Sei sulla pagina 1di 68

-LE MALATTIE GENETICHE: FALSI MITI E NUOVE VERITÀ

La genetica medica è l’applicazione dei principi della genetica alla pratica medica, nei campi della:

- Diagnosi
- Prevenzione
- Terapia

Negli ultimi anni si è assistito a una rivoluzione nell’applicazione della genetica medica. Fino a pochi anni fa,
infatti, la genetica medica si interessava ad una serie di malattie, per lo più congenite cioè che si
manifestavano alla nascita, che erano sindromi abbastanza rare ed entravano poco nel sociale e nel sistema
sanitario. Oggi, tutto è cambiato e c’è stata quella che viene definita “RIVOLUZIONE GENETICA” perché si è
scoperto che qualsiasi tipo di patologia presenta una componente genetica e che l’indicazione della stessa
componente genetica nelle malattie (come cancro, malattie cardiovascolari, diabete, obesità, ecc.),
permette di gestire le patologie da un punto di vista diagnostico, preventivo e terapeutico.

Il falso mito della genetica, fino a qualche anno fa, era quello di pensare che essa fosse applicabile a un
piccolo e ristretto gruppo di malattie, fondamentalmente le “malattie rare” e infatti alla genetica si
applicava lo schema del: Buono, Brutto, Cattivo:

- Il buono: le malattie genetiche sono rare


- Il brutto: le malattie genetiche colpiscono i bambini
- Il cattivo: le malattie genetiche sono incurabili

In realtà le recentissime scoperte (dell’ultimo decennio), fanno capire innanzitutto che non è vero che le
malattie genetiche sono rare, che non colpiscono solo i bambini e che fortunatamente non sono delle
malattie incurabili. Il concetto di malattia genetica, negli ultimi anni, si è espanso moltissimo. Nel passato vi
era l’idea che le malattie genetiche dovessero essere delle patologie con una base alla nascita all’idea
odierna che tutte le patologie hanno una base genetica.

MALATTIE RARE?
Il primo concetto che dobbiamo abbandonare è quello che le malattie genetiche siano RARE. Le malattie
rare sono una specifica categoria.

Una malattia è definita rara quando presenta una prevalenza nella popolazione inferiore a 5 casi ogni
10.000 abitanti. Alcune patologie cromosomiche (S. di Down, S. di Klinefelter) non sono più considerate
malattie rare, ma malattie croniche, in quanto hanno una frequenza nella popolazione maggiore di 5 casi su
10.000 abitanti. La sindrome di Down, infatti colpisce un bambino ogni 700-800 nati sani, la sindrome di
Klinefelter un maschio ogni 500 quindi nei fatti non sono delle malattie rare.

Le malattie rare costituiscono un problema di sanità pubblica per l’impatto numerico su tutta la
popolazione. Secondo una stima dell’OMS rappresentano il 10% delle patologie umane note. Si stima che il
6-8% della popolazione europea, complessivamente 27-36 milioni di cittadini, sia affetto da una malattia
rara. In Italia, i malati rari sono 2 milioni e il 70% sono bambini in età pediatrica.
Stando al rapporto 5:10.000 (1:2.000), poiché l’Abruzzo fa 8.000 nati l’anno, ogni anno dovrebbero nascere
4 bambini con malattie rare. Questo calcolo non è confermato dai dati, poiché il rapporto 1:2.000 è per
ogni malattia rara e, siccome le malattie rare sono numerosissime, in realtà la loro frequenza è superiore a
questa stima. Dunque, è rara la singola malattia, ma non sono rare le malattia genetiche nel loro
complesso.

Nell’80/90% dei casi, le malattie rare sono malattie genetiche. Questo è importante perché il restante 10-
20% di malattie rare non derivano da un meccanismo genetico, ma da un fattore ambientale ossia da un
problema durante la gravidanza.

Un esempio è la sindrome feto-alcolica che colpisce i bambini quando le loro madri bevono molto alcool in
gravidanza. Questi bambini nascono con delle malformazioni che ricordano una malattia genetica ma nei
fatti la malattia non è legata a una mutazione genetica: è legata infatti al consumo di alcool da parte della
madre.

Ci sono anche delle possibilità, ad esempio che la madre abbia una malattia infettiva durante la gravidanza
come la rosolia o che abbia avuto un trauma o che faccia abuso di droghe ecc.

MALATTIE DELL’INFANZIA?
Esisto numerose malattie genetiche che compaiono in età adulta e che, dunque, non colpiscono i bambini:

- Una buona fetta dei tumori ha una componente ereditaria (mammella, colon)
Si tratta di tumori per i quali un individuo nasce con una predisposizione genetica e sviluppa il
tumore in età più giovanile rispetto alla media della popolazione, inoltre ha una suscettibilità a
sviluppare non una volta sola il tumore nella sua vita ma più volte.
- Rene policistico dell’adulto, compare intorno ai 40 anni
- Distrofia miotonica
- Corea di Huntington
- Atassie spinocerebellari
- Alzheimer early onset
- Parkinson early onset

Mentre la forma classica dell’Alzheimer e


del Parkinson è a esordio tardivo, la forma
early onset è molto più grave e invalidante
perché colpisce l’individuo in una fase della
vita in cui egli è pienamente attivo e
produttivo, intorno ai 50 anni.

Queste malattie sono monogeniche, cioè


derivano da un solo gene

La maggior parte delle malattie però derivano da un’interazione tra geni e ambiente, tra cui malattie
psichiatriche, diabete, asma. Esiste una base costituzionale anche nella nostra capacità di rispondere alle
malattie infettive, che dunque non sono più solo malattie ambientali ma diventano multifattoriali.

Mettendo sullo stesso asse geni e ambiente:


- si hanno una serie di malattie soltanto legate alla genetica (fibrosi cistica, corea di Huntington,
emofilia) in cui tutta la malattia è legata a una mutazione genica;
- centralmente si ha il grande campo di tutte le malattie più frequenti della specie umana (malattie
psichiatriche, asma, tumori, diabete, malattie cardiovascolari ma anche obesità e ipertensione) che
derivano da un'interazione tra geni e ambiente.

Se si sommano alle malattie su base esclusivamente genetica quelle in cui la genetica ha un fattore di
suscettibilità si può arrivare a dire che tutte le malattie umane con la sola eccezione dei traumi (caduta da
una bicicletta ad esempio), hanno una base genetica, tra cui anche le malattie infettive (influenza, HIV,
epatite). Infatti, se si espongono ad esempio, 10 persone al virus, non è detto che si infettino tutte e dieci e,
anche se si infettassero, alcuni presentano una forma asintomatica, alcuni hanno sintomi gravi, alcuni
hanno un raffreddore, alcuni hanno l'influenza, alcuni finiscono in rianimazione: anche se il virus è lo stesso,
cambia il sistema immunitario. Il sistema immunitario è su base genetica quindi la risposta all'infezione da
parte del patogeno è una risposta geneticamente determinata.

MALATTIE INCURABILI ?
Non sono malattie incurabili: esistono terapie, anche se in alcuni casi ancora sperimentali o costosissime,
come nel caso della distrofia muscolare di Duchenne o della distrofia muscolo-spinale.

Nella distrofia muscolare di Duchenne c'è una progressiva perdita del tessuto muscolare per cui il bambino,
intorno a 13 anni, è sulla sedia a rotelle e ha un'aspettativa di vita di 30 anni perché la scomparsa del
tessuto muscolare comporta problemi respiratori e cardiaci (sia diaframma che cuore sono muscoli).

Nella distrofia muscolo-spinale si ha l'incapacità del moto-neurone di far contrarre i muscoli, perciò i
bambini alla nascita vengono definiti "floppy baby", cioè "bambini flosci", che non hanno nessuna capacità
di contrazione muscolari. Nelle forme più gravi si ha la morte nei primi due mesi di vita, in altri casi
comunque si muore entro i 30 anni.

