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di A. Cornelio Celso
L'opera in questione, volgarizzata in italiano ai primi dell'ottocento da G. A. Del
Chiappa, professore di Medicina Pratica presso l'Università di Pavia, proviene dalla
Enciclopedia delle Scienze Mediche, di Alibert, Laennec, Velpeau, ecc., la cui prima
traduzione italiana è di M. G. Levi, ed è contenuta nella settima divisione, la
collezione degli autori classici. Il testo è stato pubblicato in Venezia nel 1838 da
Giuseppe Antonelli.
Il libro portato in formato PDF su Google è stato digitalizzato nel 2012 su un testo
donato alla Boston Medical Library.
Ho cercato di estrarre i contenuti principali del libro (quelli in nero), cercando anche
un breve riassunto personale e collegamento tra le parti (in blu). [Concetto De Luca]
1 “Della Medicina” di A. C. Celso, volgarizzato da G. A. Del Chappa, 1838 (prefazione del volgarizzatore)
2 “Della Medicina” di A. C. Celso, volgarizzato da G. A. Del Chappa, 1838 (prefazione del volgarizzatore)
Della Medicina
di Aulo Cornelio Celso
Libri Otto
Prefazione
Il testo inizia con queste parole famose, un paragone tra la l'agricoltura e la medicina.
“Ut alimenta sanis corporibus agricultura, sic sanitatem aegris medicina promittit. Haec
nusquarn qidem non est: siquidem etiam imperitissimae gentes herbas aliaque prompta in
auxilium vulnerum morborumque noverunt.”
Così come ai sani corpi somministra gli alimenti l'agricoltura, così agli infermi promette
sanità la medicina. Essa è in ogni luogo. Anche le genti idiotissime conoscono erbe
semplici, ed altre cose efficaci ed ovvie a cura delle ferite e delle infermità.
Più che altri però la coltivarono i Greci, né essi pure nel principio loro, ma pochi secoli
innanzi a noi [Celso scrive durante l'impero di Augusto], dappoiché é celebrato Esculapio
pel più vetusto autore. …
Due figliuoli suoi, Podalirio e Macaone, che seguirono il duce Agamennone alla guerra di
Troja, prestarono segnalati servigi ai loro commilitoni: per altro ne rapporta Omero che
non si travagliarono essi nella pestilenza, o in altre infermità, ma che trattarono soltanto le
ferite col ferro e coi medicamenti; …
La prefazione prosegue raccontando come la medicina dei tempi di Omero non solo
cercasse aiuto nelle invocazioni al divino, ma si rivolgesse anche a combattere i due
maggiori vizi sia di allora che della sua stessa epoca: l'intemperanza e l'ozio.
Celso celebra i nomi degli autori antichi che hanno praticato la medicina. Questa era
una “branca della sapienza” ed era dunque praticata da personaggi quali Pitagora,
Empedocle, Democrito e Ippocrate di Coo, discepolo dello stesso Democrito; e
successivamente Diocle di Caristo, Prassagora e Crisippo, per arrivare a Erofilo ed
Erasistrato. Tra gli autori che praticarono in Roma verranno citati Asclepiade (di
Bitinia) e Temisone (di Laodicea).
Egli divide la medicina (o meglio la terapeutica) in tre rami secondo la definizione
degli stessi Greci: 1) dietetica; 2) farmaceutica; 3) chirurgia.
Per quanto riguarda la farmaceutica, Celso fa notare che alcuni autori la ritenevano
“un'arte speculativa” ed altri un'arte del “tutto pratica e sperimentale”.
Delle tre pratiche terapeutiche, Celso mostra predilezione per la chirurgia che
definisce “la più ardua, la più illustre fra le parti della medicina, che tratta e cura le
malattie che meritano di essere citate per prime” (“ut difficillima, sic etiam clarissima est
ea, quae morbis medetur, ante omnia de hac dicendum est” )
Secondo Celso, coloro che professano la medicina speculativa giudicano necessaria la
cognizione delle “cause occulte”, cioè dei principi dei nostri corpi, da cui deriva lo
stato di saluta e di malattia.
Le cagioni occulte (da intendersi per esempio nei quattro umori) non vanno confuse
con le “naturali azioni”, come la respirazione, la digestione, la ragione del sonno e
della veglia, ecc.
Interessanti sono le varie ipotesi storiche raccolte da Celso riguardo al prodotto della
digestione: secondo Erasistrato deriva dal processo di triturazione; secondo
Plistonico, scolaro di Prassagora deriva dal processo di putrefazione; secondo altri,
tra cui Ippocrate si concuoce per il calore; secondo i seguaci di Asclepiade deriva sì
da separazione della materia.
Capitolo 2
Precauzioni che debbono usare le persone delicate
“Ma ai deboli … si richiede maggiore attenzione, … quando alcuno di questi digerì bene, a
suo prò si leverà di buon mattino: chi digerì poco, deve riposare, e se fu costretto a levarsi
per tempo, tornare a dormire: chi non digerì, riposare interamente, né darsi al lavoro, agli
esercizi, agli affari. Chi ha rutti per crudezza senza dolore dei precordi, bere a riprese
acqua fresca, e starsene tuttavia in riposo. Alloggiare poi in casa chiara, ventilata di estate,
soleggiata d'inverno;
… Bisogna poi sapere che si è sani, allorché l'orina ogni dì al mattino è bianca, poi
rossastra: la prima indica farsi, la seconda essersi fatta la digestione.
… Utili esercizi sono il declamare, l'armeggiare, il giocare alla palla, la corsa, il passeggio:
… All'esercizio si fa utilmente succedere ora l'unzione al sole, od al fuoco: ora il bagno,
ma in una stanza ben alta, chiara ed ampia. …
E venendo al mangiare, utile non è mai una ripienezza soverchia: dannosa spesso
un'eccessiva astinenza: e se mai s'incorre nella intemperanza, questa men pericolosa è nel
bere che nel mangiare. …” [Celso conclude il paragrafo consigliano alimenti, condimenti
adeguati e norme comportamentali postprandiali].
Capitolo 3
Alcune precauzioni relative a nuovi accidenti, alle differenze di
temperamento, sesso, età e stagioni dell'anno.
Celso elenca una serie di precetti quasi tutti generali.
“Non c'è da fidarsi nel passare da luogo salubre al malsano, nè da malsano al salubre.
Meglio è trasferirsi dal salubre all'insalubre al principio di primavera; e dal malsano a
quello che è sano all'entrare dell'estate.
... Un fanciullo, od un vecchio sosterrà più agevolmente la fatica di uno che non vi sia
assuefatto. E per questo non è vantaggiosa la vita troppo oziosa, … Se qualcuno adunque
per eccesso di fatica, si trova ad aver quasi la febbre, basterà che egli ad ambiente tepido
s'immerga fino agli inguini in acqua calda, a cui sia stato unito alquanto olio; … chi è
stanco per la fatica deve mangiare cose umettanti, e bere acqua, od almeno una bevanda
diluita, e tale soprattutto che provochi le orine. … Suole giovare anche il vomito dopo un
variato pranzo e dopo molto vino diluito ; e il susseguente dì lungo riposo, appresso di che
un moderato esercizio. …
Alcuni particolari precetti v'ha per chi si stanca camminando. Le fregagioni frequenti
ristorano in viaggio: dopo di esso prima sieda, poi si unga; quindi fomenti nel bagno caldo
le parti inferiori più che le superiori: chi si è abbrustolito al sole, deve subito andare in
bagno, e spargere d'olio il capo e il corpo: di poi scendere in un posto ben caldo: in
appresso aspergere il capo di molta acqua prima calda, poi fredda. Ma chi patì freddo,
conviene che prima ben coperto, sieda nel bagno fino a che sudi; poi si unga, in seguito si
lavi: mangi temperatamente, e beva vino puro.
Chi navigò, ed è preso da nausea, se rigettò molta bile, deve o astenersi dal cibo,
prenderne poco: se egli rimise pituita acida, sì prenda cibo, ma più leggero del solito: se
ebbe nausea senza vomito o astenersi o vomitare dopo aver mangiato.
Chi tutta la giornata o stette in calesse, od agli spettacoli non deve correre, ma lentamente
passeggiare: gli potranno anche far prò una breve dimora in bagno, di poi una cena
frugale.
… Ma cosa importantissima è che ciascuno conosca il suo temperamento: … Il corpo
magro conviene ingrassarlo, estenuare il grasso, rinfrescare il caldo, riscaldare il freddo,
essiccare l'umido, umettare il secco: così pure stringer l'alvo se sciolto, scioglierlo se
stretto, ...”
Riscaldanti e refrigeranti
“Riscalda l'unzione, l'acqua salata e più se calda, tutte le robe salse, carnose: …
Rinfrescano il bagno a digiuno e il dormine ma non troppo lungamente: tutte le cose
acide, l'acqua freddissima mista all'olio.”
Umettanti e dissecanti
“Umetta il fatigare meno del solito; il bagnarsi spesso, il mangiar molto e bere moto:
… All'incontrario prosciuga lo smoderato esercizio, la fame, l'unzione senza acqua, il caldo,
… il mangiar subito dopo aver esercizio, ...”
Differenze d'età
“... quelle di mezzo sostengono agevolmente la fame.
… Le calde bevande proprissime sono ai ragazzi e ai vecchi. A questi il vino puro, a quelli
l'annacquato; …
Varie stagioni
“... D'inverno si deve mangiare di più, bere meno ma puro; usare molto pane, carne
piuttosto lessa, moderatamente formaggi:
… In questa stagione si deve prendere tutto caldo, od almeno cose che eccitino i calore.
La venere [cioè il sesso] allora non è tanto contraria.
In primavera conviene diminuire il mangiare, aumentare il bere … La venere è a questo
tempo dell'anno scevra di ogni pericolo.”
Dieta d'estate
“D'estate si ha più bisogno di più spesso mangiare e bere. … Adattissimi sono a questa
stagione gli erbaggi e la carne: ...”
Dieta in autunno
“In autunno poi, per i cambiamenti dell'aria si corre grave pericoloso. Non si esca né
spogliati né a piede nudo, … Bisogna mangiare un poco di più, bere meno ma puro. …
I congressi venerei non sono buoni né d'estate né d'autunno: più comportabili però
d'autunno; d'estate se si può, conviene astenersene. ( Neque aestate vero, neque autumuo
utilis Venus est: tolerabilior tamen per autumnum: estate in totum, si fieri potest,
abstinendum est.)”
Capitolo 4
Di quelli che hanno debolezza di testa.
“... Chi ha il capo debole, se lo deve al mattino, se perfettamente digerì, delicatamente
stropicciare colle proprie mani; non mai se si può, ricoprirlo: tagliare i capelli fino alla
pelle: e sarà bene schifare la luna, principalmente prima della sua congiunzione col sole
[luna nuova];
… Chi ha i capelli se li deve pettinare ogni giorno: … Se va al bagno deve prima senza
spogliarsi sudare un poco nel tepidario, ungervisi, passare poi nel calidario a sudarvi, …
Nessuna cosa più giova al capo dell'acqua fredda: perciò chi lo ha debole, deve d'estate
sottoporlo per alcun tempo, ogni giorno, ad un canale d'acqua.
… Fa d'uopo che mangi poco, onde poter ben digerire;
… A lui non è da lodare né il vino né l'acqua sempre; l'uno e l'altro è medicamento
usandone a vicenda. Lo scrivere, leggere, declamare non fanno per lui, principalmente
dopo cena: …”
Capitolo 5
Di quelli che sono affetti da male di occhi, di gola, infreddature e
flussioni.
“Ma l'uso dell'acqua fredda non giova soltanto a quei che hanno debolezza di capo, ma a
quelli ancora che soffrono continuamente mali d'occhi, di gola, infreddature e flussioni:
questi non solo debbono spargere per il capo acqua fredda ogni dì, ma sciacquarsene
anche la bocca: ...”
Capitolo 6
Rimedi contro la scioltezza di ventre.
“ … passeggiare a digiuno; schifare il sole troppo cocente; continui bagni; unguentarsi
senza sudare; non far uso di vari cibi, e mai di quelli succulenti e dei leguminosi e di quei
vegetali che prestissimo discendono. Giovano la selvaggina, i pesci duri e la carne arrostita
degli animali domestici. Non è il caso di bere vino salato, leggero e dolce; ma austero e
grosso,
… Se si accorge avergli fatto noia la cena, si conviene che vomiti, ...”
Capitolo 7
Rimedi contro i dolori del colon.
“ … si eserciti leggendo forte
… faccia bagni caldi, mangi e beva pur cose calde; schivi in ogni modo il freddo; e le robe
dolci e leguminose, e tutto che suole ingenerare flatulenze.
Capitolo 8
Cura per la debolezza di stomaco.
“ … deve leggere a voce chiara; dopo aver letto deve camminare: di poi esercitarsi alla
palla, alle armi o in altro qualsivoglia modo che muova che le parti superiori; bere a
digiuno non acqua, ma vino caldo; mangiare due volte al dì in maniera che facilmente
digerisca;
… Il pallore, l'emaciatezza, il dolore dei precordi, la nausea, il vomito involontario, il dolore
di testa a digiuno indicano fievolezza di stomaco. ...”
Capitolo 9
Cura per i dolori di nervi.
“Chi soffre dolore di nervi, siccome suole avvenire nella podagra e nella chiragra [la
podagra sarebbe il dolore tipo gottoso ai piedi mentire la chiragra alle mani], deve quanto
più può, esercitare la parte affetta, a sottoporla alla fatica e al freddo, almeno quando non
è troppo intenso il dolore, mentre allora meglio di tutto è il riposo, La venere [cioè il sesso]
sempre contraria: necessaria, siccome in tutte le infermità, la digestione. ...”
Il paragrafo prosegue con una digressione sugli effetti del freddo e del calore: mentre il
primo rende la cute pallida ma fa bene ai giovani ed ai grassi, al capo ed allo stomaco, il
secondo ripara da tutti i mali del freddo, fa buon colore, in eccesso infiacchisce, serve nei
mali degli occhi, ecc.
Capitolo 10
Preservativi contro la pestilenza.
“... passeggiare piacevolmente a cielo aperto per il fresco, ungersi bel bello; e come è
indicato di sopra, schifare la stanchezza, l'indigestione, il freddo, il calore, la venere: e
tanto più vivere regolatamente, se si sente alcuna indisposizione.
… né vomitare a digiuno né dopo cena,
… bere a giorni alterni ora acqua, ora vino a vicenda.
… Sono queste regole necessarie per chi viaggia, ...”
Prefazione
Una seconda prefazione compare prima del secondo libro. In essa Celso afferma
l'importanza per il medico di saper stimare ciò che si deve evitare ed in quale tempo.
Libro Secondo
pag 38
Capitolo 1
Stagioni dell'anno, tempi, temperamenti ed età più o meno
soggetti a malattie, e quali siano i mali propri a ciascuna di tali
circostanze
“Fra le stagioni, la primavera è la più salubre; di poi l'inverno ad essa prossima; pericolosa
è l'estate, pericolosissimo l'autunno. Fra i tempi dell'anno, ottimi quelli che si mantengono
uguali, caldi siano o freddi; pessimi all'incontrario i molto variabili.
… riguardo al tempo, il più salubre è il sereno, meglio i piovosi dei nebbiosi o nuvolosi
soltanto: …
Fra i venti sono i più salubri i settentrionali che non i greci od australi. …
L'aria peggiore per l'infermo è quella che gli ha cagionato l'infermità, cosicché in questo
caso giovevole sarà il cambiamento, ancorché si faccia in aria peggiore.
L'età di mezzo è la più sicura, …
Il corpo più favorevolmente costituito è quello che è quadrato, e non è né magro né
grasso. L'alta statura, se da un lato conferisce avvenenza in gioventù, espone dall'altro a
precoce vecchiaia. …
In primavera sono da temere quei mali che nascono da soverchia agitazione degli umori.
… oftalmie, pustole, emorragie, ascessi … epilessia … e quei mali pure che occupano gli
arti e i nervi,
… Non che nell'estate non s'incorra nella maggiorparte di queste malattie, ma vi si
aggiungono febbri continue, ardenti, terzane, vomiti, flussi di ventre, doglie di orecchi,
ulcere della bocca, cancri in qualsisia parte, ma in particolar modo alle parti nascoste: e
tutti quei malori, in cui l'uomo viene per il sudore disciolto e sfibrato. Non vi è forse
nessuna di queste infermità che non insorga in autunno: ma nascono oltracciò a quel
tempo febbri d'incerta qualità, dolori di milza, idropisie, la tabe che porta in greco il nome
di tisi, difficoltà d' orinare, stranguria chiamata, e una malattia dei gracili intestini appellala
ileo; e quella lubricità chiamata lienteria, e doglie di fianco e il mal caduco [l'epilessia, il
cosiddetto morbo sacro o comiziale].
… L'inverno incita i dolori di capo, tosse e tutti quei guai che hanno sede nelle fauci, nel
petto e nelle viscere.
In quanto ai venti, l'aquilonare risveglia la tosse, … costipa i ventri, sopprime l'urina …
L'austro fa ottuso l'udire, menoma l'acutezza dei sensi, …
Rispetto poi all'età dei fanciulli, e i vicini a questa età, di primavera ottimamente se la
passano, e sicurissimi sono al principiar dell'estate: … L'inverno è il più contrario ai vecchi,
ai giovani l'estate. …
L'adolescenza soggiace ai mali acuti, parimenti al mal caduco [l'epilessia] e massimamente
alla tabe: e giovani per lo più sono coloro che sputano sangue. Dopo questa età va l'uomo
esposto ai dolori di costa e di polmoni, al letargo, alla colera, alla demenza, ai flussi
emorroidali.
In vecchiezza sono comuni la difficoltà di respirare e di orinare, gli infreddamenti, le doglie
delle articolazioni e dei di reni, le paralisi, il mal abito di corpo detto cachessia dai
Greci, ...”
Capitolo 2
Segni avversi alle condizioni di salute futura
Celso indica “certi speciali indizi” sull'avvento di nuove infermità, il più comune dei quali è
sentirsi diversamente – non necessariamente peggio – del solito.
Altri segni sono il dimagrimento più di quanto sia solito, il cambiamento del colorito, la
perdita dell'avvenenza, ecc.
Capitolo 3
Segni che fanno ben sperare nei malati.
“Quando taluno è colto da febbre, d'uopo è sapere non essere in pericolo, allorché giace a
sua posta sul lato destro e sul sinistro, colle gambe pur un poco rattratte siccome sogliono
giacere i sani: se agevolmente si rivolta per il letto: se la notte egli dorme, e se durante il
giorno rimane sveglio: se respira con facilità; se non ha inquietudine; se attorno
all'ombelico e al pube la pelle è piana, se i precordi sono molli in entrambi i lati senza
alcun senso di dolore;
… Anche lo starnuto è fra i segni favorevoli, e l'appetito conservato fin dal principio della
malattia,
… Nè deve atterrirci quella febbre che termina all'undicesimo giorno che venne;
… Se a qualcuno sopravviene il vomito, questo deve essere misto a bile e pituita, od
esservi nell'urina un sedimento bianco, uniforme e sciolto;
… e quello che è fuor di pericolo, evacuare deve attraverso le purghe materie molli, …
buon segno è il gorgogliare del ventre, … e tanto meglio ancora se si dissipa con gli
escrementi.”
Capitolo 4
Segni cattivi nei malati.
“... quando è oppresso da notturna veglia, …. Peggiore di tutti è allorchè il sonno non si
affaccia né di giorno né di notte, … Egualmente male ne indica un troppo prolungato
sonno, …
Segno è pure di maligno morbo un respirare forte e frequente: …
caso però più di ogni altro di pericolo vi è quando le vene ivi [nella parte destra] si agitano
in maniera gagliarda. …
Segno è pure che grave malattia ne sovrasta, lo smagrire ad un tratto, aver freddo il capo
e fredde le mani e i piedi intanto che caldi sono il ventre ed i fianchi; o fredde le estremità
nella pienezza di un male acuto;
… o il molto sudare o sudare freddo;
… mal augurio ne porgono altresì quelle febbri che ogni giorno ritornano alla medesima
ora, … Peggiore di tutti è quando la febbre non si mitiga nulla, ma continua con la
medesima intensità. Porta pericolo pure l'insorgere la febbre appresso l'itterizia,
soprattutto quando gli ipocondri del lato destro si mantengono duri.
… Anche lo svegliarsi dal sonno spaventato [durante la febbre], segno è di grave malattia.
… Cattiva è quell'urina che fa un sedimento rossastro o livido: più cattiva ancora se si
osservano come dei filamenti bianchi e sottili; ma la peggiore di tutte è quando fa vedere
delle nuvolette fatte come di forfora. Anche l'acquosa e bianca è malvagia, massimamente
nei frenetici [la parola deriva da ”frenos”, cioè diaframma, considerata sede di patologie
psichiatriche].
L'assoluta costipazione del ventre è cosa non augurabile. Pericoloso ancora è averlo sciolto
nel periodo febbrile da non concedere alcun riposo all'infermo; …”
Capitolo 5
Segni di lunga malattia.
