questi studi, vuole sfondare la porta della professione e non ha una
famiglia dietro che lo aiuti. Quindi per sfondare nella professione deve agganciarsi all’innovazione, al
cambiamento, sgretolare i residui di antico. Brown con questa sua teoria un po’ balorda in qualche
maniera sembra chiuder in maniera netta e non lentamente con quel passato galenico e ippocratico.
Tanto è vero che, tra le righe di questo libro, abbiamo visto che abbiamo delle approvazioni del
brownismo da personaggi che hanno avuto un ruolo sociale nelle vicende politiche. Noi non
studiamo Brown perché ci interessa la sua medicina che lui voleva curare con il salasso o con l’oppio,
ma ci interessa il settore distacco di questa società che sta cambiando. Per altro Brown, morendo
abbastanza giovane di una malattia che curò con il suo sistema, i suoi detrattori dicono “vabbè, morì
per questo”, ma la realtà è che quando si muore nell’apice della vicenda si diventa una specie di
eroe, cioè viene alimentato il mito di Brown anche attraverso questa sua morte precoce; quindi,
probabilmente anche per questo ebbe una sua diffusione. Elementi di medicina, che è la sua opera
più importante, è un’opera che venne lungamente ristampata e addirittura arriva a varcare le soglie
anche di palazzi importanti. I suoi fautori, ritengono che sia una pratica medica che allontana da
quell’idea di filosofia medica. Quindi l’innovazione deriva da questo. Ma qual era il problema
fondamentale? L’abbiamo visto quando abbiamo parlato del ‘600 che le università comunque hanno
difficoltà a svecchiare i programmi, cioè all’università si studiano determinate cose perché sono
università di stato, cioè legate ai governi; quindi, i governi veicolano quello che vogliono attraverso
dei programmi che controllano. Le accademie invece sono più libere, abbiamo viste le accademie
scientifiche, letterarie, poetiche ecc. Brown, invece, è un universitario, lui insegna ad Edimburgo e
prova quindi seguito dai suoi seguaci a fare un cambiamento in un’università storica. La novità
brawniana, quindi, è anche quella di riuscire a varcare i confini quasi invalicabili del vecchio ateneo e
attraverso una sua cattedra, che un suo seguito, attraverso un suo seguito anche al di fuori della
cattedra perché era promotore di una loggia massonica e quindi ha anche un legame forte politico
con la massoneria che nasce in quel momento, lì. La massoneria nasce in Scozia nei primi del ‘700.
Troviamo dei personaggi medici che contestano la teoria Brawninana e personaggi non medici che
invece si accostano a tale teoria sulla base dell’idea che sta facendo qualcosa di innovativo.
L’interesse di Brown è che morì appunto presto, morendo presto lasciò uno strascico
evidentemente del suo pensiero perché è come se l’avesse lasciato in sospeso; quindi, la questione
se la prendono i seguaci, i discepoli che cercano di portare avanti questa teoria con successi parziali
e altalenanti.
*Attenzione* → È importante sapere che comunque è una teoria che viene contestualizzata in un
momento storico ben preciso, nel passaggio tra i due secoli, con le rivoluzioni e con i cambiamenti
che stanno avvenendo; che sappiamo che in Sicilia arriva e siccome è una teoria molto lontana (è
scozzese) è importante sapere che il dibattito arriva anche qua, ci stupisce. Siamo in un momento in
cui ci sono i Borbone, un momento in cui viviamo ancora di monarchia assoluta che quindi si pone
qualche difficoltà all’ingresso del nuovo: ci sono le censure, l’attenzione per i libri che circolano ecc,
però in realtà c’è un dibattito e questa è la cosa che a noi interessa, cioè comprendere che anche noi
abbiamo il nostro Brown e raccontato attraverso dei medici. Già il solo fatto che si parli di una cosa,
le si sta dando una dignità e una sua diffusione. Perché se raccontiamo una cosa che magari non
approviamo, ma la stiamo raccontando, intanto innesco una certa curiosità e poi ognuno può
maturare una propria opinione. Quindi è un po’ da comprendere quest’atteggiamento
dell’approccio che si ha alla teoria brawniana, contestualizziamola secondo questi termini del
momento storico che sta cambiando e il superamento che avviene anche attraverso le vicende
ottocentesche che poi sono diverse.
Nello studio del testo, i singoli personaggi vanno contestualizzati e vanno compresi per quello che
vogliono raccontare. / Brown è un elemento distorto di questa evoluzione perché è come se lui
ritenesse finita la sua teoria, il suo sistema, lo ritiene chiuso. Invece noi sappiamo che la medicina
non può chiudersi, l’evoluzione della scienza è continua, quindi diventava semplicistica, riduttiva e
chiusa e quindi poi viene messa da parte anche per questi motivi.
L’ECO DI BROWN – Premessa
La medicina nel corso della sua evoluzione è entrata in contatto con diverse tipologie di sistemi,
ovvero delle novità di alcune branche della scienza salutare, ognuna delle quali ha lasciato
un’impronta. Uno dei sistemi che spronerà la dimensione medica sarà quello di Brown, il quale
aspetto più innovativo sarà lo sgretolamento delle teorie degli antichi, tra i quali troviamo Ippocrate.
La collisione tra il vecchio e il nuovo sarà violenta.
La nuova scienza sarà caratterizzata dal pensiero meccanicista partendo da Cartesio fino ad arrivare
a Newton. Vedremo anche che la lotta già presente nel campo delle scienze naturali tra astrattismo
e dogmatismo si estenderà anche alla medicina.