Per entrambe queste malattie, in particolare per la muscolo-spinale, ci sono delle terapie e in questo caso i
risultati sono sbalorditivi perché bambini che per la storia della malattia non dovrebbero essere in grado di
fare nessun movimento, dopo le terapie sono in grado di camminare e di correre. Il problema è il costo
della terapia: si tratta di una questione sociale in cui lo Stato diventa centrale (una sola dose di un farmaco
per curare l'atrofia muscolo-spinale costa 1 milione e 400mila euro).

DIVERSAMENTE ABILI
La definizione di un paziente con malattie genetiche è cambiata nel tempo. In passato veniva definito come
portatore di handicap, poi si è definito disabile, mentre oggi si parla di diversamente abile, concetto che
mette in evidenza la capacità del nostro organismo di far fronte ad una disfunzione di qualche suo distretto
potenziando le funzioni di altri distretti. Esistono persone che sono molto celebri e talentuose nonostante
siano affette da malattie genetiche.

Ne è un esempio Michel Antoine Petrucciani, il più grande pianista jazz europeo di tutti i tempi. Egli era
affetto da osteogenesi imperfetta, una malattia causata da un difetto del collagene e che causa un’enorme
fragilità ossea. I soggetti colpiti vanno incontro a frequenti fratture ossee (sin dalla nascita). L’osteogenesi
imperfetta comporta quindi delle gravi malformazioni fisiche, ma non interessa nè il cervello né le mani, e
per questo Petrucciani è stato in grado di diventare un pianista famoso (anche se spesso si fratturava
diverse ossa durante le sue esibizioni). Questa malattia è di natura genetica, causata da una mutazione
monogenica che si trasmette con modalità dominante (infatti Petrucciani ebbe 2 figli, di cui uno era
malato). Egli morì piuttosto giovane a causa di una broncopolmonite che probabilmente fu causata proprio
dalla suscettibilità alle malattie infettive.

Un altro personaggio diversamente abile, anche se di una serie televisiva, è Tyrion Lannister. Si tratta di un
personaggio affetto da nanismo acondroplasico, altra patologia che colpisce le ossa (impedisce la crescita).
Anche in questo caso una condizione fisica disabilitante conferisce altre abilità, infatti Tyrion è più agile e
più difficile da colpire in battaglia e sfrutta l’astuzia per compensare i limiti fisici.

Gli individui affetti da sindrome di Marfan invece sono i perfetti giocatori di basket, poiché sono molto alti
ed hanno una grande flessibilità delle dita per via della loro aracnodattilia (dita lunghe). Uno dei segni tipici
di chi è affetto da questa malattia è la capacità, prendendosi il polso, di sovrapporre il pollice all’indice. Si
tratta di una malattia che causa lassità dei legamenti infatti molti pazienti con sindrome di Marfan sono
diventati dei giocatori di pallacanestro molto famosi e alcuni di loro sono morti improvvisamente sul
campo, a causa di aritmie cardiache e emorragie interne (dissezione dell’aorta). Charles de Gaulle, Abraham
Lincoln, Osama Bin Laden e Nicolò Paganini avevano la sindrome di Marfan.

I 4 LIVELLI DELLA GENETICA MEDICA

Non esiste un solo modello di malattia genetica. Questi modelli sono stati identificati progressivamente con
l’evolversi dello studio della genetica. La genetica ha diversi livelli di interazione così riassumibili:

- Genetica classica:
• Patologie mendeliane (monogeniche), al momento se ne conoscono circa 1800
• Patologie cromosomiche, più note (sindrome di Down, Turner), sono le prima malattie
scoperte, all’inizio degli anni 60
- Eredità multifattoriale:
• Interazione tra genetica e ambiente, il deficit genetico non è sufficiente a causare la
malattia. Il soggetto presenta una mutazione di un gene, ma questo comporta solo il rischio
di avere una certa patologia. La manifestazione vera e propria della malattia dipende
dall’ambiente. Sono NCD (malattie croniche non trasmissibili, come cancro, diabete) che,
insieme alle malattie infettive, rappresenta il principale problema della sanità pubblica e la
principale causa di morte tra individui tra i 30-60 anni.
- Epigenetica:
• Modifiche nella funzione del DNA non provocate da alterazione della sua struttura.
L’epigenetica è un’evoluzione dell’eredità multifattoriale e ci dimostra come l’ambiente che
ci circonda modifica la funzione dei nostri geni.
- L’approccio “omico”:
• Esoma, genoma, trascrittoma, proteoma, metaboloma, ecc.
Le scienze omiche sono la grande novità di questo decennio. In passato si è sempre
ragionato sull’approccio genico, del singolo gene, quindi come un singolo gene causa una
malattia. Per esempio, la distrofia muscolare di Duchenne è causata dal gene DMD oppure
l’atrofia muscolo spinale è causata da SMN1; invece adesso si è arrivati al concetto che ci
sono delle condizioni rivelabili solo studiando tutti i geni contemporaneamente.
L’esoma è lo studio di tutti i geni, in particolare di tutta la parte esonica dei geni, tutta
quella che trascrive.
Se si vuole andare oltre si può studiare il genoma ovvero tutto il contenuto genetico di un
individuo. Il motivo per cui si studiano anche le regioni che non sono dei geni è perché in
tali regioni sono presenti sequenze regolatrici che influenzano la modalità con cui i nostri
geni funzionano.
Se si studia il genoma e ci si muove per passi omici, bisogna studiare il trascrittoma cioè
tutto l’insieme dei trascritti, il proteoma cioè tutto l’insieme delle proteine prodotte, il
metaboloma cioè tutto l’insieme dei metaboliti prodotti ecc.

OMOZIGOTI DOMINANTI, OMOZIGOTI RECESSIVI, ETEROZIGOTI

Tutti noi abbiamo geni presenti in duplice copia e, per ogni gene, possiamo essere:

- AA = omozigote dominante
- Aa = omozigote recessivo
- Aa = eterozigote

Si dice dominante un carattere capace di esprimersi anche quando presente in eterozigosi.

Si dice recessivo un carattere capace di esprimersi solo quando presente in omozigosi.

Per esempio, le persone con i capelli e gli occhi chiari sono omozigoti perché il carattere chiaro si manifesta
solo in caso di omozigosi, mentre le persone con occhi e capelli scuri possono essere omozigoti o anche
eterozigoti, perché in quel caso si manifesterà comunque quello per i capelli scuri.

Possediamo due alleli in ogni coppia di cromosomi perché abbiamo ereditato un allele dal papà e un allele
dalla mamma. Nel caso delle malattie recessive, i geni che portano alla nascita di un bambino affetto
devono aver percorso due rami familiari. Questo significa che un bambino affetto deve aver ereditato un
allele malato per ciascuno dei genitori. Nelle malattie dominanti invece i geni hanno percorso un solo ramo
familiare e l’allele affetto è trasmesso da un solo genitore.

MALATTIE A TRASMISSIONE AUTOSOMICA RECESSIVA

In queste malattie, l’allele sano prevale su quello malato che è quindi recessivo.

Saranno malati solo gli omozigoti recessivi, mentre gli omozigoti dominanti saranno sani e gli eterozigoti
saranno portatori sani:

- Omozigoti dominanti AA = sani


- Omozigoti recessivi aa = malati
- Eterozigoti Aa = portatori sani
I portatori sani sono individui molto frequenti nella popolazione; mentre il singolo malato è abbastanza
raro (uno ogni duemila). Per esempio, una persona su 30 è portatore di fibrosi cistica e 1 su 50 è portatore
di atrofia muscolo spinale.

