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AFP Completo

Medicina e Chirurgia (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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AFP DIAGNOSI DI MALATTIE GENETICHE 08/04

Il processo diagnostico per una patologia genetica consiste:

• Raccolta dell’anamnesi familiare e patologica

• Esame obiettivo

• Pedigree

Una delle caratteristiche dell’esame obiettivo è quello della ricerca delle anomalie minori che potrebbero essere
marcatrici di una data patologia, in particolare alcune anomalie minori possono fornire un pattern specifico per
una specifica patologia (ad esempio la sindrome di Marfan presenta una serie di anomalie minori che non hanno
conseguenze mediche ma se presenti in un certo numero possono suggerire la diagnosi).
In genere viene presa in considerazione l’idea di una malattia genetica quando sono presenti:
1. Più di 3 anomalie minori
2. Più di una anomalia maggiore
3. Un’anomalia maggiore con anomalie minori
Il termine che viene usato per descrivere queste anomalie è “segno dismorfico”, cioè anomalie di struttura, di
forma o di dimensioni, ad esempio il filtro piatto, righe palpebrali rivolte verso l’alto e molteplici altre. Ci sono
anche caratteristiche in genere non presenti come appendice auricolare, un dito in più o un capezzolo
sopranumerario.

Questi pazienti hanno tutti segni dismorfici come filtro


lungo e piatto, sinofria (sopracciglia unite medialmente),
ipertelorismo (aumento della distanza tra i canti interni),
macroglossia e rime palpebrali rivolte verso l’alto, rime
palpebrali rivolte verso il basso verso il basso.
Due bambini hanno la stessa diagnosi ed è la sindrome di
Cornelia de Lunge.
Un bambino ha la sindrome di Down.

I segni dismorfici però non sono specifici per le patologie, infatti più del 4% della popolazione presenta segni
dismorfici, senza avere nessuna patologia, per cui più che sul singolo segno dismorfico, è importante
concentrarsi sul pattern dei segni dismorfici.

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Se si sospetta una malattia genetica è possibile fare determinati esami come il cariotipo, la FISH (interroga
determinate porzioni di cromosoma co duplicazioni e delezioni e necessita di un sospetto diagnostico), la RCGH
(coniuga cariotipo standard e FISH), sequenziamento del DNA.

Oltre alle osservazioni sopra elencate, i


dottori notano anche un pianto simile ad
un miagolio di gatto, la patologia in
questione è la “cri du chat” caratterizzata
da una delezione 5p-.
Il fatto che il bambino è nato sottopeso
con note dismorfiche hanno fatto pensare
ad una delezione del cromosoma 5 che si
può vedere con il cariotipo standard.

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Questo bambino presenta la sindrome di Williams, la facies è caratteristica e ha una stenosi aortica
sopravalvolare.
Nel caso di sospetto diagnostico si esegue una FISH specifica per 7q11.23. attualmente anche la CGH può
individuare rotture cromosomiche.

AFP GENETICA 21/05/2021

Noi parleremo del cancro come malattia genetica, daremo dei cenni di terminologia dei tumori infantili, e
spiegheremo perché, e parleremo dei tumori ereditari, prendendo come paradigma l’esempio del
Neuroblastoma (tipico tumore più presente in età pediatrica). SLIDE1

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Domanda ad una ragazza intervenuta dicendo che l’argomento oncogeni/oncosoppressori era già stato
trattato: “I tumori sono una malattia ereditaria?”. Risposta della ragazza: “Dipende, i tumori sono
considerati malattie multifattoriali, cioè che dipendono sia da fattori genetici che ambientali, e ci sono dei
tumori che possono essere appunto ereditari. In realtà, più che il tumore, viene ereditata una
predisposizione al tumore, e in base alla teoria del second hit: una mutazione viene ereditata dai genitori,
e poi nel corso della vita è possibile accumulare un’altra mutazione somatica che può portare
all’insorgenza del tumore vero e proprio.

Ora, se noi guardiamo questa slide, vi rendete conto che c’è lo stesso DNA in uno zigote, in un feto
all’ottava o alla 13esima settimana, così come a 6 mesi, così come verso la fine del periodo fetale, così
come in un neonato. Evidentemente, essendo lo stesso il DNA, quello che cambia è l’espressione.

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Un’altra cosa da prendere in considerazione, voi lo sapete, ma lo ricordiamo, è che se voi applicate uno
stimolo (qualsivoglia stimolo, che sia fisico, chimico, anche meccanico) ad una cellula, questa cellula ha
sostanzialmente 3 possibilità di azione, che sono:

1) Differenziarsi, cioè mettere in atto una serie di trascrizioni di alcuni geni che permettono di diventare
una cellula sempre più differenziata
2) Mettere in atto un meccanismo per cui da una cellula ne diventa 2, perciò si replica
3) Oppure, nell’incapacità dei 2 meccanismi precedenti, soprattutto per un eventuale errore, la cellula
va incontro ad una morte programmata che si chiama Apoptosi
Non si esce da questo paradigma.
Qualora il processo apoptotico, in uno dei suoi meccanismi, non funzioni; e non funzioni neanche il
processo di differenziazione o di replicazione, la cellula non può fare altro che dare vita ad un fenomeno
di crescita incontrollata che poi sostanzialmente è la base molecolare del cancro.

Voi sapete molto bene, la collega prima lo ha anche detto, che il cancro è una malattia multifattoriale, che
quindi dipende dall’incontro tra il genoma e l’ambiente. Come già aveva stabilito Darwin, il peso del
genoma è sostanzialmente inversamente proporzionale al peso dell’ambiente. E come voi vedete nella
figura, man mano che aumenta il peso dei geni si va verso le malattie monogeniche(mendeliane), man
mano che diminuisce il peso dei geni si va verso le malattie multifattoriali. Fino a diminuire a tal punto
che ci sono malattie che sono puramente ambientali. Però, la componente ambientale, o la componente
genetica, è sempre una componente prioritaria? Potremmo dire no, perché il fenotipo dipende in qualsiasi
caso da un’interazione di un genoma con un ambiente.
Prendiamo il classico esempio di una malattia genetica monogenica: la Fenilchetonuria.
È una malattia metabolica, è tra le malattie sottoposte a screening di popolazione neonatale. Nella
fenilchetonuria il fenotipo dipende dal genoma, ma dipende dal genoma così come interagisce con
l’ambiente. Perché se il bambino, già alla nascita riceve una terapia con alimenti poveri di fenilalanina, la
malattia stessa ha una manifestazione completamente differente, per cui vedete bene, il fenotipo di una
malattia mendeliana pura dipende comunque anche dall’ambiente.
Per esempio, il deficit di G6PD vi porta, se mangiate le fave, al favismo. È una malattia mendeliana?
Certo, è una malattia mendeliana x linked. Ma se voi non mangiate le fave, se non avete l’incontro con
questo nutrimento ambientale; se non ponete le emazie a questo stress ossidativo non avrete l’emolisi.
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Per cui si può arrivare all’assunto che c’è una componente ambientale in malattie monogeniche pure, come
la fibrosi cistica o la fenilchetonuria, così come d’altra parte è possibile immaginare che in un incidente
stradale, per esempio, che è giocoforza dovuta all’ambiente (alla macchina ecc) c’è una controparte che è
rappresentata dal genoma, perché esistono delle forme di deficit dell’attenzione che sono geneticamente
determinate.

È chiaro quindi che noi abbiamo, nella definizione di un fenotipo, sempre(anche per la malattia mendeliana
o multifattoriale) un’interazione tra un gene - che può essere più o meno predominante - un genoma e
l’ambiente. Tutti e 3 determinano un fenotipo. Poi a seconda del peso di questo gene una malattia può
essere monogenica o multifattoriale

E ricordiamoci, che c’è, tra queste malattie, un continuum, non è che da una parte ci sono le monogeniche
e da un’altra parte ci sono le multifattoriali.
Ci sono malattie, che chiamiamo specificamente monogeniche (talassemie, fenilchetonuria), per cui una
malattia inizia con l’essere una malattia mendeliana oligogenica fino ad arrivare ad essere una malattia
poligenica (si parla di tratti complessi).

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In tutto ciò, i tumori entrano proprio in questo capitolo, perché il peso dei tumori è certamente dettato
dall’interazione del genoma con l’ambiente. Però, quanto peso il genoma, e quanto l’ambiente, è
dipendente dall’età, dalla vita specifica del soggetto.
Ovvero, in un età precoce, in un tumore durante i primi anni di vita(tumore dell’età pediatrica), il peso
dell’ambiente diventa meno rilevante rispetto a quanto è il peso del genoma. Di questo ve ne rendete conto
anche in maniera intuitiva, perché c’è una minore esposizione alle noxa ambientali, per cui l’ambiente ha
potuto modificare. Mentre, per un tumore che sorge durante l’età adulta o durante la senescenza
dell’individuo, la componente ambientale è maggiore della componente genomica.

E se noi guardiamo come sono diffusi i tumori, e che istotipi ci sono, nell’età pediatrica rispetto all’età
adulta ci accorgiamo che questo fatto è vero: questa per esempio, è una tabella generale, che benché sia
un po’ vecchia è ancora valida nella sua definizione degli istotipi: in età adulta i tumori che vanno per la
maggiore sono i tumori della mammella, prostata, polmone, colon-retto; in minor quantità il tumore della
vescica ed alcuni linfomi.
Vedete, questa è la definizione dei tumori dell’adulto. Vediamo invece l’analoga definizione per i tumori
presenti nell’età pediatrica, cioè nell’intervallo 0-14 anni.
Cosa osserviamo? Che ¼ dei tumori sono costituiti dalle leucemie linfoblasti che acute, un altro quarto
dai tumori del SNC, poi abbiamo un 10% circa di neuroblastoma, nefroblastoma, ancora una volta linfoma
e poi una serie di tumori differenti che sono retinblastoma; osteosarcoma; tumore a cellule germinali…
Come vedete, quindi vediamo una epidemiologia ed istotipi differenti tra adulti e bambini. Questa è
l’implicita dimostrazione del differente peso che ha il genoma dell’età pediatrica rispetto all’età adulta. In
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questi tumori dell’età pediatrica il genoma pesa molto di più che nell’età adulta.

Vediamo com’è diffusa l’assistenza dei pazienti pediatrici affetti da tumori in Italia. Dovete sapere che
esiste una rete operativa, la Rete di Oncologia Pediatrica, che è una rete nazionale, per cui in tutte le regioni
ci sono un certo numero di centri in rapporto alla quantità di abitanti di quella regione. In questi centri
possono essere curati i soggetti in età pediatrica affetti da tumori.

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Quello che voglio dire ora, è una piccola osservazione che vorrei fare, che viene a volte chiesta anche in
ambulatorio. In ambulatorio vediamo purtroppo quotidianamente persone che vengono per problemi di
tumori ereditari. Tra questi, tumori sia pediatrici che dell’adulto.
Per quanto riguarda i tumori pediatrici, si discute moltissimo della problematica della Terra dei Fuochi; si
è detto che gli scarichi nella terra dei fuochi hanno fatto aumentare i tumori nell’Italia meridionale e in
particolare nella zone del casertano.
Vediamo un po’ l’incidenza dei tumori pediatrici in Italia nell’intervallo che va dagli inizi degli anni ’90
ai primi 15 anni del nuovo secolo: come voi vedete c’è un lento incremento dell’incidenza dei tumori
pediatrici.

E se noi andiamo a vedere come sono divisi per gli istotipi maggiori(abbiamo detto in età pediatrica tumori
del SNC, leucemia e neuroblastoma), come voi vedete l’andamento è uguale per tutti i tipi di tumori.

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Se noi andiamo in Campania, vediamo che l’incidenza in Campania è perfettamente sovrapponibile a


quella in Italia.

Per cui non c’è una differenza regionale rispetto a quella nazionale.

E se vogliamo, se guardiamo qual è l’andamento delle varie province: tra Terra dei Fuochi, Napoli,
Avellino, Salerno.. il trend è lo stesso in tutta la regione.

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Parliamo dei tumori ereditari

Vi faccio questo esempio: “tempo fa è venuto in ambulatorio un ragazzo accompagnato dalla fidanzata.
Si volevano sposare e quindi chiedevano una consulenza pre-matrimoniale.
Notai che il ragazzo guardava in maniera strana, aveva uno sguardo particolare, in effetti questo ragazzo
aveva un occhio finto. Quindi aveva solo un occhio funzionante, l’altro era finto. Ad un certo punto il
ragazzo chiede di far entrare anche il fratello. Anche il fratello aveva solo un occhio.
Mi raccontarono la storia della famiglia: avevano una mamma la quale aveva avuto un Retinoblastoma,
era stata operata, e alcuni anni dopo le è venuta una leucemia linfoblastica acuta, che nell’adulto è molto
più grave che in età pediatrica. È morta.
La sorella della mamma, quindi la zia, era morta per un Ca mammario.
Qual era il problema? Il problema è che loro(il ragazzo e la ragazza) mi chiedevano se era possibile fare
una diagnosi prenatale per Retinoblastoma. Perché, se guardate l’albero: la mamma ha il retino blastoma
e sia lui che il fratello hanno il retino blastoma.
Voi cosa avreste risposto?  nessuna risposta, prof deluso 
Evidentemente, la risposta era che loro avevano un rischio di retino blastoma, non una sicurezza di retino
blastoma. La valutazione del rischio si poteva fare, era possibile anche sapere se loro avevano ereditato o
meno questo rischio, perché questo rischio era ereditato con una mutazione su un gene che si trova sul

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Cromosoma 17, per cui si poteva fare un indagine prenatale. Ma non era etico fare una prenatale per un
rischio. Infine si sono sposati, ho visto la bambina che era nata, alla quale abbiamo fatto prelievo di sangue
e non ha ereditato la variante in oggetto.” Però, come vedete, la parola rischio in questo nucleo familiare
è molto forte, a tal punto da sembrare un carattere mendeliano autosomico dominante.

Va anche detto che il padre di questo signore aveva un Ca polmonare, però in tarda età, che non andava
confuso con questi tumori. Per cui, quando fate una valutazione sul peso del genoma di un nucleo
familiare, è ovvio che devono esserci alcune caratteristiche: siccome c’è un rapporto inverso tra il peso
del genoma in una neoplasia e l’età del soggetto, allora se il soggetto ha un Ca polmonare a 70 anni,
evidentemente il peso del genoma è inferiore. Ed è difficile pensare che un’unica mutazione predisponente
possa avere un peso nello spiegare l’esordio tardivo di questa patologia. Mentre, qualora risultasse una
patologia oncologica in età pediatrica o nel giovane adulto, il peso del genoma è maggiore e allora va
cercata una mutazione in qualche gene che può avere un effetto dominante.

Nello specifico, nel nucleo di prima la patologia era il retino blastoma: è un tumore aggressivo che colpisce
la retina in età infantile, spesso nel 1° o 2° anno di vita, ha un’incidenza di 1 caso su 20.000 nascite, quindi
in Campania se ne registra 2-3 all’anno, e di questi, il 60% sono casi sporadici e il 40% sono casi ereditari.
Esiste una diversa modalità di comparsa, perché molto spesso il tumore è Bilaterale nelle forme ereditarie
e monolaterale in quelle sporadiche.
Il gene la cui mutazione porta all’insorgenza del Retinoblastoma si trova sul Braccio lungo del Cromosoma
13 (13q14).

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Facciamo attenzione a non fare confusione e a non considerare le parole “ereditaria” e “familiare” come
sinonimi. Le neoplasie ereditarie sono quelle associate a mutazioni germinali che conferiscono un rischio
di cancro elevato. Spesso > 50%, anche se mancano in letteratura delle cifre sicure (perché variano in
rapporto all’età).
L’espressione “cancro familiare” viene usato da molti come sinonimo del termine precedente, anche se
molti intendono questo termine riferito alla ricorrenza familiare del cancro, > 1 caso per famiglia. Non
necessariamente dovuto alla presenza di una predisposizione. Per esempio, in zona di grande inquinamento
(ex zona dell’Ilva di Taranto o in zone dove ci sono stati casi di Asbestosi), abbiamo che anche più soggetti,
che semmai lavoravano nella stessa fabbrica, hanno avuto un cancro del polmone, o un mesotelioma
pleurico. Ma solamente perché sono stati entrambi (questi soggetti) esposti allo stesso ambiente, quindi
alla stessa noxa patogena. Ma in questo non c’era nulla di ereditario.

Quali sono i segni di allarme per la predisposizione al cancro?


Allora, i segni di allarme per la predisposizione al cancro sono: cancro all’insorgenza in età pediatrica;
tumori primari multipli (nello stesso o in organi differenti); ricorrenza del cancro in più generazioni;
tumori con ricorrenza rara in maschi o femmina(ex tumore della mammella in un maschio); cancro in
presenza di lesioni multiple precancerose(ex. adenomatosi colica); alcuni istotipi rari( ex retino blastoma,
carcinoma midollare della tiroide); cancri occorsi in assenza di fattori di rischio; cancri che intervengono
in presenza di dismorfismi o anomalie congenite
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Ricordiamoci che nella storia clinica di questo soggetto, quando fate l’analisi è essenziale, come scritto
nella tabella, fare un albero che sia almeno di 3 generazioni, in modo da chiarificare il pattern di eredità,
sia esso dominante, recessivo o x linked.
Avere un report della presenza di sindromi in una certa popolazione; investigare su tutta la storia familiare
per quanto riguarda la presenza di tumori, ma al tempo stesso essere molto precisi per quanto riguarda la
costruzione dell’albero e la designazione dell’età a cui è stata fatta la diagnosi di cancro: una cosa è dire
perché la mamma è morta di cancro della mammella a 77 anni, un’altra cosa è dire che è morta per cancro
della mammella a 37 anni… cause del decesso, sede del tumore, ricorso a chirurgie di vario tipo e così
via.

I meccanismi ereditari dei tumori: possono essere sia dominanti, che recessivi, che x linked, che per perdita
dell’imprinting (tumore di Wilms), oppure per Isodisomia uni parentale(pezzi di cromosoma ricevuti dallo
stesso genitore)

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Sul mio sito c’è una pubblicazione che ho fatto sui tumori ereditari: questi sono esempi di sindromi
genetiche e che tipo di tumori possono dare.

Ce ne sono tantissime, alcune molto famose, per esempio la Malattia endocrina multipla, il tumore della
mammella e così via, non entriamo nei particolari.

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Ricordate che, tra le sindromi, il Cancro della mammella e dell’ovaio, la Poliposi familiare adenomatosa,
il Carcinoma del colon retto, la sindrome di LI-Fraumeni, la Sindrome di Vin Hippel-Lindau, tumore di
Wilms… quante sindromi associate al cancro.

Volevo attirare la vostra attenzione su una cosa che dovreste già conoscere, ma che preferisco (ribadire).
Abbiamo detto che la predisposizione è data dalla presenza di mutazioni che possono essere ereditate. Se
noi guardiamo, in generale, il ciclo cellulare, quest’ultimo dipende, nel suo avanzamento, dalla produzione
ciclica di complessi formati da Cicline e da Chinasi cicline dipendenti. Questi complessi vengono
fosforilati e vengono defosforilati. Il complesso Chinasi-Ciclina dipendente a sua volta fosforila una
proteina-substrato, che è la proteina del Retinoblastoma(ne fosforila anche altre come la p107 o p130),
questo fa sì che questa proteina subisca una modifica per cui dalla tasca interna della proteina fuoriescano
una serie di fattori trascrizionali(tra cui il fattore E2F) che attivano la trascrizione di geni la cui espressione
fa passare la cellula in una fase successiva del ciclo cellulare.

Come voi vedete, le Chinasi, che si uniscono alle Cicline, hanno degli inibitori specifici, perché, capirete
bene, che la loro azione è molto potente e se non controllata potrebbero far andare la cellula verso un
tumore. Questi inibitori sono sostanzialmente di 2 famiglie: famiglia di p21/p27/p57(famiglia Cip/Kip),
l’altra è la famiglia di p16(o INK4).
I 2 meccanismi di azione delle proteine appartenenti a queste famiglie è profondamente differente: mentre
la p16 - e le proteine correlate – competono con la ciclina per occupare il sito catalitico della Chinasi, le
p21/p27/p57 inibiscono il complesso chinasi-ciclina una volta che questo si sia formato.

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Queste proteine (Famiglia Cip/Kip) quindi agisce sul sistema ciclina-chinasi inibendolo. Quindi possiamo
dire che le cicline e le chinasi sono degli Oncogeni, perché hanno un effetto di Gain of function, una volta
mutate, sulla funzionalità re plicativa della cellula.
Mentre gli inibitori del ciclo cellulare sono sicuramente delle proteine Oncosoppressive, perché
sopprimono la capacità re plicativa del ciclo cellulare.
Mentre le prime (Famiglia Cip/Kip) agiscono mutando e passando da Protooncogeni ad oncogeni, le
Seconde (famiglia INK4) agiscono perdendosi come azione. Ed hanno, la prima una caratteristica eredità
di tipo dominante, le seconda una caratteristica eredità di tipo recessivo.

Se noi vediamo la malattia di Beckwith-Wiedeman, questa è caratterizzata per Macroglossia, onfalocele,


emi-ipertrofia, epatomegalia, ipoglicemia neonatale, iperplasia pancreatica, ma soprattutto per la
comparsa di 2 tipi di neoplasia principale che sono il Tumore di Wilms, Nefroblastoma ed Epatoblastoma.
Sono tumori dovuti al fatto che la differenziazione cellulare, a livello fetale, di specifici
tessuti(epatico/renale) hanno avuto un intoppo per cui la differenziazione non funziona e la cellula è andata
verso il cancro, per cui è un blastoma.

Se noi andiamo a vedere la sindrome di Beckwith-WIedeman, è una caratteristica patologia


dell’imprinting. Può succedere che, per esempio, la persona può ereditare, da un genitore, una mutazione
nella p57. La p57 è sottoposta ad imprinting, per cui quello che succede è che questa mutazione può avere
un effetto dominante, se la mutazione viene ereditata dal padre o dalla madre. E dare quindi vita alla
sindrome di B-W con epatoblastoma o nefroblastoma.

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L’altra caratteristica è quella dei melanomi familiari, come vedete in, in alcune famiglie:

Il melanoma (ma anche altri tumori). In questa famiglia c’è una mutazione del gene INK4A, cioè p16, che
è proprio quell’Oncosoppressore che abbiamo visto prima e che doveva bloccare il sistema chinasi-ciclina
dipendente.

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Volevo ricordare anche questi geni sottoposti ad imprinting: il gene WT1, il gene del tumore di Wilms(non
è che il gene del tumore di Wilms esiste perché fa venire il tumore di Wilms. Si chiama così perché è stato
scoperto che è coinvolto in alcuni tipi di tumori di Wilms).

In realtà è un gene che specifica per un fattore trascrizionale.

Un’altra sindrome caratteristica (come predisposizione) è la Von Hippel-Lindau, che, come voi vedete, si
manifesta con Emangioma cerebellare, spinale e midollare, cisti pancreatiche, carcinomi, feocromocitomi
ecc.

La patologia dell Von Hippel-Lindau è dovuta ad una mutazione in un gene che è un fattore di
sensibilizzazione della giusta quantità di ossigeno(HIF).

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La proteina del Von Hippel-Lindau si recepisce nel soggetto come predisposizione, e la predisposizione è
ereditata in maniera dominante. Mentre, per la comparsa del tumore, c’è bisogno del secondo hit, cioè, a
livello somatico, deve avvenire una seconda mutazione dello stesso gene.

Ricordiamo il ruolo della genetica della Von Hippel-Lindau: il mio gruppo, come genetisti clinici, fa parte
di un gruppo multidisciplinare (al Pausylipon). Per ognuno dei bambini facciamo un corretto studio
familiare, un corretto studio del paziente. Cerchiamo delle mutazioni in caratteristici geni. Come
cerchiamo? Abbiamo dei pannelli, in NGS, in cui ci sono 108 geni, tutti che danno predisposizione per
tumori ereditari. Per cui stabiliamo se ci sono mutazioni in questi geni. Dopodiché facciamo anche una
CGHRE per vedere se ci sono delezioni che possono aver causato la perdita di alcuni di questi geni.

Altra cosa da tenere in considerazione è che qualora venga operato il bambino, facciamo uno studio
sull’esoma delle cellule cancerose, per vedere se esistono delle caratteristiche farmaco-metaboliche, se ci
sono dei target farmacologiche, se esistono delle proteine mutate caratteristiche del tumore che possono
essere target di farmaci.
Per quanto riguarda tumori con estrinsecazione può tardiva, qui vedete il caso del neuroblastoma:

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Costituisce la terza causa di tumori durante l’età pediatrica.


È un tumore molto particolare, perché il tumore ha una stadiazione, ovvero esistono diversi stadi del
tumore.
Però, esiste una forma del tumore, che si chiama 4S. È un tumore metastatico che insorge in un soggetto
durante i primi 3-4 mesi di vita. Per cui è un tumore metastatico dei primi 3-4 mesi di vita.
È la dimostrazione di quel fatto che vi dicevo: un tumore che insorge nei primi 3-4 mesi di vita deve avere
un peso del genoma molto forte.
In questo caso ci sono mutazioni che hanno bloccato la normale differenziazione cellulare.
La dimostrazione di ciò è che questo tumore, è un tumore che sebbene sia un tumore metastatico, può
avere una prognosi benigna. Si può guarire totalmente e può scomparire anche in assenza di un supporto
terapeutico.

Queste sono le caratteristiche molecolare che caratterizzano il neuroblastoma: quindi è un


tumore(blastoma) ad insorgenza precoce. Vedete: delezione del braccio corto del cromosoma 1;
aumento(gain) del numero di copie su cromosoma 17; amplificazione di MYCN (fattore trascrizionale);
delezione del braccio lungo del cromosoma 11 e mutazioni in altri geni, che costituiscono la suscettibilità
al tumore, che in alcuni casi (come mutazioni di ALK) sono così forti che la malattia assume un carattere,
in alcuni nuclei familiari, di tipo mendeliano.
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AFP ITTERI EREDITARI 28/05


Nella lezione di oggi parleremo di una patologia piuttosto comune: gli itteri ereditari.
Forniamo per prima cosa una definizione di ittero: l’ittero è quella colorazione visibile della cute dovuta ad una
aumentata quantità di bilirubina nel sangue. Per manifestarsi come ittero la concentrazione di bilirubina deve
essere maggiore di 2 mg negli adulti e maggiore di 6 mg nei neonati.

Perché questa differenza?

Perché il neonato presenta delle condizioni cliniche per cui manifesta un eritema proprio che rende difficile
verificare una colorazione giallastra sulla sua cute, è quindi necessaria una maggiore quantità di questo
metabolita per riuscire a distinguerla.

In ragione della distribuzione dell’ittero sulla superficie del corpo, vediamo in questa figura che i livelli di
bilirubina necessari per operare una diagnosi cambiano in funzione della zona corporea che abbiamo a
disposizione.
Immaginiamo di avere a disposizione la faccia del soggetto: 4/4,5 mg di bilirubina nel sangue sono sufficienti
per la diagnosi, ma se abbiamo a disposizione il palmo della mano, allora per diagnosticare una condizione di
iperbilirubinemia ci sarà bisogno di una concentrazione maggiore di 15 mg.
Il valore di bilirubina ematica ha una soglia limite al di sopra della quale si manifestano patologie dovute a
iperbilirubinemia tra cui la principale è il cosiddetto “kernicterus”, una condizione caratterizzata da
deposizione di bilirubina in tessuti di ordine lipidico e attraversamento della barriera emato-encefalica. La
bilirubina va a colpire i neuroni, soprattutto quelli dei gangli della base, questo può portare gravi conseguenze,
tra cui la morte del soggetto. È quindi necessario evitare il superamento della soglia limite precedentemente
citata.

Ma da dove deriva la bilirubina?

Essa deriva dal catabolismo dell’Eme, un composto prodotto quotidianamente in quantità pari a:

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• 6-10 mg/kg/giorno nei bambini/adolescenti


• 3-4mg/kg/giorno negli adulti
L’eme proviene per il 75% dall’emoglobina contenuta nei globuli rossi invecchiati, i quali, dopo 120 giorni di
vita vengono degradati dalla milza. 1 gr di emoglobina produce 34 mg di bilirubina.

Il restante 25% deriva dall’eritropoiesi inefficace, ovvero quel processo in cui vengono sintetizzati globuli rossi
imperfetti, che per anomalie nella forma o nel contenuto vengono eliminati nel midollo stesso. Esistono anche
delle cause ereditarie per cui la eritropoiesi non può essere portata a termine (si parla di diseritropoiesi) e quindi
la quantità di bilirubina ricavata da quest’ultimo processo cresce, al punto che si possono avere itteri sostenuti
soltanto da eritropoiesi inefficace, come avviene nelle anemie diseritropoietiche congenite.

Qual è il destino della bilirubina? Essa circola nel sangue legata ad uno specifico carrier, l’albumina. Questo
serve a stabilizzare la bilirubina, che sotto questa forma può giungere al suo organo di escrezione: il fegato.
Arrivato a livello della cellula epatica, l’albumina viene ceduta ad un trasportatore che la porta all’interno del
citosol dell’epatocita, dove a livello del RE avviene una doppia coniugazione della bilirubina. In una prima
coniugazione si formano monoglicuronidi, nella seconda, diglicuronidi. Il rapporto tra monoglicuronidi e
diglicuronidi è fisso e deve rimanere tale.
I monoglicuronidi rappresentano il 5% del totale, mentre i diglicuronidi il 95%. Qualora si abbiano delle
modifiche di questo rapporto, cioè se i monoglicuronidi aumentano, la bile perde la sua fluidità e viene convertita
in “bile spessa”, la base fisiologica della formazione dei calcoli della colecisti.