CAPITOLO 1 - UNA RIVOLUZIONE NELLA REPUBBLICA MEDICA


Il Seicento segna un passo in avanti nel mondo della ricerca scientifica, mettendo in luce un'epoca
che verrà osservata con una certa esaltazione.
I sostenitori della medicina tradizionale trovano le loro radici in epoca classica, una medicina che
presto si scontrerà con qualcosa di nuovo, che verrà percepito come destabilizzante.
In relazione alla progressione scientifica vengono delineati alcuni cardini significativi, tra i quali
troviamo protagonista Ippocrate, convinto che la malattia fosse uno squilibrio tra ambiente esterno
e corpo umano, che si ripercuotesse sugli umori del corpo stesso e la cui cura avrebbe dovuto
consistere nel riequilibrare ogni parte; altre figure importanti sono Celso, conoscitore della chirurgia
e Galeno che perfezionò la teoria degli umori parlando di equilibrio tra corpo e anima. Dal medioevo
in poi le ricerche mediche iniziano a tramontare, la prognosi diviene meccanica e non più scientifica,
le superstizioni riaffiorano nella medicina, ribadendo le pratiche magiche del passato e riemerge
anche il legame Chiesa-malattia, il quale si fondava sulla convinzione che la malattia fosse un castigo
di Dio. Nel tardo medioevo la situazione inizia a cambiare, ci si discosta dal concetto di punizione
divina per comprendere la causa della malattia, nascono i primi lebbrosari, viene messa in luce la
scuola medica Salernitana, centro d'eccellenza e all'avanguardia in termini medici, dove si studia sui
testi ma anche sull'osservazione pratica dei malati; esisterà fino al XIX secolo.
L’arte medica inizia a sentire l’esigenza di svincolarsi dalla magia e dall'occultismo, ma ciò non andrà
a buon fine anche a causa della grande peste nera che farà iniziare un periodo di crisi.
Si diffondono nuove malattie e questo provoca destabilizzazione da un lato, ma stimolazione
dall'altro, soprattutto all'interno degli ambiti di studio medico-scientifici.
Nel frattempo, emerge un bisogno di rinnovazione culturale che viene messa in atto con la
rivoluzione scientifica, la quale porta con sé tantissime evoluzioni che sovvertono la mentalità
scientifica tradizionale; nonostante ciò, continuano a permanere credenze tradizionali legate al
mondo dell'arcano, dell'alchimia e delle pratiche magiche.
I progressi in campo medico hanno sgretolato vecchie teorie e rafforzato nuove prassi, ad esempio il
galenesimo viene attaccato dalle nuove frontiere fisiologiche e cliniche, le scoperte di Newton
smentiscono credenze secolari e l'utilizzo sistematico del metodo sperimentale comporta importanti
innovazioni.
Nasce il contrasto tra umorali e solidaristi, il quale dura per molto tempo.
Durante l'illuminismo i medici si confrontano sempre più con la chimica, la fisica, la fisiopatologia e
l'anatomia ed è per questo che pian piano alcune discipline iniziano ad acquisire e aumentare il
proprio bagaglio di conoscenze in modo da diventare sempre più importanti, ad esempio la
chirurgia.
Una delle conseguenze di questo processo è la riorganizzazione dell'insegnamento medico
all'interno delle università.
Verso la metà del Settecento si diffonde il vitalismo, il quale riconduce ad una intermedia forza
vitale che regola le funzioni di motilità e sensibilità, ovvero ogni elemento dell'essere umano deve
avere una forza vitale propria, libera da qualsiasi legge; inoltre, viene scoperta la vaccinazione
antivaiolosa. Si diffonde anche la omeopatia; il malato viene curato mediante sostanze che
producono gli stessi sintomi di cui soffre, a dosi sempre più basse. Questo tipo di medicina ebbe
molta fortuna grazie alla crisi di quella tradizionale ma anche al rifiuto di alcuni medici di
somministrare cure ritenute inefficaci o dannose, pratica che si affievolì di fronte all’emergere della
biomedicina.
Si sviluppa anche la teoria del magnetismo animale grazie a Mesmer, il quale era convinto
dell’azione terapeutica del magnetismo delle mani. O Ancora si afferma la frenologia, elaborata da
Franz Gall. All'interno di questo contesto fa il suo ingresso John Brown.

IL BROWNISMO TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE. ECHI EUROPEI E RIFLESSI ITALIANI → La


figura del medico vien ribaltato nel XIII secolo in quanto si passa dalla figura del dottore a quella del
chirurgo, quindi, da colui che fa diagnosi e analizza gli umori a colui che è specializzato nel “cavar
sangue”. La scienza diviene così materia primeggiante a differenza della filosofia, e il tutto dovuto ai
nuovi medici. Edimburgo diviene la culla, il centro di questa nuova dottrina, più pragmatica e
realistica. Scoppia così l’affaire Brown in campo medico-scientifico. John Brown (medico scozzese)
muove i primi passi sotto l’attenzione di William Cullen (caposcuola della teoria dello spasmo),
costui sosteneva che la vita iniziava con il sistema nervoso e che questo rispondeva agli stimoli
esterni che, in base all’intensità, provocavano malattie spastiche. Brown affonda le radici della sua
medicina su basi newtoniane, richiamando Bacone, affermando che la vita fosse il risultato di
continue risposte agli stimoli esterni e l’esatta dosatura di questi stimoli dà lo stato di salute. Il
metodo di Brown è sperimentale mentre il modello che segue è fisico- matematico. Secondo Brown,
l’analisi delle patologie non doveva soffermarsi sui sintomi ma su condizioni di astenia (eccitamento
basso del sistema nervoso agli stimoli) e iperstenia (eccitamento alto del sistema nervoso agli
stimoli). L’eccitabilità era vista come forza vitale. Considerando che la vita dipende dagli stimoli i
rimedi utilizzati erano: vino, canfora, oppio (farmaci stimolanti). La sua medicina venne definita
semplicistica e la sua morte prematura (avvenuta all’età di 53 anni) alimentò questa visione.
Data la morte prematura, i seguaci di Brown continuarono a diffondere le sue tesi raggiungendo
l’Oceano Atlantico. Le sue teorie fecero eco appunto, si diffusero velocemente acquisendo una
connotazione positiva in quanto la sua ideologia medica venne definita ESEMPLARE
dall’epistemologo Canguilhem.
Il brownismo causerà problemi alla filosofia in quanto questo rifiuta ogni essenza data a priori anche
se, in realtà, Brown non sperimenta la sua teoria sull’eccitabilità relegandola così ad un piano
metafisico (che egli stesso rifiuta dai filosofi). Brown così cade nel dogma, e le contraddizioni del
sistema dello scozzese vengono a galla.
In Germania la medicina di Brown ebbe larga diffusione invece. Inoltre, il filosofo Friedrich Schelling
fu interessato al brownismo affermando che Brown è il solo a superare con il suo concetto di
fisiologia l’antico contrasto tra meccanicismo e vitalismo. Brown ebbe influenza anche su Hegel, il
quale riconosceva al brownismo di aver ampliato le idee circa le malattie e i mezzi di cura.
A metà Ottocento il pensiero di Brown raggiunse anche la Francia ma non ebbe lo stesso impatto
avuto in Germania. Broussais elogia la teoria degli stimoli e anche l’utilizzo del saguisugio piuttosto
che del salasso (metodo troppo invasivo) e afferma che sia Brown che i suoi seguaci lo hanno
preceduto con la scoperta delle febbri asteniche (dovute ad un eccesso di stimolo). Anche in Italia
Brown non ebbe larga diffusione. Il dibattito sul metodo di Brown in Italia fu concepito come
un’innovazione inedita, uno strappo con Galeno e Ippocrate. Sempre in Italia, l’accademia delle
scienze di Torino diviene luogo di dibattito sia culturale che scientifico e qui, Carlo Botta portò avanti
un dibattito per sostenere il brownismo, utilizzando i suoi metodi quando ricoprì la carica di medico
militare. Altro sostenitore di Brown fu Giovanni Rasori (che voleva diffondere il metodo scozzese
soprattutto in Lombardia), legato alle vicende politiche del periodo cisalpino e napoleonico, confutò
Ippocrate e Galeno attraverso Brown. Rasori elaborò comunque una sua teoria, sostituendo astenia
e stenia con i concetti di diaresi, stimolo e controstimolo. Il dibattito di Brown in Italia coincide sia
con il periodo di triennio giacobino che con il colpo di stato d Brumaio e la vittoria di Marengo.
L’abate abruzzese Quartapelle invece, afferma che Brown si discostò troppo dalla medicina
tradizionale e dai reali bisogni degli ammalati.
Con il Regno d’Italia Rasori diventa da rivoluzionario a moderato di mezza età, tra nemici accademici
e anni di carcere muore nel 1837 lasciando un erede ideale ovvero Giacomo Tommasini, considerato
l’ultimo dei teorizzatori dei grandi sistemi medici in Italia. La rasoriana teoria del controstimolo (di
Brown) e il successivo vitalismo tommasiniano segnarono una riflessione in campo medico. A Rosari
e Tommasini si aggiunse Puccinotti, propugnatore del metodo sperimentale. Il brownismo si diffuse
soprattutto nelle regioni settentrionali dell’Italia ma i territori borbonici del Meridione non
restarono indifferenti al fascino della medicina di Brown.
Il brownismo toccò pure le i curricula universitari in quanto, per esempio, nell’università di Napoli
nel 1806 vennero soppressi gli insegnamenti relativi al testo di Ippocrate, ovviamente questo non
avvenne in tutte le università. Vincenzo Lanza, docente di medicina dell’Università di Napoli ebbe un
dibattito con Tommasini ma, nonostante ciò, la medicina di Brown continuava ancora ad avere una
forte posizione.

