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AFP Completo
• Esame obiettivo
• Pedigree
Una delle caratteristiche dell’esame obiettivo è quello della ricerca delle anomalie minori che potrebbero essere
marcatrici di una data patologia, in particolare alcune anomalie minori possono fornire un pattern specifico per
una specifica patologia (ad esempio la sindrome di Marfan presenta una serie di anomalie minori che non hanno
conseguenze mediche ma se presenti in un certo numero possono suggerire la diagnosi).
In genere viene presa in considerazione l’idea di una malattia genetica quando sono presenti:
1. Più di 3 anomalie minori
2. Più di una anomalia maggiore
3. Un’anomalia maggiore con anomalie minori
Il termine che viene usato per descrivere queste anomalie è “segno dismorfico”, cioè anomalie di struttura, di
forma o di dimensioni, ad esempio il filtro piatto, righe palpebrali rivolte verso l’alto e molteplici altre. Ci sono
anche caratteristiche in genere non presenti come appendice auricolare, un dito in più o un capezzolo
sopranumerario.
I segni dismorfici però non sono specifici per le patologie, infatti più del 4% della popolazione presenta segni
dismorfici, senza avere nessuna patologia, per cui più che sul singolo segno dismorfico, è importante
concentrarsi sul pattern dei segni dismorfici.
Se si sospetta una malattia genetica è possibile fare determinati esami come il cariotipo, la FISH (interroga
determinate porzioni di cromosoma co duplicazioni e delezioni e necessita di un sospetto diagnostico), la RCGH
(coniuga cariotipo standard e FISH), sequenziamento del DNA.
Questo bambino presenta la sindrome di Williams, la facies è caratteristica e ha una stenosi aortica
sopravalvolare.
Nel caso di sospetto diagnostico si esegue una FISH specifica per 7q11.23. attualmente anche la CGH può
individuare rotture cromosomiche.
Noi parleremo del cancro come malattia genetica, daremo dei cenni di terminologia dei tumori infantili, e
spiegheremo perché, e parleremo dei tumori ereditari, prendendo come paradigma l’esempio del
Neuroblastoma (tipico tumore più presente in età pediatrica). SLIDE1
Domanda ad una ragazza intervenuta dicendo che l’argomento oncogeni/oncosoppressori era già stato
trattato: “I tumori sono una malattia ereditaria?”. Risposta della ragazza: “Dipende, i tumori sono
considerati malattie multifattoriali, cioè che dipendono sia da fattori genetici che ambientali, e ci sono dei
tumori che possono essere appunto ereditari. In realtà, più che il tumore, viene ereditata una
predisposizione al tumore, e in base alla teoria del second hit: una mutazione viene ereditata dai genitori,
e poi nel corso della vita è possibile accumulare un’altra mutazione somatica che può portare
all’insorgenza del tumore vero e proprio.
Ora, se noi guardiamo questa slide, vi rendete conto che c’è lo stesso DNA in uno zigote, in un feto
all’ottava o alla 13esima settimana, così come a 6 mesi, così come verso la fine del periodo fetale, così
come in un neonato. Evidentemente, essendo lo stesso il DNA, quello che cambia è l’espressione.
Un’altra cosa da prendere in considerazione, voi lo sapete, ma lo ricordiamo, è che se voi applicate uno
stimolo (qualsivoglia stimolo, che sia fisico, chimico, anche meccanico) ad una cellula, questa cellula ha
sostanzialmente 3 possibilità di azione, che sono:
1) Differenziarsi, cioè mettere in atto una serie di trascrizioni di alcuni geni che permettono di diventare
una cellula sempre più differenziata
2) Mettere in atto un meccanismo per cui da una cellula ne diventa 2, perciò si replica
3) Oppure, nell’incapacità dei 2 meccanismi precedenti, soprattutto per un eventuale errore, la cellula
va incontro ad una morte programmata che si chiama Apoptosi
Non si esce da questo paradigma.
Qualora il processo apoptotico, in uno dei suoi meccanismi, non funzioni; e non funzioni neanche il
processo di differenziazione o di replicazione, la cellula non può fare altro che dare vita ad un fenomeno
di crescita incontrollata che poi sostanzialmente è la base molecolare del cancro.
Voi sapete molto bene, la collega prima lo ha anche detto, che il cancro è una malattia multifattoriale, che
quindi dipende dall’incontro tra il genoma e l’ambiente. Come già aveva stabilito Darwin, il peso del
genoma è sostanzialmente inversamente proporzionale al peso dell’ambiente. E come voi vedete nella
figura, man mano che aumenta il peso dei geni si va verso le malattie monogeniche(mendeliane), man
mano che diminuisce il peso dei geni si va verso le malattie multifattoriali. Fino a diminuire a tal punto
che ci sono malattie che sono puramente ambientali. Però, la componente ambientale, o la componente
genetica, è sempre una componente prioritaria? Potremmo dire no, perché il fenotipo dipende in qualsiasi
caso da un’interazione di un genoma con un ambiente.
Prendiamo il classico esempio di una malattia genetica monogenica: la Fenilchetonuria.
È una malattia metabolica, è tra le malattie sottoposte a screening di popolazione neonatale. Nella
fenilchetonuria il fenotipo dipende dal genoma, ma dipende dal genoma così come interagisce con
l’ambiente. Perché se il bambino, già alla nascita riceve una terapia con alimenti poveri di fenilalanina, la
malattia stessa ha una manifestazione completamente differente, per cui vedete bene, il fenotipo di una
malattia mendeliana pura dipende comunque anche dall’ambiente.
Per esempio, il deficit di G6PD vi porta, se mangiate le fave, al favismo. È una malattia mendeliana?
Certo, è una malattia mendeliana x linked. Ma se voi non mangiate le fave, se non avete l’incontro con
questo nutrimento ambientale; se non ponete le emazie a questo stress ossidativo non avrete l’emolisi.
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Per cui si può arrivare all’assunto che c’è una componente ambientale in malattie monogeniche pure, come
la fibrosi cistica o la fenilchetonuria, così come d’altra parte è possibile immaginare che in un incidente
stradale, per esempio, che è giocoforza dovuta all’ambiente (alla macchina ecc) c’è una controparte che è
rappresentata dal genoma, perché esistono delle forme di deficit dell’attenzione che sono geneticamente
determinate.
È chiaro quindi che noi abbiamo, nella definizione di un fenotipo, sempre(anche per la malattia mendeliana
o multifattoriale) un’interazione tra un gene - che può essere più o meno predominante - un genoma e
l’ambiente. Tutti e 3 determinano un fenotipo. Poi a seconda del peso di questo gene una malattia può
essere monogenica o multifattoriale
E ricordiamoci, che c’è, tra queste malattie, un continuum, non è che da una parte ci sono le monogeniche
e da un’altra parte ci sono le multifattoriali.
Ci sono malattie, che chiamiamo specificamente monogeniche (talassemie, fenilchetonuria), per cui una
malattia inizia con l’essere una malattia mendeliana oligogenica fino ad arrivare ad essere una malattia
poligenica (si parla di tratti complessi).
In tutto ciò, i tumori entrano proprio in questo capitolo, perché il peso dei tumori è certamente dettato
dall’interazione del genoma con l’ambiente. Però, quanto peso il genoma, e quanto l’ambiente, è
dipendente dall’età, dalla vita specifica del soggetto.
Ovvero, in un età precoce, in un tumore durante i primi anni di vita(tumore dell’età pediatrica), il peso
dell’ambiente diventa meno rilevante rispetto a quanto è il peso del genoma. Di questo ve ne rendete conto
anche in maniera intuitiva, perché c’è una minore esposizione alle noxa ambientali, per cui l’ambiente ha
potuto modificare. Mentre, per un tumore che sorge durante l’età adulta o durante la senescenza
dell’individuo, la componente ambientale è maggiore della componente genomica.
E se noi guardiamo come sono diffusi i tumori, e che istotipi ci sono, nell’età pediatrica rispetto all’età
adulta ci accorgiamo che questo fatto è vero: questa per esempio, è una tabella generale, che benché sia
un po’ vecchia è ancora valida nella sua definizione degli istotipi: in età adulta i tumori che vanno per la
maggiore sono i tumori della mammella, prostata, polmone, colon-retto; in minor quantità il tumore della
vescica ed alcuni linfomi.
Vedete, questa è la definizione dei tumori dell’adulto. Vediamo invece l’analoga definizione per i tumori
presenti nell’età pediatrica, cioè nell’intervallo 0-14 anni.
Cosa osserviamo? Che ¼ dei tumori sono costituiti dalle leucemie linfoblasti che acute, un altro quarto
dai tumori del SNC, poi abbiamo un 10% circa di neuroblastoma, nefroblastoma, ancora una volta linfoma
e poi una serie di tumori differenti che sono retinblastoma; osteosarcoma; tumore a cellule germinali…
Come vedete, quindi vediamo una epidemiologia ed istotipi differenti tra adulti e bambini. Questa è
l’implicita dimostrazione del differente peso che ha il genoma dell’età pediatrica rispetto all’età adulta. In
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questi tumori dell’età pediatrica il genoma pesa molto di più che nell’età adulta.
Vediamo com’è diffusa l’assistenza dei pazienti pediatrici affetti da tumori in Italia. Dovete sapere che
esiste una rete operativa, la Rete di Oncologia Pediatrica, che è una rete nazionale, per cui in tutte le regioni
ci sono un certo numero di centri in rapporto alla quantità di abitanti di quella regione. In questi centri
possono essere curati i soggetti in età pediatrica affetti da tumori.
Quello che voglio dire ora, è una piccola osservazione che vorrei fare, che viene a volte chiesta anche in
ambulatorio. In ambulatorio vediamo purtroppo quotidianamente persone che vengono per problemi di
tumori ereditari. Tra questi, tumori sia pediatrici che dell’adulto.
Per quanto riguarda i tumori pediatrici, si discute moltissimo della problematica della Terra dei Fuochi; si
è detto che gli scarichi nella terra dei fuochi hanno fatto aumentare i tumori nell’Italia meridionale e in
particolare nella zone del casertano.
Vediamo un po’ l’incidenza dei tumori pediatrici in Italia nell’intervallo che va dagli inizi degli anni ’90
ai primi 15 anni del nuovo secolo: come voi vedete c’è un lento incremento dell’incidenza dei tumori
pediatrici.
E se noi andiamo a vedere come sono divisi per gli istotipi maggiori(abbiamo detto in età pediatrica tumori
del SNC, leucemia e neuroblastoma), come voi vedete l’andamento è uguale per tutti i tipi di tumori.
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Per cui non c’è una differenza regionale rispetto a quella nazionale.
E se vogliamo, se guardiamo qual è l’andamento delle varie province: tra Terra dei Fuochi, Napoli,
Avellino, Salerno.. il trend è lo stesso in tutta la regione.
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Vi faccio questo esempio: “tempo fa è venuto in ambulatorio un ragazzo accompagnato dalla fidanzata.
Si volevano sposare e quindi chiedevano una consulenza pre-matrimoniale.
Notai che il ragazzo guardava in maniera strana, aveva uno sguardo particolare, in effetti questo ragazzo
aveva un occhio finto. Quindi aveva solo un occhio funzionante, l’altro era finto. Ad un certo punto il
ragazzo chiede di far entrare anche il fratello. Anche il fratello aveva solo un occhio.
Mi raccontarono la storia della famiglia: avevano una mamma la quale aveva avuto un Retinoblastoma,
era stata operata, e alcuni anni dopo le è venuta una leucemia linfoblastica acuta, che nell’adulto è molto
più grave che in età pediatrica. È morta.
La sorella della mamma, quindi la zia, era morta per un Ca mammario.
Qual era il problema? Il problema è che loro(il ragazzo e la ragazza) mi chiedevano se era possibile fare
una diagnosi prenatale per Retinoblastoma. Perché, se guardate l’albero: la mamma ha il retino blastoma
e sia lui che il fratello hanno il retino blastoma.
Voi cosa avreste risposto? nessuna risposta, prof deluso
Evidentemente, la risposta era che loro avevano un rischio di retino blastoma, non una sicurezza di retino
blastoma. La valutazione del rischio si poteva fare, era possibile anche sapere se loro avevano ereditato o
meno questo rischio, perché questo rischio era ereditato con una mutazione su un gene che si trova sul
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Cromosoma 17, per cui si poteva fare un indagine prenatale. Ma non era etico fare una prenatale per un
rischio. Infine si sono sposati, ho visto la bambina che era nata, alla quale abbiamo fatto prelievo di sangue
e non ha ereditato la variante in oggetto.” Però, come vedete, la parola rischio in questo nucleo familiare
è molto forte, a tal punto da sembrare un carattere mendeliano autosomico dominante.
Va anche detto che il padre di questo signore aveva un Ca polmonare, però in tarda età, che non andava
confuso con questi tumori. Per cui, quando fate una valutazione sul peso del genoma di un nucleo
familiare, è ovvio che devono esserci alcune caratteristiche: siccome c’è un rapporto inverso tra il peso
del genoma in una neoplasia e l’età del soggetto, allora se il soggetto ha un Ca polmonare a 70 anni,
evidentemente il peso del genoma è inferiore. Ed è difficile pensare che un’unica mutazione predisponente
possa avere un peso nello spiegare l’esordio tardivo di questa patologia. Mentre, qualora risultasse una
patologia oncologica in età pediatrica o nel giovane adulto, il peso del genoma è maggiore e allora va
cercata una mutazione in qualche gene che può avere un effetto dominante.
Nello specifico, nel nucleo di prima la patologia era il retino blastoma: è un tumore aggressivo che colpisce
la retina in età infantile, spesso nel 1° o 2° anno di vita, ha un’incidenza di 1 caso su 20.000 nascite, quindi
in Campania se ne registra 2-3 all’anno, e di questi, il 60% sono casi sporadici e il 40% sono casi ereditari.
Esiste una diversa modalità di comparsa, perché molto spesso il tumore è Bilaterale nelle forme ereditarie
e monolaterale in quelle sporadiche.
Il gene la cui mutazione porta all’insorgenza del Retinoblastoma si trova sul Braccio lungo del Cromosoma
13 (13q14).
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Facciamo attenzione a non fare confusione e a non considerare le parole “ereditaria” e “familiare” come
sinonimi. Le neoplasie ereditarie sono quelle associate a mutazioni germinali che conferiscono un rischio
di cancro elevato. Spesso > 50%, anche se mancano in letteratura delle cifre sicure (perché variano in
rapporto all’età).
L’espressione “cancro familiare” viene usato da molti come sinonimo del termine precedente, anche se
molti intendono questo termine riferito alla ricorrenza familiare del cancro, > 1 caso per famiglia. Non
necessariamente dovuto alla presenza di una predisposizione. Per esempio, in zona di grande inquinamento
(ex zona dell’Ilva di Taranto o in zone dove ci sono stati casi di Asbestosi), abbiamo che anche più soggetti,
che semmai lavoravano nella stessa fabbrica, hanno avuto un cancro del polmone, o un mesotelioma
pleurico. Ma solamente perché sono stati entrambi (questi soggetti) esposti allo stesso ambiente, quindi
alla stessa noxa patogena. Ma in questo non c’era nulla di ereditario.
Ricordiamoci che nella storia clinica di questo soggetto, quando fate l’analisi è essenziale, come scritto
nella tabella, fare un albero che sia almeno di 3 generazioni, in modo da chiarificare il pattern di eredità,
sia esso dominante, recessivo o x linked.
Avere un report della presenza di sindromi in una certa popolazione; investigare su tutta la storia familiare
per quanto riguarda la presenza di tumori, ma al tempo stesso essere molto precisi per quanto riguarda la
costruzione dell’albero e la designazione dell’età a cui è stata fatta la diagnosi di cancro: una cosa è dire
perché la mamma è morta di cancro della mammella a 77 anni, un’altra cosa è dire che è morta per cancro
della mammella a 37 anni… cause del decesso, sede del tumore, ricorso a chirurgie di vario tipo e così
via.
I meccanismi ereditari dei tumori: possono essere sia dominanti, che recessivi, che x linked, che per perdita
dell’imprinting (tumore di Wilms), oppure per Isodisomia uni parentale(pezzi di cromosoma ricevuti dallo
stesso genitore)
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Sul mio sito c’è una pubblicazione che ho fatto sui tumori ereditari: questi sono esempi di sindromi
genetiche e che tipo di tumori possono dare.
Ce ne sono tantissime, alcune molto famose, per esempio la Malattia endocrina multipla, il tumore della
mammella e così via, non entriamo nei particolari.
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Ricordate che, tra le sindromi, il Cancro della mammella e dell’ovaio, la Poliposi familiare adenomatosa,
il Carcinoma del colon retto, la sindrome di LI-Fraumeni, la Sindrome di Vin Hippel-Lindau, tumore di
Wilms… quante sindromi associate al cancro.