Una volta coniugata, la bilirubina attraversa la parte interna della cellula che delimita il canalicolo biliare
mediante altri trasportatori che appartengono alla classe delle proteine MDR, responsabili anche della multidrug
resistance.

È evidente che la bilirubina è tossica per il nostro organismo, che deve liberarsene. Come avviene per la maggior
parte delle sostante tossiche esiste uno specifico sistema enzimatico di metabolizzazione che se ne occupa. La
metabolizzazione avviene in due fasi:

• una prima fase in cui enzimi appartenenti alla categoria dei citocromi permettono il trasporto di una
carica elettrica alla sostanza stessa. Questi enzimi fanno sì che si creino dei gruppi elettrofili aventi un
grande potere tossico che devono essere eliminati in centesimi di secondo dalla cellula mediante la fase
successiva.
• una seconda fase in cui si verifica una nuova coniugazione con diverse molecole, come glicuronidi, come
quelli di cui ci occuperemo oggi. Questi gruppi fanno in modo che la sostanza possa poi essere escreta
sotto forma di monoglicuronide o diglicuronide.
Esistono altre forme di coniugasi, che prevedono un legame con solfato o glutatione.
È evidente che il sistema di glicuronazione è importante per la vita della cellula. Esso è regolato da geni che si
trovano nel nostro DNA. Qualora una proteina sia particolarmente importante, questa deve essere preservata da
una sua eventuale inattivazione. Uno dei meccanismi evoluzionistici che permette di far ciò è quello di
aumentare le copie del gene che producono quella proteina stessa.
Lo abbiamo già visto in una delle prime lezioni in cui abbiamo parlato di emoglobina. L’emoglobina è una
proteina tetramerica formata da catane alpha e catene non alpha. Le prime sono codificate da un cluster di geni
che si trova sul cromosoma 16, mentre le seconde da un cluster di geni situato sul cromosoma 11.
Osserviamo ciò che accade per il sistema della glicuronazione.
Le proteine che partecipano alla glicuronazione sono molto importanti, perché permettono l’eliminazione di
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sostanze tossiche, come farmaci o sostanze che entrano nel nostro organismo mediante i nutrienti o che ancora,
il nostro stesso organismo produce, come bilirubina o ormoni steroidei.
Esse devono quindi essere protette, come già detto, da un’eventuale inattivazione.
Il numero di geni che codificano per queste proteine è quindi aumentato: nel nostro genoma troviamo 16 geni
che codificano per UGT.
Questi 16 geni sono dividi in due classi: una prima classe che si trova sul braccio lungo del cromosoma 2 in
posizione 3.7 e una seconda classe che si trova sul braccio lungo del cromosoma 4 in posizione 1.3.
È evidente quindi, come vediamo, che questo
sistema somiglia molto a quello dell’emoglobina.
Se guardiamo alla sequenza di ognuno di questi
geni, vediamo che essi possono essere ordinati in
base alle loro similitudini.

Questo confronto ci porta ad affermare che essi


derivano tutti da un ancestrale comune, dapprima
differenziatosi in UGT1 e UGT2, i quali, mediante
l’acquisizione di nuove mutazioni, si sono
raddoppiati e diversificati fino ad arrivare alla
situazione odierna.
Siccome le mutazioni si succedono nel tempo, la sequenza e l’accumulo di queste ultime ci può indicare il tempo
di evoluzione del gene di nostro interesse.

L’altra cosa particolarmente importante è che questo sistema UGT si trova in tutte le specie.
Se guardiamo alla sequenza del gene UGT nell’uomo e la confrontiamo con quella del topo, del ratto e del cane,
si può notare che in molti punti la sequenza della proteina è omologa.

Da questo possiamo capire che ci sono dei punti fissi, in cui la proteina non può cambiare, pena la perdita della
sua funzione.
Ci sono invece dei punti che differiscono tra le diverse specie, il che ci porta a pensare che mutazioni a carico
di queste zone non interferiscono con la funzione della proteina.

Ora se noi osserviamo la sequenza del gene UGT, vediamo che


questa è, come tutte, fatta da esoni e introni. L’UGT ha però
una caratteristica unica.
Prima di parlarne pensiamo alla funzione di questa proteina:
deve glucuronare diverse sostanze tossiche, sostanze che,
chimicamente, possono presentare strutture estremamente
diverse.
Tuttavia, la reazione biochimica che esse subiscono è la stessa:
glucurono-coniugazione. Evidentemente in questo sistema
enzimatico deve quindi esserci una parte della molecola fissa,
che rappresenta il sito catalitico, e una seconda parte che lega il
substrato e che è variabile. Come si realizza tutto questo? Mediante una struttura genica molto interessante, in
cui il primo esone del gene è presente in 14 copie differenti, mentre gli esoni 2, 3, 4 e 5, sono presenti in copia
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unica. È interessante notare che il sito catalitico (la parte effettivamente attiva dell’enzima, quella che, come
detto in precedenza, non muta) è interamente codificata dagli esoni 2, 3, 4 e 5, mentre la parte che lega il
substrato cambia in ragione del tipo di esone 1 che viene utilizzato. Questo gene produce quindi 14 proteine
differenti, tutte quante che fanno glucurono-coniugazione.
Il paradigma, il dogma centrale “un gene-una proteina” viene ancora una volta meno.
In questo caso un gene produce 14 proteine.

Un’ulteriore caratteristica di queste proteine è che esse non funzionano come monomero, ma come dimero.
Questo dimero è attivo solo se inserito in un doppio strato lipidico. Per costituire il dimero, sono necessari dei
gruppi cisteinici che fanno ponti disolfuro e degli stretch di prolina che rendono possibile l’inserimento dei due
monomeri nel doppio strato lipidico. Se cambiamo i residui di cisteina o di prolina, inattiviamo la proteina,
perché non le permettiamo di dimerizzare o di inserirsi nel doppio strato lipidico.

Inoltre, c’è da dire che, nonostante i geni UGT siano uguali in ogni cellula, perché contenuti nel nostro DNA, la
loro espressione è tessuto specifica.
Prendiamo in considerazione il gene UGT1A1,
esso è un gene ad espressione epatica.
Questa isoforma è responsabile del 90% del
metabolismo della bilirubina. Come abbiamo
detto, è specifica del fegato, se la cerchiamo nel
tessuto duodenale non la troveremo. C’è una
tessuto-specificità.

I geni hanno molto spesso anche una specificità


temporale, non funzionano nello stesso modo in
tutte le fasce di età dell’uomo.
Prendiamo in considerazione sempre il gene
UGT1A1. Esso è poco espresso nel fegato fetale,
in quanto è il fegato della mamma a glucuronare
la bilirubina e in generale, ad occuparsi della detossificazione. L’espressione del gene UGT1A1 si manifesta a
partire dalla 30esima settimana e cresce lentamente.

Al momento della nascita, i livelli di questo gene sono solo un terzo dei valori normali, soltanto alla fine del
primo anno di vita si raggiungono i valori fisiologici dell’attività di glucurono-coniugazione.
Quello che succede è che durante la vita perinatale - quando il neonato nasce - c’è una maggiore
rottura(citoriduzione) dei globuli rossi per portare i 20 gr di emoglobina presenti nel funicolo biliare ai 14 gr e
anche meno presenti durante i primi mesi di vita. Quindi si verifica una grande citoriduzione con una maggiore
produzione di eme e bilirubina. Tuttavia, come abbiamo visto, nei primi mesi di vita del nascituro vi è una ridotta
attività enzimatica. Questa discrepanza è la base fisiologica del cosiddetto “ittero fisiologico” del neonato.

Qualora ci sia una causa che aumenta la rottura dei globuli rossi, o la presenza di una quantità aumentata di eme
(come malattie emolitiche) o un cefalo ematoma, abbiamo un ittero che può diventare anche patologico, fino al
“kernicterus”.

Solitamente, quasi tutti i sistemi enzimatici che si accendono dopo la nascita sono dotati di un centro di
regolazione. Questi centri di regolazione sono quasi sempre inducibili farmacologicamente. Nello specifico il
sistema UGT1A1 è inducibile con sostanze come “desametazone” o sostanze presenti in particolari tipi di
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verdure come le brasicacee, verdure a foglia larga come i broccoli, che contengono sostanze in grado di stimolare
l’espressione del gene.
Possiamo quindi dire che soggetti che hanno un ittero cronico, possono avere un giovamento dal consumo di
questi alimenti.

La dimostrazione dell’inducibilità di questo sistema è


osservabile mediante un esperimento: consideriamo un
neonato itterico che ha 15 mg di bilirubina e vi
somministriamo “fenobarbital” (solitamente utilizzato per
combattere le convulsioni), vediamo che dopo la
somministrazione i livelli di bilirubina del neonato
scendono a livelli molto bassi e se interrompiamo la
somministrazione, l’attività enzimatica viene nuovamente
ridotta e si arriva ai precedenti livelli di concentrazione di
bilirubina.

Questo esperimento ci permette di suddividere le malattie causate da un eccesso di bilirubina in tre gruppi:

• la sindrome di Crigler-Najjar di tipo 1 (CN1), in cui la somministrazione di fenobarbital non sortisce


effetti;
• la sindrome di Crigler-Najjar di tipo 2 (CN2), in cui se dato il fenobarbital, si ha una diminuzione dei
livelli di bilirubina almeno del 30%;
• la sindrome di Gilbert, caratterizzata da lievi incrementi dei normali valori di bilirubina;

Quali sono le mutazioni più comuni che possono


colpire il gene UGT1A1?

Mutazioni missenso (il fenotipo varia in base al punto


della sequenza che viene modificata, se è una zona
conservata, l’effetto sarà più grave), mutazioni non -
senso, grandi e piccole delezioni, sostituzioni
nucleotidiche, inserzioni.

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Osserviamo ora un gruppo di soggetti


affetto da CN1. Essi sono soggetti non
sensibili all’induzione enzimatica. Quali
saranno le mutazioni che li colpiscono?
Sono mutazioni che portano alla perdita
totale della funzione enzimatica,
mutazioni che abbiamo già visto nello
studio delle beta talassemie: delezioni in
frameshift che portano ad un’alterazione
della cornice di lettura e alla sintesi di una
proteina tronca.

Osserviamo ora un gruppo di soggetti affetto da CN2.


Contrariamente a quanto visto in precedenza, avremo
mutazioni che non riducono a zero l’attività
enzimatica, ma doppie eterozigosi in cui almeno una
delle due mutazioni consentirà di mantenere un
minimo di funzione proteica e per questo, la proteina
sarà comunque inducibile con il fenobarbital.

Studiamo un altro caso di CN2, ovvero di un


soggetto che risponde a questo farmaco.
Ricordate quello che abbiamo detto parlando del
favismo? Non esistono mutazioni frameshift o non
senso, ma solo mutazioni che riducono l’attività
della proteina, solo la sua emivita. Ciò che accade
in mutazioni che portano a CN2 è la stessa cosa.
Nell’immagine vediamo come una mutazione a
livello del codone 15 vada a ridurre l’emivita della
proteina ma non a compromettere totalmente la sua
funzione, ecco perché essa risponde ancora al
fenobarbital.

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Vediamo invece un altro caso molto


interessante di CN1. Il caso che
vedremo ci permette di ripetere un
meccanismo molecolare che abbiamo
già incontrato nella nostra discussione
sull’imprinting: è infatti causato da un
caso di disomia uniparentale sul
cromosoma 2.
Nasce un neonato affetto da CN1, una
forma di ittero grave. Si fa un’analisi
dei marcatori polimorfici (in questo
caso microsatelliti) del cromosoma 2
nella regione vicina al gene. I
microsatelliti sono marcatori
polimorfici che hanno grande
eterogeneità perché il numero delle
ripetizioni è variabile nello stesso soggetto ed esistono quindi più forme alleliche dello stesso marcatore. Per il
marcatore D2S423 che si trova nel braccio corto del cromosoma 2 ha come genotipo 4.4, il padre invece ha
come genotipo 3.4, la madre invece 1.2.
Cosa è successo? Il padre gli ha sicuramente dato il cromosoma con il 4, ma la madre non ha dato nulla. Lo
stesso vale per altri marcatori analizzati. È quindi chiaro che il cromosoma 2 della madre non partecipa al
genotipo del feto. È quindi un caso di disomia uni parentale.
Il caso ha voluto che il padre fosse eterozigote per una mutazione presente sull’esone 1 del gene UGT, che porta
ad una riduzione di questa proteina. Il neonato avente una disomia uniparentale paterna, diventa omozigote per
la mutazione di UGT1(entrambi i cromosomi di origine paterna). È ovviamente una eccezione dei pattern di
trasmissione mendeliano, le mutazioni infatti provengono da un solo genitore.

L’altro meccanismo da tenere in considerazione è un meccanismo molto rilevante nelle malattie autosomiche
dominanti ed X linked: le mutazioni de novo. Ricordiamo che 1/3 delle patologie X linked sono causate da
mutazioni de novo.

Adesso vedremo un caso di CN2, in cui una delle


mutazioni sul gene UGT è ereditata dal padre,
mentre l’altra è una mutazione de novo dell’UGT
materno. Si tratta di una mutazione de novo
presente in una patologia autosomica recessiva.

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Ora bisogna fare molta attenzione, perché


vedremo ora il meccanismo più comune con cui si
può manifestare una patologia autosomica
recessiva con un solo genitore portatore. Per le
patologie recessive, secondo Mendel, uno dei 2
genitori è portatore, l’altro anche ed unendosi,
hanno il 25% di possibilità di avere figlio affetto.
Vediamo un’eccezione.

In questo caso ci troviamo davanti a 2 genitori che


hanno un bambino affetto.
Nell’immagine possiamo vedere la struttura del
gene UGT1A1 su due diversi cromosomi ereditati
da un neonato.
Possiamo vedere in verde gli esoni ed in blu il promotore del gene in cui c’è la TATA box, a cui si lega l’RNA
pol II. La TATA box è caratterizzata da una ripetizione di dinucleotidi TA. Questa ripetizione è polimorfica. Ci
sono soggetti che ne possiedono diverse copie, c’è chi ha 5 o 6 ripetizioni, chi invece ne ha 7 o 8.

Cosa cambia?

5 e 6 ripetizioni permettono la stessa attività trascrizionale, mentre 7 e 8 riducono l’efficienza trascrizionale dal
100% al 30%. Per cui, se un genitore ha una normale struttura del gene, ma un promotore TA a 7, riduce la
propria capacità trascrizionale e questo gene (ereditato dal bambino) produrrà solo il 30% di proteine.
L’altro genitore invece, dà al figlio un gene dotato di un normale promotore (espressione proteica al 100%), ma
che presenta una mutazione negli esoni. Questa mutazione produce una proteina non attiva funzionalmente.
Questo non sarebbe un grosso problema se la proteina funzionasse come monomero, perché gli enzimi
funzionano anche in quantità minore. Però questa proteina funziona come dimero.
Poiché la proteina più espressa è quella difettosa, perché il promotore garantisce un’espressione del 100%, è
molto più probabile che si formino dimeri con le proteine non funzionanti, rispetto a dimeri costituiti da due
proteine funzionanti o da una proteina difettosa e da una normale.

Ci sarà attività proteica solo nell’improbabile caso in cui due monomeri funzionanti si assemblino.
Ecco perché, in questi casi, possiamo avere l’insorgenza della patologia anche con un solo genitore portatore:
l’attività enzimatica, per i motivi descritti, scende dal 100% al 15%. Il soggetto finisce per essere affetto da
CN2, una malattia autosomica recessiva, avendo un unico genitore portatore.

Domanda: si può avere una desensibilizzazione dell’enzima, dopo un lungo utilizzo di fenobarbital?
Non c’è rischio di desensibilizzazione, ma ci possono essere altri effetti collaterali.
Recentemente è venuto da noi un uomo che faceva il muratore, aveva CN2. Per questioni sociali, egli veniva
spesso discriminato, in quanto l’ittero è spesso visto, erroneamente, come una malattia infettiva. Quest’uomo
chiedeva quindi un farmaco che potesse attenuare le manifestazioni itteriche. Abbiamo proceduto
prescrivendogli fenobarbital: l’ittero è sparito, ma il fenobarbital ha avuto conseguenza sul suo sistema nervoso
centrale (in quanto anti convulsionante). Abbiamo interrotto la somministrazione, in quanto questi effetti
sarebbero stati pericolosi per il suo lavoro, spesso svolto su impalcature a grandi altezze.

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Domanda: come fa il fenobarbital a stimolare l’attività enzimatica?


Stimola l’attività dell’enzima in quanto si lega alla TATAbox e velocizza la trascrizione. Fa aumentare il numero
dei trascritti.

Tra le mutazioni più comuni a carico del gene UGT1A1 troviamo una delezione di 13 bp. È una delezione in
frameshift ed ha effetti gravi in quanto può portare a zero l’attività dell’enzima.
Questa delezione si trova in soggetti differenti: consideriamo due soggetti che presentano questa mutazione, uno
nato a Messina, l’altro a Milano. Diremmo mai che sono parenti?
Queste mutazioni sono dovute alla presenza di un effetto fondatore, quella condizione in cui una mutazione
deriva da un soggetto che molti anni prima ha manifestato per prima questo difetto molecolare. Come lo si
dimostra? Possiamo costruire un aplotipo di più soggetti affetti da Crigler-Najjar. Un aplotipo è la costruzione
dell’insieme di siti polimorfici presenti su un cromosoma e che determinano la struttura di uno specifico allele.
Se facciamo l’aplotipo nella regione che contiene il gene UGT e paragoniamo tra di loro i diversi soggetti, ci
accorgiamo che, seppur non imparentati, questi soggetti hanno un aplotipo in comune.

Nell’immagine si vede che è quello che va dal


262 al 123 e che al centro presenta il gene
stesso. Questa area in comune è quella che
hanno ricevuto dal fondatore, tanto più piccola
è l’area, tanto più antica la mutazione.
Avrete sicuramente visto questo effetto anche
nelle malattie dei difetti della glicosilazione,
nelle malattie del Golgi.

Una malattia ereditaria può essere causata


anche dall’incontro, come fenotipo, di due patologie ereditarie: un soggetto può essere affetto
contemporaneamente da una patologia del globulo rosso (ex. talassemia) e del gene UGT. Questo incontro può
portare a livelli di bilirubina particolarmente elevati.

L’ultima patologia da prendere in considerazione è la sindrome di Gilbert. È una forma di ittero molto comune,
presente nel 15-20% della popolazione. È dovuta alla
presenza, nel promotore, di un allele da 7 o 8 ripetizioni
di TA, quindi di bassi livelli di trascritto.
Cosa succede?

L’attività enzimatica può essere misurata mediante un


saggio di luciferasi. Se mediante questo saggio valutiamo
l’attività enzimatica di geni con promotore TA6, TA7 e
TA8, come mostra l’immagine, notiamo una riduzione
notevole della trascrizione dal passaggio da 6 a 7 e da 6
a 8.

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Nel 43% della popolazione italiana, ci sono alleli TA7 e nel 57% l’allele TA6. I due alleli, quello patologico e
quello normale, si trovano in frequenze quasi uguali. Come è possibile? Possiamo pensare ad un vantaggio
selettivo. Qual è questo vantaggio? La bilirubina, in lievi quantità, è un antiossidante e può proteggere da infarti
del miocardio o ictus. Al tempo stesso però, si ha una ridotta attività enzimatica ed una conseguente alterazione
del rapporto tra mono e diglicuronidi e quindi questi soggetti manifestano spesso calcoli alla cistifellea.

Il polimorfismo dell’UGT è molto presente nella popolazione. In omozigosi l’allele TA7 si trova nel 18% della
popolazione, mentre in eterozigosi 35%. È molto frequente che, ad esempio, un soggetto con una malattia del
globulo rosso, come la talassemia, abbia anche la malattia di Gilbert (1 soggetto su 5).

Cosa succede in questi casi?

La talassemia fa aumentare l’emolisi, la sindrome di Gilbert altera il metabolismo della bilirubina e di


conseguenza il fenotipo del soggetto cambia in ragione del fatto che esso acquisisce nuovi polimorfismi.

Il gene UGT rappresenta un esempio paradigmatico dei geni modificatori, ovvero quei geni che riescono ad
influenzare il rapporto tra fenotipo e genotipo.
Nella beta talassemia abbiamo citato altri geni modificatori, come il gene del collageno che può causare malattie
dell’osso, geni che regolano l’omeostasi del ferro (HFE) che può causare eterocromatosi, il gene dell’UGT che
abbiamo visto oggi, ed infine il gene dell’interferone che può causare infezioni.

Il fenotipo talassemico può essere implementato dall’aver


ereditato questi altri polimorfismi. Una malattia
mendeliana, intesa come monogenica, quindi in realtà non
esiste, nella misura in cui alla definizione del fenotipo
concorre in maniera principale un gene, ma in modalità
accessoria una serie di altri geni che fanno diventare quel
tratto mendeliano un tratto complesso.

Se è vero che il polimorfismo dell’UGT ha un effetto


benefico perché riduce possibilità di infarti ed ictus, è
anche vero che ha effetti negativi perché altera i processi
di detossificazione. Molte sostanze tossiche sono
eliminate mediante glucurono-coniugazione. Sostanze tossiche avranno quindi effetti peggiori su questi soggetti.
Un esempio è dato dal chemioterapico irinotecano (eliminato mediante glucurono-coniugazione). A parità di
dose somministrata, un soggetto affetto da sindrome di Gilbert avrà, rispetto ad un soggetto normale,
manifestazioni come ablazione midollare totale e forme acute di diarrea dovuta allo sfaldamento dell’epitelio
intestinale. Perché questo? Perché è come se il soggetto affetto da sindrome di Gilbert, non riuscendo a
metabolizzare la sostanza, avesse assunto una dose 70 volte maggiore di quella effettiva.
Il polimorfismo dell’UGT ha quindi un effetto paradigmatico che inficia anche la farmacogenetica.

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AFP CROMOSOMOPATIE 03/06

PRINCIPALI ANEUPLOIDIE E CASI CLINICI


Dato che le variazioni del numero e della struttura dei cromosomi comportano fenotipi complessi,
cioè variazioni dei fenotipi che riguardano il coinvolgimento di più organi e tessuti, le
cromosomopatie sono tutti decretabili nell’ambito delle sindromi.

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Nell’immagine osserviamo un cariotipo a


cui è stato fatto un bandeggio, in cui si
evidenzia un’aneuploidia, ovvero la
presenza di un numero anomalo di
cromosomi, essendoci tre cromosomi
sessuali XXY, quindi si presenta la
sindrome di Klinefelter. Raramente le
variazioni del numero di cromosomi sono
vitali, fanno eccezione quelle dei
cromosomi X e Y, che permettono una
maggiore possibilità di nascita per il feto,
quelle del cromosoma 21, che è tra i
cromosomi più piccoli, e le variazioni dei cromosomi 13 e 18 che però portano a morte nel periodo
perinatale o nella prima infanzia.

Con quali tecniche si possono studiare le aneuploidie?

• Cariotipo: esame diretto dei cromosomi al microscopio, che devono essere in


metafase, è esteso a tutto il genoma perché si valutano tutti i cromosomi, e permette di
individuare anomalie cromosomiche numeriche o strutturali anche quando sono bilanciate
(quindi non c’è perdita di materiale, e lo spostamento è riconoscibile da bandeggio).
-vantaggi: Quasi tutte le anomalie osservate al cariotipo sono patogenetiche, si può studiare
tutto il genoma e si possono riconoscere anche mosaici (perché posso analizzare un numero
di metafasi che ritengo più opportuno). Un cariotipo standard si effettua su 16 metafasi, se
una di queste risulta anomala si procede con 32. Se c’è dall’inizio un sospetto di mosaico, si
può richiedere un cariotipo su 100 metafasi, oppure su più tessuti.
• Fish: l’esame al microscopio dei segnali misti dal sodio fluorescenti che si legano a
sequenze bersaglio nelle cellule sia in metafase che in interfase. Può essere effettuato in
pochi giorni, però l’estensione dell’esame può essere richiesta solo se si sa già cosa si cerca.
Rispetto al cariotipo si può ottenere una risoluzione migliore rispetto al cariotipo talvolta
anche di 50 kb, a seconda del tratto che si analizza e della sonda che si utilizza. Anche in
questo caso quasi tutte le anomalie osservate sono patologiche e si possono individuare
mosaici, ma la tecnica è un po’ costosa.
• Micro-Array o Array CGH: ricerca di sbilanciamenti, quindi con perdita o
acquisizione di materiale, confrontando il DNA del soggetto da analizzare con un DNA
campione. Si possono individuare aneuploidie, se ci sono riarrangiamenti strutturali anche
piccoli, perché c’è una risoluzione molto alta, anche di 25 kb. Tuttavia, queste tecniche hanno
delle difficoltà interpretative soprattutto quelle con piattaforme in grado di decretare
piccolissime duplicazioni e delezioni, perché molti hanno variazioni strutturali, CNVs, però
talvolta non hanno effetto clinico. Si può utilizzare se si sospetta trisomia del cromosoma 21
ad esempio.

TRISOMIA 13 O SINDROME DI PATAU

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Causata dalla presenza di un cromosoma 13 sovrannumerario che talvolta è parziale, cioè presenta
trisomia ma solo di una parte del cromosoma tredici, o vi è mosaicismo e quindi la trisomia si
presenta solo in alcune linee germinali.
Ha un’incidenza di 1/8000- 1/15000 nati vivi. Il 90 % dei soggetti affetti non raggiunge l’anno di
vita. I nati vivi rappresentano solo la punta dell’iceberg, se si vedono le interruzioni di gravidanza,
le trisomie del cromosoma 13 sono molte di più.
La patologia è caratterizzata da scarso accrescimento causato anche da difficoltà di alimentazione,
un ritardo psicomotorio molto grande, epilessia, complicanze date da malformazioni rilevabili.
La gravità è sicuramente dovuta anche alla dimensione del cromosoma.

L’ASPETTO è caratterizzato da:

• Microcefalia
• Labio/palatoschisi (che può essere anche bilaterale)
• Microftalmia/anoftalmia (occhi più piccoli/ assenti)
• Ipertelorismo (occhi distanziati)
• Talvolta occhi ravvicinati causano ciclopia con assenza dello
scheletro nasale, al posto del quale può presentarsi proboscide
• Polidattilia postassiale (abbozzi sovrannumerari di falangi o
anche solo cutanei, dov’è lungo il lato ulnare dell’alano, dopo
il mignolo)
• Aplasia cutis in regione occipitale (mancata formazione della
cute che ricopre l’occipite, molto rara, presenti anche in altre
condizioni, in particolare in difetti di chiusura del tubo neurale e in sede craniale)
• Piede talo verticale congenito (o piede a dondolo)

QUADRO MALFORMATIVO:
• Malformazioni cardiache (80 % dei casi)
• Malformazioni del SNC (oloprosencefalia, agnesia del
corpo calloso, è grave perché non si vengono a generare
i solchi che dividono i lobi cerebrali, questo determina
una mancata differenziazione del parenchima del
tessuto nervoso centrale che può avere diversi gradi di
severità e il più grave è il cervello alobare, cioè senza
distinzione dei lobi)
• Anomalie oculari (microftalmia, anoftalmia, displasia
retinica, cataratta, opacità corneali)
• Anomalie renali (displasia cistica)
• Possibile onfalocele (erniazione degli organi interni
all’interno di un sacco in comunicazione con il cordone ombelicale)
• Meningomielocele (difetti di chiusura del tubo neurale, in sede caudale, c’è uno spettro di
anomalie, spina bifida, spina bifida cistica, spina bifida occulta, meningomielocele,
meningocele)
• Ipotonia, iporeattività (talvolta letargico a causa dei difetti del SNC).

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È definita sindrome perché interessa più organi, dato che sul cromosoma 13 sono presenti molti
geni.

TRISOMIA 18 O SINDROME DI EDWARDS


È causata dalla presenza di un cromosoma 18 sovrannumerario talvolta parziale o a mosaico, la
duplicazione necessaria per poter riscontrare questa sindrome è la trisomia della porzione terminale
del braccio lungo del cromosoma 18. I maschi decedono nel corso dei primi mesi di vita, le femmine
nel corso di qualche anno, a eccezione dei soggetti che presentano trisomie parziali o mosaicismi
che possono sopravvivere di più.

ASPETTO:
• Scarsa crescita prenatale
• Microcefalia con dolicocefalia (allungamento all’indietro del
capo)
• Micrognazia (mento sfuggente, molto piccolo)
• Anomalie del padiglione auricolare (sottile e a punta)
• Mani a pugno (indice sovrapposto al dito medio e mignolo
sull’anulare)
• Cute ridondante in regione occipitale
• Piede equinovaro (malformazione più frequente degli arti
inferiori)

QUADRO MALFORMATIVO:
• Malformazioni cardiache (70%-90% dei casi)
• Malformazioni del SNC (difetti del tubo neurale,
polimicrogiria causata da più circonvoluzioni a carico
degli emisferi cerebrali del normale, ipoplasia
cerebellare)
• Anomalie oculari (microftalmia, cataratta, opacità
corneali)
• Anomalie renali (rene a ferro di cavallo)
• Anomalie degli arti (ipo-aplasia del radio)

Nessuna di queste caratteristiche da sola basta a


diagnosticare la sindrome di Edwards.