CAPITOLO 3: IL DIBATTITO IN SICILIA


Nella seconda metà del Settecento, il meridione d’Italia è interessato da un risveglio culturale, socio-
economico e politico, nonché da una risurrezione dei circoli massonici; a creare questo ambiente
così virtuoso (stretto tra vecchie resistenze e nuove aspettative sul piano culturale) è principalmente
una connessione tra Napoli e il polo nevralgico della Sicilia Orientale (Catania), a tal proposito è
interessante notare che tra il susseguirsi di ministri “illuminati” a Napoli e di viceré “innovatori” in
Sicilia, un certo riguardo merita Isidoro Bianchi che, nel 1770, incontra a Napoli Raimondo di Sango,
il quale, nel 1771 introdurrà nel circuito massonico, Gaetano Filangieri. Tuttavia, dal nord al sud,
dall’ovest all’est, della Sicilia, si assiste alla creazione di luoghi privilegiati per il dibattito culturale, ad
esempio l’università di Catania, in cui si incontrano: da una parte un circuito pilotato dal vescovo
Salvatore Ventimiglia, e dall’altro uno che fa capo a Ignazio Biscari Paternò Castello; in entrambi si
disquisisce sull’empirismo di Locke, sul sensismo di Condillac e Condorcet, e della fisiocrazia di
Quesnay. Questo fermento culturale, in ogni caso, potrà ad un tentativo di riforma strutturale e
materiale dell’ateneo catanese nel 1779, con l’obiettivo di scorporare antichi privilegi, favorendo la
cooptazione di figure professionali nuove e inserendo nei piani di studio, discipline definite
“moderne”; di fatto, a testimonianza di questa voglia di rinnovamento si può citare il bando del
1812 bandito dal parlamento anglo-siciliano, in cui appare più volte il termine renovatio. Infine, si
ricordi che a partire dal 1805 i poli culturali della Sicilia saranno sia Catania che Palermo (fondata in
quell’anno).
In questo scenario prende vita, anche in Sicilia, un dibattito accesso e stringente sulla complessa e
delicata vicenda Brown.

LA VOCE DEI DETRATTORI → In Sicilia, in cui la volontà della compagine medica è orientata da un
bisogno di rinnovamento e aggiornamento delle conoscenze; il brownismo trova uno spazio
significativo, soprattutto sul fronte della confutazione del sistema ideato dallo scozzese. In
particolare, la letteratura decostruttiva del sistema di Brown, vergata da medici siciliani, è databile
tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, anni in cui, il quadro politico isolano sembra
vacillare ma anche resistere per lungo tempo.
Meritatamente al dibattito siciliano, si può dire che non sono pochi i detrattori del sistema di Brown;
primo fra tutti Salvatore Fallica. Nella sua opera, scritta nel 1799 e dedicata a Francesco Paternò
Castello, è scritto dall’autore a un sedicente amico, il quale pare in procinto di ultimare anch’egli un
saggio sulla dottrina di Brown.
Fallica apre la sua opera inquadrando lo stato della medicina nel momento in cui esordisce il caso
Brown asserendo che fu la predicazione di Robert Jones a contribuire del diffondersi della dottrina
scozzese chiamando a sé l’attenzione dei medici professori; passando a spiegare la teoria della fibra
animale (proclamata dai seguaci di Brown), Fallica, si scaglia contro descrivendo minuziosamente il
grado di superbia dei seguaci di Brown, i quali dimostrano - a detta di Fallica- di sentirsi nati in una
sorta di età d’oro della scienza medica; tuttavia (asserisce il siciliano), la falsità del sistema scozzese
sta proprio nei suoi principi di: Eccitabilità, Eccitamento e Stimolo, nonché nel fatto di proporre
l’Oppio come panacea di ogni male. Questo approccio, sarebbe da attribuire sia al fatto che,
impostando in modo così semplicistico il sapere medico e la pratica medica, la Medicina come
disciplina si riduce a pochissime conoscenze, di conseguenze, termini come “Sanità”, “malattia” e
“morte” diventano prodotti agenti sulla facoltà di Eccitabilità (la quale ha sede nella fibra
muscolare), contestualmente a questo costrutto browniano, dice Fallica, non sorprenderebbe la
presunta semplicità dell’arte della diagnosi medica e l’inflazione dell’utilizzo farmaceutico
dell’oppio. La medicina di Brown, ruotando attorno l’idea di eccitabilità, rafforza l’idea che elementi
come: il caldo, il cibo, l’aria, gli umori; siano forze che inevitabilmente si configurando come
struttura sovrastante la vita umana, la quale diventa, uno stato passivo e dipendente da queste
forze. Non mancano, a questo punto, riferimenti al sistema di Stahl volto a comparare questi
“sistemi alternativi del sapere medico” con i principi di Ippocrate e della medicina “classica” di cui
Salvatore Fallica, si presenta come depositario.