“Fra questi indizi è il desiderare che la malattia tiri in lungo, altrimenti l'infermo soccombe.
Nelle gravissime infermità non v'è altra speranza di vita, che altri con l'indugiare sfugga
l'impeto del male, e si rechi così ad un tempo che offra campo ad una cura. …
quando si cambia ad ogni tratto colore, …
se l'urina ora è liquida e pura, ora con qualche sedimento; e se questo è liscio, bianco o
rosso, oppure si fa vedere come dei grumetti, o se vi si sollevano delle bollicine di aria.”
Capitolo 6
Indizi di morte.
“Ma fra questi segni, toltone il timore, ne resta pure alcuna speranza. Essere però giunto
agli estremi lo dichiarano il naso acuto, le tempie depresse, gli occhi cavi, le orecchie
fredde, lasse e leggermente rivolte al basso, la pelle attorno alla fronte dura e tesa, nero il
colore o squallido, e molto più se questi segni si hanno senza che preceduto siane veglia,
flusso di ventre, o inedia: dalle quali cose quest'aspetto sovente nasce e si forma, ma in
un giorno si dissipa: il perchè più lunga pezza durando, foriero è di morte. Quando in un
vecchia infermità siffatto stato duri tre giorni, è segno di imminente morte: e più se oltre
questo gli occhi non possono tollerare la luce, e sono lagrimosi: …
È presagio pure di morte il decombere che fa l'infermo supino, e il tener retratte le
ginocchia: o lo sdrucciolare col corpo verso i piedi del letto, e lo scoprirsi le braccia e le
gambe, e qua e là inegualmente scagliarle, e averle fredde: avere il singhiozzo, e dal
continuo dormire, essere alienato della mente, digrignare i denti, senza esser uso farlo da
sano: …
Preannunziano pure vicino l'estremo fato, se doglie nate verso i fianchi e le parti inferiori si
trasportano alle viscere, o in un tratto si dileguano, e più ancora se a questi gli altri segni
si aggiungano.
Ne sopravvivere potrà quegli il quale avendo febbre senza alcun tumore, si sente in un
istante strozzare; …
e colui che sul primo principiare di un male comincia a rigettare nera bila per di sotto
[attraverso la via rettale] e per di sopra [attraverso la via orale]; …
Ne porgono ancora indizio di morte lo sputare bilioso o purulento sia congiuntamente, sia
separatamente. Se ciò compare il settimo giorno, per lo più si morrà il quattordicesimo …
Anche il sudore freddo nelle febbri acute è mortifero segno, …
Pestifero segno è anche il vomitare sangue nella febbre. …
Pessima peraltro e specialmente mortifera è la nera [urina], crassa e puzzolente.”
Nella fine di questo capitolo Celso affronta l'affermazione, proveniente addirittura dal
filosofo greco Democrito, secondo cui non si possiedono segni certi di morte imminente,
ribadendo che la medicina merita fiducia nelle sue prognosi, sebbene questa sia una
scienza di congetture in cui l'errore e l'inganno sono sempre dietro l'angolo anche quando
le probabilità di azzeccare le previsioni (positive o negative) sono elevate.
Capitolo 7
Segni particolari ad ogni malattia.
“Con la febbre, se si ha la sensazione di capo pesante, o che per il sonno sia abbia la
visione offuscata, e molti starnuti, si può temere qualche irruzione di pituita nel capo. …
Se gli ipocondri dolgono, e si sono gonfiati o l'urina per un giorno intero si fa non concotta,
è manifesto che male si esegue la digestione. …
Ogniqualvolta un fanciullo in una febbre continua nulla renda con l'alvo, e se gli cambia il
colore e non riposa e di continuo piange, è da temere una convulsione. …
Si trovano medesimamente esposti allo stesso pericolo [idropi] coloro che, avendo voglia
di andare di corpo, defecano a gran disagio roba durissima: e quelli cui si gonfiano i piedi
e cui, ora alla destra ora alla sinistra del ventre, insorge una tumefazione, … questo
malore sembra derivare dal fegato. …
Coloro ai quali, nell'infanzia soleva venire sangue dal naso, e che in seguito cessò di fluire,
forza è che siano tormentati da doglie al capo o soffrire grave esulcerazioni alle
articolazioni, od essere maltrattati da altro qualunque male.
Quelle donne, cui i mestrui non insorgono, conviene che provino acerbissimi dolori di
testa, o abbiano altra parte del corpo affetta. …
Se alla fronte si proverà del prurito è da temersi un'oftalmia.
Se una donna soffre dopo il parto vivissimi dolori, … ella avrà intorno al ventesimo giorno
o un'emorragia di naso o un ascesso delle parti inferiori.
Chiunque sentirà un dolore molto acerbo attorno alla fronte, e verso le tempie, ne verrà
liberato o nell'uno o nell'altro modo particolarmente per sgorgar di sangue, se giovane è il
soggetto; per suppurazione se è vecchio.
… un'urina torbida, il cui sedimento è bianco denota un dolore attorno agli arti od alle
viscere, e si deve temere una malattia.
… Se nell'urina si avrà sangue, … segno è che i reni o la vescica sono esulcerati. …
Quando poi l'urina viene goccia a goccia, e quando esce del sangue misto a questa, o
quando vi sono grumi sanguigni, e tutto questo si faccia con somma difficoltà, e se più
interne parti attorno il pube sono dolenti, il male risiede nella vescica medesima.
In quanto ai calcolosi, essi si conoscono dai seguenti segni. Con assai disagio si evacua
l'urina, e goccia a goccia, e talora anche involontariamente. La stessa è sovraccarica di
minuta rena, e ben sovente si spande insieme con essa del sangue, o qualche cosa di
sanguigno o di marcio [cioè di purulento]. Vi sono alcuni che meglio pisciano stando in
piedi, altri sdraiati sul dorso, e specialmente chi ha i calcoli grossi: altri sono forzati a
piegarsi, e col protendere in fuori la verga [cioè il pene] per alleviare il dolore.
… Le donne sono forzate a sfregare con le proprie mani l'orifizio delle partì naturali loro, e
qualche volta avviene che, avendo recato il dito là dove si trova il collo della vescica,
sentono esse medesime la pietra. …
Donna incinta che abbia scomodamente sciolto il ventre, si trova esposta all'aborto.
Se le esce del latte dalle mammelle quando è gravida, il feto è debole; le mammelle dure
preannunciano un feto sano. …
quelli che hanno grossa la milza, hanno viziate le gengive, e l'alitar loro è puzzolente; …
Anche un dolore acuto d'orecchio con febbre continua e veemente spessissimo aliena la
mente, e per siffatto accidente i giovani talora muoiono entro il settimo giorno, i vecchi un
po' più tardi per la ragione che non vengono colti da febbri così gravi, né facilmente
delirano: ..
Anche le mammelle turgide di sangue presagiscono delirio. …
Se l'angina si dissipa rapidamente, passa questo male ai polmoni: …
dopo un lungo flusso di ventre, ne nasce la dissenteria; dopo di questa la lienteria; dopo
gravissime flussioni di petto la tabe: …
il dolore del polmone, se non viene a dileguarsi né attraverso gli sputi, né attraverso il
cavar sangue … termina sovente in vomica …”
Gli ascessi delle anche, afferma il Celso, si possono arguire da diversi segni: febbre
notturna intensa e lieve di giorno; ansietà del respiro; pustole per tutto il corpo; piedi
edematosi; ed altri ancora.
Capitolo 8
Segni che in ogni genere di malattia, danno speranza o timore.
“... Dalla vescica affetta da dolore, procedendo un'urina purulenta in cui si depone inoltre
un sedimento biancheggiante e liscio, non v'è da temere.
Nel morbo del polmone, se l'espettorazione riduce il dolore, … si può riacquistare la salute.
Non conviene spaventarsi al primo sorgere del male se lo sputo da principio è giallastro e
sanguinolento, …
Fra gli ascessi i più lodevoli sono quelli che si portano all'esterno, e che si fanno acuminati
all'apice. …
Vi è pure minore pericolo, allorquando la suppurazione discende alle gambe, e lo sputo da
rossastro si fa purulento. …
Più di ogni altra favorevole circostanza è l'assoluta assenza della febbre; …
Il giornaliero beneficio del ventre che emette feci configurate e concotte, e corrispondenti
agli alimenti che si prendono, è la cosa più utile nel morbo tisico. …
L'idropisia che nacque senza precedente malattia, non è da temersi; …
I guai degli arti come a podagra o la chiragra possono sciogliersi quando attaccano
soggetti giovani, …
L'epilessia insorta prima della pubertà non troppo difficoltosamente cessa; e più facilmente
cessa quando il senso della sopravveniente accensione proviene da una sola parte del
corpo; buono se dalle mani o dai piedi, peggiore se da torace, il peggiore di tutto se
proviene dal capo. In questa malattia ancora giovano più di tutti i rimedi purgativi. …
Non è pericolosa la dissenteria, se il sangue ed il muco si evacuano senza febbre ed altri
accidenti, …
I dolori delle braccia che si propagano alle scapole o alle mani, si risolvono vomitando
atrabile, …
Il singhiozzo è dissipato dallo starnuto.
Il vomitare sangue cessa, in una donna, il fluire dei mestrui. …
Lo starnuto fa pro a quelle soffrono affezioni di utero e che difficilmente partoriscono. …
All'incontrario, se duole la vescica con febbre continente e che l'alvo nulla renda, è segno
triste, anzi mortifero. …
Nelle malattie dei polmoni, il mancare ai primi giorni lo sputo, … è cosa pericolosa; …
Fra tutte le suppurazioni, le peggiori sono quelle che si dirigono all'indentro scolorando nel
medesimo tempo anche la cute; …
Una persona sana, se le viene istantaneamente dolore di capo, indi se è assalita da alto
sonno in modo tale che forte russi né si risvegli, perirà al massimo entro sette giorni, …
talvolta la febbre potrebbe dissipare questo malore e sottrarre dalla morte questo infermo.
…
Nessuno si libera di mali dolorosi degli arti se sopra di essi siano nate e formate delle
durezze nodose: …
Anche l'epilessia insorta dopo il ventesimo anno è di difficile cura: assai più difficile ancora
se sorgo dopo il quarantesimo: …
Ancora vi è pericolo di morte se alla diarrea sopraggiunge la febbre, se vi è infiammazione
di fegato o degli ipocondri o del ventre; se la febbre è inestinguibile, se il male è
inveterato; …
la dissenteria incitata dall'atrabile suole essere mortifera, e funestissimo indizio è nella
persona emaciata il destarsi improvvisamente con un flusso di materie nere. Ma la lienteria
è ancor più pericolosa, se le scariche sono frequenti, se il ventre ad ogni ora fluisce con
suono, …
Nell'itterizia perniciosissimo incidente è trovare il fegato duro. …
Il male dell'ileo, se non si risolve entro sette giorni, uccide.
Una puerpera, se con la febbre è anche assalita da spietati ed incessanti dolori di testa, si
trova in estremo pericolo. …
Ed è pure un gran male provare torpori e prurigini vaganti o per tutto il corpo o in parte di
esso: …
In qualunque parte del corpo si abbia un membro paralitico che nulla muova, e che
dimagrisca, … tanto più inveterato il difetto tanto più annoso il soggetto. …
Una gravida, cui improvvisamente le si avvizziscono le mammelle, è in pericolo di abortire.
…
Non è possibile ritornare in vita per chi sia stato tratto da un impiccamento già con la
bocca rigurgitata di bava. ...”
Capitolo 9
Cura delle malattie.
“Conosciuti i segni che fanno sperare o temere, conviene passare alle cure delle malattie.
Tra queste alcune sono comuni, altre proprie: comuni quelle che si convengono a più tipi
di mali, proprie quelle che si convengono a certe particolari specie. Dirò prima delle
comuni, fra le quali recano profitto non solo gli infermi, ma anche i sani: …
Ogni rimedio, ai nostri corpi toglie o aggiunge qualcosa; attrae o rimette; refrigera o
riscalda, ed al tempo stesso indurisce o mollifica. …
La materia si sottrae con la detrazione di sangue, colle coppette, con la purgazione, con il
vomito, con la frizione, con la gestazione e con ogni qualità di esercizio fisico, con
l'astinenza, con il sudare, delle quali cose passo a ragionare.”
Capitolo 10
Della sottrazione di sangue attraverso le vene.
“Cavare sangue incidendo una vena non è cosa nuova, ma che non vi sia quasi nessun
malore, in cui non si tragga, è abitudine nuova.
Trarre sangue ai giovani e alle donne non gravide è cosa vecchia, mi non è da molto
tempo che ciò si fa nei fanciulli, nei vecchi ed anche nelle gravide. Gli antichi estimavano
che la prima e l'ultima età atte non fossero a sopportare siffatto avvenimento, e
fermamente credevano che una donna incinta che subita avesse tale operazione sarebbe
andata incontro all'aborto. Ma l'esperienza poi ne fece accorti che non esisteva regola
intorno all'uso della flebotomia costante e fissa, ed abbisognare piuttosto di ulteriori
osservazioni a meglio scorgere la mente del curante. Infatti è interessante sapere non
quale sia l'età, ma ciò che avviene nel nostro corpo e in quale stato si trovino le forze. …
Si può trarre sangue con sicurezza ad un gagliardo ragazzo, ad un robusto vecchio od ad
una donna gravida vigorosa. … Con tutto ciò … una gravida dopo una cura ha bisogno con
sé di tutte le sue forze non solo per sostenere se stessa, ma anche il feto.
… Importa anche distinguere tra un soggetto forte e grosso ed uno magro e debole. I
magri più abbondano di sangue, rispetto alla carne ed il grasso; ecco il perchè ne
sopportano la sottrazione, …
La robustezza dell'uomo si stima ancora meglio dall'ispezione delle vene …
E non basta considerare queste cose, ma determinare inoltre quale sia la specie del male;
se la materia pecchi per eccesso o per difetto, se il corpo è sano o viziato. …
Quindi in una gagliarda febbre, quando il corpo è rosso e turgide le vene, bisogna ricorrere
alla flebotomia, e similmente nei malesseri delle viscere, nel morbo dei nervi [la paralisia],
nello spasmo e nelle convulsioni: inoltre nei problemi delle fauci costituiti da uno
strangolamento, qual che sia la causa, con difficoltà del respiro; e nell'istantanea perdita di
voce: in tutti i violenti dolori, … ed in tutte quelle malattie acute le quali, come già
affermato, sono generate non da deficienza, ma da esuberanza di umori. ...”
Celso raccomanda la flebotomia anche nei casi in cui appare l'estremo rimedio per salvare
la vita del paziente o più semplicemente nei casi in cui venga richiesta. L'autore prosegue il
paragrafo consigliando come utilizzarla nei giorni di malattia. Secondo Celso “questo
servizio medico ogniqualvolta si esige, si deve somministrare due volte al giorno; dal
momento che è meglio sottrarre poco a poco, e dopo spurgare del tutto, anziché togliendo
alla persona tutte le forze quasi all'improvviso”.
Egli consiglia anche i luoghi da cui prelevare: per esempio, nei malori generalizzati il luogo
prescelto è il braccio o, in alternativa, dalle tempie e dal piede.
Ecco come viene prescritta la modalità con cui eseguire la flebotomia: “E se con timidezza
s'immerge la lancetta si fende solo la cute esterna e la vena non viene incisa. Qualche
volta essa è molto profonda e non è facile trovarla. … La vena si deve incidere nel suo bel
mezzo, per cui mentre il sangue fuoriesce, si osserverà il colore e la consistenza: dal
momento che se è denso e nereggiante, esso è viziato, e dunque giova cavarlo, mentre se
è rosso e rutilante, allora è sano, ed allora l'emissione del sangue è nociva e conviene
subito chiudere la vena.”
Ovviamente Celso non possedeva le nozioni moderne della circolazione sanguigna, eppure
stupisce non poco la seguente affermazione a termine del paragrafo sulla flebotomia: “Se
il sangue che da principio fluì denso e nero comincia a farsi rosso e pellucido, è indizio che
ne è stato sottratto a sufficienza, e questo rimane essere puro e strano”.
Ciò soprattutto in considerazione del fatto che Celso consigliava, una volta aperta la vena,
di fasciare il braccio e sovrapporre sull'incisione un panno inumidito e sfregare in tal luogo,
alla successiva flebotomia, in modo tale da far riaprire i labbri della ferita e far riuscire il
sangue dallo stesso sito. Probabilmente in questo caso, visto il risultato della precedente
affermazione dovremmo pensare che anche i medici più accorti finivano con il pungere
inavvertitamente anche l'arteria …
Alla conclusione del ciclo di flebotomia “si fascerà il braccio e si terrà così fino a che non
sia salda la piccola cicatrice, la quale in una vena si forma prestissimo”.
Capitolo 11
Sottrazione di sangue attraverso le coppette.
“Di due qualità sono le coppette: di rame e di corno.
Le prime sono aperte da un lato e chiuse dall'altro le seconde hanno un'ampia apertura da
una parte ed un pertugio dall'altra. Nella coppetta di rame si pone della stoppa ardente e
quindi si pone dall'apertura sul corpo sostenendola con la mano per farla aderire.
Quella di corno si pone sul corpo così com'è, dopo attraverso il piccolo foro si succhia e
dopo si chiude con della cera l'ingresso,
… Posta la coppetta, se la cute sottostante è scarificata, verrà attratto il sangue, mentre se
la cute viene lasciata intatta verranno attratti gli spiriti.
… L'uso principale delle coppette si ha quando la malattia non è in tutto il corpo, ma in una
qualche parte di esso nella quale basta estrarre per ristabilire lo stato di salute.”
Capitolo 12
La purgazione.
“Gli antichi provocavano deiezioni con vari medicamenti, e con il frequente uso dei clisteri
in quasi tutte le malattie e davano elleboro nero, il felce, la scaglia del rame detta dai greci
lepìda calcou, o il succo del titimalo [nome delle varie specie di euforbia 5] di cui una
gocciola sul pane purga in maniera abbondante, e il latte asinino o quello vaccino o quello
di capra nel quale mettevano un po' di sale;
… Ma i medicamenti sono perlopiù nocivi al nostro stomaco, e se il ventre si evacua
impietosamente, … causa estrema fiacchezza. Quindi non vi è regola propinare in malattia
medicamento purgativo, tranne che non sia senza febbre: appunto come quando si
prescrive l'elleboro nero a quelli che sono travagliati dall'atrabile, o agli insani per tristezza,
o a chi ha qualche paralisi, ma ogniqualvolta vi è febbre è meglio assumere alimenti e
bevande che allo stesso tempo diano nutrimento lubrificato il ventre. Vi sono poi alcuni
infermità in cui conviene purgare con il latte.”
I clisteri.
“In molti casi è meglio tenere libero il ventre attraverso i clisteri.
Asclepiade ne ha ridotto l'uso: ai nostri giorni sono andati quasi in disuso. L'uso discreto
che Asclepiade ne fece sembra giustissimo; … non si tralasci di somministrarli una o più
volte se la testa è pesante, se la vista è fosca, … se il respiro è alquanto affaticato, se il
ventre non evacua spontaneamente, …
Bisogna osservare nell'uso questo regole: non somministrarle prima del terzo giorno, …
giammai in persone deboli o esauste per antica infermità; né a chi va di corpo
sufficientemente ogni giorno, neanche a quelli che hanno il ventre sciolto, …
L'infermo deve stare in astinenza la vigilia per prepararsi a questa operazione, il giorno del
clistere deve bere qualche ora prima acqua tiepida affinchè le parti superiori si
umettino: ...”
I tipi di clisteri previsti da Celso sono acqua pura; acqua mescolata con miele (più forte del
5 Definizione tratta dal sito della treccani (www.treccani.it)
primo); decotto di fieno greco, d'orzo o di malva (“clisteri mollificanti”); decotto di verbena
(“lavativi astringenti”); d'acqua marina o acqua mista sale (“irritanti”); acqua marina mista
olio, nitro o anche mele (“ancor più irritanti”).
Il materiale iniettato non deve essere né troppo freddo né caldo, per non arrecare danno,
ed il malato, fatto il clistere, non deve cedere ai primi impulsi di scaricare.
Capitolo 13
Il vomito
“Ma il vomito è talora necessario anche nei sani biliosi, così come in quelle malattie
stimolate dalla bile.
In coloro che prima della febbre vengono percossi da brividi e tremori, ed a chi soffre la
colera, ed ancora in quelli che sono posseduti da pazzia allegra, nonché agli epilettici, esso
è indispensabile. …”
Capitolo 14
La frizione
“Riguardo alle frizioni, quasi ne fosse stato l'inventore, molto ha scritto Asclepiade in quel
volume che intitolò Dei Comuni Presidi, nel quale sebbene tratti di tre argomenti,
frizione, acqua e gestazione [intesa come un esercizio fisico non nel senso ginecologico],
soprattutto ragiona della prima. ...”