Volevo attirare la vostra attenzione su una cosa che dovreste già conoscere, ma che preferisco (ribadire).
Abbiamo detto che la predisposizione è data dalla presenza di mutazioni che possono essere ereditate. Se
noi guardiamo, in generale, il ciclo cellulare, quest’ultimo dipende, nel suo avanzamento, dalla produzione
ciclica di complessi formati da Cicline e da Chinasi cicline dipendenti. Questi complessi vengono
fosforilati e vengono defosforilati. Il complesso Chinasi-Ciclina dipendente a sua volta fosforila una
proteina-substrato, che è la proteina del Retinoblastoma(ne fosforila anche altre come la p107 o p130),
questo fa sì che questa proteina subisca una modifica per cui dalla tasca interna della proteina fuoriescano
una serie di fattori trascrizionali(tra cui il fattore E2F) che attivano la trascrizione di geni la cui espressione
fa passare la cellula in una fase successiva del ciclo cellulare.
Come voi vedete, le Chinasi, che si uniscono alle Cicline, hanno degli inibitori specifici, perché, capirete
bene, che la loro azione è molto potente e se non controllata potrebbero far andare la cellula verso un
tumore. Questi inibitori sono sostanzialmente di 2 famiglie: famiglia di p21/p27/p57(famiglia Cip/Kip),
l’altra è la famiglia di p16(o INK4).
I 2 meccanismi di azione delle proteine appartenenti a queste famiglie è profondamente differente: mentre
la p16 - e le proteine correlate – competono con la ciclina per occupare il sito catalitico della Chinasi, le
p21/p27/p57 inibiscono il complesso chinasi-ciclina una volta che questo si sia formato.
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Queste proteine (Famiglia Cip/Kip) quindi agisce sul sistema ciclina-chinasi inibendolo. Quindi possiamo
dire che le cicline e le chinasi sono degli Oncogeni, perché hanno un effetto di Gain of function, una volta
mutate, sulla funzionalità re plicativa della cellula.
Mentre gli inibitori del ciclo cellulare sono sicuramente delle proteine Oncosoppressive, perché
sopprimono la capacità re plicativa del ciclo cellulare.
Mentre le prime (Famiglia Cip/Kip) agiscono mutando e passando da Protooncogeni ad oncogeni, le
Seconde (famiglia INK4) agiscono perdendosi come azione. Ed hanno, la prima una caratteristica eredità
di tipo dominante, le seconda una caratteristica eredità di tipo recessivo.
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L’altra caratteristica è quella dei melanomi familiari, come vedete in, in alcune famiglie:
Il melanoma (ma anche altri tumori). In questa famiglia c’è una mutazione del gene INK4A, cioè p16, che
è proprio quell’Oncosoppressore che abbiamo visto prima e che doveva bloccare il sistema chinasi-ciclina
dipendente.
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Volevo ricordare anche questi geni sottoposti ad imprinting: il gene WT1, il gene del tumore di Wilms(non
è che il gene del tumore di Wilms esiste perché fa venire il tumore di Wilms. Si chiama così perché è stato
scoperto che è coinvolto in alcuni tipi di tumori di Wilms).
Un’altra sindrome caratteristica (come predisposizione) è la Von Hippel-Lindau, che, come voi vedete, si
manifesta con Emangioma cerebellare, spinale e midollare, cisti pancreatiche, carcinomi, feocromocitomi
ecc.
La patologia dell Von Hippel-Lindau è dovuta ad una mutazione in un gene che è un fattore di
sensibilizzazione della giusta quantità di ossigeno(HIF).
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La proteina del Von Hippel-Lindau si recepisce nel soggetto come predisposizione, e la predisposizione è
ereditata in maniera dominante. Mentre, per la comparsa del tumore, c’è bisogno del secondo hit, cioè, a
livello somatico, deve avvenire una seconda mutazione dello stesso gene.
Ricordiamo il ruolo della genetica della Von Hippel-Lindau: il mio gruppo, come genetisti clinici, fa parte
di un gruppo multidisciplinare (al Pausylipon). Per ognuno dei bambini facciamo un corretto studio
familiare, un corretto studio del paziente. Cerchiamo delle mutazioni in caratteristici geni. Come
cerchiamo? Abbiamo dei pannelli, in NGS, in cui ci sono 108 geni, tutti che danno predisposizione per
tumori ereditari. Per cui stabiliamo se ci sono mutazioni in questi geni. Dopodiché facciamo anche una
CGHRE per vedere se ci sono delezioni che possono aver causato la perdita di alcuni di questi geni.
Altra cosa da tenere in considerazione è che qualora venga operato il bambino, facciamo uno studio
sull’esoma delle cellule cancerose, per vedere se esistono delle caratteristiche farmaco-metaboliche, se ci
sono dei target farmacologiche, se esistono delle proteine mutate caratteristiche del tumore che possono
essere target di farmaci.
Per quanto riguarda tumori con estrinsecazione può tardiva, qui vedete il caso del neuroblastoma:
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Perché il neonato presenta delle condizioni cliniche per cui manifesta un eritema proprio che rende difficile
verificare una colorazione giallastra sulla sua cute, è quindi necessaria una maggiore quantità di questo
metabolita per riuscire a distinguerla.
In ragione della distribuzione dell’ittero sulla superficie del corpo, vediamo in questa figura che i livelli di
bilirubina necessari per operare una diagnosi cambiano in funzione della zona corporea che abbiamo a
disposizione.
Immaginiamo di avere a disposizione la faccia del soggetto: 4/4,5 mg di bilirubina nel sangue sono sufficienti
per la diagnosi, ma se abbiamo a disposizione il palmo della mano, allora per diagnosticare una condizione di
iperbilirubinemia ci sarà bisogno di una concentrazione maggiore di 15 mg.
Il valore di bilirubina ematica ha una soglia limite al di sopra della quale si manifestano patologie dovute a
iperbilirubinemia tra cui la principale è il cosiddetto “kernicterus”, una condizione caratterizzata da
deposizione di bilirubina in tessuti di ordine lipidico e attraversamento della barriera emato-encefalica. La
bilirubina va a colpire i neuroni, soprattutto quelli dei gangli della base, questo può portare gravi conseguenze,
tra cui la morte del soggetto. È quindi necessario evitare il superamento della soglia limite precedentemente
citata.
Essa deriva dal catabolismo dell’Eme, un composto prodotto quotidianamente in quantità pari a:
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Il restante 25% deriva dall’eritropoiesi inefficace, ovvero quel processo in cui vengono sintetizzati globuli rossi
imperfetti, che per anomalie nella forma o nel contenuto vengono eliminati nel midollo stesso. Esistono anche
delle cause ereditarie per cui la eritropoiesi non può essere portata a termine (si parla di diseritropoiesi) e quindi
la quantità di bilirubina ricavata da quest’ultimo processo cresce, al punto che si possono avere itteri sostenuti
soltanto da eritropoiesi inefficace, come avviene nelle anemie diseritropoietiche congenite.
Qual è il destino della bilirubina? Essa circola nel sangue legata ad uno specifico carrier, l’albumina. Questo
serve a stabilizzare la bilirubina, che sotto questa forma può giungere al suo organo di escrezione: il fegato.
Arrivato a livello della cellula epatica, l’albumina viene ceduta ad un trasportatore che la porta all’interno del
citosol dell’epatocita, dove a livello del RE avviene una doppia coniugazione della bilirubina. In una prima
coniugazione si formano monoglicuronidi, nella seconda, diglicuronidi. Il rapporto tra monoglicuronidi e
diglicuronidi è fisso e deve rimanere tale.
I monoglicuronidi rappresentano il 5% del totale, mentre i diglicuronidi il 95%. Qualora si abbiano delle
modifiche di questo rapporto, cioè se i monoglicuronidi aumentano, la bile perde la sua fluidità e viene convertita
in “bile spessa”, la base fisiologica della formazione dei calcoli della colecisti.
Una volta coniugata, la bilirubina attraversa la parte interna della cellula che delimita il canalicolo biliare
mediante altri trasportatori che appartengono alla classe delle proteine MDR, responsabili anche della multidrug
resistance.
È evidente che la bilirubina è tossica per il nostro organismo, che deve liberarsene. Come avviene per la maggior
parte delle sostante tossiche esiste uno specifico sistema enzimatico di metabolizzazione che se ne occupa. La
metabolizzazione avviene in due fasi:
• una prima fase in cui enzimi appartenenti alla categoria dei citocromi permettono il trasporto di una
carica elettrica alla sostanza stessa. Questi enzimi fanno sì che si creino dei gruppi elettrofili aventi un
grande potere tossico che devono essere eliminati in centesimi di secondo dalla cellula mediante la fase
successiva.
• una seconda fase in cui si verifica una nuova coniugazione con diverse molecole, come glicuronidi, come
quelli di cui ci occuperemo oggi. Questi gruppi fanno in modo che la sostanza possa poi essere escreta
sotto forma di monoglicuronide o diglicuronide.
Esistono altre forme di coniugasi, che prevedono un legame con solfato o glutatione.
È evidente che il sistema di glicuronazione è importante per la vita della cellula. Esso è regolato da geni che si
trovano nel nostro DNA. Qualora una proteina sia particolarmente importante, questa deve essere preservata da
una sua eventuale inattivazione. Uno dei meccanismi evoluzionistici che permette di far ciò è quello di
aumentare le copie del gene che producono quella proteina stessa.
Lo abbiamo già visto in una delle prime lezioni in cui abbiamo parlato di emoglobina. L’emoglobina è una
proteina tetramerica formata da catane alpha e catene non alpha. Le prime sono codificate da un cluster di geni
che si trova sul cromosoma 16, mentre le seconde da un cluster di geni situato sul cromosoma 11.
Osserviamo ciò che accade per il sistema della glicuronazione.
Le proteine che partecipano alla glicuronazione sono molto importanti, perché permettono l’eliminazione di
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sostanze tossiche, come farmaci o sostanze che entrano nel nostro organismo mediante i nutrienti o che ancora,
il nostro stesso organismo produce, come bilirubina o ormoni steroidei.
Esse devono quindi essere protette, come già detto, da un’eventuale inattivazione.
Il numero di geni che codificano per queste proteine è quindi aumentato: nel nostro genoma troviamo 16 geni
che codificano per UGT.
Questi 16 geni sono dividi in due classi: una prima classe che si trova sul braccio lungo del cromosoma 2 in
posizione 3.7 e una seconda classe che si trova sul braccio lungo del cromosoma 4 in posizione 1.3.
È evidente quindi, come vediamo, che questo
sistema somiglia molto a quello dell’emoglobina.
Se guardiamo alla sequenza di ognuno di questi
geni, vediamo che essi possono essere ordinati in
base alle loro similitudini.
L’altra cosa particolarmente importante è che questo sistema UGT si trova in tutte le specie.
Se guardiamo alla sequenza del gene UGT nell’uomo e la confrontiamo con quella del topo, del ratto e del cane,
si può notare che in molti punti la sequenza della proteina è omologa.
Da questo possiamo capire che ci sono dei punti fissi, in cui la proteina non può cambiare, pena la perdita della
sua funzione.
Ci sono invece dei punti che differiscono tra le diverse specie, il che ci porta a pensare che mutazioni a carico
di queste zone non interferiscono con la funzione della proteina.
unica. È interessante notare che il sito catalitico (la parte effettivamente attiva dell’enzima, quella che, come
detto in precedenza, non muta) è interamente codificata dagli esoni 2, 3, 4 e 5, mentre la parte che lega il
substrato cambia in ragione del tipo di esone 1 che viene utilizzato. Questo gene produce quindi 14 proteine
differenti, tutte quante che fanno glucurono-coniugazione.
Il paradigma, il dogma centrale “un gene-una proteina” viene ancora una volta meno.
In questo caso un gene produce 14 proteine.
Un’ulteriore caratteristica di queste proteine è che esse non funzionano come monomero, ma come dimero.
Questo dimero è attivo solo se inserito in un doppio strato lipidico. Per costituire il dimero, sono necessari dei
gruppi cisteinici che fanno ponti disolfuro e degli stretch di prolina che rendono possibile l’inserimento dei due
monomeri nel doppio strato lipidico. Se cambiamo i residui di cisteina o di prolina, inattiviamo la proteina,
perché non le permettiamo di dimerizzare o di inserirsi nel doppio strato lipidico.
Inoltre, c’è da dire che, nonostante i geni UGT siano uguali in ogni cellula, perché contenuti nel nostro DNA, la
loro espressione è tessuto specifica.
Prendiamo in considerazione il gene UGT1A1,
esso è un gene ad espressione epatica.
Questa isoforma è responsabile del 90% del
metabolismo della bilirubina. Come abbiamo
detto, è specifica del fegato, se la cerchiamo nel
tessuto duodenale non la troveremo. C’è una
tessuto-specificità.
Al momento della nascita, i livelli di questo gene sono solo un terzo dei valori normali, soltanto alla fine del
primo anno di vita si raggiungono i valori fisiologici dell’attività di glucurono-coniugazione.
Quello che succede è che durante la vita perinatale - quando il neonato nasce - c’è una maggiore
rottura(citoriduzione) dei globuli rossi per portare i 20 gr di emoglobina presenti nel funicolo biliare ai 14 gr e
anche meno presenti durante i primi mesi di vita. Quindi si verifica una grande citoriduzione con una maggiore
produzione di eme e bilirubina. Tuttavia, come abbiamo visto, nei primi mesi di vita del nascituro vi è una ridotta
attività enzimatica. Questa discrepanza è la base fisiologica del cosiddetto “ittero fisiologico” del neonato.
Qualora ci sia una causa che aumenta la rottura dei globuli rossi, o la presenza di una quantità aumentata di eme
(come malattie emolitiche) o un cefalo ematoma, abbiamo un ittero che può diventare anche patologico, fino al
“kernicterus”.
Solitamente, quasi tutti i sistemi enzimatici che si accendono dopo la nascita sono dotati di un centro di
regolazione. Questi centri di regolazione sono quasi sempre inducibili farmacologicamente. Nello specifico il
sistema UGT1A1 è inducibile con sostanze come “desametazone” o sostanze presenti in particolari tipi di
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verdure come le brasicacee, verdure a foglia larga come i broccoli, che contengono sostanze in grado di stimolare
l’espressione del gene.
Possiamo quindi dire che soggetti che hanno un ittero cronico, possono avere un giovamento dal consumo di
questi alimenti.
Questo esperimento ci permette di suddividere le malattie causate da un eccesso di bilirubina in tre gruppi:
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L’altro meccanismo da tenere in considerazione è un meccanismo molto rilevante nelle malattie autosomiche
dominanti ed X linked: le mutazioni de novo. Ricordiamo che 1/3 delle patologie X linked sono causate da
mutazioni de novo.
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Cosa cambia?
5 e 6 ripetizioni permettono la stessa attività trascrizionale, mentre 7 e 8 riducono l’efficienza trascrizionale dal
100% al 30%. Per cui, se un genitore ha una normale struttura del gene, ma un promotore TA a 7, riduce la
propria capacità trascrizionale e questo gene (ereditato dal bambino) produrrà solo il 30% di proteine.
L’altro genitore invece, dà al figlio un gene dotato di un normale promotore (espressione proteica al 100%), ma
che presenta una mutazione negli esoni. Questa mutazione produce una proteina non attiva funzionalmente.
Questo non sarebbe un grosso problema se la proteina funzionasse come monomero, perché gli enzimi
funzionano anche in quantità minore. Però questa proteina funziona come dimero.
Poiché la proteina più espressa è quella difettosa, perché il promotore garantisce un’espressione del 100%, è
molto più probabile che si formino dimeri con le proteine non funzionanti, rispetto a dimeri costituiti da due
proteine funzionanti o da una proteina difettosa e da una normale.
Ci sarà attività proteica solo nell’improbabile caso in cui due monomeri funzionanti si assemblino.
Ecco perché, in questi casi, possiamo avere l’insorgenza della patologia anche con un solo genitore portatore:
l’attività enzimatica, per i motivi descritti, scende dal 100% al 15%. Il soggetto finisce per essere affetto da
CN2, una malattia autosomica recessiva, avendo un unico genitore portatore.
Domanda: si può avere una desensibilizzazione dell’enzima, dopo un lungo utilizzo di fenobarbital?
Non c’è rischio di desensibilizzazione, ma ci possono essere altri effetti collaterali.