Successivamente, Fallica si dedica alla confutazione del principio browniano secondo il quale
esisterebbero malattie steniche e malattie asteniche, rigettando l’idea che su cento di esse,
novantasette fossero di debolezza e devono curarsi con il metodo corroborante, e tre solamente di
fortezza da curarsi con il metodo debilitante; la tesi di Fallica è sostenuta dai rimandi a Ippocrate e
agli strumenti, le conoscenze e le cure da questo lasciati in eredità alla comunità medica; arrivando
infine ad affermare che: proprio in virtù del fatto che il sistema dello scozzese inflaziona la presenza
di malattie dovute alla debolezza, il metodo corroborante (utilizzando vino, oppio, abbondanza di
cibo) non sarebbe altro che un modo per giustificare la conduzione di una vita senza regole. Questo
concetto, viene poi allargato alla biografia e ai rumors che ruotano intorno alla figura di John Brown;
in questo, Fallica è un abile conoscitore della biografia di Brown, in quanto afferma l’idea secondo la
quale: John Brown, essendo guarito dalla podraga tramite il metodo corroborante, non avrebbe
avuto scelta se non promuoverlo come metodo privilegiato nel suo sistema; la sua fortuna - secondo
Fallica- è da attribuire ai giovani, i quali non amano la vita anacoretica e che sposano la causa
browniana come una fede che, per certi versi, sarebbe sia giustificata (in quanto scuola medica al
pari di quella di Ippocrate, di Galeno e di Sorano), ma anche perché la testimonianza dello stesso
Brown funge da prova inconfutabile sulla validità del sistema elaborato dallo stesso.
Fallica prosegue attaccando l’idea browniana per la quale il freddo sarebbe causa delle malattie, e
risponde sostenendo una tesi di stampo, potremmo dire antropologico, la quale asserisce che i
popoli nordici che sono soggetti alla convivenza con basse temperature, godono tuttavia di buona
salute; questo varrebbe come falsificazione di uno dei pilastri del sistema messo a punto da Brown;
procede con la confutazione della teoria dello scozzese sul sangue e sui fluidi, completando con una
ripetuta argomentazione circa l’utilizzo spropositato dell’oppio. Conclude il saggio affermando che il
sistema di John Brown non sarebbe altro che una delle più grandi e pericolose menzogne che
l’umanità abbia mai conosciuto poiché essa non conviene con i fatti.
Storicamente, il saggio di Salvatore Fallica, ci restituisce sia un’immagine della vita culturale nella
Sicilia orientale, sia la diffusione del sistema di Brown nell’isola, ma anche - e soprattutto- rivela la
conoscenza dei maggiori medici europei, delle loro dottrine, dei loro discepoli. Tutto questo è cifra
della vivacità di un dibattito scientifico-culturale che non tralasciava di percorrere anche le contrade
siciliane.
Appena tre anni dopo, un altro medico catanese, Giuseppe Strano Capaci, si cimentò in uno scritto
che vede ancora al centro la tematica Brown, i toni, in questo caso, non sembrano essere diversi da
quelli utilizzati da Fallica nel 1799. L’elaborato di Giuseppe Strano Capaci, dedicato a Vincenzo
Paternò Castello, rivela la profonda conoscenza del sistema di Brown e delle ulteriori visioni e
revisioni dello scozzese, il tutto orientato ad un fine magistrale-didattico-pedagogico volto sia a
evidenziare le lacune del sistema di J. Brown, sia a porre fine alla diffusione di quel malsano sistema,
ma soprattutto a rinvigorire l’eredità sempre attuale degli antichi e dei contemporanei depositari di
quel sapere antico.
In apertura al saggio di Strano Capaci, si rintraccia un primo tentativo di conciliazione che trova lo
snodo nella volontà stessa di Brown di appurare e migliorare la pratica medica, tuttavia - secondo il
medico etneo - questa volontà sarebbe stata inutile vista la lacunosità del resto del sistema
scozzese. Successivamente, si passa a citare l’opera Pace medica, sottolineando l’idea anche chi
vergò quest’opera, pur abbracciando il brownismo nelle sue parti essenziali, non mancò di definirlo
difettoso e contraddistinto da tante lacune che lo ingombrano. In un secondo momento, Strano
Capaci (molto probabilmente utilizzando una matrice empirista sull’analisi della storia) si propone di
unire una certa ciclicità temporale tra il corso degli eventi e le dottrine mediche, affermando che: se
fino a pochi anni prima, la diffusione delle teorie mediche di Paracelso, di Stahl avevano
caratterizzato determinati momenti storici, per poi finire confutate e gettate nel dimenticatoio; il
suo presente vedeva la volta del sistema di Brown; compito dunque di un buon medico sarebbe
stato quello di de-costruire questa idea, così per come la storia delle idee mediche ha sempre
voluto.
Successivamente, Strano Capaci - come S. Fallica- passa in rassegna gli eventi della vita personale di
Brown, i rumors, e la rivalità con Cullen; anche in questo caso, le radici della creazione e della
diffusione del sistema dello scozzese non sembrano essere diverse rispetto a quelle proposte da
Fallica. Poi passa alla spiegazione del metodo di Brown, e qui la distinzione tra malattie steniche e
asteniche, sulla concezione del Corpo e dell’attributo del Corpo; passando ad una critica del maggior
diffusore del sistema di Brown in Italia (Giuseppe Frank) il quale ha confuso il concetto browniano di
Eccitabilità con quello di Irritabilità; in questo modo, Strano Capaci, dimostra come il perno
dell’eccitabilità nel sistema del Brown potrebbe benissimo essere inglobato nel concetto di Natura,
per cui non si spiegherebbe tanto fervore fideistico ad una teoria che proclama - con moltissimi
difetti- un principio regolatore di ogni teoria medica, principio che, in Brown, viene tuttavia distorto
dalla lacunosità delle idee messe a sistema.
Strano Capaci, passa poi in rassegna critica ogni punto del sistema di Brown, arrivando infine a
chiedersi a quale scopo il Brown abbia costruito un tale sistema se poi inapplicabile nella pratica
medica. I limiti del sistema si riscontano principalmente nell’ambio farmacologico poiché il
differente dosaggio di eccitabilità attribuita dal medico scozzese ai diversi soggetti, rende dissimile la
scelta della cura da applicare al malato. Nonostante Brown avesse auto-celebrato sé stesso e il suo
sistema, tuttavia, Strano Capaci asserirà alla sua falsità sulla base della morte dell’inventore stesso
del sistema. Nelle righe successive, i toni del docente e medico catanese si abbassano, in quanto
dichiara espressamente che la sua avversione al sistema di Brown non è derivata da una
radicalizzazione del dissenso, piuttosto si tratta di una perplessità scientifica dettata dalla lacunosità
del sistema del medico scozzese. Poi passa nuovamente in rassegna alcuni punti, tra cui spicca la
critica al profilo disciplinare del medico tout court, il quale - secondo Strano Capaci- dovrebbe avere
cognizioni di fisiologia, patologia, semeiotica, igiene terapeutica; le quali sono materie sconosciute
agli occhi e alle menti dei seguaci di Brown. Ancora una volta, spicca la critica circa l’utilizzo
dell’oppio e del dosaggio terapeutico; tale critica è sostenuta richiamando le menti illustri della
medicina antica e contemporanea (tra cui viene citato l’abate Berardo Quartapelle), nuovamente si
ritrova il riferimento alla questione del corpo sia sul piano puramente scientifico che ontologico.
Ancora una volta, Strano Capaci ritorna sulla superbia dei giovani browniani e sul tema dell’abuso, o
dell’uso sconsiderato, dell’oppio; tale diffidenza poggia sul fatto che l’oppio, in diversi dosaggi,
potrebbe avere sia una funzione eccitante che di rarefazione; mentre nel sistema di Brown l’oppio
avrebbe esclusivamente una proprietà eccitante. Questa idea di inflazione dell’oppio nella teoria di
Brown andrebbe -secondo Strano Capaci- contro i buoni principi della scienza della medicina
elaborati dagli stessi fondatori (qui il richiamo agli antici).
L’autore catanese prosegue la sua opera di smantellamento passo per passo della teoria di Brown,
anche qui si ritrova una certa difficoltà nel capire i criteri di discernimento tra malattie steniche e
asteniche, citando anche le ulteriori lacune dimostrate negli scritti dei seguaci di Brown (Tra cui
l’autore della Pace medica e Giuseppe Frank); questa critica poi confluirà sul fatto che lo stesso
Brown, nei suoi Elementia, abbia sostenuto l’infallibilità della medicina rispetto alla matematica,
cosa che appare all’autore catanese, il tallone d’Achille del sistema del medico scozzese. Non manca,
in questo saggio, una digressione sulla figura del Brown e si apre una parentesi sulla divisione della
vita animale operata dallo stesso e corretta dal seguace Frank.
Una delle questioni più cogenti per Strano Capaci è dimostrare che Brown e i suoi seguaci abbiano in
qualche misura deriso la dottrina Ippocratica, sebbene nelle opere del Brown non vi siano espliciti
riferimenti al medico di Coo, tuttavia è possibile decifrare un giudizio tutt’altro che positivo, infatti,
leggendo Jones (seguace di Brown) si fa riferimento al fatto che: essendo la matematica una scienza
inesatta, Ippocrate, essendo influenzato dalla filosofia pitagorica, inevitabilmente mise a punto un
sistema inadeguato poiché fondato su una scienza inesatta. Qui fiumi d’inchiostro verserà l’autore
Catanese.
Successivamente, il medico di Catania, passa alla critica della teoria del calore e del freddo,
sostenendo una tesi non tanto diversa dal conterraneo Fallica; infine, la critica si rivolge sempre
sulla superbia dei giovinastri seguaci di Brown i quali, reduci dall’arte ammaliatrice del maestro
scozzese non hanno fatto altro che amplificare un giudizio erroneo sul freddo elaborato da Galeno; a
detta di Strano Capaci, questi hanno operato un’analogia tra il freddo e le tenebre, dimenticando gli
effetti “corrosivi” del freddo rispetto agli effetti “naturali” della mancanza di luce.
Un’altra questione sollevata da Strano Capaci è quella dello stato febbrile episodico,
sostanzialmente: mentre gli antichi (di cui il nostro autore catanese si fa, al pari di Fallica, custode)
non dubitavano della forza terapeutica di questo stato di malessere, Brown (al contrario) rigetta
questa tesi ed elabora una antitesi rispetto ai suggerimenti di Galeno. Non mancano, da parte di
Strano Capaci, ulteriori critiche mosse ai seguaci di Brown, tra cui Rasori.
Ancora una volta si promette e promette che la comunità medica “illuminata” rigetterà il sistema
scozzese.
Altra questione sollevata è quella delle malattie infettive ed ereditarie, anche in questo caso, il
sistema di Brown non è esente da critiche. In particolare, sembra che l’autore catanese rigetti la tesi
di Jones (seguace di Brown) circa la forza mediatrice della natura nella cura di specifici morbi.
Si ritorna nuovamente sull’abuso di terapie steniche nella cura di alcune malattie, tra cui lo
scorbuto, la podraga, le febbri putride intestinali. Arrivando, ancora una volta a criticare il
dogmatismo e la superbia e del sistema di Brown e dei giovinetti seguaci dello scozzese. Non manca
la parentesi sulla questione farmacologica del sistema. A seguito, Strano Capaci, illustrerà alcuni
dubbi sul sistema di Brown circa malattie come lo scorbuto, la podraga stessa, domandandosi come
la cura stenica possa essere applicabile anche alla cura degli infanti; non mancherà il riferimento alla
figura di John Brown attingendo alle pagine del biografo dello scozzese (Beddoes), infine si arriva
alla medesima conclusione circa l’utilizzo delle terapie farmacologiche. Il punto debole del sistema
Browniano, insiste il dottore di Catania, rimane l'evanescenza della classificazione delle malattie,
unita ai concetti di "debolezza" e di “eccitabilità". L'autore continuerà ad elencare diversi autori pro-
Brown come Valeriano Luigi Brera e Pietro Riccobelli, i quali sono accusati di ingannare i giovinetti
ma non gli uomini di senno. Non mancano riferimenti critici all'opera Pace medica, accusato di trarre
il lettore in inganno soprattutto quando scrive che i fondamenti Browniani giustamente intesi hanno
il pregio di ridarci sotto un punto di vista tanti fenomeni disparati, e semplificarli in questa guisa la
esposizione. Strano Capaci, si sofferma proprio sull'espressione "giustamente intesi”; secondo il suo
parere questa, fa trasparire l'infondatezza e la tracotanza non solo dello stesso Brown e del suo
sistema ma anche dei suoi seguaci e, ancora una volta, non mancano -in Strano Capaci-delle critiche
sulla questione del corpo sollevata dallo stesso Brown nei suoi Elementia e, a detta del catanese, le
idee di Brown sul corpo sarebbero imbarazzanti proprio perché sembrerebbe avallare l'ipotesi che il
solo corpo possegga alcune prerogative spirituali, ad avallare la tesi di Strano Capaci sono gli scritti
dell’abate Quartapelle. Viene passato in rassegna anche il concetto di sistema, in cui il controcanto
catanese si avvale del sapere dell’abate Condillac. Non manca nemmeno la tesi sostenuta da Stano
Capaci per cui: la diffusione e il successo del Brown siano da attribuirsi a influenze massoniche.
La disamina di Strano Capaci culmina con delle critiche sull’Approvazione e sugli elementi medicinae
asserendo sempre che Brown abbia voluto oscurare la grandezza di menti illuminate a favore di una
lacunosità strutturale al suo sistema, lacunosità che si riscontra ed è evidenziata (secondo il
catanese) sia nell’anonima Pace medica che dallo stesso Weikard.