Celso afferma che Ippocrate sostenne che la frizione se eseguita in maniera gagliarda
indurisce il corpo, se eseguita in maniera blanda lo rende molle; se praticata in eccesso fa
dimagrire, se praticata in modicità fa ingrassare.
Celso ne consegue che questa pratica contrae le fibre rammollite e rammollisce quelle
rigide.
Egli distingue anche l'unzione dalla frizione in quanto la prima è necessaria anche nelle
malattie acute e recenti, nella remissione e prima di mangiare. La frizione conviene
quando la febbre è diminuita, per alleggerire i dolori di capo (“un arto paralitico ben
sovente riacquista il movimento con il fargli degli sfregamenti”), per richiamare gli umori.
Celso indica anche il numero degli sfregamenti da praticare in base alle caratteristiche del
soggetto, come sesso ed età (50 nelle frizioni eseguite senza forza e 200 in quelle eseguite
in maniera poderosa).
Capitolo 15
La gestazione
[intesa come un esercizio fisico e non nel senso ginecologico]
Capitolo 16
L'astinenza.
“Di due sorte è l'astinenza: l'una in cui nulla prende l'infermo, l'altra in cui prende solo ciò
che gli è convenevole.
Le malattie nei loro cominciamenti vogliono totale astinenza di cibo e bevanda: … Nulla
cosa reca giovamento maggiore agli ammalati, quanto l'astinenza a tempo. ...”
Capitolo 17
Il sudore
“Il sudore si provoca in due modi: o con in calore secco o con il bagno.
… Queste maniere d'incitare il sudore sono proficue ogniqualvolta vi è dentro di noi un
umore infetto che smaltire si convenga. E in tal modo certe affezioni dei nervi vengono
sanate,
… Gli antichi erano intorno a questo assai timidi; Asclepiade coraggioso ed ardito. …”
Celso indica nel paragrafo l'utilizzo dei bagni duranti i vari stati febbrili.
Capitolo 18
I cibi o le bevande di forte, medio e debole nutrimento.
“... appartiene al nostro oggetto il conoscere ogni qualità degli alimenti, prima affinchè i
sani sappiano in quali modo usarli e dopo affinchè noi nel curare ci troviamo in grado di
determinare le specie di quegli alimenti che si dovranno prendere ...
tutti i legumi e tutte le paste fatte di grano appartengono alle sostanze di fortissimo
nutrimento
… Ugualmente tutti i quadrupedi domestici, ogni grosso animale selvatico, come il capriolo,
il cervo, il cinghiale , l'asino selvaggio: tutti i grandi uccelli, quali l'oca, il pavone, la grue:
tutte le fiere marine, fra cui la balena, e gli altri cetacei: parimente il mele, e il formaggio.
Quindi non è meraviglia che molto nutriente sia un pasticcio che consti di grano, grasso,
mele e formaggio.
Nella classe poi delle sostanze di medio nutrimento sono da riporre quei vegetali di cui
usiamo le radici ed il bulbo: fra i quadrupedi la lepre, gli uccelli tutti dal più piccolo fino al
fenicottero; lo stesso per i tutti i pesci che non si salano, o si salano interi.
Debolissimo nutrimento somministrano i vegetali, e tutto ciò che nasce dal cavolo, così
come la zucca, il cocomero, il cappero: la frutta tutta, le olive, le chiocciole e i mitili. ...”
Il paragrafo prosegue con un elenco di ulteriori distinzioni degli alimenti e delle bevande,
senza ragionamento alcuno sui possibili motivi, all'interno delle tre classi di nutrimento
indicate da Celso. Ovviamente l'acqua è la bevanda più leggera tra tutte, in particolar
modo quella che più prontamente si riscalda e si raffredda.
Il consiglio finale è che le persone gracili si nutrano con alimenti leggeri, quelle di media
corporatura con alimenti mediamente nutritivi ed i robusti con alimenti forti.
Capitolo 19
La natura e le proprietà delle cose di cui ci nutriamo.
“ … fra le sostanze cibarie alcune sono di buono ed altro di cattivo succo. Chiamano i Greci
euchile le prime, cocochile le seconde: alcune sono dolci, altre aspre: alcune condensano
la pituita, altre l'assotigliano: alcune sono gradevoli, altre contrarie allo stomaco: alla
stessa maniera alcune generano flati, altre no: …”
Capitolo 20
Quelle che sono di buon succo.
“ … Sono di buon succo il grano, la segale, il farro, il riso, … i pesci di qualità di mezzo fra
duri e teneri, … gli uteri, i grugni e i piedi di porco: ...”
Capitolo 21
Quelle che sono di cattivo succo.
“Sono di reo succo il miglio, il panico, l'orzo, … il formaggio vecchio, ...”
Capitolo 22
Le cose che sono dolci e quelle che sono acri.
“Alimenti blandi sono i brodi, le poltiglie, le paste, … la carne grassa e la glutinosa
qualsiasi, …
Acri sono invece quelli troppo austeri, gli acidi tutti, tutti i salumi, … l'aglio, la cipolla, … il
cocomero, la bietola, i cavoli, gli asparagi, la senape, … la lattuga e la maggiorparte dei
vegetali.”
Capitolo 23
Le cose che addensano o che attenuano la pituita.
“Più densa rendono la pituita, le uova da bere, … il latte, …
L'attenuano le cose salate, quelle acri ed acide.”
Capitolo 24
Le cose che si confanno allo stomaco.
“Alimenti che si confanno allo stomaco sono quelli austeri ed anche quelli acidi, e quelli
che sono leggermente salati, il pane azzimo, l'alica lavata, ovvero il riso e l'orzo mondo:
tutti gli uccelli, ogni qualità di selvaggina,
… fra gli animali domestici la carne di bue, … del porco i piedi, il grugno, gli orecchi, gli
uteri
… fra la frutta la ciliegia, la mora, la sorba, …”
Capitolo 25
Le cose che sono nemiche dello stomaco.
“Sono contrarie allo stomaco tutte le cose tiepide, le salate, tutti i sughi, tutti i dolciumi,
tutte le sostanze grasse, … l'olio, … il miele, … il latte, ogni sorta di formaggio, l'uva
fresca, i fichi freschi e secchi, ...”
Capitolo 26
Le cose che gonfiano.
“Generano flatulenza quasi tutti i legumi, tutte le robe pingui, le dolci, e succulenti: il vino
mosto ad anche il recente: fra gli ortaggi l'aglio, la cipolla, il cavolo, ...”
Capitolo 27
Le cose che riscaldano o rinfrescano.
“Sostanze riscaldanti sono il pepe, il sale, le carni succulenti, l'aglio, …
Rinfrescano tutti quei vegetali di cui si mangia lo stelo crudo, come la cicoria e la lattuga,
… la zucca cotta, ...”
Capitolo 28
Le cose che si corrompono agevolmente all'interno.
“Si corrompono agevolmente il pane fermentato, … il latte, il miele, e perciò anche tutti i
latticini, e tutte le manifatture di pasticceria; i pesci teneri, le ostriche, i vegetali, il cacio
fresco e vecchio, la carne grassa o tenera, il vino dolce, ...”
Capitolo 29
Le cose che muovono il ventre.
“Muovono il ventre il pane fermentato, … il cavolo mezzo cotto, la lattuga, ...”
Capitolo 30
Le cose che costringono il ventre.
“Al contrario stringono il ventre il pane di fiore sia di frumento che di segale, … la
lenticchia mescolata … il radicchio fritto: i piccoli vegetali, il cavolo cotto due volte, le uova
dure, soprattutto se fritte, i piccoli uccelli, il miele cotto, le pere immature, … le olive
bianche e quelle molto mature, i mirti, ...”
Capitolo 31
Le cose che provocano le urine.
“Muovono le urine tutte le erbe odorifere che crescono nei giardini come l'appio, la ruta,
l'aneto, il basilico, la menta, … il finocchio; oltre a ciò gli asparagi … la cipolla. Della
cacciagione, la lepre è sopra ogni cosa; ...”
Capitolo 32
Le cose che conciliano il sonno.
“Conciliano il sonno il papavero, la lattuga, e particolarmente quella estiva di cui lo stelo è
già ricco di latte, le more, il porro.”
Capitolo 33
Le cose che attraggono gli umori.
“Gran numero di cose possono attrarre gli umori, ma quelle che constano di droghe
forestiere sono per lo più efficaci in quei casi, rispetto al quale il governo dietetico non è
sufficiente; di queste cose … dirò solo di quelle che sono disponibili e che convengono in
quelle infermità, delle quali ragionerò tra poco. Queste escoriano la pelle, e così dal corpo
traggono ciò che vi è di cattivo. Godono di questa forza i semi della ruchetta, il nasturzio,
le radici, ma soprattutto la senape; ...”
Capitolo 1
Delle malattie speciali.
“Premesse quelle nozioni che riguardano generalmente le infermità tutte, passerò alla cura
di ciascuna in particolare.
I Greci le divisero in due classi, lunghe ed acute: ma dal momento che non tutte sempre
terminavano alla stessa maniera, altri alla classe della acute, altri a quella delle lunghe
riportarono le medesime affezioni. Quindi è chiaro è che vi sono diverse origini; infatti
alcune sono brevi e acute, le quali o subito uccidono, o subito finiscono; altre croniche in
cui la sanità, o la morte sono per lontane a venire; ed una terza ve n'è, le quali ora sono
acute, ora lunghe, e ciò interviene non nelle febbri soltanto, nelle quali cosa tale
frequentissima è, ma in altre infermità. Oltre a queste una quarta classe se ne riscontra
che non possono dirsi acute perchè non uccidono, né lunghe perchè provvedendovi,
agevolmente risanano. Allorché terrò discorso delle singole malattie, indicherò a quale
classe appartenga ciascuna di esse. Le dividerò tutte in universali che paiono prendere
tutta la persona, e in locali che hanno sede in certe parti. …
La fortuna ha in ogni malattia non minore forza dell'arte, nulla potendo, contro la natura,
giovare la medicina. È più scusabile un medico che poco profitto ottiene nelle malattie
acute che in quelle lunghe, dal momento che nelle non ha che un breve spazio di tempo,
entro il quale, se i rimedi non giovano, l'infermo perisce; nelle altre al contrario ha il tempo
di consultare come cambiare i rimedi, ...”
Celso conclude questo capitolo affermando che non esiste un rimedio unico per tutti i mali,
contraddicendo “medici insigni” che avevano spacciato un unica panacea. Dunque, qualora
un rimedio non si mostra efficace, egli consiglia piuttosto mettere alla prova diversi medici.
Capitolo 2
Il modo attraverso il quale si conoscono le malattie, e se crescono,
si mantengono costanti o decrescono; e come si debba curare chi
comincia a soffrire.
“E' cosa utile riconoscere già dall'inizio quale male sia acuto e quale cronico: …
Una malattia si aggrava quando più forti insorgono i dolori e gli accessi, …
nelle lunghe malattie, ancorché non si presentino tali segni, che esse si aumentano
quando vago è il sonno, imperfetta la digestione, quando le fecce sono fetenti oltremodo,
torpidi i sensi, tarda la mente, se ribrezzo o certo calore pervade il corpo, più se
impallidisce. Gli accidenti contrari indicano declinazione della malattia. …
E quando questa [la malattia] non sia universale, ma locale, conviene tuttavia mirare
maggiormente alle forze di tutto il corpo, anziché alla sanità della parte affetta. …
Dunque, se sopraggiunge qualcuno di quegli indizi che ho citato, meglio di ogni cosa sono
l'astinenza e il riposo. … Non si deve bere altro che acqua, … e in appresso
alternativamente un giorno acqua e l'altro vino, … La sola astinenza è medicina spoglia da
ogni pericolo, …”
Capitolo 3
I vari generi di febbri.
“... Di queste febbri, una cosa è la quotidiana, un'altra la terzana, altra ancora la quartana:
…
Le prime siccome sono vere malattie, così ne possediamo il rimedio. Le quartane sono più
semplici di tutte le altre. ...”
Celso descrive l'andamento delle febbri. Nella quartana si ha calore il primo giorno, caduta
della febbre per due giorni e ripresa al quarto giorno.
Le terzane le distingue in due tipi: una manifesta febbre il primo giorno, sfrebbra il
secondo e si ripresenta il terzo; l'altra (definita come “ben più perniciosa”) ricompare sì al
terzo giorno, ma per quarantotto ore, e viene chiamata dalla maggiorparte dei medici
“hmitritaion (emitritea)”.
Capitolo 4
Diversi tipi di cure.
“... Diverse poi sono le maniere di medicatura; secondo i diversi autori che ne hanno
discorso. Asclepiade dice essere ufficio del medicante di curare con velocità, senza
provocar dolore ed in maniera sicura. …
Gli antichi inducevano la digestione con alcuni medicamenti, dal momento che temevano
sopra ogni cosa la crudezza; dopo cercavano di eliminare quella materia che pareva loro
dannosa al prezzo di frequenti clisteri. Asclepiade mise al bando i medicamenti; egli
induceva l'alvo con clisteri non con elevata frequenza, ma in quasi tutte le malattie; e se
ne avvaleva anche per curare le stesse febbri. Egli era dell'opinione che si dovessero
spossare le forze del malato con la luce, con la veglia, con la sete più crudele, e non
concedeva neppure di sciacquare la bocca. Quindi erravano coloro i quali credevano che il
suo medicare fosse in ogni parte senza dolore e piacevole. Infatti, se nei giorni successivi
[della malattia] assecondava le voluttà dell'infermo, nei primi, senza dubbio, sosteneva le
parti del carnefice.
In quanto a me penso che non si debbano somministrare pozioni medicamentose, né
usare clisteri se non raramente; … conviene collocarlo in una camera il più spaziosa
possibile. In quanto al sonno ed alla sete, conviene temprarlo in modo che di giorno vegli
e di notte riposi, che non beva troppa né troppo soffra la sete. Si può altresì sciacquar la
bocca sia quando sia riarsa o quando renda spiacente odore, …
E come saggiamente riflette Erasistrato, possono spesse volte le fauci e la bocca avere
bisogno di essere umettate senza averne bisogno le parti interne, …
il nutrimento dato in maniera congrua è la migliore di tutte le medicine: ma si disputa
intorno al tempo di inizio in cui darlo. I più degli antichi non lo davano che assai tardi,
sovente al quinto dì, sovente al sesto, e tal uso forse il permetteva la natura del clima in
Asia ed in Egitto. Asclepiade dopo avere per tre dì abbattuto d'ogni modo il suo ammalato,
il quarto lo destinava al cibo. Temisone quasi non esaminava quando cominciava la febbre,
ma quando fornisse, od almeno che si fosse menomata: e da quel tempo aspettato il terzo
dì, se la febbre non risaliva, somministrava il cibo; …
Comunque si può accordare il cibo al primo dì, si può al secondo, al terzo, in alcuni casi
non si può fino al quarto [quello più confacevole nella maggiorparte dei casi] o al quinto:
si può dopo un accesso, dopo due, e così dopo parecchi. ...”
Secondo Celso le varianti riguardo al quanto somministrare il cibo sono diverse, dal clima,
al tipo di patologia fino all'età del paziente, ma l'aspetto fondamentale è il considerare le
forze dell'ammalato, perchè se queste sono fragili lo si deve ristorare con l'alimento. La
continua attenzione verso l'ammalato ha come conseguenza che il medico non può seguire
contemporaneamente molti pazienti.
In questo paragrafo Celso entra anche nel merito dei giorni detti “critici”, che per gli antichi
si manifestavano solitamente nei giorni impari. Egli ricorda come questa dottrina fu
rigettata da Asclepiade (“a buon diritto”) rilevando delle contraddizioni negli stessi
argomenti degli antichi e ritenendo questa dottrina come insensata.
Egli afferma che furono i “numeri pitagorici” a trarre in inganno gli antichi ma non da una
ragione precisa di questa ipotesi.
Capitolo 5
Delle varie specie di febbri, e delle cure particolari; e principalmente
quando si deve dar da mangiare ai febbricitanti.
“...”
Capitolo 6
In che tempo sia espediente dare da bere ai febbricitanti.
Celso afferma che nei febbricitanti, mentre è difficile persuadere i malati a mangiare, dal
momento che lo stomaco li ripugna, è cosa facilissima farli bere, tanto ardente è la sete e
tanto maggiore è la febbre altrettanto lo è la sete.
“... Però si deve avvertire il malato, che al cedere della febbre, cede anche l'arsura; e che
l'accesso sarà più lungo se gli verrà dato dato da mangiare: così più velocemente cesserà
d'avere sete chi non beve.
… il primo giorno non si darà alcuna bevanda se non nel caso che i polsi ad un tratto si
abbassino [d'intensità] così che si debba concedere anche il nutrimento.”
Nel secondo giorno, e nei successivi, si potrà concedere di bere. Celso cita Eraclide di
Taranto. Celso consiglia anche di somministrare dell'acqua calda e lo stare sotto coperte
pesanti nei casi in cui il sudore stenti ad arrivare dal momento che ciò viene considerato
come salutare.
“Si devono poi finalmente, come insegnò Asclepiade, metter dinanzi all'ammalato diversi
cibi, ogniqualvolta provi ripugnanza, e le forze siano declinanti, acciocché un pò di tutti
assaggiando, schifi la fame. ...”
Vengono consigliati anche vegetali ed erbe come ortica e malva oltre che sughi
[particolari] di conchiglie, locuste e carne, e perfino vino greco salato.
Capitolo 7
In che modo si devono curare le febbri pestilenziali.
Paragrafo 1:
“Una febbre di carattere pestilenziale esige una particolare osservazione. In essa non è
utile l'astinenza dal cibo, i farmaci o i clisteri. Se le forze lo consentono, la cosa migliore è
cavare sangue, soprattutto se alla febbre si accompagna il dolore; se ciò è cosa poco
sicura, passata la febbre, purgare lo stomaco con il vomito. Ma in questa, al più presto che
in altre malattie, si deve usare il bagno, dare vino caldo e puro, alimenti collosi fra cui
anche la carne della stessa qualità. …
Ma i fanciulli non si devono curare come le persone adulte. … si deve intorno a loro agire
con più cautela, non cavare sangue così speditamente, né speditamente muovere loro il
ventre, non gravarli con la veglia, con la fame o sete eccessiva, né medicinarli con il
vino. ...”
Paragrafo 2:
“Se la febbre ardente non abbrucia, non si deve dare alcuna pozione medicinale, ma negli
stessi accessi rinfrescare il malato con olio e acqua …”
Capitolo 8
Cura della febbre semiterzana che si chiama emitritea.
“... Ed è di massima importanza non dare da mangiare se non alla remissione vera, e darlo
appena è arrivata: …
E si deve, almeno che non lo proibisca qualche ragione contraria, istituire il salasso, …”
Capitolo 9
Cura delle febbri lente.
“... lente febbri che non rimettono mai, e che non danno luogo né al nutrimento, né ad
alcun rimedio. …
Si deve pertanto qualvolta strofinare il corpo del malato con acqua fredda mistra a
dell'olio: ...”
Capitolo 10
Rimedi al dolore di capo, all'infiammazione dei precordi, e alla
secchezza e ruvidezza della lingua nelle febbri.
“... Se duole il capo è d'uopo mescolare insieme aceto ed olio rosato, e su di quello
versarlo: avere poi due pezze di lino che la larghezza e la lunghezza adeguino della fronte,
…
Se gli ipocondri sono infiammati e dolenti … giova il porvi robe calde e mollitive, …
Quattro sono i segni dell'infiammazione, rossore e tumefazione con calore e dolore
[“Notae vero infiammationis sunt quator, rubor, et tumor, cum calore et
dolore.”]. Il che dimostra quanto errasse Erasistrato, il quale asserì non aversi febbre
senza infiammazione, né si deve applicare nulla, perchè la febbre medesima rimuove
quanto prima il dolore. …
Se poi la lingua è arida e ruvida, la si deterga prima con un pannolino bagnato in acqua
calda, e poi si unga un miscuglio di olio rosato e miele. ...”
Capitolo 11
Cura contro il freddo che precede la febbre.
“... Quando si aspetta si deve dare al malato qualunque bevanda … che accresca
fortemente il male. ...”
Capitolo 12
Cura del brivido nelle febbri.
“... è necessario dargli da bere acqua tiepida un po' salata, e costringendolo a rigettare …
E se poi l'orripilamento prende il paziente … mangi dell'aglio prima dell'accesso e poi beva
acqua calda con pepe, le quali cose muovono il calore ...”
Capitolo 13
Della febbre quotidiana.
“... Se è quotidiana bisogna ai primi giorni stare in grande astinenza, ...“
Capitolo 14
Della febbre terzana.
“... fa d'uopo nei giorni intermedi passeggiare, e fare altri esercizi …
Un certo Cleofonte, medico antichissimo, spargeva in queste affezioni molta acqua calda
sul capo del malato, e dopo gli dava del vino. ...“
Capitolo 15
Della febbre quartana.
“... Le medesime cose si devono fare nella quartana. …
Nel settimo giorno si deve con il bagno prevenire il freddo, e se la febbre tornasse, fare un
clistere, …
In questa infermità i rimedi sono l'olio, la fregagione, l'esercizio, il cibo, il vino. Se il ventre
è costipato lo si deve tenere sciolto. ….”