Malattia Affetti nella popolazione Portatori sani nella popolazione


Talassemia 1 : 250 1 : 10
Fibrosi cistica 1 : 2500 1 : 25
Atrofia muscolo spinale 1 : 10000 1 : 50

La prima volta che si manifesta una malattia recessiva è un fulmine a cel sereno. Si tratta di una malattia
che colpisce una famiglia in cui non c’era mai stato un caso prima, perché nei due rami familiari dei genitori
si era sempre trasmesso un solo allele che, da solo, non aveva provocato la malattia. Si manifesta nel
momento in cui, nella trasmissione da parte dei due nuclei familiari, si arriva all’individuo che eredita
entrambe le copie malate.

Non è vero che le malattie genetiche insorgono solo nelle donne con età tardive e solo in situazioni in cui i
genitori hanno dei problemi. Se si prende la coppia più bella del mondo, giovani, sani, senza nessun
problema e senza nessuna storia di malattia genetica, questa potrebbe comunque avere un figlio affetto.
Questo è il motivo per cui si promuove lo screening neonatale, cioè l’analisi, attraverso dei test, di tutta la
popolazione che nasce perché non c’è un criterio per dire che una determinata coppia non abbia il rischio di
avere un figlio malato. Il rischio riproduttivo zero non esiste. Il rischio minimo che ha una coppia di avere un
bambino con un problema è del 3%. Bisognerebbe in realtà transitare dallo screening prenatale (che in
fondo è solo una forma di “diagnosi precoce” che non elimina affatto la presenza di una patologia da un
bambino che ne è già affetto) allo screening preconcezionale, il che significa prendere le coppie che
intendono fare dei figli ed andare a calcolare il rischio che possa insorgere qualche problema.

Nel caso di due genitori portatori sani di una malattia autosomica recessiva, il rischio di trasmissione è del
25% ad ogni singola gravidanza. Non bisogna quindi pensare che, se il primo figlio che nasce è malato,
allora gli altri tre saranno sani, perché il rischio rimane immutato ad ogni successiva gravidanza.

In genere, nelle malattie recessive è presente il “salto di generazione”, ossia è possibile ritrovare la
patologia in membri della famiglia che non siano gli stessi genitori.

Il rischio delle malattie recessive è aumentato dalla consanguineità dei genitori. Questo è il motivo per cui
alcune malattie genetiche sono frequentissime nelle comunità che tendono a riprodursi tra di loro
(fenomeno denominato “inbreeding”) per motivi storici, religiosi, culturali, sociali o geografici (es.
mormoni).

Ciascuno di noi è portatore sano di circa trenta malattie genetiche diverse, ma molte di queste sono
talmente rare che è assai improbabile che anche il nostro partner sia portatore della medesima patologia.

MECCANISMO DI AZIONE DELLE MUTAZIONI RECESSIVE


In un soggetto affetto da una malattia autosomica recessiva, entrambi gli alleli sono mutati. Questo
comporta che non vi è alcun tipo di prodotto proteico normale, poiché il gene non può essere espresso in
alcun modo.
Negli eterozigoti, invece, un solo allele sano è sufficiente a svolgere le funzioni richieste e non vi è
aploinsufficienza, cioè la condizione in cui l’attività di una sola copia del gene non è sufficiente a preservare
la salute dell’individuo. In questo caso, invece, si ha la condizione del portatore sano.

Molti geni responsabili di malattie recessive codificano per enzimi, che trasformano un substrato A in B.

Se per esempio c’è una mutazione in omozigosi sul gene che codifica l’enzima C (quindi non c’è nessuna
copia del gene C funzionante), il substrato A passa a B, il substrato B passa a C, ma il substrato C non passa
a D. Nel caso delle malattie metaboliche, la perdita di funzione si associa due problemi:

- da un lato manca il prodotto finale, per questo tale meccanismo è definito da perdita di funzione,
- dall’altro si ha l’accumulo di A, B e C che, non essendo trasformati, rimangono nell’organismo.
Molte malattie, soprattutto quelle lisosomiali. derivano dal fatto che i metaboliti intermedi sono
neurotossici, perciò, i primi segni della malattia non sono dati tanto dalla carenza del prodotto
finale ma dall’accumulo di sostanze neurotossiche.

Se si effettua la diagnosi precocemente, si può somministrare al paziente direttamente l’enzima mancante,


in questo caso l’enzima C, andando a sbloccare tutto il meccanismo e non facendo accadere nulla di nocivo
per l’organismo. Se invece non si agisce subito avviene l’accumulo di A, B e C che diventa neurotossico e il
bambino è “bruciato” perché, una volta che ha una sostanza neurotossica in circolo, questa blocca lo
sviluppo del sistema nervoso centrale nei primi mesi di vita e si ha un danno irreversibile.

L’eterozigote produce questi enzimi in quantità minore, ma comunque sufficiente a far avvenire la reazione
regolarmente.

Le malattie recessive più frequenti sono:

- Fibrosi cistica:
Si tratta di una malattia multi sistemica conosciuta da molti secoli. La sua prima traccia di
identificazione la abbiamo in scritti medievali, sia di origini germaniche che mediorientali, in cui
compare una frase ricorrente: “breve sarà la vita del bambino la cui fronte al bacio sia salata”. Si
erano accorti, infatti, che quando i bambini avevano pelle salata, morivano precocemente.
La fibrosi cistica consiste in alterazioni delle secrezioni di ioni cloro in diversi tessuti. Questa
patologia colpisce tutti i tessuti tra cui fegato, pancreas, vie respiratorie, intestino e sistema
riproduttivo, ma comporta principalmente patologie respiratorie e mal assorbimento.
Infatti, i bronchi dei bambini affetti hanno delle secrezioni estremamente dense poiché, mancando
il cloro, non c’è sufficiente acqua per diluirle. Queste ostruiscono i bronchi, causando accumuli
batterici e problemi respiratori. Il mal assorbimento è dovuto ad un mal funzionamento del
pancreas, ciò comporta una continua diarrea.
La fibrosi cistica è una malattia che si può presentare con molte facce. Alcune forme sono
gravissime, mentre ci sono forme lievi di cui ci si può accorgere addirittura a sessanta anni, dopo
un’intera vita di bronchiti croniche e diarrea ma in forma non così grave da arrivare a morire.
Gli affetti sono circa 1 ogni 2500, 1 ogni 3000 in base alla popolazione. I portatori sani sono invece
molti di più, 1 ogni 25/30.
Il gene si trova sul cromosoma 7 (7q13) e si chiama CFTR. Oggi esiste una terapia genica per questa
malattia.
- Emocromatosi ereditaria (1:350-1:2000):
Comporta l’accumulo di ferro nell’organismo, si manifesta solo in età adulta quando questo
accumulo causa danni al paziente a carico di fegato, pancreas e cuore. Il paziente nasce malato ma
solo da adulto sviluppa la malattia, col tempo inizia ad assumere un colorito scuro “inquietante”.

- Anemia falciforme (1:400-1:600 afroamericani):


Si tratta di un’anemia cronica ed è una patologia della beta globina. Induce delle deformazioni nei
globuli rossi che assumono una forma a falce e non riescono a trasportare ossigeno. E’ frequente
negli afro americani, mentre in Italia è più frequente la talassemia, comune in regioni come la
Sardegna, la Sicilia, la foce del Po e l’interno dell’Abruzzo.

- Sordità bilaterale (1/1700):


Le sordità sono molto frequentemente genetiche, perciò quando nasce un bambino con sordità
neurosensoriale è necessario fare subito un test genetico, Si tratta di un’analisi complessa perché i
geni responsabili di sordità bilaterale sono oltre 40, quindi soltanto l’approccio omico può
permettere di arrivare a una soluzione del problema.

- Atrofia muscolo spinale (1:10.000):


E’ causata dalla morte dei motoneuroni del midollo spinale. Nei casi più gravi, non ci sono più i
neuroni che trasmettono lo stimolo nervoso ai muscoli. Perciò, questa malattia comporta paralisi
progressive con età di esordio e gravità variabili. I bambini non riescono a muovere i muscoli,
vengono definiti floppy babies, non riescono a respirare e muoiono subito. In alcuni casi, l’esordio
può essere più tardivo, per cui ragazzi di 35 anni, apparentemente totalmente sani, si ritrovano in
breve tempo sulla sedia a rotelle.

