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28-11-19

Chirurgia orale
Dott. Francesco Erovigni
Sbob: Antonello Troiano

Trattamento dei pz in terapia con farmaci antiresortivi e


antiangiogenetici
Esistono numerose categorie di pz che assumono diversi tipi di farmaci per far fronte a varie
patologie. È necessario per l’odontoiatria saper gestire questi pz per non incorrere in gravi danni.
Le popolazioni di riferimento in ambito odontoiatrico sono essenzialmente due: i pz osteoporotici
e quelli oncologici; entrambe sono in aumento in quanto le cure funzionano e di conseguenza
aumenta la sopravvivenza.

Caso clinico
Paziente donna di 55 anni che in analisi patologica remota presentava una gastroresezione per un
carcinoma gastrico. Al momento della visita odontoiatrica non era più una pz oncologica e
presentava ‘solo’ osteopenia (= riduzione di calcificazione ossea che anticipa l’osteoporosi ma non
si tratta di osteoporosi conclamata). Per l’osteopenia alla pz era stato prescritto l’alendronato che
ha la funzione di fermare la perdita di calcificazione e quindi di rinforzare le ossa, ma la pz al
momento dell’anamnesi odontoiatrica non segnala che si trova in trattamento con questo farmaco
per via orale (molti pz non lo segnalano perché ritengono queste informazioni non necessarie).
La pz esegue l’estrazione del 38 e il dentista, dopo l’estrazione e aver visto che non guariva, è
andato a ripulire la ferita, pensando ad una infezione, ad un’alveolite, che può essere una
infezione dell’alveolo post-estrattivo, con l’obiettivo di farla guarire.
Dopo 6 mesi, la pz torna perché sta fuoriuscendo pus dalla ferita e a quel punto le si chiede una TC
perché questa situazione non è normale. In quest’esame in una situazione normale di guarigione si
vede una situazione di osseo completamente riempito, mentre in questo caso si vede che al posto
del dente estratto non si è formato osseo e si nota la zona corticale ossea con dei problemi in
quanto è riassorbito e ha un aspetto un po' rimaneggiato. Allora si fa diagnosi di osteonecrosi da
bifosfonati e si interviene chirurgicamente facendo una pulizia dell’osso necrotico aprendo la
gengiva, usando i concentrati piastrinici e il laser; l’obiettivo del concentrato piastrinico è quello di
mettere una quantità di piastrine molto maggiore rispetto alla quantità di piastrine fisiologica
presente nel sangue in modo che i fattori di crescita rilasciati dalle piastrine accelerino il processo
di guarigione. L’obiettivo della bio-stimolazione laser è inviare un calore terapeutico nella zona
osteonecrotica al fine di stimolare la neo-angiogenesi che determina a sua volta un apporto di
sostanze nutritive per velocizzare la guarigione. Dunque, quelli appena descritti sono trattamenti
adiuvanti al fine di avere un recupero chirurgico molto più veloce.
Successivamente alla stessa pz viene svolto un secondo intervento più aggressivo del primo con
l’estrazione del settimo (più aggressivo in quanto il lembo è stato più ampio e la resezione è stata
più invasiva) utilizzando sempre il concentrato piastrinico e il laser, ma la pz anche in questo
intervento non guarisce. Avere due interventi in locale che non guariscono significa che il
problema è più grande rispetto a quello visibile in TC e la si manda dal chirurgo maxillo-facciale.
Ci sono state tutte queste complicanze soltanto perché la pz non ha informato bene l’odontoiatria
circa i farmaci assunti.

Il rimodellamento osseo consiste in uno stretto accoppiamento tra assorbimento e formazione


ossea, che non implica un mutamento della forma geometrica dell’osso ma la forma viene
mantenuta. Fisiologicamente, il ricambio dell’osso è di circa del 10% all’anno, vuol dire che ogni 10
anni viene rimodellato completamente tutto lo scheletro. Gli attori in questo processo sono
principalmente due: osteoclasti e osteoblasti; questi ultimi nella fase di stabilità prendono il nome
di lining cells e sono le cellule periferiche situate al di sotto del periostio.

