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Lez. 4AB del 22.10.2018 + lez. Del 14.10.2019 prof Piccioni+ lez. 4.11.2019 prof. D’amelio+ cap.

34 del Bolis

Diagnosi prenatale
Le anomalie congenite hanno una frequenza alla nascita del 3-5% nella popolazione generale e si verificano,
nella maggioranza dei casi, in coppie esenti da rischio riproduttivo noto. La loro eziologia riconosce
un’aberrazione cromosomica nel 25% dei casi, un’alterazione genica nel 30% ed una origine multifattoriale
(ambientale, iatrogena, infettiva) nei rimanenti casi. Prevenzione, diagnosi e cura delle anomalie congenite
sono diventate parti integranti dell’assistenza prenatale.

Attualmente lo screening di massa nella popolazione gravida viene attuato su vasta scala tramite:

- Test biochimici ed ecografici nel primo trimestre per quanto riguarda le anomalie congenite che
riconoscono eziologicamente un difetto cromosomico
- Esami ecografici routinari di primo livello distribuiti nel corso di tutta la gestazione per quanto
riguarda le anomalie fetali strutturali.

Le indagini strumentali (ecografia bi- e tri- dimensionale, RMN) e di laboratorio su campioni biologici fetali
e materni permettono diagnosi vent’anni fa impossibili, tuttavia è difficile pensare che ogni struttura sanitaria
possa disporre di tante risorse. Tutto questo ha portato alla creazione di centri di riferimento di II livello,
definiti Centri di diagnosi prenatale, dove è possibile disporre di servizi specifici.

Quindi, la diagnosi prenatale si occupa della diagnosi precoce :

a) Di malattie genetiche su base genica

b) Delle anomalie cromosomiche

c) Delle malformazioni fetali rilevabili “in utero”nel corso della gravidanza.

Dobbiamo distinguere due modalità di esecuzione della diagnosi prenatale: diagnosi prenatale di tipo morfologico
e diagnosi prenatale di tipo genetico. Quella di tipo morfologico la eseguiamo con l’ecografia che normalmente
viene fatta intorno alla ventesima settimana valutando specifici distretti del feto per escludere che ci siano
alterazioni morfologiche. L’ecografia non ci permette però di fare una diagnosi di tipo genetico per la quale sono
necessarie altre metodiche.

La diagnosi prenatale è quindi un complesso di indagini strumentali e di laboratorio che studiano e


svelano la normalità o la presenza di patologie di vario tipo nel feto.

Possono essere invasive e non invasive.

Tecniche non invasive (Test di screening):

• Ecografia

• Test sierologici su sangue materno

• Ricerca di cellule fetali nel sangue materno (per la ricerca del DNA fetale).

Tutte le metodiche di diagnosi prenatale non invasive vengono considerate da tutte le nostre associazioni
scientifiche come metodiche di screening. Questo vuol dire che nonostante alcune siano delle metodiche
probabilistiche e altre biologiche, devono tutte rispondere ai criteri necessari per poter parlare di esami di
screening: devono essere a basso costo, ripetibili, e devono prevedere un’indagine successiva di livello superiore
per confermare eventuali sospetti di patologia.
Lez. 4AB del 22.10.2018 + lez. Del 14.10.2019 prof Piccioni+ lez. 4.11.2019 prof. D’amelio+ cap. 34 del Bolis

Tecniche invasive:

• Villocentesi

• Amniocentesi

• Funicolocentesi

• Fetoscopia

• Diagnosi pre-impianto.

Le prime due sono le più usate, le seconde due si usano oggi solo in casi ristretti, l’ultima fa parte delle
tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Un momento cruciale nella diagnosi prenatale è il momento della consulenza genetica, poiché essa permette
di dare informazioni esatte alla coppia riguardo al tipo di indagini di diagnosi prenatale a cui essa deve
sottoporsi. La consulenza genetica è indicata soprattutto se c’è una malattia genetica in famiglia o se c’è un
precedente figlio affetto da una alterazione genetica. Tra l’altro, se ad esempio vediamo un’anomalia con
l’ecografia, o meglio se ne vediamo due anche minori (es un’idronefrosi fetale associata ad un piede torto),
dobbiamo sempre richiedere una consulenza genetica, perché ciò che noi osserviamo potrebbe essere il segno
di una sindrome che affligge il feto. In questo senso la consulenza genetica è anche uno strumento di tutela
per il ginecologo.

Difetti cromosomici
Si verificano nello 0,9% dei neonati. Si stima che solo il 5-10% dei feti con alterazione cromosomica giunga
al termine di gravidanza; quindi il tasso complessivo di abortività e di morte intrauterina è del 90-95%.

Le anomalie cromosomiche più frequenti sono le trisomie 21, 13 e 18 (sono le più frequenti perché sono
paradossalmente le meno gravi). Il rischio che il feto ne sia affetto aumenta con l’età materna e diminuisce
con l’avanzare dell’età gestazionale (perché in genere se il feto è affetto va incontro a aborto spontaneo o
morte intrauterina). La trisomia 21, che è anche la meno grave, è quella associata alla minore mortalità
intrauterina (il 70% dei feti sopravvive).

Il rischio di cromosomopatie aumenta con l’aumentare dell’età materna, perchè l’ovocita inizia la meiosi
durante il processo embrionale - nel quinto mese di gravidanza - per poi arrestarsi in attesa di completarlo e
quanto più tardi verrà reclutato, tanto maggiori saranno le probabilità che l’ovocita presenti delle alterazioni
cromosomiche. Alcune alterazioni sono estremamente gravi e causeranno aborti spontanei; altre sono
alterazioni minori, caratterizzate da un’altissima sopravvivenza, come le anomalie dei cromosomi sessuali
implicate nelle sindromi di Turner e di Klinefelter, o come la più frequente trisomia 21. In particolare,
l’aumento dell’incidenza della sindrome di Down in relazione all’età materna è emblematico, basti pensare
che a 40 aa abbiamo un caso su 106, a 43 aa 1 su 89. E’ possibile intraprendere una gravidanza a 48/49 aa,
ma quasi sicuramente terminerà con un aborto dovuto ad un’alterazione cromosomica grave.

Altre patologie come la sindrome di Turner e altre anomalie dei cromosomi sessuali spesso non sono
associate all’età materna e non si riducono con l’età gestazionale.

Le anomalie cromosomiche possono quindi interessare sia gli autosomi che i cromosomi sessuali e possono
essere:1

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La prof non le ha trattate a lezione in quanto da per scontata la loro conoscenza. Ho riportato comunque quelle trattate
dal libro che sono le principali.
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1. Numeriche:
L’aneuploidia rappresenta la più comune anomalia cromosomica riscontrare in diagnosi prenatale e
provoca sempre conseguenze sul fenotipo.