- Albinismo (1:30.000):
E’ l’incapacità di produrre pigmenti, perciò si ha pelle bianca, occhi viola più che azzurri e capelli
chiarissimi, per via dell’assenza di pigmento.

MALATTIE A TRASMISSIONE AUTOSOMICA DOMINANTE

Nell’ereditarietà dominante ci ritroviamo


nella condizione in cui sono presenti due
alleli, uno mutato e l’altro sano, ma
sostanzialmente è quello alterato a
prevalere nella coppia e, dunque, la malattia
ha modo di manifestarsi. Saranno colpiti
dalla mutazione sia gli omozigoti dominanti
(AA) che gli eterozigoti (Aa). Solamente gli
omozigoti recessivi (aa) risulteranno sani.

Perché si manifesta solo l’allele mutato? Sono possibili tre diversi meccanismi:
- La mutazione porta alla sintesi di una nuova proteina con funzione talvolta patologica (“mutazione
da acquisto di funzione”). Questa nuova proteina è una sorta di “alieno” rispetto alle funzioni del
corpo umano e può generare dei danni.
- L’allele mutato produce una proteina che interferisce con l’azione delle proteine dell’allele normale
(“effetto dominante negativo”). In teoria viene sintetizzata sia una proteina alterata che una
proteina normale (perciò potremmo pensare che insorga la condizione tipica del portatore sano),
ma in realtà la proteina mutata va ad inattivare quella normale, con un risultato patologico
parallelo a quello dettato da un’omozigosi recessiva in caso di malattia recessiva.
- La mutazione riduce della metà il prodotto ordinario della coppia di alleli e questa quantità non è
più sufficiente a svolgere le funzioni normali (“aploinsufficienza”). Infatti, è necessaria la presenza
contemporanea di due copie attive del gene poiché la quantità di prodotto generato da un solo
allele non è più in grado di svolgere correttamente le funzioni fisiologiche del nostro organismo.

Questo modello in realtà vale soltanto per le malattie poco gravi (come ad esempio la miopia). Tutti coloro
che soffrono di miopia e che a loro volta hanno almeno un genitore con la stessa condizione sono affetti da
una forma di miopia dominante. Questa condizione non è considerata grave siccome non riduce la fitness
riproduttiva del soggetto preso in esame. Dunque, tutte quelle mutazioni che non diminuiscono questa
capacità di riprodursi possono trasmettersi senza creare troppi allarmismi.

Al contrario, la riduzione della fitness riproduttiva è legata a tanti meccanismi e non consiste solo nella
semplice sterilità. Ad esempio, un individuo con delle notevoli malformazioni o affetto da una forma di
ritardo mentale più o meno accentuato avrà maggiori problemi dal punto di vista sociale a formare una
coppia e a riprodursi.

Un’ulteriore eccezione delle malattie autosomiche dominanti è data dalla possibilità che la malattia, pur
essendo gravissima, insorge dopo che l’individuo si è già riprodotto. Quindi, l’individuo non ha una
riduzione della fitness riproduttiva ma, arrivato ad una certa età, presenta la mutazione in forma critica.
Esempi di queste patologie sono la Corea di Huntington, l’Alzheimer ed il Parkinson in forma precoce, il
rene policistico, le atassie spinocerebellari, e così via. In questo caso, benché la malattia abbia un quadro
clinico drammatico, essa è presente in tutte le generazioni, non alterando la fitness riproduttiva, e riesce a
trasmettersi di volta in volta. In generale, questo meccanismo è alla base di moltissime malattie
degenerative.

Riassumendo, le caratteristiche fondamentali dell’ereditarietà dominante sono le seguenti:

- Gli individui affetti hanno di norma un genitore affetto.


- Statisticamente, il 50% dei figli di un affetto sono colpiti anch’essi dalla patologia.
- Non è presente il salto di generazione.

Finora abbiamo esaminato l’eventualità in cui ad incrociarsi sono un individuo affetto con un individuo non
affetto. Che cosa succede se ad incrociarsi sono due affetti?

Diversamente da quello che potremmo pensare, in molte malattie questo tipo di riproduzione non è affatto
l’eccezione, ma la regola. Ne è un esempio il nanismo acondroplasico.

Nella gran parte dei casi è molto più facile che si sposino tra di loro due “nani” piuttosto che un “nano” ed
una persona di normale statura. In questo caso:

- Il 50% dei figli sarà eterozigote affetto (Aa),


- il 25% sarà omozigote affetto (AA)
- il 25% sarà infine normale (aa).

L’individuo colpito da una condizione di omozigosi dominante (AA) in realtà non ha una forma di nanismo
“normale” ma una forma più grave che lo porta a morte appena dopo la nascita. Di conseguenza, c’è
differenza tra la condizione di eterozigosi e quella di omozigosi.

A livello riproduttivo, l’incidenza di questa malattia aumenta se il padre ha un’età avanzata, alla stessa
maniera in cui la possibilità che nasca un figlio affetto da sindrome di Down incrementa all’aumentare
dell’età della madre. Inoltre, questa mutazione insorge a livello delle cellule germinali, in particolare negli
spermatozoi: fondamentalmente, anche da due genitori sani può discendere un figlio affetto da nanismo
acondroplasico siccome il padre ha trasmesso questa alterazione. Questo fenomeno non si potrebbe
altrimenti spiegare se seguissimo alla lettera le leggi dell’ereditarietà di Mendel. Ciò è anche testimoniato
dal fatto che in 7⁄8 di casi sono il risultato di mutazioni ex novo.

La mutazione che causa questa patologia è quella del gene “FGFR3” e, nel 90% dei casi, porta ad un
“acquisto di funzione”, cioè viene accelerata l’ossificazione delle ossa che, al contrario, appena nasciamo,
sono formate da cartilagine proprio perché necessitano di allungarsi e di crescere assieme al bambino.
Quando si ha un’ossificazione precoce, l’allungamento non è più possibile e si assisterà ad una riduzione
della crescita che è tanto più marcata quanto prima ha luogo questo avvenimento.

Una volta che questo evento si è consumato non è più possibile allungare l’osso a meno che non si ricorra a
soluzioni chirurgiche. Addirittura, quando ci troviamo nella condizione di omozigosi dominante, le ossa dei
pazienti sono così piccole che chi ne è affetto ha una statura microscopica e non riesce a sopravvivere
poiché la sua cassa toracica non è più in grado di espandersi adeguatamente per consentirgli di respirare. Al
contrario, il resto degli organi, come i polmoni, cresce normalmente.

Oltre al nanismo acondroplasico, esistono anche altre malattie a trasmissione dominante:

- L’ipercolesterolemia familiare (1/500): questa patologia è caratterizzata da livelli di colesterolo


“impazziti” già da quando si è giovani, con conseguenti problemi cardiovascolari. È inutile dire che
non si possono mitigare con la semplice dieta poiché sono causati da mutazioni di diversi geni per i
recettori e per i trasportatori dei lipidi. La gravità di questa malattia è data dal fatto che porta ad un
accumulo di colesterolo nel sangue che però non dà sintomi fino a quando non diventa eccessivo. A
quel punto è troppo tardi per poter agire efficacemente. Dal canto loro, i giovani non si vanno a
controllare poiché si percepiscono perfettamente sani fino all’istante in cui muoiono
improvvisamente per ictus o infarto.

- Il rene policistico (1/1.000): questa malattia ad esordio tardivo conduce alla graduale comparsa di
cisti sulla superficie della parete del rene, il quale arriva ad un punto in cui non è più funzionale. A
quel punto sono possibili due soluzioni: il trapianto di rene o la necessità di ricorrere a dialisi del
sangue continue.