Il rimodellamento osseo avviene in 4 fasi:

• Mineralizzazione
• Riassorbimento
• Inversione
• Neoformazione

Nella fase di mineralizzazione intervengono gli osteoblasti mentre nella fase di riassorbimento gli
osteoclasti. Nella fase di inversione intervengono delle cellule specifiche, le reversus cells, che
sono dei precursori degli osteoblasti.
Tutto il processo avviene in un tempo di circa 3 mesi, ragione per cui in passato si facevano
attendere 3 mesi prima di caricare un impianto proprio per permettere all’osso di completare il
processo di rimodellamento. La massima attività di riassorbimento avviene in particolare ad 1
mese dall’inizio del rimodellamento ed è per questo che la stabilità primaria di un impianto ad 1
mese dall’inserzione diventa minore rispetto all’inizio dell’inserzione.

Gli osteoclasti sono cellule non presenti normalmente nell’osso ma richiamate dal midollo osseo.
Presentano gli stessi precursori cellulari dei macrofagi e mediante lo stimolo di alcune proteine
secrete dagli osteoblasti questi precursori vengono attivati e trasformati in osteoclasti; quindi tra
osteoblasti e osteoclasti si ha una reazione di controllo e feedback reciproco.
Quando si è in una fase di stabilità, in un momento
di non rimodellamento osseo, entrano in gioco delle
proteine specifiche tra cui l’osteoprotegerina
(OPG): questa proteina è un recettore esca di
RANKL (=gruppo di proteine stimolanti gli
osteoclasti) inibendone così l’efficacia e facendo in
modo che l’osteoclasto sia quiescente. Nel
momento in cui si riduce il livello di OPG, RANKL
(situato sugli osteoblasti) va in contatto con il
recettore RANK (presente sugli osteoclasti
quiescenti) permettendo così l’attivazione
osteoclastica e l’inizio del rimodellamento osseo.

Tutta l’area compresa nel rimodellamento prende il nome di unità metabolica ossea (BMU):
nell’adulto la BMU continua la sua attività in un periodo compreso tra 6-9 mesi chiamato sigma e
lo scheletro adulto contiene circa 35 mln di BMU.
Ad un certo punto può capitare che questo meccanismo di equilibrio venga a mancare per cui
l’azione di riassorbimento superi quella di formazione. Ciò può verificarsi in 3 categorie di pz:

• Paziente dismetabolico (affetto da osteoporosi)


• Paziente con morbo di Paget
• Paziente oncologico (sindrome paraneoplastica, ipercalcemia maligna)

1. Osteoporosi
Si tratta della perdita di massa ossea con un’alterazione della microarchitettura tissutale (aumenta
il midollo fibroso, diminuisce la densità ossea) e un aumentato rischio di frattura.

Ha un’origine ormonale e per questo è una patologia dismetabolica; in


particolare è legata a carenza di estrogeni, è una patologia cronica,
comune e disabilitante. Le fratture di osteoporosi interessano per lo più
il bacino, i corpi vertebrali e le ossa lunghe distali e spesso si associano
a dolore cronico, disabilità e limitata indipendenza funzionale. Il tasso di
mortalità a 1 anno dalla frattura del bacino è del 20-24%.
N.B. nei pz che assumono bifosfonati per l’osteoporosi è importante
non interrompere questa assunzione in caso in cui debbano essere
sottoposti a cure dentali: in passato è successo che alcuni pz per poter fare le cure dentali non
prendevano la terapia anti-riassorbitiva per cui aumentavano il rischio di fratture.
L’osteoporosi viene diagnosticata mediante un esame specifico detto BMD, ovvero valutazione
della densità minerale ossea; in Italia l’esame è noto come MOC ovvero mineralometria ossea
computerizzata. Il valore del BMD viene espresso dal T-score, ossia il numero di deviazioni
standard al di sotto o al di sopra del valore medio di densità minerale di una donna sana, giovane
al picco di massa ossea. Si ha una curva gaussiana per la quale i pz che si trovano con uno score da
0 a -1 vengono considerati sani, quelli con score tra -1 e -2,5 sono considerati osteopenici, mentre
quelli sotto i -2,5 sono considerati osteoporotici. Dunque, l’osteoporosi si ha per T-score ≤ -2,5 DS.