Recentemente è venuto da noi un uomo che faceva il muratore, aveva CN2. Per questioni sociali, egli veniva
spesso discriminato, in quanto l’ittero è spesso visto, erroneamente, come una malattia infettiva. Quest’uomo
chiedeva quindi un farmaco che potesse attenuare le manifestazioni itteriche. Abbiamo proceduto
prescrivendogli fenobarbital: l’ittero è sparito, ma il fenobarbital ha avuto conseguenza sul suo sistema nervoso
centrale (in quanto anti convulsionante). Abbiamo interrotto la somministrazione, in quanto questi effetti
sarebbero stati pericolosi per il suo lavoro, spesso svolto su impalcature a grandi altezze.
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Tra le mutazioni più comuni a carico del gene UGT1A1 troviamo una delezione di 13 bp. È una delezione in
frameshift ed ha effetti gravi in quanto può portare a zero l’attività dell’enzima.
Questa delezione si trova in soggetti differenti: consideriamo due soggetti che presentano questa mutazione, uno
nato a Messina, l’altro a Milano. Diremmo mai che sono parenti?
Queste mutazioni sono dovute alla presenza di un effetto fondatore, quella condizione in cui una mutazione
deriva da un soggetto che molti anni prima ha manifestato per prima questo difetto molecolare. Come lo si
dimostra? Possiamo costruire un aplotipo di più soggetti affetti da Crigler-Najjar. Un aplotipo è la costruzione
dell’insieme di siti polimorfici presenti su un cromosoma e che determinano la struttura di uno specifico allele.
Se facciamo l’aplotipo nella regione che contiene il gene UGT e paragoniamo tra di loro i diversi soggetti, ci
accorgiamo che, seppur non imparentati, questi soggetti hanno un aplotipo in comune.
L’ultima patologia da prendere in considerazione è la sindrome di Gilbert. È una forma di ittero molto comune,
presente nel 15-20% della popolazione. È dovuta alla
presenza, nel promotore, di un allele da 7 o 8 ripetizioni
di TA, quindi di bassi livelli di trascritto.
Cosa succede?
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Nel 43% della popolazione italiana, ci sono alleli TA7 e nel 57% l’allele TA6. I due alleli, quello patologico e
quello normale, si trovano in frequenze quasi uguali. Come è possibile? Possiamo pensare ad un vantaggio
selettivo. Qual è questo vantaggio? La bilirubina, in lievi quantità, è un antiossidante e può proteggere da infarti
del miocardio o ictus. Al tempo stesso però, si ha una ridotta attività enzimatica ed una conseguente alterazione
del rapporto tra mono e diglicuronidi e quindi questi soggetti manifestano spesso calcoli alla cistifellea.
Il polimorfismo dell’UGT è molto presente nella popolazione. In omozigosi l’allele TA7 si trova nel 18% della
popolazione, mentre in eterozigosi 35%. È molto frequente che, ad esempio, un soggetto con una malattia del
globulo rosso, come la talassemia, abbia anche la malattia di Gilbert (1 soggetto su 5).
Il gene UGT rappresenta un esempio paradigmatico dei geni modificatori, ovvero quei geni che riescono ad
influenzare il rapporto tra fenotipo e genotipo.
Nella beta talassemia abbiamo citato altri geni modificatori, come il gene del collageno che può causare malattie
dell’osso, geni che regolano l’omeostasi del ferro (HFE) che può causare eterocromatosi, il gene dell’UGT che
abbiamo visto oggi, ed infine il gene dell’interferone che può causare infezioni.
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Causata dalla presenza di un cromosoma 13 sovrannumerario che talvolta è parziale, cioè presenta
trisomia ma solo di una parte del cromosoma tredici, o vi è mosaicismo e quindi la trisomia si
presenta solo in alcune linee germinali.
Ha un’incidenza di 1/8000- 1/15000 nati vivi. Il 90 % dei soggetti affetti non raggiunge l’anno di
vita. I nati vivi rappresentano solo la punta dell’iceberg, se si vedono le interruzioni di gravidanza,
le trisomie del cromosoma 13 sono molte di più.
La patologia è caratterizzata da scarso accrescimento causato anche da difficoltà di alimentazione,
un ritardo psicomotorio molto grande, epilessia, complicanze date da malformazioni rilevabili.
La gravità è sicuramente dovuta anche alla dimensione del cromosoma.
• Microcefalia
• Labio/palatoschisi (che può essere anche bilaterale)
• Microftalmia/anoftalmia (occhi più piccoli/ assenti)
• Ipertelorismo (occhi distanziati)
• Talvolta occhi ravvicinati causano ciclopia con assenza dello
scheletro nasale, al posto del quale può presentarsi proboscide
• Polidattilia postassiale (abbozzi sovrannumerari di falangi o
anche solo cutanei, dov’è lungo il lato ulnare dell’alano, dopo
il mignolo)
• Aplasia cutis in regione occipitale (mancata formazione della
cute che ricopre l’occipite, molto rara, presenti anche in altre
condizioni, in particolare in difetti di chiusura del tubo neurale e in sede craniale)
• Piede talo verticale congenito (o piede a dondolo)
QUADRO MALFORMATIVO:
• Malformazioni cardiache (80 % dei casi)
• Malformazioni del SNC (oloprosencefalia, agnesia del
corpo calloso, è grave perché non si vengono a generare
i solchi che dividono i lobi cerebrali, questo determina
una mancata differenziazione del parenchima del
tessuto nervoso centrale che può avere diversi gradi di
severità e il più grave è il cervello alobare, cioè senza
distinzione dei lobi)
• Anomalie oculari (microftalmia, anoftalmia, displasia
retinica, cataratta, opacità corneali)
• Anomalie renali (displasia cistica)
• Possibile onfalocele (erniazione degli organi interni
all’interno di un sacco in comunicazione con il cordone ombelicale)
• Meningomielocele (difetti di chiusura del tubo neurale, in sede caudale, c’è uno spettro di
anomalie, spina bifida, spina bifida cistica, spina bifida occulta, meningomielocele,
meningocele)
• Ipotonia, iporeattività (talvolta letargico a causa dei difetti del SNC).
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È definita sindrome perché interessa più organi, dato che sul cromosoma 13 sono presenti molti
geni.
ASPETTO:
• Scarsa crescita prenatale
• Microcefalia con dolicocefalia (allungamento all’indietro del
capo)
• Micrognazia (mento sfuggente, molto piccolo)
• Anomalie del padiglione auricolare (sottile e a punta)
• Mani a pugno (indice sovrapposto al dito medio e mignolo
sull’anulare)
• Cute ridondante in regione occipitale
• Piede equinovaro (malformazione più frequente degli arti
inferiori)
QUADRO MALFORMATIVO:
• Malformazioni cardiache (70%-90% dei casi)
• Malformazioni del SNC (difetti del tubo neurale,
polimicrogiria causata da più circonvoluzioni a carico
degli emisferi cerebrali del normale, ipoplasia
cerebellare)
• Anomalie oculari (microftalmia, cataratta, opacità
corneali)
• Anomalie renali (rene a ferro di cavallo)
• Anomalie degli arti (ipo-aplasia del radio)
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SINDROME DI DOWN
ASPETTO:
• Profilo piatto, naso piccolo, sella nasale piatta, narici
anteverse
• Occipite piatto (brachicefalia, cranio corto)
• Plica nucale
• Rime palpebrali upslanting (rivolte verso l’alto)
• Epicanto (piega caratteristica della palpebra superiore
sopra l’inferiore nell’angolo interno dell’occhio)
• Padiglione auricolare piccolo e a impianto basso
• Macroglossia
• Micrognazia
• Piega palmare unica
QUADRO MALFORMATIVO:
• Cardiopatie congenite nel 50-60% dei casi (tetralogia di
Fallot, canale atrioventricolare, DIA ostium secundum, pervietà
del dotto di Botallo)
• Atresia gastrointestinale (duodenale o esofagea) 20%
• Cataratta e glaucoma congeniti
• Ipotiroidismo congenito
• Policitemia (fattore di rischio per trombosi)
• Criptorchidismo nel maschio
• Displasia dell’anca
• Bassa statura, con curve di crescita distinte dalla
popolazione generale
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CAUSE
• 94% non disgiunzione meiotica: trisomia libera
• 2-4% trisomia a mosaico (non disgiunzione nelle mitosi dello zigote)
• Trisomia parziale (coinvolgente solo parte di un cromosoma)
• 3-4% sbilanciamento della traslocazione (più frequente traslocazione robertsoniana
del cromosoma 14, unione dei bracci lunghi dei due cromosomi).
L’unione di uno dei gameti derivato dal portatore di questa traslocazione, con due copie del
21, una delle quali attaccata al cromosoma 14, che si fonde con un gamete normale, genera
un individuo con due copie del cromosoma 21, due del 14 e materiale extra del 21 unito a
uno dei due 14, quindi il materiale genetico del 21 è presente triplice copia.
È importante riconoscere se la sindrome è dovuta ad una traslocazione robertsoniana perché
questa implica aumentata ricorrenza rispetto a quella de novo. Proprio per questo sono
previste diagnosi prenatali.
CASI CLINICI
FOLLOW UP:
• Quando esaminato a 8 e a 18 mesi di età, il bambino era in ABS. Ripetuti i
test genetici su sangue periferico e il cariotipo da colture linfocitarie riscontrato era
in tutte le cellule analizzate (50) 46, XY, ipotizzando mosaicismo viene effettuata
un’altra analisi su altri tessuti
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CASO CLINICO II
Da novembre 2019 pratica follow up per la bassa statura, non precedentemente indagata perché al
limite inferiore del target genetico. Presso consulenza endocrinologa del 14/11/2019 veniva
consigliata visita genetica per iposomia staturoponderale, ritardo dell’acquisizione dello sviluppo
psicomotorio.
ESAME CLINICO:
- Bambina di 4 anni e 6/12
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- Fronte ampia
- Ipertelorismo
- Teletelia
- Collo corto
Le analisi mostrano:
- Ritardo della maturazione scheletrica a carico delle ossa del metacarpo (circa 2 anni), dopo
aver effettuato l’RX della mano destra con delle tavole di bambini di pari età ha praticato
esami per:
- Celiachia con esiti negativi (la celiachia nel bambino porta scarsa crescita staturo-
ponderale e anemia)
- Ecografia della tiroide nella norma (gli ormoni tiroidei sono gli ormoni che maggiormente
influenzano la crescita nel bambino, successivamente subentra il GH)
- Elettroforesi proteica
- Emocromo
- 27/50 con cariotipo 46X i (Xq) iso-cromosoma del braccio lungo del cromosoma X
Questa bambina che soffre della Sindrome di Turner, condizione associata ad infertilità. Nella
sindrome di Turner le dimensioni dell’utero non aumento a seguito della pubertà, come accade
fisiologicamente nelle donne.
Le ovaie si presentano più piccole, talvolta neanche visibili e sostituite da “banderelle fibrotiche”.
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- Bocca a “V rovesciata”
- Palato ovagivale
- Anomalie dentali
- Attività delle gonadi ridotta o insufficiente = ovaie fibrotiche che non producono ovuli →
amenorrea primaria = assenza del ciclo oppure amenorrea secondaria = ciclo che avviene
ma seguito da una menopausa precoce
- Alta predisposizione alle malattie autoimmuni (in particolare celiachia, TIR, Hashimoto)
- Alta incidenza otiti medie e ipoacusia trasmissiva
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Caratteristiche anatomo-fisiologiche:
- Pubertà tardiva o incompleta
- Ginecomastia
- Debolezza muscolare
In alcuni casi si manifestano anche:
- Alta statura
- Obesità
Per determinare la virilizzazione viene effettuata una terapia ormonale sostitutiva, che riduce,
inoltre, il rischio di osteoporosi.
Se la diagnosi viene effettuata precocemente, anche grazie ad amniocentesi, possono essere effettuati
programmi per l’aumento della fertilità.
Sembra che nelle prime fasi dello sviluppo, nei Klinefelter si produca una piccola percentuale di
spermatozoi, produzione che può essere incentivata da una terapia ormonale.
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Nel momento in cui ci troviamo dinnanzi una traslocazione cromosomica bilanciata in un feto, la
prima domanda da porci è se questa sia stata ereditata da uno dei due genitori o se sia una mutazione
de novo, e quindi assente nei genitori.
Ne deduciamo che il fenotipo del feto sarà non patologico e che la traslocazione si possa considerare
benigna.
Volendo contestualizzare l’albero genealogico e l’anamnesi familiare alla luce dei risultati, le
informazioni in nostro possesso sono:
Osservando meglio l’albero genealogico, possiamo ipotizzare che anche la madre di paperino,
Ortensia MCDuck, fosse portatrice della medesima traslocazione, in quanto presenta diverse
interruzioni spontanee di gravidanza all’anamnesi.
Possiamo notare che paperino abbia un cugino affetto dalla sindrome di Down, e che anche la zia di
Paperino abbia la medesima mutazione.
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Le CNV presentano un significato variabile a seconda della dimensione del contenuto genico.
In questo caso specifico, l’Array CGH fetale portato in visione dai genitore mostra una delezione del braccio
lungo del cromosoma 13, lunga circa 45Mb, dimensione estremamente consistente. La delezione comprende
numerosi geni OMIM, geni descritti in letteratura e associati a patologia.
Dunque, la condizione riscontrata nel fegato era compatibile con una monosomia parziale del
cromosoma 13.
La delezione parziale del cromosoma 13 era già visibile nel cariotipo fetale, per via della sua
rilevanza.
Le delezioni cromosomiche parziali sono da considerarsi più spesso un evento de novo, non ereditato
dai genitori.
Conclusioni:
Paperino e Paperina presentano un rischio di aborti superiore alla popolazione generale (per
eventuale trasmissione della monosomia 14:21 e trisomia 14 fetale, condizioni incompatibili con la
vita).
L’altro rischio della coppia è quello di avere un figlio affetto da aneuploida (compresa S.Down)
oppure di disomia uniparentale, con un rischio superiore alla popolazione generale.
Questo rischio è da considerarsi inferiore all’1% per il padre carrier di traslocazione robertsoniana
14q21q.
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ANAMNESI FAMILIARE:
Padre → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori
Sorella → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori,
malformazione Arnold-Chiari,siringomielia, fusione delle
vertebre cervicali, poliabortività
Fratello → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori, piede torto bilaterale, fusione delle
vertebre cervicali
All’anamnesi personali di Marge è possibile evincere una storia di parestesie urenti, formicolio
bruciante, alle gambe, ipotonia, difficoltà deambulatorie, parestesie a braccio e mano sinistra. Questa
situazione clinica aveva portato Marge ad effettuare una serie di approfondimenti, tra cui una RM
cervicale, dalla quale era stato possibile evincere una mielinopatie C-2, C-3 ed una stenosi tra C-3 e
C-4.
- H = 164 cm
- Peso = 63 kg
- CC = 54.5 cm
- Span = 139 cm
- DEFORMITÀ DI MADELUNG
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- RX ARTI SUPERIORI → Atrofia e ipoplasia ossea, lussazione bilaterale della testa del
radio
-Peso = 47.5 kg
-CC = 51.5 cm
-Span = 137 cm
-DEFORMITÀ DI MADELUNG
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-Scoliosi
TRASLOCAZIONE CROMOSOMICA
La traslocazione cromosomica è la conseguenza della rottura di 2 cromosomi, in questo caso del
cromosoma 2 e del cromosoma 8.
Da questa mutazione può scaturire una traslocazione bilanciata, senza perdita di materiale genetico,
o sbilanciata, con perdita o acquisizione di materiale genetico. In questo caso la traslocazione si
presenta bilanciata.
In base ai punti di rottura cromosomica, possiamo avere un fenotipo patologico, quando la rottura
avviene in un punto critico in cui sia situato un gene trascritto, oppure un fenotipo normale.
Andando ad osservare nuovamente l’anamnesi familiare, è palese che tutti i soggetti che presentano
la traslocazione cromosomica 2-8 presentino anomalie scheletriche degli arti superiori.
Possiamo ipotizzare che la traslocazione in questo caso specifico abbia previsto la rottura di un punto
critico del cromosoma.
Per indagare più nello specifico il punto di rottura del cromosoma e i geni situati a quel livello,
indirizziamo Marge e Lisa ad effettuare una PCR, una reazione a catena della polimerasi, tecnica
che prevede l’amplificazione del DNA.
In seguito alla PCR viene eseguito il sequenziamento che ci mostra che la rottura del cromosoma è
avvenuta a livello di un gene trascritto, il gene HOX-D, situato sul braccio lungo del cromosoma 2
(2q31.1).
Se la rottura del cromosoma avviene nel contesto del gene stesso, il gene non verrà più trascritto.
Non sorprende il fatto che il gene HOX-D sia coinvolto nello sviluppo scheletrico, dal momento che
tutti i portatori della traslocazione 2-8 hanno presentato anomalie scheletriche degli arti superiori.