- Trisomia: il suo rischio aumenta in modo esponenziale con l’età materna. Può essere osservata per
qualsiasi cromosoma, anche se alcune sono di più frequente riscontro.
Trisomia 21 o sindrome di Down: è la più frequente aneuploidia diagnosticata (1/700 nati vivi). Il fenotipo
della sindrome di Down comporta bassa statura, facies caratteristica, occipite piatto, brachicefalia, collo corto
con cute nucale ridondante, mani tozze con pliche palmari caratteristiche, ipotonia. Costante è il deficit
cognitivo. È frequente l’associazione di anomalie strutturali cardiache (es. difetto del setto ventricolare), di
atresia duodenale e di fistola tracheo-esofagea. Sono frequenti inoltre le infezioni respiratorie e la leucemia. La
presenza di individui con la sindrome di Down in famiglia non aumenta il rischio riproduttivo, se non è
presente una traslocazione familiare.
Trisomia 18 o sindrome di Edwards: 1/8000 nati vivi. Il 95% di questi feti non giunge al termine della
gravidanza. Questo fenotipo comporta IUGR2, anomalie cardiache, renali e del SNC (il 25% di questi feti
mostra cisti dei plessi corioidei), ritardo mentale, dimorfismi facciali, anomalie degli arti. La mortalità nella
primissima infanzia è elevatissima.
Trisomia 13 o sindrome di Patau: 1/20.000 nati vivi. Mortalità quasi totale nella primissima infanzia. Il
fenotipo comprende IUGR, anomalie del SNC (oloprosencefalia), gravi dimorfismi facciali, labiopalatoschisi,
difetti cardiaci, renali, degli arti e delle estremità, ritardo mentale severo.
Sindrome di Turner: cariotipo X0. La quasi totalità dei feti viene persa durante la gestazione, con una
frequenza alla nascita di 1/2500 neonati femmine. Il fenotipo tipico comprende linfedema alla nascita, bassa
statura, pterigio del collo, disgenesia ovarica con mancato sviluppo dei caratteri sessuali secondari ed
infertilità; i difetti cardiaci sono frequenti, in particolare la coartazione aortica. Questi individui solitamente
mostrano una normale intelligenza.
Sindrome di Klinefelter: il cariotipo è 47XXY. Si verifica in 1/1000 nati di sesso maschile. I pazienti
mostrano mediamente una statura maggiore con arti lunghi e ipogonadismo primario con sterilità dovuta ad
atrofia dei tubuli seminiferi; ginecomastia nel 30% dei casi. Il ritardo mentale non è tipico, sebbene il QI sia
inferiore rispetto alla popolazione generale. La patologia è spesso subdola e la prima diagnosi viene spesso
posta iin centri per la terapia della sterilità.

- Monosomia: si osserva meno frequentemente poiché è generalmente incompatibile con la vita.

È importante ricordare che i precedenti familiari e l’età paterna non influenzano il rischio di anomalia
cromosomica nel nascituro.

2. Strutturali
Le anomalie di struttura dei cromosomi possono essere di vario tipo, e derivano da mutazioni che
determinano un aumento o una perdita o un trasferimento di segmenti cromosomici; possono coinvolgere
uno o più cromosomi. La loro frequenza alla nascita è di 1/375 neonati.
Traslocazioni reciproche: relativamente comuni. Consistono in uno scambio di segmenti tra cromosomi non
omologhi; possono essere bilanciate, con quantità di materiale genico adeguata, conseguenze fenotipiche per lo più di
normalità, ma con una maggiore probabilità di produrre gameti sbilanciati causa di aborti o di patologia malformativa, o
sbilanciate, con perdita o acquisizione di una certa quantità di materiale genico o conseguente assetto fenotipico
anomalo.

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Ritardo di crescita intrauterino.
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Traslocazioni Robertsoniane: derivano dalla fusione delle braccia lunghe di due cromosomi acrocentrici (13, 14, 15,
21, 22) con perdita dei corrispondenti bracci corti. I soggetti portatori di tali anomalie possiedono 45 cromosomi e sono
fenotipicamente normali; gli individui eterozigoti possono produrre gameti sbilanciati. La traslocazione robertsoniana
pù frequente coinvolge i cromosomi 14 e 21 ed è causa del 5% dei casi di sindrome di Down. Quando una traslocazione
viene identificata in un feto, è opportuno estendere l’esame ai genitori: se l’anomalia è ereditata da una genitore
fenotipicamente normale, si può prevedere che il feto sarà normale, viceversa se la traslocazione si verifica come evento
de novo, il rischio di un’anomalia fenotipica è aumentato.

Delezioni: consistono nella perdita di un segmento cromosomico e quindi monosomia parziale. Alcune delezioni sono
troppo piccole per essere rilevate al cariotipo di routine e richiedono l’uso della FISH per essere identificate. Queste
microdelezioni possono interessare vari geni e causare numerose sindromi.

Inserzioni: consistono in una traslocazione di un segmento di cromosoma in un altro cromosoma; la frequenza di tali
anomalie non è nota, ma molto rara. Se l’inserzione è bilanciata, il portatore avrà un fenotipo normale; viceversa se
sbilanciata.

Tecniche non invasive


Tra le metodiche non invasive quelle che vengono riconosciute come più idonee tra tutte sono : la rilevazione
della traslucenza nucale e l’analisi della frazione di DNA fetale estratto da sangue materno ( le NIPT: non
invasive prenatal test ). Dal punto di vista della conoscenza scientifica viene così definitivamente abbattuto il
concetto della barriera ematoplacentare. Fino a poco tempo fa si pensava infatti che non ci fosse nessuna
commistione tra la circolazione fetale e quella materna e che gli scambi tipo ossigenativo e nutritivo, che
avvengono normalmente a livello placentare, non prevedevano alcuna commistione tra le due circolazioni. In
realtà su questo concetto già da diversi anni c’erano dei dubbi, ed oggi abbiamo la dimostrazione pratica che la
barriera ematoplacentare non esiste, tanto che possiamo andare a rilevare la presenza di DNA fetale nel torrente
circolatorio materno.

