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NARDUCCI, mentre il probabile episodio sincopale è il mezzo che l’ha prodotta, occorrerà
approfondire i due concetti, cominciando dal primo.
Cos’è, allora, l’annegamento ? E’ “uno stato di asfissia acuta di tipo occlusivo, che provoca
una ridotta ossigenazione del sangue fino alla anossia che a livello cerebrale è la causa dell’arresto
respiratorio” (..). Il fenomeno può derivare da due modalità diverse, una definita “a polmone
bagnato”, l’altra definita da “polmone asciutto”.
Nel primo caso, la persona in difficoltà annaspa per restare a galla, le entra acqua in bocca
che la costringe a trattenere il respiro, ma solo per pochi attimi, perché poi la persona è costretta a
respirare e ingerisce invece acqua con fasi di tosse, vomito e ancora ingestione d’acqua, finché la
persona perde coscienza e l’acqua arriva ai polmoni. Qui c’è un primitivo arresto respiratorio cui
segue l’arresto cardiaco e la vittima appare subito “cianotica”
Nell’altro caso, invece, la persona, trattenendo il respiro, perde coscienza, per sindrome
ipossica e non riprende più a respirare e muore per asfissia. Qui l’arresto cardiaco precede quello
respiratorio e la vittima appare pallida. In altri casi, la vittima perde inaspettatamente coscienza
quando è in acqua a causa di malori (sincope ipossica da apnea, sincope vagale, da ansia o
emozione, da idrocuzione, per contatto con l’acqua fredda) o di traumi (..).
Nella fattispecie, poi, trattandosi di (ipotetico) annegamento in acqua lacustre, essa avrebbe
determinato la diluizione del sangue, attraverso il passaggio dagli alveoli polmonari al sangue e,
quindi, l’emolisi e la fibrillazione del cuore.
Passando alla “sincope”, si tratta di una improvvisa e brusca perdita di coscienza, che può
essere scatenata da fattori diversi, come sopra descritti, di tipo traumatico, di tipo termico (per es.
l’ingresso nell’acqua fredda), di tipo allergico, di tipo digestivo.
Come si vede, si tratta di situazioni diversificate, caratterizzate quasi tutte dal fatto che, in
genere, l’episodio sincopale coglie il soggetto in acqua, mentre, nella fattispecie, prendendo per
buona, per assurdo, la versione ufficiale “1985”, il soggetto avrebbe sofferto dell’episodio
sincopale, stando in barca e sarebbe conseguentemente annegato vestito, perché così è stato
rinvenuto dal pescatore BAIOCCO il cadavere all’epoca riconosciuto come appartenente al
NARDUCCI. E’ opportuno sottolineare che il NARDUCCI non solo era un bravissimo
nuotatore, non solo non aveva mai avuto problemi in acqua, ma non soffriva neppure di disturbi
che possono causare episodi sincopali o, comunque, un’improvvisa perdita di coscienza. Lo ha
attestato, tra gli altri, sin dall’8.02.02, la moglie FRANCESCA SPAGNOLI, quando, presentatasi
spontaneamente, per la prima volta, nell’originario procedimento n. 17869/01/44, ha affermato,
tra l’altro:
“Ricordo che FRANCESCO era un bravissimo nuotatore e praticava lo sci d’acqua ed il windsurf.”
Domanda: “ ricorda se suo marito ha mai avuto problemi in acqua?”
(..) “Non li ha mai avuti.”
E invece, secondo l’ipotesi più riduttiva e “negazionistica” della morte del NARDUCCI,
“consacrata” negli scarni, diciamo così eufemisticamente, “accertamenti” iniziali, ipotesi solo
recentemente abbandonata dai familiari, ma difesa tenacemente, rabbiosamente e in maniera
decisamente sospetta, da MARIO SPEZI e FRANCESCO CALAMANDREI e rispettive difese, nel
connesso procedimento n. 1845/08/21, il NARDUCCI avrebbe avuto una sincope.
Trovandosi nella sua imbarcazione e, invece di accasciarsi sui sedili della stessa, sarebbe
caduto in un tratto lacustre alto meno di due metri, con acqua limpida e in una giornata assolata e
priva di vento.
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In sede di incidente probatorio, il pescatore DOLCIAMI LUIGI, all’udienza del 18.11.05,
rispondendo alle domande del P.M. come fosse il tempo quel giorno (nelle ore in cui si trovò al
lago, cioè dalle 15 alle 17 circa) (..), se vi fosse vento e come fosse il lago, ha detto, riferendosi al
tempo: “chiaro, bello, pulito”, “Sì, sì. No, no, no, non c’era vento”, riferendosi al vento e: “Come il
lago? Calmo, calmo… calmo proprio una tavola era” (..).
Anche l’altro pescatore TICCHIONI ENZO che era intento a sistemare le reti (“tofoni”)
nella stessa area (tra il castello e la punta del Maciarone), tra le 14 e il tramonto, cioè in un arco più
ampio di quello del DOLCIAMI, descrive il lago come “molto calmo” e sottolinea di non ricordare
assolutamente la presenza di vento, perché, se vi fosse stato, non sarebbe stato possibile sistemare i
“tofoni” (vds. dich. in data 15.10.2004) (..). Il TICCHIONI, nella stessa occasione, ha precisato che
il tratto di lago in questione, all’epoca sarà stato profondo circa un metro.
Che quel pomeriggio di ottobre il lago fosse assolutamente liscio e con totale carenza di
vento, lo ha detto anche BELARDONI AGATA in data 7.10.06 (..). Anche nel periodo
successivo, della tarda serata, le condizioni climatiche permangono inalterate: assoluta calma di
vento e lago immobile. Ha detto, infatti, UGO MANCINELLI (..) :
“Ricordo che quella sera c’era un tempo splendido e non spirava un filo di vento. Il lago era liscio come
l’olio…”
(..) L’imbarcazione viene rinvenuta con la leva del cambio in folle e il motore spento (..).
A questo punto, va portata l’attenzione sull’imbarcazione del NARDUCCI, identificata
come PR 3304, che era a quattro posti, sistemati “schiena contro schiena”, con i due posti anteriori
che guardavano davanti e quelli anteriori che erano volti verso la parte posteriore dello scafo (..).
I posti sono ubicati piuttosto in basso nello scafo e la parte superiore dei sedili è
praticamente all’altezza del bordo dell’imbarcazione: chi si fosse seduto su uno di quei sedili si
trovava assolutamente al sicuro, ben all’interno dello scafo, senza possibilità alcuna che una
momentanea perdita di coscienza ne determinasse la caduta in acqua. Come s’è detto,
l’imbarcazione è stata trovata con il cambio in posizione di “folle” e il motore spento.