In letteratura, mutazioni del gene HOX-D sono associate ad anomalie variabili a livello degli arti e
delle mani.
In particolare, anomali
dell’avambraccio come aplasia
dell’ulna e brevità del radio,
oppure sinpolidattilia e
brachidattilia
Conclusioni:
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In futura gravidanza, avranno la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale invasiva, ovvero una
tecnica di Amniocentesi o Villocentesi, su cui effettuare in un secondo momento il cariotipo e
ricercare la traslocazione 2;8 nel feto.
Le possibilità sono le stesse: il feto potrebbe ereditare la mutazione o non ereditare la mutazione. Qualora il feto
ereditasse la mutazione il fenotipo sarebbe verosimilmente sovrapponibile a quello dei genitori, dunque anche
il feto presenterà anomalie scheletriche a carico degli arti superiori. Non bisogna dimenticare che c’è la
possibilità di sbilanciamento con possibilità di aborto. Per effettuare una diagnosi prenatale invasiva è razionale
considerare un’eventuale interruzione terapeutica di gravidanza o comunque assistere la coppia durante la
gravidanza in maniera consapevole.
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ALBINISMO
Nel primo caso è qui riportato un albero genealogico che riguarda un individuo affetto da albinismo.
L’albinismo è un carattere autosomico recessivo con deficit dell’enzima tirosinasi che si occupa della
sintesi di melanina, importante non solo per la pigmentazione ma anche per la protezione dai raggi
che arrivano sulla nostra pelle. Il fenotipo di un individuo affetto da albinismo è un fenotipo da
proteggere, in quanto molto sensibile e quindi potrebbe avere una predisposizione tumorale maggiore
rispetto ad altri individui, proprio per la mancanza della capacità di schermare i raggi.
I genitori sono portatori obbligati. Il genotipo degli affetti viene indicato con aa.
Il carattere si può manifestare in genotipi omozigoti se entrambi i genitori sono portatori sani
oppure se c’è una consanguineità. Il carattere può anche manifestarsi in genotipi eterozigoti
composti.
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SORDOMUTISMO
In questo secondo caso prenderemo in considerazione il carattere del sordomutismo.
Vediamo due alberi genealogici a confronto in cui nel primo vi è una prole affetta e nel secondo la
prole è sana.
Nel secondo caso si è verificato il fenomeno della complementazione in eterozigosi della prole. La
situazione che riguarda il secondo albero genealogico è diversa da quella del primo, in quanto i genitori
sono affetti da sordomutismo per mutazioni che si trovano in loci diversi, da cui deriva questo fenomeno
di complementazione. In questo fenomeno si complementano i geni, cioè loci mutati differenti si
complementeranno in eterozigosi nella prole, per cui la prole non risulta affetta poiché pur ereditando
entrambi gli alleli mutati, le mutazioni sono presenti in loci differenti e non si possono esprimere perché
sono accompagnati dagli alleli sani (Aa/Bb).
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I1 = nonno materno deceduto per cirrosi epatica e affetto anche da diabete di tipo I
II1 = lo zio materno è in corso di pre-PMA ossia di fecondazione assistita probabilmente per
problemi di infertilità (non si sa però se è dovuto a un problema dello zio o della zia)
III4 = cugino è affetto da una patologia rilevata in seguito ad uno screening neonatale che ha
evidenziato un ileo da meconio cioè un ritardo nell’esposizione delle prime feci che si formano
all’interno del feto che poi devono essere espulse appena nati. Questa patologia ha anche causato
una scarsa crescita staturo-ponderale. I medici hanno quindi optato per un test del sudore per
sospetto di fibrosi cistica, risultato poi positivo.
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Si possono avere, come detto, anche quadri sintomatologici più lievi e più rari: è il caso della FC
atipica, che colpisce specialmente l’apparato riproduttivo. Nel maschio si ha infertilità per ostruzione
o assenza dei dotti deferenti, con conseguente aspermia (assenza completa di sperma).
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CONSULENZA PARENTALE
I genitori della probanda
tornano durante una nuova
gravidanza per effettuare
una consulenza prenatale
all’ottava settimana di
gestazione. Siccome la FC è
autosomica recessiva, c’è il
25% di probabilità teorica
che il nascituro sia affetto da
tale patologia. Una diagnosi
prenatale è possibile tramite
ecografia ostetrica che
indichi presenza di intestino
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Il fatto che i portatori del gene CFTR mutato siano il 4% della popolazione generale è il motivo per
cui la FC non è considerata una malattia rara.
PROTOCOLLO TERAPEUTICO
La terapia classica per la FC comprende:
• Aerosolterapia con fisiologica e broncodilatatori mattina/pomeriggio/sera.
• Lavaggi nasali con soluzione fisiologica.
• Estratti di enzimi pancreatici.
• Dieta equilibrata ricca di sali, per compensare le perdite dovute alla sudorazione.
• Antibiotici per le infezioni respiratorie.
I nuovi approcci farmacologici, in attesa di una terapia genica ben perfezionata, prevedono farmaci
correttori per facilitare la maturazione della proteina (I e II classe di mutazione) o potenziatori del
suo funzionamento (III, IV e V classe). Questi nuovi trattamenti, insieme all’approccio
multidisciplinare ed agli screening neonatali, hanno significativamente migliorato prognosi e decorso:
rispetto a quando il drenaggio posturale era l’unica maniera per far defluire i muchi dei neonati, i
miglioramenti appaiono enormi.
L’aspettativa di vita dei pazienti si aggirava un tempo attorno ai 20 anni. Oggigiorno, anche in base
alla specifica mutazione, si possono fare prognosi anche a 40-50 anni: la “medicina di precisione”
consente di formulare approcci terapeutici specifici a seconda del genotipo del singolo paziente.
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responsabile sia di forme autosomiche dominanti che recessive di RP; il fatto di aver trovato solo una
variante in eterozigosi non poteva pertanto accertare una patogenicità della mutazione. Sulla base di
questi risultati, alla famiglia del bimbo era stata prospettata una possibile terapia genica.
Il probando viene a questo punto inviato da un oculista specializzato nel trattamento di retinite
pigmentosa da RPE65. Quest’ultimo però non riscontra pienamente il quadro clinico della RP e si
rivolge nuovamente ai genetisti per ampliare il test molecolare, confrontando altri pannelli oltre a
quello coi geni relativi alla sola RP isolata: in effetti, viene ritrovata una mutazione missenso in
omozigosi nel gene RP1 (che può essere responsabile di
forme sia autosomiche dominanti sia autosomiche
recessive), che combacia bene con il sospetto di una
malattia autosomica recessiva.
Le banche dati classificano migliaia di mutazioni già riscontrate in altri individui, stabilendone il tipo
e la patogenicità. Il medico genetista osserva però (vedi l’ultima riga della tabella sottostante) che la
mutazione riscontrata in RP1 è stata trovata ben 45 volte in omozigosi in individui normali,
deducendo dunque che essa non può essere patogenetica.
Escluso il gene RPE65 per differenza di fenotipo ed il gene RP1 per assenza di patogenicità, il
genetista conclude che nessuna delle due può essere la variante causativa. Si ritorna indietro per fare
un test più esteso, che include 150 geni responsabili di forme sindromiche e non sindromiche di RP.
Riassumiamo di seguito i risultati emersi.
Lo sviluppo psicomotorio infantile procede normalmente fino ad una certa età, per poi regredire
inesorabilmente.
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Sottolineiamo che non sempre le “portatrici sane” sono del tutto asintomatiche: per condizioni di
espansione delle triplette nell’X fragile o in altre patologie, la donna portatrice può sviluppare alcuni
sintomi meno gravi e ad insorgenza tardiva. In casi rarissimi, anche la portatrice può manifestare
fenotipicamente i sintomi con un esordio e decorso paragonabili a quelli del maschio: sono condizioni
in cui c’è stata una traslocazione con un cromosoma autosomico e conseguente sbilanciamento;
viene infatti inattivato principalmente l’X con l’allele sano, mentre è maggiormente espressa la
componente con l’allele mutato.
SINDROME DI NORRIE
Questa patologia ha un’incidenza sconosciuta, probabilmente scarsa. È legata ad una mutazione del
gene NDP sul cromosoma X. La diagnosi viene formulata alla nascita o nella prima infanzia. Si
riscontrano problematiche oculari: cataratta (che può essere congenita); microftalmia simmetrica o
asimmetrica; leucocorìa (la pupilla appare ricoperta da un riflesso bianco) e cecità progressiva che
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diventa completa entro l’adolescenza. Vi è poi perdita progressiva dell’udito, che si acutizza in
adolescenza e diventa completa in età adulta. Le problematiche psichiatriche includono segni e
sintomi di psicosi e moderata disabilità intellettiva; in età adulta possono comparire difetti di
deambulazione e difficoltà a sedersi. Le altre anormalità comprendono: difetti del microcircolo
periferico, della respirazione, della digestione, dell’apparato escretore e riproduttivo.
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COUNSELLING GENETICO
Le consultande sono due sorelle: dal lato paterno non si registrano anomalie, mentre nel ramo
materno si riportano un cugino affetto da sindrome di Norrie confermata da test molecolare ed una
cugina portatrice. Un prozio (fratello della nonna materna) risultava avere caratteristiche affini alla
sindrome di Norrie: anche se in assenza di test molecolare, supponiamo che ne fosse anch’egli affetto;
pertanto, la nonna e le zie delle consultande devono essere portatrici obbligate. Non abbiamo a
disposizione i test sul cugino e la cugina: per evitare
eccessivo dispendio economico, proponiamo di
effettuare il test per la madre, ricercando mutazioni in
tutto il gene. Ne emerge che la madre è portatrice di
una variante già descritta negli anni ’90 come causativa
della sindrome di Norrie, motivo per cui le probande
hanno un rischio del 50% di aver ereditato la stessa
mutazione. Effettuano anch’esse la ricerca della
mutazione nota, anche se non riferiscono le classiche
anomalie che possono manifestarsi in una donna
portatrice paucisintomatica (vd. immagine a
sinistra).
Viene riportato però che le donne portatrici presentano segni e sintomi di psicosi, in particolar modo
la madre. Una delle due consultande riferisce eventi di allucinazioni uditive dall’età adolescenziale:
un precedente studio del 2011 segnala che la presenza di polimorfismi a singolo nucleotide
all’interno del promotore del gene NDP sono associati statisticamente ad una maggiore probabilità di
sviluppare segni e sintomi della patologia. Quest’ultimo dato ci consente di osservare come possiamo
avere l’occorrenza di due eventi genetici notevoli in una stessa famiglia.
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dei casi la donna risulta statisticamente più colpita: molte di queste condizioni sono infatti letali per
il maschio, che quindi non giunge a nascere.
Il caso riguarda una donna di 31 anni, primogenita di genitori non consanguinei. La madre presenta
ipotiroidismo congenito da agenesia (mancato sviluppo) della tiroide e BPCO ad insorgenza precoce
in assenza apparente di fattori ambientali. La sorella presenta miopia severa, ipotiroidismo a partire
dal ventunesimo anno d’età ed agenesia di alcuni canini. Nel ramo materno non si segnala nulla di
notevole, se non due BPCO insorte senza importanti fattori di rischio (fattori ambientali
misconosciuti). Dal lato paterno si segnalano uno zio con disabilità intellettiva – per quanto riferito,
a causa di problematiche durante il parto – ed un rapporto di consanguineità tra i nonni della probanda.
Nel corso della visita emerge che la paziente presentava alla nascita cataratta congenita, testimoniata
dai referti di dimissione per l’intervento di sostituzione durante l’infanzia. Ha faccia squadrata e lieve
strabismo convergente, noto come “esotropia”. Le orecchie sono “a basso
65
impianto”, cioè sotto la congiungente tra le due pupille. Vi è poi parziale ipertrofia dell’elice, filtro
nasale lungo ed agenesia bilaterale dei molari II e III superiori ed inferiori, nonché anomalie dei setti
interatriale ed interventricolare e sindattilia cutanea del secondo e terzo dito di ambo i piedi.
La probanda aveva già eseguito in passato RCGH e cariotipo (test cromosomici), entrambi normali.
Aveva anche effettuato il dosaggio sierico e binario di alcuni metaboliti, risultato nella norma, senza
che si evidenziassero condizioni (come la galattosemia) normalmente associate a cataratta congenita.
Viene quindi consigliata l’esecuzione di un test molecolare per sequenziare i geni associati a cataratta
congenita: la combinazione di segni e sintomi aveva fatto sospettare mutazioni in due soli geni, ma
viene comunque fatto un sequenziamento completo per evitare di dover eventualmente svolgere un
nuovo test se l’ipotesi fosse risultata priva di fondamento. La paziente è risultata avere una delezione
nucleotidica frameshift nel gene sospettato, il BCOR. Anche se questa specifica mutazione non era
mai stata descritta prima in letteratura, sappiamo che mutazioni simili sono associate a sindrome
oculo-facio-cardio-dentale.
66
Per completare la diagnosi, segue una ri-fenotipizzazione (re-phenotyping) nella quale si cerca
di individuare ulteriori segni non emersi nelle prime visite. Per la nostra paziente, abbiamo
considerato:
• Diametro corneale, che in questo caso risulta però nella norma (12 mm).
• Eruzione ritardata dei canini.
• Radiculomegalia dei canini.
• Ugola bifida, seppur senza palatoschisi.
L’interazione tra il genetista ed il clinico che visita il paziente (se le due figure non coincidono nel
medesimo professionista) si conferma fondamentale: l’unione tra una storia clinica approfondita
in anamnesi, un buon esame obiettivo e le informazioni genetiche consente di ottenere una
diagnosi accurata.
67
AFP 23/04
INTRODUZIONE
All’incirca il 97% dei posti letto sono occupati da soggetti affetti da patologie multifattoriali, mentre
solo il 3% è occupato da soggetti affetti da patologie mendeliane: questo ci fa capire la rilevanza dei
problemi correlati alle malattie multifattoriali.
Perché allora diamo tanta importanza allo studio di malattie mendeliane e non ci dedichiamo in gran
parte a quelle multifattoriali?
Perché i geni implicati nelle malattie mendeliane, che sono per certi aspetti rispetto alle multifattoriali
più facili da studiare, ci permettono di arrivare a meccanismi molecolari che noi poi possiamo applicare
anche alle malattie multifattoriali.
Alcuni esempi di malattie multifattoriali sono:
- le neoplasie;
- obesità;
- ipertensione;
- cefalea, ecc.
I meccanismi e la parte di studio delle malattie multifattoriali è uguale per tutte, per cui useremo come
argomento di studio l’obesità, ma si potrebbero utilizzare anche altre malattie.
L’OBESITA’
L’obesità è molto rilevante nella vita quotidiana, perché tra l’8 e il 10% della popolazione mondiale
ne è affetta.
Si definisce soggetto obeso, un soggetto che possiede un BMI maggiore di 30Kg/mq.
Se noi andiamo nell’area che definisce la patologia pediatrica, ossia che interessa le persone fino ai 18
anni di vita, osserviamo che le persone in sovrappeso, contenuti tra +1 e +2 deviazioni standard, o oltre
2 deviazioni standard, sono incirca il 25% del totale, per cui evidentemente l’obesità rappresenta un
problema notevole.
Perché è un problema l’obesità?
L’obesità è un problema sotto svariati punti
di vista, perchè:
- ha conseguenze fisiche e mentali;
- ha conseguenze sull’inserimento
sociale;
- è una causa predisponente ad
altre patologie, come:
• patologie polmonari;
• ipertensione;
• aterosclerosi;
• patologie
dello scheletro;
• cancro
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L’obesità dipende dall’introito di nutrienti, dunque se un soggetto non mangia, non può diventare
obeso. Non è possibile che la persona affetta da obesità mangi poco.
Dal punto di vista genetico, è un tratto abbastanza complesso: essa dipende dall’interazione di un
network di geni (il nostro genoma) con l’ambiente, dove per ambiente si intende soprattutto la dieta
del soggetto e il suo modello di vita. L’interazione tra geni e ambienti fa esplodere l’obesità.
Per spiegare bene la differenza tra le malattie mendeliane e le malattie multifattoriali, bisogna tener
presente che nelle malattie mendeliane il meccanismo di trasmissione della malattia è ereditario
(autosomica dominante, recessiva, X-linked ecc.) e che questo tipo di malattie sono tutte malattie rare
(fibrosi cistica, sordità, distrofia muscolare di Duchenne e di Becker, le varie forme di talassemia ecc.)
Tutto questo è controbilanciato nel regno
delle malattie multifattoriali, dove,
l’ereditarietà mendeliana non è più il
meccanismo ereditario della malattia,
ma si instaura una relazione di
familiarità.