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SINDROME DI DOWN

È la più frequente delle trisomie associate ad una condizione patologica, ha un’incidenza di


1:1000/1700 nati vivi

ASPETTO:
• Profilo piatto, naso piccolo, sella nasale piatta, narici
anteverse
• Occipite piatto (brachicefalia, cranio corto)
• Plica nucale
• Rime palpebrali upslanting (rivolte verso l’alto)
• Epicanto (piega caratteristica della palpebra superiore
sopra l’inferiore nell’angolo interno dell’occhio)
• Padiglione auricolare piccolo e a impianto basso
• Macroglossia
• Micrognazia
• Piega palmare unica

QUADRO MALFORMATIVO:
• Cardiopatie congenite nel 50-60% dei casi (tetralogia di
Fallot, canale atrioventricolare, DIA ostium secundum, pervietà
del dotto di Botallo)
• Atresia gastrointestinale (duodenale o esofagea) 20%
• Cataratta e glaucoma congeniti
• Ipotiroidismo congenito
• Policitemia (fattore di rischio per trombosi)
• Criptorchidismo nel maschio
• Displasia dell’anca
• Bassa statura, con curve di crescita distinte dalla
popolazione generale

ALTRE PROBLEMATICHE CLINICHE:


• 20% dei casi disturbi comportamentali, 25% dei casi disturbi psichiatrici
• Diabete, celiachia
• Alzheimer precoce
• Aumentato rischio di leucemie
• Ipoacusia trasmissiva
• Apnee ostruttive del sonno

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• Instabilità atlantoassiale (condizione che si può presentare anche in altre patologie,


pericolosa perché si può andare facilmente incontro a spostamento dell’atlante con
conseguente paraplegia)

CAUSE
• 94% non disgiunzione meiotica: trisomia libera
• 2-4% trisomia a mosaico (non disgiunzione nelle mitosi dello zigote)
• Trisomia parziale (coinvolgente solo parte di un cromosoma)
• 3-4% sbilanciamento della traslocazione (più frequente traslocazione robertsoniana
del cromosoma 14, unione dei bracci lunghi dei due cromosomi).
L’unione di uno dei gameti derivato dal portatore di questa traslocazione, con due copie del
21, una delle quali attaccata al cromosoma 14, che si fonde con un gamete normale, genera
un individuo con due copie del cromosoma 21, due del 14 e materiale extra del 21 unito a
uno dei due 14, quindi il materiale genetico del 21 è presente triplice copia.
È importante riconoscere se la sindrome è dovuta ad una traslocazione robertsoniana perché
questa implica aumentata ricorrenza rispetto a quella de novo. Proprio per questo sono
previste diagnosi prenatali.

CASI CLINICI

CASO CLINICO I (PRENATALE)


• Una donna di 40 anni, primigravida, effettua amniocentesi a 18 settimane di
gestazione.
• L’amniocentesi mostra un cariotipo di questo tipo: 47, XY, +13 [5]/ 46 XY
[20] quindi su 25 cellule analizzate, 5 cellule con cariotipo alterato e 20 con cariotipo
normale
L’analisi al CGH su amniociti mostra un esito arr [GRCg37] (13) x3 [0.10], X,Y)x1
compatibile con mosaicismo di trisomia 13
• FISH su amniociti: livello di trisomia 13 del 10% (10/100 cellule)
• L’ecografia prenatale non mostra anomalie
• La gravidanza è stata portata a 37 settimane di gestazione. Alla nascita il
bambino mostra un fenotipo normale, peso di 3600 g.

FOLLOW UP:
• Quando esaminato a 8 e a 18 mesi di età, il bambino era in ABS. Ripetuti i
test genetici su sangue periferico e il cariotipo da colture linfocitarie riscontrato era
in tutte le cellule analizzate (50) 46, XY, ipotizzando mosaicismo viene effettuata
un’altra analisi su altri tessuti
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• L’analisi FISH interfase su cellule urinarie non coltivate ha rilevato un livello


di trisomia 13 del 4% (4/100 cellule). Il bambino non presenta sindrome ma ha rischio
riproduttivo.
Non sono rari i casi di mosaicismi di questo tipo, così come quelli di tipo placentare,
causa di uno dei più grandi problemi di diagnosi prenatale, per la difficoltà di
distinguere le cellule placentari da quelle del feto.
L’espressione variabile della sindrome di Patau non è dovuta solamente a
mosaicismo, ma c’è molto ancora da scoprire, nonostante sia una sindrome
conosciuta da tanto.

CASO CLINICO II

UNA BAMBINA SI PRESENTA IN AMBULATORIO PER BASSA STATURA

-Anamnesi familiare: secondogenita di genitori non consanguinei. Un cugino di I grado, nel


ramo paterno, con riferito deficit intellettivo. Familiarità per ipotiroidismo (nonna materna)
- Anamnesi personale: parto a 37 settimane
- Feto IUGR, parto mediante TC d’urgenza per PROM
- Alla nascita peso kg1,780 (<3pc) lunghezza 43 (<3pc) CC 30 cm (<3pc) APGAR
(indice del benessere neonato a 1 minuto e a 5 minuto della nascita) 8’9’ quindi alto,
ipocalcemia transiente, veniva trasferita presso TIN dell’ospedale annunziata dove
veniva ricoverata per circa 10 giorni
- Tappe dello sviluppo psicomotorio: primi passi a circa 20 mesi, prime parole a circa
2 anni, controllo degli sfinteri a circa 2 anni e mezzo. A 16 mesi consulenza NPI
(consulenza neuropsichiatrica) per pianto frequente. Ha praticato logopedia e psicomotricità.

Da novembre 2019 pratica follow up per la bassa statura, non precedentemente indagata perché al
limite inferiore del target genetico. Presso consulenza endocrinologa del 14/11/2019 veniva
consigliata visita genetica per iposomia staturoponderale, ritardo dell’acquisizione dello sviluppo
psicomotorio.

Ci sono segni che ci fanno pensare ad un problema di natura genetica:


Il maggiore è rappresentato dall’insufficienza della crescita intra-uterina, segno principale di molte
patologie legate ai geni.

ESAME CLINICO:
- Bambina di 4 anni e 6/12

- Peso 12 kg (<3 °ct)

- Altezza 89 cm (<3 °ct) - OFC 48 cm (-2SD/M)

- Condizioni generali buone

- ACR valida e ritmica

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- Lieve soffio protosistolico 1/6 centrum cordis

- Addome palpabile non dolente

- Fronte ampia

- Ipertelorismo

- Rime palpebrali allungate

- Teletelia

- Collo corto

Le analisi mostrano:
- Ritardo della maturazione scheletrica a carico delle ossa del metacarpo (circa 2 anni), dopo
aver effettuato l’RX della mano destra con delle tavole di bambini di pari età ha praticato
esami per:

- Celiachia con esiti negativi (la celiachia nel bambino porta scarsa crescita staturo-
ponderale e anemia)

- Ecografia della tiroide nella norma (gli ormoni tiroidei sono gli ormoni che maggiormente
influenzano la crescita nel bambino, successivamente subentra il GH)

- Ecografia epatica e delle vie biliari nella norma

- Ecografia pelvica, che mostra la presenza di un utero in sede, in AVF, e diametro


longitudinale di
23 mm (normali per una bambina così piccola)

- Elettroforesi proteica

- Emocromo

- Bilancio del ferro nella norma


Esame del cariotipo: cariotipo su linfociti (50 metafasi) di cui:

- 23/50 con cariotipo 45X0 (Sindrome di Turner, associata a bassa statura)

- 27/50 con cariotipo 46X i (Xq) iso-cromosoma del braccio lungo del cromosoma X
Questa bambina che soffre della Sindrome di Turner, condizione associata ad infertilità. Nella
sindrome di Turner le dimensioni dell’utero non aumento a seguito della pubertà, come accade
fisiologicamente nelle donne.

Le ovaie si presentano più piccole, talvolta neanche visibili e sostituite da “banderelle fibrotiche”.

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CARATTERISTICHE ANATOMICHE DELLA SINDROME DI TURNER:

- Pterigium colli = piega retronucale


- Cubito valgo = quando il gomito è steso, presenta una
curvatura verso l’esterno dell’avambraccio

- Alla nascita, linfedema del dorso delle mani e dei piedi,


impianto basso dei capelli e delle orecchie e torace ampio
(telelelia)

- Bassa statura con un netto rallentamento della curva di


crescita a partire dai 4-5 anni

- Deficit di 20 cm rispetto alla media della popolazione →


terapia con ormone della crescita (GH)

- Ipertelorismo =distanza aumentata fra la parte interna


degli occhi

- Nistagmo laterale = oscillazioni involontarie laterali

- Bocca a “V rovesciata”

- Palato ovagivale

- Anomalie dentali

- Attività delle gonadi ridotta o insufficiente = ovaie fibrotiche che non producono ovuli →
amenorrea primaria = assenza del ciclo oppure amenorrea secondaria = ciclo che avviene
ma seguito da una menopausa precoce

- Alterazioni renali = rene a ferro di cavallo/agenesia, stenosi/duplicazione degli ureteri

- Alterazioni cardiache = coartazione aortica (10%), aorta bicuspide (30%), ecc…

- Alta predisposizione alle malattie autoimmuni (in particolare celiachia, TIR, Hashimoto)
- Alta incidenza otiti medie e ipoacusia trasmissiva

- Numerosi nervi melanocitici = nei iperpigmentati

ANEUPLOIDIE A CARICO DEI CROMOSOMI SESSUALI = SINDROME DI


KLINEFELTER (47, XXY)

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Caratteristiche anatomo-fisiologiche:
- Pubertà tardiva o incompleta

- Atrofia testicolare, che determina scarsa produzione


di testosterone (ipogonadismo)

- Scarso sviluppo dei peli su volto e corpo

- Ginecomastia

- Infertilità o ridotta fertilità

- Debolezza muscolare
In alcuni casi si manifestano anche:

- Ritardi nello sviluppo del linguaggio e difficoltà di


lettura
(dislessia) e/o difficoltà di apprendimento

- Alta statura

- Obesità
Per determinare la virilizzazione viene effettuata una terapia ormonale sostitutiva, che riduce,
inoltre, il rischio di osteoporosi.

Se la diagnosi viene effettuata precocemente, anche grazie ad amniocentesi, possono essere effettuati
programmi per l’aumento della fertilità.

Sembra che nelle prime fasi dello sviluppo, nei Klinefelter si produca una piccola percentuale di
spermatozoi, produzione che può essere incentivata da una terapia ormonale.

È descritto come un disordine endocrino… Non è più una malattia rara!


Si stima una frequenza di 1:250 /1:500 nati vivi maschi.

Talvolta, i pazienti si presentano quasi esclusivamente per problemi dovuti ad


infertilità.

PATOLOGIE DOVUTE AD ANOMALIE STRUTTURALI DEI


CROMOSOMI
Paperino e Paperina giungono in consulenza genetica per un’ITG, portando in visione:

- ARRAY-CGH FETALE → Monosomia parziale del cromosoma 13

- CARIOTIPO FETALE → Traslocazione cromosomica tra il cromosoma 14 e il


cromosoma 21

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Nel momento in cui ci troviamo dinnanzi una traslocazione cromosomica bilanciata in un feto, la
prima domanda da porci è se questa sia stata ereditata da uno dei due genitori o se sia una mutazione
de novo, e quindi assente nei genitori.

Per rispondere a questa domanda, descriviamo il cariotipo ad entrambi i genitori.

Confrontando il cariotipo paterno e il


cariotipo fetale possiamo notare che
padre e figlio sono portatori della
medesima mutazione.
La traslocazione cromosomica
bilanciata 14:21 risulta ereditata dal

padre, apparente in buona salute.

Ne deduciamo che il fenotipo del feto sarà non patologico e che la traslocazione si possa considerare
benigna.

Volendo contestualizzare l’albero genealogico e l’anamnesi familiare alla luce dei risultati, le
informazioni in nostro possesso sono:

Il feto presentava una traslocazione bilanciata 14:21 ereditata dal padre.

Osservando meglio l’albero genealogico, possiamo ipotizzare che anche la madre di paperino,
Ortensia MCDuck, fosse portatrice della medesima traslocazione, in quanto presenta diverse
interruzioni spontanee di gravidanza all’anamnesi.

Possiamo notare che paperino abbia un cugino affetto dalla sindrome di Down, e che anche la zia di
Paperino abbia la medesima mutazione.

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Andiamo a considerare l’Array CGH (Array-based Comparative Genomic Hybridization) L’Array


CGH è una tecnica in grado di diagnosticare le anomalie quantitative del DNA, le cosiddette CNV
(copy number variation) = delezioni/duplicazioni di parte del materiale genetico.

Le CNV presentano un significato variabile a seconda della dimensione del contenuto genico.

Queste possono essere considerate benigne, patogenetiche o a significato incerto.

In questo caso specifico, l’Array CGH fetale portato in visione dai genitore mostra una delezione del braccio
lungo del cromosoma 13, lunga circa 45Mb, dimensione estremamente consistente. La delezione comprende
numerosi geni OMIM, geni descritti in letteratura e associati a patologia.
Dunque, la condizione riscontrata nel fegato era compatibile con una monosomia parziale del
cromosoma 13.

Questo faceva ipotizzare un fenotipo patologico estremamente severo.

La delezione parziale del cromosoma 13 era già visibile nel cariotipo fetale, per via della sua
rilevanza.

Le delezioni cromosomiche parziali sono da considerarsi più spesso un evento de novo, non ereditato
dai genitori.

Correlato con l’età paterna avanzata.

Presentano un basso rischio di ricorrenza.

Conclusioni:

Paperino e Paperina presentano un rischio di aborti superiore alla popolazione generale (per
eventuale trasmissione della monosomia 14:21 e trisomia 14 fetale, condizioni incompatibili con la
vita).

Rischio del 33% per padre carrier di traslocazione robertsoniana 14q21q.

L’altro rischio della coppia è quello di avere un figlio affetto da aneuploida (compresa S.Down)
oppure di disomia uniparentale, con un rischio superiore alla popolazione generale.

Questo rischio è da considerarsi inferiore all’1% per il padre carrier di traslocazione robertsoniana
14q21q.

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Marge e Lisa giungono in consulenza genetica per familiarità


per una traslocazione cromosomica tra ilo cromosoma 2 e il
cromosoma 8, presente nel padre di Marge, in una sorella e in un
fratello.

ANAMNESI FAMILIARE:
Padre → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori
Sorella → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori,
malformazione Arnold-Chiari,siringomielia, fusione delle
vertebre cervicali, poliabortività

Fratello → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori, piede torto bilaterale, fusione delle
vertebre cervicali

All’anamnesi personali di Marge è possibile evincere una storia di parestesie urenti, formicolio
bruciante, alle gambe, ipotonia, difficoltà deambulatorie, parestesie a braccio e mano sinistra. Questa
situazione clinica aveva portato Marge ad effettuare una serie di approfondimenti, tra cui una RM
cervicale, dalla quale era stato possibile evincere una mielinopatie C-2, C-3 ed una stenosi tra C-3 e
C-4.

Procediamo alla visita genetica con l’esame obiettivo.

- H = 164 cm

- Peso = 63 kg

- CC = 54.5 cm

- Span = 139 cm

- Braccio (L-R) = 36-34 cm

- Avambraccio (L-R) =17-16.5 cm → Displasia


mesomelica degli arti superiori

- Mano (L-R) = 17-17 cm

- DEFORMITÀ DI MADELUNG

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Un difetto monolaterale è più spesso un difetto


isolato, mentre un
difetto bilaterale può essere la spia di una
cromosomopatia o di una malattia
monogenica.

Passiamo all’anamnesi personale di Lisa.

Ci viene riferito che Lisa ha presentato un ritardo di crescita intra-uterino IUGR.

Lisa presenta una ipoacusia trasmissiva.

Indagini effettuare tramite:

- RX ARTI SUPERIORI → Atrofia e ipoplasia ossea, lussazione bilaterale della testa del
radio

- RX COLONNA → Scoliosi, megapofisi in C7, os odontoideum, C1 fuso a osso occipitale


(possibile compressione midollare)
Effettuiamo l’esame obiettivo di Lisa.
-H = 153 cm

-Peso = 47.5 kg

-CC = 51.5 cm

-Span = 137 cm

-Braccio (L-R) = 28-29 cm

Avambraccio (L-R) =19-27 cm → Displasia mesomelica degli arti superiori

-Mano (L-R) = 17.2-15 cm

-Plica palmare trasversale singola bilaterale

-Inserzione prossimale del primo dito

-DEFORMITÀ DI MADELUNG
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-Scoliosi

TRASLOCAZIONE CROMOSOMICA
La traslocazione cromosomica è la conseguenza della rottura di 2 cromosomi, in questo caso del
cromosoma 2 e del cromosoma 8.

In seguito a questa rottura, si verifica lo scambio dei segmenti cromosomici.

Da questa mutazione può scaturire una traslocazione bilanciata, senza perdita di materiale genetico,
o sbilanciata, con perdita o acquisizione di materiale genetico. In questo caso la traslocazione si
presenta bilanciata.

In base ai punti di rottura cromosomica, possiamo avere un fenotipo patologico, quando la rottura
avviene in un punto critico in cui sia situato un gene trascritto, oppure un fenotipo normale.

Andando ad osservare nuovamente l’anamnesi familiare, è palese che tutti i soggetti che presentano
la traslocazione cromosomica 2-8 presentino anomalie scheletriche degli arti superiori.

Possiamo ipotizzare che la traslocazione in questo caso specifico abbia previsto la rottura di un punto
critico del cromosoma.

Per indagare più nello specifico il punto di rottura del cromosoma e i geni situati a quel livello,
indirizziamo Marge e Lisa ad effettuare una PCR, una reazione a catena della polimerasi, tecnica
che prevede l’amplificazione del DNA.

In seguito alla PCR viene eseguito il sequenziamento che ci mostra che la rottura del cromosoma è
avvenuta a livello di un gene trascritto, il gene HOX-D, situato sul braccio lungo del cromosoma 2
(2q31.1).

Se la rottura del cromosoma avviene nel contesto del gene stesso, il gene non verrà più trascritto.
Non sorprende il fatto che il gene HOX-D sia coinvolto nello sviluppo scheletrico, dal momento che
tutti i portatori della traslocazione 2-8 hanno presentato anomalie scheletriche degli arti superiori.

In letteratura, mutazioni del gene HOX-D sono associate ad anomalie variabili a livello degli arti e
delle mani.

In particolare, anomali
dell’avambraccio come aplasia
dell’ulna e brevità del radio,
oppure sinpolidattilia e
brachidattilia

Conclusioni:

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In futura gravidanza, avranno la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale invasiva, ovvero una
tecnica di Amniocentesi o Villocentesi, su cui effettuare in un secondo momento il cariotipo e
ricercare la traslocazione 2;8 nel feto.

Le possibilità sono le stesse: il feto potrebbe ereditare la mutazione o non ereditare la mutazione. Qualora il feto
ereditasse la mutazione il fenotipo sarebbe verosimilmente sovrapponibile a quello dei genitori, dunque anche
il feto presenterà anomalie scheletriche a carico degli arti superiori. Non bisogna dimenticare che c’è la
possibilità di sbilanciamento con possibilità di aborto. Per effettuare una diagnosi prenatale invasiva è razionale
considerare un’eventuale interruzione terapeutica di gravidanza o comunque assistere la coppia durante la
gravidanza in maniera consapevole.

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MALATTIE AUTODSOMICHE RECESSIVE AFP 16/04

Parliamo di casi clinici correlati alle malattie autosomiche recessive.

ALBINISMO

Nel primo caso è qui riportato un albero genealogico che riguarda un individuo affetto da albinismo.

L’albinismo è un carattere autosomico recessivo con deficit dell’enzima tirosinasi che si occupa della
sintesi di melanina, importante non solo per la pigmentazione ma anche per la protezione dai raggi
che arrivano sulla nostra pelle. Il fenotipo di un individuo affetto da albinismo è un fenotipo da
proteggere, in quanto molto sensibile e quindi potrebbe avere una predisposizione tumorale maggiore
rispetto ad altri individui, proprio per la mancanza della capacità di schermare i raggi.
I genitori sono portatori obbligati. Il genotipo degli affetti viene indicato con aa.

Il carattere si può manifestare in genotipi omozigoti se entrambi i genitori sono portatori sani
oppure se c’è una consanguineità. Il carattere può anche manifestarsi in genotipi eterozigoti
composti.

Un'altra caratteristica delle autosomiche recessive è la trasmissione orizzontale, a differenza di quella


verticale tipica delle autosomiche dominanti.

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SORDOMUTISMO
In questo secondo caso prenderemo in considerazione il carattere del sordomutismo.

Vediamo due alberi genealogici a confronto in cui nel primo vi è una prole affetta e nel secondo la
prole è sana.

Nel secondo caso si è verificato il fenomeno della complementazione in eterozigosi della prole. La
situazione che riguarda il secondo albero genealogico è diversa da quella del primo, in quanto i genitori
sono affetti da sordomutismo per mutazioni che si trovano in loci diversi, da cui deriva questo fenomeno
di complementazione. In questo fenomeno si complementano i geni, cioè loci mutati differenti si
complementeranno in eterozigosi nella prole, per cui la prole non risulta affetta poiché pur ereditando
entrambi gli alleli mutati, le mutazioni sono presenti in loci differenti e non si possono esprimere perché
sono accompagnati dagli alleli sani (Aa/Bb).

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I1 = nonno materno deceduto per cirrosi epatica e affetto anche da diabete di tipo I

I4 = nonna paterna affetta da osteoporosi

II1 = lo zio materno è in corso di pre-PMA ossia di fecondazione assistita probabilmente per
problemi di infertilità (non si sa però se è dovuto a un problema dello zio o della zia)

II5 = il papà ha avuto coliche biliari ricorrenti e successiva colecistectomia

II7 = zio paterno ha problematiche respiratorie

III2 = sorellina della consultanda in ABS (cioè buona salute)

III4 = cugino è affetto da una patologia rilevata in seguito ad uno screening neonatale che ha
evidenziato un ileo da meconio cioè un ritardo nell’esposizione delle prime feci che si formano
all’interno del feto che poi devono essere espulse appena nati. Questa patologia ha anche causato
una scarsa crescita staturo-ponderale. I medici hanno quindi optato per un test del sudore per
sospetto di fibrosi cistica, risultato poi positivo.

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Il dosaggio del cloro viene effettuato perché un’elevata concentrazione di questo


elettrolita è caratteristico nei pazienti affetti da fibrosi cistica. Infatti questo test è
un test fondamentale per la diagnosi di questa patologia.

Il risultato si definisce positivo quando la concentrazione di cloro è di almeno 60 millimole/litro.

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GENERALITA’ DELLA FC: EZIOLOGIA, CLASSIFICAZIONE, SEGNI E


SINTOMI
Il gene CFTR codifica per la
proteina canale del cloro ed è
localizzato sul braccio lungo
del cromosoma 7. La
mutazione più frequentemente
riscontrata è la delezione tri-
nucleotidica ΔF508: la sua
presenza in omozigosi è
associata alla forma classica di
FC, che è quindi una malattia
autosomica recessiva. Altre
mutazioni a carico del gene
CFTR possono anche dare fenotipi patologici lievemente diversi da quelli della fibrosi cistica: tale
gene è quindi coinvolto nell’eziologia della “fibrosi cistica atipica” e di condizioni affini alla FC che
non rispettano però tutti i criteri diagnostici della stessa.
Da un punto di vista terapeutico e prognostico, è importante distinguere le varie classi di mutazioni
di CFTR e comprendere la gravità del fenotipo ad esse correlato: oltre alle terapie sintomatiche,
negli ultimi anni sono in fase di sviluppo terapie geniche che mirano a correggere i fattori scatenanti
della FC e di altre malattie genetiche.
Consideriamo le 5 classi di
mutazioni nell’immagine di
fianco. La prima è la più grave: si
tratta di una mutazione non-senso
che compromette la sintesi della
proteina, la quale non viene
praticamente tradotta. Nella
seconda classe vediamo una
mutazione missenso che causa un
blocco del processamento della
proteina: siccome la funzione di
una proteina dipende anche dal ripiegamento tridimensionale che essa assume nella struttura terziaria,
l’inserimento di un amminoacido diverso da quello presente normalmente fa sì che la proteina, dopo
essere stata sintetizzata, non riesca a posizionarsi sulla membrana. Nel terzo gruppo abbiamo un
blocco della regolazione: la proteina-canale tradotta e processata giunge a livello trans-membrana,
ma non riesce a svolgere la propria funzione di regolatore del gradiente ionico. La mutazione di classe
IV ha un effetto meno significativo: la proteina è sintetizzata e posizionata sulla membrana, ma non
regola in maniera adatta l’entrata e l’uscita degli ioni; la correzione di questa alterazione della
permeabilità è molto più semplice rispetto alla una terapia per le prime tre classi di mutazioni, nelle
quali la proteina è invece quasi assente. Nel V gruppo il difetto non è più “di qualità”, ma soltanto
“di quantità”: la proteina è sintetizzata in minor numero, con un fenotipo patologico correlato alla
quantità di proteina che è in funzione. Nell’immagine sottostante richiamiamo due definizioni utili.

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Benché si tratti di una malattia multiorgano, le maggiori problematiche della FC si concentrano a


livello broncopolmonare: l’eccessiva densità dei muchi non favorisce né i normali meccanismi di
protezione delle vie aeree né il passaggio e lo scambio di sostanze gassose. Il paziente è dunque
fortemente esposto al rischio di infezioni respiratorie e di sviluppo di una bronchiectasia (dilatazione
cronica e permanente dell’albero bronchiale), siccome le secrezioni hanno carattere ostruttivo e non
riescono – fluidificando i bronchi – a trascinare via i microrganismi patogeni. Il soggetto malato dovrà
adottare norme di sicurezza per ridurre il rischio di infezione, a partire dal distanziamento sociale. I
farmaci più adoperati sono antibiotici e mucolitici.
Per quanto riguarda l’apparato digerente, si segnala il rischio di ostruzioni intestinali. La funzionalità
esocrina del pancreas risulta inoltre compromessa, con conseguente carenza degli enzimi digestivi e
malassorbimento dei nutrienti: a ciò si collegano i deficit vitaminici ed i difetti di crescita staturo-
ponderale. Anche l’attività pancreatica endocrina è inficiata, con carenza di insulina ed insorgenza
di diabete. Tutte le “luci-spia”, inclusa l’osteoporosi, a cui prestare attenzione in un esame clinico o
in una consulenza genetica sono riassunte nella tabella che segue.

Si possono avere, come detto, anche quadri sintomatologici più lievi e più rari: è il caso della FC
atipica, che colpisce specialmente l’apparato riproduttivo. Nel maschio si ha infertilità per ostruzione
o assenza dei dotti deferenti, con conseguente aspermia (assenza completa di sperma).

ANAMNESI PERSONALE DELLA PROBANDA E DIAGNOSI


Nell’immagine sottostante sono riassunti i dati anamnestici ricavati. Il test del sudore positivo,
ripetuto per due-tre volte, è stato l’elemento di conferma per il sospetto di diagnosi.

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Viene riscontrata mutazione


del gene CFTR in omozigosi
ΔF508/ΔF508 all’indagine
molecolare prescritta: come
per ogni patologia autosomica
recessiva, i genitori sono
portatori sani obbligati.
Possiamo presupporre che
l’infertilità a carico dello zio
materno sia dovuta ad una
forma di FC atipica, di cui
riassumiamo i sintomi (è
notevole la diagnosi tardiva, siccome alcuni sintomi possono non evidenziarsi già in corrispondenza
della nascita!). Per la forma atipica, il test del sudore non è il “gold standard” diagnostico, benché
la perdita di sali nel sudore renda comunque necessario un monitoraggio dello stato elettrolitico del
paziente: vi è certezza della patologia solo dopo aver effettuato un test genetico.

CONSULENZA PARENTALE
I genitori della probanda
tornano durante una nuova
gravidanza per effettuare
una consulenza prenatale
all’ottava settimana di
gestazione. Siccome la FC è
autosomica recessiva, c’è il
25% di probabilità teorica
che il nascituro sia affetto da
tale patologia. Una diagnosi
prenatale è possibile tramite
ecografia ostetrica che
indichi presenza di intestino
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iperecogeno, proseguendo poi con un monitoraggio invasivo come villocentesi o amniocentesi.


Abbiamo riassunto sotto le diverse combinazioni genotipiche che si possono ottenere incrociando due
individui. Otteniamo il 50% di prole affetta (con genotipo omozigote recessivo) solo se una persona
malata si incrocia con un portatore sano: la segregazione del carattere mima apparentemente quella
di un carattere dominante, motivo per cui si parla di “pseudodominanza”.

Il fatto che i portatori del gene CFTR mutato siano il 4% della popolazione generale è il motivo per
cui la FC non è considerata una malattia rara.

PROTOCOLLO TERAPEUTICO
La terapia classica per la FC comprende:
• Aerosolterapia con fisiologica e broncodilatatori mattina/pomeriggio/sera.
• Lavaggi nasali con soluzione fisiologica.
• Estratti di enzimi pancreatici.
• Dieta equilibrata ricca di sali, per compensare le perdite dovute alla sudorazione.
• Antibiotici per le infezioni respiratorie.
I nuovi approcci farmacologici, in attesa di una terapia genica ben perfezionata, prevedono farmaci
correttori per facilitare la maturazione della proteina (I e II classe di mutazione) o potenziatori del
suo funzionamento (III, IV e V classe). Questi nuovi trattamenti, insieme all’approccio
multidisciplinare ed agli screening neonatali, hanno significativamente migliorato prognosi e decorso:
rispetto a quando il drenaggio posturale era l’unica maniera per far defluire i muchi dei neonati, i
miglioramenti appaiono enormi.
L’aspettativa di vita dei pazienti si aggirava un tempo attorno ai 20 anni. Oggigiorno, anche in base
alla specifica mutazione, si possono fare prognosi anche a 40-50 anni: la “medicina di precisione”
consente di formulare approcci terapeutici specifici a seconda del genotipo del singolo paziente.