Non solo, quindi, manca qualsivoglia elemento a supporto del preteso “malore” e del
conseguente annegamento, ma tutto quello che si è detto, vale a dire il fatto che il NARDUCCI
fosse un provetto nuotatore, che non avesse mai avuto problemi in acqua, che non soffrisse di
patologie tali da determinare perdita di coscienza, il fatto che il NARDUCCI avesse lasciato la leva
in folle e avesse regolarmente spento il motore, con un comportamento assolutamente normale e
controllato, il fatto che i sedili dell’imbarcazione fossero ben sistemati all’interno dell’abitacolo e
che, quindi, un eventuale malore comportasse solo un accasciamento della persona sul sedile e non
il suo precipitare in acqua e il fatto che le condizioni climatiche fossero ottimali, con assoluta
carenza di vento e superficie calmissima del lago, profondo, per di più, dal metro ai due metri, tutto
quello che si è illustrato, si ripete, contrasta radicalmente con l’ipotesi descritta dalla giovane e
inesperta D.ssa SEPPOLONI (..).
Ma non basta ancora. Il NARDUCCI era impegnato quel giorno nella sua attività
professionale al Policlinico di Perugia. Che fosse impegnato in una sessione d’esami o nella
concreta attività medica del Reparto o in entrambe, poco importa per quello che si dirà.
Che il NARDUCCI, impegnato la mattina dell’8 ottobre in una sessione di esami, si fosse
improvvisamente dovuto assentare dopo aver ricevuto una telefonata, lo ha detto e ripetuto il Prof.
MARIO BELLUCCI, riportando quello che ebbe a riferirgli il Prof. ANTONIO MORELLI (vds. in
particolare il verbale in data 3.10.02, nel procedimento n. 17869/01/44).
In effetti, il NARDUCCI partecipava in quel periodo a commissioni d’esami: lo ha
confermato il 4.10.02 il medico GIUSEPPE BACCI, laureatosi con FRANCESCO NARDUCCI nel
1984 con una tesi sulla sindrome del colon irritabile, che ha detto che tutti i mesi, salvo agosto, dal
primo al 10, vi erano sessioni d’esami di laurea e quel giorno lui non vide il NARDUCCI, ciò che
accadeva quando lo stesso era impegnato in sessioni d’esami. Il BACCI ha descritto con
precisione le aule dove si svolgevano tali esami e la loro vicinanza con un telefono a cui tutti
potevano accedere.
Il Prof. ANTONIO MORELLI non ha ritenuto di confermare quanto confidato al Prof.
BELLUCCI, circa la telefonata ricevuta dal NARDUCCI durante la sessione d’esami. Ha però
parlato di un fatto sopraggiunto in tarda mattinata e cioè la difficoltà del NARDUCCI
nell’effettuare un esame gastroscopico o colonscopico e un’ulteriore telefonata per il NARDUCCI
da parte di persona residente a Firenze. Ha detto, infatti il 27.05.05:
“Per quanto riguarda la telefonata ricevuta da FRANCESCO NARDUCCI, questa è da collocare intorno
alle ore 13 – 13.30 circa, pervenuta mentre FRANCESCO stava effettuando un esame ad un paziente.
Aggiungo che questa persona proveniva probabilmente da Firenze o era un congiunto di qualcuno che
risiedeva a Firenze; tutto questo aspetto me lo ha riferito GIUSEPPE PIFFEROTTI, nostro infermiere di
vecchia data.”
A completare il quadro di quella mattinata vi sono anche le dichiarazioni del Dr.
GIOVANNI BATTISTA PIODA, del 4.05.02 (proc. 17869), allora specializzando in medicina
interna, che lo incrociò quel mattino, verso le 11,30 – 12, mentre percorreva il corridoio a piano
terra che portava ai laboratori o all’uscita e che non rispose al saluto dello specializzando e
“appariva pensieroso”.
In ogni caso, quello che è certo è che, nel corso della mattinata dell’8 ottobre, il
NARDUCCI decide di modificare radicalmente la propria giornata e di abbandonare il lavoro che
sarebbe proseguito nel pomeriggio, recandosi al Lago Trasimeno e allontanandosi velocemente, in
barca, verso la punta del Maciarone.
Ma quello che è ancora più strano ed incomprensibile è non solo che di tale sua decisione
egli non informi minimamente la moglie, una volta tornato insolitamente a casa per un veloce
pranzo, ma che abbia mentito apertamente alla stessa, dicendole che sarebbe tornato al lavoro in
Ospedale e che sarebbe tornato presto a casa e nascondendole, quindi, del tutto il suo proposito di
recarsi al lago (vds. dich. della moglie FRANCESCA SPAGNOLI, del 19.02.02, nel proc. 17869).
Perché negare alla moglie la sua intenzione di portarsi al lago e di prendere la barca quel giorno,
magari per rilassarsi o concentrarsi per convegni a cui avrebbe partecipato come relatore ?
E’ evidente, quindi, che la caduta accidentale in acqua, in seguito a malore, secondo la
vulgata ufficiale “1985”, non solo è priva di qualsivoglia riscontro ma è contrastata e smentita, in
radice, da tutte le considerazioni che precedono.
La causa della morte, cioè, l’annegamento è poi impossibile precisarla in assenza di
accertamento autoptico ed esami specialistici correlati.
Abbiamo visto come il Prof. Giovanni Pierucci, nella sua prima CT ex art. 359 c.p.p.,
valutasse gli accertamenti svolti all’epoca: un disastro, un autentico disastro, a cui va aggiunto,
l’ulteriore, inescusabile particolare dell’assenza di foto ufficiali del cadavere.
E’ inutile aggiungere altro. I fatti si commentano da soli. Quello che fu fatto il 13 ottobre
1985 sul pontile di Sant’Arcangelo è qualcosa di oggettivamente scandaloso e non ci si può non
meravigliare che vi sia ancora qualcuno che difenda ciò che è indifendibile.
E non è un caso che l’allora Procuratore Dr. NICCOLO’ RESTIVO, in data 13.10.2005,
abbia dichiarato:
“Si parlava di fatto accidentale e che non risultavano ipotesi di reato. Solo successivamente, ma non ricordo
con precisione quando, qualcuno cominciò ad avanzare l’ipotesi del suicidio. In relazione a questa, non
veniva mai fornita spiegazione sulle cause e la cosa mi colpì molto…”
Strano, però, perché il Dr. SPERONI, all’epoca Dirigente della Mobile, ci ha raccontato
un’altra cosa quando è stato sentito la prima volta, cioè il 5.04.02. Diamo la parola al Dr.
SPERONI:
“Il Dott. CENTRONE mi disse che tanto si trattava di suicidio come gli avevano detto i familiari e che
quindi poteva essere riconsegnato agli stessi anche perché si trattava di una famiglia conosciuta.”
E il Dr. CENTRONE, sentito il 10.02.03, non chiarisce affatto cosa gli fu detto ma ricorda di
averne parlato con il Procuratore RESTIVO:
“Ricordo che parlai con il capo dell’Ufficio NICOLA RESTIVO, che informai dell’accaduto e al quale
riferii che non ravvisavo la necessità di un esame autoptico. Io mi limitai ad impartire le direttive che si
impartiscono solitamente in questi casi, e comunque mi sono regolato come sempre in situazioni del genere,
specialmente per quanto riguarda i cadaveri rinvenuti nel lago.”