Capitolo 16
Della quartana doppia.
“Ma se la quartana è doppia, e se non si possono usare quelli esercizi che io proposi, o
bisogna riposarsi interamente, … quindi nell'intervallo degli accessi e muoversi alquanto, e
dopo l'unzione mangiare. …
passar dal vino all'acqua, e da questa a quello; …
mangiare del rafano e poi vomitare; o muovere il ventre con il brodo di pollo: ...”
Capitolo 17
Della febbre quotidiana derivata dalla quartana.
“... fare fregagioni, e bere alla sera solamente dell'acqua. ...”
Capitolo 18
Delle tre generazioni di follia, e prima della cura di quella che dai
Greci è chiamata “frenesia”.
“... dicendo della prima specie di questo genere, che costituisce un morbo acuto e febbrile,
dai Greci chiamato “frenesia”. …
Vera frenesia poi si ha allorché comincia ad esservi una continua demenza …
Questa infermità è di molte specie, perchè tra i frenetici alcuni sono allegri, altri
melanconici; alcuni sono docili e soltanto folleggiano nel ragionare; altri si levano su, e con
le mani compiono azioni violente; …
conviene legare quelli che si comportano in maniera violenta, affinché non rechino danno
né a sé né agli altri. …
Gli antichi tenevano ordinariamente questi malati tra le tenebre, stimando … che le
tenebre conferisse non poca calma all'animo. Al contrario, Asclepiade, ritenendo che le
tenebre fossero motivo di spavento, voleva che si tenessero costoro al chiaro di luce. …
Inutile è adoperare rimedi nel colmo del furore, perchè anche la febbre si esalta e si
accresce. …
Asclepiade disse che … il sangue non si può congruamente trarre ai frenetici, se non nella
remissione. Invece egli consigliava di conciliare loro il sonno con lunghe frizioni; …
Molte cose si fanno nei casi precipitosi che altrimenti non si dovrebbero fare … trar sangue
… clisteri … radere la testa fino alla cute e fomentarla con acqua … e per ultimo ungere la
testa e le narici d'olio rosato; porgere alle narici ruta pestata con l'aceto, ….
d'uopo è cacciar via i tetri e malinconici pensieri, riguardo al quale sono confacevoli i
concerti musicali e il suono dei cembali e i sussurri. …
Giova invitare il sonno. … se la veglia persiste alcuni sono soliti provocando il sonno,
dando da bere dell'acqua in cui siano bolliti papaveri o giusquiamo; altri mettono sotto il
guanciale bacche di mandragora;
... Asclepiade sostenne essere queste cose pericolose, perchè spesso fanno mutare la
frenesia in letargia. Insegnò quindi che il primo dì dovesse L'ammalato astenersi dal bere,
dal mangiare e dal dormire: che alla sera se gli porgesse acqua da bere: indi si
sottomettesse ad una fregagione soavissima in tanto che la mano stropicciatile non
oprasse che una piacevole e dolce impressione: il dì susseguente dipoi, ripetute queste
medesime cose, se gli amministrasse verso sera brodo e acqua, e da capo si tornasse
all'uso della fregagione, per la quale noi facilmente conseguiremo che il sonno si affacci. Il
quale alcuna fiata avviene, e sì profondo, che, a detta di Asclepiade medesimo, può il
troppo uso delle fregagioni condurre fino anche il pericolo di letargia. Ma ove pur il sonno
non si presenti, allora finalmente mestiere è incitarlo coi medicamenti dinanzi proposti,
usando per altro la medesima moderanza che in questo caso è necessariamente richiesta,
per paura che non si possa più risvegliare chi solo voleasi far dormire. Conferisce conciliare
il sonno anche un'acqua cadente presso ti malato; e l'agitazione andando in lettiga dopo il
cibo e di sera, e sopra ogni altra cosa l'oscillamento di un letto pensile. …
porre una coppetta scarificata alla nuca, la quale poiché alleggerisce il male, può anche
procurare il sonno. …
Un altro genere di demenza … ordinariamente incomincia senza febbre, poi incita
leggermente febbriciatole, e consiste in una tristezza che sembra procedere dall'atrabile.
In questa affezione profittevole è la missione del sangue. … di poi purgarsi con l'elleboro
bianco e con il vomito, e fatte entrambe queste cose si praticherà due volte al giorno la
fregagione; se il malato è forte e vigoroso, utile è pure un frequente esercizio, …
Altra razza si ha inoltre di pazzia, … E questa è solita cogliere i temperamenti robusti.
Due sono le specie. Gli uni sono illusi da vani fantasmi senza essere alienati dalla mente,
com'era appunto l'insania di Ajace ed Oreste siccome riferiscono i poeti; gli altri hanno
alienata la mente. Se sono ingannati da false immagini, prima di tutto si vuol osservare se
melanconici o allegri. ...”
Capitolo 19
Della cardialgia.
“A queste affezioni è in particolar modo contraria quella specie di malattia, che viene
chiamata “cardialgia” dai Greci … perchè in questa la mente è ferma e serena.
Questo male in null'altro consiste che in una estrema spossatezza del corpo, il quale,
essendo languidissimo lo stomaco, si discioglie e stempera per soverchio sudore. Si vuole
sapere prima di tutto esservi siffatto malore, allorchè i polsi sono piccoli e debolissimi, …
La cura principale sta nell'applicare sullo stomaco dei cataplasmi ripercussivi; dopo
nell'arrestare il sudore. ...”
Capitolo 20
Della letargia.
“Si ha un'altra malattia altrimenti contraria alla frenesia. … una quasi insuperabile
tendenza al sonno; i Greci la chiamano “ letargia”. Essa è pure una specie di male acuto, e
che uccide in poche ore se non si incorre velocemente al riparo.
Alcuni si adoperano ad incitare i malati con sostanze provocanti la starnutazione, e di
quelle che muovono con la fetidezza del loro odore, … Desta vivamente l'acqua gettata
improvvisamente addosso. ...”
Capitolo 21
Della idropisia.
“Questa infermità è di quelle acute. … acqua effusa tra la cute, …
Di questa tre sono le specie: talora il ventre fortemente teso fa sentire un continuo suono
interno per l'agitamento dell'aria; talora i corpo è ineguale per rigonfiamenti nati in ogni
parte di esso di varia mole e figura; talora l'acqua si raccoglie nel ventre, e si muove
muovendo il corpo in modo tale che si può scorgerne l'ondulazione.
I Greci chiamano “timpanite” la prima, “leucoflegmasia” od “anasarca” la seconda, ascite
la terza.
Causa comune è la sovrabbondanza degli umori, …
qualunque ne sia la specie … sono richiesti gli stessi aiuti: passeggiare molto, …
stropicciare le parti superiori … provocare il sudore non solamente con l'esercizio, ma
anche il bagno [secco] di calda arena o della stufa o del forno. Il bagno ed ogni umidità
sono contrari. Assai giovano date a digiuno pillole composto di due parti di assenzio ed
una di mirra. ...
se poi il male è gravissimo, si deve dare in ciascuna una medicazione particolare. … si
deve ricorrere alle coppette incruenti; e se nemmeno esse cessano il tormento, allora
bisogna usarle con le scarificazioni. Quando le coppette non arrecano sollievo, ultimo
salutare ripiego è l'introdurre attraverso il ventre molta acqua calda e ritenervela. …
Ma se quel vizio che si dice “leucoflegmasia”, bisogna esporre al sole le parti infiammate;
ma non troppo, onde non insorga qualche moto febbrile; … e sulle parti stesse tumefatte
conviene fare profonde incisioni, e scuotere fortemente il corpo con la gestazione, …
L'alimento conviene essere glutinoso, forte e carneo …
Se vi sono manifesti indizi che il fegato e la milza siano viziati, vi si porgono sopra fichi
grossi ammaccati e mescolati al miele. …”
Capitolo 22
Sulle specie di tabe.
“... Di queste molte sono le specie.
Una è quella in cui il corpo non si nutre. … un'estrema magrezza ne viene … I Greci la
chiamano “atrofia”. …
L'altra, che il Greci chiamano “cachessia”, si ha quando predomina un cattivo habitus del
corpo, per cui tutti gli alimenti si corrompono. …
La terza di tutte e la più pericolosa è quella alla i Greci hanno dato il nome di “tisi”. Essa,
per lo più, comincia dal capo; dopo si getta sul polmone … dopo da una leggera febbre …
espettorazione di pus, talora misto a sangue. …
I cibi conviene che siano di agevolo consumo, nutritivi e sostanziosi. …
… di poi sciogliere con i clisteri il ventre, … sono giovevoli le frequenti bagnature, ma a
digiuno fino al sudore. …
Se le altre cose nulla giovano, è necessario trarre sangue, ma poco alla volta; …
Fa d'uopo, se le forze lo permettono, lunga navigazione, cambiamento di aria in modo che
il malato si rechi in luogo dove l'aria è più grossa di quella da cui si parte; ...
… evitare le infreddature …
… ma se l'affezione [la tisi] è molto considerevole … è necessario fare con del ferro
infuocato un'ulcera sotto il mento, un'altra alla gola, due alle mammelle, ed altrettanto al
basso delle scapole … facendo in modo che tali ulcere non si cicatrizzino fino a che non sia
guarita la tosse, …
Allorché il malato comincia a stare meglio, deve aumentare gli esercizi, le fregagioni e gli
alimenti … astenersi per lungo tempo dal vino, dal bagno e dal coito.
Capitolo 23
Cura del malcaduco [morbo comiziale]
“... La persona cade all'improvviso; gli sorge bava alla bocca; dopo, trascorso un po' di
tempo, ritorna in sé e da solo si solleva. Questo male interessa più gli uomini che le
donne. …
Quando qualcuno cade a terra, se non sopraggiungono convulsioni, gli si deve cavare
sangue; … Cosa essenziale è muovere il ventre con i clisteri e con l'elleboro nero … di poi
tosare il capo ed ungerlo di olio ed aceto; … conviene fuggire il sole, il bagno, il fuoco e le
cose riscaldanti; ugualmente il freddo, il vino, il coito, star di fronte ad un precipizio …
… e passati tre o quattro giorni faccia uso di cibi acri per uno o due giorni. …
si asperga di acqua salata; bevva a digiuno del castoreo nell'acqua; … Alcuni si liberano da
questa malattia bevendo il sangue caldo di un gladiatore ucciso; nei quali un orrido
rimedio rende più orrido un male tollerabile.
Per quanto appartiene al medico, ultimo ripiego è cavare un poco di sangue presso il
calcagno di ambedue i piedi: ...”
Capitolo 24
Cura dell'itterizia [De morbo regio]
“... Ippocrate dice che non è pericolosa ogniqualvolta sopraggiunge ad un febbricitante
dopo il settimo giorno;
… Il colore, e più di tutti quello degli occhi, nei quali quello che è bianco si fa giallo, palesa
questa malattia. E suole essere accompagnato da sete, da dolore di capo, da singhiozzo
frequente, e da durezza dell'ipocondrio destro, …
Il primo giorno l'infermo deve astenersi, nel secondo prendere un clistere …
Asclepiade forzava i suoi pazienti ad ingoiare anche dell'acqua salata per due giorni al fine
di purgarli, ...”
Capitolo 25
Cura dell'elefantiasi.
“Quasi sconosciuto in Italia, frequentissimo in certe contrade è quel morbo che dai Greci è
detto “elefantiasi”;
… La superficie del corpo si ricopre di macchie e di tumefazioni, il colore delle quali poco a
poco si cambia in nero; la cute inegualmente densa, tenue, dura e molle si rende in un
certo qual modo squamosa ed aspra; il corpo dimagrisce; la faccia, le gambe ed i piedi si
intumidiscono, …
Si deve rapidamente cavare sangue per due o tre giorni, o sciogliere il ventre con l'elleboro
nero, ...”
Capitolo 26
Degli istupiditi.
“... A volta la causa è un colpo di fulmine, a volte una malattia chiamata dai Greci
“apoplessia”. A questi malati si deva cavare sangue, dare l'elleboro nero o lavativi: dopo
strofinazioni, … dal vino astenersi.”
Capitolo 26
Sulla paralisi [de risolutione nervorum].
“... 1) Ma la risoluzione [paralisi] dei nervi è un acciacco frequente in ogni luogo. Essa ora
pervade il corpo tutto ora certe parti. Gli antichi autori chiamarono l'una “apoplessia” e
l'altra “paralisi”. …
La paralisi parziale non è mai acuta, spesso lunga, quasi sempre insanabile. Se tutte le
membra sono cadute in paralisi, il cavar sangue o risana o uccide;
… fa pro irritare la cute del membro intorpidito, sia battendolo con ortiche, sia
apponendovi della senape … E' anche ben indicata la squilla contusa postavi sopra, ed i
bulbi con incenso ammaccati. ...”
Dolori di nervi
“2) Talvolta insorge anche il dolore dei nervi.
… Si deve bere acqua, due volte al giorno stando al letto, stropicciando dolcemente il
corpo per un tempo discretamente lungo; … Qualche volta fa pro apporre alla parte
dolente delle coppette, e percuoterla dolcemente con vesciche di bue ripiene di aria. Utile
pure è fare un miscuglio di parti uguali di sego e di semi pesti di jusquiamo ed ortica, e
applicarvelo: fomentare con acqua in cui sia bollito dello zolfo. Anche vi si pongano degli
otricelli ripieni di acqua calda o del bitume mescolato a farina d'orzo. ...”
Tremori di nervi
“3) Il tremore di nervi si esacerba similmente con il vomito e con i medicamenti che
provocano le urine. Avversi sono anche i bagni e le stufe secche che provocano sudore. Si
deve bere acqua, passeggiare molto ed ungersi, e stropicciarsi specialmente da sé; ...”
Suppurazioni interne
“4) Le suppurazioni che nascono in qualche parte interna, dacchè ce ne rendiamo conto,
fa d'uopo applicare cataplasmi che reprimono, …
il fine di ogni vomica è che si rompa: ne fa indizio il pus che si rende dall'ano o dalla
bocca. … Si devono usare principalmente dei brodi farinacei e l'acqua.
Libro Quarto
pag 124
Capitolo 1
Delle parti interne del corpo.
“Fino a qui si trovano quelle affezioni che investono tutto il corpo e a cui non si può
assegnare una determinata sede: ora dirò di quelle affezioni che sono proprie a ciascuna
parte. …
Il capo dunque, e quelle cose che sono nella bocca non finiscono soltanto alla lingua e al
palato, ma fin là dove può giungere l'occhio.
Sono a sinistra ed a destra lungo il collo grandi vene denominate “sfagitidi”; ed arterie che
si chiamano “carotidi”, le quali in alto ascendendo si recano oltre alle orecchie.
Sono pure nelle fauci alcune ghiandole, che talvolta s'intumidiscono e dolgono; in appresso
due canali prendono origine, chiamato l'una “aspera arteria” [la trachea], esofago l'altro
[chiamato da Celso “stomachum”].
L'aspera arteria, che è più esterna, si reca al polmone; l'esofago, che è più interno, al
“ventricolo”: quella conduce l'aria [chiamata da Celso “spiritus”], questo il cibo. Nel luogo
dove questi due canali, facenti parte di due diverse strade, si congiungono, vi è nella
aspera arteria entro le fauci una linguetta [Celso sembra riferirsi all'epiglottide], la quale
nel respirare si innalza, e nel mangiare e bere chiude l'aspera arteria. Questa poi fatta
dura e cartilaginea, s'ingrossa sul davanti della gola, e nelle restanti parti è depressa. Essa
consta di anelli fatti alla foggia di quelle vertebre che nella spina [dorsale] si trovano: con
la differenza però che nella parte anteriore si riscontra aspra e diseguale; nella parte
posteriore, dove si unisce all'esofago, si riscontra levigata e liscia: e discendendo al petto
con il polmone si innesta.
Questo viscere che è spongioso, e conseguentemente capace d'aria, e che al dorso della
spina aderisce, si divide in due lobi a guisa d' un'unghia di bue. Al polmone sta annesso il
cuore di natura muscoloso che giace nel petto sotto alla mammella sinistra: esso ha in sé
due seni, o diremo due ventricoli.
Sotto il cuore ed i polmoni v'è un setto trasverso di assai forte membrana, che il
sottostante ventre divide dal petto: e nervoso com'è, scorrono in esso di molte vene: esso
separa dalla parte superiore non solo le intestina, ma anche il fegato e la milza. Queste
viscere prossime ad esso, ma però al di sotto, giacciono a destra e a sinistra.
Il fegato che è alla destra sotto i precordi a contatto del diaframma, è nella faccia inferiore
concavo, all'esterno convesso: la sua parte prominente s'appoggia lievemente al
ventricolo, e in quattro lobi si divide. Dalla sua parte inferiore gli sta attaccato il fiele.
La milza poi alla stanca non si appoggia al medesimo setto, ma all'intestino; floscia e poco
di sua natura compatta, di mezzana lunghezza e grossezza: essa poco discostandosi dalla
regione delle costole entro l'addome, sotto di quelle si nasconde in gran parte. Tutte
queste sono fra loro unite.
I reni al contrario sono due, e separati; essi poggiano ai lombi sotto le ultime coste; da
questa parte sono rotondi, dall'altra curvi; essi son vascolosi, ed hanno dei ventricoli; e
superiormente vanno ricoperti da membrane. Questa è la posizione delle viscere.
L'esofago poi che è il principio delle intestina, è nervoso; incomincia alla settima vertebra
della spina, imbocca il ventricolo attorno i precordi. Il ventricolo che è il ricettacolo del
cibo, è composto di due tuniche; giace fra il fegato e la milza; e tutti e due si distendono
un poco sopra di esso. Vi sono anche delle tenui membranelle, onde si connettono questi
tre fra di loro, e si congiungono a quel setto trasverso già detto di sopra.
Dipoi la parte più bassa dello stomaco rivolta un poco verso la destra, restringendosi nel
primo intestino. I Greci chiamano questo restringimento “ piloro”, perchè a guisa di porta
trasmette alle parti inferiori quelle materie che dobbiamo evacuare.
Da esso nasce il “digiuno intestino”, non così circonvoluto, e che porta questo nome,
perchè non ritiene le materie che riceve, ma prestamente le trasmette alle parti inferiori.
Indi prende origine “l'intestino gracile” meravigliosamente intricato negli anfratti; ciascuno
dei suoi giri si connette per via di gentili membrane agli inferiori; e questi rivolti verso il
lato destro, e circoscritti dalla regione dell'anca destra, non però vie maggiormente
riempiono le parti superiori.
Dipoi questo si congiunge all'altro più ampio intestino posto trasversalmente, il quale
incominciando dal lato destro, è aperto e lungo dalla banda sinistra, altrimenti nella destra,
e perciò chiamasi “cieco”.
Il lato che è pervio, è assai dilatato e sinuoso, e meno nervoso delle intestina superiori, e
dall'una parte e dall'altra in qua e in là ripiegato, più però occupando il lato sinistro che
non il destro, va a contatto del fegato e del ventricolo, dipoi si congiunge con diverse
membranette provenienti dal rene sinistro; e quindi ripiegato a destra si dirige verso il
fondo, donde si vota: e perciò dato è a questo tratto il nome di intestino retto.
Tutte queste cose le ricopre l'omento, nella parte inferiore liscio e compatto, mollissimo
nella superiore: egli è quivi dove s'ingenera l'adipe, il quale egualmente che il cervello e la
midolla, è priva di senso.
Da ciascun rene inoltre parte un canale di color bianco, che va alla vescica. chiamato dai
Greci “uretere”, perchè si avvisano per questi canali discendere l'urina in vescica. La
vescica poi, nel fondo del ventre, di natura nervosa e di due membrane composta, col
collo denso e carneo si unisce mediante alcune vene con l'intestino e con quell'osso che
soggiace al pube: essa è sciolta e fluttuante verso il ventre, e diversamente posta negli
uomini da quel che è nelle femmine. Da momento che in quelli è situata lungo L'intestino
retto, inclinata piuttosto alla sinistra: in queste giace sopra gli organi della generazione, e
di sopra sciolta è sorretta dall'utero stesso.
Inoltre il condotto dell'urina più lungo e angusto negli uomini discende dal collo della
vescica fino all'apice del pene; nelle donne più breve e più ampio si fa vedere sopra il collo
dell'utero.
L'utero nelle vergini è di piccolissima mole; nelle donne, in eccetto quando sono gravide,
non è tanto grosso da non potersi contenere nella mano. Esso col collo retto e prolungato,
che chiamano canale, nata verso il mezzo del ventre, si piega, indi alquanto verso l'anca
diritta, e progredendo poscia sull'intestino retto, connette i suoi lati agli ilei della donna.
La collocazione degli ilei è nell'imo ventre fra i fianchi ed il pube.
Dagli ilei e dal pube, l'addome estendendosi all'insù giunge ai precordi; all'esterno è
ritenuto e compreso dalla pelle, così come si offre all'occhio; all'interno da una sottile
membrana che si congiunge all'omento, dai Greci chiamata “ peritoneo”.