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RETINITE PIGMENTOSA E MALATTIA DI BATTEN


Vediamo un albero caratterizzato da un incrocio tra
consanguinei in cui è presente un figlio di sesso maschile
affetto da una retinite pigmentosa (altra patologia perlopiù
autosomica recessiva) apparentemente isolata. Il bambino
undicenne si presenta con acne al volto, senza dismorfismi
facciali, con murmure vescicolare normale su tutto l’ambito
polmonare, attività cardiaca nella norma, addome trattabile,
genitali maschili normo-conformati ed estremità nella
norma. Si segnala solo un leggero deficit neurologico, con
andatura a base allargata ed ecolalie (atti fonatori privi di
scopo).
Di seguito, i dati emersi dall’anamnesi patologica prossima.
 A 3-4 anni: peggioramento di capacità visiva e diagnosi di RP da parte del medico oculista.
 La progressione dello sviluppo psicomotorio pare nella norma, con le prime parole a 12
mesi ed una lenta progressione del linguaggio.
 A 4 anni si evidenzia un peggioramento del linguaggio, con necessità di logopedia.
 Episodi critici di crisi epilettiche a partire dall’età di 7 anni, difficoltà ad addormentarsi.
 3 MRI: quella del 2014 nella norma.
 EEG 2015 rivela segnale irregolare e lento e segnale epilettiforme diffuso.

RETINITE PIGMENTOSA: CARATTERISTICHE


 È la forma più frequente di retinopatia ereditaria (frequenza di 1:4000 individui).
 Caratterizzata da difficoltà nella visione notturna e progressiva degenerazione della retina
periferica, depositi pigmentari nel fondo oculare e segnale ridotto o assente
all’elettroretinogramma.
 È geneticamente eterogenea (mutazioni in oltre 200 loci, e quindi geni diversi mappati).
 Esistono forme sindromiche (altri segni clinici oltre RP) e forme non sindromiche.
 Per alcune forme (incluse quelle da mutazioni in RPE65, che possono essere dominanti o
recessive) è disponibile la terapia genica.
La diagnosi molecolare si ottiene analizzando i geni sospetti tramite next generation sequencing,
tecnica “ad alta processività” che consente di avere dati di sequenze genomiche in tempi molto brevi;
i dati ottenuti vengono poi confrontati con tabelle che raccolgono le mutazioni note che causano RP.
Tale test genetico assume importanza ancora maggiore in considerazione del fatto che alcune forme
di RP possono essere guarite dagli approcci di terapia genica: la forma causata da mutazione in RPE65
è stata il primo esempio di malattia ereditaria oculare curabile con tale protocollo.

L’ITER DIAGNOSITICO DEL PICCOLO PROBANDO


Si effettua un test genetico su pannello contenente diversi geni responsabili di RP (perlopiù forme
non-sindromiche): si riscontra una variante in eterozigosi nel gene RPE65 nel 2011. RPE65 è però
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responsabile sia di forme autosomiche dominanti che recessive di RP; il fatto di aver trovato solo una
variante in eterozigosi non poteva pertanto accertare una patogenicità della mutazione. Sulla base di
questi risultati, alla famiglia del bimbo era stata prospettata una possibile terapia genica.
Il probando viene a questo punto inviato da un oculista specializzato nel trattamento di retinite
pigmentosa da RPE65. Quest’ultimo però non riscontra pienamente il quadro clinico della RP e si
rivolge nuovamente ai genetisti per ampliare il test molecolare, confrontando altri pannelli oltre a
quello coi geni relativi alla sola RP isolata: in effetti, viene ritrovata una mutazione missenso in
omozigosi nel gene RP1 (che può essere responsabile di
forme sia autosomiche dominanti sia autosomiche
recessive), che combacia bene con il sospetto di una
malattia autosomica recessiva.
Le banche dati classificano migliaia di mutazioni già riscontrate in altri individui, stabilendone il tipo
e la patogenicità. Il medico genetista osserva però (vedi l’ultima riga della tabella sottostante) che la
mutazione riscontrata in RP1 è stata trovata ben 45 volte in omozigosi in individui normali,
deducendo dunque che essa non può essere patogenetica.

Escluso il gene RPE65 per differenza di fenotipo ed il gene RP1 per assenza di patogenicità, il
genetista conclude che nessuna delle due può essere la variante causativa. Si ritorna indietro per fare
un test più esteso, che include 150 geni responsabili di forme sindromiche e non sindromiche di RP.
Riassumiamo di seguito i risultati emersi.

MALATTIE DI BATTEN: GENERALITA’


Patologia rarissima ed incurabile, la malattia di Batten causa un progressivo accumulo di metaboliti
di scarto nel cervello, con conseguente distruzione dei neuroni.
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Lo sviluppo psicomotorio infantile procede normalmente fino ad una certa età, per poi regredire
inesorabilmente.

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Cosa abbiamo imparato grazie a questo caso?


1. Nel formulare una sola diagnosi: non bisogna fermarsi alla prima spiegazione plausibile, tutte
le informazioni (anche quelle marginali) vanno analizzate cooperando con i propri colleghi,
anche specialisti in campi diversi come nel caso del genetista e dell’oculista.
2. In genetica medica è molto facile sbagliare ed ogni responso del medico ha un enorme impatto
sulla vita del paziente e della famiglia. I genitori del probando sono passati dal pensiero di
una patologia curabile alla consapevolezza che il figlio sarebbe invece deceduto
irrimediabilmente.

PATOLOGIE X-LINKED RECESSIVE


In questa immagine, sulla destra abbiamo un elenco di patologie recessive legate all’X, in particolare
X fragile, emofilia, DMD e BMD. Sulla sinistra osserviamo i tipici schemi di trasmissione, che
evidenziano che sono in genere i maschi a manifestare il fenotipo patologico: la donna può risultare
affetta solo se il padre è malato e la madre è almeno portatrice sana. Quest’ultima evenienza è
piuttosto rara, siccome i maschi affetti difficilmente raggiungono l’età fertile o comunque hanno – a
causa delle complicanze – una fitness ridotta al punto da non riuscire a riprodursi.

Sottolineiamo che non sempre le “portatrici sane” sono del tutto asintomatiche: per condizioni di
espansione delle triplette nell’X fragile o in altre patologie, la donna portatrice può sviluppare alcuni
sintomi meno gravi e ad insorgenza tardiva. In casi rarissimi, anche la portatrice può manifestare
fenotipicamente i sintomi con un esordio e decorso paragonabili a quelli del maschio: sono condizioni
in cui c’è stata una traslocazione con un cromosoma autosomico e conseguente sbilanciamento;
viene infatti inattivato principalmente l’X con l’allele sano, mentre è maggiormente espressa la
componente con l’allele mutato.

SINDROME DI NORRIE
Questa patologia ha un’incidenza sconosciuta, probabilmente scarsa. È legata ad una mutazione del
gene NDP sul cromosoma X. La diagnosi viene formulata alla nascita o nella prima infanzia. Si
riscontrano problematiche oculari: cataratta (che può essere congenita); microftalmia simmetrica o
asimmetrica; leucocorìa (la pupilla appare ricoperta da un riflesso bianco) e cecità progressiva che

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diventa completa entro l’adolescenza. Vi è poi perdita progressiva dell’udito, che si acutizza in
adolescenza e diventa completa in età adulta. Le problematiche psichiatriche includono segni e
sintomi di psicosi e moderata disabilità intellettiva; in età adulta possono comparire difetti di
deambulazione e difficoltà a sedersi. Le altre anormalità comprendono: difetti del microcircolo
periferico, della respirazione, della digestione, dell’apparato escretore e riproduttivo.

La fase eziopatogenetica consiste soprattutto in un danno all’angiogenesi che colpisce specialmente


le strutture retiniche (figure A e B: i vasi non raggiungono la periferia del fondo oculare), con
vascolarizzazione incompleta di tale tessuto. Con l’aumentare dell’età, gli affetti da sindrome di
Norrie hanno un rischio superiore alla media di andare incontro a problemi di microcircolo, vene
varicose e disfunzione erettile. Apprezziamo infine la facies del bambino in fotografia: è visibile la
microftalmia, più evidente all’occhio destro, e la leucocoria molto visibile nell’occhio sinistro.

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COUNSELLING GENETICO

Le consultande sono due sorelle: dal lato paterno non si registrano anomalie, mentre nel ramo
materno si riportano un cugino affetto da sindrome di Norrie confermata da test molecolare ed una
cugina portatrice. Un prozio (fratello della nonna materna) risultava avere caratteristiche affini alla
sindrome di Norrie: anche se in assenza di test molecolare, supponiamo che ne fosse anch’egli affetto;
pertanto, la nonna e le zie delle consultande devono essere portatrici obbligate. Non abbiamo a
disposizione i test sul cugino e la cugina: per evitare
eccessivo dispendio economico, proponiamo di
effettuare il test per la madre, ricercando mutazioni in
tutto il gene. Ne emerge che la madre è portatrice di
una variante già descritta negli anni ’90 come causativa
della sindrome di Norrie, motivo per cui le probande
hanno un rischio del 50% di aver ereditato la stessa
mutazione. Effettuano anch’esse la ricerca della
mutazione nota, anche se non riferiscono le classiche
anomalie che possono manifestarsi in una donna
portatrice paucisintomatica (vd. immagine a
sinistra).
Viene riportato però che le donne portatrici presentano segni e sintomi di psicosi, in particolar modo
la madre. Una delle due consultande riferisce eventi di allucinazioni uditive dall’età adolescenziale:
un precedente studio del 2011 segnala che la presenza di polimorfismi a singolo nucleotide
all’interno del promotore del gene NDP sono associati statisticamente ad una maggiore probabilità di
sviluppare segni e sintomi della patologia. Quest’ultimo dato ci consente di osservare come possiamo
avere l’occorrenza di due eventi genetici notevoli in una stessa famiglia.

PATOLOGIE X-LINKED DOMINANTI


Anche in questa immagine abbiamo un elenco di patologie a destra e gli schemi di trasmissione a
sinistra. Le malattie dominanti legate all’X colpiscono sia donne che uomini. Tuttavia, in gran parte

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dei casi la donna risulta statisticamente più colpita: molte di queste condizioni sono infatti letali per
il maschio, che quindi non giunge a nascere.

Sindrome oculo-facio-cardio-dentale: counselling, diagnosi e caratteristiche

Il caso riguarda una donna di 31 anni, primogenita di genitori non consanguinei. La madre presenta
ipotiroidismo congenito da agenesia (mancato sviluppo) della tiroide e BPCO ad insorgenza precoce
in assenza apparente di fattori ambientali. La sorella presenta miopia severa, ipotiroidismo a partire
dal ventunesimo anno d’età ed agenesia di alcuni canini. Nel ramo materno non si segnala nulla di
notevole, se non due BPCO insorte senza importanti fattori di rischio (fattori ambientali
misconosciuti). Dal lato paterno si segnalano uno zio con disabilità intellettiva – per quanto riferito,
a causa di problematiche durante il parto – ed un rapporto di consanguineità tra i nonni della probanda.
Nel corso della visita emerge che la paziente presentava alla nascita cataratta congenita, testimoniata
dai referti di dimissione per l’intervento di sostituzione durante l’infanzia. Ha faccia squadrata e lieve
strabismo convergente, noto come “esotropia”. Le orecchie sono “a basso
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impianto”, cioè sotto la congiungente tra le due pupille. Vi è poi parziale ipertrofia dell’elice, filtro
nasale lungo ed agenesia bilaterale dei molari II e III superiori ed inferiori, nonché anomalie dei setti
interatriale ed interventricolare e sindattilia cutanea del secondo e terzo dito di ambo i piedi.
La probanda aveva già eseguito in passato RCGH e cariotipo (test cromosomici), entrambi normali.
Aveva anche effettuato il dosaggio sierico e binario di alcuni metaboliti, risultato nella norma, senza
che si evidenziassero condizioni (come la galattosemia) normalmente associate a cataratta congenita.
Viene quindi consigliata l’esecuzione di un test molecolare per sequenziare i geni associati a cataratta
congenita: la combinazione di segni e sintomi aveva fatto sospettare mutazioni in due soli geni, ma
viene comunque fatto un sequenziamento completo per evitare di dover eventualmente svolgere un
nuovo test se l’ipotesi fosse risultata priva di fondamento. La paziente è risultata avere una delezione
nucleotidica frameshift nel gene sospettato, il BCOR. Anche se questa specifica mutazione non era
mai stata descritta prima in letteratura, sappiamo che mutazioni simili sono associate a sindrome
oculo-facio-cardio-dentale.

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Per completare la diagnosi, segue una ri-fenotipizzazione (re-phenotyping) nella quale si cerca
di individuare ulteriori segni non emersi nelle prime visite. Per la nostra paziente, abbiamo
considerato:
• Diametro corneale, che in questo caso risulta però nella norma (12 mm).
• Eruzione ritardata dei canini.
• Radiculomegalia dei canini.
• Ugola bifida, seppur senza palatoschisi.
L’interazione tra il genetista ed il clinico che visita il paziente (se le due figure non coincidono nel
medesimo professionista) si conferma fondamentale: l’unione tra una storia clinica approfondita
in anamnesi, un buon esame obiettivo e le informazioni genetiche consente di ottenere una
diagnosi accurata.

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AFP 23/04

INTRODUZIONE
All’incirca il 97% dei posti letto sono occupati da soggetti affetti da patologie multifattoriali, mentre
solo il 3% è occupato da soggetti affetti da patologie mendeliane: questo ci fa capire la rilevanza dei
problemi correlati alle malattie multifattoriali.

Perché allora diamo tanta importanza allo studio di malattie mendeliane e non ci dedichiamo in gran
parte a quelle multifattoriali?
Perché i geni implicati nelle malattie mendeliane, che sono per certi aspetti rispetto alle multifattoriali
più facili da studiare, ci permettono di arrivare a meccanismi molecolari che noi poi possiamo applicare
anche alle malattie multifattoriali.
Alcuni esempi di malattie multifattoriali sono:
- le neoplasie;
- obesità;
- ipertensione;
- cefalea, ecc.
I meccanismi e la parte di studio delle malattie multifattoriali è uguale per tutte, per cui useremo come
argomento di studio l’obesità, ma si potrebbero utilizzare anche altre malattie.

L’OBESITA’
L’obesità è molto rilevante nella vita quotidiana, perché tra l’8 e il 10% della popolazione mondiale
ne è affetta.
Si definisce soggetto obeso, un soggetto che possiede un BMI maggiore di 30Kg/mq.
Se noi andiamo nell’area che definisce la patologia pediatrica, ossia che interessa le persone fino ai 18
anni di vita, osserviamo che le persone in sovrappeso, contenuti tra +1 e +2 deviazioni standard, o oltre
2 deviazioni standard, sono incirca il 25% del totale, per cui evidentemente l’obesità rappresenta un
problema notevole.
Perché è un problema l’obesità?
L’obesità è un problema sotto svariati punti
di vista, perchè:
- ha conseguenze fisiche e mentali;
- ha conseguenze sull’inserimento
sociale;
- è una causa predisponente ad
altre patologie, come:
• patologie polmonari;
• ipertensione;
• aterosclerosi;
• patologie
dello scheletro;
• cancro

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L’obesità dipende dall’introito di nutrienti, dunque se un soggetto non mangia, non può diventare
obeso. Non è possibile che la persona affetta da obesità mangi poco.
Dal punto di vista genetico, è un tratto abbastanza complesso: essa dipende dall’interazione di un
network di geni (il nostro genoma) con l’ambiente, dove per ambiente si intende soprattutto la dieta
del soggetto e il suo modello di vita. L’interazione tra geni e ambienti fa esplodere l’obesità.

Perché si cercano i geni dell’obesità? Quali sono le motivazioni?


Nonostante l’obesità sia dovuta all’interazione tra geni e ambiente, può essere utilizzato il genoma per
trovare i soggetti più predisposti all’obesità e modificare di conseguenza il suo ambiente. Quindi,
cercare i geni che predispongono all’obesità o che causano l’obesità è notevolmente importante per
definirne il rischio. Questo permette di mettere in atto una strategia di interazione tra genoma e
ambiente e, una volta identificati i meccanismi molecolari dei geni, pensare ad un approccio farmaco-
genomico mirato, utilizzando farmaci che possano influenzare quella specifica molecola.

Noi ora viviamo un periodo che definiamo “era


genomica” o, come definita da qualcuno, “era
post-genomica”. Quest’era è definita rispetto alla
cosiddetta “era della genetica”, dove per
“genetica” si intende l’era delle malattie
monogeniche che possiamo pressappoco datare
come tutta la prima parte che va dalla scoperta del
DNA all’anno 2000.
È detta “era delle malattie monogeniche” perché
con le tecniche di mappaggio si riuscivano a
trovare singoli geni per malattie, si studiava quindi
l’interazione tra genotipo e fenotipo, e si cercava
di mettere in correlazione specifiche mutazioni
con specifici fenotipi. Facendo queste
cose ci si accorgeva però, specialmente per le malattie recessive in cui noi potevamo avere anche
coppie di soggetti affetti, che alcune volte fratelli che avevano ereditato lo stesso fenotipo avevano una
manifestazione differente della malattia: vale a dire che non c’era una stretta correlazione tra genotipo
e fenotipo. Si era quindi ipotizzato, e poi è stato dimostrato, l’esistenza di geni che potevano essere co-
ereditati insieme al gene principale e che potevano modificare il fenotipo. Questi geni prendono il
nome di geni modificatori.
I geni modificatori sono però tutti polimorfici, ossia le variazioni della struttura di questi geni è
presente in più dell’1% della popolazione, cosa che rende i modificatori una categoria di geni
notevolmente importanti.
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Per spiegare bene la differenza tra le malattie mendeliane e le malattie multifattoriali, bisogna tener
presente che nelle malattie mendeliane il meccanismo di trasmissione della malattia è ereditario
(autosomica dominante, recessiva, X-linked ecc.) e che questo tipo di malattie sono tutte malattie rare
(fibrosi cistica, sordità, distrofia muscolare di Duchenne e di Becker, le varie forme di talassemia ecc.)
Tutto questo è controbilanciato nel regno
delle malattie multifattoriali, dove,
l’ereditarietà mendeliana non è più il
meccanismo ereditario della malattia,
ma si instaura una relazione di
familiarità.
Dunque, se in una famiglia si possono
riconoscere un gran numero di soggetti
in cui un carattere patologico (in questo
caso l’obesità) è presente, l’ereditarietà
non sarà più mendeliana.
Sono malattie estremamente comuni, tra
cui: ipertensione, asma, diabete,
trombosi, depressione, cefalea,
osteoporosi, obesità.

Pertanto, da un parte abbiamo le malattie


monogeniche, dall’altra le malattie
multifattoriali.
Ciò che succede nelle malattie
monogeniche lo abbiamo visto nella
talassemia. In questo tipo di malattia, che
segue una trasmissione a carattere
mendeliano, si è cercato di trovare un
rapporto tra fenotipo e genotipo.

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Le malattie talassemiche caratterizzate dalla sigla β0 hanno un fenotipo più grave delle sigle β+, però
esiste la possibilità che il genotipo venga modificato non solo se si vive in ambienti differenti, ma
anche se si ereditano geni modificatori.

I geni modificatori sono geni molto presenti


nella popolazione che, se co- ereditati,
possono modificare il fenotipo.
Utilizziamo come esempio la talassemia:
sappiamo che i fenotipi clinici della β-
talassemia sono notevolmente eterogenei,
da una parte gli individui omozigoti,
dall’altra doppi eterozigoti (eterozigoti
composti) per due mutazioni talassemiche
(anche gravi), i quali si esprimono con due
fenotipi principali.

Omozigoti o eterozigoti composti:


• β-talassemia major: caratterizzato
dall’anemia severa e dalla dipendenza da
trasfusione.
• β-talassemia intermedia: anemia da
moderata a lieve, bisogno trasfusionale
limitato ad alcune occasioni
(indipendenza dalla trasfusione).

Eterozigoti:
• β-talassemia dominante: anemia da
moderata a lieve.
• β-talassemia tratto: anemia moderata
• β-talassemia silente: individui normali.

Nella talassemie è importante il rapporto equilibrato tra le globine α e le globine β (prodotte entrambe
dall’eritroblasto): se c’è una mutazione β-talassemica e in più si presenta un problema di α-talassemia,
con una mutazione che causa una riduzione anche dell’α, questo gene si definisce modificatore
primario: se un individuo con una β-talassemia ha una ridotta produzione della globina β, ma
contemporaneamente, manifesta un’α-talassemia, la sintesi ritorna ad essere bilanciata.

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Anche nel caso di un individuo con β-talassemia che manifesta anche HPFH (persistenza ereditaria di
Hb fetale e quindi la produzione di globine γ) l’equilibrio non viene squilibrato e anche in questo caso
si parla di modificatore primario.

I geni modificatori primari sono geni, i cui difetti


molecolari causano differente espressione nella
proteina o nel complesso di proteine a cui appartiene
anche il gene (si intende il gene che codifica per la
proteina appartenente al complesso).

Esistono anche i modificatori secondari, i quali sono


geni polimorfici (presenti per più dell’1% nella
popolazione per alcune varianti) che possono
influenzare il fenotipo.

Ad esempio nella β-talassemia major si manifestano eritropoiesi ineffettiva che causa sviluppo di
patologie ossee, accumulo di ferro, ittero, elevata concentrazione di eme e per la presenza del ferro
un’elevata propensione alle infezioni.

Se questi individui ereditano delle co-varianti che modificano alcuni geni, ad esempio quelli per
l’espressione del collageno, allora avranno una predisposizione per patologie che possono portare
all’osteoporosi.

Individui che hanno ereditato le due mutazioni β-talassemiche e in più il gene modificatore avranno
“più osteoporosi” degli individui che non hanno ereditato il gene modificatore.

Lo stesso vale per il gene del HFE (condiziona l’apporto di


ferro nell’organismo), il gene dell’interferone che possono
far propendere maggiormente questi individui verso le
infezioni.

Un altro esempio è il gene del metabolismo della bilirubina


cioè il gene UGTA (in cui c’è un polimorfismo nel
promotore del gene e questo porta la sequenza con sette TA
ripetute a produrre solo il 30% dell’ espressione rispetto a
quella normale).
Per cui gli individui che hanno ereditato questa condizione e
in più la malattia di Gilbert avranno un ittero aumentato.

Quindi a parità del genotipo, il fenotipo può cambiare in rapporto ai geni modificatori che sono stati
co-ereditati.
Quindi se si modifica il fenotipo, comprenderete che anche le implicazioni sulla diagnosi prenatale
son notevoli.

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È chiaro che non distinguiamo più nettamente le malattie


monogeniche da quelle multifattoriali (complesse), ma la
presenza di geni modificatori fa nascere una relazione tra le due
attraverso le malattie oligogeniche .

È scontato dire che le malattie multifattoriali sono piu frequenti di quelle mendeliane (rare). Patologie
dovute alle mutazioni del genoma\cromosoma sono circa 3.8 per 1000 nella popolazione, le malattie
dovute a singolo gene circa 20 per 1000, mentre le malattie con eredita multifattoriale costituiscono
all’incirca il 600 su 1000 (60%) della popolazione.

La caratteristica delle malattie multifattoriali sono i


“Clustering” cioè una raccolta di casi nell’ambito dei
nuclei familiari.
Siamo soliti dire “in quella famiglia più persone sono
obese”, dunque esiste un’ereditarietà specifica nella
famiglia, anche se non sappiamo il motivo della
prevalenza familiare.
Potrebbe essere che in quella famiglia si crei un
microambiente che predispone all’obesità, oppure
l’incontro di un genoma predisponente con un
ambiente familiare modificante fa si che l’individuo
sviluppi l’obesità.

Per cui le malattie mendeliane sono caratterizzate da ereditarietà, mentre nel caso delle multifattoriali
abbiamo una familiarità. Tuttavia il contrario non è necessariamente vero: l’aggregazione familiare di
una malattia non significa che una malattia debba avere un contributo genetico. Infatti i fattori non
genetici potrebbero avere lo stesso effetto: oltre a condividere gli alleli, le famiglie condividono la
cultura, il comportamento, la dieta e l’esposizione ambientale.

La parte sinistra di questo grafico rappresenta i


geni di un individuo, mentre la parte destra
rappresenta l’ambiente. L’influenza del
genoma e l’influenza dell’ambiente nello
sviluppo delle malattie sono inversamente
proporzionali tra loro. All’estremità sinistra del
grafico vi sono le malattie mendeliane “più
pure”, come la fibrosi cistica o l’emofilia, in cui
il peso del genoma è notevolissimo, ciò
nonostante esiste un piccolo peso
dell’ambiente.
All’estremità destra vi sono i fenomeni ambientali, come il fare un incidente stradale. In questo caso
non possiamo non riconoscere l’eventualità che alla base di quell’incidente ci sia una componente
genetica, come per esempio un disturbo dell’attenzione.
Al centro del grafico vi sono tutte le situazioni in cui c’è componente genetica, inversamente
proporzionale alla componente ambientale.

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L’interazione tra un gene principale che causa la malattia, il genoma


completo e le modifiche relative a esso e l’ambiente produce il fenotipo.
Da questa considerazione, deriva questa figura ideale sulla sinistra.

Il contributo genetico corrispondente a una malattia, e quindi a un fenotipo, può essere dato:
• dal piccolo contributo di più geni;
• dal contributo principale di un gene e dal piccolo contributo di un certo numero di geni,
come molto spesso succede;
• dall’interazione tra gruppi di geni funzionalmente correlati

In questo grafico, sull’asse delle y ci sono i geni,


sull’asse delle x c’è il contributo al fenotipo.
Sulla destra ci sono le malattie mendeliane, come
talessemia, cftr, fibrosi cistica, in cui il contributo di un
singolo gene è molto forte. Sulla sinistra ci sono le
malattie multifattoriali, in cui il contributo di più geni è
essenziale insieme all’ambiente. Al centro ci sono le
malattie oligogeniche, in cui ci sta un certo numero di
geni principali e un piccolo coacervo di geni secondari.

Le malattie multifattoriali sono chiamate anche tratti poligenici e sono tratti quantitativi, in cui l’effetto
fenotipico è per certi aspetti misurabile.
Vi faccio un esempio classico. L’altezza di una popolazione è un carattere multifattoriale, perché
dipende dal genoma e dall’ambiente. Questo carattere quantitativo lo possiamo misurare: ad esempio
possiamo ordinare mille individui in
ordine di altezza, come nell’immagine. La
distribuzione degli individui formerà una
curva gaussiana: al centro ci sono le file
degli individui più numerose rispetto a
quelle della periferia, in particolare a destra
ci sono gli individui più alti e a sinistra gli
individui più bassi.
Questo procedimento è chiamato centilazione. Quando si fa la centilazione, si può stabilire il valore
medio della popolazione e quindi anche la deviazione standard, che rappresenta come variano gli
individui intorno a questo valore medio. Per convenzione gli individui che sono contenuti entro due
deviazioni standard dal valore medio sono individui nella situazione di normalità. Invece gli individui
che vanno oltre le due deviazioni standard costituiscono la situazione di patologia. Per cui gli individui
all’estrema destra e all’estrema sinistra sono individui patologici, o perché sono molto piccoli o perché
sono molto alti.
L’altezza è un carattere multifattoriale, tuttavia per gli individui alle estremità della curva l’altezza
diventa un carattere mendeliano, per cui la bassa oppure alta statura è ereditata in famiglia. Dunque
oltre le due deviazioni standard la multifattorialità cede il posto all’ereditarietà di tipo mendeliano.

Quali sono i mezzi per studiare le malattie multifattoriali nella loro componente genetica? Cioè
come si stabilisce quant’è il peso del genoma per un certo carattere?
È possibile considerare un rischio calcolabile in base all’osservazione: il cosiddetto rischio empirico,
vale a dire la frequenza di individui che sono oltre le due deviazioni standard dal valore medio di un
certo carattere.

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- Consideriamo tutti gli individui di Afragola, li pesiamo e vediamo che gli individui che sono
oltre due deviazioni standard dal valore medio del peso sono il 15% della popolazione.
Dunque la possibilità di diventare obeso per un bambino che nasce oggi ad Afragola è del
15%, calcolata col rischio empirico, derivato dall’osservazione della popolazione.

- Consideriamo lo stesso esperimento ma questa volta prendiamo come riferimento


Osaka. In seguito all’analisi della stessa quantità di popolazione, ci accorgiamo che le
persone (il cui peso supera le 2 deviazioni standard) sono solo il 6 % della popolazione.
rischio empirico di nascere ad Afragola e di diventare obeso --> 15%.
rischio empirico di nascere ad Osaka e di diventare obeso --> 6%.

Dunque il rischio empirico è un rischio che, a priori, associamo a una qualunque patologia.

LO STUDIO DI COPPIE DI GEMELLI


Oltre al rischio empirico, esistono altri meccanismi che ci consentono di misurare l’ereditarietà.
Un esempio è lo studio di un carattere appartenente a coppie di gemelli.
In molti casi si analizzano gemelli che sono stati affidati e che sono cresciuti in nuclei familiari
diversi.
Consideriamo una Coppia di gemelli nati al Cairo:
- Il primo è stato adottato da una famiglia di Afragola.
- Il secondo è stato adottato da una famiglia di Osaka.
Conducendo uno studio sui gemelli separati, possiamo stabile
quanto l’ambiente riesca ad influenzare il peso di due individui che
possiedono lo stesso genoma. Questa tecnica ci consente di
misurare la componente genetica in una malattia multifattoriale.

Tramite studi effettuati su coppie di gemelli dizigoti e


monozigoti, è stato possibile esaminare alcuni caratteri
multifattoriali (depressione, alzheimer, alcolismo, etc.) e
come la componente di riferimento vari a seconda della
coppia di gemelli considerata. Dall’immagine possiamo
constatare quanto sia forte il peso del genoma.