Allora, come la mettiamo ? Ha ragione l’allora Procuratore o il Dirigente della Mobile che
riferisce quanto ebbe a dirgli il sostituto di turno dell’epoca, secondo cui i familiari gli dissero che si
trattava di suicidio ? E suicidio perché ?
Sul punto, va richiamato quanto dichiarato da FRANCESCA SPAGNOLI il 22.01.2005:
“Confermo anche che nel marzo 2002 all’incirca, dopo essere stata chiamata da ALFREDO BRIZIOLI, che
invano mi si era proposto come difensore, chiamandomi al telefono (..), incontratami in città, nel marzo
2002 all’incirca, mi disse testualmente: ‘ti sembra che una persona che vuol suicidarsi chiami un amico per
fare un giro in moto lo stesso giorno?’”.
L’amico era, come vedremo oltre, il Prof. AVERSA.
Ma come ? ALFREDO BRIZIOLI non è sempre stato il difensore accanito della vulgata
“ufficiale” 1985 che vuole il NARDUCCI morto per disgrazia o, in subordine, per suicidio ? A
FRANCESCA, in privato, diceva quindi cose ben diverse.
Sarebbe vano insistere. E’ un quadro, quello “ufficiale” dell’epoca, indifendibile.
Torniamo a quanto “accertato”, si fa per dire, dalla D.ssa SEPPOLONI: “asfissia da
annegamento da probabile episodio sincopale”. La causa ufficiale sarebbe questa. Ma, accanto e
contestualmente a questa, circolava, come s’è visto e circola un’altra ipotesi, quella suicidiaria,
questa sfornita persino di quel limitatissimo “riscontro” che poteva avere all’epoca la diagnosi della
giovane dottoressa chiamata sul pontile.
Oggi i NARDUCCI sono propensi ad accettare l’ipotesi suicidiaria, senza, peraltro, poter
invocare altro che una specie di loro “certezza morale” subordinata (all’evento accidentale), ma
guardandosi bene dal fornire una qualche spiegazione di un gesto del genere. Quello che ha
sorpreso il Dr. RESTIVO all’epoca non può non sorprendere, a maggior ragione, oggi. In ogni caso,
mentre l’ipotesi annegamento da sincope è fondata su una certificazione medica che è tamquam non
esset, quella del suicidio non si basa neppure su questa, perché, al di là di tutto, è l’annegamento che
non è provato e, trattandosi di un’assoluta illazione, non può trovare spazio alcuno in ambito
giudiziario.
Anche perché, solo per fare questo esempio, bisognerebbe spiegare l’invito, rivolto dal
NARDUCCI proprio in quella tarda mattinata dell’8 ottobre, al Prof. FRANCO AVERSA, di
accompagnarlo al lago: si vedano le dich. dell’AVERSA in data 29.05.02, in cui il medico riporta
con queste parole l’invito:
“FRANCESCO era uscito dall'Istituto e quando mi vide iniziammo a parlare, poi mi chiese se volessi
accompagnarlo al lago a fare un giro in moto vista la bella giornata…non avevo con FRANCESCO un
rapporto tale che giustificasse un invito del genere. Posso dire con certezza che tutto si poteva pensare quel
giorno tranne che FRANCESCO potesse suicidarsi. Questo lo affermo perché, ripeto, non notai alcun
atteggiamento che potesse lasciare immaginare ad uno sconvolgimento tale che giustificasse minimamente
quel gesto”.
La verità è che FRANCESCO doveva recarsi al lago ma voleva essere in compagnia di
qualcuno che conoscesse.
L’assoluta arbitrarietà degli accertamenti è riconosciuta dalla stessa D.ssa SEPPOLONI che,
assunta a informazioni il 4.03.02, ha negato, tra l’altro, come s’è già detto in precedenza, di aver
indicato l’orario della morte in 110 ore dal rinvenimento. Sul verbale di riconoscimento e
descrizione di cadavere ed ha confessato di non sapersi spiegare una tale indicazione. La stessa ha
aggiunto, nello stesso verbale del 4.03.02:
“non riesco a capire come mai, nel verbale di visita esterna, abbia indicato ‘asfissia da annegamento’
come mi chiedevano il MORELLI ed il FARRONI, perché non era possibile una diagnosi precisa in tal
senso senza un esame autoptico.”
E ancora, sempre nello stesso verbale del 4.03.02:
“ribadisco che non potevo dire asfissia da annegamento ma asfissia da sospetto annegamento. Mi trovo
molto imbarazzata perché non riesco a capire perché ho scritto certe cose.”
E il 7.03.02, si è già parlato di quel verbale ma varrà la pena tornarci di nuovo perché è
impressionante. La Dottoressa SEPPOLONI, si diceva, dopo aver visionato il processo verbale di
ricognizione cadaverica ed aver avuto la conferma che nel verbale era apposta proprio quella
indicazione, ha aggiunto, soffermandosi sulle condizioni in cui si svolse quella specie di
accertamento:
“Riconosco la mia firma. A questo punto comincio a dubitare dei miei ricordi perché nella mia memoria
non avevo affatto il riferimento alle 110 ore perché non potevo darlo sulla base delle mie competenze che
si fermavano all’accertamento della morte non essendo io medico legale. Debbo ripetere che sono stata
pressata di continuo sul molo dall’uomo che indossava una divisa di colore scuro e, durante la stesura del
processo verbale all’interno dei locali della cooperativa dal prof. MORELLI e dal prof. FARRONI che
avevano riconosciuto il cadavere. In quella circostanza ci fu anche uno scambio di opinioni abbastanza
animato tra me (che fino all’anno precedente ero stata volontaria nella clinica medica ove il professore
MORELLI era il responsabile del reparto di gastroenterologia e che tenne un corso a cui partecipai) e il
prof. MORELLI ed il prof. FARRONI che in più occasioni cercavano di convincermi che il NARDUCCI
era morto per annegamento senza indicarmi la data della morte. Io insistevo cercando di sottolineare il
fatto che non poteva essere messa una diagnosi di certezza sulla causa della morte ma solo di
verosimiglianza o di sospetto e che era necessario un esame autoptico. Questo lo dissi come se si
trattasse di un fatto scontato perché in questi casi si fa sempre l’esame autoptico. Non ricordo se questo lo
dissi all’interno dei locali della cooperativa o sul molo parlando con il dottor TRIPPETTI. Quello che è
certo e che vi era una pressione continua a che si facesse in fretta al fine di restituire il corpo subito alla
famiglia”.
Ogni commento è superfluo: è la stessa “autrice” di quella sorta di pseudo ispezione
cadaverica a sconfessare clamorosamente tutto il suo operato. Cosa si vuole di più ?
E almeno fosse emerso qualche riscontro all’annegamento nell’accertamento autoptico del
2002 ! E invece, nulla di nulla.
“Non si è osservata alcuna forma riferibile a diatomee né a plancton cristallino” è la drastica
conclusione del Prof. PIERUCCI nella CT ex art. 360 c.p.p. (vds. p. 27) che sottolinea, quindi, che
non è suffragata l’ipotesi di morte per annegamento (vds. la stessa CT a p. 38).