L’osteoporosi può essere legata a:


• carenza vitamina D
• utilizzo di glucocorticoidi (osteoporotici che lo sono per una terapia cronica es. chi soffre di
artrite reumatoide o altre patologie autoimmuni che assumono cortisone in maniera
cronica→aumenta il ciclo del riassorbimento)
• tabagismo
• pregresse fratture
• alcol
• inattività fisica
• basso peso

I bifosfonati hanno la funzione di ridurre l’incidenza della prima frattura e delle fratture successive
e di ridurre il dolore e la disabilità del pz. Hanno dimostrata efficacia nel ridurre il rischio di
frattura in donne con osteoporosi post-menopausale e sono Indicati particolarmente nel
trattamento di donne in postmenopausa con storia clinica di fratture vertebrali e con un alto
rischio di ricorrenza. Questi farmaci hanno un meccanismo di tossicità nei confronti degli
osteoclasti; la durata ottimale non è nota, con la maggior parte degli studi clinici condotta su 3
anni, mentre sull’alendronato si ha un’esperienza decennale.
L’effetto collaterale è costituito da tossicità gastroenterica con ulcerazioni orofaringee ed esofagiti
(osteonecrosi da bifosfonati è una complicanza). Per ridurre il rischio di questo effetto collaterale il
farmaco va assunto a digiuno, accompagnato con acqua, ed è necessario attendere almeno 30
minuti prima di un pasto.

2. Morbo di Paget
È una condizione in cui il ricambio osseo è drammaticamente accelerato e conduce alla
formazione di tessuto osseo con ridotta resistenza compressiva ed aumentata vascolarizzazione,
con associato dolore osseo ed elevati livelli di fosfatasi alcalina (enzima che si trova in abbondanza
nelle ossa).

Questa patologia colpisce gli adulti sopra i 40 anni ed ha un’eziologia sconosciuta. L’utilizzo dei BF
come farmaci anti-osteoclastici si è rivelata efficace per la riduzione del dolore e dell’espansione
ossea e per la normalizzazione della calcemia.

3. Paziente oncologico
L’infiltrazione ossea tumorale è il risultato di una complessa interazione:
• Azione chemiotattica: le molecole circolanti prodotte dal catabolismo osseo, come i
frammenti di collagene I, esercitano un’azione chemiotattica nei confronti delle cellule
tumorali;
• Mediazione delle glicoproteine di membrana: la presenza di glicoproteine organo-
specifiche presenti sulla membrana cellulare mediano l’adesione delle cellule tumorali
all’endotelio vascolare dell’osso;
• Fenestrature tra le cellule endoteliali midollari: il midollo osseo è dotato di una ricchissima
rete vascolare con sinusoidi midollari prive di membrana basale e con ampie fenestrature
tra le cellule endoteliali che facilitano la fuoriuscita delle cellule tumorali.
Le complicanze secondarie alla metastatizzazione ossea sono indicate come “eventi scheletrici”
(SRE = Skeletal Related Events):

• fratture patologiche
• necessità di radioterapia
• necessità di chirurgia sull’osso
• compressione midollare
• ipercalcemia neoplastica (il pz
rischia una morte improvvisa per
il troppo calcio nel sangue)

Lo sviluppo di un SRE incide


negativamente sulla
sopravvivenza del pz e sulla sua
qualità di vita, aspetto che in
oncologia ha grande importanza.

L’Acido Zoledronico è l’unico bifosfonato ad aver dimostrato efficacia nella prevenzione degli SRE
nel carcinoma prostatico ormonorefrattario ed in altri tumori solidi.

I bifosfonati sono analoghi sintetici del pirofosfato inorganico, il quale è un regolatore endogeno
della mineralizzazione ossea.