STUDI DI ASSOCIAZIONE CAUSA-


CONTROLLO
Si studiano gruppi di popolazioni e i loro genotipi per
calcolare quanto la componente genetica condizioni le
malattie multifattoriali.
Nell’immagine sono presenti i valori di rischio empirico per
la palatoschisi

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FENOTIPI ESTREMU E INTERMEDI


Studiando i fenotipi estremi, che hanno una
ereditarietà di tipo mendeliana, possiamo
riconoscere quali sono i geni da poter applicare ai
fenotipi intermedi (multifattoriali). Questo ci aiuta
a trovare dei farmaci specifici.

Gene della leptina, ormone di natura


proteica, importante per la regolazione
generale del peso corporeo.

Nell’immagine è stato analizzato il peso (in


funzione dell’età) di due bambini appartenenti
ad una famiglia con carenza di leptina.

Notiamo che il peso della bambina era normale


quando è nata ma, col passare degli anni, si è
allontanato molto dal valore medio e dalle 2
deviazioni standard.

In questo caso la patologia non è


multifattoriale: si tratta di una patologia
mendeliana riscontrata anche nel parente
maschio che, già all’età di 1 anno, pesava il
doppio della norma.

Studiando le mutazioni di questo gene si può


ipotizzare un farmaco. Ad esempio, se il gene
presenta un meccanismo Loss-of-function,
possiamo rimpiazzare la proteina e cercare di
curare la patologia.

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MALATTIE MITOCNDRIALI: MELAS, MERRF, LHON AFP 30/04

La probanda afferma che la madre è deceduta all’età di 47 anni circa, ma riferisce di non ricordare
la causa e quest’ultima in vita soffriva di ipoacusia neurosensoriale bilaterale, cioè una forma di
sordità ad entrambe le orecchie provocata da un'alterazione a carico dell'orecchio interno.
La probanda afferma che le sue prime 7 sorelle sono decedute, ma non ricorda l’epoca e la causa.
Per quanto riguarda la prole, la primogenita è deceduta all’età di 11 mesi per una cardiomiopatia
congenita. La secondogenita è deceduta a 17 mesi per acidosi metabolica scompensata, ovvero un
disturbo dell'equilibrio acido con pH arterioso inferiore a 7,35. Nelle malattie mitocondriali l'acidosi
metabolica è per lo più un’acidosi lattica dovuta ad aumento di lattati sierici. La quartogenita è
deceduta a 4 anni per acidosi metabolica e quando era in vita presentava ritardo di crescita staturo-
ponderale e ritardo psicomotorio, caratterizzato da deambulazione ritardata con atassia (esecuzione
scoordinata del movimento). Inoltre, presentava ipoacusia neurosensoriale bilaterale. Il figlio di 17
anni presentava già a 24 mesi i primi sintomi convulsivi. Dopo l’attività fisica lamenta crampi
muscolari dolorosi e frequenti, ipoacusia neurosensoriale e episodi ricorrenti di nausea e vomito con
lattato aumentato che vengono interpretati come episodi di acidosi metabolica.
Per quanto riguarda l’anamnesi personale, la probanda ci riferisce di avere episodi di amnesia e
deficit della memoria a breve termine. A 30 anni la comparsa di episodi di improvvisa ipotonia di un
emilato, cioè perdita di tono muscolare soprattutto per arti superiori e inferiori di sinistra. Riferisce
recente deambulazione atassica a base allargata e anche durante la raccolta della storia clinica appare
confusa...
In giovane età riferisce comparsa di algie muscolari e astenia, cioè stanchezza muscolare soprattutto
dopo attività fisica prolungata.

Il neurologo ha rilevato mediante


elettromioneurografia sofferenza miogena
e neurogena, cioè segni di sofferenza al
muscolo e al nervo periferico. La signora ha
effettuato elettrocardiogramma che ha
evidenziato aritmia cardiaca mentre
l’ecocardiogramma ha rilevato ipertrofia
del ventricolo sinistro.
La signora riferisce di avere ipoacusia
neurosensoriale bilaterale.
Dato il coinvolgimento di più apparati:
cardiaco, muscolo scheletrico, encefalo e orecchio, si sospetta che la famiglia soffra di una malattia
mitocondriale. Ricordiamo che le malattie mitocondriali rappresentano il disturbo metabolico più
frequente e richiedono coinvolgimento multisistemico di più apparati tra cui il cuore, il sistema
nervoso centrale e il muscolo: questi tre sistemi sono quelli che risentono primariamente di un danno
mitocondriale perché per funzionare richiedono alte quantità di energia. Esistono forme di malattie
mitocondriali più rare che si contraddistinguono per l’interessamento di un solo organo o apparato.
Le forme estremamente severe sono ad alto rischio di scompenso metabolico con insufficienza
multiorgano.

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SINDROME DI MELAS

La malattia mitocondriale che noi


sospettiamo è la sindrome
MELAS, che è l’acronimo di
Encefalo Miopatia, Acidosi lattica
e episodi Stroke-like. Nella griglia
sono riportate le principali
caratteristiche cliniche della
malattia prima fra tutte il ritardo di
crescita (vi ricordo che la seconda
genita della signora presentava un
ritardo di crescita saturo ponderale).
Una caratteristica comune sia
della probanda che di molti familiari della signora è la sordità. Ci sono poi episodi ricorrenti stroke-
like, che possono essere transitori o permanenti, lasciando anche danni neurologici. Inoltre, le
situazioni di improvvisa ipotonia ad un emisoma che la signora riporta fin dalla giovane età, possono
essere interpretati come eventi stroke-like. La demenza è un altro criterio clinico per fare diagnosi di
MELAS. La demenza è un’alternazione delle funzioni intellettive, precedentemente acquisite da un
individuo. La perdita di memoria a breve e a lungo termine può essere una prima spia di demenza. Le
convulsioni focali o generalizzate sono un altro criterio di MELAS, assieme all’atassia, all’acidosi
lattica ricorrente con nausea/vomito e alla miopatia. Tutte queste manifestazioni cliniche sono
quelle riscontrate nella vita della signora e in quella dei suoi familiari. Tra le sintomatologie della
MELAS non ancora discusse ritroviamo anche il diabete, la retinopatia pigmentata e emicrania
con aurea. L’insorgenza della sindrome è, di solito, in adolescenza ma ci sono casi in cui la MELAS
si manifesta più avanti con l’età, ha dunque una progressione variabile (anche all’interno della stessa
famiglia). Nel sospetto diagnostico di MELAS decidiamo di ricercare la mutazione più frequente
causativa di MELAS, ovvero la mutazione del gene MT-TL1, tale mutazione è presente nell’80%
dei malati. Fa seguito la mutazione nel gene MT-ND5 (10%) e poi ci sono tutta una serie di mutazioni
molto più rare da trovare. Generalmente, il percorso diagnostico parte dalla ricerca della mutazione
più frequente. Successivamente, si ricorre ad un pannello multigenico (si vanno a sequenziare più
geni associati alla malattia) e, in ultimo, si ricorre al sequenziamento dell’intero genoma
mitocondriale.
L’analisi molecolare risulta negativa per la mutazione analizzata e per questo decidiamo di
sequenziare direttamente l’intero genoma mitocondriale per ricercare mutazioni causative di altre
malattie mitocondriali e per effettuare anche una diagnosi differenziale nel più breve tempo possibile.
Con questa tecnica, abbiamo evidenziato una mutazione a carico del gene MT-TK in posizione
nucleotidica 8363, dove la guanina viene sostituita dalla adenina: questa mutazione è causativa della
sindrome MERRF.

SINDROME DI MERRF
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MERRF è l’acronimo di “epilessia


mioclonica con fibre rosse sfilacciate” e,
infatti, queste sono le due principali
conseguenze della sindrome: la mioclonia e il
dato anatomo-patologico di fibre rosse
sfilacciate. Le principali caratteristiche
cliniche sono: miopatia, convulsioni, sordità,
atassia, neuropatia, demenza e il ritardo di
crescita. Molto particolare è la presenza di
lipomi multipli e simmetrici sparsi in tutto il
corpo ma principalmente nell’area cervicale
delle spalle. Si è visto che tale manifestazione
clinica è presente nei pazienti con la mutazione che anche la probanda presenta, e che i lipomi possono
anche essere l’unica manifestazione della malattia. È per questo che andiamo a fare un esame
obiettivo molto più dettagliato nella signora: tramite gli esami strumentali osserviamo che anche la
probanda presenta lipomi cervicali multipli e simmetrici. Fatta diagnosi di sindrome MERF nella
probanda, andiamo a ricercare la mutazione causativa della malattia tra i consanguinei di primo grado,
ovvero nelle sorelle, nel figlio e nei figli delle sorelle. Da tale analisi, facciamo diagnosi di sindrome
MERF anche nei familiari sottoposti a screening. Per quanto riguarda la terapia farmacologica, non
esiste una terapia curativa ma solo una terapia asintomatica volta a controllare i sintomi della
malattia ad esempio mediante l’acido valproico, cioè un anti-convulsinanti. Studi su piccole
popolazioni hanno dimostrato delle diminuzioni dei segni mediante le somministrazioni di L-
carnitina e coenzima Q10. Naturalmente sono sconsigliati l’utilizzo di agenti tossici per i mitocondri
come il fumo di sigaretta, l’alcol e classi specifici di antibiotici come amminoglicosidi e/o linezolid.
NEUROPATIA OTTICA EREDITARIA DI LEBER (LHON)
Questa mattina affronteremo l’approccio del genetista clinico alle malattie mitocondriali, nello
specifico parleremo della Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber (LHON).
Giungono in consulenza genetica un fratello e due sorelle rispettivamente di 68,66 e 60 anni. Il
primogenito è ipovedente, e vengono accompagnati dal penultimo fratello che ha 55 anni e che
presenta una diagnosi molecolare di neuropatia ottica ereditaria di Leber. Questa malattia è una
malattia mitocondriale causata da mutazioni a livello del DNA mitocondriale con conseguente
disfunzione del mitocondrio. Colpisce la retina, in particolare la cellula ganglionare retinica che è
fortemente sensibile ad un’alterazione della produzione di ATP e allo stress ossidativo.
Dal punto di vista sintomatologico, un paziente affetto da questa malattia presenta:
• una fase acuta che dura generalmente da poche settimane a mesi, che è caratterizzata dalla
presenza di una perdita dell’acuità visiva centrale non dolente monolaterale (può essere anche
bilaterale fin dall’inizio nel 25% dei pazienti) e una possibile alterazione della visione dei
colori definita discromatopsia.
• alla fase acuta segue una fase cronica, che è caratterizzata da un’atrofia del nervo ottico e che
dal punto di vista sintomatologico è caratterizzata da una progressiva e permanente perdita
della visione centrale definita scotoma che progredisce verso la cecità.

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Il primo compito del genetista


clinico è quello di raccogliere
una dettagliata anamnesi
familiare. Essendo la
neuropatia ottica ereditaria di
Leber una malattia
mitocondriale, ci focalizziamo
a raccogliere una dettagliata
storia clinica del ramo parentale
materno dei probandi.

Iniziamo dalla mamma: sappiamo che è deceduta all’età di 67 anni, per motivi non meglio specificati
dai probandi, tuttavia quando era in vita non presentava alterazioni della vista.
La sorella della madre, invece, identificata alla posizione II.3 dell’albero genealogico, presentava
alterazioni della vista.
I probandi riferiscono che anche la nonna materna era affetta da cecità.
I probandi ci riferiscono che 2 fratelli e 1 sorella, identificati dalle posizioni III 3, III 4 e III 5, erano
deceduti in giovane età per cause infettive e traumatiche. Il familiare identificato dalla posizione III
8 nell’albero genealogico, presente in sede di consulenza, racconta che all’età di 53 anni ha
manifestato i primi sintomi a carico dell’apparato visivo, quindi ha presentato scotoma prima ad un
occhio e poi divenuto bilaterale.

La neuropatia ottica ereditaria di Leber va in


diagnosi differenziale con una serie di
patologie che esordiscono con scotoma
centrale e discromatopsia, come le vasculiti,
le infezioni, le intossicazioni da alcool e
metalli, sclerosi multipla e masse espansive
cerebrali. Infatti, il familiare affetto si era
sottoposto ad una serie di indagini
sierologiche e strumentali, volte a ricercare
le cause più frequenti per la perdita
improvvisa della vista, tutte risultate
negative. L’esame del fondo oculare
identificava una serie di segni che possono
ritrovarsi in fase cronica della neuropatia ottica ereditaria di Leber ed è per questo che i medici
pongono il sospetto clinico e strumentale di Lhon. Nel sospetto clinico e diagnostico di neuropatia
ottica ereditaria di Leber, il fratello si sottopone a consulenza genetica e ad indagine molecolare
mirata a ricercare le mutazioni più frequenti a carico del DNA Mitocondriale sui geni ND4, ND1 e
ND6 e l’analisi è risultata positiva alla mutazione del gene ND4, a livello della posizione nucleotidica
11778G>A della sequenza codificante dove la G viene sostituita dalla A.

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Qui c’è un
piccolo focus
sulle principali
mutazioni
causative di
LHON:
innanzitutto a
sinistra si nota il
DNA
mitocondriale
circolare con i
geni che lo
compongono, di
cui ad oggi sono
studiate più di
100 mutazioni a
carico: tra le più
frequenti ci sono
le mutazioni dei
geni ND1, ND4 e
ND6 causative
della LHON, anche se tante altre mutazioni sono state rilevate come causative di altre malattie, come
la MELAS e la MERRF. A destra ci sono le caratteristiche delle mutazioni conosciute per la LHON:
la prima mutazione a carico di ND1 è seconda per patogenicità, la mutazione di ND4 è quella più
frequente, la mutazione di ND6 è quella più benigna, essendo stata riscontrata in pazienti affetti da
LHON che hanno poi recuperato la vista, e in ultimo c’è una ulteriore mutazione a carico del gene
ND6, la 14459A>G, che è quella più patogenica. Tutte queste mutazioni alterano la ossidoreduttasi
NADH deidrogenasi, che si associa al metabolismo energetico del mitocondrio, con conseguente
alterazione funzionale.

ANAMNESI PERSONALE PATOLOGICA PROSSIMA E REMOTA DEI


NOSTRI PROBANDI
Ritornando al nostro caso
clinico, possiamo raccogliere
la storia clinica personale dei
nostri tre probandi, partendo
dal primogenito, che è
ipovedente e presenta la prima
sintomatologia di
annebbiamento oculare a 23
anni, prima monolaterale e poi
bilaterale, con un progressivo
deterioramento visivo. Questo
probando riceve nel giro di un
anno una diagnosi clinica e
strumentale di neuropatia ottica di Leber, ma non ha mai eseguito analisi molecolare. Per quanto
riguarda la secondogenita, racconta che ha avuto un episodio di attacco ischemico transitorio all’età
di 45 anni. L’attacco ischemico transitorio (TIA) è un disordine neurologico, caratterizzato da un
ipoafflusso di sangue ad una parte del cervello e generalmente non lascia reliquati. All’età di 60 anni

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invece presenta sintomatologie oculari come restrizione del campo visivo, sintomatologie
neurologiche, come cadute ricorrenti, tremore e atassia cerebellare, e sintomatologia psichiatrica,
sviluppando uno stato di depressione. Si osserva anche che questa donna ha effettuato una risonanza
magnetica all’encefalo, che ha evidenziato la presenza di atrofia della corteccia cerebrale e del
cervelletto.
Infine, la terza sorella giunta in consulenza riferisce che all’età di 55 anni ha avuto una neoplasia
della mammella e, data la comune sintomatologia oculare familiare, si sottopone periodicamente a
dei controlli oculistici. Dall’ultimo esame del fondo oculare si sono evidenziate alterazioni dei vasi
retinici.

Alla luce della storia clinica dei probandi, si decide di ricercare la mutazione familiare in tutti e tre i
probandi. Il test molecolare risulta essere positivo in tutti e tre i probandi (infatti nell’albero
genealogico i tre probandi sono disegnati in nero). Per diagnosticare la neuropatia ottica di Leber si
hanno due criteri diagnostici:
• Riduzione acuta che si sviluppa in giovane età
• Presenza di una delle tre mutazioni di LHON più comuni, identificata mediante test
molecolare.

Ovviamente la presenza di uno dei due criteri è sufficiente per fare diagnosi di neuropatia ottica di
Leber.

Correlando il genotipo di ciascun probando con il fenotipo si vede come la neuropatia ottica ereditaria
di Leber, come tutte le malattie mitocondriali è ad espressività variabile all’interno anche della stessa
famiglia. Per esempio, il primogenito è l’unico che presenta una diagnosi clinica e molecolare di
LHON, quindi è l’unico che manifesta entrambi i criteri diagnostici in quanto è l’unico che ha
manifestato una sintomatologia oculare in giovane età e ha avuto anche una diagnosi molecolare a
conferma della patologia.
La secondogenita invece sembra avere
una forma più grave di LOHN che viene
definita Leber’s plus che è caratterizzata
da un coinvolgimento, oltre che
dell’apparato oculare anche dell’apparato
neurologico e cardiaco, con la presenza di
atassia, distonia, tremori, sindrome di pre-
eccitazione e cardiomiopatia.
Infine, l’ultima probanda è l’unica
asintomatica anche se ha una diagnosi
molecolare di LHON.
Per spiegare la variabilità fenotipica
della malattia mitocondriale bisogna
ricordare le caratteristiche del DNA
mitocondriale che sono l’eteroplasmia,
l’omoplasmia e l’effetto soglia.
L’eteroplasmia è la presenza di due o
più popolazioni mitocondriali
geneticamente diverse in una cellula
somatica, quindi è una coesistenza in
una stessa cellula di mitocondri a DNA
mutato e di mitocondri a DNA integro.

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Le mutazioni mitocondriali, quindi presentano effetti patologici solamente quando la percentuale di


mitocondri a DNA mutato supera un certo limite (effetto soglia), o quando la percentuale raggiunge
il 100% (omoplasmia).

Il grado di eteroplasmia varia da cellula


a cellula e da tessuto a tessuto. Anche
negli stessi ovociti l’eteroplasmia è
presente, pertanto può accadare che
alcuni ovociti abbiano il 70% di
mitocondri mutati ed altri il 100% di
mitocondri mutati. Ciò significa che
una madre può trasmettere ai propri
figli, contribuendo alla formazione
dello zigote con l’ovocita, mutazioni
mitocondriali con gradi diversi di
eteroplasmia e quindi la malattia si manifesta con fenotipi patologici estremamente variabili in
ambito della stessa fratria.

La variabilità fenotipica della malattia mitocondriale può essere conseguenza anche di altri fattori
modificatori tra cui:
- Mutazioni secondarie a carico del DNA mitocondriale;
Polimorfismi nel DNA nucleare;
- Fattori ambientali (tabacco/alcol) che sembrerebbero modulare l’espressione clinica della
malattia.

Ai nostri probandi spieghiamo che:


• L’espressività della malattia
è variabile e non prevedibile
(anche nella stessa famiglia);
• La presenza della variabile
patogenica non predice
l’occorrenza della patologia,
l’età di inizio, la gravità e la
progressione della malattia;
• Consigliamo a tutti i
familiari con mutazione
visita cardiologica e
neurologica come follow up
(per scongiurare forme di LHON più severe);
• Consigliamo astensione dal fumo di sigaretta.

Una domanda ricorrente che viene posta dai pazienti ai genetisti clinici è il rischio di ricorrenza di
una particolare malattia genetica nella prole.
Bisogna quindi definire i portatori della mutazione familiare mediante lo screening dei consanguinei
di primo grado. Si va ad eseguire il test genetico nei familiari di primo grado (quindi nelle sorelle del
probando non ancora indagate molecolarmente) e alla prole delle sole femmine portatrici.

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Prescriviamo il test
molecolare
esclusivamente nei figli
delle probande perché il
LHON presenta una
eredità matrilineare. Le
mutazioni mitocondriali
vengono trasmesse
solamente per via
materna in quanto, al momento della fecondazione, nel citoplasma dello zigote tutti i mitocondri
contribuiti dallo spermatozoo vengono distrutti per un meccanismo di autofagia e gli unici
mitocondri rimanenti ed il DNA in esso contenuto sono di origine esclusivamente materna.

APPROCCIO ALLA TERAPIA DELLE MALATTIE MITOCONDRIALI


L’idebenone è il farmaco che sta utilizzando uno dei fratelli affetti (interruzione della lezione)

Domanda: nelle malattie mitocondriali non si potrebbe parlare di penetranza


incompleta?
Risposta: nelle malattie mitocondriali non c’è una vera e propria penetranza incompleta. Per tutte le
ragioni descritte e spiegate, le malattie mitocondriali sono estremamente variabili perché dipendono
dal grado di eteroplasmia, da quali tessuti sono coinvolti, da quanto DNA è effettivamente mutato.
C’è quindi un’estrema variabilità clinica nello stesso ambito familiare. Tutti i figli avranno ereditato
qualche copia di materiale ereditario mutato ma ci saranno quelli che ne hanno ereditato talmente
poco che fenotipicamente non mostrano niente (nonostante abbiano la mutazione). Se nell’ovocita
della donna che ha la mutazione c’è un numero di mitocondri importante, è possibile anche che suo
figlio sia gravemente malato proprio per questa caratteristica specifica del DNA mitocondriale.

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IMPRINTING E CROMOSOMOPATIE AFP 07/05

CASO CLINICO 1
In questo primo caso
clinico, Minnie e
Topolino giungono in
consulenza genetica
prenatale.
Portano
rispettivamente in
visione la translucenza
nucale (è un valore
ecografico prenatale
che può essere alterato
in alcune cromosopatie
o, in generale, altre
patologie) e
l’amniocentesi, da cui
cariotipo ricavato, si evince una traslocazione robertsoniana tra il cromosoma 15 e 21.

Dall’albero genealogico della famiglia, possiamo notare che il nipote del consultando è affetto da
Distrofia Muscolare di Duchenne, una patologia X-linked, quindi il consultando non è interessato
riguardo tale disturbo (non può di sicuro essere portatore, altrimenti sarebbe affetto). La donna arriva
in consulenza alla 19° settimana: è un dato da prendere in considerazione, in quanto un intervento
prenatale, oltre la 22° settimana non ha ragione d’essere.

Il feto presenta una traslocazione Robertsoniana. Chiariamo il concetto di cromosoma:


per fenotipo intendiamo tutto ciò che vediamo di un individuo, es colore degli occhi e altezza; il
fenotipo è secondario al genotipo, ossia il corredo di geni, a loro volta contenuti nei cromosomi,
strutture filamentose contenute nel nucleo delle cellule.

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Nella figura sulla destra è mostrato il cariotipo, ossia il corredo cromosomico di ciascun individuo.
Un cariotipo di un individuo normale presenta 23 coppie di cromosomi, in cui ciascuna copia è
ereditata da entrambi i genitori.
Per traslocazione
cromosomica, si intende un
evento secondario alla rottura
di due cromosomi, a seguito
della quale si verifica uno
scambio di segmenti
cromosomici.
Possiamo avere una
traslocazione bilanciata
(senza perdita del materiale
genetico) o una traslocazione
sbilanciata (con
perdita/acquisizione del
materiale genetico), lo
sbilanciamento può avvenire
con il concepimento.
In questo caso specifico, il feto è portatore di una traslocazione bilanciata, tra il cromosoma 15 e 21
(come possiamo vedere al cariotipo). Difatti, una copia del cromosoma 21 si è spostato fisicamente
su una copia del cromosoma 15. Una traslocazione bilanciata può essere sia asintomatica che
sintomatica (come nel caso del cromosoma Philadelphia, anche se in realtà è somatica).

Nonostante nella traslocazione


bilanciata non ci sia perdita del
materiale genetico, è importante
precisare che la rottura dei cromosomi,
può avvenire in un punto critico (es.
gene trascritto) e causare quindi un
fenotipo patologico, secondario alla
mancata espressione di quel gene;
oppure in un punto non critico, dunque
quell’individuo avrà fenotipo normale.
In realtà, in quest’ultimo caso, è
descritto in letteratura, una maggiore
frequenza di oligo/azoospermia o di
poliabortività nei soggetti portatori di
una traslocazione cromosomica
bilanciata.

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La prima domanda da porsi,


nel momento in cui ci viene
riferito che il feto è portatore
di una traslocazione
cromosomica bilanciata, è se
essa è stata ereditata da uno
dei due genitori in ABS
(apparente buona salute),
oppure se essa è de novo. Se
la traslocazione è ereditata
potremmo orientarci
maggiormente verso
un’ipotesi di benignità, ovvero il fenotipo del feto potrebbe non essere patologico, in quanto in tal
caso anche i genitori presentano la mutazione eppure sono sani fenotipicamente. Una mutazione de
novo, invece, non ci fornisce informazioni sul fenotipo probabile del feto.

Per capire, in questo caso specifico, se la traslocazione è


ereditata o de novo, viene prescritto il cariotipo ad
entrambi i genitori.

In attesa dei risultati, è


importante chiedersi quali
potrebbero essere i rischi nel
concepimento qualora uno dei
due genitori fosse
effettivamente portatore di una
traslocazione cromosomica
bilanciata tra il cromosoma 15
e il 21. Un portatore di una
traslocazione cromosomica
bilanciata può non trasmettere
la traslocazione, o trasmetterla
al momento del concepimento
alla prole. È un evento
difficilmente prevedibile a priori.

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Nel caso in cui la traslocazione venisse trasmessa, questa può essere trasmessa in forma bilanciata,
quindi senza perdita o acquisizione di materiale genetico, o sbilanciarsi al momento del
concepimento. In questo caso specifico uno sbilanciamento della traslocazione esiterebbe in:
 Una monosomia del cromosoma 15 e 21, condizioni non compatibili con la vita;
 Una trisomia 15, anche questa non compatibile con la vita.
 Trisomia 21, nota come Sindrome di Down.
Un particolare caso che potrebbe presentarsi, nella condizione di sbilanciamento, è quello della
Disomia Uniparentale: la cellula si rende conto di avere un cromosoma in meno o uno in più, e mette
in atto un ‘’meccanismo di salvataggio’’ duplicando il cromosoma singolo o eliminando la copia del
cromosoma aggiuntivo. In tal caso però ci può essere la possibilità che ad essere eliminato sia ad es.
quello di origine materna, in tal modo si avranno entrambi i cromosomi di origine paterna. I
cromosomi potrebbero essere entrambi di origine materna, o entrambi di origine paterna. Il cariotipo
apparrà comunque normale e la trasmissione è bilanciata. Dobbiamo in ogni caso escludere che la
traslocazione fosse sbilanciata in origine, e che sia andata incontro al meccanismo di rescue, con una
conseguente disomia uniparentale.

Vediamo in dettaglio in cosa


consiste la Disomia
Uniparentale. Immaginiamo
che il feto presentasse tre copie
del cromosoma 15, due di
origine paterna e una di origine
materna, in seguito allo
sbilanciamento della
traslocazione. La cellula
elimina spontaneamente uno
dei tre cromosomi in più. Nel
caso in cui eliminasse quello di
origine materna, si avrebbero
due copie di origine paterna del cromosoma 15, con cariotipo comunque normale o comunque
bilanciato.

IMPRINTING

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La disomia uniparentale può esitare in


un fenotipo patologico a livello di quei
cromosomi soggetti ad imprinting.
Prendiamo in esame due copie del
cromosoma 15. Entrambe le copie (di
origine paterna e materna) presentano 4
geni: A, B, C, D. I geni effettivamente
espressi però sono A e C se ereditati dal
padre, e i geni B e D se ereditati
esclusivamente dalla madre. Dunque,
per imprinting, intendiamo quel
meccanismo epigenetico di regolazione
trascrizionale per cui i geni sono espressi
in base alla loro origine parentale. Il genoma materno e paterno, presentano un ruolo complementare
ma non equivalente nello sviluppo embrionale.
Il meccanismo di imprinting non
interessa interi cromosomi, ma
cluster (gruppi) di geni localizzati
in specifiche regioni
cromosomiche. Nello specifico i
cromosomi interessati sono il 6, il
braccio lungo del 7q, il braccio
corto del 11p, il braccio lungo del
14q, 15q, 20. In caso di una
delezione o di una disomia uniparentale, per questi cromosomi, il fenotipo risulterà patologico.
Nel nostro caso specifico, il feto presenta una traslocazione cromosomica bilanciata che riguarda
anche il cromosoma 15, dunque dobbiamo escludere di trovarci dinanzi ad una disomia uniparentale.

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Ricapitolando, il feto è portatore di


una traslocazione bilanciata 15;21,
quindi dobbiamo escludere che ci
sia stato un pregresso
sbilanciamento con RESCUE, e
che quindi si tratta di Disomia
Uniparentale per il cromosoma 15.
Questa esclusione è importante da
svolgere, in quanto una disomia
uniparentale paterna per il
cromosoma 15 potrebbe sfociare in
Sindrome di Angelman, mentre
una disomia uniparentale materna
del cromosoma 15 esita in
Sindrome di Prader-Willi.

SINDROME DI ANGELMAN
La sindrome di Angelman può essere
secondaria alla delezione del
cromosoma 15q materno, o più
raramente, alla Disomia Uniparentale
paterna del cromosoma 15q. In entrambi
i casi, si avrà una mancata espressione
dei geni materni localizzati sul
cromosoma 15. Questa patologia si
presenta fenotipicamente con
dismorfismi facciali (tra i quali
microcefalia) e alterazione del sistema
nervoso centrale. È piuttosto
caratteristica di questa sindrome la risata
facile con temperamento felice e iperattività.