Capitolo 2
Malattie della testa e loro cura.
“1) … dirò dei rimedi delle singole parti viziate ed inferme, ...”
Cefalalgia.
“2) … I segni di questa sono un forte brivido, un rilassamento generale, abbagliamento
degli occhi, alienazione della mente e vomito, tanto che si perde l'uso della parola; … la
persona cade in deliquio; a questi accidenti si aggiunge un dolore intollerabile, soprattutto
alle tempie ed all'occipite. …
Oltre a queste se ne dà un'altra specie che può essere lunga; ed è quando un umore fa
gonfiare la cute, la quale si rende tumida e cedevole al dito premente; essa è chiamata dai
Greci “idrocefalo”. …
Fra queste [cefalee] quella che è acuta … riconosce nella cacciata di sangue la principale
medicatura. …
Se il dolore continua al successivo giorno, far clisteri, provocare starnuti e non pigliare che
acqua. …
Se calore, giova spandere in grande quantità acqua fredda sul capo; ...
Ma se freddo, si conviene gettare in sul capo dell'acqua di mare calda; … poi ungerlo di
olio caldo, e ricoprirlo. …
In ogni inveterato dolore di capo sono comuni le seguenti cose: eccitare starnuti,
stropicciare forte le parti inferiori, gargarizzare con sostanze atte a muovere la saliva,
porre le coppette alle tempie ed all'occipite, trar sangue dalle narici … ed esulcerare le
parti dolenti con l'applicazione della senape, …
Rimedi comuni agli idropici sono l'esercizio, il sudore, le gagliarde fregagioni ...”
Catarro ed infreddatura.
“5) Dal capo distilla un umore sia dalle narici, il che è cosa lieve, sia dalla fauci, il che è
cosa peggiore, sia dai polmoni, il che è cosa pessima. …
L'infreddamento della testa è un altro male, …
Tutti questi accidenti sono da Ippocrate compresi sotto il nome di “corizza”; … i Greci
chiamano “catastagmo” la distillazione. Queste indisposizioni sogliono essere brevi, ma se
trascurate lunghe. Nessuna però è mortifera, tranne quella che esulcera il polmone. …”
Mal di fegato.
“15) … v'è un dolore forte sotto i precordi dalla parte destra, il quale si distende al lato
destro, al giugulo e all'omero dello stesso lato; non di rado si intorpidisce la mano destra
… Quando è grave si vomita della bile: alle volte il singhiozzo ne minaccia strangolamento.
… Alla lunga poi, allorchè vi sia nel fegato un accesso, il dolore ora cala ora cresce;
l'ipocondrio destro è duro e gonfio; … Resosi inveterato il male, il ventre, le gambe, i piedi
si intumidiscono intanto che il petto, le spalle e i contorni del giugulo vanno dimagrendo.
All'inizio è molto conveniente la cacciata del sangue, quindi si deve sciogliere il ventre …
con l'elleboro nero …
Utili in questa malattia sono il timo e la santoreggia, l'issopo, la niepita, l'erba sanguinale,
la menta, la parte di mezzo della melograna, il fegato di colomba fresco e crudo;
… E non è inutile ingoiare ogni giorno una pillola di assenzio pestato e misto a sale e pepe.
… fare fregagioni alle estremità;
schivare la fatica di ogni maniera, … La collera, lo spavento, il portare pesi, i colpi e la
corsa sono contrari. ...”
“19) Questa infermità è acuta ed ha sede tra le intestina e lo stomaco, così che non è
facile affermare a quale parte specificamente appartenga.
… il ventre si indurisce e duole, l'alvo è costipato e neppure l'aria espelle, le parti estreme
si intirizziscono; …
Utilissimo porre al principio caldi impiastri su tutto il ventre; … vomitare dopo mangiato; …
nei giorni successivi apporre al ventre ed alle cosce delle coppette incruenti; sciogliere lo
stesso alvo somministrando del latte o del vino ...”
Dissenteria.
“22) … Si ulcerano all'interno le intestina, da cui ne proviene del sangue
… si rende ora con poche feci … ora misto a delle mucosità;
… nasce leggera febbriciattola;
e questa malattia … o termina con la morte … o prosegue a crucciare la persona.
Bisogna prima di tutto stare in riposo, dal momento che ogni movimento esulcera; bere a
digiuno un bicchiere di vino, in cui si aggiunge radice di cinque foglie polverizzata; apporre
impiastri ripercussivi sul ventre, …”
“Temisone insegnò doversi usare in questo caso della salamoia dura fortissima. ...”
Tenesmo.
“25) … e non mai di per sé uccide.
… In questa, non diversamente dalla dissenteria, v'è una continua voglia di scaricare, e
similmente dolore ogniqualvolta si scarica il ventre. …
Giova sedersi in acqua calda, e più spesso medicare l'ano medesimo, a cui molte di
convenevoli medicine: il butirro con l'olio rosato, l'acacia stemperata in aceto, e
quell'impiastro che i Greci chiamano “tetrafarmaco”, liquefatto in aceto; ...”
Flusso di ventre.
“26) Ancora più lieve, finchè recente è il flusso; … avere sciolto il ventre per un solo giorno
talvolta è salutare; … ma se dura a lungo è pericoloso, perchè talvolta incita dissenteria e
febbri, e le forze consuma.
Celso prosegue con una serie di consigli fisici e dietetici (bagni, fregagioni, alimenti).
Prefazione
“Fino a qui io trattai di quelle malattie del corpo, alle quali principalmente sovviene la
ragione del vivere; ora si vuole passare a quella parte di medicina che più adopera i
medicamenti. Grandi virtù attribuirono ad essi gli autori antichi, fra i quali Erasistrato, e
coloro che a sé donarono il nome di empirici; specialmente Erofilo, …
Ma Asclepiade tolse, non senza ragione, molta parte del loro uso; e poiché quasi tutti i
medicamenti offendono lo stomaco, ed ingenerano malvagi succhi, trasferì tutta la cura
piuttosto alla ragione del vivere stesso. ...”
Libro Quinto
pag 162
Capitolo 1
Facoltà semplici delle cose, delle quali si fanno i medicamenti; e
prima di quelli che stagnano il sangue.
“Arrestano il sangue il vetriolo detto per i Greci “calcanto”, i salciti, l'acacia, … il vino,
l'aceto, l'allume, la squama del ferro e del rame; ...”
Capitolo 2
I cicatrizzanti.
“Conglutinano le ferite la mirra, l'incenso, la gomma, … il psillio, l'adraganti, il cardamomo,
le cipolle, … l'albume di uovo, … le chiocciole peste con i loro gusci, ...”
Capitolo 3
I suppurativi.
“Digeriscono e provocano la suppurazione il nardo, la mirra, … il galbano, … il bitume, la
pece, … l'olio.”
Capitolo 4
Medicamenti che aprono le ferite.
“Aprono quasi a modo di bocche nei corpi … la cannella, il balsamo, … il puleggio, … il
galbano, la resina di terebinto e di pino, … lo zolfo, l'allume, il seme di ruta.”
Capitolo 5
Medicamenti mondificativi.
“Hanno virtù mondificativa il verderame, l'orpimento, che nel parlar greco è detto
“arsenico”, … l'incenso, … lo sterco di lucertola, il sangue di colomba, … il fico secco, … il
porro, la lenticchia, l'ervo.
Capitolo 6
I corrosivi.
“Corrodono l'allume liquido, … la spuma del rame, … la sandracca, … la galla, il balsamo,
la mirra, la scorza d'incenso, il galbano, … l'aglio, il miele crudo, il vino, … l'elleboro, la
cenere.
Capitolo 7
Quelli che consumano il corpo.
“Consumano le carni il succo di acacia, l'ebano, la ruggine, la schiuma di rame, … il sale,
l'orpimento, … il latte di caprifico, o di lattuga marina, la quale dai Greci è detta “titimallo”,
il fiele, … il vino, l'aceto.”
Capitolo 8
I caustici.
“Bruciano l'orpimento, il vetriolo, … la calce, … il sale, la schiuma del rame, … lo sterco
della lucertola, della colomba, della rondine, il pepe, … l'aglio, … l'elleboro, … lo sterco
della pecora, l'enante.”
Capitolo 9
Medicamenti che provocano le escare.
“Le medesime cose valgono pressapoco a generare la crosta sulle ulcere come da fuoco
bruciate, ...”
Capitolo 10
Medicamenti che fanno cadere le croste alle ulcere.
“Vale poi a staccare queste croste la farina di frumento mista con la ruta, ...”
Capitolo 11
Quelle cose che dissipano gli umori che si guastarono in qualche
parte.
“A distaccare ciò che si è formato in qualche parte del corpo, valgono sommamente
l'abrotano, l'elenio, l'amaraco, la viola bianca, il miele, il giglio, … l'ammoniaco, la cera, la
resina, … il rosso d'uovo crudo, le noci amare, lo zolfo.”
Capitolo 12
Gli attrattivi.
“Richiama e trae fuori l'allume, il laudano, l'ebano, … lo sterco della colomba, la pomice, …
l'elaterio, … il nitro, il sale.”
Capitolo 13
Di quelle cose che cessano le asprezze.
“Mitiga ciò che è irritato lo spodio, l'ebano, la gomma, l'albume dell'uovo, il latte, il
dragante.”
Capitolo 14
Di quelle cose che nutrono la carne e riempiono le ulcere.
“... il miele, … la cera, ...”
Capitolo 15
Emollienti.
“Ammolliscono il rame bruciato, la terra rossa, il nitro, … la cera, … le chiocciole cotte, il
seme di cicuta, ... lo zolfo, il butirro, la ruta.”
Capitolo 16
Di quelle cose che mondano la cute.
“Purgano la pelle il miele ...”
Capitolo 17
Mescolanza delle cose e ragion dei pesi.
“1) Esposte le virtù semplici conviene dire come si mescolano e quali cose si compongono
da esse.
Si mescolano poi in più maniere, … mentre delle cose semplici alcune si tolgono, altre si
aggiungono, e conservate le stesse, si cambia il peso. …
... io mi contenterò di quelle [mescolanze] che ritengo più efficaci e celebrate. …
… devo far sapere che in un'oncia vi è il peso di sette denari. Quindi il peso di un denaro io
lo divido in sei parti, il che è un sestante; ...”
Capitolo 18
Dei cataplasmi, ossia malammi.
Capitolo 19
Degli impiastri [chiamati dal traduttore ottocentesco cerotti].
“... quelli che, velocemente medicano le recenti ferite … i greci “enema” li chiamano.
… ne smuinuiscono la violenza; inoltre conglutinano le ferite … ne favoriscono la cicatrice.
Si compongono di medicamenti non grassi; per questo motivo, con parola greca sono detti
“alipena”.
Impiastri epispastici.
12) “...”
Impiastri corrosivi.
18) “ Vi sono poi alcuni impiastri corrosivi, che i Greci chiamano “sipta”; tale è quello che
contiene trementina, fuliggine d'incenso … squama di rama … laudano … allume … litagirio
...”
Impiastri bianchi bianchi per le ferite non gravi, e principalmente per quelle
dei vecchi.
23) “...”
Impiastro elefantino.
24) “... contiene cerussa … olio …
Questa composizione è bianchissima, e perciò si chiama “elefantina” [cioè eburnea, bianca
come l'avorio].”
Impiastri lenitivi.
25) “.Vi sono anche alcuni impiastri lenitivi, che i Grecia per lo più chiamano “liparà”, come
quello che contiene minio … litargio … cera e grasso di maiale ...”
Impiastro lenitivo.
26) “...”
Impiastro lenitivo di Arcagato.
27) “...”
Capitolo 20
Degli pastelli [chiamati dal traduttore ottocentesco anche trocisci]
Capitolo 19
Degli impiastri [chiamati dal traduttore ottocentesco cerotti]
“... quelli che, velocemente medicano le recenti ferite … i greci “enema” li chiamano. … ne
smuinuiscono la violenza; inoltre conglutinano le ferite … ne favoriscono la cicatrice. Si
compongono di medicamenti non grassi; per questo motivo, con parola greca sono detti
“alipena”.
Pastello per le ulcere sordide, la nerezza [da intendere come gangrena] delle
orecchie, delle narici, le parti genitali e le loro infiammazioni.
3) “... vetriolo, allume … corteccia di alicacabo … minio … litargirio … cerussa … le quali si
incorporano con aceto, ...”
Pastello contro le fissure dell'ano, per le bocche delle vene gementi sangue,
per il cancro.
5) “...
Pastello per espellere il calcolo dalla vescica.
6) “Questa composizione poi sembra espellere il calcolo della vescica insieme all'urina:
cassia, zafferano, mirra, costo, cannella, regolizia, cinnamomo, balsamo, iperico in pari
quantità si pestano; dopo vi si versa sopra vino dolce, e se ne fanno dei pastelli … e di
questi se ne da uno ogni mattina a digiuno.”
Capitolo 21
Dei pessari.
“... Ve ne sono altre [composizioni] proficue, come quelle che si introducono alle donne, e
che i Greci chiamano “pessari”. … medicamenti composti si incorporano con morbida lana,
e questa lana nelle parti naturali [vagina] si introduce.”.
Pessario contro le discese femminili [cioè prolassi uterini] per vizio delle parti.
6) “... bisogna arrostire delle chiocciole con i loro gusci e pestarle; dopo aggiungervi del
miele.”
Capitolo 22
Medicamenti che si usano secchi.
Composizione di Era.
3) “... contiene mirra, calcite … aloe, incenso, ...”
Composizioni di Jolla.
5) “... carta bruciata, sandracca … calce … orpimento.”
Gargarismi.
9) “I gargarismi si fanno o per mitigare o per reprimere o per tirare fuori. …”
Capitolo 23
Sugli antidoti, ed i mali ai quali giovano.
“Gli antidoti … a gravissimi casi prestano soccorso.
Essi si somministrano a coloro che hanno riportato collisioni, sia per percosse, o per essere
caduti dall'alto, o nei dolori delle viscere, pleura, fauci e parti interne. Ma specialmente
sono appropriati contro i veleni nei nostri corpi inseriti o attraverso i morsi, o per via di cibi
o bevande.”
Antidoto composito.
1) “Ve n'è uno che contiene una lacrima di papavero … iride illirica … gomma … anice
cassia nera … mirra … castoreo … regolizia … tutte queste si uniscono insieme con vino
d'uva passa.”
Altro antidoto chiamato Ambrosia che Zopiro compose per il re Tolomeo.
2) “... è fatto delle seguenti droghe: costo, incenso … pepe bianco … fiore di giungo
rotondo … cannella … cassia nera … zafferano cilicio … mirra … nardo indiano ...”
Antidoto di Mitridate.
3) “Famosissimo sopra tutti è quello di Mitridate, dal momento che si dice che questo re
con il prenderne ogni giorno rendesse il suo corpo immune contro i veleni:
in esso entrano costo … acoro … iperico, cumino, sagapeno, succo di acacia, iride illirica,
cardamomo, … anice … nardo gallico, radice di genziana, foglie secca di rosa … lacrima di
papavero, prezzemolo, … cassia, selleri, loglio, pepe lungo, … stirace … castoreo, incenso,
succo di ipocistide, mirra, opoponace … foglie di malabatro … fiori di giunco rotondo,
trementina, galbano, semi di dauco cretico … nardo, opobalsamo … radice pontica …
zafferano, zenzero, cannella …
Tutte polverizzate si aggiungono al miele, e se ne da tanto che pareggi la grossezza di una
noce greca contro l'avvelenamento. …”
Capitolo 24
Gli acopi.
Capitolo 25
Le pastiglie [in latino “catapotia”].
Composizione dell'Arteriace.
4) “... cassia, iride, cannella, …”
Capitolo 26
Cinque modi che possono recare danno al corpo.
I) “... quando qualcosa dal di fuori l'offende, come nelle ferite;
quando qualcosa è corrotta dentro di esso, come nella gangrena;
quando qualcosa è innata, come nella pietra in vescica;
quando qualcosa cresce come una vena che, gonfiandosi, si converte in varice;
quando qualcosa manca …
Fra queste ve ne sono alcune che i medicamenti ed altre che l'opera della mano [del
chirurgo] presta sollievo. Lasciate da parte quelle che richiedono il coltello e la mano, ...
Incomincerò dalle ferite.”
Ferite di dardo.
1) “... innanzitutto deve sapere il medico quali siano insanabili, e quali difficili, e quali facili
da sanare. ...”
Ferite incurabili.
2) “Non possono sanarsi le ferite riportate alla base del cervello, al cuore, all'esofago, alla
vena porta, al midollo spinale; né a chi ha ferito il polmone al suo mezzo, a il digiuno, o
l'intestino tenue, o il ventricolo, o le reni; né chi ha recise le grandi vene, o le arterie
intorno alle fauci.”
Ulcera inveterata.
32) “... L'ulcera inveterata si deve scarificare con il ferro, ...”
Cura dell'erisipela.
33) “... Fa d'uopo, se le forze lo permettono, il cavare sangue; indi porvi su cose
astringenti e contemporaneamente refrigeranti ...”
Capitolo 27
Contro la cicuta.
13) “... bisogna bere in gran quantità vino puro caldo con la ruta; dopo provocare il vomito
...”
Contro il giusquiamo.
14) “... si deve bere vino mulso [cioè mielato] caldissimo, o qualsivoglia latte
principalmente quello d'asina.”
Contro la cerussa.
15) “... giova … il succo della malva ...”
Capitolo 28
1) “Da quelle lesioni che avvengono dall'esterno, si conviene passare a quelle che nascono
dall'interno, danneggiando qualche parte del corpo.
Fra queste nessuna è peggiore del carboncello. I segni di questo sono i seguenti. Vi è
rossore con pustole non troppo rilevato, per lo più nere, … e in quel luogo non si può
alzare la pelle, …
Non v'è null'altro di meglio che quanto prima incendiarlo, cosa non dolorosa dal momento
che qui si è privi di senso essendo morta la carne. ...”
Il Carcinoma
2) “... Questo malore nasce per lo più nelle parti superiori, intorno alla faccia, …
Intorno al luogo si fanno sentire come delle fitte, ed esso immobile ed uguale si va
gonfiando; … alle volte assomigliano a quei mali che i greci chiamano “condilomi” … e il
suo colore è rosso …
Alcuni medici hanno usato i caustici, altri l'hanno inciso con il ferro, altri l'hanno inciso con
il coltello; ma non si è mai trovata una cura che ben riuscisse …
e tanto crescono che spengono l'uomo; tagliati pur ritornano ...”
Celso distingue il carcinoma (senza ulcera, con ulcera e timio) dal cacoete che è curabile
Il Terioma.
3) “Si ha un'ulcera che i Greci chiamano terioma. Questa nasce di per sé e talvolta
sopraggiunge ad un ulcera fatta da un'altra cagione. Il suo colore è livido o nero; l'odore
fetido, l'umore abbondante e simile a muco; …
Se da questi rimedi nessun pro si trae, si conviene con il ferro incidere la parte; ...”
Il fuoco sacro.
4) “Per fuoco sacro si intendo ulcere di cattiva qualità. Ve ne sono di due specie una di
colore rossastro … con bolliccelle ineguali … L'altra specie consiste nell'ulcerazione della
cute …
Questo male affligge per lo più le persone vecchie, … pigliando soprattutto alle gambe. …
Se non vi è febbriciola è giovevole l'andare in calesse, il camminare, il vino austero, il
bagno. ...”
L'ulcera chironia.
5) “Si chiama ulcera chironia quella che è grande, e che ha i margini duri, callosi e tumidi.
…
Sopra di essa si conviene porre medicamenti, che siano al contempo lenitivi e forti e
costrittivi ...”
Lo struma.
Il foruncolo.
Il fima.
9) “Si chiama fima un tumoretto simile al foruncolo, ma più rotondo e più piano, spesso
anche più grande. ...”
Il figetlo.
10) “Il figetlo è un tumore poco rilevato, ma largo, in cui non vi è nulla di rassomigliante
alla pustola. Il dolore e tensione sono gagliardi,
… I latini lo chiamano “pano” per la somiglianza della figura [al pane]. ...”
Gli ascessi.
Le fistole.
12) “Alcune volte dagli ascessi o da altre ulcere ne vengono le fistole ...
alcune sono brevi, altre profondamente si internano; … alcune sono semplici, altre doppie
o triple …
sarà tanto o quanto giovevole l'impiastro che alle fresche ferite si pone, purchè contenga
sale o allume o squama di rame, o verderame, ovvero una composizione metallina; … e
sopra questa una spugna intinta di aceto, …
i medesimi medicamenti secchi si devono introdurre in una penna da scrivere, e questa
adattarla all'imboccatura della fistola, e soffiarvi, affinchè quei medicamenti si spargano
dentro; o stemperarli in vino, ...”
Genere di ulcera chiamata cerion.