Nella prima CT, il Prof. PIERUCCI, prima dell’accertamento autoptico e in relazione agli
“accertamenti” del 1985, conclude, quindi, che sulle cause di morte e sui mezzi che l’hanno
prodotta “non è consentita alcuna affermazione concreta” (vds. prima CT a p. 23).
Del cadavere ripescato a Sant’Arcangelo, delle cause della sua morte e dei mezzi che
l’hanno prodotta e della stessa ora della morte, quindi, non si può dire alcunché e quegli
accertamenti vanno tolti di mezzo e considerati inesistenti, tamquam non essent.
L’indicazione di 110 ore prima del rinvenimento, avvenuto ufficialmente alle 7,20 del 13
ottobre, avrebbe fatto coincidere, come s’è detto, la morte del NARDUCCI con un periodo non di
molto ma neppure di poco successivo all’allontanamento a bordo dell’imbarcazione, avvenuto poco
dopo le 15 (vds. le dich. di BELARDONI GIULIANO del 6.10.06), mentre la moglie di GIUSEPPE
TROVATI, titolare della darsena ove era ricoverata l’imbarcazione del NARDUCCI, sposta di circa
una mezz’ora l’orario di partenza del NARDUCCI, verso le 15,30.
Non basta. Manca una sia pure approssimativa descrizione del cadavere ripescato. Si dice
soltanto che erano presenti: Capo: “Macchie ipostatiche e segni di macerazione della cute e delle
mucose”. Tronco: “Non presentava lesioni”. Arti superiori: “Segni di macerazione della cute”. Arti
inferiori: “Non sono presenti lesioni” (vds. prima CT PIERUCCI a p. 4).
Così sono descritti gli indumenti: “un pantalone jeans con giubbotto in pelle marrone,
camicia e mocassini marrone” (vds. ibidem).
Il fratello PIERLUCA si è discostato, nella sua descrizione, dal dato obbiettivo della camicia
indossata dal cadavere. Il 19.04.02 ha detto:
“Mio fratello aveva una Lacoste blu, un giubbotto di camoscio ed un paio di jeans”.
Come s’è detto, le autorità non scattarono foto del cadavere, che invece fu
(provvidenzialmente) fotografato da giornalisti presenti, in particolare dal fotoreporter de “La
Nazione” PIETRO CROCCHIONI che, sentito in particolare il 5.12.05, ha dichiarato:
“Io ricordo che fui avvertito dal cronista di nera ELIO CLERO BERTOLDI che mi chiamò a casa. Mi disse
che era stato ritrovato il corpo del NARDUCCI e che dovevamo portarci a Sant’Arcangelo. Ricordo che
quando mi chiamò era mattina presto… Rammento solo che giungemmo sul pontile meno di un’ora dopo.
Giunti sul posto, trovammo poche persone e ci venne impedito di avvicinarci al pontile, dove vi erano alcune
persone in attesa dell’arrivo della motovedetta dei Carabinieri con a bordo il corpo.
Da lì ho scattato le foto che ho poi consegnato ai Carabinieri del Comando Provinciale. Ho visto da lontano
il cadavere che veniva issato sul pontile e che è stato da me fotografato. Poiché me lo chiede, non ricordo
come fosse vestito, anche per la distanza. Ribadisco che, quando arrivammo, il cadavere non era ancora
stato portato sul pontile ed era prima mattina. A quanto ricordo, il corpo è stato tenuto a lungo nella
motovedetta, all’incirca trenta minuti…”.
Quanto riferito dal CROCCHIONI va “incrociato” con quanto riferito il 30.05.05 dall’allora
Carabiniere MELI DANIELE che si trovava a bordo della pilotina n. 516 dei Carabinieri di
Castiglione del Lago in perlustrazione insieme all’allora Appuntato DI GORO BRUNO e che ha
precisato:
“Quella mattina io e l’Appuntato DI GORO eravamo in perlustrazione tra lo specchio d’acqua l’Isola
Polvese e Sant’Arcangelo. Potevano essere le 08,00, minuto più minuto meno, quando risposi ad una
chiamata della Centrale Operativa CC. di Città della Pieve che ci informò di portarci nei pressi di
Sant’Arcangelo in quanto vi era un pescatore che ci stava aspettando nella zona antistante il molo di
Sant’Arcangelo. Da dove eravamo fino a quando raggiungemmo questi due pescatori, ci abbiamo messo
meno di cinque minuti in quanto eravamo già nei pressi di quello specchio d’acqua… Come ho detto ci
mettemmo pochissimo, ripeto tre, quattro, cinque minuti al massimo, ad arrivare sul punto dove c’era il
cadavere. Atteso il fatto che allora i cellulari ancora non c’erano, io chiamai la Centrale per avvisare, via
radio, che avevamo rinvenuto un cadavere. Senza perdere tempo, almeno così ricordo, con l’aiuto dei due
pescatori, issammo il cadavere sulla nostra pilotina e, successivamente, raggiungemmo il pontile più vicino
che era quello di Sant’Arcangelo. Anche in questo caso ci abbiamo messo circa cinque minuti, non di più.”
Il cadavere fu issato, quindi, sulla pilotina poco dopo le 8 del mattino e, completata
l’operazione, fu portato in cinque minuti circa al pontile di Sant’Arcangelo, grosso modo verso le
8,15 – 8,20.
Mentre il cadavere veniva lasciato all’interno della pilotina sino, grosso modo, alle 8,45 –
8,50, giunsero il giornalista BERTOLDI e il fotoreporter CROCCHIONI. Il primo dei due,
informato da qualcuno (che il giornalista non ha potuto o voluto indicare) del rinvenimento del
cadavere, aveva allertato il secondo la mattina presto e, in meno di un’ora, raggiunsero il pontile,
grosso modo verso le 8,40 – 8,45. Considerato che il CROCCHIONI fu svegliato, come s’è detto,
mentre si trovava a letto, si può verosimilmente fissare la telefonata del BERTOLDI alle 7,50 circa
e quest’ultimo, a sua volta, è stato informato del rinvenimento del cadavere ancora prima,
verosimilmente verso le 7,45.
Eppure, a quell’ora, della scoperta del corpo erano a conoscenza solo i pescatori in attesa
dell’arrivo dei Carabinieri e chi chiamò la Centrale Operativa della Compagnia CC di Città della
Pieve che solo alle 8, minuto più minuto meno, allertò a sua volta la pilotina.
Anche nel caso dei giornalisti e fotoreporter, specie di quelli de “La Nazione”, quindi, come
si vedrà, in modo ancora più clamoroso per le Autorità presenti sul posto e per gli elicotteri dei
VV.F. di Arezzo, l’allarme scattò prima ancora che il cadavere venisse avvistato, come se tutto
fosse stato concordato.
E a nessun giornalista, in possesso di notizie tanto clamorose e di fotografie così clamorose
sarebbe venuto in mente, negli anni avvenire, di fare uno scoop….