Tuttavia, il nostro autore etneo, dichiarerà espressamente di non potersi identificare con gli anti-
browniani, ma semplicemente si limita ad annoverarsi tra quegli “autori oltremontani ed italiani che
per evitare i danni medici troppo funesti per la società, si sono scagliati contro il sistema (di Brown).
Continua ad elencare altri sostenitori della demolizione su Brown tra cui: Scuderi, Fallica, Zappalà.
Inoltre, punta il dito sui Fratelli Marotta di Napoli, accusati di essere i principali diffusori del
brownismo in italia (in quanto tipografi).

Infine, nel saggio di Strano Capaci, un accenno è fatto sulla controparte sia ideologica-medica sia
geografica, in particolare verrà citata una lettera del sacerdote palermitano filo-browniano Carlo
Lentini destinata al carmelitano Angelo Vita, con particolare riferimento ad una sezione avente
come titolo sistema di Brown provato dalla dottrina di Ippocrate, in cui il sacerdote palermitano si
impegna a far coincidere i principi e i sistemi di Brown con quelli dettati da Ippocrate, fallendo
miseramente .

Concludendo, Strano Capaci ritornerà sia sulla fiducia delle istituzioni che dei doctores, i quali
faranno da scudo alla diffusione della menzogna browniana, sia alla volontà del suo scritto di
correggere le menti dei giovani che in Brown vedono un grande riformatore.