Lo scopo di test non invasivi, quali l’ecografia e i test sierologici, è quello di selezionare donne gravide con
aumentato rischio di patologie, in particolare di cromosomopatie, per poi indirizzarle verso metodiche
invasive, quali l’amniocentesi e la villocentesi. Fino a qualche anno fa l’amniocentesi era consigliata ed
offerta gratuitamente a pazienti al di sopra di 35 aa, in quanto la possibilità di avere un figlio con trisomia 21
era 1/375 e quindi era considerato un rischio sufficiente per sottoporre la mamma all’amniocentesi. Adesso
quindi non è più valido questo valore soglia in quanto si preferisce usare un test non invasivo come screening a
qualsiasi età, perché:

- Le trisomie possono verificarsi a qualsiasi età della paziente

- Non si vuole correre il rischio di interrompere la gravidanza di un figlio sano (le tecniche invasive hanno
un rischio, anche se basso, di aborto, e quindi lo screening viene usato per selezionare le pazienti da
sottoporre alla diagnostica invasiva.)

Quindi mentre prima i test invasivi venivano effettutati sul 20% delle gravide, ora solo sul 2,5%, diminuendo
di conseguenza anche il numero di aborti spontanei legati a queste procedure. Hanno anche aumentato la
capacità diagnostica delle anomalie cromosomiche, portandola al 90-95%.

I trimestre: entro la 10-12 settimana


 Monotest:
- PAPP-A (proteina plasmatica A associata alla gravidanza) + età gestazionale. 59% DR
- Inibina + età gestazionale. 22% DR

 Bitest:
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- PAPP-A + Inibina + età gestazionale. 62% DR


- PAPP-A + b-HCG + età gestazionale. 65% DR3

L’unico test che si usa è il bitest associato all’ecografia, quindi il test combinato, gli altri test non si usano più. i4

Il Bi test è un test sierologico effettuato tra la decima e la tredicesima settimana, nel quale si dosano il b-
HCG + PAPP-A. Questi valori saranno poi valutati in relazione ad altri fattori -quali età materna, etnia, ecc.-
per ottenere un risultato che esprime un rischio in termini statistici percentuali. Il cut-off del bitest è 1:250,
questo è il rischio che viene fuori dal computer quando mettiamo dentro tutti i dati. Se è più alto, cioè 1:100
o 1:50, consigliamo la diagnostica invasiva, se è più basso 1:300, 1:1000, è sufficiente fare diagnosi non
invasiva.

Il detection rate (DR) del Bi Test è del 65%, quindi è necessario effettuarlo in combinazione con l’ecografia,
andando a valutare la traslucenza nucale e l’osso nasale. In più possiamo usare la valutazione del flusso
dell’onda nel dotto venoso e del rigurgito della tricuspide (marcatori ecografici minori).

Il test combinato ci da un’affidabilità dal 93 al 96%.

Il tritest non si usa più, mentre l’aumento dell’alfafetoproteina si associa a patologie del tubo neurale, quindi in
genere a spina bifida.

A prescindere dall’età, a tutte le donne deve essere offerto un test di screening non invasivo del primo
trimestre, quindi la prima ecografia è consigliata nel primo trimestre, associata al bitest oppure, come
vedremo dopo, alla ricerca del DNA fetale. Se abbiamo un rischio personale elevato allora poi sottoponiamo
la donna ad una diagnosi prenatale invasiva. Quindi non usiamo più i 35 anni come veniva usato qualche
anno fa, anche perché si è osservato che la maggior parte dei neonati con la trisomia 21 nascevano da donne

3
Quando è presente una trisomia 21, la concentrazione sierica materna di beta-hCG è elevata, mentre la concentrazione
della PAPP-A è bassa.
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D’amelio nella sua lezione non parla volutamente del bi test e del test combinato, in quanto sostiene che ormai fanno
parte della storia della diagnosi prenatale ma non vengono più effettuate.
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con un’età inferiore ai 35 anni, quindi era giusto offrire a tutte la possibilità di avere questo screening
combinato.

L’ecografia del primo trimestre (effettuata tra l’11° e la 14° settimana) è estremamente importante, ci
permette di:

- Conoscere l’età gestazionale del feto con precisione: come detto in precedenza possono esserci delle
donne che hanno due mestruazioni l’anno, due ovulazioni l’anno, quindi non sappiamo bene quando è
iniziata la gravidanza, ma con l’eco la possiamo datare con precisione perché fino alla 9°/10° settimana
l’embrione cresce nello stesso modo e quindi dalle dimensioni dell’embrione possiamo risalire all’età
gestazionale.
- Valutare l’accrescimento fetale (la lunghezza, CRL)

- Diagnosticare anomalie scheletriche, cardiopatie e agenesie degli organi: già alla 12° settimana, infatti,
siamo in grado di vedere se il cranio e gli arti sono presenti, mentre per diagnosticare le cardiopatie
bisogna aspettare un po’ di più, circa la 16°/20° settimana, come anche per l’agenesia degli organi.

Spesso alcuni aspetti ecografici possono essere segno di una patologia cromosomica:

- Ispessimento della translucenza nucale (NT, dovuta all’accumulo di liquido dietro la colonna
vertebrale, posto fra il piano rachideo cervico-toracico e la cute fetale): se è superiore a 6mm, c’è un
rischio dieci volte maggiore di essere in presenza di un feto con anomalia cromosomica.

Normalmente a livello della nuca fetale viene evidenziata la presenza di un piccolo edema che è da
considerare fisiologico. Uno degli studiosi più attivi nell’ambito della diagnosi prenatale, notò che in caso
di Sindrome di Down lo spessore della translucenza nucale aumentava rispetto ai feti normali. Partendo
da questa osservazione si è standardizzata la metodica: sono state dettate delle regole per poter rilevare
questa translucenza nucale, che prevedono l’uso di apparecchiature sufficientemente sofisticate e
performanti che consentono di misurare gli spessori al decimo di millimetro. Affinchè questa metodica
sia riconosciuta come valida dobbiamo:

1. Avere una scansione della nuca fetale, e quindi un’immagine della nuca fetale che occupa circa
l’80% della nostra possibilità di visione, ovvero 80 % dello schermo

2. L’età gestazionale deve essere compresa tra la settima la undicesima settimana

3. Il CRL (ovvero la lunghezza dell’embrione ) non deve superare i 58 mm

4. Dobbiamo avere una scansione giusta dal punto di vista assiale che ci permetta di vedere oltre alla
translucenza nucale anche il box faringeo fetale e la presenza dell’osso nasale.