SINDROME DI PRADER-WILLI
La Sindrome di Prader-Willi, al
contrario, è secondaria a delezione del
15q paterno, oppure a Disomia
Uniparentale materna 15q, con mancata
espressione dei geni paterni localizzati
sul cromosoma 15. Nell’infanzia è
sempre sospettata in caso di ipotonia alla
nascita o scarso accrescimento
perinatale. Durante l’adolescente si
manifesta principalmente con
disfunzione ipotalamica, la quale
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comporta in questi soggetti: bassa statura, tendenza all’iperfagia (che ne determina obesità) e
ipogonadismo ipogonadotropo che ritarda la pubertà. A livello del sistema nervoso centrale i soggetti
possono presentare disabilità intellettiva di entità variabile; piuttosto caratteristici sono i disturbi
psichiatrici e comportamentali.

Per escludere la
Disomia Uniparentale
del cromosoma 15,
prescriviamo
l’indagine SNP-Array,
in TRIO su liquido
amniotico e su
entrambi i genitori.

Questa indagine è un tipo


particolare di Array, in grado di
effettuare una valutazione di tipo
quantitativa (riconosce
delezioni/duplicazioni al livello
del cromosoma) e qualitativo
(riconosce i polimorfismi a singolo
nucleotide (SNP), cioè quelle
variazioni di un singolo nucleotide
a livello del DNA, le quali sono
presenti in più dell’1% della
popolazione mondiale, non
presentando un significato di tipo
patologico bensì ci rendono diversi
gli uni dagli altri).
Per quanto riguarda la Disomia Uniparentale, essa può trovarsi nella forma di isodisomia o nella
forma di eterodisomia; nel caso di isodisomia, i cromosomi omologhi risultano identici, dunque una
isodisomia può essere la conseguenza di una correzione ad una monosomia. Un’eterodisomia, invece,
è la situazione in cui entrambi gli omologhi derivano dal medesimo genitore. È presumibilmente, la
conseguenza di una correzione cellulare di una trisomia.

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In conclusione, dunque, la
coppia dovrà eseguire il
cariotipo (entrambi i
genitori) in quanto è
necessario capire se la
traslocazione
cromosomica 15;21 è
ereditata o de novo. La
coppia dovrà, inoltre,
essere sottoposta a SNP-
Array fetale, in quanto è
necessario capire se è
presente una Disomia
Uniparentale del cromosoma 15 e quindi escludere la sindrome di Angelman o di Prader Willi. Infine,
alla coppia va prescritta l’indagine SNP-Array per entrambi i genitori, poiché è fondamentale e
imprescindibile per interpretare lo SNP-Array del feto.

DOMANDE:
È sufficiente il quadro clinico presentato per effettuare l’amniocentesi? Ci sono altri fattori di rischio
per porre indicazione di tale metodica diagnostica?
 Tutto viene deciso durante la consulenza genetica. Il genetista comunica alla coppia tutte le
informazioni, dà consigli, indicazioni sulle diverse possibilità, ma è sempre la coppia che sceglie
liberamente e consapevolmente quale strada intraprendere.
Nelle malattie da imprinting c’è la possibilità di fare genes therapy, ossia andare a sostituire il gene
che non funziona?
 Di tutte le malattie genetiche approcciate dalla terapia genetica, quelle da imprinting non sono tra
queste. Non sono neanche in fase di valutazione pre-clinica, perché troppo complesse e ci sono
troppe variabili. Il locus del cromosoma in cui ci sono i geni sottoposti ad imprinting è così
complesso che è impossibile, attualmente, andare ad intervenire senza andare a danneggiare altri
geni.
Perché la trisomia del cromosoma 15 causa aborto e altre trisomie no?
 Le condizioni di monosomia sono tutte incompatibili con la vita. Le uniche condizioni di trisomie
compatibili con la vita sono solo quelle a carico del cromosoma 21, del cromosoma 13 e del
cromosoma 16. Nelle altre trisomie, il fatto di avere tre copie di quei geni localizzati su quei
cromosomi è così grave da non permettere l’ulteriore sviluppo del feto e pertanto risultare non
compatibile con la vita.

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CASO CLINICO 2
La coppia Fred-
Wilma giunge in
consulenza genetica
preconcezionale in
quanto Wilma
presenta familiarità
per traslocazione
cromosomica tra il
cromosoma 7 e il
cromosoma 13. All’
anamnesi familiare è
possibile evincere
che la madre di
Wilma è portatrice di
questa traslocazione e ha avuto tre interruzioni spontanee di gravidanza nel primo trimestre; anche
uno zio materno e il nonno materno sono portatori della traslocazione.

Ricostruiamo per prima cosa l’albero


genealogico a partire dall’anamnesi
familiare. In particolare, la coppia
giunge in consulenza per conoscere
eventuali rischi al concepimento
qualora Wilma fosse anche lei
portatrice della traslocazione
cromosomica 7-13.

Raccogliamo l’anamnesi personale di Wilma e di Fred. Wilma è andata incontro a un’interruzione


spontanea di gravidanza. All'esame obiettivo notiamo la presenza di una retrognazia, una particolare
attaccatura diretta delle orecchie e l’altezza di 1,52 m (anche la madre di Wilma presentava un’altezza
di 1,50 m).

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Prescriviamo innanzitutto il
cariotipo a Wilma per verificare
la possibilità che anche lei abbia
ereditato la traslocazione
cromosomica, ed
effettivamente notiamo che
anche Wilma presenta la
medesima traslocazione
cromosomica, possiamo notare
che una parte del cromosoma 13
è traslocata sul cromosoma 7.

La coppia è giunta in consulenza


proprio per conoscere eventuali
rischi al concepimento.
Andiamo a riferire alla coppia
che un portatore di traslocazione
cromosomica bilanciata può non
trasmettere la traslocazione o
trasmetterla alla prole in maniera
non prevedibile a priori. Qualora
essa venga trasmessa questa può
essere bilanciata senza perdita o
acquisizione di materiale
genetico o sbilanciarsi nel
momento del concepimento con
una conseguente Monosomia 7 o
13 o una Trisomia 7, situazioni che portano all’aborto, o una Trisomia 13 nota come Sindrome di
Patau. Qualora ci fosse uno sbilanciamento va indagata la possibilità di RESCUE, il meccanismo di
salvataggio della cellula, in seguito al quale la cellula rendendosi conto di presentare un cromosoma
in più o in meno, in maniera autonoma duplica il cromosoma singolo o elimina una copia eccessiva
dei cromosomi andando incontro eventualmente al fenomeno della Disomia uniparentale.

Più nello specifico, nel nostro caso, essendo Wilma portatrice di una traslocazione tra il cromosoma
7 e 13, i rischi al concepimento sono i seguenti:
 Può non trasmettere la traslocazione;
 Può trasmettere la traslocazione bilanciata t(7;13) con un fenotipo sovrapponibile a quello del
genitore (in questo caso sano);
 Può andare incontro spesso ad un'interruzione spontanea di gravidanza rispetto al resto della
popolazione;
 Può avere un figlio affetto dalla sindrome di Patau o dalla Disomia uniparentale.

Con l'avvento delle tecniche di sequenziamento dell'intero genoma, si è visto che il numero di soggetti
che nascono con una disomia uniparentale è molto più alto di quello che si possa pensare, molti di

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questi casi sono in aree cosiddette “mute”, ovvero che non causano nulla, per questo non ne siamo a
conoscenza.

SIDROME DI
PATAU
La sindrome di Patau o
Trisomia 13 si manifesta
spesso con
un'interruzione
spontanea di gravidanza,
qualora questo non
avvenisse la morte
giunge generalmente nel
primo anno di vita.
La sindrome è
caratterizzata da vari
dismorfismi, da
polidattilia (numero di
dita soprannumerario), dal coinvolgimento del sistema nervoso centrale con disabilità intellettiva e
ipotonia e da una serie di malformazioni viscerali, in particolare anomalie cardiache.

Soffermiamoci sul
concetto di disomia
uniparentale.
Immaginiamo che in
questo caso il feto
abbia avuto uno
sbilanciamento della
traslocazione
cromosomica ereditato
dalla madre e che
avesse presentato tre
copie del cromosoma
7, due copie a eredità
paterna e una copia a
eredità materna. La cellula rendendosi conto di presentare un cromosoma soprannumerario elimina
in modo spontaneo e autonomo uno dei cromosomi. In questo caso può verificarsi la situazione in
cui, sebbene il cariotipo si presenti bilanciato, entrambe le copie di un medesimo cromosoma sono
ereditate dallo stesso genitore.

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Il cromosoma 7 è uno di quei


cromosomi soggetti ad
imprinting, ovvero in
presenza di due copie dello
stesso cromosoma i geni
vengono espressi in base alla
loro origine parentale. In
questo caso i geni A e C
sono espressi solo se
ereditati dal padre, il gene B
e il gene D sono espressi
solo se ereditati dalla madre.

L’ imprinting interessa dei “cluster


di geni” ovvero geni localizzati in
specifiche regioni cromosomiche.
In particolare, una delezione o una
disomia uniparentale di uno di
questi cromosomi porta
inevitabilmente ad un fenotipo
patologico. In questo caso il
cromosoma 7 è interessato dunque
una disomia uniparentale deve essere necessariamente indagata. (L’ imprinting in oncologia può
causare l’iper-espressione o la perdita di espressione di geni, quindi è rilevante nella patologia da
oncosoppressori).

Infatti, qualora al
concepimento Wilma
trasmettesse la
traslocazione 7;13 e
questa andasse incontro
ad un eventuale
sbilanciamento con
conseguente
monosomia o trisomia
del cromosoma 7,
potrebbe verificarsi un
meccanismo di rescue
con una conseguente
duplice copia di un
cromosoma ereditato dallo stesso genitore. Una disomia uniparentale per il cromosoma 7 paterna si
presenta con un fenotipo variabile mentre una disomia uniparentale per il cromosoma 7 materna
genera la sindrome di Silver-Russel.

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SINDROME DI SILVER-RUSSEL
La sindrome di Silver-Russel presenta
un’eziologia geneticamente
eterogenea dal momento che può
essere secondaria soltanto a
meccanismi di duplicazione,
delezione e traslocazione o
alterazione dell’imprinting riguardo il
cromosoma 11 (questi rappresentano
la maggioranza dei casi), ma può
essere anche causata dalla mancata
espressione di geni paterni localizzati
sul braccio lungo del cromosoma 7 ed
è quello su cui noi dobbiamo indagare
in questo caso.
Clinicamente la sindrome
si presenta con vari
dismorfismi, in particolare
viso di forma triangolare,
prominenza delle bozze
frontali e mento appuntito,
anomalie scheletriche quali
bassa statura, asimmetria
degli arti, clinodattilia e
scoliosi o anomalie del
sistema nervoso centrale,
con sviluppo cognitivo
solitamente nella norma o
disabilità intellettiva lieve
e disturbi
dell'apprendimento.

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Se la disomia uniparentale
materna si presenta con la
sindrome di Silver-Russel,
la disomia uniparentale
paterna si presenta con un
fenotipo variabile.
L'individuo infatti può
presentarsi perfettamente
normale o presentare alta
statura.
Ciò che è tipico delle
disomie uniparentali è un
aumentato rischio di
presentare le patologie ad
ereditarietà autosomico recessiva, in particolare è stato notato, nei casi descritti in letteratura, un
aumentata incidenza di fibrosi cistica. Ciò, tuttavia non sorprende visto che il gene che provoca la
fibrosi cistica è situato sul braccio lungo del cromosoma 7.

Per indagare eventuali


disomie uniparentali e
in generale la perdita di
eterozigosità si ricorre
alla tecnica dello SNP-
ARRAY, un array in
grado di riconoscere i
polimorfismi a singolo
nucleotide, ossia quelle
variazioni di un singolo
nucleotide presenti in
più di dell’1% della
popolazione.
Qui possiamo vedere
uno SNP-ARRAY con isodisomia uniparentale.

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Abbiamo esposto alla


coppia quale fosse il
rischio al
concepimento. La
coppia a questo punto
viene informata della
possibilità di effettuare
una diagnosi prenatale
invasiva mediante
tecnica di villocentesi
o amniocentesi.
In seguito alla diagnosi
prenatale invasiva sarà
possibile eventualmente effettuare un cariotipo fetale per ricercare eventuali aneuploide, per esempio,
la sindrome di Patau o la presenza di traslocazioni sbilanciate. Qualora il cariotipo apparisse non
sbilanciato è possibile effettuare lo SNP-ARRAY in trio, ovvero sul feto e su entrambi i genitori, per
indagare un eventuale disomia uniparentale del cromosoma 7.

Qualora la coppia presentasse difficoltà ad


ottenere un concepimento o a portare
avanti una gravidanza avrebbe anche la
possibilità di sottoporsi ad un percorso di
procreazione medicalmente assistita
(tecniche di PMA). In corso di queste la
coppia avrà la possibilità anche di
effettuare una diagnosi preimpianto, la
quale consente di andare ad impiantare
direttamente e unicamente le blastocisti
euploidi, ovvero con un corredo cromosomico normale, questo andrà a ridurre il rischio di
interruzione spontanea di gravidanza.

Domande:
I cromosomi soggetti ad imprinting non sono soggetti a crossing over?
 Sono i loci, porzioni di cromosoma, ad essere soggetti a imprinting. Tutto avviene
normalmente, quindi vanno incontro a crossing over; la differenza con l’imprinting sta nella
metilazione, perché i geni sottoposti a imprinting vengono silenziati trascrizionalmente
tramite la metilazione differenziale degli alleli.
Se un individuo con disomia uniparentale procreasse, la prole sarebbe sana?
 Per prima cosa bisogna vedere se la disomia uniparentale dell’individuo non interferisce con
la sua possibilità di procreare, poi nel caso accadesse il fenotipo dipende sempre dal
cromosoma soggetto all’evento, se coinvolge un locus soggetto ad imprinting poi c’è anche
tutto il fattore legato a questo.

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AFP GENETICA 21/05/2021

Noi parleremo del cancro come malattia genetica, daremo dei cenni di terminologia dei tumori
infantili, e spiegheremo perché, e parleremo dei tumori ereditari, prendendo come paradigma
l’esempio del Neuroblastoma (tipico tumore più presente in età pediatrica). SLIDE1

Domanda ad una ragazza intervenuta dicendo che l’argomento oncogeni/oncosoppressori era


già stato trattato: “I tumori sono una malattia ereditaria?”. Risposta della ragazza: “Dipende, i
tumori sono considerati malattie multifattoriali, cioè che dipendono sia da fattori genetici che
ambientali, e ci sono dei tumori che possono essere appunto ereditari. In realtà, più che il
tumore, viene ereditata una predisposizione al tumore, e in base alla teoria del second hit: una
mutazione viene ereditata dai genitori, e poi nel corso della vita è possibile accumulare un’altra
mutazione somatica che può portare all’insorgenza del tumore vero e proprio.

100

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Ora, se noi guardiamo questa slide, vi rendete conto che c’è lo stesso DNA in uno zigote, in un
feto all’ottava o alla 13esima settimana, così come a 6 mesi, così come verso la fine del periodo
fetale, così come in un neonato. Evidentemente, essendo lo stesso il DNA, quello che cambia è
l’espressione.

Un’altra cosa da prendere in considerazione, voi lo sapete, ma lo ricordiamo, è che se voi


applicate uno stimolo (qualsivoglia stimolo, che sia fisico, chimico, anche meccanico) ad una
cellula, questa cellula ha sostanzialmente 3 possibilità di azione, che sono:

4) Differenziarsi, cioè mettere in atto una serie di trascrizioni di alcuni geni che permettono
di diventare una cellula sempre più differenziata
5) Mettere in atto un meccanismo per cui da una cellula ne diventa 2, perciò si replica
6) Oppure, nell’incapacità dei 2 meccanismi precedenti, soprattutto per un eventuale errore,
la cellula va incontro ad una morte programmata che si chiama Apoptosi
Non si esce da questo paradigma.

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Qualora il processo apoptotico, in uno dei suoi meccanismi, non funzioni; e non funzioni
neanche il processo di differenziazione o di replicazione, la cellula non può fare altro che dare
vita ad un fenomeno di crescita incontrollata che poi sostanzialmente è la base molecolare del
cancro.

Voi sapete molto bene, la collega prima lo ha anche detto, che il cancro è una malattia
multifattoriale, che quindi dipende dall’incontro tra il genoma e l’ambiente. Come già aveva
stabilito Darwin, il peso del genoma è sostanzialmente inversamente proporzionale al peso
dell’ambiente. E come voi vedete nella figura, man mano che aumenta il peso dei geni si va
verso le malattie monogeniche(mendeliane), man mano che diminuisce il peso dei geni si va
verso le malattie multifattoriali. Fino a diminuire a tal punto che ci sono malattie che sono
puramente ambientali. Però, la componente ambientale, o la componente genetica, è sempre
una componente prioritaria? Potremmo dire no, perché il fenotipo dipende in qualsiasi caso da
un’interazione di un genoma con un ambiente.
Prendiamo il classico esempio di una malattia genetica monogenica: la Fenilchetonuria.
È una malattia metabolica, è tra le malattie sottoposte a screening di popolazione neonatale.
Nella fenilchetonuria il fenotipo dipende dal genoma, ma dipende dal genoma così come
interagisce con l’ambiente. Perché se il bambino, già alla nascita riceve una terapia con alimenti
poveri di fenilalanina, la malattia stessa ha una manifestazione completamente differente, per
cui vedete bene, il fenotipo di una malattia mendeliana pura dipende comunque anche
dall’ambiente.
Per esempio, il deficit di G6PD vi porta, se mangiate le fave, al favismo. È una malattia
mendeliana? Certo, è una malattia mendeliana x linked. Ma se voi non mangiate le fave, se non
avete l’incontro con questo nutrimento ambientale; se non ponete le emazie a questo stress
ossidativo non avrete l’emolisi.
Per cui si può arrivare all’assunto che c’è una componente ambientale in malattie monogeniche
pure, come la fibrosi cistica o la fenilchetonuria, così come d’altra parte è possibile immaginare
che in un incidente stradale, per esempio, che è giocoforza dovuta all’ambiente (alla macchina
ecc) c’è una controparte che è rappresentata dal genoma, perché esistono delle forme di deficit
dell’attenzione che sono geneticamente determinate.

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È chiaro quindi che noi abbiamo, nella definizione di un fenotipo, sempre(anche per la malattia
mendeliana o multifattoriale) un’interazione tra un gene - che può essere più o meno
predominante - un genoma e l’ambiente. Tutti e 3 determinano un fenotipo. Poi a seconda del
peso di questo gene una malattia può essere monogenica o multifattoriale

E ricordiamoci, che c’è, tra queste malattie, un continuum, non è che da una parte ci sono le
monogeniche e da un’altra parte ci sono le multifattoriali.
Ci sono malattie, che chiamiamo specificamente monogeniche (talassemie, fenilchetonuria),
per cui una malattia inizia con l’essere una malattia mendeliana oligogenica fino ad arrivare ad
essere una malattia poligenica (si parla di tratti complessi).

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In tutto ciò, i tumori entrano proprio in questo capitolo, perché il peso dei tumori è certamente
dettato dall’interazione del genoma con l’ambiente. Però, quanto peso il genoma, e quanto
l’ambiente, è dipendente dall’età, dalla vita specifica del soggetto.
Ovvero, in un età precoce, in un tumore durante i primi anni di vita(tumore dell’età pediatrica),
il peso dell’ambiente diventa meno rilevante rispetto a quanto è il peso del genoma. Di questo
ve ne rendete conto anche in maniera intuitiva, perché c’è una minore esposizione alle noxa
ambientali, per cui l’ambiente ha potuto modificare. Mentre, per un tumore che sorge durante
l’età adulta o durante la senescenza dell’individuo, la componente ambientale è maggiore della
componente genomica.

E se noi guardiamo come sono diffusi i tumori, e che istotipi ci sono, nell’età pediatrica rispetto
all’età adulta ci accorgiamo che questo fatto è vero: questa per esempio, è una tabella generale,
che benché sia un po’ vecchia è ancora valida nella sua definizione degli istotipi: in età adulta
i tumori che vanno per la maggiore sono i tumori della mammella, prostata, polmone, colon-
retto; in minor quantità il tumore della vescica ed alcuni linfomi.
Vedete, questa è la definizione dei tumori dell’adulto. Vediamo invece l’analoga definizione
per i tumori presenti nell’età pediatrica, cioè nell’intervallo 0-14 anni.
Cosa osserviamo? Che ¼ dei tumori sono costituiti dalle leucemie linfoblasti che acute, un altro
quarto dai tumori del SNC, poi abbiamo un 10% circa di neuroblastoma, nefroblastoma, ancora
una volta linfoma e poi una serie di tumori differenti che sono retinblastoma; osteosarcoma;
tumore a cellule germinali…

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Come vedete, quindi vediamo una epidemiologia ed istotipi differenti tra adulti e bambini.
Questa è l’implicita dimostrazione del differente peso che ha il genoma dell’età pediatrica
rispetto all’età adulta. In questi tumori dell’età pediatrica il genoma pesa molto di più che
nell’età adulta.

Vediamo com’è diffusa l’assistenza dei pazienti pediatrici affetti da tumori in Italia. Dovete
sapere che esiste una rete operativa, la Rete di Oncologia Pediatrica, che è una rete nazionale,
per cui in tutte le regioni ci sono un certo numero di centri in rapporto alla quantità di abitanti
di quella regione. In questi centri possono essere curati i soggetti in età pediatrica affetti da
tumori.

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Quello che voglio dire ora, è una piccola osservazione che vorrei fare, che viene a volte chiesta
anche in ambulatorio. In ambulatorio vediamo purtroppo quotidianamente persone che vengono
per problemi di tumori ereditari. Tra questi, tumori sia pediatrici che dell’adulto.
Per quanto riguarda i tumori pediatrici, si discute moltissimo della problematica della Terra dei
Fuochi; si è detto che gli scarichi nella terra dei fuochi hanno fatto aumentare i tumori nell’Italia
meridionale e in particolare nella zone del casertano.
Vediamo un po’ l’incidenza dei tumori pediatrici in Italia nell’intervallo che va dagli inizi degli
anni ’90 ai primi 15 anni del nuovo secolo: come voi vedete c’è un lento incremento
dell’incidenza dei tumori pediatrici.

E se noi andiamo a vedere come sono divisi per gli istotipi maggiori(abbiamo detto in età
pediatrica tumori del SNC, leucemia e neuroblastoma), come voi vedete l’andamento è uguale
per tutti i tipi di tumori.

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Se noi andiamo in Campania, vediamo che l’incidenza in Campania è perfettamente


sovrapponibile a quella in Italia.

Per cui non c’è una differenza regionale rispetto a quella nazionale.

E se vogliamo, se guardiamo qual è l’andamento delle varie province: tra Terra dei Fuochi,
Napoli, Avellino, Salerno.. il trend è lo stesso in tutta la regione.

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Parliamo dei tumori ereditari

Vi faccio questo esempio: “tempo fa è venuto in ambulatorio un ragazzo accompagnato dalla


fidanzata. Si volevano sposare e quindi chiedevano una consulenza pre-matrimoniale.
Notai che il ragazzo guardava in maniera strana, aveva uno sguardo particolare, in effetti questo
ragazzo aveva un occhio finto. Quindi aveva solo un occhio funzionante, l’altro era finto. Ad
un certo punto il ragazzo chiede di far entrare anche il fratello. Anche il fratello aveva solo un
occhio.
Mi raccontarono la storia della famiglia: avevano una mamma la quale aveva avuto un
Retinoblastoma, era stata operata, e alcuni anni dopo le è venuta una leucemia linfoblastica
acuta, che nell’adulto è molto più grave che in età pediatrica. È morta.
La sorella della mamma, quindi la zia, era morta per un Ca mammario.
Qual era il problema? Il problema è che loro(il ragazzo e la ragazza) mi chiedevano se era
possibile fare una diagnosi prenatale per Retinoblastoma. Perché, se guardate l’albero: la
mamma ha il retino blastoma e sia lui che il fratello hanno il retino blastoma.
Voi cosa avreste risposto?  nessuna risposta, prof deluso 
Evidentemente, la risposta era che loro avevano un rischio di retino blastoma, non una sicurezza
di retino blastoma. La valutazione del rischio si poteva fare, era possibile anche sapere se loro

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avevano ereditato o meno questo rischio, perché questo rischio era ereditato con una mutazione
su un gene che si trova sul Cromosoma 17, per cui si poteva fare un indagine prenatale. Ma non
era etico fare una prenatale per un rischio. Infine si sono sposati, ho visto la bambina che era
nata, alla quale abbiamo fatto prelievo di sangue e non ha ereditato la variante in oggetto.” Però,
come vedete, la parola rischio in questo nucleo familiare è molto forte, a tal punto da sembrare
un carattere mendeliano autosomico dominante.

Va anche detto che il padre di questo signore aveva un Ca polmonare, però in tarda età, che non
andava confuso con questi tumori. Per cui, quando fate una valutazione sul peso del genoma di
un nucleo familiare, è ovvio che devono esserci alcune caratteristiche: siccome c’è un rapporto
inverso tra il peso del genoma in una neoplasia e l’età del soggetto, allora se il soggetto ha un
Ca polmonare a 70 anni, evidentemente il peso del genoma è inferiore. Ed è difficile pensare
che un’unica mutazione predisponente possa avere un peso nello spiegare l’esordio tardivo di
questa patologia. Mentre, qualora risultasse una patologia oncologica in età pediatrica o nel
giovane adulto, il peso del genoma è maggiore e allora va cercata una mutazione in qualche
gene che può avere un effetto dominante.

Nello specifico, nel nucleo di prima la patologia era il retino blastoma: è un tumore aggressivo
che colpisce la retina in età infantile, spesso nel 1° o 2° anno di vita, ha un’incidenza di 1 caso
su 20.000 nascite, quindi in Campania se ne registra 2-3 all’anno, e di questi, il 60% sono casi
sporadici e il 40% sono casi ereditari. Esiste una diversa modalità di comparsa, perché molto
spesso il tumore è Bilaterale nelle forme ereditarie e monolaterale in quelle sporadiche.

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Il gene la cui mutazione porta all’insorgenza del Retinoblastoma si trova sul Braccio lungo del
Cromosoma 13 (13q14).

Facciamo attenzione a non fare confusione e a non considerare le parole “ereditaria” e


“familiare” come sinonimi. Le neoplasie ereditarie sono quelle associate a mutazioni germinali
che conferiscono un rischio di cancro elevato. Spesso > 50%, anche se mancano in letteratura
delle cifre sicure (perché variano in rapporto all’età).
L’espressione “cancro familiare” viene usato da molti come sinonimo del termine precedente,
anche se molti intendono questo termine riferito alla ricorrenza familiare del cancro, > 1 caso
per famiglia. Non necessariamente dovuto alla presenza di una predisposizione. Per esempio,
in zona di grande inquinamento (ex zona dell’Ilva di Taranto o in zone dove ci sono stati casi
di Asbestosi), abbiamo che anche più soggetti, che semmai lavoravano nella stessa fabbrica,
hanno avuto un cancro del polmone, o un mesotelioma pleurico. Ma solamente perché sono
stati entrambi (questi soggetti) esposti allo stesso ambiente, quindi alla stessa noxa patogena.
Ma in questo non c’era nulla di ereditario.

Quali sono i segni di allarme per la predisposizione al cancro?


Allora, i segni di allarme per la predisposizione al cancro sono: cancro all’insorgenza in età
pediatrica; tumori primari multipli (nello stesso o in organi differenti); ricorrenza del cancro in

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più generazioni; tumori con ricorrenza rara in maschi o femmina(ex tumore della mammella in
un maschio); cancro in presenza di lesioni multiple precancerose(ex. adenomatosi colica);
alcuni istotipi rari( ex retino blastoma, carcinoma midollare della tiroide); cancri occorsi in
assenza di fattori di rischio; cancri che intervengono in presenza di dismorfismi o anomalie
congenite

Ricordiamoci che nella storia clinica di questo soggetto, quando fate l’analisi è essenziale, come
scritto nella tabella, fare un albero che sia almeno di 3 generazioni, in modo da chiarificare il
pattern di eredità, sia esso dominante, recessivo o x linked.
Avere un report della presenza di sindromi in una certa popolazione; investigare su tutta la
storia familiare per quanto riguarda la presenza di tumori, ma al tempo stesso essere molto
precisi per quanto riguarda la costruzione dell’albero e la designazione dell’età a cui è stata
fatta la diagnosi di cancro: una cosa è dire perché la mamma è morta di cancro della mammella
a 77 anni, un’altra cosa è dire che è morta per cancro della mammella a 37 anni… cause del
decesso, sede del tumore, ricorso a chirurgie di vario tipo e così via.

I meccanismi ereditari dei tumori: possono essere sia dominanti, che recessivi, che x linked,
che per perdita dell’imprinting (tumore di Wilms), oppure per Isodisomia uni parentale(pezzi
di cromosoma ricevuti dallo stesso genitore)

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Sul mio sito c’è una pubblicazione che ho fatto sui tumori ereditari: questi sono esempi di
sindromi genetiche e che tipo di tumori possono dare.

Ce ne sono tantissime, alcune molto famose, per esempio la Malattia endocrina multipla, il
tumore della mammella e così via, non entriamo nei particolari.

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Ricordate che, tra le sindromi, il Cancro della mammella e dell’ovaio, la Poliposi familiare
adenomatosa, il Carcinoma del colon retto, la sindrome di LI-Fraumeni, la Sindrome di Vin
Hippel-Lindau, tumore di Wilms… quante sindromi associate al cancro.

Volevo attirare la vostra attenzione su una cosa che dovreste già conoscere, ma che preferisco
(ribadire). Abbiamo detto che la predisposizione è data dalla presenza di mutazioni che possono
essere ereditate. Se noi guardiamo, in generale, il ciclo cellulare, quest’ultimo dipende, nel suo
avanzamento, dalla produzione ciclica di complessi formati da Cicline e da Chinasi cicline
dipendenti. Questi complessi vengono fosforilati e vengono defosforilati. Il complesso Chinasi-
Ciclina dipendente a sua volta fosforila una proteina-substrato, che è la proteina del
Retinoblastoma(ne fosforila anche altre come la p107 o p130), questo fa sì che questa proteina
subisca una modifica per cui dalla tasca interna della proteina fuoriescano una serie di fattori
trascrizionali(tra cui il fattore E2F) che attivano la trascrizione di geni la cui espressione fa
passare la cellula in una fase successiva del ciclo cellulare.