DALLA PARTE DI BROWN → Il vivace dibattito europeo, riguardante la teoria sistemica messa in
piedi da John Brown, iniziò ad assumere i connotati di un vero e proprio scontro europeo,
soprattutto- come già visto- in Italia, dove i dettami dello scozzese provano a essere metabolizzati e
addirittura superati da una comunità medica decisa a far emergere, almeno in campo medico, il
primato italiano. Parimenti, l'estremo sud si interroga parimenti sulla validità del contestato sistema
rilevando un'apertura alle direttive che provenivano dai cenacoli culturali più in vista e mostrando al
contempo la volontà di travalicare i confini di una periferia territoriale scientifica che tale, in realtà,
non era. Nel territorio isolano oltre alle parole spese dai due direttori di Brown- opere già analizzate
precedentemente- è possibile ravvisare ulteriori voci impegnati a dibattere sulla questione, che
sovente tendono ad allinearsi con i parametri medici dello scozzese. Nella parte orientale dell’isola,
oltre ai detrattori di cui si è detto, si conta l’adesione autorevole al brownismo da parte del
professore di chimica dell’università etnea, Giuseppe Mirone; Scinà sostiene che in una delle sue
opere più importanti- volumetto pubblicato postumo dal suo allievo Carmelo Maravigna- l’autore
abbia voluto spianare, chiarire i principi di Brown, un intento confermato dalle parole di Mirone
medesimo all’esordio del testo, in cui viene presentata questa nuova e straordinaria dottrina.
Peraltro, lo stesso Maravigna, il quale aggiunse delle annotazioni mediche e filosofiche all’opera,
appoggia in pieno Brown, che non esita a definire “genio della medicina”, pur riconoscendo che il
suo sistema, tanto semplice nelle sue dimostrazioni, iniziò a degradare “in virtù delle fatiche stesse
dei suoi seguaci”, non mostrandosi clemente persino con le innovazioni apportate al sistema dalla
speculazione del dottore Rosari- considerata mera ipotesi e perniciosa nella pratica. In quegli anni
turbolenti, accanto a Catania, altresì l’Accademia degli Studi di Palermo mostra una certa vivacità
culturale e scientifica, rilevando, mediante l’operato di alcuni suoi noti rappresentanti, la ricezione
del sistema browniano. Parte di tale vicenda è riferita da Orazio Cancila, il quale riferisce
positivamente di diversi medici seguaci della dottrina di Brown (secondo cui il malato doveva
sostenersi con cibi solidi ed eccitanti diversi), tra i quali nomina Stefano Pizzoli- chiamato alla
cattedra di medicina dall’Accademia di Palermo nel 1780- e Francesco Berna, a capo di una scuola
privata di medicina teoretica. Proseguendo nel racconto delle vicende che condussero gradualmente
l'Accademia palermitana a divenire università tout court. Cancila si sofferma sulla figura del medico
modicano Baldassare Cannata, il quale, nel 1797, viene nominato professore di medicina pratica al
posto del defunto Pizzoli; un'assunzione che provocò mal contento tra docenti e discenti, poiché,
come riportato da Pitré, Cannata non era palermitano, non era di alta levatura e non un ottimo
parlato, facendo pertanto sentire la perdita del venerando maestro palermitano Pizzoli. In pieno
clima restauratore, poi, una serie di burrascose vicende porta, Giovanni Rasori- celebre medico
parmense- a un passo dalla titolarità della cattedra di clinica medica nella giovane università
palermitana. Nonostante il suo mancato arrivo, le distanze tra Nord e Sud Italia si assottigliano e il
dibattito rimane uno, ampiamente esaminato precedentemente. Alle critiche degli scettici rispondo
una voce, nella Sicilia a cavallo tra XVIII e XIX secolo, che si leva a favore del sistema medico ideato
da Brown ormai da più di un ventennio; è quella di un uomo di chiesa, di un sacerdote nativo di
Favara, Carlo Lentini, con un volume di 68 pagine risalente al 1801, il cui destinatario è il Padre
Baccelliere Angelo Vita, carmelitano con il quale Lentini pareva avere un’assidua corrispondenza.
Due ecclesiastici, dunque, si accostano alla dottrina di John Brown impegnandosi nella sua
comprensione e, soprattutto, preoccupandosi di diffonderla capillarmente nella speranza di una
“universal accoglienza”. Un’ accoglienza che, come ben sa Lentini, è ancora lontana, data l’ottusità
che si respirava ancora negli ambienti scientifici. Difatti, Lentini nella sua opera- tramite cui dà
sfoggio delle sue competenze mediche, scientifiche e chimice- si premura di individuare i pregiudizi
che circondano il metodo dello scozzese e di confutarli uno per uno, non già con Brown, bensì con
gli autori che i detrattori dicono di seguire. Il tentativo messo in atto dal favarese è al contempo
arduo e significativo: confutare i confutatori di Brown attraverso la presunta adesione dei principi
dello scozzese a quanto da secoli insegnato da Ippocrate manifesta un atto di ribellione
all'istituzione medica di vecchia scuola che merita di essere analizzata con attenzione e rigore.
Nell'Introduzione Lentini esordisce pennellando l'immagine del medico virtuoso il quale, oltre
all’abnegazione verso il prossimo e allo slancio verso la protezione, deve possedere, a suo dire, una
mente spregiudicata, abbandonando quel servilismo che spesso contraddistingue tanti
rappresentanti dell’arte salutare, preoccupati più di imitare che di sperimentare. La colpa di tanti
medici del tempo consiste, sempre a detta dell’autore, proprio nel rigettare la teoria senza
realmente essersi preoccupati di conoscerla e di sviscerarla in tutti i suoi punti cardine punto. Un
pregiudizio questo che egli condanna fermamente e che spesso viene rafforzato dalla condotta dei
medici più anziani, i quali catalogano il sistema di Brown come un miscuglio informe di pensieri
estremamente flebili e semplicistici; l'autore, con un certo sprezzante sarcasmo, liquida tali medici
come troppo vecchi per essere in grado di applicare le loro menti anche a poche ore al giorno di
studio, preferendo dunque rigettare in toto il sistema di Brown senza neanche essersi mai accostati
ai suoi volumi. Nel seguito della sua disamina Carlo Lentini si inoltra nei meandri, anche contorti,
delle procedure mediche più in voga a quell'epoca; nel primo paragrafo della sua opera, dal titolo
Abuso della missione del sangue, egli spiega con dovizia l'uso- che a suo parere è spesso un abuso-
del salasso mostrando di conoscere dettagliatamente quanto era noto all'epoca proposito del flusso
sanguigno. Si scaglia, senza mezzi termini, contro “qualch’empirico sanguinario” che, non avendo
reale cognizione, a suo dire, dell'importanza del sangue per la salute dell'uomo, ne fa un dispendio
degli abusi insopportabili. Brown, di contro, ragionava sull'effettiva opportunità del ricorso al
salasso, spiegando quando questo sia realmente necessario. Anche la nota dicotomia browniana a
proposito di infiammazione- stenica o astenica- non riprende altro se non la “primaria” e la
“secondaria” teorizzata dagli antichi. In fondo, continua Lentini, anche coloro i quali si professano
apertamente contro il sistema dello scozzese utilizzano per la loro prassi terapeutica medicine
debilitanti in caso di infiammazione, e farmaci corroboranti in caso contrario. L'essenziale, secondo
l'autore, è comprendere la tipologia del morbo nel caso in cui i sintomi si manifestino all'apparenza
simili e utilizzando la ragione, analizzando i fatti e determinandone con sagacità la cura. Detto
questo, Lentini procede la sua trattazione a proposito della “missione del sangue” discorrendo
ampiamente di quanto questa tecnica venisse praticata nelle donne in attesa di un bambino. Si
trattava, a sua detta, di un abuso da parte dei medici, i quali non seguivano le direttive fornite in tal
senso da Ippocrate- che censurava tale condotta. In sostanza, Lentini boccia senza remore il ricorso
al salasso senza un'indagine preventiva da parte del medico per accertarsi che una simile pratica non
facesse correre pericoli seri alla donna e al feto.
Il secondo paragrafo della fatica di Carlo Lentini si concentra sull'abuso dei romitori che, a dispetto
di quanto asserito dai detrattori di Brown, è un rimedio terapeutico contemplato nella metodica
dello scozzese che, tuttavia, ne condanna l'utilizzo eccessivo e ne raccomanda, al contrario,
precauzione decisionale nella prescrizione di tali rimedi. Il terzo argomento messo in discussione dal
nostro sacerdote è “l'abuso de purganti”, affermando che, a suo parere, sembra una moda quella di
ingoiare purganti senza la prescrizione di un medico. Come si assesta la dottrina tanto difesa
dall’autore in questa vicenda? Ebbene, anche in questo caso, Ippocrate e Brown per il nostro autore
continuano a camminare su binari paralleli, in quanto entrambi, a detta del sacerdote, giustificavano
l’uso dei purganti soltanto ove necessario. Lentini fa seguire, poi, una rassegna di medici “antichi”-
Asclepiade, Elmonzio, Tessaro, per citarne alcuni- e i loro insegnamenti a proposito di purganti,