Questa metodica è particolarmente importante perché in molte regioni italiane è stato abbattuto il criterio
dell’età materna come indicazione all’esecuzione delle metodiche invasive. Le metodiche invasive
vengono effettuate successivamente solo nel caso in cui esistano dei dubbi in seguito alla rilevazione
della translucenza nucale. Questo è importante perchè l’alta diffusione dell’esecuzione di questa
metodica è giustificata dal raggiungimento di una sensibilità del 97 % se associata ad altri elementi di
valutazione quali la valutazione dell’osso nasale , la rilevazione sul sangue materno della Beta-hcg libera
e di una proteina tipica della gravidanza che si chiama AFPAP ( alfafetoproteina alcalina placentare) , il
peso della paziente, l’abitudine al fumo , la razza. L’elevata sensibilità di questa metodica se associata a
questi altri elementi di valutazione ne giustifica quindi l’ampia diffusione non dimenticando poi l’altro
vantaggio che è il basso costo. La metodica della translucenza nucale è valida per rilevare il sospetto
delle aneuploidie cromosomiche, tra cui la trisomia 21 (sindrome di Down), trisomia 13 e trisomia 18.
Questa metodica è entrata nella pratica clinica a tal punto che le linee guida di ostetricia dicono che va
proposta comunque a tutte le pazienti di qualsiasi età. L’elemento a sfavore di questa metodica è però
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che, essendo un esame di screening, si basa su una valutazione unicamente di tipo probabilistico : il cut-
off di patologia è considerato 1 a 250. Questo vuole dire che al di sotto di questo cut-off è tassativamente
obbligatorio l’approfondimento diagnostico mediante metodiche invasive.

- L’assenza dell’osso nasale: inserito nel 2001 tra i test di screening, è stato ideato da una dottoressa
italiana dell’università di Cagliari la quale aveva notato che i feti con trisomie all’11°-12° settimana
non presentavano l’osso nasale, a differenza dei feti sani.
- L’onda flussimetrica del dotto venoso: il flusso che si inverte al momento della contrazione atriale,
valutato tra la 11° e la 13° settimana è associato ad aneuploidia e a malformazioni cardiache.
- Il rigurgito della tricuspide.

L’NT e l’assenza dell’osso nasale sono le più importanti.

- Le cisti dei plessi corioidei: sono associate ad un rischio di 1,5 volte in più

- L’iperecogenicità delle anse addominali associate a rischio di 5 volte in più

- La presenza di ossa lunghe (femore e omero) più corte associate a rischio di 2,5 volte in più

- Altri segni sono: la ventricolomegalia cerebrale, le cosiddette golf ball che sono dei falsi tendini che
danno focus intracardiaci iperecogeni , l’arteria ombelicale unica, la pielectasia e la cisterna
magna ingrandita.

Se sono presenti due di questi segni minori è indispensabile indirizzare la paziente alla consulenza
genetica.

Normalmente in gravidanza vengono proposte 3 ecografie, anche se il DEA le ha ridotte a due: quella del
primo trimestre e quella del secondo trimestre intorno alle 20°/22° settimana, anche se già dalla 16°
settimana riusciamo a fare quella che si chiama pre-morfologica, quindi screenare molte anomalie.

La sensibilità dell’ecografia non è altissima, intorno al 65%, quindi bisogna parlare con la paziente e
spiegarle che con l’ecografia non riusciamo a vedere bene tutto, altrimenti si creano troppe aspettative da
parte della coppia di avere una diagnosi precisa. Per esempio per quello che riguarda le cardiopatie ci sono
molte possibilità di non fare una diagnosi precisa.

I risultati ottenuti dalla combinazione di Bi test ed ecografia, presentano un DR del 97%. Negli ultimi due
anni a questo test combinato si è aggiunta anche la ricerca di DNA fetale nel sangue materno che presenta
un’affidabilità maggiore rispetto al test combinato ma minore rispetto alle metodiche invasive.

Analisi su DNA fetale nel sangue materno


Ad oggi sono stati fatti enormi progressi nell’ambito della genetica medica, che ha permesso di riuscire ad isolare
dal torrente circolatorio materno il DNA fetale. Si tratta di uno screening prenatale non invasivo ma non
diagnostico, con una SE più elevata rispetto agli attuali test di screening che combinano le analisi biochimiche e la
translucenza nucale.

Con questa metodica possiamo fare una valutazione a diversi livelli:

- Alterazioni di numero: valutare il numero dei cromosomi rilevando così eventualmente aneuploidie. Lo scopo è
lo stesso della translucenza nucale, ma con la differenza che questa metodica non si basa su una valutazione
probabilistica ma biologica, infatti ci permette di vedere direttamente i cromosomi e poterli contare;

- Alterazioni di struttura : valutare la struttura dei cromosomi potendo evidenziare eventuali delezioni,
traslocazioni , inversioni ecc. Permette quindi di effettuare una diagnosi genetica più raffinata.
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- Rilevazione delle microdelezioni : questa tecnica permette lo studio di particolari sequenze geniche che in alcuni
casi sottendono al possibile sviluppo di patologie malformative anche gravi.

Con questa metodica abbiamo quindi un ampio ventaglio di possibilità diagnostiche. La frazione di DNA fetale
che deve essere isolato dal sangue materno, per poter rendere la metodica attendibile, deve essere almeno del 4 %
rispetto alla parte materna. Questa metodica è in realtà relativamente recente perché entrata nella pratica clinica da
almeno 7-8 anni e la comunità scientifica la considera come metodica di screening. I laboratori di genetica che ci
forniscono queste risposte hanno possibilità di errore < allo 0,1 % , percentuale che rende la metodica
assolutamente attendibile nell’ambito della diagnosi prenatale non invasiva e che essendo tale non contempla
rischi per la gravidanza legati all’esecuzione della metodica stessa.

Alla base di questo test vi è il fatto che a partire dal primo trimestre di gravidanza, è presente nel circolo ematico
materno DNA libero di origine fetale, non contenuto cioè in un nucleo cellulare (cell free fetal DNA; cffDNA),
prodotto principalmente dal cito-sinciziotrofoblasto. Esso può essere isolato precocemente a partire dalla 10°
settimana, quando raggiunge quantità sufficienti per il potenziale impiego clinico; la sua percentuale può variare
tra <4%, quantità non utile per la diagnosi, e circa il 40%, con una media del 10% alla 12° settimana.

Il test, finalizzato allo screening di feti affetti da trisomia dei cromosomi 13, 18 e 21, o da un’aneuploidia dei
cromosomi sessuali è stato valutato attraverso studi internazionali su ampi campioni di gravidanze.
L’identificazione di una trisomia fetale si basa sull’identificazione di sequenze geniche assenti e/o diverse dal
genoma materno nel DNA libero presente nel plasma materno.