• Azioni principale dei bifosfonati: agiscono a livello intracellulare, inibiscono direttamente


gli osteoclasti e alterano la capacità di migrazione, adesione e riassorbimento osseo. Si
concentrano nelle sedi di maggiore rimodellamento osseo dove l’attività osteoclastica è
predominante. Hanno un’emivita superiore a 10 anni, persistendo indefinitivamente
nell’osso.
• Azioni secondarie dei bifosfonati: inibiscono l’angiogenesi e i livelli circolanti di VEGF
(vascular endothelial grow factor). Inoltre, attivano i linfociti T gamma-delta sia in vitro che
in vivo con conseguente promozione dell’attività antineoplastica.
Si hanno tre forme posologiche del farmaco: via orale, via intramuscolo e via endovenosa. La
modalità di assunzione conta molto e le dosi variano in base al paziente.

L’osteonecrosi da bifosfonati
L’intuizione tra assunzione del farmaco e aumento di complicanze era stata intuita da Marx
(inventore del concentrato piastrinico) nel 2000, senza parlare però di osteonecrosi.
Le tipiche lesioni osteonecrotiche da BF si manifestano con tumefazioni, fistole, dolore facciale e
alitosi, fino all’esposizione più o meno importante di corticale ossea mascellare o mandibolare.

L’alendronato è stato nel 2003 il 19° farmaco maggiormente impiegato nel mondo! Nel 2006 in
Italia lo Zoledronato è stato utilizzato nella terapia di 300.000 pazienti oncologici con un aumento
delle prescrizioni del 18% dal 2003 al 2006.

▪ Definizione di BRONJ (osteonecrosi dei mascellari da bifosfonati) del 2003 di Marx:


patologia necrotica sito-specifica del tessuto osseo dei mascellari caratterizzata da una
lenta progressione, una mancata tendenza alla guarigione spontanea e una persistenza
della lesione superiore alle 8 settimane (tempo in cui una complicanza generalmente
guarisce).
▪ Definizione del 2007 di AAOMS: presenza di osso necrotico esposto in cavo orale per più di
8 settimane in un pz in terapia con bifosfonati e mai sottoposto a radioterapia dei
mascellari (testa-collo).
▪ Definizione del 2012 di Bedogni, Fusco: reazione avversa farmaco-correlata caratterizzata
dalla progressiva distruzione e necrosi dell’osso mandibolare e\o mascellare di soggetti
esposti al trattamento con amino-bifosfonati, in assenza di un precedente trattamento
radiante. Questa definizione sostiene che quella del 2007 è limitata perché non prende in
considerazione l’aspetto radiologico ed era troppo ‘clinica’, basata solo su quello che si
vede.
La patofisiologia dell’osteonecrosi da bifosfonati non è ancora del tutto chiara e tra le ipotesi
patogenetiche si ha:
▪ l’apoptosi degli osteoclasti (e osteoblasti)
▪ la riduzione dell’angiogenesi
▪ l’indebolimento delle difese immunitarie e ruolo dell’infezione (ipotesi più accreditata oggi)
Inizialmente si imputava la colpa dell’osteonecrosi all’inibizione dell’angiogenesi da parte dei
bifosfonati ma in realtà ciò non è sufficiente a determinare l’osteonecrosi. Sui tumori vengono
utilizzati veri e propri angiogenetici e l’associazione di questi con i bifosfonati va ad aumentare
molto il rischio di necrosi.

