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Sono malattie causate da varianti patogeniche in una od entrambe le copie di un gene autosomico o di un
gene sul cromosoma X o Y (eredità legata al sesso).
Qualora il prodotto proteico terminale non funzioni o funzioni poco o male, esso genera la
patologia. Questi meccanismi sono da capire bene, poiché utili alla pratica medica di qualunque
settore, dall’oncologia, in cui l’indagine molecolare assume via via un ruolo sempre più dominante
per il corretto inquadramento terapeutico e prognostico del pz, sino agli studi dei polimorfismi dei
sistemi HLA.
Sulla base di quanto detto, possiamo affermare che nelle malattie monogeniche, ad un gene (o, più
precisamente, ad una variante patogenetica di un gene) corrisponde una malattia.
Trattandosi di un solo gene coinvolto, queste varianti vengono ereditate secondo le leggi di Mendel e
avranno un’incidenza all’interno dell’albero genealogico caratteristica, dipendente dal fatto che la variante
si trasmetta in maniera dominante, recessiva o X-linked. Definiamo quindi eredità mendeliana tipica, la
trasmissione di un carattere (patogenico nella fattispecie), determinato al 100% e nel 100% dei casi dalla
variante genica ereditata. Tutte le volte in cui questo dogma non viene rispettato, ad esempio in caso di
malattie monogeniche a penetranza incompleta, ci troviamo di fronte ad eccezioni all’ereditarietà
mendeliana delle malattie.
La maggior parte delle patologie monogeniche sono trasmesse autosomicamente; esiste tuttavia una fetta
di patologia (assai meno consistente) X-linked e Y-linked (quest’ultima ancora più rara), dotate a loro volta
di caratteristiche di trasmissione molto particolari.
È importante sottolineare come queste patologie debbano consentire all’individuo di sopravvivere almeno
fino all’età socialmente adatta per la riproduzione, in caso contrario infatti si estinguerebbero sul nascere.
Nelle patologie autosomiche recessive abbiamo portatori sani che trasmettono, ma non manifestano, la
malattia; nelle autosomiche dominanti, tipicamente il quadro patologico si manifesta con latenza o con una
gravità tale da non mettere a repentaglio la sopravvivenza del soggetto nei primi anni di vita.
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Sono malattie tutto sommato frequenti, in particolare
sono frequenti se considerate tutte assieme: circa il 2%
della popolazione è affetto da una malattia autosomica
dominante (si tenga conto che, nell’UE, una malattia è
considerata rara se ha prevalenza inferiore a 5 casi/10
000 persone = 0.05%). [Alcuni esempi: malattia di von
Willebrand, malattia policistica renale dell’adulto,
sferocitosi ereditaria, corea di Huntington, sindrome di
Marfan.]
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Un caso esemplificativo: la famiglia BS
Una coppia dall’anamnesi familiare assolutamente negativa per
qualsiasi patologia genetica, si trova ad affrontare una seconda
gravidanza, dopo che la primogenita è andata incontro ad
exitus a soli sei giorni di vita in seguito ad insufficienza renale.
L’ecografia del secondo feto mostra segni di rene policistico
(reni fortemente iperecogeni), in assenza della possibilità di
esame genetico. La coppia decide così di interrompere la
gravidanza alla 20a settimana.
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- La gravità della malattia nei maschi è abbastanza uniforme; nelle femmine la malattia è assente o
si presenta in forma lieve (vedi sotto).
Molti ritardi mentali sono X-linked recessivi, come nel caso della sindrome dell’X fragile.
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Un esempio di malattia a
trasmissione X-linked dominante è
rappresentata dal rachitismo
vitamina D-resistente (vedi albero
genealogico a fianco). Essendo X-
linked dominante, ha un andamento,
ad un primo sguardo, molto simile a
quello di una malattia autosomica
dominante (a causa della verticalità
nella trasmissione); tuttavia le
femmine sono più colpite rispetto ai
maschi (rapporto 2:1). La peculiarità
sta nel fatto che, essendo legato al cromosoma X, i padri non possono trasmetterlo ai figli maschi, ma lo
trasmetteranno a tutte le figlie femmine; le donne, invece, hanno il 50% di probabilità di trasmetterlo ad
ogni figlio, indipendentemente dal
sesso (50% maschi e 50% femmine).
Genetica
Si tratta di una grave patologia dovuta a mutazioni a carico del gene NEMO, la più frequente delle quali è
una delezione che elimina gran parte del gene, con conseguente perdita del prodotto proteico (un
attivatore del fattore di trascrizione NFκB). Le cellule prive della proteina NEMO sono più sensibili a segnali
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pro-apoptotici, quindi
tendono ad andare più
facilmente incontro ad
apoptosi. Questa patologia si
manifesta solo negli individui
di sesso femminile, perché i
maschi che ereditano la
delezione di NEMO muoiono
in utero, in quanto
incompatibile con la vita.