Come voi vedete, le Chinasi, che si uniscono alle Cicline, hanno degli inibitori specifici, perché,
capirete bene, che la loro azione è molto potente e se non controllata potrebbero far andare la
cellula verso un tumore. Questi inibitori sono sostanzialmente di 2 famiglie: famiglia di
p21/p27/p57(famiglia Cip/Kip), l’altra è la famiglia di p16(o INK4).
I 2 meccanismi di azione delle proteine appartenenti a queste famiglie è profondamente
differente: mentre la p16 - e le proteine correlate – competono con la ciclina per occupare il

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sito catalitico della Chinasi, le p21/p27/p57 inibiscono il complesso chinasi-ciclina una volta
che questo si sia formato.
Queste proteine (Famiglia Cip/Kip) quindi agisce sul sistema ciclina-chinasi inibendolo. Quindi
possiamo dire che le cicline e le chinasi sono degli Oncogeni, perché hanno un effetto di Gain
of function, una volta mutate, sulla funzionalità re plicativa della cellula.
Mentre gli inibitori del ciclo cellulare sono sicuramente delle proteine Oncosoppressive, perché
sopprimono la capacità re plicativa del ciclo cellulare.
Mentre le prime (Famiglia Cip/Kip) agiscono mutando e passando da Protooncogeni ad
oncogeni, le Seconde (famiglia INK4) agiscono perdendosi come azione. Ed hanno, la prima
una caratteristica eredità di tipo dominante, le seconda una caratteristica eredità di tipo
recessivo.

Se noi vediamo la malattia di Beckwith-Wiedeman, questa è caratterizzata per Macroglossia,


onfalocele, emi-ipertrofia, epatomegalia, ipoglicemia neonatale, iperplasia pancreatica, ma
soprattutto per la comparsa di 2 tipi di neoplasia principale che sono il Tumore di Wilms,
Nefroblastoma ed Epatoblastoma.
Sono tumori dovuti al fatto che la differenziazione cellulare, a livello fetale, di specifici
tessuti(epatico/renale) hanno avuto un intoppo per cui la differenziazione non funziona e la
cellula è andata verso il cancro, per cui è un blastoma.

Se noi andiamo a vedere la sindrome di Beckwith-WIedeman, è una caratteristica patologia


dell’imprinting. Può succedere che, per esempio, la persona può ereditare, da un genitore, una

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mutazione nella p57. La p57 è sottoposta ad imprinting, per cui quello che succede è che questa
mutazione può avere un effetto dominante, se la mutazione viene ereditata dal padre o dalla
madre. E dare quindi vita alla sindrome di B-W con epatoblastoma o nefroblastoma.

L’altra caratteristica è quella dei melanomi familiari, come vedete in, in alcune famiglie:

Il melanoma (ma anche altri tumori). In questa famiglia c’è una mutazione del gene INK4A,
cioè p16, che è proprio quell’Oncosoppressore che abbiamo visto prima e che doveva bloccare
il sistema chinasi-ciclina dipendente.

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Volevo ricordare anche questi geni sottoposti ad imprinting: il gene WT1, il gene del tumore di
Wilms(non è che il gene del tumore di Wilms esiste perché fa venire il tumore di Wilms. Si
chiama così perché è stato scoperto che è coinvolto in alcuni tipi di tumori di Wilms).

In realtà è un gene che specifica per un fattore trascrizionale.

Un’altra sindrome caratteristica (come predisposizione) è la Von Hippel-Lindau, che, come voi
vedete, si manifesta con Emangioma cerebellare, spinale e midollare, cisti pancreatiche,
carcinomi, feocromocitomi ecc.

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La patologia dell Von Hippel-Lindau è dovuta ad una mutazione in un gene che è un fattore di
sensibilizzazione della giusta quantità di ossigeno(HIF).

La proteina del Von Hippel-Lindau si recepisce nel soggetto come predisposizione, e la


predisposizione è ereditata in maniera dominante. Mentre, per la comparsa del tumore, c’è
bisogno del secondo hit, cioè, a livello somatico, deve avvenire una seconda mutazione dello
stesso gene.

Ricordiamo il ruolo della genetica della Von Hippel-Lindau: il mio gruppo, come genetisti
clinici, fa parte di un gruppo multidisciplinare (al Pausylipon). Per ognuno dei bambini
facciamo un corretto studio familiare, un corretto studio del paziente. Cerchiamo delle
mutazioni in caratteristici geni. Come cerchiamo? Abbiamo dei pannelli, in NGS, in cui ci sono

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108 geni, tutti che danno predisposizione per tumori ereditari. Per cui stabiliamo se ci sono
mutazioni in questi geni. Dopodiché facciamo anche una CGHRE per vedere se ci sono
delezioni che possono aver causato la perdita di alcuni di questi geni.

Altra cosa da tenere in considerazione è che qualora venga operato il bambino, facciamo uno
studio sull’esoma delle cellule cancerose, per vedere se esistono delle caratteristiche farmaco-
metaboliche, se ci sono dei target farmacologiche, se esistono delle proteine mutate
caratteristiche del tumore che possono essere target di farmaci.
Per quanto riguarda tumori con estrinsecazione può tardiva, qui vedete il caso del
neuroblastoma:

Costituisce la terza causa di tumori durante l’età pediatrica.


È un tumore molto particolare, perché il tumore ha una stadiazione, ovvero esistono diversi
stadi del tumore.
Però, esiste una forma del tumore, che si chiama 4S. È un tumore metastatico che insorge in un
soggetto durante i primi 3-4 mesi di vita. Per cui è un tumore metastatico dei primi 3-4 mesi di
vita.
È la dimostrazione di quel fatto che vi dicevo: un tumore che insorge nei primi 3-4 mesi di vita
deve avere un peso del genoma molto forte.
In questo caso ci sono mutazioni che hanno bloccato la normale differenziazione cellulare.
La dimostrazione di ciò è che questo tumore, è un tumore che sebbene sia un tumore
metastatico, può avere una prognosi benigna. Si può guarire totalmente e può scomparire anche
in assenza di un supporto terapeutico.

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Queste sono le caratteristiche molecolare che caratterizzano il neuroblastoma: quindi è un


tumore(blastoma) ad insorgenza precoce. Vedete: delezione del braccio corto del cromosoma
1; aumento(gain) del numero di copie su cromosoma 17; amplificazione di MYCN (fattore
trascrizionale); delezione del braccio lungo del cromosoma 11 e mutazioni in altri geni, che
costituiscono la suscettibilità al tumore, che in alcuni casi (come mutazioni di ALK) sono così
forti che la malattia assume un carattere, in alcuni nuclei familiari, di tipo mendeliano.

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AFP ITTERI EREDITARI 28/05


Nella lezione di oggi parleremo di una patologia piuttosto comune: gli itteri ereditari.
Forniamo per prima cosa una definizione di ittero: l’ittero è quella colorazione visibile della cute
dovuta ad una aumentata quantità di bilirubina nel sangue. Per manifestarsi come ittero la
concentrazione di bilirubina deve essere maggiore di 2 mg negli adulti e maggiore di 6 mg nei neonati.

Perché questa differenza?

Perché il neonato presenta delle condizioni cliniche per cui manifesta un eritema proprio che rende
difficile verificare una colorazione giallastra sulla sua cute, è quindi necessaria una maggiore quantità
di questo metabolita per riuscire a distinguerla.

In ragione della distribuzione dell’ittero sulla superficie del corpo, vediamo in questa figura che i
livelli di bilirubina necessari per operare una diagnosi cambiano in funzione della zona corporea che
abbiamo a disposizione.
Immaginiamo di avere a disposizione la faccia del soggetto: 4/4,5 mg di bilirubina nel sangue sono
sufficienti per la diagnosi, ma se abbiamo a disposizione il palmo della mano, allora per diagnosticare
una condizione di iperbilirubinemia ci sarà bisogno di una concentrazione maggiore di 15 mg.
Il valore di bilirubina ematica ha una soglia limite al di sopra della quale si manifestano patologie
dovute a iperbilirubinemia tra cui la principale è il cosiddetto “kernicterus”, una condizione
caratterizzata da deposizione di bilirubina in tessuti di ordine lipidico e attraversamento della barriera
emato-encefalica. La bilirubina va a colpire i neuroni, soprattutto quelli dei gangli della base, questo
può portare gravi conseguenze, tra cui la morte del soggetto. È quindi necessario evitare il
superamento della soglia limite precedentemente citata.

Ma da dove deriva la bilirubina?

Essa deriva dal catabolismo dell’Eme, un composto prodotto quotidianamente in quantità pari a:

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• 6-10 mg/kg/giorno nei bambini/adolescenti


• 3-4mg/kg/giorno negli adulti
L’eme proviene per il 75% dall’emoglobina contenuta nei globuli rossi invecchiati, i quali, dopo 120
giorni di vita vengono degradati dalla milza. 1 gr di emoglobina produce 34 mg di bilirubina.

Il restante 25% deriva dall’eritropoiesi inefficace, ovvero quel processo in cui vengono sintetizzati
globuli rossi imperfetti, che per anomalie nella forma o nel contenuto vengono eliminati nel midollo
stesso. Esistono anche delle cause ereditarie per cui la eritropoiesi non può essere portata a termine
(si parla di diseritropoiesi) e quindi la quantità di bilirubina ricavata da quest’ultimo processo cresce,
al punto che si possono avere itteri sostenuti soltanto da eritropoiesi inefficace, come avviene nelle
anemie diseritropoietiche congenite.

Qual è il destino della bilirubina? Essa circola nel sangue legata ad uno specifico carrier, l’albumina.
Questo serve a stabilizzare la bilirubina, che sotto questa forma può giungere al suo organo di
escrezione: il fegato. Arrivato a livello della cellula epatica, l’albumina viene ceduta ad un
trasportatore che la porta all’interno del citosol dell’epatocita, dove a livello del RE avviene una
doppia coniugazione della bilirubina. In una prima coniugazione si formano monoglicuronidi, nella
seconda, diglicuronidi. Il rapporto tra monoglicuronidi e diglicuronidi è fisso e deve rimanere tale.
I monoglicuronidi rappresentano il 5% del totale, mentre i diglicuronidi il 95%. Qualora si abbiano
delle modifiche di questo rapporto, cioè se i monoglicuronidi aumentano, la bile perde la sua fluidità
e viene convertita in “bile spessa”, la base fisiologica della formazione dei calcoli della colecisti.

Una volta coniugata, la bilirubina attraversa la parte interna della cellula che delimita il canalicolo
biliare mediante altri trasportatori che appartengono alla classe delle proteine MDR, responsabili
anche della multidrug resistance.

È evidente che la bilirubina è tossica per il nostro organismo, che deve liberarsene. Come avviene per
la maggior parte delle sostante tossiche esiste uno specifico sistema enzimatico di metabolizzazione
che se ne occupa. La metabolizzazione avviene in due fasi:

• una prima fase in cui enzimi appartenenti alla categoria dei citocromi permettono il trasporto
di una carica elettrica alla sostanza stessa. Questi enzimi fanno sì che si creino dei gruppi
elettrofili aventi un grande potere tossico che devono essere eliminati in centesimi di secondo
dalla cellula mediante la fase successiva.
• una seconda fase in cui si verifica una nuova coniugazione con diverse molecole, come
glicuronidi, come quelli di cui ci occuperemo oggi. Questi gruppi fanno in modo che la
sostanza possa poi essere escreta sotto forma di monoglicuronide o diglicuronide.
Esistono altre forme di coniugasi, che prevedono un legame con solfato o glutatione.
È evidente che il sistema di glicuronazione è importante per la vita della cellula. Esso è regolato da
geni che si trovano nel nostro DNA. Qualora una proteina sia particolarmente importante, questa deve
essere preservata da una sua eventuale inattivazione. Uno dei meccanismi evoluzionistici che
permette di far ciò è quello di aumentare le copie del gene che producono quella proteina stessa.
Lo abbiamo già visto in una delle prime lezioni in cui abbiamo parlato di emoglobina. L’emoglobina
è una proteina tetramerica formata da catane alpha e catene non alpha. Le prime sono codificate da
un cluster di geni che si trova sul cromosoma 16, mentre le seconde da un cluster di geni situato sul
cromosoma 11.

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Osserviamo ciò che accade per il sistema della glicuronazione.


Le proteine che partecipano alla glicuronazione sono molto importanti, perché permettono
l’eliminazione di sostanze tossiche, come farmaci o sostanze che entrano nel nostro organismo
mediante i nutrienti o che ancora, il nostro stesso organismo produce, come bilirubina o ormoni
steroidei.
Esse devono quindi essere protette, come già detto, da un’eventuale inattivazione.
Il numero di geni che codificano per queste proteine è quindi aumentato: nel nostro genoma troviamo
16 geni che codificano per UGT.
Questi 16 geni sono dividi in due classi:
una prima classe che si trova sul braccio
lungo del cromosoma 2 in posizione 3.7
e una seconda classe che si trova sul
braccio lungo del cromosoma 4 in
posizione 1.3.
È evidente quindi, come vediamo, che
questo sistema somiglia molto a quello
dell’emoglobina.
Se guardiamo alla sequenza di ognuno
di questi geni, vediamo che essi possono
essere ordinati in base alle loro similitudini.

Questo confronto ci porta ad affermare che essi derivano tutti da un ancestrale comune, dapprima
differenziatosi in UGT1 e UGT2, i quali, mediante l’acquisizione di nuove mutazioni, si sono
raddoppiati e diversificati fino ad arrivare alla situazione odierna.
Siccome le mutazioni si succedono nel tempo, la sequenza e l’accumulo di queste ultime ci può
indicare il tempo di evoluzione del gene di nostro interesse.

L’altra cosa particolarmente importante è che questo sistema UGT si trova in tutte le specie.
Se guardiamo alla sequenza del gene UGT nell’uomo e la confrontiamo con quella del topo, del ratto
e del cane, si può notare che in molti punti la sequenza della proteina è omologa.

Da questo possiamo capire che ci sono dei punti fissi, in cui la proteina non può cambiare, pena la
perdita della sua funzione.
Ci sono invece dei punti che differiscono tra le diverse specie, il che ci porta a pensare che mutazioni
a carico di queste zone non interferiscono con la funzione della proteina.

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Ora se noi osserviamo la sequenza del gene UGT,


vediamo che questa è, come tutte, fatta da esoni e
introni. L’UGT ha però una caratteristica unica.
Prima di parlarne pensiamo alla funzione di questa
proteina: deve glucuronare diverse sostanze tossiche,
sostanze che, chimicamente, possono presentare
strutture estremamente diverse.
Tuttavia, la reazione biochimica che esse subiscono
è la stessa: glucurono-coniugazione. Evidentemente
in questo sistema enzimatico deve quindi esserci una
parte della molecola fissa, che rappresenta il sito
catalitico, e una seconda parte che lega il substrato e che è variabile. Come si realizza tutto questo?
Mediante una struttura genica molto interessante, in cui il primo esone del gene è presente in 14 copie
differenti, mentre gli esoni 2, 3, 4 e 5, sono presenti in copia unica. È interessante notare che il sito
catalitico (la parte effettivamente attiva dell’enzima, quella che, come detto in precedenza, non muta)
è interamente codificata dagli esoni 2, 3, 4 e 5, mentre la parte che lega il substrato cambia in ragione
del tipo di esone 1 che viene utilizzato. Questo gene produce quindi 14 proteine differenti, tutte quante
che fanno glucurono-coniugazione.
Il paradigma, il dogma centrale “un gene-una proteina” viene ancora una volta meno.
In questo caso un gene produce 14 proteine.

Un’ulteriore caratteristica di queste proteine è che esse non funzionano come monomero, ma come
dimero. Questo dimero è attivo solo se inserito in un doppio strato lipidico. Per costituire il dimero,
sono necessari dei gruppi cisteinici che fanno ponti disolfuro e degli stretch di prolina che rendono
possibile l’inserimento dei due monomeri nel doppio strato lipidico. Se cambiamo i residui di cisteina
o di prolina, inattiviamo la proteina, perché non le permettiamo di dimerizzare o di inserirsi nel doppio
strato lipidico.

Inoltre, c’è da dire che, nonostante i geni UGT siano uguali in ogni cellula, perché contenuti nel nostro
DNA, la loro espressione è tessuto specifica.
Prendiamo in considerazione il gene
UGT1A1, esso è un gene ad
espressione epatica.
Questa isoforma è responsabile del
90% del metabolismo della
bilirubina. Come abbiamo detto, è
specifica del fegato, se la cerchiamo
nel tessuto duodenale non la
troveremo. C’è una tessuto-
specificità.

I geni hanno molto spesso anche una


specificità temporale, non funzionano
nello stesso modo in tutte le fasce di
età dell’uomo.
Prendiamo in considerazione sempre il gene UGT1A1. Esso è poco espresso nel fegato fetale, in

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quanto è il fegato della mamma a glucuronare la bilirubina e in generale, ad occuparsi della


detossificazione. L’espressione del gene UGT1A1 si manifesta a partire dalla 30esima settimana e
cresce lentamente.

Al momento della nascita, i livelli di questo gene sono solo un terzo dei valori normali, soltanto alla
fine del primo anno di vita si raggiungono i valori fisiologici dell’attività di glucurono-coniugazione.
Quello che succede è che durante la vita perinatale - quando il neonato nasce - c’è una maggiore
rottura(citoriduzione) dei globuli rossi per portare i 20 gr di emoglobina presenti nel funicolo biliare
ai 14 gr e anche meno presenti durante i primi mesi di vita. Quindi si verifica una grande citoriduzione
con una maggiore produzione di eme e bilirubina. Tuttavia, come abbiamo visto, nei primi mesi di
vita del nascituro vi è una ridotta attività enzimatica. Questa discrepanza è la base fisiologica del
cosiddetto “ittero fisiologico” del neonato.

Qualora ci sia una causa che aumenta la rottura dei globuli rossi, o la presenza di una quantità
aumentata di eme (come malattie emolitiche) o un cefalo ematoma, abbiamo un ittero che può
diventare anche patologico, fino al “kernicterus”.

Solitamente, quasi tutti i sistemi enzimatici che si accendono dopo la nascita sono dotati di un centro
di regolazione. Questi centri di regolazione sono quasi sempre inducibili farmacologicamente. Nello
specifico il sistema UGT1A1 è inducibile con sostanze come “desametazone” o sostanze presenti in
particolari tipi di verdure come le brasicacee, verdure a foglia larga come i broccoli, che contengono
sostanze in grado di stimolare l’espressione del gene.
Possiamo quindi dire che soggetti che hanno un ittero cronico, possono avere un giovamento dal
consumo di questi alimenti.

La dimostrazione dell’inducibilità di questo


sistema è osservabile mediante un esperimento:
consideriamo un neonato itterico che ha 15 mg
di bilirubina e vi somministriamo
“fenobarbital” (solitamente utilizzato per
combattere le convulsioni), vediamo che dopo
la somministrazione i livelli di bilirubina del
neonato scendono a livelli molto bassi e se
interrompiamo la somministrazione, l’attività
enzimatica viene nuovamente ridotta e si arriva
ai precedenti livelli di concentrazione di
bilirubina.

Questo esperimento ci permette di suddividere le malattie causate da un eccesso di bilirubina in tre


gruppi:

• la sindrome di Crigler-Najjar di tipo 1 (CN1), in cui la somministrazione di fenobarbital non


sortisce effetti;
• la sindrome di Crigler-Najjar di tipo 2 (CN2), in cui se dato il fenobarbital, si ha una
diminuzione dei livelli di bilirubina almeno del 30%;

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• la sindrome di Gilbert, caratterizzata da lievi incrementi dei normali valori di bilirubina;

Quali sono le mutazioni più comuni che


possono colpire il gene UGT1A1?

Mutazioni missenso (il fenotipo varia in


base al punto della sequenza che viene
modificata, se è una zona conservata,
l’effetto sarà più grave), mutazioni non -
senso, grandi e piccole delezioni,
sostituzioni nucleotidiche, inserzioni.

Osserviamo ora un gruppo di soggetti


affetto da CN1. Essi sono soggetti non
sensibili all’induzione enzimatica. Quali
saranno le mutazioni che li colpiscono?
Sono mutazioni che portano alla perdita
totale della funzione enzimatica,
mutazioni che abbiamo già visto nello
studio delle beta talassemie: delezioni in
frameshift che portano ad un’alterazione
della cornice di lettura e alla sintesi di una
proteina tronca.

Osserviamo ora un gruppo di soggetti


affetto da CN2. Contrariamente a quanto
visto in precedenza, avremo mutazioni che
non riducono a zero l’attività enzimatica,
ma doppie eterozigosi in cui almeno una
delle due mutazioni consentirà di
mantenere un minimo di funzione proteica
e per questo, la proteina sarà comunque
inducibile con il fenobarbital.

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Studiamo un altro caso di CN2, ovvero di un


soggetto che risponde a questo farmaco.
Ricordate quello che abbiamo detto parlando del
favismo? Non esistono mutazioni frameshift o non
senso, ma solo mutazioni che riducono l’attività
della proteina, solo la sua emivita. Ciò che accade
in mutazioni che portano a CN2 è la stessa cosa.
Nell’immagine vediamo come una mutazione a
livello del codone 15 vada a ridurre l’emivita della
proteina ma non a compromettere totalmente la sua
funzione, ecco perché essa risponde ancora al
fenobarbital.

Vediamo invece un altro


caso molto interessante di
CN1. Il caso che vedremo
ci permette di ripetere un
meccanismo molecolare
che abbiamo già incontrato
nella nostra discussione
sull’imprinting: è infatti
causato da un caso di
disomia uniparentale sul
cromosoma 2.
Nasce un neonato affetto
da CN1, una forma di ittero
grave. Si fa un’analisi dei
marcatori polimorfici (in
questo caso microsatelliti)
del cromosoma 2 nella regione vicina al gene. I microsatelliti sono marcatori polimorfici che hanno
grande eterogeneità perché il numero delle ripetizioni è variabile nello stesso soggetto ed esistono
quindi più forme alleliche dello stesso marcatore. Per il marcatore D2S423 che si trova nel braccio
corto del cromosoma 2 ha come genotipo 4.4, il padre invece ha come genotipo 3.4, la madre invece
1.2.
Cosa è successo? Il padre gli ha sicuramente dato il cromosoma con il 4, ma la madre non ha dato
nulla. Lo stesso vale per altri marcatori analizzati. È quindi chiaro che il cromosoma 2 della madre
non partecipa al genotipo del feto. È quindi un caso di disomia uni parentale.
Il caso ha voluto che il padre fosse eterozigote per una mutazione presente sull’esone 1 del gene UGT,
che porta ad una riduzione di questa proteina. Il neonato avente una disomia uniparentale paterna,
diventa omozigote per la mutazione di UGT1(entrambi i cromosomi di origine paterna). È
ovviamente una eccezione dei pattern di trasmissione mendeliano, le mutazioni infatti provengono da
un solo genitore.

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L’altro meccanismo da tenere in considerazione è un meccanismo molto rilevante nelle malattie


autosomiche dominanti ed X linked: le mutazioni de novo. Ricordiamo che 1/3 delle patologie X
linked sono causate da mutazioni de novo.

Adesso vedremo un caso di CN2, in cui una delle


mutazioni sul gene UGT è ereditata dal padre,
mentre l’altra è una mutazione de novo dell’UGT
materno. Si tratta di una mutazione de novo
presente in una patologia autosomica recessiva.

Ora bisogna fare molta attenzione,


perché vedremo ora il meccanismo più
comune con cui si può manifestare una
patologia autosomica recessiva con un
solo genitore portatore. Per le patologie
recessive, secondo Mendel, uno dei 2
genitori è portatore, l’altro anche ed
unendosi, hanno il 25% di possibilità di
avere figlio affetto. Vediamo
un’eccezione.

In questo caso ci troviamo davanti a 2


genitori che hanno un bambino affetto.
Nell’immagine possiamo vedere la
struttura del gene UGT1A1 su due diversi cromosomi ereditati da un neonato.
Possiamo vedere in verde gli esoni ed in blu il promotore del gene in cui c’è la TATA box, a cui si
lega l’RNA pol II. La TATA box è caratterizzata da una ripetizione di dinucleotidi TA. Questa
ripetizione è polimorfica. Ci sono soggetti che ne possiedono diverse copie, c’è chi ha 5 o 6
ripetizioni, chi invece ne ha 7 o 8.

Cosa cambia?

5 e 6 ripetizioni permettono la stessa attività trascrizionale, mentre 7 e 8 riducono l’efficienza


trascrizionale dal 100% al 30%. Per cui, se un genitore ha una normale struttura del gene, ma un
promotore TA a 7, riduce la propria capacità trascrizionale e questo gene (ereditato dal bambino)
produrrà solo il 30% di proteine.
L’altro genitore invece, dà al figlio un gene dotato di un normale promotore (espressione proteica al
100%), ma che presenta una mutazione negli esoni. Questa mutazione produce una proteina non attiva

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funzionalmente. Questo non sarebbe un grosso problema se la proteina funzionasse come monomero,
perché gli enzimi funzionano anche in quantità minore. Però questa proteina funziona come dimero.
Poiché la proteina più espressa è quella difettosa, perché il promotore garantisce un’espressione del
100%, è molto più probabile che si formino dimeri con le proteine non funzionanti, rispetto a dimeri
costituiti da due proteine funzionanti o da una proteina difettosa e da una normale.

Ci sarà attività proteica solo nell’improbabile caso in cui due monomeri funzionanti si assemblino.
Ecco perché, in questi casi, possiamo avere l’insorgenza della patologia anche con un solo genitore
portatore: l’attività enzimatica, per i motivi descritti, scende dal 100% al 15%. Il soggetto finisce per
essere affetto da CN2, una malattia autosomica recessiva, avendo un unico genitore portatore.

Domanda: si può avere una desensibilizzazione dell’enzima, dopo un lungo utilizzo di


fenobarbital?
Non c’è rischio di desensibilizzazione, ma ci possono essere altri effetti collaterali.
Recentemente è venuto da noi un uomo che faceva il muratore, aveva CN2. Per questioni sociali, egli
veniva spesso discriminato, in quanto l’ittero è spesso visto, erroneamente, come una malattia
infettiva. Quest’uomo chiedeva quindi un farmaco che potesse attenuare le manifestazioni itteriche.
Abbiamo proceduto prescrivendogli fenobarbital: l’ittero è sparito, ma il fenobarbital ha avuto
conseguenza sul suo sistema nervoso centrale (in quanto anti convulsionante). Abbiamo interrotto la
somministrazione, in quanto questi effetti sarebbero stati pericolosi per il suo lavoro, spesso svolto
su impalcature a grandi altezze.

Domanda: come fa il fenobarbital a stimolare l’attività enzimatica?


Stimola l’attività dell’enzima in quanto si lega alla TATAbox e velocizza la trascrizione. Fa
aumentare il numero dei trascritti.

Tra le mutazioni più comuni a carico del gene UGT1A1 troviamo una delezione di 13 bp. È una
delezione in frameshift ed ha effetti gravi in quanto può portare a zero l’attività dell’enzima.
Questa delezione si trova in soggetti differenti: consideriamo due soggetti che presentano questa
mutazione, uno nato a Messina, l’altro a Milano. Diremmo mai che sono parenti?
Queste mutazioni sono dovute alla presenza di un effetto fondatore, quella condizione in cui una
mutazione deriva da un soggetto che molti anni prima ha manifestato per prima questo difetto
molecolare. Come lo si dimostra? Possiamo costruire un aplotipo di più soggetti affetti da Crigler-
Najjar. Un aplotipo è la costruzione dell’insieme di siti polimorfici presenti su un cromosoma e che
determinano la struttura di uno specifico allele. Se facciamo l’aplotipo nella regione che contiene il
gene UGT e paragoniamo tra di loro i diversi soggetti, ci accorgiamo che, seppur non imparentati,
questi soggetti hanno un aplotipo in comune.

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Nell’immagine si vede che è quello


che va dal 262 al 123 e che al centro
presenta il gene stesso. Questa area
in comune è quella che hanno
ricevuto dal fondatore, tanto più
piccola è l’area, tanto più antica la
mutazione.
Avrete sicuramente visto questo
effetto anche nelle malattie dei difetti
della glicosilazione, nelle malattie
del Golgi.

Una malattia ereditaria può essere causata anche dall’incontro, come fenotipo, di due patologie
ereditarie: un soggetto può essere affetto contemporaneamente da una patologia del globulo rosso
(ex. talassemia) e del gene UGT. Questo incontro può portare a livelli di bilirubina particolarmente
elevati.

L’ultima patologia da prendere in considerazione è la sindrome di Gilbert. È una forma di ittero molto
comune, presente nel 15-20% della popolazione. È dovuta alla presenza, nel promotore, di un allele
da 7 o 8 ripetizioni di TA, quindi di bassi livelli di trascritto.
Cosa succede?

L’attività enzimatica può essere misurata


mediante un saggio di luciferasi. Se mediante
questo saggio valutiamo l’attività enzimatica
di geni con promotore TA6, TA7 e TA8, come
mostra l’immagine, notiamo una riduzione
notevole della trascrizione dal passaggio da 6
a 7 e da 6 a 8.
Nel 43% della popolazione italiana, ci sono
alleli TA7 e nel 57% l’allele TA6. I due alleli,
quello patologico e quello normale, si trovano
in frequenze quasi uguali. Come è possibile?
Possiamo pensare ad un vantaggio selettivo. Qual è questo vantaggio? La bilirubina, in lievi quantità,
è un antiossidante e può proteggere da infarti del miocardio o ictus. Al tempo stesso però, si ha una
ridotta attività enzimatica ed una conseguente alterazione del rapporto tra mono e diglicuronidi e
quindi questi soggetti manifestano spesso calcoli alla cistifellea.