Si tratta di un semplice prelievo di sangue materno nel quale vanno ricercate le cellule fetali delle quali siamo in
grado di valutare anomalie numeriche dei cromosomi. Anche questo test deve essere sempre associato
all’ecografia e deve essere effettuato nel primo trimestre.

Il limite di questa analisi è tuttavia la scarsità del materiale: non abbiamo così tante cellule come quelle che si
possono prelevare dall’amniocentesi o villocentesi.

Questo test associato all’ecografia, quindi con valutazione della traslucenza nucale e dell’osso nasale, si chiama
NIPT (non invasive prenatal test), che consiste, quindi, nella ricerca del DNA fetale nel sangue materno associato
all’ecografia della 12° settimana, quindi fine primo trimestre.

Nel caso di test positivo per una possibile anomalia cromosomica, la sua interpretazione viene demandata alla
consulenza genetica per un eventuale successivo approfondimento diagnostico su campioni fetali acquisiti con
tecniche invasive (villocentesi, amniocentesi).

Frra la XIV e la XVIII settimana di gestazione, dovremmo fare ovviamente un follow up clinico, valutando
soprattutto l’aumento ponderale, o i tamponi vaginali, importanti per la valutazione di eventuali infezioni che per
via ascendente possono interessare il feto. Si può andare ad effettuare l’ecografia ostetrica morfologica, ossia
un’ecografia di II livello di cui gli standard di refertazione sono sicuramente più dettagliati rispetto ad una
ecografia di I livello. Cosa dobbiamo valutare?
- Anatomia fetale
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- Epoca gestazionale: questo è importante perché all’ultimo momento, intorno alla XX settimana, possiamo
ancora rifare una datazione della gravidanza. Quando si è parlato dell’ecografia ostetrica del I trimestre,
abbiamo detto che una cosa importante era confrontare l’epoca gestazionale presunta e quella effettiva e
ciò è importante poi per i controlli successivi. Questo è l’unico momento in cui possiamo rifare una
datazione della gravidanza.
- Accrescimento fetale: perché l’80% dei danni neurologici neonatali sono legati a deficit di accrescimento
intrauterino.
- La sede dell’impianto placentare ed escludere che ci siano anomalie della placenta previa, placenta
impiantata al davanti della parte presentata, o laterale o marginale
- Valutare la quantità di liquido amniotico, un liquido importantissimo dal punto di vista funzionale,
l’aumento della quantità e la sua riduzione possono farci correttamente sospettare la presenza di alcune
patologie. Facciamo due esempi: 1) l’aumento del liquido amniotico si ha nel diabete gestazionale; 2) la
riduzione del liquido amniotico può essere determinata da alcune malformazioni fetali, ad esempio
stenosi duodenale o atresia dell’esofago e tutto ciò che interrompe il sistema gastroenterico può dare
un’interruzione del liquido amniotico.
Come viene fatto l’esame morfologico? Ci sono dei distretti che devono essere necessariamente esplorati. Del
distretto cefalico dobbiamo valutare le dimensioni cervelletto, i ventricoli laterali, il corno occipitale e il corno
frontale. Perché vanno valutati precocemente? Perché chiaramente per una semplice legge fisica, dove minore è il
diametro maggiore è la pressione, per cui in caso di tensione liquorale i primi distretti a soffrire sono questi e
quindi vanno valutati. Poi dobbiamo valutare la cisterna magna, quella zona dietro al cervelletto verso la parte del
bulbo encefalico, dove c’è la connessione fra circolazione liquorale encefalica e spinale.
Dobbiamo poi valutare il corpo calloso, la sua integrità globale. Poi analizzeremo il torace, i polmoni, il cuore.
Non dobbiamo eseguire un ecocardiogramma fetale, che non è di nostra competenza, però dobbiamo riconoscere
quelle alterazioni che potrebbero richiedere un intervento chirurgico. Andremo a fare delle scansioni apicali delle
quattro camere cardiache, valuteremo il forame ovale, i movimenti ventricolari e soprattutto quelli valvolari.
Faremo scansioni sul lungo asse cardiaco dove valuteremo la continuità setto aortica, l’arteria polmonare con la
sua biforcazione, importante per escludere la trasposizione dei grandi vasi. Scendendo ancora valuteremo
diaframma escludendo eventuali ernie e poi lo stomaco, la colecisti, il fegato, il sistema intestinale. Poi
valuteremo in toto la colonna vertebrale. Analizzeremo gli arti superiori e inferiori, le estremità, l’asse del piede e
della gamba per valutare la presenza del piede torto. Tornando a livello cranico le orbite, i cristallini dell’occhio,
l’osso nasale, il palato e le labbra.

Come vedete l’esame morfologico fetale estremamente impegnativo, di grandissima responsabilità per il
ginecologo che esegue l’ostetricia perché il più delle volte il maggior numero di avvertenze medico-legali è legato
alla modalità del parto e all’esecuzione dell’esame morfologico. E’ un esame che richiede molta pazienza e tempo,
infatti delle volte bisogna aspettare i giusti movimenti e le giuste posizioni fetali per concludere l’esame, quindi è
un’indagine molto importante ma al tempo stesso molto impegnativa.

Obiettivi dell’ecografia ostetrica nel 3° trimestre

1. Valutazione crescita fetale:


- Ritardo di accrescimento asimmetrico: si caratterizza con uno sviluppo dell’estremo cefalico più o meno
nella norma, per quanto ridotto, ma soprattutto con una fortissima riduzione del peso fetale. Questo è
dovuto al fatto che i feti in condizioni di ipossia cronica mettono in atto un meccanismo di compenso
detto ‘centralizzazione del circolo” per cui vasodilatano al livello degli organi necessari per la loro
sopravvivenza, quindi soprattutto al livello cerebrale,surrenale,coronarico,mentre vasocostringono al
livello di cute,muscolo,intestino,negli organi cioè non strettamente necessari. E’ un meccanismo di
compenso che consente di mitigare eventuali danni ipossici al livello cerebrale ma, essendo un
meccanismo molto labile che facilmente può sconfinare verso lo scompenso e quindi verso danni
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neurologici permanenti, sono necessari sia controlli ecografici per monitorare la crescita sia controlli di
tipo flussimetrico per valutare il compenso.
- Ritardo di accrescimento simmetrico: caratterizzato da iposviluppo sia al livello cerebrale sia al livello
somatico. Molto spesso questo tipo di ritardo di accrescimento precoce è dovuto a cause genetiche.

2. Controllo della quantità di liquido amniotico


3. Valutazione dell’inserzione placentare
4. Valutazione della presentazione e della posizione del feto per la programmazione della modalità del
parto.