Questa caratteristica
accomuna l’incontinenza ai
pigmenti ad altre patologie
X-linked dominanti come la sindrome di Rett, una forma di ritardo
mentale con stereotipie che colpisce solo le bambine, poiché la
mutazione è letale in utero per i maschi.
Il gene NEMO è legato inoltre al corretto funzionamento del
sistema immunitario. Nelle femmine portatrici di tale alterazione
si avranno dunque anche manifestazioni correlate ad una
condizione di immunodeficienza 1, di severità estremamente
variabile poiché la bambina possiede sempre una seconda copia
normale del gene e, per il processo di lyonizzazione, una delle due
verrà casualmente inattivata. In base a quale cromosoma X viene
inattivato, si avranno quindi:
- Fenotipi più severi, se è espressa la copia che porta la
mutazione;
- Fenotipi meno gravi, se è espressa la copia normale.
Clinica
L’esordio è tipicamente neonatale, con un eritema che diviene eruzione vescicolosa (stadio I, in genere con
un andamento lineare) e in seguito, nel tempo, residueranno papule (stadio II) e strie ipo- o
iperpigmentate permanenti (stadio III). Una caratteristica peculiare è che le bambine, dopo questo
episodio neonatale, non presenteranno nel corso della vita ulteriori situazioni dermatologiche particolari.
Altri aspetti di rilievo sono:
- Ipo- o anodontia (assenza parziale o completa dei denti) e anomalie della morfologia dentaria;
- Anomalie dei capelli (la signora del caso clinico non aveva anomalie dei capelli, ma la madre aveva
un’attaccatura molto arretrata);
- Alterazioni ungueali;
- Neovascolarizzazione retinica periferica, che causa problemi oftalmologici rilevanti;
- In rari casi, epilessia e ritardo mentale severo.
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In particolare, maggiore suscettibilità alle infezioni micobatteriche.
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Se abbiamo, come in questo caso, una donna affetta, essa avrà un cromosoma X con mutazione ed uno
senza (genotipo XX*); il padre è invece perfettamente sano (genotipo XY). Combinando tra loro i genotipi
materno e paterno in un quadrato di Punnett, si ottengono quattro possibili genotipi dei prodotti del
concepimento (immagine in alto). I genotipi ottenuti, in realtà, non sono molto diversi da quelli che si
otterrebbero se la madre fosse affetta da una patologia a trasmissione X-linked recessiva, con l’unica
differenza che la figlia con genotipo XX* sarebbe una portatrice sana ed il figlio maschio X*Y sarebbe l’unico
affetto tra i possibili prodotti del concepimento. Nelle malattie X-linked dominanti, invece, il genotipo X*Y
non consente lo sviluppo del prodotto del concepimento. Quindi, se ragioniamo in termini di genotipi
embrionali, vi sono quattro diverse possibilità (quadrato a sx), ma se la gravidanza va avanti (quadrato a
dx), possiamo avere o una figlia affetta (XX*) o 2/3 di probabilità di avere un figlio, maschio o femmina,
sano (XY o XX).
Quindi, al termine di questo ragionamento, qual è la probabilità per la coppia, a priori, di avere un figlio
sano? Al concepimento, 50% di probabilità che la gravidanza vada a buon fine e porti alla nascita di un
figlio sano.
A questo punto è possibile procedere con una diagnosi genetica. Dopo aver riflettuto a lungo se tentare
comunque un’altra gravidanza con questo rischio o se cercare di procedere con procreazione medicalmente
assistita e una diagnosi genetica pre-impianto (che all’epoca in Italia non era ancora consentita, quindi
significava necessariamente spostarsi all’estero), la coppia ha deciso di procedere per vie naturali. Durante
la gravidanza, hanno poi deciso di sottoporsi ad un test genetico prenatale, allo scopo di porre,
eventualmente, diagnosi precoce di malattia. Data la rilevanza della situazione, si è tentato di giungere alla
diagnosi attraverso due diverse vie:
1. Ricerca diretta della mutazione (delezione) nell’embrione : nel feto il gene NEMO è abbastanza
antipatico perché si accompagna ad uno pseudogene, quindi non si sa mai, in caso di risultato
normale, se si è indagato il gene o il suo pseudogene. C’è dunque un forte rischio di incorrere in
falsi negativi.