Fattori di rischio per pazienti che NON hanno osteonecrosi ma potrebbero svilupparla:
• Fattori locali:
- avulsione dentaria (il maggior fattore di rischio): la comparsa di lesioni
osteonecrotiche è secondaria ad estrazioni dentarie, interventi iatrogeni ed a
processi infettivi a carico delle ossa mascellari nell’88,9% dei casi. Le lesioni
spontanee sono rare. La terapia con BF determina un ritardo nel fisiologico
processo di guarigione dell’alveolo post estrattivo con conseguente aumento della
suscettibilità ad infezioni batteriche.
- Patologie infiammatorie dento-parodontali: la diffusione di processi infettivi
attraverso il sistema endodontico e parodontale determinano la colonizzazione
batterica del tessuto osseo profondo.
- Chirurgia implantare o rigenerativa: l’aumentata suscettibilità ai processi infettivi
ed il ridotto rimodellamento osseo riducono la predicibilità di queste tecniche.
La terapia implantare nei pazienti in trattamento con BF EV è controindicata.
- Protesi rimovibile incongrua che crea decubiti e irritazioni a livello sottomucoso. La
presenza di manufatti protesici fissi e/o mobili incongrui può determinare lesioni ai
tessuti molli dando luogo alla formazione di ulcere che potrebbero evolvere in
lesioni osteonecrotiche.
- Condizioni anatomiche (es. torus: zone di osso in eccesso che possono essere nel
palato o nel versante interno della mandibola).
- Igiene orale non soddisfacente: la riduzione dell’indice di placca ed indice di
sanguinamento è associato ad una riduzione della comparsa di processi infettivi
acuti a carico dei tessuti oro-dento-parodontali.

• Durata trattamento: il rischio mediano di BRONJ dopo trattamento prolungato con NBP
endovenoso in pazienti onco-ematologici può oscillare tra 1% e 10% a 2 anni dall’inizio del
trattamento con le seguenti precisazioni:
o il rischio risulta più elevato quanto più alta è la dose cumulativa di farmaco
somministrato (sono riportati anche casi di BRONJ ad esordio precoce, dopo poche
somministrazioni);
o non è noto se e di quanto si riduca il rischio di sviluppare BRONJ dopo sospensione
della terapia; in alcuni casi di pazienti lungo sopravviventi è stato infatti segnalato
lo sviluppo tardivo di BRONJ; a volte si chiede di interrompere il farmaco: questo ha
senso solo per farmaci con emivita breve;
o il rischio sembra più elevato per i pazienti affetti da mieloma multiplo rispetto a
quelli trattati per metastasi ossee da carcinoma prostatico e carcinoma mammario;
sono invece sporadici i casi segnalati in pazienti affetti da altri tumori (e.g. polmone,
rene, pancreas);
La maggior parte dei casi di BRONJ è stata osservata in pazienti trattati per anni (in
genere più di 2-3 anni) con una media di 4.6 anni.

• Fattori sistemici: la più ampia correlazione è data da assunzione del farmaco, via di
somministrazione (via endovenosa è più a rischio), dosi cumulative (per più tempo lo si
assume, maggiore è l’interazione con processi di guarigione), durata del trattamento.

Segni clinici, suddivisi in maggiori e minori:

Sintomatologia:
• assenza di dolore;
• odontalgia, non spiegabile con una patologia dento-parodontale in atto;
• dolore ‘osseo’ di tipo gravativo di basso livello ma continuo, ben delimitabile nella sede
(più frequente al corpo mandibolare);
• dolore irradiato alla muscolatura masticatoria e cervicale, che può ricordare quello da
patologia dell’articolazione temporo-mandibolare (dolore miogeno);
• dolore sinusitico;
• iperestesia o dolore di tipo trigeminale (che interessa selettivamente la branca nella sede
di manifestazione di BRONJ);
• parestesia;

Come si arriva alla diagnosi di osteoporosi:


• una buona anamnesi medica, ancor prima di quella odontoiatrica;
• se il pz riferisce di prendere farmaci per osteoporosi, informarsi su tipo\dose\durata;
• esame obiettivo con identificazione del segno clinico (esposizione ossea si\no, fistola si\no)
con valutazione del dolore: se ha male magari ci può essere una infezione mentre se non
ha male si può tenere comunque il pz sotto osservazione;
• immagine radio di primo e secondo livello;

Gli esami strumentali utilizzati sono:


• Ortopantomografia (OPG): permette di acquisire informazioni generali riguardo lo status
della mandibola e del mascellare, utile soprattutto nell’identificazione di eventuali
sequestri ossei e aree osteolitiche combinate ad aree di osteosclerosi; non permette di
differenziare la natura delle lesioni osteolitiche da eventuali metastasi ossee.
• Tomografia computerizzata o cone beat TC (a fascio di cono): fornisce informazioni
dettagliate sul numero e sulla natura di eventuali lesioni osteolitiche ed osteosclerotiche
presenti. In alcuni casi è difficile distinguere l’osso sano dall’osso necrotico, nei casi precoci
o nei casi di prossimità di abbondante corticale ossea. La TC può avere vari aspetti a
seconda di come la si formatta.
Es. una pz che presenta osteonecrosi a livello di un impianto nel primo quadrante: dalla
panoramica nel 90% delle volte si riesce a vedere molto poco per cui se l’odontoiatra non
sapesse già che il soggetto ha osteonecrosi non riuscirebbe a capirlo dalla panoramica; si
potrebbe intuire un’opacizzazione del seno mascellare rispetto all’altro che è più scuro ma
nulla di più. Questo non succede usando la TC con cui si riesce a vedere un seno mascellare
completamente riempito contro un seno mascellare completamente vuoto.
• Risonanza magnetica: esame poco utilizzato per questo tipo di indagine perché è costoso,
gli odontoiatri non sono familiari a questo tipo di indagine e focalizza più il tessuto molle
rispetto a quello duro. Inoltre, non è un esame piacevole per i pz in quanto devono
rimanere fermi per un po' di tempo all’interno del macchinario. La RM è in grado di
valutare il grado di edema del midollo osseo e le zone di ischemia che corrispondono
rispettivamente alle aree di osteomielite e di osteonecrosi, che rappresentano le due più
tipiche forme di presentazione della malattia, quasi sempre coesistenti. Quindi nella
routine questo esame non viene molto usato.
• Scintografia\SPECT: è un esame che fanno molti pz oncologici, basato sull’utilizzo di un
radio-tracciante che si accumula nelle zone con maggiore attività metabolica, dunque è un
esame che mostra le metastasi ossee. Il pz con metastasi ossee a volte viene controllato
con la scintigrafia: in pratica i pz che fanno come esame iniziale la scintigrafia poi vengono
controllati con la scintigrafia, mentre i pz che fanno inizialmente una TC poi vengono
controllati con la TC; quindi l’esame che viene usato inizialmente per il pz rappresenta
l’esame di riferimento per i successivi controlli.
Essendo il pz comunemente in possesso di esami scintigrafici total-body eseguiti prima o in
vicinanza della comparsa dei sintomi di osteonecrosi, le informazioni derivanti dalla
scintigrafia potrebbero fornire un valido supporto per la formulazione del sospetto
diagnostico di BRONJ. Se in una scintigrafia si vede una ipercaptazione a livello dei
mascellari ciò rappresenta un campanello di allarme perché magari la scintigrafia mostra
ipercaptazione qualche mese prima che il pz sviluppi il sintomo; quindi magari il pz arriva al
controllo con una bocca in ordine ma dalla scintigrafia si vede questo segnale e a quel
punto il pz è da inviare a chi se ne occupa oppure nel caso in cui se ne occupi l’odontoiatra
bisognerà tenere il pz sotto stretta osservazione.

Focalizzando l’attenzione sull’OPG e sulla TC, nella tabella sono indicati i segni radiografici non
specifici di BRONJ visibili con questi due esami:

In particolare, il segno clinico più diffuso in assoluto è la sclerosi ossea, che si traduce visivamente
con la presenza di un addensamento osseo, con l’osso che diventa più bianco. Questo aspetto
nella TC assume dimensioni molto importanti: normalmente nella TC si vedono le zone corticali
bianche e l’interno dell’osso grigio, mentre in questa situazione si vede l’osso intorno al dente
molto bianco tanto quanto le zone corticali.