Dunque, se in una famiglia si possono
riconoscere un gran numero di soggetti
in cui un carattere patologico (in questo
caso l’obesità) è presente, l’ereditarietà
non sarà più mendeliana.
Sono malattie estremamente comuni, tra
cui: ipertensione, asma, diabete,
trombosi, depressione, cefalea,
osteoporosi, obesità.
70
Le malattie talassemiche caratterizzate dalla sigla β0 hanno un fenotipo più grave delle sigle β+, però
esiste la possibilità che il genotipo venga modificato non solo se si vive in ambienti differenti, ma
anche se si ereditano geni modificatori.
Eterozigoti:
• β-talassemia dominante: anemia da
moderata a lieve.
• β-talassemia tratto: anemia moderata
• β-talassemia silente: individui normali.
Nella talassemie è importante il rapporto equilibrato tra le globine α e le globine β (prodotte entrambe
dall’eritroblasto): se c’è una mutazione β-talassemica e in più si presenta un problema di α-talassemia,
con una mutazione che causa una riduzione anche dell’α, questo gene si definisce modificatore
primario: se un individuo con una β-talassemia ha una ridotta produzione della globina β, ma
contemporaneamente, manifesta un’α-talassemia, la sintesi ritorna ad essere bilanciata.
71
Anche nel caso di un individuo con β-talassemia che manifesta anche HPFH (persistenza ereditaria di
Hb fetale e quindi la produzione di globine γ) l’equilibrio non viene squilibrato e anche in questo caso
si parla di modificatore primario.
Ad esempio nella β-talassemia major si manifestano eritropoiesi ineffettiva che causa sviluppo di
patologie ossee, accumulo di ferro, ittero, elevata concentrazione di eme e per la presenza del ferro
un’elevata propensione alle infezioni.
Se questi individui ereditano delle co-varianti che modificano alcuni geni, ad esempio quelli per
l’espressione del collageno, allora avranno una predisposizione per patologie che possono portare
all’osteoporosi.
Individui che hanno ereditato le due mutazioni β-talassemiche e in più il gene modificatore avranno
“più osteoporosi” degli individui che non hanno ereditato il gene modificatore.
Quindi a parità del genotipo, il fenotipo può cambiare in rapporto ai geni modificatori che sono stati
co-ereditati.
Quindi se si modifica il fenotipo, comprenderete che anche le implicazioni sulla diagnosi prenatale
son notevoli.
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È scontato dire che le malattie multifattoriali sono piu frequenti di quelle mendeliane (rare). Patologie
dovute alle mutazioni del genoma\cromosoma sono circa 3.8 per 1000 nella popolazione, le malattie
dovute a singolo gene circa 20 per 1000, mentre le malattie con eredita multifattoriale costituiscono
all’incirca il 600 su 1000 (60%) della popolazione.
Per cui le malattie mendeliane sono caratterizzate da ereditarietà, mentre nel caso delle multifattoriali
abbiamo una familiarità. Tuttavia il contrario non è necessariamente vero: l’aggregazione familiare di
una malattia non significa che una malattia debba avere un contributo genetico. Infatti i fattori non
genetici potrebbero avere lo stesso effetto: oltre a condividere gli alleli, le famiglie condividono la
cultura, il comportamento, la dieta e l’esposizione ambientale.
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Il contributo genetico corrispondente a una malattia, e quindi a un fenotipo, può essere dato:
• dal piccolo contributo di più geni;
• dal contributo principale di un gene e dal piccolo contributo di un certo numero di geni,
come molto spesso succede;
• dall’interazione tra gruppi di geni funzionalmente correlati
Le malattie multifattoriali sono chiamate anche tratti poligenici e sono tratti quantitativi, in cui l’effetto
fenotipico è per certi aspetti misurabile.
Vi faccio un esempio classico. L’altezza di una popolazione è un carattere multifattoriale, perché
dipende dal genoma e dall’ambiente. Questo carattere quantitativo lo possiamo misurare: ad esempio
possiamo ordinare mille individui in
ordine di altezza, come nell’immagine. La
distribuzione degli individui formerà una
curva gaussiana: al centro ci sono le file
degli individui più numerose rispetto a
quelle della periferia, in particolare a destra
ci sono gli individui più alti e a sinistra gli
individui più bassi.
Questo procedimento è chiamato centilazione. Quando si fa la centilazione, si può stabilire il valore
medio della popolazione e quindi anche la deviazione standard, che rappresenta come variano gli
individui intorno a questo valore medio. Per convenzione gli individui che sono contenuti entro due
deviazioni standard dal valore medio sono individui nella situazione di normalità. Invece gli individui
che vanno oltre le due deviazioni standard costituiscono la situazione di patologia. Per cui gli individui
all’estrema destra e all’estrema sinistra sono individui patologici, o perché sono molto piccoli o perché
sono molto alti.
L’altezza è un carattere multifattoriale, tuttavia per gli individui alle estremità della curva l’altezza
diventa un carattere mendeliano, per cui la bassa oppure alta statura è ereditata in famiglia. Dunque
oltre le due deviazioni standard la multifattorialità cede il posto all’ereditarietà di tipo mendeliano.
Quali sono i mezzi per studiare le malattie multifattoriali nella loro componente genetica? Cioè
come si stabilisce quant’è il peso del genoma per un certo carattere?
È possibile considerare un rischio calcolabile in base all’osservazione: il cosiddetto rischio empirico,
vale a dire la frequenza di individui che sono oltre le due deviazioni standard dal valore medio di un
certo carattere.
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- Consideriamo tutti gli individui di Afragola, li pesiamo e vediamo che gli individui che sono
oltre due deviazioni standard dal valore medio del peso sono il 15% della popolazione.
Dunque la possibilità di diventare obeso per un bambino che nasce oggi ad Afragola è del
15%, calcolata col rischio empirico, derivato dall’osservazione della popolazione.
Dunque il rischio empirico è un rischio che, a priori, associamo a una qualunque patologia.
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La probanda afferma che la madre è deceduta all’età di 47 anni circa, ma riferisce di non ricordare
la causa e quest’ultima in vita soffriva di ipoacusia neurosensoriale bilaterale, cioè una forma di
sordità ad entrambe le orecchie provocata da un'alterazione a carico dell'orecchio interno.
La probanda afferma che le sue prime 7 sorelle sono decedute, ma non ricorda l’epoca e la causa.
Per quanto riguarda la prole, la primogenita è deceduta all’età di 11 mesi per una cardiomiopatia
congenita. La secondogenita è deceduta a 17 mesi per acidosi metabolica scompensata, ovvero un
disturbo dell'equilibrio acido con pH arterioso inferiore a 7,35. Nelle malattie mitocondriali l'acidosi
metabolica è per lo più un’acidosi lattica dovuta ad aumento di lattati sierici. La quartogenita è
deceduta a 4 anni per acidosi metabolica e quando era in vita presentava ritardo di crescita staturo-
ponderale e ritardo psicomotorio, caratterizzato da deambulazione ritardata con atassia (esecuzione
scoordinata del movimento). Inoltre, presentava ipoacusia neurosensoriale bilaterale. Il figlio di 17
anni presentava già a 24 mesi i primi sintomi convulsivi. Dopo l’attività fisica lamenta crampi
muscolari dolorosi e frequenti, ipoacusia neurosensoriale e episodi ricorrenti di nausea e vomito con
lattato aumentato che vengono interpretati come episodi di acidosi metabolica.
Per quanto riguarda l’anamnesi personale, la probanda ci riferisce di avere episodi di amnesia e
deficit della memoria a breve termine. A 30 anni la comparsa di episodi di improvvisa ipotonia di un
emilato, cioè perdita di tono muscolare soprattutto per arti superiori e inferiori di sinistra. Riferisce
recente deambulazione atassica a base allargata e anche durante la raccolta della storia clinica appare
confusa...
In giovane età riferisce comparsa di algie muscolari e astenia, cioè stanchezza muscolare soprattutto
dopo attività fisica prolungata.
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SINDROME DI MELAS
SINDROME DI MERRF
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Iniziamo dalla mamma: sappiamo che è deceduta all’età di 67 anni, per motivi non meglio specificati
dai probandi, tuttavia quando era in vita non presentava alterazioni della vista.
La sorella della madre, invece, identificata alla posizione II.3 dell’albero genealogico, presentava
alterazioni della vista.
I probandi riferiscono che anche la nonna materna era affetta da cecità.
I probandi ci riferiscono che 2 fratelli e 1 sorella, identificati dalle posizioni III 3, III 4 e III 5, erano
deceduti in giovane età per cause infettive e traumatiche. Il familiare identificato dalla posizione III
8 nell’albero genealogico, presente in sede di consulenza, racconta che all’età di 53 anni ha
manifestato i primi sintomi a carico dell’apparato visivo, quindi ha presentato scotoma prima ad un
occhio e poi divenuto bilaterale.
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Qui c’è un
piccolo focus
sulle principali
mutazioni
causative di
LHON:
innanzitutto a
sinistra si nota il
DNA
mitocondriale
circolare con i
geni che lo
compongono, di
cui ad oggi sono
studiate più di
100 mutazioni a
carico: tra le più
frequenti ci sono
le mutazioni dei
geni ND1, ND4 e
ND6 causative
della LHON, anche se tante altre mutazioni sono state rilevate come causative di altre malattie, come
la MELAS e la MERRF. A destra ci sono le caratteristiche delle mutazioni conosciute per la LHON:
la prima mutazione a carico di ND1 è seconda per patogenicità, la mutazione di ND4 è quella più
frequente, la mutazione di ND6 è quella più benigna, essendo stata riscontrata in pazienti affetti da
LHON che hanno poi recuperato la vista, e in ultimo c’è una ulteriore mutazione a carico del gene
ND6, la 14459A>G, che è quella più patogenica. Tutte queste mutazioni alterano la ossidoreduttasi
NADH deidrogenasi, che si associa al metabolismo energetico del mitocondrio, con conseguente
alterazione funzionale.
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invece presenta sintomatologie oculari come restrizione del campo visivo, sintomatologie
neurologiche, come cadute ricorrenti, tremore e atassia cerebellare, e sintomatologia psichiatrica,
sviluppando uno stato di depressione. Si osserva anche che questa donna ha effettuato una risonanza
magnetica all’encefalo, che ha evidenziato la presenza di atrofia della corteccia cerebrale e del
cervelletto.
Infine, la terza sorella giunta in consulenza riferisce che all’età di 55 anni ha avuto una neoplasia
della mammella e, data la comune sintomatologia oculare familiare, si sottopone periodicamente a
dei controlli oculistici. Dall’ultimo esame del fondo oculare si sono evidenziate alterazioni dei vasi
retinici.
Alla luce della storia clinica dei probandi, si decide di ricercare la mutazione familiare in tutti e tre i
probandi. Il test molecolare risulta essere positivo in tutti e tre i probandi (infatti nell’albero
genealogico i tre probandi sono disegnati in nero). Per diagnosticare la neuropatia ottica di Leber si
hanno due criteri diagnostici:
• Riduzione acuta che si sviluppa in giovane età
• Presenza di una delle tre mutazioni di LHON più comuni, identificata mediante test
molecolare.
Ovviamente la presenza di uno dei due criteri è sufficiente per fare diagnosi di neuropatia ottica di
Leber.
Correlando il genotipo di ciascun probando con il fenotipo si vede come la neuropatia ottica ereditaria
di Leber, come tutte le malattie mitocondriali è ad espressività variabile all’interno anche della stessa
famiglia. Per esempio, il primogenito è l’unico che presenta una diagnosi clinica e molecolare di
LHON, quindi è l’unico che manifesta entrambi i criteri diagnostici in quanto è l’unico che ha
manifestato una sintomatologia oculare in giovane età e ha avuto anche una diagnosi molecolare a
conferma della patologia.
La secondogenita invece sembra avere
una forma più grave di LOHN che viene
definita Leber’s plus che è caratterizzata
da un coinvolgimento, oltre che
dell’apparato oculare anche dell’apparato
neurologico e cardiaco, con la presenza di
atassia, distonia, tremori, sindrome di pre-
eccitazione e cardiomiopatia.
Infine, l’ultima probanda è l’unica
asintomatica anche se ha una diagnosi
molecolare di LHON.
Per spiegare la variabilità fenotipica
della malattia mitocondriale bisogna
ricordare le caratteristiche del DNA
mitocondriale che sono l’eteroplasmia,
l’omoplasmia e l’effetto soglia.
L’eteroplasmia è la presenza di due o
più popolazioni mitocondriali
geneticamente diverse in una cellula
somatica, quindi è una coesistenza in
una stessa cellula di mitocondri a DNA
mutato e di mitocondri a DNA integro.
82
La variabilità fenotipica della malattia mitocondriale può essere conseguenza anche di altri fattori
modificatori tra cui:
- Mutazioni secondarie a carico del DNA mitocondriale;
Polimorfismi nel DNA nucleare;
- Fattori ambientali (tabacco/alcol) che sembrerebbero modulare l’espressione clinica della
malattia.
Una domanda ricorrente che viene posta dai pazienti ai genetisti clinici è il rischio di ricorrenza di
una particolare malattia genetica nella prole.
Bisogna quindi definire i portatori della mutazione familiare mediante lo screening dei consanguinei
di primo grado. Si va ad eseguire il test genetico nei familiari di primo grado (quindi nelle sorelle del
probando non ancora indagate molecolarmente) e alla prole delle sole femmine portatrici.
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Prescriviamo il test
molecolare
esclusivamente nei figli
delle probande perché il
LHON presenta una
eredità matrilineare. Le
mutazioni mitocondriali
vengono trasmesse
solamente per via
materna in quanto, al momento della fecondazione, nel citoplasma dello zigote tutti i mitocondri
contribuiti dallo spermatozoo vengono distrutti per un meccanismo di autofagia e gli unici
mitocondri rimanenti ed il DNA in esso contenuto sono di origine esclusivamente materna.
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CASO CLINICO 1
In questo primo caso
clinico, Minnie e
Topolino giungono in
consulenza genetica
prenatale.
Portano
rispettivamente in
visione la translucenza
nucale (è un valore
ecografico prenatale
che può essere alterato
in alcune cromosopatie
o, in generale, altre
patologie) e
l’amniocentesi, da cui
cariotipo ricavato, si evince una traslocazione robertsoniana tra il cromosoma 15 e 21.
Dall’albero genealogico della famiglia, possiamo notare che il nipote del consultando è affetto da
Distrofia Muscolare di Duchenne, una patologia X-linked, quindi il consultando non è interessato
riguardo tale disturbo (non può di sicuro essere portatore, altrimenti sarebbe affetto). La donna arriva
in consulenza alla 19° settimana: è un dato da prendere in considerazione, in quanto un intervento
prenatale, oltre la 22° settimana non ha ragione d’essere.
85
Nella figura sulla destra è mostrato il cariotipo, ossia il corredo cromosomico di ciascun individuo.
Un cariotipo di un individuo normale presenta 23 coppie di cromosomi, in cui ciascuna copia è
ereditata da entrambi i genitori.
Per traslocazione
cromosomica, si intende un
evento secondario alla rottura
di due cromosomi, a seguito
della quale si verifica uno
scambio di segmenti
cromosomici.
Possiamo avere una
traslocazione bilanciata
(senza perdita del materiale
genetico) o una traslocazione
sbilanciata (con
perdita/acquisizione del
materiale genetico), lo
sbilanciamento può avvenire
con il concepimento.
In questo caso specifico, il feto è portatore di una traslocazione bilanciata, tra il cromosoma 15 e 21
(come possiamo vedere al cariotipo). Difatti, una copia del cromosoma 21 si è spostato fisicamente
su una copia del cromosoma 15. Una traslocazione bilanciata può essere sia asintomatica che
sintomatica (come nel caso del cromosoma Philadelphia, anche se in realtà è somatica).
86
87
Nel caso in cui la traslocazione venisse trasmessa, questa può essere trasmessa in forma bilanciata,
quindi senza perdita o acquisizione di materiale genetico, o sbilanciarsi al momento del
concepimento. In questo caso specifico uno sbilanciamento della traslocazione esiterebbe in:
Una monosomia del cromosoma 15 e 21, condizioni non compatibili con la vita;
Una trisomia 15, anche questa non compatibile con la vita.
Trisomia 21, nota come Sindrome di Down.