2. Analisi di segregazione con marcatori microsatellitari del cromosoma X . Sappiamo che la nonna ha
trasmesso il cromosoma X con la mutazione alla mamma, la quale aveva quindi due cromosomi X,
uno senza mutazioni (X, proveniente dal padre) e uno con la mutazione (X*, proveniente dalla
madre). Grazie all’utilizzo di marcatori del DNA, è stato possibile stabilire quale cromosoma X ha
ereditato il prodotto del concepimento: essendo femmina, abbiamo trovato un cromosoma X
paterno ed uno materno, quest’ultimo corrispondente a quello del nonno, dunque privo di
mutazioni.
Attraverso questi due metodi indipendenti, siamo stati in grado di dimostrare come nel gene NEMO
dell’embrione non vi fosse alcuna delezione. La gravidanza è andata così buon fine ed è nata una bimba
perfettamente sana; due anni dopo, la coppia ha avuto un’altra gravidanza, la donna si è nuovamente
sottoposta alla stessa procedura e il prodotto del concepimento, maschio, era anch’esso sano.
Qualora l’indagine avesse rivelato la presenza di una femmina affetta, poteva insorgere il problema di cosa
fare, perché la bambina avrebbe
anche potuto avere un fenotipo più
severo rispetto a quello della madre,
caratteristica assolutamente
imprevedibile durante la gravidanza.
Fortunatamente, non è stato il
nostro caso.
4. EREDITARIETÀ Y-LINKED:
CONSIDERAZIONI GENERALI
È estremamente rara; un esempio
sono le microdelezioni che
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coinvolgono regioni del cromosoma Y codificanti per i fattori di
azoospermia A (AZFa), B (AZFb) e C (AZFc, più frequentemente). Le
delezioni in questione determinano severa oligospermia e si stima
che circa il 15% degli uomini infertili abbia effettivamente delezioni
a carico del cromosoma Y.
Le implicazioni per la trasmissione sono molto particolari:
teoricamente, tutti i soggetti maschi potrebbero trasmetterlo ai
propri figli, poiché però si tratta di una mutazione che provoca
infertilità, questi uomini non sono in grado di generare prole. Fino
a qualche tempo fa, quindi, la patologia non si poteva trasmettere
perché se un uomo l’aveva, non era in grado di riprodursi e la
trasmissione automaticamente si arrestava. Oggi la situazione è
radicalmente mutata grazie alle metodiche di procreazione
medicalmente assistita, in particolare di iniezione intra-
citoplasmatica dello spermatozoo (ICSI, intra-cytoplasmatic sperm
injection). La procedura prevede l’iniezione diretta di quei pochi
spermatozoi che l’uomo produce all’interno dell’ovocita,
consentendo così anche a questi uomini di riprodursi. Lo
spermatozoo iniettato porta ovviamente il cromosoma X o l’Y
alterato, pertanto, se l’embrione che si genera tramite
procreazione medicalmente assistita sarà maschio, avrà anche lui
la stessa infertilità del padre ( la patologia è ereditata solo dagli eventuali figli maschi).
Caso clinico 1
Dati
- Gli individui della I generazione sono entrambi fenotipicamente sani;
- Nella II generazione, solo un individuo (5) è malato;
- Si nota consanguineità tra l’individuo 1 e il 2 della III generazione, che sono cugini di I grado in
quanto figli di fratelli;
- La malattia ricompare nella IV generazione, quindi presenta il salto di generazione.
La consanguineità e il fatto che ci siano genitori sani con due figli di sesso diverso colpiti dalla patologia, ci
fa capire che si tratta una malattia autosomica recessiva.
Caso clinico 2
Dati
- Gli individui appartenenti alle prime due generazioni sono tutti fenotipicamente sani;
- L’individuo 1 nella III generazione è malato;
- L’individuo 5 della IV generazione è malato.
La probabilità congiunta
Ipotizziamo di avere una situazione più complessa, come quella rappresentata nell’immagine a fianco, in
cui dobbiamo ricavare una probabilità “congiunta”. In questo caso, non consideriamo solo la probabilità
che un soggetto sia portatore, ma vogliamo anche sapere qual è il rischio di avere un figlio affetto nel
momento in cui l’individuo in questione sposi un altro possibile portatore.
In casi come questo, la probabilità finale tiene conto di tre variabili:
1. Probabilità del primo evento necessario (P1), cioè per avere un figlio affetto, il primo soggetto (=
padre) deve essere portatore e la sua probabilità di essere portatore (considerando il suo albero
genealogico) è di 2/3;
2. Probabilità del secondo evento necessario (P2), per avere un figlio affetto, anche il secondo
soggetto (= madre) deve essere portatore e la probabilità (ancora una volta, considerando il suo
albero genealogico) è sempre 2/3;
3. Probabilità di avere un figlio affetto per due individui portatori sani (Paffetto): pur essendo portatori,
non necessariamente genereranno un figlio affetto; la probabilità di tale evento, nel nostro caso, è
pari a ¼.