14) “... I Greci chiamano acrocordone quell'ammasso che si forma sotto la pelle, …
passano anche a suppurazione. ...
danno il nome di timione a quel che sopra il corpo si innalza a mò di verruca, … alle volte
manda fuori alquanto sangue, …
Si chiamano mirmecie quelle che sono più depressi e duri del timo, … vengono o nelle
palme delle mani o nelle piante dei piedi. ...”
16) “La rogna è un'asprezza rosseggiante della cute, da cui erompono pustolette, ...
Quanto più è aspra e pruriginosa, tanto più faticosamente si toglie. …
L'appropriato medicamento … si compone di spodio, zafferano, … pepe bianco, …
Vi è anche quello che si attribuisce a Protarco. Contiene un sestario di farina di lupini,
coppe quattro di nitro, un'emina di pece liquida, mezza libbra di ragia liquida, tre bicchieri
di aceto. ...”
Le papule.
18) “Vi sono due tipi di papule.
Le une in cui la cute rende piccole pustolette aspre e si arrossa, e leggermente pizzica; …
L'altra è poi quella che i Greci chiamano “agria”, … la cute più si esaspera e si ulcera, e
pizzica e rosseggia di più, e spesso fa cadere i peli. ...”
19) “... Chiamasi “alfo” allorchè il il colore è bianco … che sembra come tante gocciole
sparse; …
Il “melas” differisce da questa per il colore che è nero e somigliante all'ombra;
Il “leuce” si avvicinia in certe cose all'alfo, essendo più bianca e più interna; ed in questa si
trovano peli bianchi, somiglianti alla lanuggine. ….”
Libro Sesto
pag. 231
Capitolo 1
I vizi delle singole parti del corpo.
“Ragionai di quei mali che, ingenerandosi per tutto il corpo, richiedono i presidi
farmaceutici; ora parlerò di quelle sono usi insorgere nelle singole parti, ad iniziare dalla
testa.”
“... vi si provvede in particolar maniera col frequente raderli; certa forza poi vi si impartisce
a ritenerli il laudano mischiato all'olio. .”
Capitolo 2
La porrigine [intesa come forfora].
“Si ha la porrigine quando fra i peli nascono come certe squamette, che dalla cute si
distaccano; …
assai più utile sarà ripurgare con il pettinarsi di quando in quando, anziché quella
espulsione del tutto impedire.
… di frequente radere il capo, quindi porvi sopra mite ripercussivo, come il nitro con l'aceto
o il laudano con l'olio di mirto e con il vino, o il mirabolano con il vino. ...”
Capitolo 3
La sicosi.
“Vi è anche un'ulcera, la quale dalla somiglianza del fico, dai Greci è detta “sicosi”. …
porre si deve l'elaterio, oppure seme di lino ...”
Capitolo 4
Le aree.
“Due sono le specie di aree. È comune, nell'una e nell'altra, che, morta la pelle esteriore, si
isteriliscano i peli, e quindi cadano; …
quella che si dice “alopecia” si dilata e si estende sotto qualsiasi figura. …
quella che ha la somiglianza di un serpente viene chiamata “ofiasi”, ed inizia dalla parte
posteriore del collo [collottola]; ”
Capitolo 5
I vari [bottoni], le lentiggini [lenticule, lenticchie] e l'efelide.
“... i bottoni e le lenti sono volgarmente noti …
L'efelide dai più non è nota, …
I vari e le efelidi non vengono che sul viso; la lentiggine talvolta compare anche in altre
parti del corpo …
i vari ottimamente si levano ponendo della resina, .. il galbano ed il nitro rimuovono la
lente. … L'efelide si toglie con la resina, ...”
Capitolo 6
Le malattie degli occhi, e prima di tutte quelle che si curano con
medicine lenitive.
“... Gli occhi vanno soggetti a gravi e diversi accidenti, … sono da difendere con estrema
sollecitudine. …
ove è la lacrimazione e il gonfiore e la densa pituita [che il traduttore ottocentesco intende
e traduce come cispa] … non v'è da temere il lungo male. …
se la cispa è arida e secca, si ha dolore, ma più presto guarisce, purché non vi sia
ulcerazione. …
Caso che l'occhio si rompa di dentro, giova un po' di febbre; …
principalissimi tra tutti i sovvenimenti sono l'astinenza e la quiete. Laddove il primo giorno
ci si deve riposare in luogo oscuro, e astenersi anche dal parlare, non prendere alcun cibo
e se possibile nemmeno acqua; … se la cosa urge si deve anche cavare sangue …
Nei successivi giorni …. si prenderà zafferano … farina bianca sottilissima …
Se il male è così grave che a lungo frastuoni il sonno, è mestiere somministrare qualcuno
di quei medicamenti che sono chiamati “anodini” dai Greci; ...”
Collirio di Filone.
Collirio di Dionisio.
Collirio di Cleone.
6) “... quello che alcuni chiamano “aeristo”. Eccone la composizione: castoreo, nardo
indico, … licio … lagrima di papavero … alle quali cose si aggiunge acqua piovana.”
Collirio citione o tefrione.
7) “...”
8) “Evelpide, che fu il più grande oculista dei tempi nostri, si serviva di quello che egli
medesimo aveva composto, e “trigode” lo chiamava.
Prendi il castoro … licio, nardo, oppio … zafferano, mirra, aloe … rame bruciato, … cadmia
e antimonio.
Quanto più grave è ciascuna infiammazione, tanto più soavi e blandi si conviene rendere i
medicamenti con l'aggiungervi o albume di uovo o latte di donna. …
Ma alle volte una veementissima infiammazione invade con tanta violenza gli occhi, che
fuori dalla loro sede li caccia; i Greci perchè così cadono, danno a ciò il nome di “proptosi”.
In siffatto accidente, se le forze lo sostengono, necessario è il cavare sangue; ...”
10) “... alcune volte negli occhi medesimi, alcune volte nelle palpebre; ... in questo caso si
deve muovere l'alvo con i clisteri; … e qui pur ottimo è il collirio di Nileo. ...”
11) “... Anche le pustole qualche volta nascondono l'infiammazione; fa d'uopo sia quello
[il collirio] di Nileo che di Clenoe. ”
12) “... Mirra, lagrima di papavero … piombo lavato, terra samia ... ”
13) “... se queste sono fresche si medicano ugualmente con delicati medicamenti; …
dalibano consta di rame bruciato e lavato; d'oppio fritto … incenso, antimonio ... ”
Diminuzione della vista.
14) “...”
15) “V'è anche una specie di vizio, in cui nascono dei pidocchi tra i peli delle palpebre;
i Greci la chiamano ftiriasi ...
fare uso di latte, e di vino pingue; e più bere che mangiare. ...”
Mali degli occhi nati da infiammazione, che vengono curati con medicamenti
validi; collirio di Andrea e del diaceratos.
16) “... ”
17) “...”
18) “...”
Collirio smilion.
20) “...”
21) “... Si compone di pietra ematite lavata … di pepe … cadmia lavata, mirra, oppio …
zafferano … gomma ...”
22) “... in cui entravano … verderame … minio bruciato … vetriolo … zafferano … amido …
oppio … mirra … rame bruciato …
Queste in vino austero si pestano, di poi si fanno bollire in tre emine di vino passo, …
invecchiando più efficace diviene.”
Collirio di Ermone.
24) “...sembra che sia efficacissimo nelle ulcere … E' composto di pepe lungo … pepe
bianco … cannella, costo … vetriolo, nardo, cassia, castoreo, ...”
Cicatrici lasciate dalle ulcere negli occhi e colliri asclepio, canopite e pissino.
25) “Le cicatrici lasciate dalle ulcere vanno incontro a due inconvenienti, cioè restare
incavate o callose. Se sono incavate si possono riempire con il collirio chiamato sferione ...”
26) “... gli occhi si gonfiano e con dolore s'irrigidiscono; necessario è cavare sangue dalla
fronte; ...”
Collirio cesariano.
27) “... infiammazioni degli occhi … cisposità … ruvidezza … in queste specie di affezioni
ceri fregano e crasse e dure palpebre con foglia di fico, …
quello che cesariano si chiama … ha vetriolo, misi … oppio … Ed è noto abbastanza essere
questo collirio valevole contro ogni fatta di mal di occhi, salvo quelli che si medicano con i
più miti.”
Collirio di Jerace.
Oftalmia secca.
Collirio rinion.
Occhi scabri.
32) “Suol poi oscurarsi il vedere talvolta per una cisposità … o per altra infermità. ... ”
Collirio diacrocu.
33) “... Esso ha del pepe … zafferano di Cilicia, oppio, cerussa ... ”
34) “... convenientissimo ungere di miele ottimissimo, e di ciprino e di olio vecchio ...”
35) “La cataratta, che i Greci chiamano “ipochisi”, fa tal volta di impedimento alla facoltà
visiva dell'occhio.
Se la cataratta è invecchiata domanda l'opera della mano [del chirurgo];
tal volta, agli inizi, … espediente è cavare sangue dalla fronte e dalle narici … con i
gargarismi cavare fuori la pituita; fare suffimigi e ungere gli occhi di medicinali acri. ...”
37) “... La pupilla si rilascia e si dilata ed il potere visivo si infievolisce e quasi si offusca.
Questo tipo di infermità malagevolmente si toglie. ... ”
38) “... Gli occhi affetti da questo malanno si devono toccare con il succo di fegato,
soprattutto di becco o almeno di capra, raccolto mentre lo si sta arrostendo, e si deve
mangiare dello stesso fegato. ... ”
Ciò che esteriormente offende gli occhi e quelli in cui si stravasa sangue.
39) “... Nulla di meglio vi è toccarlo con il sangue di colomba … o di rondine ...”
Capitolo 7
Le malattie delle orecchie.
“... l'uso dei quali dopo il vedere è il più nobile, … ma in questi il pericolo è alquanto
maggiore; perchè … le infiammazioni e i dolori delle orecchie precipitano talvolta fino al
delirio e alla morte.
Un gran dolore con febbre e veglia esige il cavare sangue. …
Allorchè l'orecchio è ripieno, vi si impone sopra morbida lana, la quale entro ritenga
l'umore. …
I medicamenti composti per mitigare l'infiammazione e il dolore si riducono ai seguenti: si
pestano porzioni eguali di castoreo, di oppio, poi vi si aggiunge vino passito; ...”
[Celso prosegue e conclude con una serie di composizioni]
2) “... infondervi licio … o manteca di iride, o succo di porro con il miele, ...”
3) “Un rimedio comune per tutte le occorrenze delle orecchie, e già comprovato, lo
compose Asclepiade.
Entrano in esso cannella … cassia … fior di giunco. Castereo, … pepe bianco, … ammomo,
mirobalano, .. croco, ...”
4) “... meglio si lavano con il vino mulso [cioè mielato, dolce come il miele]; ...”
6) “... che è intasato, e che dentro vi sia densa materia, vi si deve infondere miele
squisitissimo, ...”
Sordità.
Orecchie sonanti.
8) “... Lievissimo è quel male che da infreddatura deriva; peggiore quando insorge per
malattia, o per lunghi dolori di capo; pessimo poi quando l'accompagna l'arrivo di gravi
infermità, peggior di tutti l'epilessia.
Se da infreddatura … purgare l'orecchio …
Se da malattia … esercizio, frizione, perfusione e il gargarismo, … dentro l'orecchio
mettere succo di radichetta con olio rosato, …
se vi sono fischi insieme ad infiammazione … introdurvi dentro [le orecchie] olio di lauro, o
ciò che si esprime dalle mandorle amare, ...”
Capitolo 8
Le malattie delle narici.
“Le narici ulcerate è mestiere fomentare con il vapore dell'acqua calda. ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
2) “... certe caruncole somiglianti ai capezzoli delle poppe delle donne … Queste si
conviene curare con medicine caustiche per la cui virtù si consumano interamente.
Il polipo poi è una carne ora bianca ora rossastra, la quale aderisce all'osso delle narici; …
e cresce che si può vedere dietro l'ugola; e soffoca la persona soprattutto quando soffia
l'austro e l'euro ...”
Capitolo 9
Dolore di denti.
“... apporvi cerotto fatto di ciprino o. irino, e di lana avvolgere e coprire il capo. … si usano
utilmente i clisteri, e sulle guance impiastri caldi, e nella bocca un caldo umore con alcuni
medicamenti ...
radice di pentafilo … quella di giusquiamo … scorze di papavero … radice di mandragora …
la raschiatura del corno di cervo in aceto; ...”
Capitolo 10
Le tonsille.
“... se poi le tonsille, senza ulcerazione, per infiammazione si gonfiarono, si deve coprire il
capo; … e gargarizzare con robe costrittive. ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
Capitolo 11
Ulcere della bocca.
“... si curano ottimamente con quei medicamenti … fatti di melograne, …
Giova l'esercizio del passeggiare … ed è buono bere vino schietto; ... e le ulcere si devono
cospargere di allume scagliolo …
Ma quelle che i Greci chiamano “afte” sono di gran lunga più pericolose, ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
Capitolo 12
Ulcere della lingua.
“...”
[I consigli di Celso sono all'incirca gli stessi di quelli del paragrafo precedente]
Capitolo 13
Parulidi ed ulcerazioni delle gengive.
“... sulle gengive alcuni tumori dolenti: i Greci li chiamano “parulidi”.
È necessario soavemente fregarli con sale trito; ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
Capitolo 14
Malattia dell'ugola.
“Una gagliarda infiammazione dell'ugola non deve recare spavento.
… convenevolmente si trae sangue; ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
Capitolo 15
Ulcere gangrenose della bocca.
“...”
[Celso mostra una serie di consigli e composizioni]
Capitolo 16
Parotidi.
“... ora in piena sanità vi nasce un'infiammazione; ora dopo lunghe febbri,
… questa è una ragione di [insorgenza di] ascesso … ed è meglio farlo maturare, e quanto
prima aprirlo.”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
Capitolo 17
Ernia ombelicale.
“... per schivare l'opera della mano e del ferro, si proverà, innanzitutto a farli stare in
astinenza, e a muovergli il ventre con i clisteri; sopra l'ombelico si pone cicuta e fuliggine
… schifando ciò che genera ventosità. …”
Capitolo 18
Affezioni delle parte oscene.
“...”
[Celso sostiene ad introduzione della parte che i termini latini sono così osceni che egli
stava per esimersi dal parlarne. Ma poi recede perchè “anche il volgo deve conoscere la
cura di queste infermità”]
2) “Se dunque il pene per infiammazione si gonfiò in modo tale che possa trovarsi in giù la
pelle estrema, o di nuovo ritrarsi, si deve a lungo fomentare d'acqua calda questa parte.
Quando poi il glande è ricoperto, fa d'uopo con schizzetto da orecchi insinuare anche
dell'acqua tra essa e la cute. …
E la persona si deve contenere, fare astinenza, …
Talvolta nascono intorno al glande certi tubercoli, che si chiamano nel parlare greco “fimi”;
questi o con i medicamenti o con il ferro si incendiano, e quando ne sarà caduta l'escara,
si aspergono di squama di rame, ...”
4) “talvolta suole nascere sul pene un tipo di ulcera cancrenosa, che i greci chiamano
“fagedenica” …
vi è anche una certa nerezza, la quale non si sente, ma serpeggia …
intorno al canale dell'urina si deve prima introdurre in essa uno specillo sottile, affinchè
non si otturi; indi incidere con il ferro; ...”
5) “... si deve lavare con lo schizzetto auricolare, poi incendiare con i medicamenti ...”
6) “... se vi è nata infiammazione senza percossa, si deve cavare sangue dal piede;
astenersi dal mangiare; …
Se in ragione di una percossa, rimasero i testicoli fortemente danneggiati, … né si può
altrimenti soccorrere … il medesimo testicolo danneggiato [si deve] troncare.”
Condiloma.
Emorroidi.
10) “... si deve prima esaminare se ciò che è caduto è puro o se spalmato di qualche
mucoso umore.
Se puro, il paziente si deve sedere in acqua o salsa cotta con verbena o con corteccia di
melograno; se umido, si deve lavare con vino austero, ed impiastrarlo con feccia di vino
bruciata.
Mestiere è il riportarlo indentro, e apporvi … una pezza di lino, e di sopra lana, le quali si
devono ritenere con fasciatura, legate fra loro le gambe.”
11) “... d'inverno si conviene fomentare con l'acqua tiepida; in altra stagione con acqua
fredda; ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni finanche
la chirurgia]
Capitolo 19
Ulcere delle dita.
“Le vecchie ulcere delle dita ottimamente si sanano o con il licio o con la morchia cotta ...”
[Celso prosegue e conclude il paragrafo con una serie di consigli e composizioni]
Prefazione
“Cosa nota è … quella che opera con la mano la terza parte della Medicina. Essa non per
questo tralascia i medicamenti ed il governo della vita; ma il più lo fa con la mano …
Questa parte della medicina … dal padre di tutta la medicina, Ippocrate, … fu raffinata. …
anche i Egitto fiorì, principalmente per opera di Filosseno, il quale la comprese in più
volumi.
Ed anche Gorgia, e Sostrato ed Erone ed i due Apolloni ed Ammonio alessandrino …
Anche a Roma alcuni famosi uomini, ed in particolare Trifone … ed Evelpisto ed Megete, …
Il chirurgo deve essere giovane, od almeno non lontano dalla giovinezza, di mano forte,
ferma, né mai tremante, e dalla mano sinistra abile non meno che la destra; di vista acuta
e chiara; intrepido d'animo e pietoso così che a risanare intenda ciò che tolse, sebbene
commosso dalle grida, da parte sua non si affretti ciò che la cosa chiede né incida meno di
quel che abbisogna; ma così il tutto si esegua come se nessun effetto lamenti altrui ne
nasca. ...”
Libro Settimo
pag 273
Capitolo 1
Le Contusioni.
“... si devono curare subito in modo che dove vi è il dolore, si facciano sulla cute delle
incisioni con il coltello [il bisturi, “scalpellum cutis” chiamato lancetta dal traduttore
ottocentesco] …
Poi vi si devono sovrapporre dei ripercussivi, e sopra tutto lana sucida [lana grezza] intrisa
di olio e aceto ...”
Capitolo 2
Tumori che di per sé nascono; il modo di aprirli e curarli.
“Questa cura è facile e veloce. Maggiore difficoltà si ha in quelle parti che … si gonfiano e
tendono a suppurare. ...
Prima che si induriscano bisogna fendere la cute, ed apporvi una coppetta, …
Se poi il male più altamente risiede, si deve vedere se il luogo è nervoso o no. … se privo
di nervi, aprir si deve con ferro infuocato … Ma se vi è intorno parti nervose, il fuoco non
conviene …
Tutte le volte che si adopera il coltello, si conviene fare in modo che i tagli siano
piccolissimi ed il minor numero possibile, …
Nelle ascelle e nelle inguini, evacuato il pus, non v'è bisogno di filacce; vi si appone una
spugna di vino inzuppata. Se ugualmente in altre parti sono superflue le filacce, si
conviene, per farle purgare, infondervi un po' di miele, ...”
Capitolo 3
Buoni e cattivi segni della suppurazione.
“... buoni segni sono prendere sonno, respirare agevolmente, non essere vessati dalla
sete, ...”
Capitolo 4
Le fistole.
1) “... che fino al fondo non si possa insinuare il collirio, se sono tortuose, se molteplici, si
richiede maggiore sussidio dalla mano che dai medicamenti, …
Se la fistola è trasversale sotto la cute si deve introdurre lo specillo, e sopra di questa
inciderla. ...
Allorchè si pervenuti al fondo della fistola, si deve da essa recidere tutto il calloso, …”
Le fistole al ventre.
3) “...”
Fistole all'ano.
Capitolo 5
Modo per estrarre le frecce.
1) “Anche le frecce, che scagliate nei corpi, vi si infissero, si estraggono, spesso, con
grande difficoltà. E queste difficoltà nascono oltre dalle qualità di quelle, anche dai luoghi
in cui penetrarono ogni freccia poi secondo da dove venne, e dove si diresse; in modo che
ritorni attraverso la via che si fece.
Perché si incide la carne andando incontro alla punta. Ma se la freccia non profondamente
s'infisse, ed sulla superficie si trova, o per lo meno non oltrepassò né insigni vasi, né
luoghi nervosi, non v'è di meglio che donde venne, ritrarla.
Se poi più di tragitto v'è a ritrarla indietro di quello sia a farla trapassare, e che già
oltrepassi vene e nervi, è meglio aprire ciò che rimane, e da qui estrarla. …
Ma se la freccia si debba ritrar indietro, bisogna dilatare la ferita con il ferro, affinchè
agevolmente venga fuori, e minore infiammazione ne nasca; la quale sarà più forte, se da
quello stesso dardo, mentre torna indietro, si venga a lacerare il corpo. …
Somma cura si deve avere da entrambe parti di non tagliare un nervo [inteso anche come
nerbo], né vena riguardevole né arteria. Le quali, se qualcuna è scoperta, si deve prendere
con uncinetto ottuso, e tenerla lontano dal bisturi.
Tagliato quanto di dovere, si estrae il dardo, tenendo allora la stessa maniera, e la stessa
attenzione prestando, affinchè non si offenda nell'estrarlo qualcuna di quelle parti che dissi
si deve schivare.”