Tecniche invasive
Indicazioni:

 Presenza di un rischio procreativo prevedibile a priori: età materna avanzata, genitore portatore eterozigote
di anomalie cromosomiche, genitori portatori di mutazioni geniche, se c’è stato un precedente figlio con
malattia cromosomica, se c’è una malattia genetica familiare.

 Presenza di un rischio fetale resosi evidente nel corso della gestazione: malformazioni evidenziate
dall’esame ecografico, malattie infettive insorte in gravidanza, positività dei test biochimici per anomalie
cromosomiche, familiarità per patologie genetiche, se alla villocentesi si è riscontrato un mosaicismo;

 Necessità di valutare AFP nel liquido amniotico

La scelta della metodica invasiva può essere effettuata in seguito a consulenza genetica.

Per quanto riguarda le malattie insorte in gravidanza, uno degli impieghi dell’amniocentesi è l’isolamento dal
liquido amniotico del RNA di alcuni patogeni , la cui presenza indica un’infezione fatale. Tanto per essere meno
generici, sappiamo che i patogeni responsabili di un elevato rischio malformativo, se contratti in gravidanza, sono
quelli designati dalla sigla TORCH: toxoplasmosi, rosolia, citomegalovirus, herpes simplex. Tutte le linee guida, a
parte quelle italiane, prevedono che sia effettuato un screening quanto meno per la rosolia, il citomegalovirus e il
toxoplasma. Possiamo avere diverse possibilità: ad esempio una donna che ha già contratto la rosolia in passato e
che non si trova in fase attiva di malattia, avente quindi IgG positive e IgM negative ( lo stesso per quanto
riguarda gli altri patogeni).
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La toxoplasmosi è una malattia infettiva molto diffusa, una volta contratta l’infezione si ha poi un’immunità
costante per tutto il corso della vita, ma se contratta in gravidanza può dare importantissime alterazioni fetali,
soprattutto a livello cerebrale (responsabile di calcificazioni cerebrali con alterazione sia del parenchima sia della
circolazione liquorale con possibilità di sviluppo di ventricolomegalie e macrocefalia) e a livello del sistema
visivo. La trasmissione al feto della toxoplasmosi si verifica più frequentemente nell’ultimo trimestre di
gravidanza, responsabile di lesioni meno gravi rispetto a quelle causate da un’infezione contratta nel primo
trimestre di gravidanza.
L’infezione da citomegalovirus, responsabile di una sintomatologia simil-influenzale se non contratta in
gravidanza, differentemente dall’infezione da toxoplasma, non da un’immunità permanente e quindi in gravidanza
si posso avere delle seconde infezioni che possono danneggiare il feto.
Quindi nel caso in cui in una donna riscontrassimo IgM positive per uno di questi patogeni, indice di un’infezione
in atto, dovremo andare valutare se c’è stato o meno contagio fetale mediante la ricerca dell’RNA virale nel
liquido amniotico, e qualora presente, mettere in atto le strategie terapeutiche. Le strategie terapeutiche possono
essere ad esempio l’uso della Spiromicina per Toxoplasma ,oppure l’uso, seppur sperimentale, di
immunoglobuline nel caso di infezione da Citomegalovirus. Secondo la legislazione italiana, in gravidanza non si
deve fare prelievo di liquido amniotico per ricerca del Citomegalovirus , in quanto non essendoci terapia non
occorre fare diagnosi, tant’è vero che la donna in gravidanza non ha l’esenzione per il citomegalovirus. 5

Una cosa che si faceva prima, ma che adesso è in disuso, è il prelievo di liquido amniotico tardivo nel terzo
trimestre di gravidanza per andare a valutare la maturità polmonare fetale, attraverso il dosaggio del
fosfatidilglicerolo (precursore del surfactante polmonare) oppure attraverso lo studio dei corpi lamellari
bronchiali. Lo scopo era quello di poter regolare il timing del parto in base al grado di maturità, ma ad oggi la
possibilità di utilizzare altre metodiche e la possibilità di usare una profilassi corticosteroidea per la maturità
steroidea ha fatto cadere in disuso queste metodiche.

Amniocentesi
Nessuno dei test non invasivi è all’altezza dell’amniocentesi o villocentesi, infatti se noi vogliamo avere una
sicurezza per quel che riguarda anomalie cromosomiche dobbiamo eseguire la diagnosi invasiva. La diagnostica
non invasiva non può eguagliare quella invasiva, ci serve tuttavia come detto in precedenza per selezionare le
pazienti a rischio da sottoporre alla diagnosi invasiva. Deve essere chiaro quindi che non sono esami
sovrapponibili, neanche la ricerca del DNA fetale nel sangue materno associato all’ecografia può uguagliare
l’amniocentesi o la villocentesi.

L’amniocentesi consiste nel prelievo transaddominale di liquido amniotico effettuato sotto guida ecografica. Le
cellule contenute nel liquido amniotico, dette amniociti, derivano dallo sfaldamento della cute fetale, dell’epitelio
gastrointestinale, urogenitale e respiratorio nonché dall’amnios.
È un esame ambulatoriale in cui si utilizza un ago con un piccolo calibro (di 20-21 Gauge) e si prelevano circa 15-
20 cc di liquido amniotico che si andranno a riformare nel giro di una settimana (in questo periodo di gravidanza il
liquido amniotico è di circa 200-300 cc). Dopo un’ora o massimo due dall’esame la paziente può tornare a casa. È
sufficiente un riposo a letto o in poltrona di 48 ore e poi si può riprendere una vita normale.

È importante distinguere le due modalità di esecuzione con cui viene effettuato: eco-assistita e eco-guidata.
- Eco-assistita: ci consente di vedere dove si trova la tasca di liquido amniotico da cui fare il prelievo.
- Eco-guidata: si basa sull’utilizzo di una guida che viene montata sulla sonda ecografica e in questo
modo l’ecografo ci da con precisione la sede in cui andrà l’ago e la profondità necessaria per fare il
prelievo.

Questa precisazione tecnica è importante in merito al discorso delle possibili complicanze dell’amniocentesi, in
quanto la metodica eco-guidata è in grado di abbattere enormemente i rischi legati all’esecuzione dell’esame.