- La neurofibromatosi di tipo I (1/3.000): questa è una patologia con effetti assai variabili siccome la
sintomatologia può andare dalla semplice formazione di alcune macchie cutanee color “caffè latte”
all’insorgenza di molteplici tumori su di essa. Quello che rende temibile questa mutazione è che, se
un genitore presenta questa malattia in forma leggerissima, può comunque trasmetterla ai figli in
forma grave, con un quadro clinico “mostruoso”. In sostanza, lo stesso gene, inserito in due
background genici differenti, può avere degli effetti estremamente diversi in un caso rispetto
all’altro. Questo avviene poiché nessun gene lavora mai da solo ma, a seconda dei geni che
mutano, anche gli altri possono risentirne considerevolmente nonostante non siano affetti
direttamente dalla loro alterazione.

- La sindrome di Marfan (1/5.000): è tipica degli individui di alta statura con le dita molto lunghe
(condizione detta “aracnodattilia”). Può portare a morte improvvisa per aneurisma.

Un’altra categoria di malattie dominanti che è stata scoperta recentemente e che ha rivoluzionato la storia
della genetica delle malattie cardiovascolari è quella delle “morti improvvise”.

La sindrome più iconica di questa nuova tipologia è quella del “QT lungo”, che prende il nome dalle
omonime onde dell’elettrocardiogramma che risultano anormali per via della loro durata.

In particolare, quando da un esame clinico si nota che l’intervallo di tempo tra “Q” e “T” risulta “dilatato”,
ciò significa che il cuore ci sta mettendo troppo tempo per ripolarizzarsi e, quindi, si verifica qualche
problema tra una contrazione e l’altra. In presenza di un forte stressor (ovvero un “fattore di stress” che
può essere un’attività fisica troppo intensa, uno spavento, un trauma...) il cuore si ferma e si può avere una
sincope, delle convulsioni o, addirittura, può sopraggiungere la morte stessa dell’individuo. In sostanza,
questo ritardo di ripolarizzazione è di natura genetica ed è stato difficile determinarne la reale natura.

Talvolta questi eventi possono avvenire anche nei primissimi periodi di vita di un neonato: fino a pochi anni
fa erano le cosiddette “morti in culla”. Si può anche ricavare una sorta di “familiarità al contrario”: c’era
prima il decesso del figlio nella culla e poi, a distanza di qualche anno, sopraggiungeva la morte per arresto
cardiaco a quel genitore che aveva trasmesso la patologia. Finalmente, elaborando il “fenotipo al
contrario”, cioè esaminando questi due eventi che si ipotizzava potessero avere una comune base genetica,
è stato possibile determinare che molte morti improvvise avevano in verità un’origine genetica.

I geni coinvolti in questa patologia sono una miriade e fino a poco tempo fa il test genetico per questa
malattia era impedito proprio per questo motivo. Ora, impiegando le tecniche attuali, non è più un
problema analizzare 20, 40, 200... 20.000 geni in parallelo, dando origine alla cosiddetta “diagnostica
genetica avanzata delle morti improvvise”. Da questo momento è stato possibile trattare un’altra malattia
simile che per certi versi è ancora più temibile della precedente: la “sindrome di Brugada”, dovuta alla
mutazione di uno dei ventitré possibili geni.

Infatti, mentre nel “QT lungo” deve esserci un evento abbastanza stressante che genera la crisi, nella
sindrome di Brugada questa condizione può sopraggiungere senza che si abbia per forza un fattore
scatenante. Colpisce maggiormente gli adulti intorno ai quarant’anni, ma i giovani non ne sono affatto
esenti. Inoltre, è possibile distinguere di quale delle due patologie un paziente soffre attraverso una
semplice analisi all’elettrocardiogramma. Nonostante questo, è sempre meglio ricorrere ad una diagnosi
genetica che permette di eliminare qualsiasi dubbio in questione.

Quanto detto finora è valido anche per altre patologie come la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo
destro, la cardiomiopatia ipertrofica e la cardiomiopatia dilatativa.

Al fine di ridurre la mortalità di queste terribili malattie, è stata ideata come soluzione quella di impiantare
un defibrillatore nel cuore del paziente che, nell’istante in cui si manifesta l’evento, funge da “ancora di
salvezza” e lo mantiene in vita. Anche a livello psicologico, la rassicurazione che deriva dalla presenza di un
sistema di sicurezza che entra in funzione anche nell’eventualità di un episodio improvviso sicuramente
contribuisce a giovare alla salute mentale della persona affetta.

MALATTIE A TRASMISSIONE X-LINKED

Sono malattie provocate da geni siti sul cromosoma X.

La caratteristica fondamentale è che, di norma, soltanto i maschi si ammalano di queste malattie.

Può capitare che una donna sia malata ma questo caso rappresenta un’eccezione. Il concetto di eredità X-
linked si basa sul fatto che, mentre per tutti gli altri cromosomi abbiamo una
coppia che porta gli stessi geni e quindi li troviamo presenti in duplice copia,
quando parliamo di cromosomi sessuali c’è un’ulteriore distinzione da fare.
Mentre nella donna quanto detto prima resta vero avendo due cromosomi X e
quindi due omologhi anche qui, nel maschio non è più vero. Infatti, X e Y sono due
cromosomi estremamente diversi nella loro morfologia, nelle loro dimensioni ma
soprattutto sono diversi nel contenuto genetico, eccetto due regioni (indicate con
le frecce nella figura) poste all’estremità nella parte telomerica del braccio corto
del cromosoma Y e all’estremità telomerica del braccio lungo; tutto il resto dei
geni presenti nel corpo del cromosoma X e nel corpo del cromosoma Y sono
diversi tra di loro. Quindi l’assetto genetico non è sovrapponibile ai parametri di
omozigosi o eterozigosi perché i geni non sono presenti in duplice copia.

Le forme dominanti, poco frequenti, hanno una trasmissione simile a quella autosomica.

Le forme recessive hanno un’eredità diaginica (attraverso le donne), infatti le donne trasmettono l’allele
mutato ma non si ammalano, per cui:

- sono affetti solo i maschi


- le donne sono portatrici sane.

Si manifestano solo nei maschi, in quanto le femmine possiedono una seconda copia normale del gene
mutato sul secondo cromosoma X e sono quindi portatrici.

Le donne possono essere affette in rari casi, quando sono figlie di un individuo affetto e di una donna
portatrice (eterozigote). Ereditando da entrambi i genitori un cromosoma X mutato, saranno omozigoti
recessive. Questo avviene solo per le malattie non gravi che non alterano la fitness riproduttiva, come il
daltonismo, cioè l’incapacità di distinguere rosso e verde: è possibile che un maschio daltonico con una
donna portatrice sana abbiano una figlia daltonica, ma si tratta comunque di una situazione molto meno
frequente del maschio daltonico.

Altre situazioni, ancora più rare, si verificano quando, casualmente, si inattiva sempre il cromosoma X che
contiene l’allele normale, facendo manifestare sempre la x patologica.
TRASMISSIONE DELLE MALATTIE X LINKED RECESSIVE
In figura è presente:

- il maschio con l’allele mutato, quindi affetto,


- il maschio che non porta l’allele mutato quindi non
affetto;

non esiste condizione per cui il maschio possa essere


portatore sano come accade invece nella donna. Per
quanto riguarda le donne abbiamo invece:

- l’omozigote dominante “wild tipe” (l’allele


normale nella popolazione generale che
rappresenta l’allele di riferimento), con fenotipo
normale,
- l’eterozigote, che è portatrice sana
- l’omozigote recessiva mutata che potrà essere malata.

La forma più comune di trasmissione è data dall’unione di un maschio sano e di


una femmina portatrice sana, che produrrà:

- 50% dei maschi malati


- 50% dei maschi sani
- 50% delle femmine portatrici
- 50% delle femmine sane.