Stadiazione clinica della BRONJ:


2009:
• Stadio 0: non c’è esposizione ossea. Si hanno sintomi aspecifici che non permettono di fare
una diagnosi certa.
• Stadio 1: presenza di osseo necrotico esposto, fistola che sonda nell’osso, in pz
asintomatici senza evidenza di infezione. Non si ha dolore.
• Stadio 2: sintomatico con dolore. Presenza di osso esposto e necrotico, o fistola che sonda
nell’osso, associato ad infezione con dolore, eritema, nella regione dell’osso esposto con o
senza drenaggio purulento.
• Stadio 3: osso necrotico esposto o fistola che sonda nell’osso in pz con dolore, infezione e
una o più delle seguenti condizioni: necrosi che diffonde all’osso basale o regioni extra-
orali, fratture patologiche, fistole extra-orali, comunicazione oro-antrale, osteolisi che si
estende al bordo inferiore della mandibola o del pavimento sinusale. Vi è quindi il
coinvolgimento di sedi extra mandibolari (es. seni).
2012:

La Commissione Speciale raccomanda di cambiare il nome di BRONJ a favore di MRONJ


(medication-related osteonecrosis of the jaw). Questo cambiamento si ha per accomodare il
numero crescente di casi di osteonecrosi a livello della mascella e della mandibola associati ad
altre terapie antiriassorbimento (denosumab) e antiangiogeniche.

Ricordiamo che:
• I bisfosfonati endovena (EV) sono farmaci antiresortivi utilizzati per il trattamento delle
condizioni cancro-correlate, quali l’ipercalcemia maligna, gli eventi scheletrici avversi (SRE)
associati alle metastasi ossee nel contesto di tumori solidi quali tumore alla mammella,
prostata e polmone, e per il trattamento di lesioni litiche nell’ambito del mieloma multiplo.
• I bisfosfonati orali sono utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi e sono frequentemente
utilizzati anche nel trattamento dell’osteopenia. Sono inoltre utilizzati per una varietà di
condizioni meno comuni quali il morbo di Paget e l’osteogenesi imperfetta.

In alternativa ai bifosfonati è stato creato il Denosumab che presenta un meccanismo di azione


differente. Si tratta di un agente antiresortivo che esiste come un anticorpo monoclonale contro il
RANKL ed inibisce la funzione osteoclastica e, di conseguenza, il riassorbimento osseo. Il farmaco
biologico va a lavorare nella comunicazione tra osteoblasto e osteoclasto: mimetizza l’OPG e
interferisce nella comunicazione RANK/RANKL. Il Denosumab mostra una potenza superiore allo
zoledronato e inoltre ha un’emivita più breve (6 mesi) ed è quindi più gestibile.
A differenza dei bifosfonati che inibiscono completamente il modellamento e il rimodellamento, il
Denosumab inibisce il rimodellamento ma non influenza il modellamento (quello che avviene in
orto). Essendo più potente, sembra dia più frequentemente osteonecrosi. I casi peggiori sono chi
arriva da trattamento con bifosfonati e poi fa switch con Denosumab.
Quando il Denosumab è somministrato nei pazienti osteoporotici per via sottocute ogni 6 mesi si
verifica una riduzione del rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e del bacino. Denosumab è
anche usato con efficacia nella riduzione degli SRE correlati alle metastasi ossee da tumori solidi.
In questo caso la somministrazione è mensile. Denosumab non è indicato nel trattamento del
mieloma multiplo.

Gli inibitori dell’Angiogenesi interferiscono con la formazione di un nuovo letto vascolare


legandosi a varie molecole segnale ed interrompendo la cascata dell’angiogenesi. Questi nuovi
farmaci hanno dimostrato avere efficacia nel trattamento dei tumori gastro-intestinali, carcinoma
a cellule renali, tumori neuroendocrini ed altri. Esempi sono Bevacizumab e Sunitinib.

Definizione MRONJ:
1. Pregresso trattamento con terapia antiresortiva o antiangiogenetica.
2. Esposizione ossea o sondaggio osseo attraverso una fistola (intra o extra-orale) in regione
maxillo-facciale presente da più di 8 settimane.
3. No storia di terapia radiante dei mascellari o di metastasi.
Il trattamento della MRONJ dipende dallo stadio della patologia:
• Stadio 1: si ha una chirurgia dento-alveolare:
1. curettage dento-alveolare, con\senza sequestrectomia e fistolectomia;
2. chirurgia resettiva marginale, in caso di recidiva dopo curettage;
con le seguenti indicazioni: terapia antisettica topica, terapia antibiotica sistemica
perioperatoria, sospensione NBP sino a guarigione biologica dei tessuti (4-6 settimane).