5
Il professore definisce antiquato questo concetto su cui si basa la legislazione italiana, e non è assolutamente
d’accordo su questo perché qualora ci fosse un’infezione da CMV nel primo trimestre di gravidanza la donna ha
il diritto di saperlo per poter poi eventualmente attuare un’interruzione terapeutica di gravidanza.
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Con l’amniocentesi si prelevano circa 20 cm3 di liquido amniotico, che viene messo poi in coltura. Bisogna
attendere almeno 40 mitosi, dopodiché si estrae il DNA nucleare e vengono analizzati i cromosomi.
Quella appena elencata è la metodica definita classica, che ha il vantaggio di avere un costo relativamente basso,
tuttavia ha lo svantaggio di un tempo necessario per avere i risultati di almeno 20 giorni (tempo che intercorre tra
prelievo, coltura e analisi). Questo rappresenta uno svantaggio poiché l’amniocentesi viene effettuata tra la
sedicesima e la ventesima settimana di gestazione6, periodo gestazionale in cui il rapporto tra volume fetale e
volume amniotico è favorevole. Quindi nel caso in cui l’amniocentesi, per svariati motivi, venga effettuata non
proprio alla sedicesima settimana ma oltre, e rilevasse una patologia che può far optare la madre per un’
interruzione terapeutica di gravidanza ( l’aborto terapeutico secondo la nostra legislazione può essere effettuato
entro la ventunesima7 settimana di gestazione ) questi 20 giorni di attesa della risposta potrebbero far superare il
limite per l’aborto terapeutico (superare cosi le 21 settimane di gestazione) e creare dei problemi di ordine
medico legale.
Con lo scopo di ottenere dei risultati in meno tempo possiamo intraprendere un’altra strada : prelevare il liquido
amniotico ed inviarlo al laboratorio di genetica molecolare per effettuare il cariotipo molecolare. In questo caso il
vantaggio è la rapidità della risposta perché il cariotipo molecolare viene effettuato direttamente sul DNA di
alcune cellule fetali senza necessita di coltura. Il liquido amniotico consente inoltre opportune indagini in caso di
sospetta infezione fetale (toxoplasmosi, CMV, rosolia, varicella).

Quando si esegue l’amniocentesi oltre al cariotipo fetale, si ha anche l’indicazione per l’alfafetoproteina, prodotta
dal feto, che si alza durante una gravidanza gemellare o in determinate patologie, in particolare aumenta
moltissimo in caso di alterazioni del tubo neurale come l’anencefalo, spina bifida, meningocele,
mielomeningocele. Risulta ridotta invece nelle trisomie. In caso di valori alterati di alfafetoproteina, bisogna
effettuare un’ecografia nel secondo trimestre molto accurata, per evidenziare eventuali anomalie morfologiche
fetali associate.

Importante è la valutazione dell’HCG, glicoproteina prodotta esclusivamente dal sinciziotrofoblasto, che nelle
prime settimane presenta azione luteotrofa e successivamente una probabile azione di controllo sulla risposta
immune materna. Aumenta maggiormente nella gravidanza gemellare, nella mola, nella sindrome di Down e in
altre patologie cromosomiche e gravidiche.

Poi abbiamo l’estriolo, prodotto di degradazione degli estrogeni, prodotto sia dalla madre che dal feto.

Il vantaggio dell’amniocentesi, rispetto alle metodiche non invasive (come lo studio della frazione di DNA fetale
su sangue materno), è dato dalla raffinatezza del metodo: mentre le metodiche non invasive al momento sono in

6
Questo è quello che è stato detto da D’amelio, la prof.ssa Piccioni e il libro sostengono che l’Amniocentesi si effettua
fra la 16° e la 18° settimana di gestazione.
7
Nelle scorse lezioni è stato invece detto che il limite è di 22 settimane e tre giorni.
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grado di evidenziare 9 tra le maggiori microdelezioni responsabili di patologie, con lo studio del cariotipo
molecolare eseguito direttamente su liquido amniotico, ne possiamo testare più di 200. È perciò evidente che il
valore diagnostico dell’amniocentesi è di gran lunga superiore rispetto a quello delle tecniche non invasive. A
questo punto sorge spontanea una domanda: perché non fare sempre l’amniocentesi? Perché l’amniocentesi
comporta dei rischi.

Rischi dell’amniocentesi

In termini numerici le nostre società indicano un rischio intorno all’1%, nella realtà il rischio reale legato
all’esecuzione dell’amniocentesi, specie con la metodica eco-guidata, è inferiore allo 0,1%.
Quali sono le complicanze legate all’amniocentesi?
1. Rottura del sacco amniotico con l’esecuzione del prelievo: è la complicanza principale, e nonostante sia
stufiata da molti anni ancora non si è riusciti a comprendere a cosa possa essere legata. In linea teorica è
difficile che il prelievo possa determinare una rottura del sacco amniotico, dal momento che usiamo aghi
molto sottili, di diametro inferiore a 20 G. Probabilmente il fattore maggiormente responsabile di questa
complicanza è la presenza di infezioni che hanno coinvolto il sacco amniotico, per via ascendente dal canale
vaginale e cervicale, o per via ematogena da infezioni sistemiche. L’altra ipotesi più accreditata, a seguito di
evidenze di rottura del sacco amniotico ma in assenza di infezioni sistemiche e vaginali, è che alla base ci
possa essere un’alterazione genetica materna responsabile di un’alterazione delle cellule che vanno a formare
il sacco amniotico e che lo rendono particolarmente fragile. Questa però è solamente un’ipotesi in quanto non
siamo né arrivati a trovare una profilassi per evitare questa complicanza né siamo riusciti a trovare una
metodica che preveda un prelievo di liquido amniotico senza incombere in questa complicanza.
La rottura del sacco amniotico può essere di diversi gradi :
• Rottura alta del sacco amniotico: può determinare una forte riduzione della quantità di liquido amniotico
ma non la completa assenza. Questa è una complicanza che se trattata con antibiotico e con terapia che
blocca la contrazione uterina può essere risolta.
• Rottura completa del sacco amniotico con anidramnios: totale assenza del liquido amniotico che
comporta un addossamento delle pareti dell’utero al corpo fetale e la complicanza principale che ne
deriva, oltre a quelle di tipo infettivo, è l’impedimento dello sviluppo di molti organi. La più frequente è
l’iposviluppo polmonare per inestensibilità della gabbia toracica.

Se questa quantità di liquido che viene persa dalla gestante è piccola, la gravidanza, dopo un po’ di riposo a letto,
può andare avanti e arrivare a termine senza problemi.