Tutto rimase silente per circa sedici anni, durante i quali crebbe a dismisura, sino a divenire
una sorta di conclamata “leggenda metropolitana”, solo la fama del NARDUCCI, “suicidatosi”
perché scoperto come “Mostro di Firenze”: questo era quello che, con un crescendo impressionante,
dalla scomparsa in poi, si cominciò a dire in città, nell’area del lago e a Foligno, luogo dove il Prof.
UGO NARDUCCI dirigeva il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale.
Poi, iniziate le indagini secondo le modalità sopra illustrate, quel cadavere di
Sant’Arcangelo è stato descritto con dovizia di particolari, tutti costanti.
UGO BAIOCCO, il pescatore che lo avvistò per primo, così descrive l’avvistamento, nel
primo verbale del 24.10.01:
“vidi il corpo di un uomo sfigurato, a pancia all’aria, vestito con cravatta, camicia e mi pare un giacchetto,
calzoni e scarpe, con il volto tumefatto, nero e gonfio, e non si vedevano nemmeno gli occhi.”
L’allora Carabiniere MELI, che issò il cadavere sulla pilotina, così lo descrive il 26.10.01:
“Ricordo che il cadavere aveva un braccio piegato davanti a se o forse tutte e due le braccia piegate davanti
a sé ed era rigido. Aveva una camicia a quadri, mi pare avesse anche la cravatta, un giacchetto forse di
renna marrone e pantaloni. Il cadavere era gonfio e gli occhi erano tanto gonfi da essere chiusi. Aveva
anche liquido biancastro che usciva dalla bocca. Il lago in quel punto era piuttosto profondo e non vi erano
alghe che affiorassero. Quello che mi impressionò era però soprattutto la presenza di numerose
escoriazioni sulla testa e sul volto. Il cadavere era con il ventre rivolto verso l’acqua e si notavano varie
escoriazioni nella parte a1ta del capo tanto che i capelli era stati strappati via; sul volto aveva una
escoriazione sopra il sopracciglio destro, che si notava molto perché l’occhio era molto gonfio. Era come se
la pelle fosse stata strusciata via e si notava il bianco sotto. Nel capo in corrispondenza delle escoriazioni vi
era del sangue rappreso, come delle strisciatine rosse.”
Il Maresciallo della Polizia Provinciale PIETRO BRICCA, presente sul pontile, era uno dei
pochi che conoscevano il NARDUCCI. All’epoca era vigile delle acque. Le sue primissime
dichiarazioni dell’11.06.02, poi costantemente confermate, sono nette, sicure ed i suoi ricordi
chiarissimi:
“Il cadavere lo ricordo bene come una fotografia, perché mi fece senso in quanto il cadavere non sembrava
quello del Professore o comunque di un uomo bianco.
Sembrava un negro perché aveva le labbra tumefatte, molto grosse e la pelle scurissima, Ricordo
perfettamente che gli uscì, non appena lo muovemmo per tirarlo su, un rivolo di sangue da una narice. Non
si trattava di acqua mista a sangue. Era proprio sangue e lo ricordo con assoluta certezza come fossi oggi.
Il rivolo di sangue si fermò all’altezza alle labbra, anzi poco sopra l’inizio del labbro superiore,
raggiungendo la lunghezza di un paio di centimetri. Non sembrava il Prof. NARDUCCI che io conoscevo di
vista e le cui foto ho rivisto sui giornali. Lei mi chiede di descrivere il cadavere ed io le rispondo che il
corpo aveva un fetore insopportabile. Avevo visto molti cadaveri recuperati dall’acqua ma quello era
diverso da tutti gli altri e mi ha impressionato troppo. Il cadavere aveva una camicia, e quello di cui sono
assolutamente certo e lo ribadisco perché ho davanti ancora l’immagine di quel corpo, é che attorno al
collo, sopra la camicia aveva una cravatta molto stretta al collo tanto che io pensai che il colore scurissimo
del volto di pendesse dalla strozzatura della cravatta, Ricordo che appena lo vedemmo esclamai: ‘Ma questo
non e lui!’. La camicia era chiara e non era tutta abbottonata fino al collo. Ripeto che questi sono
particolari che non si dimenticano e dico ancora che sono assolutamente sicuro che quel cadavere avesse la
cravatta al collo. Sarà stato alto circa mt. 1,75-1,77 ed era molto gonfio, Non ricordo se portasse qualcosa
sotto la camicia. Non ricordo se il cadavere fosse supino o bocconi. Al momento del recupero uscì il rivolto
dal naso. Anche questo fatto lo ricordo perfettamente. Ribadisco che quel cadavere non mi sembrava il
NARDUCCI poiché appariva molto trasformato.”
Il collega del BRICCA, PAOLO GONNELLINI, partecipò anche lui alle operazioni di
recupero. La sua descrizione, in data 11.06.02, è questa:
“Quello che mi colpì del cadavere fu la cravatta stretta al collo con il classico nodo al di fuori del colletto di
camicia, proprio sotto il mento. Il volto appariva molto scuro quasi come quello di una persona di colore ed
anche le labbra erano tumefatte. Indossava una camicia chiara e abbottonata salvo all’altezza del collo
dove la camicia appariva spanciata. Sopra la camicia aveva un giubbotto di colore marrone. Ricordo che
sotto la narice vi era come un rivolo di sangue rappreso che terminava all’altezza del labbro piegando verso
lo spigolo delle stesse. Della cravatta sono sicuro al 100%, così come sono sicuro del fatto che lo stesso
apparisse molto gonfio e scuro.”
(..)
TOMASSONI MARCO è uno dei Vigili del Fuoco che parteciparono al recupero della
salma. Così descrive il cadavere nel verbale del 6.12.01:
“Il cadavere era vestito con un giubbetto di pelle marrone, una specie di cravatta di cuoio che non
ricordo se fosse attorno al colletto della camicia o sul collo nudo, aveva un orologio funzionante, in
acciaio chiaro forse cromato. Ricordo che il carabiniere che era presente al momento della visita del
cadavere prese il polso sinistro dello stesso portandoselo all’orecchio e disse che era funzionante. Il volto
della salma era gonfio e violaceo, mi pare che avesse un occhio semichiuso. Ricordo che il cadavere era
alto circa 180 cm ed era di corporatura robusta. Non ricordo che fossero stati cercati i documenti sulla
salma. Ricordo che era sfrontato con capelli radi sulla fronte; la faccia era gonfia e a forma di palla.”.
L’altro vigile FRANCESCO PICELLER così lo descrive sempre il 6.12.01:
“si presentava vestito e aveva il volto molto gonfio e viola, aveva un cattivo odore”.
Il fotoreporter de “Il Messaggero” GIANCARLO PAPI, sentito il 23.11.05, ha ricordato:
“la testa e il volto del cadavere era molto gonfio e scuro. Anche il collo era particolarmente gonfio e mi
sembra che avesse qualcosa al collo che stringeva… era piuttosto raccapricciante.”
Lapidarie sono le espressioni dell’allora Vice Comandante dei VV. F. di Perugia ing.