3) “Se poi una freccia larga è nelle carni, non è espediente cavarla dalla parte opposta, per
non aggiungere alla stessa una nuova ferita ancora più vasta.
Si deve dunque ritirarla con certo strumento di ferro, denominato dai Greci “diocleo
ciatisco” [cucchiaio di Diocle] essendone autore Diocleo; il quale già dissi essere stato uno
dei più famosi medici antichi.
La lama, di ferro o anche di rame, ha da un capo due uncini da ambedue le parti piegati
all'ingiù; dall'altro lato raddoppiata ai lati, e leggermente inclinata la punta verso quella
parte che è scanalata, oltre all'essere qui anche forata. Questa si introduce
trasversalmente alla freccia, e quando è pervenuta all'estrema punta, si gira un po'
affinchè riceva il dardo nel suo foro; e allorchè la punta è nel foro, due dita sottoposte agli
uncini dall'altra estremità, estraggono insieme lo strumento ed il dardo.”
4) “Un'altra qualità di dardi, che talvolta conviene tirar fuori, è una palla di piombo o un
sasso o altra cosa somigliante che, rotta la cute, dentro interamente si impianta. In tutte
queste si deve fare un'ampia apertura … con le tenaglie si estrae. …
Se non si estrae, forare con il trapano lì vicino, e da quel foro alla forma della lettera “V”,
recidere l'osso di fronte al dardo in modo che le linee che si dividono siano rivolte alla
freccia; …”
Estrazione di freccia avvelenata.
5) “... fatte le medesime cose, se si può anche con maggior velocità, si deve aggiungere
che si adopera sia in chi trangugiò veleno sia nei morsicati da serpenti. ...”
Capitolo 6
Gangli, meliceride, ateroma, steatoma, tumoretti del capo.
Capitolo 7
Malattie degli occhi che si curano con la mano e con il ferro.
“... Sogliono pertanto venire sulle palpebre vesciche piene e pesanti, le quali appena
concedono di alzare gli occhi, e cagionano in essi un leggero ma continuo flusso di umori.
… D'uopo è con due dita compresso l'occhio, e così la cute distesa, fare con il coltello
un'incisione trasversale, …
Ciò fatto si deve ungere con uno di quei colliri che si adoperano nella flussione degli occhi,
...”
2) “ … Nella medesima palpebra, sui tarsi nasce un piccolo tubercoletto, il quale dalla
similitudine con l'orzo è chiama “crità” dai Greci. È contenuto in una cisti certa sostanza
difficile da suppurare.
Bisogna fomentarlo o con caldo pane o con cera …
Così spesso si risolve una volta che va incontro a suppurazione. Se si fa vedere il pus si
deve fendere ...”
Il calazio.
3) “Altri tubercoli nascono sulle palpebre e non sono troppo diversi; ma hanno altra figura,
e sono mobili così che con il dito si fanno andare qua e là, perciò i Greci li chiamano
“calazia”.
Se sono sotto la cute si devono incidere dalla parte di fuori; dalla parte di dentro se sono
sotto la cartilagine; poi con il manico del bisturi si dividono dalle parti sane. ...”
Unghia dell'occhio.
4) “L'unghia, chiamata nel parlare greco “pterigion”, è una membrana nervosa che nasce
dall'angolo, e che non rade volte arriva alla pupilla e ne toglie la vista.
Bisogna reciderla con il ferro. … si deve collocare il malato di fronte al chirurgo sopra una
sedia o rovesciato, in modo che il capo rivolto all'insù venga a posarsi sul suo grembo.
Una palpebra la deve allargare il medico, l'altra il collaboratore; ...
Il medico deve recare all'estremità dell'unghia un uncino acuto con la punta un poco
ripiegata all'indietro e impiantarvelo; affidare la palpebra al collaboratore; preso l'uncino
sollevare l'unghia, e trapassarla con ago che porti un filo di refe; poi, lasciato l'ago,
prendere i due capi del filo e, tirata a sé l'unghia, si deve dalla parte che aderisce
all'occhio, distaccare con il manico del coltello fino a che pervenga all'angolo; poi
vicendevolmente tirare ed allentare il tanto che si rivenga al principio dell'unghia e al fine
dell'angolo. …
Recisa, si offre un foro attraverso la quale sempre fluisca dell'umore: “riada” la chiamano i
Greci. …
Si pongono filacce impiastrate di miele, …
questa cura è da fare in primavera ...”
L'encantide.
5) “Dalla cura dell'unghia nascono, come dissi, dei vizi che sogliono venire anche per altre
cause.
Così talvolta nasce nell'angolo … un tubercolo che non permette, se non poco, di dilatare
le palpebre.
… Si deve afferrare con uncino, e recidere tutt'intorno, ...”
L'anchiloblefaro
6) “Alcune volte le palpebre si attaccano fra loro e non si può aprire l'occhio. A questo
male suole unirsi l'altro che la palpebra aderisca al bianco dell'occhio, ...
Si interpone dunque il manico dello specillo, e si dividono le palpebre, quindi si
frappongono mollissime piume, onde cessi l'ulcerazione …
Ma quando la palpebra si trova aderente al bianco dell'occhio, si deve, secondo
l'insegnamento di Eraclide di Taranto, fendere con il bisturi in modo abile e preciso così da
non intaccare il globo dell'occhio né la palpebra; ...”
L'egilope.
7) “Sempre nell'angolo del naso si apre per qualche vizio un piccola fistola, da cui in
continuazione scola umore pituitoso; …
qualche volta corrompe l'osso fino a penetrare nelle narici … e talvolta assume la natura
del carcinoma, …
con l'uncino afferrare, poi tutto quel cavo, … recidere fino all'osso; ...”
8) “… Se sono nati dei peli che non dovevano, si mette nel fuoco un ago sottile di ferro …
rovente …
si deve sotto la radice dei peli insinuare … donde avviene che tutte le radici dei peli,
abbruciate, muoiano. ...”
Lagoftalmo.
9) “Avviene talvolta, recisa troppa cute in questa operazione, che l'occhio non si ricopra; il
che ha luogo anche per altra cagione. Grechescamente si chiama “lagoftalmia”.
Ove molta palpebra manchi, in nessun modo si può correggere. Alquanto sotto il
sopracciglio si fa un'incisione in forma di semiluna con le punte che guardano in basso …
Si fa pertanto con il solo dividere la pelle, affinchè un poco ne discenda nella parte
inferiore dell'occhio, … e provochi la formazione della carne, ...”
Ectropion.
10) “... consiste nel poco discendere [della palpebra] e non ricoprire l'occhio, ma stare
pendente ed aperta, né combaciare con la superiore. Ciò talvolta deriva da consimile vizio
di cura, talvolta per la vecchiaia.
I Greci lo chiamano ectropion. … le punte della ferita si rivolgano alle guance, non
all'occhio.
Se poi per vecchiaia si deve bruciare di fuori a tutta la palpebra con un ferro sottile, e poi
impiastrarvi del miele; al quarto giorno fomentarla con vapore di acqua calda e porvi dei
medicamenti cicatrizzanti.”
Stafiloma.
11) “Questi vizi nascono per lo più intorno all'occhio negli angoli e nelle palpebre. Ma
sull'occhio medesimo si fa prominente talvolta la tunica esteriore, sia per rotture di alcune
membrane dentro, sia per rilassatezza; e perchè assomiglia alla figura di un'acino, i greci
la chiamano “stafiloma” [staphylè in greco indica il grappolo d'uva].
Doppio è il modo di curarla.
L'uno consiste nel trapassare con l'ago traente due fili la parte media alla sua radice; poi
legare fra sé i due capi di un filo dalla parte superiore, così a poco a poco, resecandolo lo
fanno cadere.
L'altro nel reciderne via alla sommità sua quanto una lenticchia; e poi farvi cadere polvere
di tuzia o cadmia.
Eseguita l'una o l'altra, si sbatte l'albume d'uovo in lana, e vi si pone sopra; indi si fomenta
l'occhio con il vapore d'acqua calda, e vi si appongano rimedi mollificativi.”
12) “Si chiamano chiodi alcuni tubercoli callosi sul bianco dell'occhio; …
Si perforano con l'ago alla profonda radice, ...”
13) “In altro luogo feci menzione della cataratta perchè essendo fresca, spesso si scioglie
con i soli medicamenti, ma se autentica richiede la cura della mano, …
Egli [l'occhio] ha due tuniche esterne.
La superiore è detta “ceratoide” [cornea] dai Greci. Essa è bianca, è piuttosto spessa, si
assottiglia al posto della pupilla.
A questa congiunta se ne aggiunge una più interna, nella cui parte media dove c'è la
pupilla si trova un forame in mezzo, in torno alla quale è sottile, nella altre parti grossa. I
Greci la chiamano “coroide”. Queste due tuniche, dopo aver circondato le parti interne
dell'occhio si riuniscono nuovamente sotto di queste; assottigliate poi, ed insieme, unite
pervengono, attraverso il foro che si trova tra le ossa, alla membrana del cervello, ed ad
essa si attaccano. …
nel suo cavo contiene una certa somiglianza, che per la somiglianza del vetro, i Greci
chiamano jaloide. … Una pellicola poi procedente dalla parte più interna comprende
questa sostanza.
Sotto questa si ha una gocciola di umore simigliante al bianco dell'uovo, dal quale procede
la facoltà del vedere: “cristalloide” è chiamata dai Greci.”
14) “... si condensa l'umore sotto le due tuniche [ceratoide e coroide], dove indicai esservi
un luogo vuoto, …
La cataratta piccola, immobile, avente il colore dell'acqua marina, … lascia sperare.
Se è grande, e se nera la parte dell'occhio, perduta la sua naturale figura, … ben
difficilmente vi si ripara. …
Prima dell'operazione il malato deve mangiare poco, per tre giorni bere acqua, il giorno
innanzi astenersi del tutto. … l'occhio medesimo si deve rendere immobile, … L'occhio
sinistro si opera con la destra, con la sinistra il destro.
Si deve poi portare un ago acuto, ma non troppo sottile, ed introdurlo retto attraverso le
due tuniche esterne in un logo di mezzo tra il nero dell'occhio e l'angolo più vicino alla
tempia verso il mezzo della cataratta in modo tale da non offendere vaso alcuno. … Giunto
colà si inclina l'ago sulla cataratta, ed ivi soavemente si rivolge, e bel bello si ritrae nella
regione della pupilla; e trapassata che sia, si abbassa con più forza onde si incastri nella
parte inferiore.
Se vi rimane aderente, l'operazione è compiuta: se di tempo in tempo risale, con il
medesimo ago si lacera, ed in più pezzi si disperde [la cataratta] … Si ritrae poi rettamente
l'ago, e vi si appone lana molle imbevuta di albume di uovo, e di sopra ciò che raffrena
l'infiammazione; ed il tutto si rattiene con fascia. ...”
15) “Si osservano alcuni non avere mai asciutti gli occhi, ma sparsi sempre di tenue
umore, la qual cosa mantiene l'ulcerazione, …
Raso il capo quei rimedi con i quali si arresta la pituita, si impiastrano dalle sopracciglia …
Vi furono taluni in Grecia i quali incidevano con nove linee la cute del capo; con due rette
sull'occipite, e con una trasversale sopra di queste; …
Certuni tiravano con inchiostro due linee dalla parte media di un orecchio alla parte media
dell'altra, poi dal naso al vertice; … Nondimeno però portavano il medesimo ferro rovente
sulle vene prominenti nelle tempie, e tra la fronte ed il vertice. ...”
Capitolo 8
Le malattie degli orecchi, che si curano con la mano e con il ferro.
“... si deve esplorare con lo specillo se in tutta la sua estensione …
vi si pone alcune di quelle medicine che bruciano, o si apre con il ferro rovente, o anche si
incide con il ferro. ...”
Capitolo 9
Modo di acconciare gli orecchi, le labbra ed il naso quando sono corti.
“Parti corte in questi luoghi, se sono piccola cosa ammettono cura; si riguardevoli … negli
orecchi e nel naso si può temerne bruttezza sola, ma nelle labbra [il trattamento è
necessario] … perchè il loro uso è imperfetto, perchè con più difficoltà si mangia, e con
più difficoltà si parla. ...”
Celso descrive tecnica operatoria e trattamento con medicamenti.
Capitolo 10
Il polipo.
“... il polipo che esce dalle narici si cura in particolar modo con il ferro. Conviene dunque,
con strumento fatto a modo di spatola distaccarlo dall'osso, usando ogni diligenza per non
danneggiare inferiormente la cartilagine, in cui malagevole è la cura.
Una volta distaccato, si deve estrarre con ferro adunco. Fatto ciò vi si introduce una stoppa
di filacce o altro tipo di piumaggio intriso di qualche medicina che fa bloccare la fuoriuscita
di sangue, e con esso vi si deve leggermente riempire la narice. ...”
Capitolo 11
Ozena.
“... Da alcuni [chirurghi] viene insegnato che si deve introdurre nella narice o una piccola
canna o una penna da scrivere che arrivi fino all'osso; poi attraverso di queste si porta un
sottile ferro rovente sull'osso medesimo, per poi depurare la parte scottata con verderame
e miele; una volta depurata si riporta a sanità con il licio. ...”
Capitolo 12
I denti.
2) “Le tonsille, denominate “antiadi” dai Greci …. indurite … tutt'intorno scalzarle con il
dito, …
si afferrano con l'uncino, e si recidono; ...”
L'ugola.
3) “... Se poi non v'è alcuna infiammazione, e tuttavia sia oltremodo rilasciata per la
pituita, e sia sottile ed acuminata e bianca, si deve recidere; ...
prenderla con la molletta, e sotto di essa tagliare con il coltello ciò che vogliamo. ...”
La Lingua.
4) “La lingua poi a certuni, fin dalla nascita si trova congiunta con la parte sottoposta, vizio
per il quale non possono parlare.
Si deve con la molletta afferrare l'apice della loro lingua, e sotto di essa tagliare la
membrana, ...”
5) “... se è piccolo, basta una sola incisione; se grande, conviene fendere la cute fino alla
tunica, ...”
Le labbra.
Capitolo 13
Infermità della gola.
“Nel collo fra la cute e “l'aspera arteria” [la trachea] si forma un tumore che è detto
“broncocele” dai Greci. …
La cura del ferro è la più spedita ...”
Capitolo 14
Malattie dell'ombelico.
Capitolo 15
Modo di cavare l'acqua dagli idropici.
“... Alcuni [cavano l'acqua] sotto l'ombelico intorno a quattro dita a sinistra; … alcuni prima
bruciano la cute, …
Si intromette il ferro, prendendo grande cautela a non tagliare alcuna vena. E il ferro deve
esser fatto in modo che la larghezza della punta pareggi la terza parte di un dito; e
introdurlo in modo che perfori anche la membrana dove termina la carne nella parte
interiore; qui allora si introduce una cannuccia di piombo e di rame, le cui labbra o siano
ripiegate alla banda di fuori, oppure che abbia attorno come un anello, per cui dentro non
possa tutto cadere. ...”
Capitolo 16
Ferite penetranti nel ventre.
Capitolo 17
Rottura del peritoneo.
1) “... Tale accidente sopravviene spesso anche nelle donne a causa dell'utero; ...”
2) “... non v'è altra cura che quella usata per le gambe ...”
Capitolo 18
“... I testicoli hanno qualche similitudine con le midolle, perchè non fanno sangue e sono
privi di senso, ma si dolgono le membrane in cui sono contenute, per colpi o
infiammazioni. ...”
Descrizione anatomica dei testicoli seguita da esposizione delle patologie (tra cui l'ernia
inguinale e l'idrocele).
Capitolo 19
Cure comuni dei testicoli; e prima della chirurgia e della cura inguinale e dello
scroto.
“[primo tipo di intervento] ... Qualche volta si incide l'inguine, qualche volta lo scroto. … al
momento di operare poi si pone supino, poi si deve incidere, …
Si deve penetrare con il coltello fino a che tagli la prima tunica dello scroto e che si giunga
a quella di mezzo.
Fatta l'incisione compare un'apertura dal basso. In essa si deve introdurre l'indice della
mano sinistra affinché separate le membranette che si interpongono, si dilati il seno di più.
Il ministro [l'aiutante del chirurgo] poi, con la mano sinistra presso lo scroto, deve tirarlo
all'insù, ed allontanarlo più che può dagli inguini, prima con lo stesso testicolo mentre il
chirurgo se non può con il dito staccare tutte le membranette, che sono sopra la tunica
media, le recida con il ferro; di poi si unisca alla ferita fatta … e si collochi sopra il ventre
con le sue due membranette.
Fatto ciò, se vi sono parti viziate, si devono tutte recidere. Nelle quali discorrendo tante
vene, le più grandi si possono sicuramente tagliare; le più grandi si devono legare con filo
lungo affinchè non avvenga pericoloso versamento.
Se sarà offesa la tunica di mezzo, o che il male abbia preso incremento sotto di essa, si
deve tagliare profondamente incidendo fino alla stessa inguine. Più in basso però non si
deve levar tutta via, perchè ciò che è fortemente connesso con la tunica più profonda alla
base del testicolo, non si può senza gravissimo pericolo tagliare; bisogna dunque lasciarla.
…
I fili con cui si terranno i capi di quelle dovranno pendere fuori dalla ferita, essi poi,
avvenuta la purgazione, cadono senza dolore. …
medicine repellenti l'infiammazione, quali lana sporca o spugna bagnata d'aceto; …
[secondo tipo di intervento] Ma ove faccia mestiere di tagliare più in basso, collocato
l'uomo supino, si deve sottoporre la mano sinistra alo scroto; poi afferrarlo forte ed
inciderlo; ...”
Capitolo 20
1) “... Se ad un piccolo fanciullo discende un intestino, si deve prima del ferro provare la
fasciatura. La fascia a questo scopo si fa cucendo agli estremi capi una palla fatta di pezza,
che viene apposta per tenere l'intestino sopra di esso; poi con la parte restante della fascia
si stringe strettamente intorno.
Superfluo è il tagliare allorché sono uscite molte intestina senza dolore … salvo che non
proibisca l'infiammazione.
Ed in quello che si dovrà curare con il tagliente, pervenuta che sia la ferita fatta all'inguine
alla tunica di mezzo, si dovrà con due uncini afferrare in prossimità delle sue labbra,
intanto che, distaccate tutte le picciole membrane, il medico la libererà. …
dopo che sarà divisa, si dovrà tagliare dall'inguine fino al testicolo in modo che rimanga
illeso; allora si recida. …
Si apre l'inguine con il ferro allo stessa maniera fino alla tunica media, ed esso allo stesso
modo si afferra con due uncini, così che l'aiutante ritenga il testicolo, affinché non esca
attraverso la ferita; allora quella tunica si incide dall'ingiù; e sotto di essa si pone il dito
indice della mano sinistra fino al più basso testicolo, e si comprime dentro la ferita; poi con
due dita della mano destra, pollice ed indice, si distacca la vena, l'arteria, il nervo e la
tunica loro dalla tunica superiore. Che se ce lo impediscono alcune membranette, si
distaccano con il coltello tanto che sia posta allo scoperto tutta la tunica.
Recise quelle parte che si dovevano recidere, e riposto il testicolo, dal margine di quella
ferita che è nell'inguine, se ne taglia una striscia un po' larga affinché maggiore sia
l'incisione e possa generare più carne.”
Capitolo 21
1) “ Ma se discende l'omento allo stesso modo che è scritto di sopra, si deve incidere
l'inguine, e separare le tuniche; …
si impiastra di medicamenti che consumano le carni senza roderle, chiamati “septici” dai
Greci. ...”
2) “Se poi vi sia dentro dell'umore, si deve nei ragazzi incidere l'inguine, ...”
Capitolo 22
“Il ramice, se si trova sullo scroto, si deve bruciare con sottili ed aguzzati ferri che si
impiantano nelle vene stesse, …
Si deve poi incidere l'inguine a chi abbia le vene turgide sopra la tunica media, …
Ma quando sia nato il ramice fra la profonda tunica e lo stesso testicolo ed il nervo, non vi
è che una cura, ed è di demolire il testicolo. ...”
Capitolo 23
“Anche la carne se crebbe tra le tuniche, si dovrà certamente distruggere con il taglio; il
che è meglio farlo incidendo lo scroto. ...”
Capitolo 24
Il ramice dell'inguine.
“Quando il ramice è proprio dell'inguine, se il tumore è modico, si deve fare una sola
incisione;
se grande due, onde si apra dal mezzo; poi senza estrarre il testicolo, … si riuniscono le
vene, ...”
Capitolo 25
Capitolo 26
1) “Succede alle volte di dovere agevolare l'urina attraverso la mano, allorché non si
evacua, …
e tal cosa non solamente è richiesta negli uomini, ma talvolta anche nelle donne. A tal fine
si fanno cannelli di bronzo, … tre per i maschi e due per le femmine; il più grande di quelli
per i maschi di quindici dita, di dodici quello medio, di nove il piccolo; per le donne il
maggiore di nove, il minore di sei. Si conviene che siano alquanto ricurvi …
prendere il membro, e con la destra introdurre il cannello nel canale dell'urina; ed una
volta pervenuti al collo della vescica, spingere il cannello inclinato per ritirarlo poi,
evacuata l'urina. ...