Un particolare caso che potrebbe presentarsi, nella condizione di sbilanciamento, è quello della
Disomia Uniparentale: la cellula si rende conto di avere un cromosoma in meno o uno in più, e mette
in atto un ‘’meccanismo di salvataggio’’ duplicando il cromosoma singolo o eliminando la copia del
cromosoma aggiuntivo. In tal caso però ci può essere la possibilità che ad essere eliminato sia ad es.
quello di origine materna, in tal modo si avranno entrambi i cromosomi di origine paterna. I
cromosomi potrebbero essere entrambi di origine materna, o entrambi di origine paterna. Il cariotipo
apparrà comunque normale e la trasmissione è bilanciata. Dobbiamo in ogni caso escludere che la
traslocazione fosse sbilanciata in origine, e che sia andata incontro al meccanismo di rescue, con una
conseguente disomia uniparentale.
IMPRINTING
88
89
SINDROME DI ANGELMAN
La sindrome di Angelman può essere
secondaria alla delezione del
cromosoma 15q materno, o più
raramente, alla Disomia Uniparentale
paterna del cromosoma 15q. In entrambi
i casi, si avrà una mancata espressione
dei geni materni localizzati sul
cromosoma 15. Questa patologia si
presenta fenotipicamente con
dismorfismi facciali (tra i quali
microcefalia) e alterazione del sistema
nervoso centrale. È piuttosto
caratteristica di questa sindrome la risata
facile con temperamento felice e iperattività.
SINDROME DI PRADER-WILLI
La Sindrome di Prader-Willi, al
contrario, è secondaria a delezione del
15q paterno, oppure a Disomia
Uniparentale materna 15q, con mancata
espressione dei geni paterni localizzati
sul cromosoma 15. Nell’infanzia è
sempre sospettata in caso di ipotonia alla
nascita o scarso accrescimento
perinatale. Durante l’adolescente si
manifesta principalmente con
disfunzione ipotalamica, la quale
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comporta in questi soggetti: bassa statura, tendenza all’iperfagia (che ne determina obesità) e
ipogonadismo ipogonadotropo che ritarda la pubertà. A livello del sistema nervoso centrale i soggetti
possono presentare disabilità intellettiva di entità variabile; piuttosto caratteristici sono i disturbi
psichiatrici e comportamentali.
Per escludere la
Disomia Uniparentale
del cromosoma 15,
prescriviamo
l’indagine SNP-Array,
in TRIO su liquido
amniotico e su
entrambi i genitori.
91
In conclusione, dunque, la
coppia dovrà eseguire il
cariotipo (entrambi i
genitori) in quanto è
necessario capire se la
traslocazione
cromosomica 15;21 è
ereditata o de novo. La
coppia dovrà, inoltre,
essere sottoposta a SNP-
Array fetale, in quanto è
necessario capire se è
presente una Disomia
Uniparentale del cromosoma 15 e quindi escludere la sindrome di Angelman o di Prader Willi. Infine,
alla coppia va prescritta l’indagine SNP-Array per entrambi i genitori, poiché è fondamentale e
imprescindibile per interpretare lo SNP-Array del feto.
DOMANDE:
È sufficiente il quadro clinico presentato per effettuare l’amniocentesi? Ci sono altri fattori di rischio
per porre indicazione di tale metodica diagnostica?
Tutto viene deciso durante la consulenza genetica. Il genetista comunica alla coppia tutte le
informazioni, dà consigli, indicazioni sulle diverse possibilità, ma è sempre la coppia che sceglie
liberamente e consapevolmente quale strada intraprendere.
Nelle malattie da imprinting c’è la possibilità di fare genes therapy, ossia andare a sostituire il gene
che non funziona?
Di tutte le malattie genetiche approcciate dalla terapia genetica, quelle da imprinting non sono tra
queste. Non sono neanche in fase di valutazione pre-clinica, perché troppo complesse e ci sono
troppe variabili. Il locus del cromosoma in cui ci sono i geni sottoposti ad imprinting è così
complesso che è impossibile, attualmente, andare ad intervenire senza andare a danneggiare altri
geni.
Perché la trisomia del cromosoma 15 causa aborto e altre trisomie no?
Le condizioni di monosomia sono tutte incompatibili con la vita. Le uniche condizioni di trisomie
compatibili con la vita sono solo quelle a carico del cromosoma 21, del cromosoma 13 e del
cromosoma 16. Nelle altre trisomie, il fatto di avere tre copie di quei geni localizzati su quei
cromosomi è così grave da non permettere l’ulteriore sviluppo del feto e pertanto risultare non
compatibile con la vita.
92
CASO CLINICO 2
La coppia Fred-
Wilma giunge in
consulenza genetica
preconcezionale in
quanto Wilma
presenta familiarità
per traslocazione
cromosomica tra il
cromosoma 7 e il
cromosoma 13. All’
anamnesi familiare è
possibile evincere
che la madre di
Wilma è portatrice di
questa traslocazione e ha avuto tre interruzioni spontanee di gravidanza nel primo trimestre; anche
uno zio materno e il nonno materno sono portatori della traslocazione.
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Prescriviamo innanzitutto il
cariotipo a Wilma per verificare
la possibilità che anche lei abbia
ereditato la traslocazione
cromosomica, ed
effettivamente notiamo che
anche Wilma presenta la
medesima traslocazione
cromosomica, possiamo notare
che una parte del cromosoma 13
è traslocata sul cromosoma 7.
Più nello specifico, nel nostro caso, essendo Wilma portatrice di una traslocazione tra il cromosoma
7 e 13, i rischi al concepimento sono i seguenti:
Può non trasmettere la traslocazione;
Può trasmettere la traslocazione bilanciata t(7;13) con un fenotipo sovrapponibile a quello del
genitore (in questo caso sano);
Può andare incontro spesso ad un'interruzione spontanea di gravidanza rispetto al resto della
popolazione;
Può avere un figlio affetto dalla sindrome di Patau o dalla Disomia uniparentale.
Con l'avvento delle tecniche di sequenziamento dell'intero genoma, si è visto che il numero di soggetti
che nascono con una disomia uniparentale è molto più alto di quello che si possa pensare, molti di
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questi casi sono in aree cosiddette “mute”, ovvero che non causano nulla, per questo non ne siamo a
conoscenza.
SIDROME DI
PATAU
La sindrome di Patau o
Trisomia 13 si manifesta
spesso con
un'interruzione
spontanea di gravidanza,
qualora questo non
avvenisse la morte
giunge generalmente nel
primo anno di vita.
La sindrome è
caratterizzata da vari
dismorfismi, da
polidattilia (numero di
dita soprannumerario), dal coinvolgimento del sistema nervoso centrale con disabilità intellettiva e
ipotonia e da una serie di malformazioni viscerali, in particolare anomalie cardiache.
Soffermiamoci sul
concetto di disomia
uniparentale.
Immaginiamo che in
questo caso il feto
abbia avuto uno
sbilanciamento della
traslocazione
cromosomica ereditato
dalla madre e che
avesse presentato tre
copie del cromosoma
7, due copie a eredità
paterna e una copia a
eredità materna. La cellula rendendosi conto di presentare un cromosoma soprannumerario elimina
in modo spontaneo e autonomo uno dei cromosomi. In questo caso può verificarsi la situazione in
cui, sebbene il cariotipo si presenti bilanciato, entrambe le copie di un medesimo cromosoma sono
ereditate dallo stesso genitore.
95
Infatti, qualora al
concepimento Wilma
trasmettesse la
traslocazione 7;13 e
questa andasse incontro
ad un eventuale
sbilanciamento con
conseguente
monosomia o trisomia
del cromosoma 7,
potrebbe verificarsi un
meccanismo di rescue
con una conseguente
duplice copia di un
cromosoma ereditato dallo stesso genitore. Una disomia uniparentale per il cromosoma 7 paterna si
presenta con un fenotipo variabile mentre una disomia uniparentale per il cromosoma 7 materna
genera la sindrome di Silver-Russel.
96
SINDROME DI SILVER-RUSSEL
La sindrome di Silver-Russel presenta
un’eziologia geneticamente
eterogenea dal momento che può
essere secondaria soltanto a
meccanismi di duplicazione,
delezione e traslocazione o
alterazione dell’imprinting riguardo il
cromosoma 11 (questi rappresentano
la maggioranza dei casi), ma può
essere anche causata dalla mancata
espressione di geni paterni localizzati
sul braccio lungo del cromosoma 7 ed
è quello su cui noi dobbiamo indagare
in questo caso.
Clinicamente la sindrome
si presenta con vari
dismorfismi, in particolare
viso di forma triangolare,
prominenza delle bozze
frontali e mento appuntito,
anomalie scheletriche quali
bassa statura, asimmetria
degli arti, clinodattilia e
scoliosi o anomalie del
sistema nervoso centrale,
con sviluppo cognitivo
solitamente nella norma o
disabilità intellettiva lieve
e disturbi
dell'apprendimento.
97
Se la disomia uniparentale
materna si presenta con la
sindrome di Silver-Russel,
la disomia uniparentale
paterna si presenta con un
fenotipo variabile.
L'individuo infatti può
presentarsi perfettamente
normale o presentare alta
statura.
Ciò che è tipico delle
disomie uniparentali è un
aumentato rischio di
presentare le patologie ad
ereditarietà autosomico recessiva, in particolare è stato notato, nei casi descritti in letteratura, un
aumentata incidenza di fibrosi cistica. Ciò, tuttavia non sorprende visto che il gene che provoca la
fibrosi cistica è situato sul braccio lungo del cromosoma 7.
98
Domande:
I cromosomi soggetti ad imprinting non sono soggetti a crossing over?
Sono i loci, porzioni di cromosoma, ad essere soggetti a imprinting. Tutto avviene
normalmente, quindi vanno incontro a crossing over; la differenza con l’imprinting sta nella
metilazione, perché i geni sottoposti a imprinting vengono silenziati trascrizionalmente
tramite la metilazione differenziale degli alleli.
Se un individuo con disomia uniparentale procreasse, la prole sarebbe sana?
Per prima cosa bisogna vedere se la disomia uniparentale dell’individuo non interferisce con
la sua possibilità di procreare, poi nel caso accadesse il fenotipo dipende sempre dal
cromosoma soggetto all’evento, se coinvolge un locus soggetto ad imprinting poi c’è anche
tutto il fattore legato a questo.
99
Noi parleremo del cancro come malattia genetica, daremo dei cenni di terminologia dei tumori
infantili, e spiegheremo perché, e parleremo dei tumori ereditari, prendendo come paradigma
l’esempio del Neuroblastoma (tipico tumore più presente in età pediatrica). SLIDE1
100
Ora, se noi guardiamo questa slide, vi rendete conto che c’è lo stesso DNA in uno zigote, in un
feto all’ottava o alla 13esima settimana, così come a 6 mesi, così come verso la fine del periodo
fetale, così come in un neonato. Evidentemente, essendo lo stesso il DNA, quello che cambia è
l’espressione.
4) Differenziarsi, cioè mettere in atto una serie di trascrizioni di alcuni geni che permettono
di diventare una cellula sempre più differenziata
5) Mettere in atto un meccanismo per cui da una cellula ne diventa 2, perciò si replica
6) Oppure, nell’incapacità dei 2 meccanismi precedenti, soprattutto per un eventuale errore,
la cellula va incontro ad una morte programmata che si chiama Apoptosi
Non si esce da questo paradigma.
101
Qualora il processo apoptotico, in uno dei suoi meccanismi, non funzioni; e non funzioni
neanche il processo di differenziazione o di replicazione, la cellula non può fare altro che dare
vita ad un fenomeno di crescita incontrollata che poi sostanzialmente è la base molecolare del
cancro.
Voi sapete molto bene, la collega prima lo ha anche detto, che il cancro è una malattia
multifattoriale, che quindi dipende dall’incontro tra il genoma e l’ambiente. Come già aveva
stabilito Darwin, il peso del genoma è sostanzialmente inversamente proporzionale al peso
dell’ambiente. E come voi vedete nella figura, man mano che aumenta il peso dei geni si va
verso le malattie monogeniche(mendeliane), man mano che diminuisce il peso dei geni si va
verso le malattie multifattoriali. Fino a diminuire a tal punto che ci sono malattie che sono
puramente ambientali. Però, la componente ambientale, o la componente genetica, è sempre
una componente prioritaria? Potremmo dire no, perché il fenotipo dipende in qualsiasi caso da
un’interazione di un genoma con un ambiente.
Prendiamo il classico esempio di una malattia genetica monogenica: la Fenilchetonuria.
È una malattia metabolica, è tra le malattie sottoposte a screening di popolazione neonatale.
Nella fenilchetonuria il fenotipo dipende dal genoma, ma dipende dal genoma così come
interagisce con l’ambiente. Perché se il bambino, già alla nascita riceve una terapia con alimenti
poveri di fenilalanina, la malattia stessa ha una manifestazione completamente differente, per
cui vedete bene, il fenotipo di una malattia mendeliana pura dipende comunque anche
dall’ambiente.
Per esempio, il deficit di G6PD vi porta, se mangiate le fave, al favismo. È una malattia
mendeliana? Certo, è una malattia mendeliana x linked. Ma se voi non mangiate le fave, se non
avete l’incontro con questo nutrimento ambientale; se non ponete le emazie a questo stress
ossidativo non avrete l’emolisi.
Per cui si può arrivare all’assunto che c’è una componente ambientale in malattie monogeniche
pure, come la fibrosi cistica o la fenilchetonuria, così come d’altra parte è possibile immaginare
che in un incidente stradale, per esempio, che è giocoforza dovuta all’ambiente (alla macchina
ecc) c’è una controparte che è rappresentata dal genoma, perché esistono delle forme di deficit
dell’attenzione che sono geneticamente determinate.
102
È chiaro quindi che noi abbiamo, nella definizione di un fenotipo, sempre(anche per la malattia
mendeliana o multifattoriale) un’interazione tra un gene - che può essere più o meno
predominante - un genoma e l’ambiente. Tutti e 3 determinano un fenotipo. Poi a seconda del
peso di questo gene una malattia può essere monogenica o multifattoriale
E ricordiamoci, che c’è, tra queste malattie, un continuum, non è che da una parte ci sono le
monogeniche e da un’altra parte ci sono le multifattoriali.
Ci sono malattie, che chiamiamo specificamente monogeniche (talassemie, fenilchetonuria),
per cui una malattia inizia con l’essere una malattia mendeliana oligogenica fino ad arrivare ad
essere una malattia poligenica (si parla di tratti complessi).
103
In tutto ciò, i tumori entrano proprio in questo capitolo, perché il peso dei tumori è certamente
dettato dall’interazione del genoma con l’ambiente. Però, quanto peso il genoma, e quanto
l’ambiente, è dipendente dall’età, dalla vita specifica del soggetto.
Ovvero, in un età precoce, in un tumore durante i primi anni di vita(tumore dell’età pediatrica),
il peso dell’ambiente diventa meno rilevante rispetto a quanto è il peso del genoma. Di questo
ve ne rendete conto anche in maniera intuitiva, perché c’è una minore esposizione alle noxa
ambientali, per cui l’ambiente ha potuto modificare. Mentre, per un tumore che sorge durante
l’età adulta o durante la senescenza dell’individuo, la componente ambientale è maggiore della
componente genomica.
E se noi guardiamo come sono diffusi i tumori, e che istotipi ci sono, nell’età pediatrica rispetto
all’età adulta ci accorgiamo che questo fatto è vero: questa per esempio, è una tabella generale,
che benché sia un po’ vecchia è ancora valida nella sua definizione degli istotipi: in età adulta
i tumori che vanno per la maggiore sono i tumori della mammella, prostata, polmone, colon-
retto; in minor quantità il tumore della vescica ed alcuni linfomi.
Vedete, questa è la definizione dei tumori dell’adulto. Vediamo invece l’analoga definizione
per i tumori presenti nell’età pediatrica, cioè nell’intervallo 0-14 anni.
Cosa osserviamo? Che ¼ dei tumori sono costituiti dalle leucemie linfoblasti che acute, un altro
quarto dai tumori del SNC, poi abbiamo un 10% circa di neuroblastoma, nefroblastoma, ancora
una volta linfoma e poi una serie di tumori differenti che sono retinblastoma; osteosarcoma;
tumore a cellule germinali…
104
Come vedete, quindi vediamo una epidemiologia ed istotipi differenti tra adulti e bambini.
Questa è l’implicita dimostrazione del differente peso che ha il genoma dell’età pediatrica
rispetto all’età adulta. In questi tumori dell’età pediatrica il genoma pesa molto di più che
nell’età adulta.
Vediamo com’è diffusa l’assistenza dei pazienti pediatrici affetti da tumori in Italia. Dovete
sapere che esiste una rete operativa, la Rete di Oncologia Pediatrica, che è una rete nazionale,
per cui in tutte le regioni ci sono un certo numero di centri in rapporto alla quantità di abitanti
di quella regione. In questi centri possono essere curati i soggetti in età pediatrica affetti da
tumori.