Il rischio di aborto di un feto normale in seguito all’esecuzione di metodiche invasive è di circa l’1%, per questo è
così importante lo screening con le metodiche non invasive. Oltre all’aborto ci possono essere rischi minori che
richiedono un ricovero ospedaliero. Tra i rischi materni abbiamo:

• Perdite ematiche

• Perdita di liquido amniotico: se la perdita è minima si procede con un ricovero e una profilassi antibiotica e la
gravidanza prosegue normalmente, se invece è abbondante, il rischio è maggiore

• Contrazioni uterine

• Isoimmunizzazione, per cui in caso di pz Rh- si procede alla somministrazione di immunoglobuline nel dubbio
che il feto possa essere positivo
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Tra i rischi fetali:

• Puntura del feto, praticamente assente grazie alla guida ecografica

Si può eseguire l’amniocentesi per via transplacentare senza aumentare il rischio, anzi c’è chi dice che il rischio di
rottura delle membrane amniotiche diminuisce. L’unico caso in cui non si deve attraversare la placenta è se noi
vogliamo esaminare il liquido amniotico per vedere se c’è stato il passaggio di un agente infettivo, in questo caso
potremmo infettare il liquido amniotico con il nostro ago attraverso la placenta. In tutti gli altri casi, se ci serve
solo per la determinazione del cariotipo e le altre analisi genetiche, possiamo attraversare la placenta. Nel caso
raro in cui non riusciamo a prelevare liquido o non riusciamo a effettuare amniocentesi e villocentesi, possiamo
ripetere il tentativo senza aumentare il rischio di aborto.

Villocentesi
La villocentesi consiste nel prelievo dei villi coriali, con una procedura molto simile all’amniocentesi solo che
invece che prelevare il liquido amniotico preleviamo una piccola quantità di villi coriali. I villi coriali sono quella
parte della placenta dove a tutti gli effetti si verificano gli scambi tra compartimento materno e compartimento
fetale. Nei villi coriali della placenta il DNA presente è quello fetale, che si può analizzare direttamente senza
bisogno di coltura, valutando numero e struttura dei cromosomi.
Il vantaggio di questa metodica è che può essere effettuata molto precocemente, da quando si sviluppano i villi
coriali, quindi dalla undicesima settimana in poi . Questo è importante perché se abbiamo diagnosi di anomalia
entro la 12° settimana e 6 giorni la procedura dell’interruzione di gravidanza è più veloce oltre che crea meno
danni psicologici alla paziente: è infatti sufficiente l’aspirazione rispetto al piccolo parto che si provoca quando si
superano le 12 settimane e 6 giorni. Quindi, noi seguiamo verso la 11°/12° settimana la diagnosi non invasiva, in
caso di rischio richiediamo la villocentesi, se riusciamo ad avere la risposta di certezza entro breve tempo e c’è
una patologia, la paziente prima della 13° settimana può interrompere la gravidanza.

Allora perché non si esegue sempre la villocentesi rispetto all’amniocentesi? Per due motivi:
1. La tecnica della villocentesi può essere più indaginosa: la placenta può essere messa in un posto difficilmente
raggiungibile, ad esempio se localizzata a livello della superficie posteriore dell’utero, quindi dalla parte
totalmente opposta rispetto a quella in cui entriamo con l’ago, oppure se c’è interposizione del feto o del
cordone ombelicale.
2. Ci sono state delle segnalazioni di aumento del rischio legato all’esecuzione della villocentesi rispetto
all’amniocentesi, come un aumento di eventi malformativi soprattutto a carico degli arti . Nella realtà le
ultime metanalisi ci dicono che il rischio legato all’esecuzione delle due metodiche è praticamente uguale,
siamo sempre nell’ordine del’1% indicato sui consensi informati. I rischi della procedura sono sempre
l’aborto e inoltre anche l’isoimmunizzazione.
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Per cui oggi , nonostante si stia cercando di diffondere sempre più la metodica, la villocentesi viene riservata solo
alle donne con elevato rischio genetico o anamnestico.

L’esecuzione è analoga a quella dell’amniocentesi, il prelievo è sempre transaddominale (si faceva anche per via
transcervicale, ma era maggiormente soggetta ad infezioni). Si utilizza un ago più grande poiché deve raggiungere
il tessuto placentare per aspirare i villi coriali.
Non deve essere fatta prima dell’11° settimana, altrimenti si associa ad anomalie di mani e piedi, probabilmente
a causa di alterazioni circolatorie dovute alla sottrazione di tessuto placentare.

Il problema della villocentesi è che la placenta può presentare dei mosaicismi cromosomici che non
necessariamente si riscontrano nel feto, in questo caso bisogna procedere con un’amniocentesi per escludere
eventuali errori diagnostici.

Anche la villocentesi è un esame ambulatoriale, viene consigliato sempre riposo di una o due ore e poi la paziente
può tornare a casa e poi riposo a letto o in poltrona per 48 ore, dopo, se non ci sono stati problemi, può riprendere
la vita normale.

I prelievi dell’amniocentesi e della villocentesi possono essere ripetuti in caso di insufficiente materiale senza
che il rischio di aborto aumenti, infatti questo rischio aumenta solo a partire dal terzo prelievo.
Il rischio di aborto in seguito a queste procedure non aumenta all’aumentare dell’età materna.

Sia per amniocentesi che per la villocentesi dobbiamo somministrare la profilassi contro Rh in caso di madre Rh
negativa. Normalmente nel primo figlio non c’è trasmissione di sangue, se non al momento del parto a causa del
distacco della placenta, però quando andiamo a praticare una metodica invasiva possiamo creare delle lesioni a
livello del trofoblasto e quindi mettere in contatto sangue materno e fetale, per questo è opportuno entro 72 ore
somministrare immunoglobuline per via intramuscolare.

Funicolocentesi
Tale tecnica, detta anche cordocentesi, consente il prelievo di sangue fetale dalla vena ombelicale a livello
dell’inserzione placentare del funicolo o dal tratto intraepatico di essa. Viene effettuata dalla 18° settimana di
gravidanza fino al termine.

Deve essere considerata una procedura di II livello, eseguita da personale esperto per indicazioni particolari, quali:

- Necessità di indagini genetiche urgenti nella seconda metà della gravidanza (sospetti o accertati quadri
malformativi, IUGR grave)
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- Problematiche citogenetiche emerse dalla villocentesi o dall’amniocentesi (mosaico cromosomico,


fallimento di coltura)

- Indagini ematologiche, biochimiche ed infettivologiche fetali (es. infezioni complesso TORCH)

- Necessità di trasfusione di concentrati di emazie o piastrine o somministrazione di farmaci al feto.

Si stima che in mani esperte la funicolocentesi comporti un tasso di perdita fetale del 2-3%.

La funicolocentesi è quindi un esame molto più pericoloso di villocentesi e amniocentesi e ha soltanto delle
piccolissime indicazioni, anche perché con i progressi della genetica riusciamo a vedere tutto con villocentesi e
amniocentesi.
i

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