Il polimorfismo dell’UGT è molto presente nella popolazione. In omozigosi l’allele TA7 si trova nel
18% della popolazione, mentre in eterozigosi 35%. È molto frequente che, ad esempio, un soggetto

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con una malattia del globulo rosso, come la talassemia, abbia anche la malattia di Gilbert (1 soggetto
su 5).

Cosa succede in questi casi?

La talassemia fa aumentare l’emolisi, la sindrome di Gilbert altera il metabolismo della bilirubina e


di conseguenza il fenotipo del soggetto cambia in ragione del fatto che esso acquisisce nuovi
polimorfismi.

Il gene UGT rappresenta un esempio paradigmatico dei geni modificatori, ovvero quei geni che
riescono ad influenzare il rapporto tra fenotipo e genotipo.
Nella beta talassemia abbiamo citato altri geni modificatori, come il gene del collageno che può
causare malattie dell’osso, geni che regolano l’omeostasi del ferro (HFE) che può causare
eterocromatosi, il gene dell’UGT che abbiamo visto oggi, ed infine il gene dell’interferone che può
causare infezioni.

Il fenotipo talassemico può essere


implementato dall’aver ereditato questi altri
polimorfismi. Una malattia mendeliana, intesa
come monogenica, quindi in realtà non esiste,
nella misura in cui alla definizione del fenotipo
concorre in maniera principale un gene, ma in
modalità accessoria una serie di altri geni che
fanno diventare quel tratto mendeliano un tratto
complesso.

Se è vero che il polimorfismo dell’UGT ha un


effetto benefico perché riduce possibilità di
infarti ed ictus, è anche vero che ha effetti negativi perché altera i processi di detossificazione. Molte
sostanze tossiche sono eliminate mediante glucurono-coniugazione. Sostanze tossiche avranno quindi
effetti peggiori su questi soggetti. Un esempio è dato dal chemioterapico irinotecano (eliminato
mediante glucurono-coniugazione). A parità di dose somministrata, un soggetto affetto da sindrome
di Gilbert avrà, rispetto ad un soggetto normale, manifestazioni come ablazione midollare totale e
forme acute di diarrea dovuta allo sfaldamento dell’epitelio intestinale. Perché questo? Perché è come
se il soggetto affetto da sindrome di Gilbert, non riuscendo a metabolizzare la sostanza, avesse assunto
una dose 70 volte maggiore di quella effettiva.
Il polimorfismo dell’UGT ha quindi un effetto paradigmatico che inficia anche la farmacogenetica.

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AFP CROMOSOMOPATIE 03/06

PRINCIPALI ANEUPLOIDIE E CASI CLINICI


Dato che le variazioni del numero e della struttura dei cromosomi comportano fenotipi
complessi, cioè variazioni dei fenotipi che riguardano il coinvolgimento di più organi e
tessuti, le cromosomopatie sono tutti decretabili nell’ambito delle sindromi.

Nell’immagine osserviamo un
cariotipo a cui è stato fatto un
bandeggio, in cui si evidenzia
un’aneuploidia, ovvero la
presenza di un numero anomalo
di cromosomi, essendoci tre
cromosomi sessuali XXY,
quindi si presenta la sindrome di
Klinefelter. Raramente le
variazioni del numero di
cromosomi sono vitali, fanno
eccezione quelle dei cromosomi
X e Y, che permettono una maggiore possibilità di nascita per il feto, quelle del
cromosoma 21, che è tra i cromosomi più piccoli, e le variazioni dei cromosomi 13 e 18
che però portano a morte nel periodo perinatale o nella prima infanzia.

Con quali tecniche si possono studiare le aneuploidie?

• Cariotipo: esame diretto dei cromosomi al microscopio, che devono essere in


metafase, è esteso a tutto il genoma perché si valutano tutti i cromosomi, e
permette di individuare anomalie cromosomiche numeriche o strutturali anche
quando sono bilanciate (quindi non c’è perdita di materiale, e lo spostamento è
riconoscibile da bandeggio).
-vantaggi: Quasi tutte le anomalie osservate al cariotipo sono patogenetiche, si
può studiare tutto il genoma e si possono riconoscere anche mosaici (perché posso
analizzare un numero di metafasi che ritengo più opportuno). Un cariotipo
standard si effettua su 16 metafasi, se una di queste risulta anomala si procede con
32. Se c’è dall’inizio un sospetto di mosaico, si può richiedere un cariotipo su 100
metafasi, oppure su più tessuti.
• Fish: l’esame al microscopio dei segnali misti dal sodio fluorescenti che si legano
a sequenze bersaglio nelle cellule sia in metafase che in interfase. Può essere
effettuato in pochi giorni, però l’estensione dell’esame può essere richiesta solo
se si sa già cosa si cerca. Rispetto al cariotipo si può ottenere una risoluzione
migliore rispetto al cariotipo talvolta anche di 50 kb, a seconda del tratto che si
analizza e della sonda che si utilizza. Anche in questo caso quasi tutte le anomalie
osservate sono patologiche e si possono individuare mosaici, ma la tecnica è un
po’ costosa.

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• Micro-Array o Array CGH: ricerca di sbilanciamenti, quindi con perdita o


acquisizione di materiale, confrontando il DNA del soggetto da analizzare con un
DNA campione. Si possono individuare aneuploidie, se ci sono riarrangiamenti
strutturali anche piccoli, perché c’è una risoluzione molto alta, anche di 25 kb.
Tuttavia, queste tecniche hanno delle difficoltà interpretative soprattutto quelle
con piattaforme in grado di decretare piccolissime duplicazioni e delezioni, perché
molti hanno variazioni strutturali, CNVs, però talvolta non hanno effetto clinico.
Si può utilizzare se si sospetta trisomia del cromosoma 21 ad esempio.

TRISOMIA 13 O SINDROME DI PATAU


Causata dalla presenza di un cromosoma 13 sovrannumerario che talvolta è parziale, cioè
presenta trisomia ma solo di una parte del cromosoma tredici, o vi è mosaicismo e quindi
la trisomia si presenta solo in alcune linee germinali.
Ha un’incidenza di 1/8000- 1/15000 nati vivi. Il 90 % dei soggetti affetti non raggiunge
l’anno di vita. I nati vivi rappresentano solo la punta dell’iceberg, se si vedono le
interruzioni di gravidanza, le trisomie del cromosoma 13 sono molte di più.
La patologia è caratterizzata da scarso accrescimento causato anche da difficoltà di
alimentazione, un ritardo psicomotorio molto grande, epilessia, complicanze date da
malformazioni rilevabili.
La gravità è sicuramente dovuta anche alla dimensione del cromosoma.

L’ASPETTO è caratterizzato da:

• Microcefalia
• Labio/palatoschisi (che può essere anche bilaterale)
• Microftalmia/anoftalmia (occhi più piccoli/ assenti)
• Ipertelorismo (occhi distanziati)
• Talvolta occhi ravvicinati causano ciclopia con assenza dello
scheletro nasale, al posto del quale può presentarsi proboscide
• Polidattilia postassiale (abbozzi sovrannumerari di falangi o
anche solo cutanei, dov’è lungo il lato ulnare dell’alano, dopo
il mignolo)
• Aplasia cutis in regione occipitale (mancata formazione della
cute che ricopre l’occipite, molto rara, presenti anche in altre
condizioni, in particolare in difetti di chiusura del tubo neurale e in sede craniale)
• Piede talo verticale congenito (o piede a dondolo)

QUADRO MALFORMATIVO:

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• Malformazioni cardiache (80 % dei casi)


• Malformazioni del SNC (oloprosencefalia, agnesia del
corpo calloso, è grave perché non si vengono a generare
i solchi che dividono i lobi cerebrali, questo determina
una mancata differenziazione del parenchima del
tessuto nervoso centrale che può avere diversi gradi di
severità e il più grave è il cervello alobare, cioè senza
distinzione dei lobi)
• Anomalie oculari (microftalmia, anoftalmia, displasia
retinica, cataratta, opacità corneali)
• Anomalie renali (displasia cistica)
• Possibile onfalocele (erniazione degli organi interni
all’interno di un sacco in comunicazione con il cordone ombelicale)
• Meningomielocele (difetti di chiusura del tubo neurale, in sede caudale, c’è uno
spettro di anomalie, spina bifida, spina bifida cistica, spina bifida occulta,
meningomielocele, meningocele)
• Ipotonia, iporeattività (talvolta letargico a causa dei difetti del SNC).

È definita sindrome perché interessa più organi, dato che sul cromosoma 13 sono
presenti molti geni.

TRISOMIA 18 O SINDROME DI EDWARDS


È causata dalla presenza di un cromosoma 18 sovrannumerario talvolta parziale o a
mosaico, la duplicazione necessaria per poter riscontrare questa sindrome è la trisomia
della porzione terminale del braccio lungo del cromosoma 18. I maschi decedono nel
corso dei primi mesi di vita, le femmine nel corso di qualche anno, a eccezione dei
soggetti che presentano trisomie parziali o mosaicismi che possono sopravvivere di più.

ASPETTO:
• Scarsa crescita prenatale
• Microcefalia con dolicocefalia (allungamento all’indietro
del capo)
• Micrognazia (mento sfuggente, molto piccolo)
• Anomalie del padiglione auricolare (sottile e a punta)
• Mani a pugno (indice sovrapposto al dito medio e mignolo
sull’anulare)
• Cute ridondante in regione occipitale
• Piede equinovaro (malformazione più frequente degli arti
inferiori)

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QUADRO MALFORMATIVO:
• Malformazioni cardiache (70%-90% dei casi)
• Malformazioni del SNC (difetti del tubo neurale,
polimicrogiria causata da più circonvoluzioni a carico
degli emisferi cerebrali del normale, ipoplasia
cerebellare)
• Anomalie oculari (microftalmia, cataratta, opacità
corneali)
• Anomalie renali (rene a ferro di cavallo)
• Anomalie degli arti (ipo-aplasia del radio)

Nessuna di queste caratteristiche da sola basta a


diagnosticare la sindrome di Edwards.

SINDROME DI DOWN

È la più frequente delle trisomie associate ad una condizione patologica, ha un’incidenza


di 1:1000/1700 nati vivi

ASPETTO:
• Profilo piatto, naso piccolo, sella nasale piatta, narici
anteverse
• Occipite piatto (brachicefalia, cranio corto)
• Plica nucale
• Rime palpebrali upslanting (rivolte verso l’alto)
• Epicanto (piega caratteristica della palpebra superiore
sopra l’inferiore nell’angolo interno dell’occhio)
• Padiglione auricolare piccolo e a impianto basso
• Macroglossia
• Micrognazia
• Piega palmare unica

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QUADRO MALFORMATIVO:
• Cardiopatie congenite nel 50-60% dei casi (tetralogia di
Fallot, canale atrioventricolare, DIA ostium secundum, pervietà
del dotto di Botallo)
• Atresia gastrointestinale (duodenale o esofagea) 20%
• Cataratta e glaucoma congeniti
• Ipotiroidismo congenito
• Policitemia (fattore di rischio per trombosi)
• Criptorchidismo nel maschio
• Displasia dell’anca
• Bassa statura, con curve di crescita distinte dalla
popolazione generale

ALTRE PROBLEMATICHE CLINICHE:


• 20% dei casi disturbi comportamentali, 25% dei casi disturbi psichiatrici
• Diabete, celiachia
• Alzheimer precoce
• Aumentato rischio di leucemie
• Ipoacusia trasmissiva
• Apnee ostruttive del sonno
• Instabilità atlantoassiale (condizione che si può presentare anche in altre
patologie, pericolosa perché si può andare facilmente incontro a spostamento
dell’atlante con conseguente paraplegia)

CAUSE
• 94% non disgiunzione meiotica: trisomia libera
• 2-4% trisomia a mosaico (non disgiunzione nelle mitosi dello zigote)
• Trisomia parziale (coinvolgente solo parte di un cromosoma)
• 3-4% sbilanciamento della traslocazione (più frequente traslocazione
robertsoniana del cromosoma 14, unione dei bracci lunghi dei due cromosomi).
L’unione di uno dei gameti derivato dal portatore di questa traslocazione, con due
copie del 21, una delle quali attaccata al cromosoma 14, che si fonde con un
gamete normale, genera un individuo con due copie del cromosoma 21, due del
14 e materiale extra del 21 unito a uno dei due 14, quindi il materiale genetico del
21 è presente triplice copia.

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È importante riconoscere se la sindrome è dovuta ad una traslocazione


robertsoniana perché questa implica aumentata ricorrenza rispetto a quella de
novo. Proprio per questo sono previste diagnosi prenatali.

CASI CLINICI

CASO CLINICO I (PRENATALE)


• Una donna di 40 anni, primigravida, effettua amniocentesi a 18
settimane di gestazione.
• L’amniocentesi mostra un cariotipo di questo tipo: 47, XY, +13 [5]/
46 XY [20] quindi su 25 cellule analizzate, 5 cellule con cariotipo alterato
e 20 con cariotipo normale
L’analisi al CGH su amniociti mostra un esito arr [GRCg37] (13) x3
[0.10], X,Y)x1 compatibile con mosaicismo di trisomia 13
• FISH su amniociti: livello di trisomia 13 del 10% (10/100 cellule)
• L’ecografia prenatale non mostra anomalie
• La gravidanza è stata portata a 37 settimane di gestazione. Alla
nascita il bambino mostra un fenotipo normale, peso di 3600 g.

FOLLOW UP:
• Quando esaminato a 8 e a 18 mesi di età, il bambino era in ABS.
Ripetuti i test genetici su sangue periferico e il cariotipo da colture
linfocitarie riscontrato era in tutte le cellule analizzate (50) 46, XY,
ipotizzando mosaicismo viene effettuata un’altra analisi su altri tessuti
• L’analisi FISH interfase su cellule urinarie non coltivate ha rilevato
un livello di trisomia 13 del 4% (4/100 cellule). Il bambino non presenta
sindrome ma ha rischio riproduttivo.
Non sono rari i casi di mosaicismi di questo tipo, così come quelli di tipo
placentare, causa di uno dei più grandi problemi di diagnosi prenatale, per
la difficoltà di distinguere le cellule placentari da quelle del feto.
L’espressione variabile della sindrome di Patau non è dovuta solamente a
mosaicismo, ma c’è molto ancora da scoprire, nonostante sia una sindrome
conosciuta da tanto.

CASO CLINICO II

UNA BAMBINA SI PRESENTA IN AMBULATORIO PER BASSA STATURA

- Anamnesi familiare: secondogenita di genitori non consanguinei. Un cugino di I


grado, nel ramo paterno, con riferito deficit intellettivo. Familiarità per
ipotiroidismo (nonna materna)
- Anamnesi personale: parto a 37 settimane

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-Feto IUGR, parto mediante TC d’urgenza per PROM


-Alla nascita peso kg1,780 (<3pc) lunghezza 43 (<3pc) CC 30 cm (<3pc) APGAR
(indice del benessere neonato a 1 minuto e a 5 minuto della nascita) 8’9’
quindi alto, ipocalcemia transiente, veniva trasferita presso TIN
dell’ospedale annunziata dove veniva ricoverata per circa 10 giorni
- Tappe dello sviluppo psicomotorio: primi passi a circa 20 mesi, prime parole a
circa
2 anni, controllo degli sfinteri a circa 2 anni e mezzo. A 16 mesi consulenza NPI
(consulenza neuropsichiatrica) per pianto frequente. Ha praticato logopedia e
psicomotricità.

Da novembre 2019 pratica follow up per la bassa statura, non precedentemente indagata
perché al limite inferiore del target genetico. Presso consulenza endocrinologa del
14/11/2019 veniva consigliata visita genetica per iposomia staturoponderale, ritardo
dell’acquisizione dello sviluppo psicomotorio.

Ci sono segni che ci fanno pensare ad un problema di natura genetica:


Il maggiore è rappresentato dall’insufficienza della crescita intra-uterina, segno principale
di molte patologie legate ai geni.

ESAME CLINICO:
- Bambina di 4 anni e 6/12

- Peso 12 kg (<3 °ct)

- Altezza 89 cm (<3 °ct) - OFC 48 cm (-2SD/M)

- Condizioni generali buone

- ACR valida e ritmica

- Lieve soffio protosistolico 1/6 centrum cordis

- Addome palpabile non dolente

- Fronte ampia

- Ipertelorismo

- Rime palpebrali allungate

- Teletelia

- Collo corto

Le analisi mostrano:

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- Ritardo della maturazione scheletrica a carico delle ossa del metacarpo (circa 2
anni), dopo aver effettuato l’RX della mano destra con delle tavole di bambini di
pari età ha praticato esami per:

- Celiachia con esiti negativi (la celiachia nel bambino porta scarsa crescita
staturo-ponderale e anemia)

- Ecografia della tiroide nella norma (gli ormoni tiroidei sono gli ormoni che
maggiormente influenzano la crescita nel bambino, successivamente subentra il
GH)

- Ecografia epatica e delle vie biliari nella norma

- Ecografia pelvica, che mostra la presenza di un utero in sede, in AVF, e diametro


longitudinale di
23 mm (normali per una bambina così piccola)

- Elettroforesi proteica

- Emocromo

- Bilancio del ferro nella norma


Esame del cariotipo: cariotipo su linfociti (50 metafasi) di cui:

- 23/50 con cariotipo 45X0 (Sindrome di Turner, associata a bassa statura)

- 27/50 con cariotipo 46X i (Xq) iso-cromosoma del braccio lungo del cromosoma
X
Questa bambina che soffre della Sindrome di Turner, condizione associata ad infertilità.
Nella sindrome di Turner le dimensioni dell’utero non aumento a seguito della pubertà,
come accade fisiologicamente nelle donne.

Le ovaie si presentano più piccole, talvolta neanche visibili e sostituite da “banderelle


fibrotiche”.

CARATTERISTICHE ANATOMICHE DELLA SINDROME DI


TURNER:

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- Pterigium colli = piega retronucale


- Cubito valgo = quando il gomito è steso, presenta una
curvatura verso l’esterno dell’avambraccio

- Alla nascita, linfedema del dorso delle mani e dei piedi,


impianto basso dei capelli e delle orecchie e torace ampio
(telelelia)

- Bassa statura con un netto rallentamento della curva di


crescita a partire dai 4-5 anni

- Deficit di 20 cm rispetto alla media della popolazione →


terapia con ormone della crescita (GH)

- Ipertelorismo =distanza aumentata fra la parte interna


degli occhi

- Nistagmo laterale = oscillazioni involontarie laterali

- Bocca a “V rovesciata”

- Palato ovagivale

- Anomalie dentali

- Attività delle gonadi ridotta o insufficiente = ovaie fibrotiche che non producono
ovuli → amenorrea primaria = assenza del ciclo oppure amenorrea secondaria
= ciclo che avviene ma seguito da una menopausa precoce

- Alterazioni renali = rene a ferro di cavallo/agenesia, stenosi/duplicazione degli


ureteri

- Alterazioni cardiache = coartazione aortica (10%), aorta bicuspide (30%), ecc…

- Alta predisposizione alle malattie autoimmuni (in particolare celiachia, TIR,


Hashimoto)
- Alta incidenza otiti medie e ipoacusia trasmissiva

- Numerosi nervi melanocitici = nei iperpigmentati

ANEUPLOIDIE A CARICO DEI CROMOSOMI SESSUALI =


SINDROME DI KLINEFELTER (47, XXY)

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Caratteristiche anatomo-fisiologiche:
- Pubertà tardiva o incompleta

- Atrofia testicolare, che determina scarsa produzione


di testosterone (ipogonadismo)

- Scarso sviluppo dei peli su volto e corpo

- Ginecomastia

- Infertilità o ridotta fertilità

- Debolezza muscolare
In alcuni casi si manifestano anche:

- Ritardi nello sviluppo del linguaggio e difficoltà di


lettura
(dislessia) e/o difficoltà di apprendimento

- Alta statura

- Obesità
Per determinare la virilizzazione viene effettuata una terapia ormonale sostitutiva, che
riduce, inoltre, il rischio di osteoporosi.

Se la diagnosi viene effettuata precocemente, anche grazie ad amniocentesi, possono


essere effettuati programmi per l’aumento della fertilità.

Sembra che nelle prime fasi dello sviluppo, nei Klinefelter si produca una piccola
percentuale di spermatozoi, produzione che può essere incentivata da una terapia
ormonale.

È descritto come un disordine endocrino… Non è più una malattia rara!


Si stima una frequenza di 1:250 /1:500 nati vivi maschi.

Talvolta, i pazienti si presentano quasi esclusivamente per problemi dovuti ad


infertilità.

PATOLOGIE DOVUTE AD ANOMALIE STRUTTURALI DEI


CROMOSOMI
Paperino e Paperina giungono in consulenza genetica per un’ITG, portando in visione:

- ARRAY-CGH FETALE → Monosomia parziale del cromosoma 13

- CARIOTIPO FETALE → Traslocazione cromosomica tra il cromosoma 14 e il


cromosoma 21

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Nel momento in cui ci troviamo dinnanzi una traslocazione cromosomica bilanciata in un


feto, la prima domanda da porci è se questa sia stata ereditata da uno dei due genitori o se
sia una mutazione de novo, e quindi assente nei genitori.

Per rispondere a questa domanda, descriviamo il cariotipo ad entrambi i genitori.

Confrontando il cariotipo paterno e il


cariotipo fetale possiamo notare che
padre e figlio sono portatori della
medesima mutazione.
La traslocazione cromosomica
bilanciata 14:21 risulta ereditata dal
padre, apparente in buona salute.

Ne deduciamo che il fenotipo del feto sarà non patologico e che la traslocazione si possa
considerare benigna.

Volendo contestualizzare l’albero genealogico e l’anamnesi familiare alla luce dei


risultati, le informazioni in nostro possesso sono:

Il feto presentava una traslocazione bilanciata 14:21 ereditata dal padre.

Osservando meglio l’albero genealogico, possiamo ipotizzare che anche la madre di


paperino, Ortensia MCDuck, fosse portatrice della medesima traslocazione, in quanto
presenta diverse interruzioni spontanee di gravidanza all’anamnesi.

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Possiamo notare che paperino abbia un cugino affetto dalla sindrome di Down, e che
anche la zia di Paperino abbia la medesima mutazione.

Andiamo a considerare l’Array CGH (Array-based Comparative Genomic Hybridization)


L’Array CGH è una tecnica in grado di diagnosticare le anomalie quantitative del DNA,
le cosiddette CNV (copy number variation) = delezioni/duplicazioni di parte del materiale
genetico.

Le CNV presentano un significato variabile a seconda della dimensione del contenuto


genico.

Queste possono essere considerate benigne, patogenetiche o a significato incerto.

In questo caso specifico, l’Array CGH fetale portato in visione dai genitore mostra una delezione del
braccio lungo del cromosoma 13, lunga circa 45Mb, dimensione estremamente consistente. La
delezione comprende numerosi geni OMIM, geni descritti in letteratura e associati a patologia.
Dunque, la condizione riscontrata nel fegato era compatibile con una monosomia parziale
del cromosoma 13.

Questo faceva ipotizzare un fenotipo patologico estremamente severo.

La delezione parziale del cromosoma 13 era già visibile nel cariotipo fetale, per via della
sua rilevanza.

Le delezioni cromosomiche parziali sono da considerarsi più spesso un evento de novo,


non ereditato dai genitori.

Correlato con l’età paterna avanzata.

Presentano un basso rischio di ricorrenza.

Conclusioni:

Paperino e Paperina presentano un rischio di aborti superiore alla popolazione generale


(per eventuale trasmissione della monosomia 14:21 e trisomia 14 fetale, condizioni
incompatibili con la vita).

Rischio del 33% per padre carrier di traslocazione robertsoniana 14q21q.

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L’altro rischio della coppia è quello di avere un figlio affetto da aneuploida (compresa
S.Down) oppure di disomia uniparentale, con un rischio superiore alla popolazione
generale.

Questo rischio è da considerarsi inferiore all’1% per il padre carrier di traslocazione


robertsoniana 14q21q.

Marge e Lisa giungono in consulenza genetica per familiarità


per una traslocazione cromosomica tra ilo cromosoma 2 e il
cromosoma 8, presente nel padre di Marge, in una sorella e in un
fratello.

ANAMNESI FAMILIARE:
Padre → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori
Sorella → anomalie scheletriche bilaterali degli arti superiori,
malformazione Arnold-Chiari,siringomielia, fusione delle
vertebre cervicali, poliabortività

Fratello → anomalie scheletriche bilaterali degli arti


superiori, piede torto bilaterale, fusione delle vertebre
cervicali

All’anamnesi personali di Marge è possibile evincere una


storia di parestesie urenti, formicolio bruciante, alle gambe,
ipotonia, difficoltà deambulatorie, parestesie a braccio e
mano sinistra. Questa situazione clinica aveva portato Marge
ad effettuare una serie di approfondimenti, tra cui una RM
cervicale, dalla quale era stato possibile evincere una
mielinopatie C-2, C-3 ed una stenosi tra C-3 e C-4.

Procediamo alla visita genetica con l’esame obiettivo.

- H = 164 cm

- Peso = 63 kg

- CC = 54.5 cm

- Span = 139 cm

- Braccio (L-R) = 36-34 cm

- Avambraccio (L-R) =17-16.5 cm → Displasia mesomelica degli arti superiori

- Mano (L-R) = 17-17 cm

- DEFORMITÀ DI MADELUNG

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Un difetto monolaterale è più spesso un difetto


isolato, mentre un
difetto bilaterale può essere la spia di una
cromosomopatia o di una malattia
monogenica.

Passiamo all’anamnesi personale di Lisa.

Ci viene riferito che Lisa ha presentato un ritardo di crescita intra-uterino IUGR.

Lisa presenta una ipoacusia trasmissiva.

Indagini effettuare tramite:

- RX ARTI SUPERIORI → Atrofia e ipoplasia ossea, lussazione bilaterale della


testa del radio

- RX COLONNA → Scoliosi, megapofisi in C7, os odontoideum, C1 fuso a osso


occipitale (possibile compressione midollare)
Effettuiamo l’esame obiettivo di Lisa.
-H = 153 cm

-Peso = 47.5 kg

-CC = 51.5 cm

-Span = 137 cm

-Braccio (L-R) = 28-29 cm

Avambraccio (L-R) =19-27 cm → Displasia mesomelica degli arti


superiori

-Mano (L-R) = 17.2-15 cm

-Plica palmare trasversale singola bilaterale


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-Inserzione prossimale del primo dito

-DEFORMITÀ DI MADELUNG

-Scoliosi

TRASLOCAZIONE CROMOSOMICA
La traslocazione cromosomica è la conseguenza della rottura di 2 cromosomi, in questo
caso del cromosoma 2 e del cromosoma 8.

In seguito a questa rottura, si verifica lo scambio dei segmenti cromosomici.

Da questa mutazione può scaturire una traslocazione bilanciata, senza perdita di materiale
genetico, o sbilanciata, con perdita o acquisizione di materiale genetico. In questo caso la
traslocazione si presenta bilanciata.

In base ai punti di rottura cromosomica, possiamo avere un fenotipo patologico, quando


la rottura avviene in un punto critico in cui sia situato un gene trascritto, oppure un
fenotipo normale.

Andando ad osservare nuovamente l’anamnesi familiare, è palese che tutti i soggetti che
presentano la traslocazione cromosomica 2-8 presentino anomalie scheletriche degli arti
superiori.

Possiamo ipotizzare che la traslocazione in questo caso specifico abbia previsto la rottura
di un punto critico del cromosoma.

Per indagare più nello specifico il punto di rottura del cromosoma e i geni situati a quel
livello, indirizziamo Marge e Lisa ad effettuare una PCR, una reazione a catena della
polimerasi, tecnica che prevede l’amplificazione del DNA.

In seguito alla PCR viene eseguito il sequenziamento che ci mostra che la rottura del
cromosoma è avvenuta a livello di un gene trascritto, il gene HOX-D, situato sul braccio
lungo del cromosoma 2 (2q31.1).

Se la rottura del cromosoma avviene nel contesto del gene stesso, il gene non verrà più
trascritto. Non sorprende il fatto che il gene HOX-D sia coinvolto nello sviluppo
scheletrico, dal momento che tutti i portatori della traslocazione 2-8 hanno presentato
anomalie scheletriche degli arti superiori.

In letteratura, mutazioni del gene HOX-D sono associate ad anomalie variabili a livello
degli arti e delle mani.

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In particolare,
anomali
dell’avambraccio
come aplasia
dell’ulna e brevità
del radio, oppure
sinpolidattilia e
brachidattilia

Conclusioni:

In futura gravidanza, avranno la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale invasiva,


ovvero una tecnica di Amniocentesi o Villocentesi, su cui effettuare in un secondo
momento il cariotipo e ricercare la traslocazione 2;8 nel feto.

Le possibilità sono le stesse: il feto potrebbe ereditare la mutazione o non ereditare la mutazione.
Qualora il feto ereditasse la mutazione il fenotipo sarebbe verosimilmente sovrapponibile a quello
dei genitori, dunque anche il feto presenterà anomalie scheletriche a carico degli arti superiori. Non
bisogna dimenticare che c’è la possibilità di sbilanciamento con possibilità di aborto. Per effettuare
una diagnosi prenatale invasiva è razionale considerare un’eventuale interruzione terapeutica di
gravidanza o comunque assistere la coppia durante la gravidanza in maniera consapevole.

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