105
106
Quello che voglio dire ora, è una piccola osservazione che vorrei fare, che viene a volte chiesta
anche in ambulatorio. In ambulatorio vediamo purtroppo quotidianamente persone che vengono
per problemi di tumori ereditari. Tra questi, tumori sia pediatrici che dell’adulto.
Per quanto riguarda i tumori pediatrici, si discute moltissimo della problematica della Terra dei
Fuochi; si è detto che gli scarichi nella terra dei fuochi hanno fatto aumentare i tumori nell’Italia
meridionale e in particolare nella zone del casertano.
Vediamo un po’ l’incidenza dei tumori pediatrici in Italia nell’intervallo che va dagli inizi degli
anni ’90 ai primi 15 anni del nuovo secolo: come voi vedete c’è un lento incremento
dell’incidenza dei tumori pediatrici.
E se noi andiamo a vedere come sono divisi per gli istotipi maggiori(abbiamo detto in età
pediatrica tumori del SNC, leucemia e neuroblastoma), come voi vedete l’andamento è uguale
per tutti i tipi di tumori.
107
Per cui non c’è una differenza regionale rispetto a quella nazionale.
E se vogliamo, se guardiamo qual è l’andamento delle varie province: tra Terra dei Fuochi,
Napoli, Avellino, Salerno.. il trend è lo stesso in tutta la regione.
108
109
avevano ereditato o meno questo rischio, perché questo rischio era ereditato con una mutazione
su un gene che si trova sul Cromosoma 17, per cui si poteva fare un indagine prenatale. Ma non
era etico fare una prenatale per un rischio. Infine si sono sposati, ho visto la bambina che era
nata, alla quale abbiamo fatto prelievo di sangue e non ha ereditato la variante in oggetto.” Però,
come vedete, la parola rischio in questo nucleo familiare è molto forte, a tal punto da sembrare
un carattere mendeliano autosomico dominante.
Va anche detto che il padre di questo signore aveva un Ca polmonare, però in tarda età, che non
andava confuso con questi tumori. Per cui, quando fate una valutazione sul peso del genoma di
un nucleo familiare, è ovvio che devono esserci alcune caratteristiche: siccome c’è un rapporto
inverso tra il peso del genoma in una neoplasia e l’età del soggetto, allora se il soggetto ha un
Ca polmonare a 70 anni, evidentemente il peso del genoma è inferiore. Ed è difficile pensare
che un’unica mutazione predisponente possa avere un peso nello spiegare l’esordio tardivo di
questa patologia. Mentre, qualora risultasse una patologia oncologica in età pediatrica o nel
giovane adulto, il peso del genoma è maggiore e allora va cercata una mutazione in qualche
gene che può avere un effetto dominante.
Nello specifico, nel nucleo di prima la patologia era il retino blastoma: è un tumore aggressivo
che colpisce la retina in età infantile, spesso nel 1° o 2° anno di vita, ha un’incidenza di 1 caso
su 20.000 nascite, quindi in Campania se ne registra 2-3 all’anno, e di questi, il 60% sono casi
sporadici e il 40% sono casi ereditari. Esiste una diversa modalità di comparsa, perché molto
spesso il tumore è Bilaterale nelle forme ereditarie e monolaterale in quelle sporadiche.
110
Il gene la cui mutazione porta all’insorgenza del Retinoblastoma si trova sul Braccio lungo del
Cromosoma 13 (13q14).
111
più generazioni; tumori con ricorrenza rara in maschi o femmina(ex tumore della mammella in
un maschio); cancro in presenza di lesioni multiple precancerose(ex. adenomatosi colica);
alcuni istotipi rari( ex retino blastoma, carcinoma midollare della tiroide); cancri occorsi in
assenza di fattori di rischio; cancri che intervengono in presenza di dismorfismi o anomalie
congenite
Ricordiamoci che nella storia clinica di questo soggetto, quando fate l’analisi è essenziale, come
scritto nella tabella, fare un albero che sia almeno di 3 generazioni, in modo da chiarificare il
pattern di eredità, sia esso dominante, recessivo o x linked.
Avere un report della presenza di sindromi in una certa popolazione; investigare su tutta la
storia familiare per quanto riguarda la presenza di tumori, ma al tempo stesso essere molto
precisi per quanto riguarda la costruzione dell’albero e la designazione dell’età a cui è stata
fatta la diagnosi di cancro: una cosa è dire perché la mamma è morta di cancro della mammella
a 77 anni, un’altra cosa è dire che è morta per cancro della mammella a 37 anni… cause del
decesso, sede del tumore, ricorso a chirurgie di vario tipo e così via.
I meccanismi ereditari dei tumori: possono essere sia dominanti, che recessivi, che x linked,
che per perdita dell’imprinting (tumore di Wilms), oppure per Isodisomia uni parentale(pezzi
di cromosoma ricevuti dallo stesso genitore)
112
Sul mio sito c’è una pubblicazione che ho fatto sui tumori ereditari: questi sono esempi di
sindromi genetiche e che tipo di tumori possono dare.
Ce ne sono tantissime, alcune molto famose, per esempio la Malattia endocrina multipla, il
tumore della mammella e così via, non entriamo nei particolari.
113
Ricordate che, tra le sindromi, il Cancro della mammella e dell’ovaio, la Poliposi familiare
adenomatosa, il Carcinoma del colon retto, la sindrome di LI-Fraumeni, la Sindrome di Vin
Hippel-Lindau, tumore di Wilms… quante sindromi associate al cancro.
Volevo attirare la vostra attenzione su una cosa che dovreste già conoscere, ma che preferisco
(ribadire). Abbiamo detto che la predisposizione è data dalla presenza di mutazioni che possono
essere ereditate. Se noi guardiamo, in generale, il ciclo cellulare, quest’ultimo dipende, nel suo
avanzamento, dalla produzione ciclica di complessi formati da Cicline e da Chinasi cicline
dipendenti. Questi complessi vengono fosforilati e vengono defosforilati. Il complesso Chinasi-
Ciclina dipendente a sua volta fosforila una proteina-substrato, che è la proteina del
Retinoblastoma(ne fosforila anche altre come la p107 o p130), questo fa sì che questa proteina
subisca una modifica per cui dalla tasca interna della proteina fuoriescano una serie di fattori
trascrizionali(tra cui il fattore E2F) che attivano la trascrizione di geni la cui espressione fa
passare la cellula in una fase successiva del ciclo cellulare.
Come voi vedete, le Chinasi, che si uniscono alle Cicline, hanno degli inibitori specifici, perché,
capirete bene, che la loro azione è molto potente e se non controllata potrebbero far andare la
cellula verso un tumore. Questi inibitori sono sostanzialmente di 2 famiglie: famiglia di
p21/p27/p57(famiglia Cip/Kip), l’altra è la famiglia di p16(o INK4).
I 2 meccanismi di azione delle proteine appartenenti a queste famiglie è profondamente
differente: mentre la p16 - e le proteine correlate – competono con la ciclina per occupare il
114
sito catalitico della Chinasi, le p21/p27/p57 inibiscono il complesso chinasi-ciclina una volta
che questo si sia formato.
Queste proteine (Famiglia Cip/Kip) quindi agisce sul sistema ciclina-chinasi inibendolo. Quindi
possiamo dire che le cicline e le chinasi sono degli Oncogeni, perché hanno un effetto di Gain
of function, una volta mutate, sulla funzionalità re plicativa della cellula.
Mentre gli inibitori del ciclo cellulare sono sicuramente delle proteine Oncosoppressive, perché
sopprimono la capacità re plicativa del ciclo cellulare.
Mentre le prime (Famiglia Cip/Kip) agiscono mutando e passando da Protooncogeni ad
oncogeni, le Seconde (famiglia INK4) agiscono perdendosi come azione. Ed hanno, la prima
una caratteristica eredità di tipo dominante, le seconda una caratteristica eredità di tipo
recessivo.
115
mutazione nella p57. La p57 è sottoposta ad imprinting, per cui quello che succede è che questa
mutazione può avere un effetto dominante, se la mutazione viene ereditata dal padre o dalla
madre. E dare quindi vita alla sindrome di B-W con epatoblastoma o nefroblastoma.
L’altra caratteristica è quella dei melanomi familiari, come vedete in, in alcune famiglie:
Il melanoma (ma anche altri tumori). In questa famiglia c’è una mutazione del gene INK4A,
cioè p16, che è proprio quell’Oncosoppressore che abbiamo visto prima e che doveva bloccare
il sistema chinasi-ciclina dipendente.
116
Volevo ricordare anche questi geni sottoposti ad imprinting: il gene WT1, il gene del tumore di
Wilms(non è che il gene del tumore di Wilms esiste perché fa venire il tumore di Wilms. Si
chiama così perché è stato scoperto che è coinvolto in alcuni tipi di tumori di Wilms).
Un’altra sindrome caratteristica (come predisposizione) è la Von Hippel-Lindau, che, come voi
vedete, si manifesta con Emangioma cerebellare, spinale e midollare, cisti pancreatiche,
carcinomi, feocromocitomi ecc.
117
La patologia dell Von Hippel-Lindau è dovuta ad una mutazione in un gene che è un fattore di
sensibilizzazione della giusta quantità di ossigeno(HIF).
Ricordiamo il ruolo della genetica della Von Hippel-Lindau: il mio gruppo, come genetisti
clinici, fa parte di un gruppo multidisciplinare (al Pausylipon). Per ognuno dei bambini
facciamo un corretto studio familiare, un corretto studio del paziente. Cerchiamo delle
mutazioni in caratteristici geni. Come cerchiamo? Abbiamo dei pannelli, in NGS, in cui ci sono
118
108 geni, tutti che danno predisposizione per tumori ereditari. Per cui stabiliamo se ci sono
mutazioni in questi geni. Dopodiché facciamo anche una CGHRE per vedere se ci sono
delezioni che possono aver causato la perdita di alcuni di questi geni.
Altra cosa da tenere in considerazione è che qualora venga operato il bambino, facciamo uno
studio sull’esoma delle cellule cancerose, per vedere se esistono delle caratteristiche farmaco-
metaboliche, se ci sono dei target farmacologiche, se esistono delle proteine mutate
caratteristiche del tumore che possono essere target di farmaci.
Per quanto riguarda tumori con estrinsecazione può tardiva, qui vedete il caso del
neuroblastoma:
119
120
Perché il neonato presenta delle condizioni cliniche per cui manifesta un eritema proprio che rende
difficile verificare una colorazione giallastra sulla sua cute, è quindi necessaria una maggiore quantità
di questo metabolita per riuscire a distinguerla.
In ragione della distribuzione dell’ittero sulla superficie del corpo, vediamo in questa figura che i
livelli di bilirubina necessari per operare una diagnosi cambiano in funzione della zona corporea che
abbiamo a disposizione.
Immaginiamo di avere a disposizione la faccia del soggetto: 4/4,5 mg di bilirubina nel sangue sono
sufficienti per la diagnosi, ma se abbiamo a disposizione il palmo della mano, allora per diagnosticare
una condizione di iperbilirubinemia ci sarà bisogno di una concentrazione maggiore di 15 mg.
Il valore di bilirubina ematica ha una soglia limite al di sopra della quale si manifestano patologie
dovute a iperbilirubinemia tra cui la principale è il cosiddetto “kernicterus”, una condizione
caratterizzata da deposizione di bilirubina in tessuti di ordine lipidico e attraversamento della barriera
emato-encefalica. La bilirubina va a colpire i neuroni, soprattutto quelli dei gangli della base, questo
può portare gravi conseguenze, tra cui la morte del soggetto. È quindi necessario evitare il
superamento della soglia limite precedentemente citata.
Essa deriva dal catabolismo dell’Eme, un composto prodotto quotidianamente in quantità pari a:
121
Il restante 25% deriva dall’eritropoiesi inefficace, ovvero quel processo in cui vengono sintetizzati
globuli rossi imperfetti, che per anomalie nella forma o nel contenuto vengono eliminati nel midollo
stesso. Esistono anche delle cause ereditarie per cui la eritropoiesi non può essere portata a termine
(si parla di diseritropoiesi) e quindi la quantità di bilirubina ricavata da quest’ultimo processo cresce,
al punto che si possono avere itteri sostenuti soltanto da eritropoiesi inefficace, come avviene nelle
anemie diseritropoietiche congenite.
Qual è il destino della bilirubina? Essa circola nel sangue legata ad uno specifico carrier, l’albumina.
Questo serve a stabilizzare la bilirubina, che sotto questa forma può giungere al suo organo di
escrezione: il fegato. Arrivato a livello della cellula epatica, l’albumina viene ceduta ad un
trasportatore che la porta all’interno del citosol dell’epatocita, dove a livello del RE avviene una
doppia coniugazione della bilirubina. In una prima coniugazione si formano monoglicuronidi, nella
seconda, diglicuronidi. Il rapporto tra monoglicuronidi e diglicuronidi è fisso e deve rimanere tale.
I monoglicuronidi rappresentano il 5% del totale, mentre i diglicuronidi il 95%. Qualora si abbiano
delle modifiche di questo rapporto, cioè se i monoglicuronidi aumentano, la bile perde la sua fluidità
e viene convertita in “bile spessa”, la base fisiologica della formazione dei calcoli della colecisti.
Una volta coniugata, la bilirubina attraversa la parte interna della cellula che delimita il canalicolo
biliare mediante altri trasportatori che appartengono alla classe delle proteine MDR, responsabili
anche della multidrug resistance.
È evidente che la bilirubina è tossica per il nostro organismo, che deve liberarsene. Come avviene per
la maggior parte delle sostante tossiche esiste uno specifico sistema enzimatico di metabolizzazione
che se ne occupa. La metabolizzazione avviene in due fasi:
• una prima fase in cui enzimi appartenenti alla categoria dei citocromi permettono il trasporto
di una carica elettrica alla sostanza stessa. Questi enzimi fanno sì che si creino dei gruppi
elettrofili aventi un grande potere tossico che devono essere eliminati in centesimi di secondo
dalla cellula mediante la fase successiva.
• una seconda fase in cui si verifica una nuova coniugazione con diverse molecole, come
glicuronidi, come quelli di cui ci occuperemo oggi. Questi gruppi fanno in modo che la
sostanza possa poi essere escreta sotto forma di monoglicuronide o diglicuronide.
Esistono altre forme di coniugasi, che prevedono un legame con solfato o glutatione.
È evidente che il sistema di glicuronazione è importante per la vita della cellula. Esso è regolato da
geni che si trovano nel nostro DNA. Qualora una proteina sia particolarmente importante, questa deve
essere preservata da una sua eventuale inattivazione. Uno dei meccanismi evoluzionistici che
permette di far ciò è quello di aumentare le copie del gene che producono quella proteina stessa.
Lo abbiamo già visto in una delle prime lezioni in cui abbiamo parlato di emoglobina. L’emoglobina
è una proteina tetramerica formata da catane alpha e catene non alpha. Le prime sono codificate da
un cluster di geni che si trova sul cromosoma 16, mentre le seconde da un cluster di geni situato sul
cromosoma 11.
122
Questo confronto ci porta ad affermare che essi derivano tutti da un ancestrale comune, dapprima
differenziatosi in UGT1 e UGT2, i quali, mediante l’acquisizione di nuove mutazioni, si sono
raddoppiati e diversificati fino ad arrivare alla situazione odierna.
Siccome le mutazioni si succedono nel tempo, la sequenza e l’accumulo di queste ultime ci può
indicare il tempo di evoluzione del gene di nostro interesse.
L’altra cosa particolarmente importante è che questo sistema UGT si trova in tutte le specie.
Se guardiamo alla sequenza del gene UGT nell’uomo e la confrontiamo con quella del topo, del ratto
e del cane, si può notare che in molti punti la sequenza della proteina è omologa.
Da questo possiamo capire che ci sono dei punti fissi, in cui la proteina non può cambiare, pena la
perdita della sua funzione.
Ci sono invece dei punti che differiscono tra le diverse specie, il che ci porta a pensare che mutazioni
a carico di queste zone non interferiscono con la funzione della proteina.
123
Un’ulteriore caratteristica di queste proteine è che esse non funzionano come monomero, ma come
dimero. Questo dimero è attivo solo se inserito in un doppio strato lipidico. Per costituire il dimero,
sono necessari dei gruppi cisteinici che fanno ponti disolfuro e degli stretch di prolina che rendono
possibile l’inserimento dei due monomeri nel doppio strato lipidico. Se cambiamo i residui di cisteina
o di prolina, inattiviamo la proteina, perché non le permettiamo di dimerizzare o di inserirsi nel doppio
strato lipidico.
Inoltre, c’è da dire che, nonostante i geni UGT siano uguali in ogni cellula, perché contenuti nel nostro
DNA, la loro espressione è tessuto specifica.