La probabilità conclusiva che possiamo calcolare in una famiglia come questa, in cui ognuno dei due partner
ha un fratello o una sorella affetto dalla stessa malattia autosomica recessiva, è data da:
Pfinale = P1 * P2 * Paffetto
Quindi: 2/3 * 2/3 * 1/4 = 1/9. La formula esprime in termini matematici la cosiddetta regola del prodotto,
secondo cui la probabilità che un evento finale si verifichi è uguale al prodotto della probabilità dei singoli
eventi necessari.
Queste considerazioni sono valide anche per ulteriori generazioni: capita che giungano alla consulenza
famiglie i cui parenti affetti sono più lontani, quindi è chiaro che a volte si arriva ad un valore di probabilità,
se il parente è molto lontano, del tutto analogo al rischio di popolazione.
In alcune situazioni, fortunatamente sempre meno frequenti, può ancora capitare di avere la probabilità
calcolata solo in questo modo, o perché non vi è la
possibilità di fare un’analisi genetica, o perché non
si conosce il gene-malattia. Ancora oggi comunque,
prima di fare una diagnosi, si tende ad esplicitare
sempre la probabilità effettiva di giungere a
qualche risultato, anche quando si ha la possibilità
di eseguire una diagnosi genetica.
Caso clinico 3
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La figura a fianco mostra
l’albero genealogico di una
famiglia con individui affetti da
SMA (atrofia muscolare
spinale), una malattia
autosomica recessiva con
frequenza di portatori nella
popolazione generale stimata a
1/60.
In questa famiglia c’è stata una
coppia che, prima di separarsi, ha avuto un figlio deceduto per SMA (genotipo aa). Sappiamo che genitori
sani con un figlio affetto da una patologia autosomica recessiva, sono entrambi portatori obbligati della
mutazione (genotipo Aa).
1. Dopo qualche tempo dalla separazione, la donna si è risposata con un individuo che aveva una
sorella deceduta anch’essa per SMA. Può sembrare un caso anomalo; in realtà, sia perché le
coincidenze sono tante, sia perché spesso le persone fanno parte di associazioni di familiari, ogni
tanto capitano queste situazioni. Vogliamo sapere qual è il loro rischio di avere un figlio affetto da
SMA.
a. Sappiamo già che la probabilità per la donna di essere portatrice è pari 1.
b. Ci interessa, a questo punto, la probabilità del secondo marito, la quale, avendo egli una
sorella affetta da SMA, sarà pari a 2/3. La probabilità combinata, ovvero che entrambi siano
portatori, è 2/3 (secondo la regola del prodotto, 1 * 2/3).
A questo punto, la probabilità di avere un figlio affetto si ottiene moltiplicando 2/3 per il valore di
probabilità di due portatori di avere un figlio affetto, quindi 2/3 * 1/4 = 1/6.
2. L’ex-marito ha una sorella che si è sposata con uomo con anamnesi familiare negativa per SMA.
Vista la prematura morte del nipote, ora la donna è comprensibilmente preoccupata per la propria
prole e chiede ai genetisti di stimare la sua probabilità di avere un figlio con la stessa malattia.
a. Dobbiamo innanzitutto calcolare la probabilità che la donna sia portatrice, sapendo che il
fratello è portatore, e ha dunque ereditato un allele alterato da uno dei due genitori.
Risaliamo di una generazione e prendiamo in considerazione i loro genitori: è altamente
improbabile che fossero entrambi portatori, ma uno dei due sicuramente era eterozigote
per l’allele mutato (genotipo Aa), mentre l’altro era assolutamente sano (genotipo AA). La
probabilità che anche la donna sia portatrice è quindi pari ad ½, poiché se uno dei due
genitori ha un allele normale e uno mutato, la probabilità di aver trasmesso l’allele mutato
sarà pari al 50%.
b. Il marito, che ha storia familiare negativa per la malattia in questione, avrà il rischio proprio
della popolazione generale, pari a 1/60.
Applicando ancora una volta la regola del prodotto, si ottiene una probabilità congiunta per la
coppia in esame di ½ * 1/60 * ¼ = 1/480, ovviamente molto più bassa rispetto al caso precedente
(1/6).
Le situazioni familiari possono quindi essere anche molto articolate e richiedere ragionamenti
estremamente complessi. In realtà, al giorno d’oggi, è possibile eseguire direttamente un test genetico sugli
individui per verificare se sono portatori, eliminando così il problema di questo tipo di calcoli.
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