SETTIMIO SIMONETTI, che, sentito il 27.09.05, ha affermato:
“Ricordo di aver visto il viso dell’annegato, di fianco, in mezzo alla gente. PENNELLA esclamò, non
ricordo se in quel momento o poco dopo: ‘Di morti ne ho visti tanti, ma così brutti non ne ho visti mai!’ ed
io esclamai: ‘Madonna mia, mi pare un negro !’. Mi sembrava, infatti, un negro che si fosse leggermente
schiarito per effetto della permanenza in acqua. Questa è proprio la cosa che mi venne in mente e, quando
recentemente, ho visto per televisione una trasmissione in cui si parlava della possibilità che il corpo
ritrovato nel lago non fosse quello del NARDUCCI, mi sono venuti i brividi, perché l’annegato che vidi e il
NARDUCCI erano completamente diversi, tutta un’altra cosa.”
(..)
MORETTI NAZZARENO, titolare dell’omonima impresa funebre di magione (PG), nel suo
primo verbale del 9.11.01, dice:
“Ricordo bene che era molto gonfio”
MORARELLI NAZZARENO, addetto dell’impresa funebre “IFA Passeri” di Perugia, nella
sua prima descrizione del cadavere, in data 19.02.02, un’epoca in cui non era stata depositata
neppure la prima CT del Prof. PIERUCCI, ricorda:
“Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione e sembrava quello di un negro. Aveva le labbra
grosse, di un colore scuro tra il viola e il verde, il volto gonfio, il colore della pelle era nero come
quello di un negro. Gli occhi erano chiusi ed era tutto gonfio. Gli togliemmo anche dei piccoli residui di
canna che aveva addosso….Vi erano dei punti di maggiore intensità e qualche punto in cui era meno
scuro.”
Domanda: “Lei conosceva il prof. FRANCESCO NARDUCCI e se sì lo riconobbe ?”
Si dà atto che viene mostrata alla persona informata la foto del prof. FRANCESCO NARDUCCI apparsa sul
quotidiano “La Nazione” il 10.10.85.
(..) “Il cadavere era irriconoscibile, non c’era alcuna somiglianza con il volto del prof. NARDUCCI in
vita…Il cadavere doveva essere comunque superiore ad 1,70 m., tra il m.1,75 e il m. 1,85.”
D: “Come era vestito?”
(..) “Se ben ricordo il cadavere era nudo dalla cintola in su, aveva un paio di jeans e vi erano dei vestiti in
fondo alla cassa che gli erano stati tolti, ma non sono sicuro di questa cosa, e potrebbe essere successo che
lo svestimmo in quel momento…Il cadavere appariva semi-rigido tanto che riuscimmo ad infilargli la
camicia, la giacca e la cravatta. L’operazione era resa difficile dalla mole del cadavere. Quando lo tirammo
fuori il cadavere aveva le braccia distese leggermente inclinate verso l’interno. Non abbiamo visto la
schiena del cadavere perché non siamo riusciti a girarlo…”
Il collaboratore del MORARELLI, BARBETTA GABRIELE, il 10.06.02, ha precisato:
“Il cadavere si presentava gonfio, color grigio con chiazze color kaki, che sono caratteristiche di un
corpo che entra in avanzato stato di decomposizione ed emanava fetore. Ricordo che i capelli erano sul
nero un po’ stempiato come me. La fisionomia del cadavere era alterata in quanto era gonfio in
volto, nei pettorali e nell’addome. Gli occhi erano mezzo chiusi.
Rimasi talmente colpito dallo stato del cadavere che rivolto al mio socio MORARELLI esclamai: ‘Oh
Dio come è ridotto! Ma ce lo fanno anche rivestire?’ I familiari ci avevano preparato gli abiti.
Quando lo spogliammo ricordo che aveva una canottiera bianca e dei pantaloni scuri. Non ricordo se
indossasse una camicia o una maglietta. Svestimmo in fretta il cadavere e ricordo delle chiazze di
colore grigio con tendenza al kaki ed al verde scuro in tutto il corpo. Rammento anche che partendo
dalla tempia, passando per la guancia e arrivano fino alla spalla, non ricordo se a destra o a sinistra,
il cadavere presentava una macchia più intensa ed estesa e continua che arrivava, appunto, fino alla
spalla.
Ripeto che il cadavere era molto gonfio. Lei mi chiede se fosse stato in vita quel cadavere quanto
potesse pesare, io le rispondo all’incirca tra i 90 ed i 100 Kg. Sarà stato alto circa mt, 1,80. Ricordo
perfettamente di aver fatto indossare al cadavere delle mutandine, una maglietta bianca, un paio di
pantaloni ed una camicia. Mi pare che non mettemmo al cadavere una giacca ma lo lasciammo in
camicia.
Lei mi chiede se abbiamo posizionato attorno ai fianchi del cadavere, tra le mutande e i pantaloni
una specie di telo o altra stoffa per cingere l’addome ed io le rispondo in maniera categorica che non
è stato fatto indossare al cadavere un telo di qualsivoglia natura o foggia attorno al ventre. Di questo
ne sono assolutamente certo….”
Domanda: Gli indumenti che faceste indossare al cadavere erano di colore scuro o chiaro?
(..) “Quello che ricordo è questo: i pantaloni erano scuri ma come se fossero di una tuta, quindi elastica e
senza passanti. La zona superiore la ricordo scura e precisamente di color noce come la scrivania che mi
trovo davanti nell’ufficio del Dr. MIGNINI che mi è davanti. Il golf, se non ricordo male, era di lana. Non
ricordo altro.
(..) Non è stato apposto in mia presenza, che preciso è stata ininterrotta durante tutta la vestizione e,
nessun telo o altro sulla pancia, inoltre su quel cadavere non si potevano far indossare i pantaloni
senza tagliarli dal dietro.”
Si sono riportate le descrizioni delle sole persone che hanno avuto un contatto significativo
col cadavere e si sono prese in considerazione le primissime dichiarazioni, rese in un contesto
cronologico in cui non erano ancora emerse le novità che sarebbero state consacrate nella CT ex art.
360 c.p.p., che il Prof. PIERUCCI avrebbe depositato il 20.12.02 e in cui, quindi, il ricordo era più
limpido e meno influenzato dalla pressione mediatica che avrebbe raggiunto una notevole intensità
dall’estate 2002 in poi, con i primi risultati dell’accertamento autoptico.
Le descrizioni, come ampiamente motivato dal Prof. GIOVANNI PIERUCCI, sono
perfettamente coerenti con la fase enfisematosa della putrefazione, cioè con lo “stato gigantesco”, e
la colorazione scura “è legata alla fase cromatica della putrefazione, con realizzazione della c.d.
“facies negroide”; a quest’ultima inerisce pure l’ipostasi in rapporto alla posizione assunta dal
cadavere in acqua (vds. la CT ex art. 360 c.p.p. a p. 38).