A volte, caduto un calcolo nel canale medesimo … bisogna estrarlo o con lo specillo da
orecchio o con il ferro con cui si estrae la pietra ...”
2) “... Un uomo forte e pratico siede in un sedile alto, e tiene l'infermo supino ed opposto
a sé, collocate le sue cosce sulle sue ginocchia; e allargate le sue gambe … tenga tale
posizione. …
Se è molto robusto il corpo di chi si deve operare, …. due fortissimi si siedono … si legano
così che non si possano separare; …
Il medico … unta la mano sinistra, due dita di essa, l'indice e il medio, prima l'uno e poi
l'altro, le intrometta pienamente nell'ano; e le dita della mano destra con dolcezza le
imponga sul basso ventre, affinché se entrambe le dita s'incontrassero bruscamente contro
il calcolo, non andassero ad offendere la vescica. …
Non si deve in questa agire con fretta … ma in modo che si operi con la maggiore
sicurezza, perchè alle compressioni sulla vescica possono seguire distensioni nervose con
pericolo di morte.
Per primo, il calcolo si cerca intorno al collo [della vescica], che se ritrovato si espelle con
minore disagio. …
Ritrovato il calcolo, che di necessità conviene che tocchi la mano, … Si oppone sempre la
mano destra oltre il calcolo; le dita della sinistra lo spingono all'ingiù fino a che pervenga
al collo. …
se oblungo si deve comprimerlo in modo che esca chinato; se appianato che poggi su due
lati; …
Allorquando [il calcolo] è arrivato colà [nel collo della vescica], si incide la cute in
prossimità dell'ano con incisione lunata fino al collo della vescica, con le corno guardanti
verso le cosce; poi, in quella parte dove la ferita è ricurva, egualmente sotto la cute si fa
un'altra incisione trasversa, attraverso la quale si apre il collo fino a che si dilati la via
dell'urina, in modo che l'incisione sia un po' più grande del calcolo. Perchè coloro che per
timore della fistola … dilatano poco, con maggiore pericolo si espongono al medesimo
inconveniente; …
Una volta che è aperta [la via], si affaccia la pietra, … se è piccola, con le dita … si può
tirare a sé; se grossa, si introduce l'uncino costruito a questo scopo, dalla parte di sopra.
Questo è sottile alle estremità in forma di semicircolo, di larghezza ovale; liscio alla parte
esteriore dove tocca il corpo ed aspro all'interno dove afferra il calcolo. …
Questa è l'operazione più semplice. …”
3) “... quando si affaccia si deve tirare fuori con le dita o con l'uncino. ...”
5) “... ovviare a simile accidente [l'emorragia] si deve farlo sedere in aceto forte, a cui sia
aggiunto un po' di sale, sotto il quale il sale ristagna e la vescica si contrae e perciò meno
si infiamma. …
Alcuni fanno uso di impiastri calefattivi. … medicamenti suppurativi, e se si vorrà purgare
la piaga ungere con miele.
E se rode, si tempererà di olio rosato. A questa cura sempre adatto è l'impiastro
enneafarmaco; perchè contiene sebo a provocare la suppurazione, e miele a purgare
l'ulcera, ...”
Capitolo 27
Capitolo 28
Il modo in cui si curano le parti naturali della donna, che non ammettono il
concubito.
“... certe cose riguardano propriamente le donne; come in primo luogo il non ammettere le
loro parti naturali il concubito essendo fra sé incollate le labbra. Cosa che talvolta avviene
anche nell'utero materno; … si ha una membrana di contro alla vulva; ...
Bisogna pertanto incidere la membrana con due linee trasverse fra loro, simile alla lettera
X, con grande cautela …
di poi tutto intorno demolire con il taglio quella membrana. ...”
Capitolo 29
“... si richiede un'operazione che si può annoverare tra le più difficili. … domanda somma
prudenza e moderazione, …
Bisogna innanzitutto collocare la donna supina nel letto in modo che i suoi fianchi poggino
sulle sue cosce; dal che ne viene che il basso ventre si offra al medico, e l'infante venga
spinto alla bocca dell'utero, che è chiusa, morto il feto, …
il medico deve introdurre per prima cosa il dito indice della mano unta, ed ivi sostare fino
a che si apra la bocca [dell'utero] ed intromettere anche l'altro dito; e per lo stesso motivo
anche le altre dita, persino anche tutta la mano. …
Importa altresì al buon esito esito dell'operazione tenere caldissimo il ventre e le parti
estreme del corpo; …
intromessa la mano, essendo il feto già morto, si conosce esattamente la sua posizione;
dal momento che è rivolto o con il capo o con i piedi, oppure giace trasverso; …
L'intento del medico è quello di dirigere con la mano il feto, o verso il capo o anche verso i
piedi se per sorte altrimenti è situato. … si da al corpo una direzione retta;
se il corpo è vicino si deve introdurre un uncino levigato in ogni parte, dalla punta corta;
esso si impianta o in un occhio, o in un orecchio, o alla bocca, talora anche alla fronte, fino
a che agganciato il feto, lo tira verso l'esterno. …
Si deve tirare l'uncino con la mano destra, mentre la mano sinistra, posta dentro l'utero, il
feto dirige. …
Talora si deve con il dito indice forarne il corpo, affinché effonda gli umori e lo
rimpicciolisca, ...
poi si raccolga con le mani; perchè l'uncino conficcato su quel floscio corpicello ha presa
debole, …
Ogniqualvolta si è tirato fuori il bambino si deve affidarlo al collaboratore [chiamato
“minister” da Celso]. Egli lo deve tenere con le mani rivolto in alto, …
Il resto della cura deve essere quello che si pratica nelle infiammazioni ...”
Capitolo 30
I condilomi.
3) “Le bocche delle vene che gettano sangue, così si tolgono. … ne nasce che le vene,
come altrettanti capitelli, si rendano cospicui.
Allora, se il capitello è piccolo, ed ha una sottile base, si lega con filo un poco sopra dove
si collega all'ano; … poi con le unghie o con il coltello si deve ulcerare sopra il nodo. Cosa
deve essere fatta senza procurare gravi dolori; …
Se il capitello è grosso e largo, la base si deve afferrare con uno o due ami, e poco sopra
recidere; ...”
Capitolo 31
Le varici.
“... alle gambe ... nate le varici, si tolgono in maniera non difficoltosa. …
Se è retta e … se di media grandezza è meglio bruciarle. Se è serpentina ed attorcigliata …
ancora più utile sarà levarla.
Il modo di bruciare è questo. Si incide la cute sovrapposta: messa allo scoperto la vena, si
prema con ferro infuocato sottile ed ottuso, stando attenti a non incendiare le labbra della
ferita fatta, … indi si governa con quei rimedi con cui si sanano le scottature.
[Le varici] Si recidono a questo modo. Tagliata la pelle sopra la vena, si prendono con
uncinetti le labbra, e la vena con il coltello si distacca tutt'intorno dal corpo, stando attenti
a non offenderla; le si pone sotto l'uncinetto ottuso, … La vena, tirata a sé con l'uncinetto,
si recide; poi dove l'amo è vicino, si tira e si sradica, e qui nuovamente si taglia. Ed in tal
modo, liberata ovunque dalle varici la gamba, si riuniscono insieme i margini della ferita e
vi si pone un impiastro colloso.”
Capitolo 32
“Ma se le dita, o dalla nascita o in seguito per comune ulceramento si attaccarono tra loro,
si distaccano con il coltello; ...”
Capitolo 32
La gangrena.
“... Si deve incidere fino all'osso la carne fra la parte sane e la viziata …
Allorché si è giunti all'osso, si deve separare da esso la carne sana, …
poi con un seghetto si tagli il più vicino possibile anche la carne sana ...”
Libro Ottavo
pag 329
Capitolo 1
Posizioni e forma delle ossa di tutto il corpo umano.
“Rimane quella parte che spetta alle ossa, ...
il cranio di dentro concavo, di fuori convesso … [descrizione delle suture craniche]
rado è poi ritrovare il cranio saldo senza suture; tuttavia nei caldi climi agevolmente si
incontra; e tali teste sono robustissime e immuni da ogni dolore. …
I fori più grandi sono quelli degli occhi … i due fori delle narici vengono divisi da tramezzo
osseo …
la mascella [mandibola] è un osso molle e solo …
[segue descrizione delle arcate dentarie] …
La spina [dorsale] poi sostiene il capo. Essa è composta di 24 vertebre. Sette nel collo,
dodici nelle costole e altre sotto le costole. [descrizione delle vertebre] …
Sotto i collo, poi la prima costa è posta di fronte agli omeri. … al di fuori ricurve, si fanno a
poco a poco cartilaginee, …
Parimenti dal collo, due lunghe ossa dall'una all'altra banda portano alle scapole …
[descrizione delle scapole chiamate dai Greci “omoplate”] …
Di qui comincia l'omero ad ambre le estremità … senza midollo [descrizione dell'omero] …
Il radio, detto nel parlare greco “cercida”, … riceve la piccola protuberanza dell'omero, …
Il cubito [descrizione dell'ulna] …
si conviene sapere che molte ossa terminano in cartilagine …
cinque ossa diritte tendenti alle dita compiono il palmo [della mano] …
La spina poi termina in basso con l'osso delle anche il quale … ripara l'utero, la vescica, il
retto intestino. …
Da qui nascono i femori, i capi dei quali sono ancor più rotondi di quelli degli omeri, … duri
e midollosi … [descrizione dei femori e dell'articolazione coxo-femorale] …
La gamba poi, è di due ossa composta. … [descrizione della sura, cioè il perone, della
tibia] … Lo stinco poi, viene al basso ricevuto dall'osso trasverso dei talloni, e questo è
situato sopra l'osso del piede, …
Le altre ossa del piede sono formate a somiglianza di quelle che si trovano nella mano; le
piante corrispondono ai palmi, le dita alle dita e le unghie alle unghie.”
Capitolo 2
Ossa viziate e corrotte, loro segni e cura.
“Ogni osso, per ingiuria esterna o si vizia, o si fende o si rompe o si fora o si danneggia o
si sposta dal sito.
L'osso viziato, per lo più, si fa dapprima grasso, poi nero e cariato …
Necessario è innanzitutto mettere allo scoperto l'osso incidendo l'ulcera, … Chi raschia un
osso, deve imprimere con forza il ferro, per ottenere quanto voluto e rapidamente si
concluda. E il segno del termine si ha quando si raggiunge l'osso bianco o solido. ...
se la carie è assai profonda, si deve traforare con il trapano con fori spessi … poi si
introducano dei ferri roventi fino a che l'osso divenga asciutto e secco. Fatte queste cose,
non solo si distaccherà la parte viziata dalla sana, ma si riempirà il vuoto di carne, e poi
nessun umore, o ben poco, stillerà fuori. Se vi è ancora nerezza o la carie passa da una
parte all'altra dell'osso, necessario è reciderlo del tutto. … Ma quel che è tutto viziato, tutto
si conviene rimuovere; …
Parimenti, se un osso del capo o del petto o una costa è cariata, sarà inutile bruciarla, ma
necessario reciderla. …”
Capitolo 3
Come si recide l'osso; e sul modiolo e sul trapano [chiamato
“terebra” da Celso], strumenti adatti a ciò.
“L'osso si taglia in due modi. Se piccolo è il vizio, con il modiolo, detto dai Greci
“koinicida”; se è grande con il trapano.
Il modiolo è un ferro concavo e tondo, dentato ai margini inferiori, nei cui mezzo si mette
una punta anch'essa circondata da un cerchio inferiore.
Vi sono due tipi di trapano. Uno simile quello di cui fanno uso i fabbri, l'altro di capitello
più lungo ...
Se il vizio si trova in un piccolo spazio sì che il modiolo possa comprenderlo, si deve usare
a preferenza questo; … quello con corda, a modo del trapano si gira …
Ma se il vizio avrà maggiore estensione … si dovrà usare il trapano. Si fa con questo sul
confine tra l'osso viziato e quello sano un foro, poi un altro non molto discosto da questo,
e poi anche un terzo lungo il tratto che si deve separare … Poi, uno scalpello a taglio
intromesso con un martello da un foro all'altro distacca ciò che è rimasto in mezzo; …
il custode della membrana [perforata sul cranio] si chiama con termine greco
“meningofilaca”. Essa è una lamina di rame, forte, un poco adunca, liscia alla parte di
fuori, che introdotta protegge il cervello …
Due sono i pericoli nelle percosse della testa: o che l'osso si fenda o si deprima. …
quando l'osso si infossa, viene schiacciata anche la membrana del cervello, … In questo
incidenti conviene agire in modo da rimuovere la minor quantità possibile di osso. … se vi
sono frammenti che si muovono e che si possono rimuovere facilmente, con tenaglietta a
questo scopo si devono raccogliere … [se ciò non è possibile] si deve sottoporre quella
laminetta [la meningofilaca] per dare riparo alla membrana del cervello, …
di forte aceto si deve spruzzare la membrana, affinchè se da esso fluisce sangue, si
arresti; …
Si scansi nelle fratture del capo, fino a che la cicatrice non sia ferma e stabile, il sole, la
venere [cioè far sesso], il bagno frequente ed il troppo vino.”
Capitolo 5
(Il capitolo 4 non compare: probabilmente è incluso nel
capitolo 3 ed indica le fratture del cranio più loro cura)
“Nel naso sono soliti rompersi sia l'osso che la cartilagine; ...”
Capitolo 6
Frattura delle orecchie
Capitolo 7
“... Ogni osso, un po' come il legno, ora si fende per il lungo ora si rompe di traverso o
obliquamente … l'osso medesimo ora ha gli estremi fratturati ottusi ora acuti; … alle volte
l'osso si rompe in più pezzi …
se la mascella è fratturata di traverso, nel qual caso suole un dente cadere sull'altro, … i
seguenti denti si legheranno fra loro con un filo di seta. ...”
Capitolo 8
2) “... mascelle, petto, … scapole, coste, spina [dorsale], bacino, talloni, mano, piede. La
cura è la medesima. …
Se sopra vi è una ferita … si deve con gli appositi medicamenti nutrire; …
Se la pelle è intatta … stare in riposo ...”
Capitolo 9
1) “... trovandosi queste in vicinanza dei visceri, viene questo luogo ad essere esposto a
gravissimi pericoli. ...
Se non è rotta dentro, non si ha sputo di sangue, non se sussegue febbre, non ne nasce
alcuna suppurazione … [ basta la ] fasciatura …
Ma se la costa è rotta in totalità … se le forze lo permettono, … si trarrà sangue da quel
braccio guarda la costa offesa; … non si deve mangiare pane fino al settimo giorno, ma
vivere solo di brodi,
… se la tosse è frequente e molesta si dovrà a tal oggetto far uso di una bevanda di
trissaggine o di ruta o ...”
Frattura della spina.
Capitolo 10
1) “... Queste ossa, rompendosi nel loro mezzo, non apportano nessun pericolo; ma
quanto più la frattura è prossima al capo superiore o inferiore dell'osso, tanto più è
pericolosa; perchè conduce a più gravi dolori, e più difficilmente si cura.
La frattura semplice e trasversale è la più tollerabile; peggiore quando è obliqua, ed ha
molti frammenti; pessima quando i medesimi sono acuti. …
il più delle volte escono di sito, ed un pezzetto sormonta l'altro; …
i nervi [da intendere più come tendini, nerbi, che nervi nel senso moderno] ed i muscoli
distesi per le ossa si contraggono; …
si devono con le mani ricomporre le ossa al loro sito … Poi si deve avvolgere con panni a
due o tre doppi intinti in olio e vino … Per lo più si richiedono sei fasce. …”
Frattura dell'omero.
3) “Ma nella frattura del braccio si deve prima di tutto esaminare se rotto sia un solo osso
o tutti e due;
… Che se uno di essi è sano, porge più aiuto delle fasce e delle stesse ferule. ...”
4) “...”
5) “Anche nella gamba gioverebbe che uno delle due ossa rimanesse intera. ...”
6) “Un dito, passata che sia l'infiammazione, è sufficiente fasciarlo su di una stecca.”
Cura generale per le fratture degli omeri, braccia, gambe, femori e dita.
7) “... per lungo tempo astenersi dal vino; fomentazioni di acqua calda fin che duri
l'infiammazione, …
il femore, se le ossa si sono fra loro ritirate, per lo più si è costretti a reciderlo con il taglio.
Anche l'omero patisce pericolo anch'esso, ma si conserva più leggermente. …
si tragga poi il sangue se poco ne uscì; …
Qualche volta la fratture con qualche punta lacera e tormenta le carni, … obbliga il medico
a fare un'incisione sulla parte e a smozzicare quelle parti acuminate. …
fatta la cicatrice, si asperge d'acqua fresca, in cui siano state bollite mortadella, edera ed
altre erbe in virtù pari della verbena, e si impiastra di medicamento essiccante; …
accade talora che le ossa si riuniscano accavallate, dal che e più corto si rimane il membro
e deforme; e se le estremità dei pezzi fratturati sono acute, fanno sentire continue e
moleste punture. Perché si conviene rompere da capo le ossa, e ricomporle in maniera
diritta; la qual cosa si fa in questo modo.
Con acqua calda in gran quantità si fomenta quel membro, e si stropiccia di impiastro
liquido, e si estende; il medico in questo mezzo tastando le ossa, le quali per essere
ancora tenero il callo, con le mani le distacca, e spinge quello che sormonta alla sua sede;
e se non ebbe forza bastevole, oppone a quella parte da cui l'osso è inclinato, una stecca
avvolta di lana, e così comprimendola con la fascia, lo costringe ad assumere di nuovo la
sua antica sede. ...”
Capitolo 11
Slogamenti.
Capitolo 12
“La mascella viene spinta verso il davanti; ora da una sola parte, ora da entrambe. Se da
una parte inclinano verso il lato opposto e la mascella medesima e il mento: i denti non
corrispondono ai loro simili, i canini si trovano sotto gli incisivi. …
allora il medico, avvolti i diti pollici in pannolini o fasce affinché non scivolino, glieli
introduce in bocca, … Allorché ha ben afferrato la mascella, se è slogata da una parte sola,
egli scuote il mento, e lo spinge verso la gola; indi nel medesimo tempo afferra il capo, e
spinto all'insù il mento riduce la mascella al suo luogo; ...”
Capitolo 13
Slogamento della testa.
“...”
[in questo caso, viene descritto lo slogamento dei due processi introdotti nei due seni della
prima vertebra. Il paziente non può bere o parlare, e qualche volta emette
involontariamente sperma. In questo caso non vi è alcuna cura.]
Capitolo 14
[In questo caso, riferisce Celso, non vi è alcuna cura che restituisce l'integrità, dal
momento che ciò non può avvenire senza rottura del midollo spinale.]
“... Se il dislocamento si fa sopra il diaframma, la mani si paralizzano, ne sussegue vomito
o distensione di nervi, il respiro si fa affannoso, il dolore preme, ottuso è l'udire.
Se sotto il diaframma, si paralizzano le cosce, si sopprime l'urina, alcune volte però
involontariamente fluisce. …
e ciò che Ippocrate insegnò, uscita di luogo una vertebre posteriormente … qualcuno
salirvi sopra con il piede … spingere l'osso, ...”
Capitolo 15
Slogamento dell'omero.
“L'omero poi si disloca ora contro l'ascella, ora verso la parte anteriore. Se è caduto sotto
l'ascella, il cubito si discosta dal tronco, ...”
[Celso propone dei trattamenti diverse nelle persone longilinee rispetto quelle robuste.
In questo secondo caso diventa necessario l'uso di una spatola nella cui sommità vi sia un
capitello rotondo e un poco incavato sì che possa ricevere una porzione del capo
dell'omero.]
Capitolo 16
Capitolo 17
“Anche le ossa del palmo della mano possono alle volte slogarsi, ...”
Capitolo 19
Capitolo 20
“ … L'osso del femore può slogarsi in tutte e quattro le parti; spessissimo di dentro; di poi
per di fuori; rarissimamente nella parte anteriore o nella posteriore. ...”
Capitolo 21
“E' poi cosa nota il dislogarsi del ginocchio al di fuori e al di dentro, e per la parte
posteriore. ...”
Capitolo 22
Capitolo 23
“Le ossa della pianta del piede si dislogano come nella mano; ...”
Capitolo 24
Slogamento delle dita del piede.
Capitolo 25
“ … ma si danno talvolta slogamenti con la ferita. In tal caso pur grave è il pericolo, e
tanto più quanto grosso è il membro, e quanto più robusti sono i nervi o i muscoli che lo
ritengono. Per lo che negli omeri e nei femori si corre il rischio della vita; e se sono riposte
le ossa, non v'è nessuna speranza; ...”
Indice
delle materie contenute in Celso