Il rischio di avere un figlio affetto non va calcolato sul numero totale dei figli ma
sui singoli sessi dei figli.

Quindi:

- se una coppia avrà solo figli maschi, statisticamente ognuno di questi avrà il
50% di rischio di essere ammalato,
- se invece dovesse avere solo figlie femmine, statisticamente il 50% di
queste figlie ha un rischio di essere portatrici ma di norma le femmine non sono
affette.

ALBERI GENEALOGICI CON TRASMISSIONE DI MALATTIE X -LINKED RECESSIVE


L’albero genealogico è facilmente riconoscibile perché:

- Ci sono salti di generazione, infatti le donne che ereditano la malattia sono portatrici sane e non la
manifestano
- Sono affetti solo i maschi e non le donne. Quando una
donna ha due parenti di primo grado affetti dalla stessa
malattia, lei è una portatrice obbligata. Se non ce ne
sono due, potrebbe anche non essere portatrice
(potrebbe trattarsi di una mutazione de novo).
- I maschi non hanno mai figli affetti, perché i figli maschi
ereditano solo l’Y dal padre. Donne sane hanno figli
maschi affetti e uomini affetti hanno figli maschi sani:
la malattia ha trasmissione a zig zag.

DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE


Molte delle malattie genetiche storicamente più importanti sono x
linked, tra cui la distrofia muscolare di Duchenne (DMD). È una
distrofia muscolare con paralisi progressiva, in cui i bambini nascono
sani, le tappe del loro sviluppo psicomotorio sono conservate
(camminano fino a 3 anni) ma, ad un certo punto, cominciano a
dimostrare debolezza degli arti inferiori. Questa debolezza sembra
essere in contraddizione con l’aspetto dei loro polpacci, che appaiono
più grandi del normale: il loro tessuto muscolare viene
progressivamente sostituito da tessuto fibroso, più voluminoso ma
privo di capacità contrattile.

Il tratto distintivo della malattia di Duchenne è “segno di Gowers”;


infatti se invitiamo un bambino a sedersi a terra e rialzarsi, la

debolezza degli arti inferiori viene dimostrata dal fatto che non riesce
ad alzarsi se non appoggiandosi con le mani al pavimento e poi arrampicandosi sulle gambe.

La distrofia di Duchenne colpisce un bambino ogni 7000 in totale quindi si tratta di una malattia rara ma
non rarissima. Il gene DMD, nel locus Xp21, si trova sul braccio corto del cromosoma X. Il gene DMD
produce la proteina distrofina; si tratta del gene umano più lungo conosciuto e questo è importante perché
quanto più un gene è grande tanto più va incontro a mutazione per un effetto casuale. Le mutazioni di
questo gene, per il 70% dei casi, sono delezioni di piccoli frammenti. La Duchenne è una condizione
particolare per cui uno stesso gene può dare tre malattie diverse:

- la distrofia di Duchenne,
- la distrofia di Becker
- la cardiomiopatia ereditaria.

ALTRE MALATTIE X LINKED RECESSIVE


Altre malattie sono:

- L’emofilia: colpisce un maschio ogni 10.000. Si tratta della carenza di fattori di coagulazione. Il
bambino con questa carenza tende a sanguinare in maniera copiosa anche per un piccolo trauma.
Per un bambino emofiliaco può essere mortale un’estrazione dentaria. L’emofilia, un tempo, era
una causa di mortalità per i bambini mentre oggi può essere trattata con trasfusioni di fattori della
coagulazione: Tuttavia, proprio per questo motivo, gli emofiliaci trent’anni fa circa sono diventati la
terza categoria a rischio di AIDS, dopo quella dei tossicodipendenti e degli omosessuali. Infatti,
quando venne scoperta l’AIDS molti donatori di sangue erano effettivamente tossicodipendenti
che, per accumulare soldi, donavano il loro sangue infetto dal virus dell’AIDS e molti bambini
emofiliaci, dovendo fare trasfusioni con sangue che allora non era controllato, morivano non per
emofilia ma per l’AIDS contratto con la trasfusione.

- Il daltonismo: è una condizione molto frequente, riguarda l’8% dei maschi della popolazione
generale e lo 0,4% delle femmine. Non è considerabile come una malattia poiché non altera la
fitness riproduttiva, ma riguarda l’incapacità di distinguere i colori rosso verde e altre sfumature.

- Il favismo: era una patologia conosciuta fin dai tempi dell'antica Grecia, quando si sapeva che
c'erano soggetti che quando mangiavano le fave o se passavano in un campo di fave (inalando il
loro polline) potevano morire improvvisamente per delle crisi emolitiche. Il favismo è il deficit di un
enzima, la glucosio-6-fosfato deidrogenasi, fondamentale per mantenere in vita i globuli rossi. Se
c’è un deficit di questo enzima, i globuli rossi (che sono cellule piuttosto instabili) tendono a
rompersi e quindi si ha una massiccia emolisi con perdita di emoglobina, quindi con possibilità poi
di trombosi e di collasso. Questa è una malattia abbastanza frequente, infatti, colpisce fino al 5-10%
dei maschi nella popolazione. Chi è affetto dal favismo non è ipersensibile solo alle fave ma è
ipersensibile anche a una serie di farmaci come i FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei)
come l’aspirina o l’aulin; l’assunzione di questi farmaci causa una crisi emolitica. Quindi è
importante stare attenti che un bambino possa avere il favismo perché spesso ci se ne accorge o
perché ingerisce delle fave o perché prende un farmaco non tollerato.

- L’insensibilità agli androgeni: è una malattia che colpisce un maschio ogni 10.000. In questo caso
diciamo che colpisce i maschi ma in realtà il fenotipo è totalmente femminile con cariotipo 46 XY.
Questi individui sono caratterizzati dai testicoli nell’addome ma dall’incapacità di usare gli
androgeni (ormoni mascolinizzanti), poiché i loro recettori sono mutati. Quindi non si sviluppano
come maschi, poiché gli androgeni vengono trasformati in estrogeni e il fenotipo è femminile senza
nessun segno di mascolinità, con un aspetto bellissimo e “perfettamente femminile”. La malattia è
caratterizzata da sterilità, a causa della presenza dei testicoli in addome, che dovranno essere tolti.

Ci sono casi paradossali in cui la malattia colpisce solo le femmine, come nel caso della sindrome di Rett:

- Colpisce esclusivamente il sesso femminile


- È la seconda causa di ritardo mentale nelle bambine (dopo la sindrome di down)
- si manifesta di solito dopo i primi 6-18 mesi di vita: dopo una fase iniziale di sviluppo normale, le
capacità psicomotorie acquisite regrediscono velocemente.
- I principali sintomi sono la perdita progressiva della motricità, delle capacità manuali, dell’interesse
per l’ambiente sociale. Inoltre, possono essere presenti anche disturbi del sonno, difficoltà
respiratorie e crisi epilettiche.

Analizziamo il pedigree in figura: abbiamo una coppia che ha una storia di aborti (triangoli in figura) e tra
figli nati c'è una figlia che è affetta da sindrome di Rett.
Questa bambina nasce normale, inizia ad acquisire le prime tappe
dello sviluppo psicomotorio ma poi va incontro ad una
regressione motoria (come la sindrome di Duchenne) e cognitiva.
La bambina smette di parlare e si nota un movimento particolare
delle mani, come se le lavasse in continuazione: questo
movimento è stato il segno che ha permesso di identificare
questa patologia da parte di un pediatra che si chiamava Rett. In
famiglia non ci sono altri casi, ma la madre ha avuto un aborto. La
circonferenza cranica della bambina è inferiore ad un decimo
centile.

In una scala che va da 1 a 100, il decimo centile sono i valori che


vanno da 1 a 10, mentre la normalità si trova al 50esimo centile.
Sotto al 50esimo centile le dimensioni sono ridotte, al di sopra
sono eccessive.