ritenuti obsoleti da Lentini che raccomanda piuttosto di seguire le direttive in tal senso in partite da
Bellini e ovviamente da Brown, il quale, a sua detta, segue procedure analoghe a quelle di Ippocrate
circa la dieta alimentare da far seguire agli ammalati (si raccomandava una quantità di cibo non
scarsa, bensì sufficiente e nutritiva). Aspetti che continuano ad essere malvisti dai rappresentati
della medicina tradizionale. Tuttavia, i precetti della vecchia scuola non sono del tutto rigettati dal
nostro autore ma piuttosto riveduti e corretti alla luce di quanto le nuove frontiere della scienza
medica erano riusciti a conquistare. La trattazione sistematica del sacerdote procede soffermandosi
su una questione piuttosto spinosa e tanto dibattuta: Pregiudizio sopra l'oppio, e suo buon uso negli
intermittenti, recita il titolo. Il compito arduo che si prefigge Lentini è quello di demolire la
contestazione dei detrattori di Brown a proposito del presunto uso eccessivo che questi e i suoi
seguaci farebbero di una sostanza da tanti ritenuta nociva. Similmente alla questione dei purganti, la
via giusta da seguire rimane, a sua detta, quella della moderazione nel somministrare le varie
sostanze e a questa regola non sfugge neanche un “medicamento esotico” come l'oppio; d'altra
parte, continua l'autore, l'uso dei narcotici in tante malattie viene raccomandato da Ippocrate
medesimo, insegnando che è realmente utile solo per alcuni morbi come consigliato analogamente
dal saggio Brown. La riflessione sull'uso dell'oppio e medicina prosegue con esempi illustri medici
del passato che, nelle loro pratiche terapeutiche, hanno fatto ricorso a tale sostanza soprattutto nei
casi di febbre intermittente, vomito e così via; dopo una lunga apologia dei presunti effetti benefici
dell'oppio in medicina, Lentini si prepara a sfatare ancora un pregiudizio: non utilizzare la china nelle
febbri non infiammatorie. L'autore auspica che tale sostanza venga presa in considerazione dai
medici perlomeno nella fase remissiva della febbre o in casi di febbre gastrica, nervosa e farne a
meno, come consigliato da Brown, nei casi di febbre infiammatoria. La questione dell'utilizzo della
china passa altresì dalla spiegazione del flogisto: anche negli stati languidi il flogisto si manifesta,
tanto da non impedire in tali casi il ricorso alla china; dunque, l'errore di coloro i quali egli chiama
“Antebrowniani” è quello di ritenere sempre la flogosi in qualche modo “abbinata” al flogisto e non
contemplare l'ipotesi che quest'ultimo si manifesti anche nei casi di debolezza. Per comprendere
questo passaggio a detta di Lentini sarebbe necessario conoscere i concetti di gas ossigeno idrogeno
e carbonico; il flogisto altro non è che l'unione di due sostanze combustibili del sangue, vale a dire
idrogeno e carbonio e se questi due combustibili non si combinassero con l'ossigeno dell'aria del
passaggio che fa il sangue nel polmone l'animale perirebbe all'istante. Ne consegue che la
respirazione non è altro che una lenta combustione di quelle due sostanze in un'area abbondante di
gas acido carbonico la circolazione si vizia e sopra abbonda il flogisto per la mancanza dell'ossigeno
da ciò nasce che le contrazioni del cuore divengono languide lenta la circolazione e nascono le
malattie di debolezza ecco, dunque, che abbonda in questo il flogisto perché ha poco agito l'aria
vitale nei polmoni e perché ha consumato poco dell'idrogeno e del carbonio.
Il suo documentarsi merito ai ritrovati ultimi della medicina lo portano a aderire con convinzione a
precise scuole di pensiero. Così, all'esordio del punto VI dal titolo Pregiudizio della putredine del
sangue egli afferma di essere un “solidista”, ossia ritiene maggiormente utile e opportuno curare i
solidi piuttosto che ostinarsi a purificare il sangue; la sua ipotesi è quella di non fermarsi alla sola
apparenza del sangue, di non credere che il colore più o meno vivo di esso sia di per sé un sintomo
di stato morboso sano, in quanto vi è l'aria che opera sopra questo fluido. Ecco che il nostro autore
si accinge ancora una volta alla demolizione del pensiero dei suoi oppositori, dal momento che
questi pretendono che nelle infiammazioni pecchi il sangue di una diatesi infiammatoria e il perno
dei loro argomenti è la cotenna del sangue che presenta il pleuritico. Lentini vuol dimostrare che
questa cotenna è comune in diversi morbi e si avvalora nuovamente di nomi noti per avvalorare la
sua idea. Sostanzialmente, riportare i nomi di celebri medici e le loro vicende serve all’autore per
rafforzare la teoria secondo la quale il sangue certamente serve da veicolo a molti veleni, ma che
pure non soffre dei conseguenti danni nelle sue parti costitutive. Il sacerdote di Favara,
successivamente, non mostra alcun timore nel demolire un'ulteriore pratica antica e diffusa tra i
medici fisici: eseguire diagnosi attraverso l'osservazione delle urine del malato. A detta di Lentini, le
urine possono vedersi buone in umori pericolosi, pessime in morbi leggeri, ma non sono mai state
un buon criterio per un medico; analogamente l'autore, come in precedenza, indica ulteriormente
che l'eccessiva fluidità del sangue e il suo odore putrido come segni non determinanti per
comprendere lo stato morboso di un individuo.
Lo scopo delle sue lunghe disamine è sempre quello di ricercare la verità della scienza a dispetto
degli scettici.
L'autore procede con un esame palmare delle dottrine veicolate dai due medici Ippocrate e Brown
per evidenziare in modo diretto la loro presunta verosimiglianza, asserendo, infatti, che sono due le
classificazioni dei morbi nel sistema dello scozzese e ugualmente due ne aveva conosciuto
Ippocrate, aggiungendosi a ciò una sorta di coerenza nella prassi terapeutica tra i due nei casi di
debolezza indiretta, giacché ambedue consigliano in taluni casi stimoli effusivi, l’uso dei debilitanti
proporzionato alla natura del male e del paziente, ed infine la nocività di caldo/freddo, se eccessivi.
L'appassionata difesa che il sacerdote Carlo Lentini aveva scritto allo scopo di avvalorare le ipotesi
scientifiche di John Brown ci dà la dimensione del dibattito serrato che, da Oriente a Occidente
dell'isola, il sistema del medico scozzese continuava a rinfocolare. Una conferma di ciò è
riscontrabile in un'opera firmata da Tommaso Migliore- nel 1801 candidato alla cattedra di patologia
presso l’Accademia palermitana- ovvero un volumetto diviso in 7 lettere, la prima delle quali è
rivolta, a sua volta, contro la lettera di un giovane browniano che credeva che i precetti di Brown
potessero essere conformi a quelli degli antichi; Migliore, pertanto, si preoccupa di demolire quanto
scritto in maniera decisa e sfacciata dal giovane chierico, tentando di cogliere in fallo le tesi portate
avanti con convinzione da Lentini utilizzando, per certi versi, il suo medesimo stile, cioè quello di
riscontrare presunte incongruenze e palesi paradossi tra le righe della lettera. Egli si concentra
particolarmente sul maldestro, a suo dire, tentativo del sacerdote di far combaciare le tesi di Brown
con quelle degli antibrowniani. Pur avendo espresso una risposta di chiusura della prima lettera
permeata da parole dure, da quanto scritto nella seconda lettera il profilo di uno studioso avverso al
sistema di Brown, che parrebbe delinearsi dalla lettura precedente, sembra assumere dei contorni
più sfumati; ecco, difatti, che l’autore ammette non soltanto la rivoluzione che segue la medicina,
bensì l'altrettanto ed eccessivo livore mostrato nei riguardi di Brown. Peraltro, ad un amico non
medico, destinatario della terza lettera, Migliore spiega la sua posizione rispetto all'utilizzo o meno
dell'oppio - di cui parla anche nella lettera successiva- nei casi di alcune malattie, precisando tuttavia
che il fatto che egli concepisce l'uso di tale droga non significa che faccia parte della schiera dei
medici browniani i quale, a suo dire, ne fanno abuso. I ragionamenti del nostro autore, talvolta pro-
Brown, talaltra avverse al medico scozzese, proseguono anche nelle lettere successive. Nella
settima, in particolare, a proposito delle febbri, difende a spada tratta l'autorità di Ippocrate,
discriminando al contempo i browniani e i loro, a suo avviso, “deliri”. E in un discorso pubblicato in
coda alle sue lettere, Migliore si impegna ancora una volta a smentire la presunta aderenza dei
principi di Brown a quelli dettati da Bacone.
I pareri ambigui esposti da Tommaso Migliore nella sua operetta la dicono lunga sullo stato del
dibattito circa tale sistema browniano -anche in Sicilia- in quegli anni turbolenti punto. Tra feroci
oppositori e caldissimi fautori, il medico scozzese conta, dunque, anche una terza categoria di
soggetti che si accostano incuriositi ai suoi precetti, rivelando spesso elaborazioni teoriche criptiche
e atteggiamenti enigmatici.
Questa è l’ennesima conferma di un dibattito medico teorico pratico accorato e pungente destinato
a riflettere i suoi riverberi ancora per lungo tempo.