Quindi, putrefazione, cioè degradazione dei tessuti ad opera dell’azione enzimatica di germi
anaerobi ed aerobi che possono provenire dall’intestino o dall’ambiente e che, a sua volta, inizia
con la fase “cromatica”, dopo le prime 24 – 48 ore (in cui si forma e si diffonde dapprima in
corrispondenza del cieco alla fossa iliaca destra e si espande a tutto l’addome, investendo, poi, la
rete venosa), prosegue, dopo 3 – 5 giorni dal decesso, con la fase “enfisematosa” o “gassosa”,
dovuta alla migrazione dei gas attraverso il tessuto sottocutaneo che determina un notevole aumento
del volume corporeo e spesso anche la fuoriuscita di un gemizio di sangue dalla bocca e dalle narici
(vds. le dich. del BRICCA), poi con la successiva fase “colliquativa”, dopo una o due settimane dal
decesso, in cui non vi sono più batteri e la sostanza organica si trasforma in un liquido vischioso di
colore nerastro e, infine, con la fase della “riduzione scheletrica” che, in una cassa di legno, si
esaurisce in uno o due anni dal decesso, mentre, in una cassa metallica, in un periodo molto più
lungo, pari a 10 o 15 anni, al termine della quale vi è la polvere bianca o cenere di ossa (..).
Quando l’attività batterica viene inibita dal collocamento del cadavere in una cassa metallica
e, quindi, in un ambiente asciutto e ben ventilato, i fenomeni putrefattivi si bloccano e sopraggiunge
allora una rapida disidratazione del cadavere, che perviene allo stadio della “mummificazione” o
“corificazione” (situazione analoga alla precedente ma caratterizzata da una maggiore flessibilità),
in cui il cadavere assume le sembianze, rispettivamente, del cuoio vecchio o del cuoio da concia.
Orbene, il cadavere dell’uomo ripescato il 13 ottobre era già nella fase enfisematosa della
putrefazione sin dal momento della scoperta, è rimasto esposto all’aperto nel pontile, in una
giornata particolarmente calda: si vedano le dichiarazioni di TOMASSONI MARCO del 6.12.01 e
si vedano le foto delle persone sul pontile, in particolare della D.ssa SEPPOLONI (..), in maglietta
estiva, con alla sua destra il Dr. TRIPPETTI, con giacca e camicia e alla sua sinistra il M.llo
BRUNI, in divisa estiva. Il cadavere fu sistemato nella bara e questa fu definitivamente chiusa nella
tarda mattinata del 13. Il 7.06.05 il MORARELLI ha dichiarato in termini perentori:
“Ricordo, quindi, che la bara venne sigillata da me e da BARBETTA GABRIELE. Venne sigillata a fuoco
con lo stagno e questo lo ricordo perfettamente e con certezza assoluta. Arrivai a casa e mangiammo solo io
e mio padre atteso che eravamo intorno alle 15,00… Ricordo di essere ritornato alla villa per portare un
mazzo di rose che erano state ordinate telefonicamente, non ricordo se dalla famiglia NARDUCCI stessa,
ma è probabile che siano stati loro. Ad esserci stato nuovamente in villa ci sono stato, non ricordo se la
stessa sera di domenica o il giorno successivo. Quando arrivai in villa c’era il Prof. UGO e il Dott. GIANNI
SPAGNOLI e la bara l’ho trovata sempre nello luogo ove l’avevamo sistemata e non ricordo se sopra vi
fossero dei fiori. Sono ritornato alla villa il giorno stesso in cui fu celebrato il funerale alla chiesa di Via dei
Filosofi.
Siamo andati alla villa a prendere la bara io, BARBETTA e due dipendenti di cui non ricordo i nomi. La
bara si trovava sempre al solito posto. Voi mi chiedete se quando ho portato i fiori la bara fosse chiusa e le
rispondo assolutamente di si; la bara era chiusa così come l’avevamo chiusa noi.”.
Per circa sette ore, il cadavere, già in fase enfisematosa, è rimasto, quindi, esposto al sole e
all’aria aperta in una giornata pressoché estiva, poi all’interno dell’abitazione dei NARDUCCI a
San Feliciano, ma sempre all’aperto. In quella situazione, il cadavere doveva avere pressoché
esaurito la fase enfisematosa e l’azione “prosciugante” della chiusura in una bara zincata e aereata
non poteva più far regredire la putrefazione stessa e il passaggio alla fase colliquativa.
Dinanzi a tali dichiarazioni, ove intese nel loro significato letterale, sorge
qualche perplessità: se l’uomo ripescato “non era certamente il
NARDUCCI”, perché il BRICCA non lo disse immediatamente ? Egli
conosceva di vista il gastroenterologo scomparso, e se fosse stato davvero
convinto di trovarsi dinanzi al cadavere di un’altra persona avrebbe potuto - ed
anzi dovuto, data la funzione rivestita - farlo presente. E’ pacifico che l’aspetto
di quel volto fosse deforme, e che non vi fosse certamente possibilità di
compararlo con una normale foto in vita di FRANCESCO NARDUCCI, ma da qui
ad essere certi che non si trattasse di lui ne corre ancora.
Ben più realistico è pertanto un quadro come quello offerto dal già
ricordato CECCARELLI ANDREA nel verbale (quello del pomeriggio) in data
18 aprile 2005, descrivendo quel che vide sul pontile di Sant’Arcangelo:
(..) Mi sarò avvicinato a circa due metri guardandolo dall’alto verso il basso. Non
ricordo la posizione esatta del cadavere rispetto a me. I piedi erano sicuramente verso
terra e la faccia era rivolta verso il cielo e il collo era gonfio e stretto da una cravatta.
Non ricordo se il cadavere fosse coperto o scoperto. Io ricordo che era molto gonfio
in volto e di colore scuro, tanto che, tornato a casa, esclamai: “Madonna! Assomiglia
più a PIERLUCA che a FRANCESCO!” Infatti era tutto trasformato. Indossava, come
ho detto, un giubbotto di renna chiaro, una camicia e una cravatta. Non ricordo
come fossero i calzoni; non ricordo se avesse la cintura e come fosse. Io debbo
confessare che guardai più che altro il volto. Ho guardato quel cadavere per qualche
secondo, forse anche più. (..)
Domanda: “Mi descriva il volto del cadavere”
(..) Non me lo ricordo, mi ricordo solamente che era una specie di “palla”. Non mi
ricordo però gli altri particolari del volto. Io mi ricordo questa estrema rotondità del
volto e i capelli, mi pare, che fossero molto bagnati. Io, comunque, lo vidi
obliquamente e non notai i particolari del volto. Era la prima volta che vedevo un
cadavere in quel modo. Il cadavere era deformato e molto scuro e violaceo.
(..)
Domanda: “Lei l’ha riconosciuto con certezza?”
(..) Certo, io che fosse FRANCESCO bello e pulito non lo posso dire.
Appunto: non era certo il “FRANCESCO bello e pulito” della foto mostrata al
BRICCA in occasione del verbale sopra menzionato, ed affermare che esistesse
una somiglianza tra il soggetto ivi ritratto e il cadavere scuro e gonfio in volto
appena ripescato dal lago sarebbe stata una presa in giro. Ma questo non vuol
dire che fosse sicuramente un’altra persona.