L’anno prima, la circonferenza cranica era al 50esimo


centile, quindi significa che l’iniziale progresso nello
sviluppo della bambina si è poi arrestato. Mentre il
resto del corpo è cresciuto e rimasto al 50esimo
centile, la testa non è cresciuta e risulta quindi al 10
centile. Si tratta di una malattia così grave che la
femmina, che dovrebbe essere portatrice sana, ha un
quadro clinico importante, mentre il maschio non
arriva alla nascita: questo spiega la presenza di
frequenti aborti (quelli che vengono abortiti sono i
maschi che non arrivano a nascere perché la malattia è così grave che è incompatibile con la vita). Il gene
responsabile è il MECP2, che regola la metilazione del DNA, un meccanismo di controllo dell’espressione
del DNA (se abbiamo il promotore di un gene che è metilato allora quel gene non funziona, se quel
promotore è demetilato il gene funziona). Quindi, avendo una disregolazione della metilazione, la
mutazione colpisce un solo gene ma questo va ad alterare tantissimi altri geni, tutti quelli che dovrebbe
regolare vengono disregolati e quindi progressivamente si perdono i progressi nello sviluppo psicomotorio
e si retrocede in maniera importante fino a essere incapaci di camminare, di parlare e di compiere gesti.

Si tratta quasi sempre di mutazioni de novo (si tratta di una malattia altamente invalidante, è difficile che i
soggetti affetti abbiano figli) oppure, in rarissimi casi, la madre presenta la mutazione e il suo allele viene
inattivato, quindi non manifesta il fenotipo patologico.

Può essere considerata una malattia x linked semi-dominante. Non può essere considerata una dominante
pura perché, se fosse così, dovremmo avere gli stessi sintomi negli uomini e nelle donne, invece vediamo
che nelle donne l’allele sano “mitiga” il fenotipo patologico.

EREDITA’ X LINKED E Y LINKED PSEUDOATOSOMICA


Il cromosoma Y era talmente bistrattato come cromosoma fino a pochi anni fa che se si prendono i libri di
genetica per gli studenti di medicina di 30 anni fa, si trova scritta una cosa abbastanza divertente, cioè che
l’unico carattere che si trasmette attraverso il cromosoma Y è la presenza di ciuffi di peli nelle orecchie.

In realtà, noi oggi sappiamo che sul cromosoma Y ci sono geni importantissimi,
tra cui quelli che permettono la produzione di spermatozoi. Mente le parti
centrali di X e Y presentano geni diversi, ci sono pochi geni comuni che si
trovano nella regione telomerica. Questa regione viene definita
pseudoatosomica perché i geni che contiene si trasmettono con una modalità
simile a quella autosomica poiché non sono X linked.

Tra questi, troviamo il gene SHOX, che regola la statura degli individui. Sia i
maschi che le femmine hanno due copie del gene SHOX. Le donne con
sindrome di Turner (X0) hanno una sola copia di SHOX, perciò sono molto
basse. Gli individui con sindrome di Klinefelter, donne con un cariotipo XXX o
uomini con una cariotipo XXY, XYY, XXX hanno una statura superiore alla media
perché possiedono 3 copie del gene SHOX. Esistono poi individui con cariotipo
normale ma con una mutazione del gene SHOX, per cui hanno una statura
inferiore alla media. Questa condizione prende il nome di bassa statura idiopatica o sindrome di Lèri –
Weill, chiamata così quando, oltre alla bassa statura, c’è la tipica deformità dell’avambraccio a dorso di
forchetta. Gli individui affetti sono bassi perché
hanno il tronco normale ma le gambe cortissime.

Ci sono animali che hanno il gene SHOX (cavalli) e


animali che non lo hanno (topo). I pony hanno
uno SHOX mutato che li fa essere più bassi
rispetto ai cavalli normali. Lo studio di questo
gene è stato molto complesso proprio perché è
assente nei topi, e quindi questi animali non
possono essere utilizzati per analisi e indagini
(sarebbe impossibile effettuare indagini su un
cavallo, perché è difficile immobilizzarlo). Il deficit (alterazione) di SHOX è il più comune tra i deficit di tutti i
geni. È un gene frequentemente mutato e quando si identifica un bambino piccolo con deficit di SHOX
prima che le sue ossa siano saldate è possibile fargli una terapia con l’ormone della crescita,
permettendogli uno sviluppo regolare. E’ stato quindi il primo esempio dell’utilità di identificare i geni
responsabili delle malattie.

ESPRESSIVITA’ VARIABILE

Osserviamo questo caso clinico storico, pubblicato su Nation Genetics nel 1996. Il bambino ha
un’oloprosoencefalia. Lo sviluppo del nostro cranio e splancnocranio passa attraverso lo sviluppo
simmetrico quindi alla fine abbiamo una condizione simmetrica: abbiamo 2 orecchie, 2 occhi, 2 narici e il
cervello ha due emisferi. In questa malattia, il processo di divisione non funziona bene, si ha un solo
emisfero cerebrale, condizione che comporta ritardo mentale, morte dopo poco tempo e malformazioni,
come (in questo caso) labiopalatoschisi o ciclopia (un occhio solo al centro della fronte).

La mamma è apparentemente sana e quindi si potrebbe pensare ad una mutazione ex novo. Facendo un
test si scopre che il bambino presente una mutazione di un gene SONIC HEDGEHOD e proponendolo alla
madre si scopre essere affetta della stessa mutazione. Osservando bene si vede che la signora presenta un
solo incisivo. “L’espressività variabile significa che la manifestazione di un fenotipo di un gene può variare
da un individuo all’altro “e nella pratica si vede che la signora presenta la stessa mutazione in cui il gene si è
espresso poco non determinando grandi danni, solo la mancanza di un incisivo; nel bambino, invece è stato
devastante.
Dal 1996 si fece una campagna presso i dentisti dicendo che nel momento in cui un maschio o una femmina
presentasse un solo incisivo doveva essere mandata dal genetista prima possibile perché avrebbe potuto
avere una mutazione del gene e che potrebbe dar origine a figli che hanno un quadro di un
oloprosoencefalia.

Anche la neurofibromatosi ha espressività variabile. Può comportare piccole macchie marroni o quadri
devastanti. Con il gene mutato, si trasmette la suscettibilità a sviluppare neoformazioni che potranno
trasformarsi in patologie nel corso nella vita. Non è alterata la produzione di gameti, ma viene alterata
indirettamente la fitness riproduttiva. L’immagine presenta un individuo, che per decenni si riteneva avesse
la neurofibromatosi. Si tratta di un personaggio dell’età vittoriana, chiamato, The Elephant Man, che veniva
esibito nei locali londinesi ma che in realtà aveva la sindrome di Proteo, molto simile alla neurofibromatosi,
con la differenza che l’emisfero destro risultava più colpito.

FENOCOPIA

La fenocopia è quando si ha un quadro patologico di dismorfismi che ricordano una malattia genetica ma
non si tratta di una malattia genetica. I soggetti in figura sono accomunati da una serie di quadri dismorfici,
dai più gravi (come la gobba) ai più lievi. In realtà sono affetti dalla sindrome feto alcolica, una malattia non
genetica, ma che è il risultato di un abuso di alcol da parte della madre durante la gravidanza. Questa
patologia non ha niente a che fare con l’ereditarietà genetica. Il test genetico darebbe un risultato negativo.

Quando nasce il bambino con la malformazione è normale chiedere alla donna informazioni riguardo alla
gravidanza. In assenza di test genetico positivo, in genere si usa per prudenza il rischio della malattia
recessiva (25%). Tuttavia, in questo caso il rischio è legato esclusivamente al comportamento della donna e,
se non si capisce che si tratta della sindrome fetoalcolica, si dà un rischio che prescinde dal comportamento
e quindi la donna, convinta con il bambino sia nato malformato per caso, assumerà lo stesso
comportamento anche durante la seconda gravidanza.
SINDROME DI MARTIN BELL – MALATTIA DELL’X FRAGILE

La sindrome di Martin Bell è la causa di ritardo mentale più frequente nei


maschi dopo la sindrome di down. I pazienti affetti hanno la mandibola
allungata, le orecchie grandi, ritardo mentale e macroorchidimo (testicoli
grandi).