CAPITOLO 4 - FINE DI UNA TEORIA?


Gli influssi delle teorie sistemiche (tra cui il magnetismo e l’omeopatia) connotano il framework
della speculazione e della pratica medica per tutto l’Ottocento.
Anche in Sicilia, il contesto favoriva l’innesto di un nuovo sistema medico, quale quello
dell’omeopatia (introdotta da Sammuel Hahnemann tra il XVIII e il XIX secolo) che suscitò grande
interesse negli studiosi di medicina. Esempio di questo interesse è l’opera di Pasquale Pavarini che,
studiando la pratica medica di questa disciplina medica durante un soggiorno presso l’area
partenopea, ne favorì la propagazione. Inoltre, Vincenzo Mortillaro racconta l’aneddoto di un
mercante (Benoit Mure) vicino al socialismo di Fourier che si recò presso Palermo per curarsi la tisi
attraverso i medicamenti della dottrina nascente. Il rimando al socialismo foureriano, nella
definizione dei tratti del paziente, non è casuale; infatti, si assiste ad una sorta di mescolamento tra
dottrine mediche e dottrine politiche, per questa ragione, è importante porsi alcune domande:

1. Sono questi i momenti che segnano l’inizio del declino del brownismo in Sicilia?
2. La polemica tra detrattori e fautori di Brown poteva definirsi conclusa?
3. Quali echi continuavano a circolare sia nelle corsie ospedaliere che dentro le aule degli atenei?

Per rispondere a queste domande, bisogna fare riferimento all’opera Discorso del protomedico
catanese Antonino Di Giacomo databile intorno al primo trentennio del XIX secolo; oltre ad
incarnare il profilo del medico-filosofo-politico ottocentesco; nella sua opera si trovano gli ultimi
stralci del brownismo in Sicilia. Egli spiega che dopo la pace di Utrecht, le dottrine di Ippocrate
riemergono nel dibattito europeo, a fare un’eccezione è la Sicilia che, a causa di molti fattori, quali:
l’instabilità politica, il terremoto, l’Etna… non riuscì a dare avvio a questa fase di rinascita della
classicità delle dottrine mediche. Passando a citare la scuola di Leida e il medico Herman Boerhaave;
Di Giacomo sostiene che la diffusione delle filosofie di Locke, Bonnet e Condillac sono entrate nei
libri dei peripatetici affermando che le scuole di medicina più frequentate a Catania, fossero quelle
di stampo hoffmanniano e boheraaviano.
Successivamente, racconta il dibattito siciliano sul brownismo e cerca di delinearne la traiettorie
diffusive sottolineando che gli studi di medicina precedenti fossero stati oscurati a favore della
dottrina scozzese; per cui procede ad una lode verso tutti coloro che nel capoluogo etneo si
opposero alla dottrina di John Brown (ad esempio Francesco Maria Scuderi), e muove un critica
condita con molta finta compassione a coloro che invece accolsero integralmente le tesi di Brown e
che ne valsero la notorietà.
Questa tesi è accreditata dalle parole di Vincenzo Mortillaro, il quale non differisce dalle accuse
mosse dal Di Giacomo. In sostanza: le carenze e le aporie del sistema di Brown erano evidenti sia sul
piano puramente speculativo che sul livello pratico; parte della comunità medica, inebriata dalla
“novità” ignorò le impasse e, nonostante questo, i medici siciliani di stampo bronzista, ebbero anche
loro una parte di notorietà.
Il nostro autore catanese continua sulla scorta dei detrattori di Brown pur riconoscendone le novità
introdotte nella farmacologia e la bontà dello stesso Brown nel formulare un sistema medico.
Inoltre, un altro aspetto che riconosce è il fatto che il sistema dello scozzese, non si limitò ad essere
una dottrina “chiusa”, ma si aprì anche ad altri che la abbracciarono riformulandone alcuni aspetti
sulla base di studi pregressi.
La vivacità del dibattito su John Brown favorì a sua volta il progresso della medicina ottocentesca; in
particolare, Di Giacomo pone la sua attenzione verso le scuole partenopee e la dottrina di Rasori e
Tommasini. Nel complesso, l’opera del catanese, è la cartina di tornasole sull’ultimo scorcio del
dibattito sul brownismo, sebbene, lo stesso autore appare combattuto nella volontà di prendere
una posizione radicale.
Il brownismo e la querelle che porta con sé, non finisce con l’opera di Di Giacomo, ma si possono
anche ricordare: Salvatore Galluzzo (Palermo) che nel 1834 pubblica su un giornale un articolo sulla
“debolezza” intesa nel sistema di Brown; Alessio Narbone che cita Biagio Cerrito (medico di
Sant’Agata di Militello) ricordato per aver colto fin da subito gli effetti (negativi) di Brown in Sicilia.
Concludendo possiamo dire che la dottrina di Brown ha lasciato un segno di un certo spesso in
Europa che, da più di un cinquantennio, faceva i conti con appelli reiterati allo svecchiamento della
medicina e con sussulti sociopolitici drammatici ed epocali.

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