I ricordi del BRICCA in punto di statura dell’uomo rinvenuto tra le
alghe collimano abbastanza con quelli di quasi tutti gli altri testimoni (il che,
come si è già implicitamente avvertito e come si avrà modo di ribadire,
costituisce un particolare di decisiva rilevanza): a parlare di un soggetto piuttosto
basso è invece il suo collega GONNELLINI, come pure il DI CARLO (e si tornerà
anche a rimarcare la circostanza, palesemente in contrasto con la tesi
accusatoria che lo vorrebbe associato ad altri nel perseguire un programma
criminoso). GONNELLINI PAOLO, il 22 ottobre 2003, sostiene infatti:
La mattina del 13 ottobre vi era poco vento e noi, come al solito, uscimmo in servizio
verso le 7,30 dal nostro ricovero barche di Passignano e ci dirigemmo verso S.
Arcangelo, dove ci muovemmo in lungo e in largo per molto tempo, manovrando a zig-
zag, e spostandoci leggermente verso ovest in direzione di Castiglione del Lago.
Non notammo nulla. Ad un certo punto, verso le ore 10,00 all'incirca, ma non ricordo
bene, un pescatore ci chiamò ad alta voce chiedendoci di avvicinarci a lui. Mi pare che
l'uomo fosse da solo in barca. L'uomo gridava che c'era qualcosa in acqua. Ci
avvicinammo subito e vedemmo un cadavere, con le mani allargate e il volto immerso
nell'acqua. Era un uomo di circa 30 anni, alto non più di un metro e 70, molto gonfio,
in particolare nel volto. Non ricordo come fossero i capelli, ricordo solo che erano
piuttosto corti. Indossava un giubbotto di renna marrone scuro. Ciò che ci colpì fu il
volto dell'uomo che era gonfio come una palla e talmente scuro che io l'avrei
scambiato per un uomo di colore. Le labbra erano più scure della pelle e leggermente
prominenti, forse anche a causa del gonfiore. Stretta al collo l'uomo aveva una
cravatta scura che si trovava al di fuori dei colli della camicia, che era di colore chiaro.
La camicia era tiratissima perché al di sotto l'uomo era molto gonfio e il ventre premeva
sulla camicia.
(..) Non vidi ferite sul volto dell'uomo, che caricammo sulla nostra moto-barca.
Ricordo che l'uomo, benché leggermente piegato, era contenuto, nelle sue dimensioni,
dal copri vano motore, nel senso che non sporgeva niente al di fuori. Poiché la lunghezza
del copri vano motore è di circa m. 1,30, l'uomo doveva essere di statura bassa. Ho vivido
il ricordo della corrispondenza tra le dimensioni dell'uomo leggermente rannicchiato e la
lunghezza del copri vano motore. Non ricordo se l'uomo avesse o meno le scarpe, né
che tipo di pantaloni indossasse. Mi trovavo insieme al collega BRICCA PIERO perché il
pescatore era come impaurito e si era tenuto lontano. Ad un certo punto, arrivò la
motovedetta dei Carabinieri che presero in consegna il cadavere, anche perché noi
eravamo vigili lacuali. Ci fermammo nei pressi del pontile dove vedemmo diverse
persone arrivare nella zona. Quando ce ne andammo, saranno state le 12,00, ma non ho
ricordi precisi sulle ore. Posso solo dire che dall'avvistamento del cadavere e la nostra
partenza per Passignano trascorsero circa due ore. Ricordo che in cima al pontile, in
direzione opposta al lago, c'era uno sbarramento che impediva l'ingresso ai curiosi.
Ergo, il racconto del MORETTI collima con quello del MORARELLI quanto ai
documenti presentati in Comune (più o meno), nonché a proposito dell’essere il
primo andato via in un momento precedente l’arrivo del BARBETTA con la
nuova bara; non certo sul più rilevante aspetto dell’aver collaborato nel vestire
il cadavere. Vediamo quindi cosa ricorda il BARBETTA, che - in effetti - sostiene di
aver partecipato alla vestizione, ma palesa a sua volta una discreta incertezza
su alcuni particolari, rappresentando prima di aver provveduto a scaricare il
cadavere dalla bara con cui era stato recuperato, e dunque di aver visto il
MORETTI ancora presente, poi di aver visto il corpo già in terra.
Queste le prime dichiarazioni del teste, il 10 giugno 2002:
(..) Quando arrivammo sul pontile di Sant'Arcangelo la salma era stata già recuperata
dall'impresa MORETTI di Magione, così credo, e immessa in una cassa da recupero
che è stata trasportata nella villa dei NARDUCCI. Preciso che lo ho seguito la
macchina con la bara dal pontile di Sant'Arcangelo alla villa dei NARDUCCI a San
Feliciano. La bara nella quale era stato messo il cadavere non era la nostra. Ricordo
per certo di essere andato al pontile assieme al mio socio MORARELLI NAZARENO e
quando arrivai il corpo era già stato messo dentro la bara di cui sopra. Dopo
seguimmo il convoglio che si diresse fino alla villa, rammento che eravamo in fondo
alla stessa colonna di macchine. Giunti nella villa, la bara venne tolta dalla vettura e
posizionata in un salone al piano terra. Successivamente il cadavere è stato tolto dalla
bara ed appoggiato in terra, sopra un tappeto o una coperta. La bara venne riportata
via dall'impresa MORETTI. Questa operazione venne eseguita da me,
MORARELLI e qualcun altro, credo MORETTI.
(..) Domanda: "Su quel cadavere se le avessero presentato una camicia come
l'avrebbe fatta indossare?"
(..) Come si presentava quel cadavere avremmo dovuto per forza tagliarla dietro vista la
mole del corpo. Di questo ne sono assolutamente certo.
Domanda: "Nel caso in specie se aveste dovuto far indossare dei pantaloni come
avreste fatto?"
(..) Li avremmo aperti per forza dal dietro in quanto non si possono far indossare e
quindi farli richiudere sul davanti. Di questo ne sono certo. Ricordo inoltre che le
calze sono state fatte indossare. Erano di colore scuro e di media lunghezza.
Domanda: “Gli indumenti che faceste indossare al cadavere erano di colore scuro o
chiaro?”
(..) Quello che ricordo è questo: i pantaloni erano scuri ma come se fossero di una
tuta, quindi elastica e senza passanti. La zona superiore la ricordo scura e
precisamente di color noce (..). Il golf, se non ricordo male, era di lana. Non ricordo altro.
(..) Lei mi richiede di argomentare sul fatto dei pantaloni e su di una ipotetica fascia
o telo di qualsivoglia stoffa ed io le rispondo che non è stato apposto in mia
presenza, che preciso è stata ininterrotta durante tutta la vestizione, nessun telo o
altro sulla pancia, inoltre su quel cadavere non si potevano far indossare i pantaloni
senza tagliarli dal dietro. Aggiungo che il cadavere è stato lasciato da noi per circa un
paio di ore e, al nostro ritorno, il cadavere era come lo avevamo lasciato