• Stadio 2: chirurgia resettiva:


1. marginale;
2. segmentale: in pazienti oncologici o in caso di recidiva dopo resezione
marginale;
con le seguenti indicazioni: terapia antibiotica sistemica perioperatoria, terapia antisettica
topica, sospensione NBP sino a guarigione biologica dei tessuti (4-6 settimane).

• Stadio 3: chirurgia resettiva segmentale (con o senza ricostruzione)


con le seguenti indicazioni: terapia antibiotica sistemica perioperatoria, terapia antisettica
topica, sospensione NBP sino a guarigione biologica dei tessuti (4-6 settimane).

Terapia farmacologica
In caso di MRONJ:
• utilizzo di associazioni antibiotiche:
- penicilline (attive contro Gram- negativi e Gram-positivi β-lattamasi resistenti);
- metronidazolo (attivo contro anaerobi, particolarmente Bacteroides spp. e cocchi
gram- positivi);
• durata della terapia: da un minimo di 7 ad un massimo di 14 giorni, a dosaggio pieno;
• via di somministrazione per os nel paziente non ospedalizzato; preferibile
somministrazione e.v. in caso di ospedalizzazione per complicanze infettive o interventi
chirurgici associati;
• molecole alternative (i.e. eritromicina, clindamicina o ciprofloxacina) da utilizzarsi in caso di
allergie a penicilline\cefalosporine, di comprovata inefficacia del trattamento standard, di
disturbi legati all’assunzione o di problemi di funzionalità renale;

Alternative terapeutiche
• Ozonoterapia, che presenta le seguenti caratteristiche:
- potere antimicrobico, contro batteri aerobi e anaerobi, miceti, virus;
- stimolazione del sistema circolatorio, con incremento del tasso di emoglobina e dei
globuli rossi e miglioramento dell’ossigenazione tissutale;
- modulazione di cellule immunitarie, agendo come una citochina, con aumento della
fagocitosi e diapedesi dei fagociti;
- riduzione del dolore;
• Laserterapia: l’applicazione di laser a bassa intensità (Low Level Laser Therapy – LLLT) è
stata riportata con successo nella gestione delle BRONJ. L’effetto biostimolante di
numerose lunghezze d’onda migliora i processi riparativi, aumenta la matrice ossea
inorganica e l’indice mitotico degli osteoblasti nonché stimola la crescita dei vasi sanguigni
e linfatici.
• Teriparatide: è una molecola derivata dal paratormone, è utilizzato nel trattamento della
osteoporosi severa da ormai una decina di anni. Il suo meccanismo d’azione consiste nella
stimolazione della produzione ossea da parte degli osteoblasti. Ha quindi un effetto
anabolico diretto sull’osso, aumentando la massa e la resistenza dell’osso stesso,
diversamente dai bisfosfonati che contrastano la perdita di massa ossea bloccando il
rimaneggiamento osteoclasto-mediato.

Quando si può parlare di guarigione?


• Guarigione: assenza di sintomi e segni clinici maggiori e minori, e segni radiologici di
malattia alla TC o RM, ad 1 anno dal completamento del trattamento.
• Remissione: scomparsa dei sintomi (dolore) e dei segni clinici associati alla malattia, in
presenza di stabilità radiologica alla TC o RM.
• Recidiva: comparsa di BRONJ (clinico-radiologica) nella stessa sede trattata o in una sede
contigua entro un anno dal termine del trattamento.
• Nuova localizzazione: comparsa di BRONJ (clinico-radiologica) in una sede diversa da
quella identificata in precedenza. Per fare diagnosi di nuova localizzazione in sedi contigue
ad aree già trattate deve essere trascorso un anno in assenza di segni clinico-radiologici di
malattia dal precedente trattamento.

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