Prendiamo in considerazione il gene
UGT1A1, esso è un gene ad
espressione epatica.
Questa isoforma è responsabile del
90% del metabolismo della
bilirubina. Come abbiamo detto, è
specifica del fegato, se la cerchiamo
nel tessuto duodenale non la
troveremo. C’è una tessuto-
specificità.
124
Al momento della nascita, i livelli di questo gene sono solo un terzo dei valori normali, soltanto alla
fine del primo anno di vita si raggiungono i valori fisiologici dell’attività di glucurono-coniugazione.
Quello che succede è che durante la vita perinatale - quando il neonato nasce - c’è una maggiore
rottura(citoriduzione) dei globuli rossi per portare i 20 gr di emoglobina presenti nel funicolo biliare
ai 14 gr e anche meno presenti durante i primi mesi di vita. Quindi si verifica una grande citoriduzione
con una maggiore produzione di eme e bilirubina. Tuttavia, come abbiamo visto, nei primi mesi di
vita del nascituro vi è una ridotta attività enzimatica. Questa discrepanza è la base fisiologica del
cosiddetto “ittero fisiologico” del neonato.
Qualora ci sia una causa che aumenta la rottura dei globuli rossi, o la presenza di una quantità
aumentata di eme (come malattie emolitiche) o un cefalo ematoma, abbiamo un ittero che può
diventare anche patologico, fino al “kernicterus”.
Solitamente, quasi tutti i sistemi enzimatici che si accendono dopo la nascita sono dotati di un centro
di regolazione. Questi centri di regolazione sono quasi sempre inducibili farmacologicamente. Nello
specifico il sistema UGT1A1 è inducibile con sostanze come “desametazone” o sostanze presenti in
particolari tipi di verdure come le brasicacee, verdure a foglia larga come i broccoli, che contengono
sostanze in grado di stimolare l’espressione del gene.
Possiamo quindi dire che soggetti che hanno un ittero cronico, possono avere un giovamento dal
consumo di questi alimenti.
125
126
127
Cosa cambia?
128
funzionalmente. Questo non sarebbe un grosso problema se la proteina funzionasse come monomero,
perché gli enzimi funzionano anche in quantità minore. Però questa proteina funziona come dimero.
Poiché la proteina più espressa è quella difettosa, perché il promotore garantisce un’espressione del
100%, è molto più probabile che si formino dimeri con le proteine non funzionanti, rispetto a dimeri
costituiti da due proteine funzionanti o da una proteina difettosa e da una normale.
Ci sarà attività proteica solo nell’improbabile caso in cui due monomeri funzionanti si assemblino.
Ecco perché, in questi casi, possiamo avere l’insorgenza della patologia anche con un solo genitore
portatore: l’attività enzimatica, per i motivi descritti, scende dal 100% al 15%. Il soggetto finisce per
essere affetto da CN2, una malattia autosomica recessiva, avendo un unico genitore portatore.
Tra le mutazioni più comuni a carico del gene UGT1A1 troviamo una delezione di 13 bp. È una
delezione in frameshift ed ha effetti gravi in quanto può portare a zero l’attività dell’enzima.
Questa delezione si trova in soggetti differenti: consideriamo due soggetti che presentano questa
mutazione, uno nato a Messina, l’altro a Milano. Diremmo mai che sono parenti?
Queste mutazioni sono dovute alla presenza di un effetto fondatore, quella condizione in cui una
mutazione deriva da un soggetto che molti anni prima ha manifestato per prima questo difetto
molecolare. Come lo si dimostra? Possiamo costruire un aplotipo di più soggetti affetti da Crigler-
Najjar. Un aplotipo è la costruzione dell’insieme di siti polimorfici presenti su un cromosoma e che
determinano la struttura di uno specifico allele. Se facciamo l’aplotipo nella regione che contiene il
gene UGT e paragoniamo tra di loro i diversi soggetti, ci accorgiamo che, seppur non imparentati,
questi soggetti hanno un aplotipo in comune.
129
Una malattia ereditaria può essere causata anche dall’incontro, come fenotipo, di due patologie
ereditarie: un soggetto può essere affetto contemporaneamente da una patologia del globulo rosso
(ex. talassemia) e del gene UGT. Questo incontro può portare a livelli di bilirubina particolarmente
elevati.
L’ultima patologia da prendere in considerazione è la sindrome di Gilbert. È una forma di ittero molto
comune, presente nel 15-20% della popolazione. È dovuta alla presenza, nel promotore, di un allele
da 7 o 8 ripetizioni di TA, quindi di bassi livelli di trascritto.
Cosa succede?
Il polimorfismo dell’UGT è molto presente nella popolazione. In omozigosi l’allele TA7 si trova nel
18% della popolazione, mentre in eterozigosi 35%. È molto frequente che, ad esempio, un soggetto
130
con una malattia del globulo rosso, come la talassemia, abbia anche la malattia di Gilbert (1 soggetto
su 5).
Il gene UGT rappresenta un esempio paradigmatico dei geni modificatori, ovvero quei geni che
riescono ad influenzare il rapporto tra fenotipo e genotipo.
Nella beta talassemia abbiamo citato altri geni modificatori, come il gene del collageno che può
causare malattie dell’osso, geni che regolano l’omeostasi del ferro (HFE) che può causare
eterocromatosi, il gene dell’UGT che abbiamo visto oggi, ed infine il gene dell’interferone che può
causare infezioni.
131
Nell’immagine osserviamo un
cariotipo a cui è stato fatto un
bandeggio, in cui si evidenzia
un’aneuploidia, ovvero la
presenza di un numero anomalo
di cromosomi, essendoci tre
cromosomi sessuali XXY,
quindi si presenta la sindrome di
Klinefelter. Raramente le
variazioni del numero di
cromosomi sono vitali, fanno
eccezione quelle dei cromosomi
X e Y, che permettono una maggiore possibilità di nascita per il feto, quelle del
cromosoma 21, che è tra i cromosomi più piccoli, e le variazioni dei cromosomi 13 e 18
che però portano a morte nel periodo perinatale o nella prima infanzia.
132
• Microcefalia
• Labio/palatoschisi (che può essere anche bilaterale)
• Microftalmia/anoftalmia (occhi più piccoli/ assenti)
• Ipertelorismo (occhi distanziati)
• Talvolta occhi ravvicinati causano ciclopia con assenza dello
scheletro nasale, al posto del quale può presentarsi proboscide
• Polidattilia postassiale (abbozzi sovrannumerari di falangi o
anche solo cutanei, dov’è lungo il lato ulnare dell’alano, dopo
il mignolo)
• Aplasia cutis in regione occipitale (mancata formazione della
cute che ricopre l’occipite, molto rara, presenti anche in altre
condizioni, in particolare in difetti di chiusura del tubo neurale e in sede craniale)
• Piede talo verticale congenito (o piede a dondolo)
QUADRO MALFORMATIVO:
133
È definita sindrome perché interessa più organi, dato che sul cromosoma 13 sono
presenti molti geni.
ASPETTO:
• Scarsa crescita prenatale
• Microcefalia con dolicocefalia (allungamento all’indietro
del capo)
• Micrognazia (mento sfuggente, molto piccolo)
• Anomalie del padiglione auricolare (sottile e a punta)
• Mani a pugno (indice sovrapposto al dito medio e mignolo
sull’anulare)
• Cute ridondante in regione occipitale
• Piede equinovaro (malformazione più frequente degli arti
inferiori)
134
QUADRO MALFORMATIVO:
• Malformazioni cardiache (70%-90% dei casi)
• Malformazioni del SNC (difetti del tubo neurale,
polimicrogiria causata da più circonvoluzioni a carico
degli emisferi cerebrali del normale, ipoplasia
cerebellare)
• Anomalie oculari (microftalmia, cataratta, opacità
corneali)
• Anomalie renali (rene a ferro di cavallo)
• Anomalie degli arti (ipo-aplasia del radio)
SINDROME DI DOWN
ASPETTO:
• Profilo piatto, naso piccolo, sella nasale piatta, narici
anteverse
• Occipite piatto (brachicefalia, cranio corto)
• Plica nucale
• Rime palpebrali upslanting (rivolte verso l’alto)
• Epicanto (piega caratteristica della palpebra superiore
sopra l’inferiore nell’angolo interno dell’occhio)
• Padiglione auricolare piccolo e a impianto basso
• Macroglossia
• Micrognazia
• Piega palmare unica
135
QUADRO MALFORMATIVO:
• Cardiopatie congenite nel 50-60% dei casi (tetralogia di
Fallot, canale atrioventricolare, DIA ostium secundum, pervietà
del dotto di Botallo)
• Atresia gastrointestinale (duodenale o esofagea) 20%
• Cataratta e glaucoma congeniti
• Ipotiroidismo congenito
• Policitemia (fattore di rischio per trombosi)
• Criptorchidismo nel maschio
• Displasia dell’anca
• Bassa statura, con curve di crescita distinte dalla
popolazione generale
CAUSE
• 94% non disgiunzione meiotica: trisomia libera
• 2-4% trisomia a mosaico (non disgiunzione nelle mitosi dello zigote)
• Trisomia parziale (coinvolgente solo parte di un cromosoma)
• 3-4% sbilanciamento della traslocazione (più frequente traslocazione
robertsoniana del cromosoma 14, unione dei bracci lunghi dei due cromosomi).
L’unione di uno dei gameti derivato dal portatore di questa traslocazione, con due
copie del 21, una delle quali attaccata al cromosoma 14, che si fonde con un
gamete normale, genera un individuo con due copie del cromosoma 21, due del
14 e materiale extra del 21 unito a uno dei due 14, quindi il materiale genetico del
21 è presente triplice copia.
136
CASI CLINICI
FOLLOW UP:
• Quando esaminato a 8 e a 18 mesi di età, il bambino era in ABS.
Ripetuti i test genetici su sangue periferico e il cariotipo da colture
linfocitarie riscontrato era in tutte le cellule analizzate (50) 46, XY,
ipotizzando mosaicismo viene effettuata un’altra analisi su altri tessuti
• L’analisi FISH interfase su cellule urinarie non coltivate ha rilevato
un livello di trisomia 13 del 4% (4/100 cellule). Il bambino non presenta
sindrome ma ha rischio riproduttivo.
Non sono rari i casi di mosaicismi di questo tipo, così come quelli di tipo
placentare, causa di uno dei più grandi problemi di diagnosi prenatale, per
la difficoltà di distinguere le cellule placentari da quelle del feto.
L’espressione variabile della sindrome di Patau non è dovuta solamente a
mosaicismo, ma c’è molto ancora da scoprire, nonostante sia una sindrome
conosciuta da tanto.
CASO CLINICO II
137
Da novembre 2019 pratica follow up per la bassa statura, non precedentemente indagata
perché al limite inferiore del target genetico. Presso consulenza endocrinologa del
14/11/2019 veniva consigliata visita genetica per iposomia staturoponderale, ritardo
dell’acquisizione dello sviluppo psicomotorio.
ESAME CLINICO:
- Bambina di 4 anni e 6/12
- Fronte ampia
- Ipertelorismo
- Teletelia
- Collo corto
Le analisi mostrano:
138
- Ritardo della maturazione scheletrica a carico delle ossa del metacarpo (circa 2
anni), dopo aver effettuato l’RX della mano destra con delle tavole di bambini di
pari età ha praticato esami per:
- Celiachia con esiti negativi (la celiachia nel bambino porta scarsa crescita
staturo-ponderale e anemia)
- Ecografia della tiroide nella norma (gli ormoni tiroidei sono gli ormoni che
maggiormente influenzano la crescita nel bambino, successivamente subentra il
GH)
- Elettroforesi proteica
- Emocromo
- 27/50 con cariotipo 46X i (Xq) iso-cromosoma del braccio lungo del cromosoma
X
Questa bambina che soffre della Sindrome di Turner, condizione associata ad infertilità.
Nella sindrome di Turner le dimensioni dell’utero non aumento a seguito della pubertà,
come accade fisiologicamente nelle donne.
139
- Bocca a “V rovesciata”
- Palato ovagivale
- Anomalie dentali
- Attività delle gonadi ridotta o insufficiente = ovaie fibrotiche che non producono
ovuli → amenorrea primaria = assenza del ciclo oppure amenorrea secondaria
= ciclo che avviene ma seguito da una menopausa precoce
140
Caratteristiche anatomo-fisiologiche:
- Pubertà tardiva o incompleta
- Ginecomastia
- Debolezza muscolare
In alcuni casi si manifestano anche:
- Alta statura
- Obesità
Per determinare la virilizzazione viene effettuata una terapia ormonale sostitutiva, che
riduce, inoltre, il rischio di osteoporosi.
Sembra che nelle prime fasi dello sviluppo, nei Klinefelter si produca una piccola
percentuale di spermatozoi, produzione che può essere incentivata da una terapia
ormonale.
141
Ne deduciamo che il fenotipo del feto sarà non patologico e che la traslocazione si possa
considerare benigna.
142
Possiamo notare che paperino abbia un cugino affetto dalla sindrome di Down, e che
anche la zia di Paperino abbia la medesima mutazione.
In questo caso specifico, l’Array CGH fetale portato in visione dai genitore mostra una delezione del
braccio lungo del cromosoma 13, lunga circa 45Mb, dimensione estremamente consistente. La
delezione comprende numerosi geni OMIM, geni descritti in letteratura e associati a patologia.
Dunque, la condizione riscontrata nel fegato era compatibile con una monosomia parziale
del cromosoma 13.
La delezione parziale del cromosoma 13 era già visibile nel cariotipo fetale, per via della
sua rilevanza.
Conclusioni:
143
L’altro rischio della coppia è quello di avere un figlio affetto da aneuploida (compresa
S.Down) oppure di disomia uniparentale, con un rischio superiore alla popolazione
generale.
ANAMNESI FAMILIARE:
Padre → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori
Sorella → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori,
malformazione Arnold-Chiari,siringomielia, fusione delle
vertebre cervicali, poliabortività
- H = 164 cm
- Peso = 63 kg
- CC = 54.5 cm
- Span = 139 cm
- DEFORMITÀ DI MADELUNG
144
-Peso = 47.5 kg
-CC = 51.5 cm
-Span = 137 cm
-DEFORMITÀ DI MADELUNG
-Scoliosi
TRASLOCAZIONE CROMOSOMICA
La traslocazione cromosomica è la conseguenza della rottura di 2 cromosomi, in questo
caso del cromosoma 2 e del cromosoma 8.
Da questa mutazione può scaturire una traslocazione bilanciata, senza perdita di materiale
genetico, o sbilanciata, con perdita o acquisizione di materiale genetico. In questo caso la
traslocazione si presenta bilanciata.
Andando ad osservare nuovamente l’anamnesi familiare, è palese che tutti i soggetti che
presentano la traslocazione cromosomica 2-8 presentino anomalie scheletriche degli arti
superiori.
Possiamo ipotizzare che la traslocazione in questo caso specifico abbia previsto la rottura
di un punto critico del cromosoma.
Per indagare più nello specifico il punto di rottura del cromosoma e i geni situati a quel
livello, indirizziamo Marge e Lisa ad effettuare una PCR, una reazione a catena della
polimerasi, tecnica che prevede l’amplificazione del DNA.
In seguito alla PCR viene eseguito il sequenziamento che ci mostra che la rottura del
cromosoma è avvenuta a livello di un gene trascritto, il gene HOX-D, situato sul braccio
lungo del cromosoma 2 (2q31.1).
Se la rottura del cromosoma avviene nel contesto del gene stesso, il gene non verrà più
trascritto. Non sorprende il fatto che il gene HOX-D sia coinvolto nello sviluppo
scheletrico, dal momento che tutti i portatori della traslocazione 2-8 hanno presentato
anomalie scheletriche degli arti superiori.
In letteratura, mutazioni del gene HOX-D sono associate ad anomalie variabili a livello
degli arti e delle mani.
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In particolare,
anomali
dell’avambraccio
come aplasia
dell’ulna e brevità
del radio, oppure
sinpolidattilia e
brachidattilia
Conclusioni:
Le possibilità sono le stesse: il feto potrebbe ereditare la mutazione o non ereditare la mutazione.
Qualora il feto ereditasse la mutazione il fenotipo sarebbe verosimilmente sovrapponibile a quello
dei genitori, dunque anche il feto presenterà anomalie scheletriche a carico degli arti superiori. Non
bisogna dimenticare che c’è la possibilità di sbilanciamento con possibilità di aborto. Per effettuare
una diagnosi prenatale invasiva è razionale considerare un’eventuale interruzione terapeutica di
gravidanza o comunque assistere la coppia durante la gravidanza in maniera consapevole.
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