C’è un gene che si esprime nel testicolo e nel cervello: nel caso della
sindrome di Martin Bell, questo gene riduce la propria attività nel cervello
(causando ritardo mentale), ma la aumenta nei testicoli, rendendoli più
grandi del normale. Questa sindrome colpisce 1 maschio su 3500-5000, il
gene mutato è il gene FMR1 (Fragile x Mental Retardation 1) che si trova sul
cromosoma X e, nel 99% dei casi, la mutazione è dovuta all’espansione della
tripletta CGG con metilazione del promotore.

L’espansione di triplette è seguita da una metilazione del promotore, che porta all’inattivazione del gene,
rendendolo non più funzionante. È facile diagnosticare questa malattia negli adulti, mentre è molto più
difficile nei bambini e ciò rappresenta un problema molto serio.

Il problema dell’identificazione è legato al fatto che i bambini con X fragile vengono frequentemente
scambiati per bambini autistici, perché i comportamenti sono molti simili. Effettivamente il bambino con X
fragile è un bambino autistico ma, mentre tutti i bambini affetti da X fragile presentano ritardo mentale,
non tutti i bambini autistici presentano ritardo mentale.

Il ritardo mentale è difficile da rilevare nei bambini (dove invece è più evidente il ritardo dello sviluppo
psicomotorio).

I motivi per richiedere il test per l’X fragile sono:

- Ritardo mentale: questo però si può verificare solo da una certa età in poi con test del QI, quindi
bisogna valutare altri fattori
- Difficoltà di apprendimento
- Ritardo di sviluppo psicomotorio
- Comportamenti simil-autistici (rifiuto dello sguardo fisso, rifiuto a guardare negli occhi,
comportamenti ripetitivi e stereotipati)
- Iperattività
- Familiarità per la malattia

È importante distinguere le due malattie perché il rischio di avere un figlio autistico, dopo averne avuto già
uno, è abbastanza basso; mentre il rischio di ricorrenza della Martin Bell è alto perché, essendo una X
linked, il 50% dei maschi è affetto. E’ inoltre simil dominante perché anche le bambine possono essere
affette anche se non in modo così grave.

Quindi se si confondono le due patologie si dà un rischio di ricorrenza sbagliato alla madre, la si informa
dicendole che difficilmente potrà avere un secondo figlio affetto, ma invece è molto facile che lo abbia. Si
porta l’esempio di una donna con 3 figli affetti da Martin Bell; tutte le volte le diagnosi erano state confuse
con l’autismo quindi si è trovata a gestire prima la seconda e poi la terza ed ultima gravidanza, presentando
tutti i figli affetti. Considerando l’aumento dell’autismo da 1/10.000 a 1/100 confonderlo con l’X fragile può
essere drammatico perché mentre l’autismo ha possibilità di reinserimento sociale, l’X fragile rappresenta
un ritardo mentale irrecuperabile.
DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE
La distrofia di Duchenne è una malattia neuromuscolare, poiché coinvolge il sistema nervoso periferico e il
sistema muscolare, colpendo quindi le attività motorie. È caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare
progressive. Il paziente, quindi, non nasce con uno stato conclamato di atrofia muscolare (come nell’atrofia
muscolo spinale): c’è un progressivo peggioramento delle funzioni d’organo, non c’è un problema
all’esordio. Questa degenerazione colpisce tutti i muscoli:

- scheletrici (striati),
- lisci (organi interni)
- muscolo cardiaco, quindi coinvolge, tardivamente, anche il cuore.

Poiché coinvolge tutti i muscoli, nonostante colpisca il sistema nervoso periferico, in realtà va a colpire
anche un organo centrale.

Non è una malattia visibile sin dalla nascita, perciò i genitori si “illudono” di avere un bambino sano.

La malattia viene diagnosticata intorno ai 3 anni. Tra i 6 e i 13 i pazienti non sono più in grado di muoversi e
finiscono sulla sedia a rotelle; successivamente la situazione peggiora perché vanno incontro a contratture,
scoliosi e la paralisi prosegue dal basso verso l’alto: prima coinvolge i muscoli delle gambe, poi le braccia,
poi i muscoli interni come il diaframma. La causa di morte non è la paralisi, ma la cardiomiopatia e
l’insufficienza respiratoria.

L’aspettativa di vita di questi bambini, nella migliore delle ipotesi, era sui 30 anni, dovendo comunque
ricorrere a respirazione assistita e all’essere nutriti attraverso via parenterale (endovenosa).

Colpisce 1 maschio su 3300, quindi complessivamente 1 bambino


ogni 7500 ne è affetto, considerando che la prevalenza dei bambini
affetti è quasi esclusivamente di sesso maschile.

Nell’albero genealogico si individuano subito i maschi ammalati e le


portatrici obbligate, poiché si tratta di una malattia X-linked
recessiva e il gene si trova sul braccio corto del cromosoma X in
posizione Xp21.

Le prime persone che studiarono questa malattia notarono subito che colpiva solo i maschi e le donne
invece sembravano immuni. Successivamente capirono
che lo stesso meccanismo di trasmissione (x linked
recessivo) era tipico anche della distrofia di Becker, una
malattia simile ma con esordio più tardivo e meno
aggressiva. Si pensava che le due malattie fossero
entrambe x linked ma derivassero da due geni diversi;
invece, poi si è scoperto che sono causate dallo stesso
gene.
STORIA DELLA SCOPERTA

Si chiama Duchenne perché fu ufficialmente


identificata dal dottor Duchenne, neurologo famoso
perché aveva capito che applicando elettrostimolazioni
ai nervi cranici superficialmente, faceva assumere ai
pazienti particolari espressioni facciali, identificando i
nervi che regolano i muscoli facciali che ci permettono
di formulare parole e si gestire la mimica facciale.

Nel 1868 pubblica un articolo in cui parla delle ricerche


sulla paralisi pseudo ipertrofica (che ritroviamo anche
nella Duchenne) e afferma che questa sindrome inizia
ad essere visibile quando il polpaccio del bambino sembra più grande del normale. Questo avviene perché il
tessuto muscolare si è trasformato in tessuto fibroso, privo di capacità contrattile.

In realtà la malattia era stata già individuata da Edward Meryon e dall’italiano Gaetano Conte, che nel 1836
descrisse la malattia notando che c’erano numerosi fratelli affetti. Quindi, in realtà, colui che ha “scoperto”
questa distrofia è Gaetano Conte.

Enzo Ferrari aveva realizzato la Ferrari Dino: Dino Ferrari, suo figlio, era morto di
distrofia di Duchenne.

Un altro soggetto affetto da Duchenne è stato Bruce Bryer, che aveva


contemporaneamente 3 malattie genetiche x linked:

- distrofia di Duchenne,
- distrofia retinica
- granulomatosi cronica.

Egli in realtà muore precocemente per un incidente stradale. Il suo DNA (preso
prima che morisse) fu studiato. In quegli anni, si stavano iniziando a fare i primi studi di genetica e il suo
caso è stato alla basa delle ricerche su una possibile grande anomalia di un gene del cromosoma X; gli
scienziati ipotizzarono infatti che egli avesse un’anomalia molto grande del cromosoma X, tanto da
coinvolgere ben 3 geni. In realtà, venne realizzata una mappa cromosomica e grazie ad essa notarono che al
suo cromosoma X mancava un pezzo. C’era quindi una delezione cromosomica e non delle mutazioni dei
geni: questa grossa delezione aveva spazzato via 3 geni contemporaneamente. La presenza di 3 mutazioni
limitrofe, infatti, sarebbe stata altamente improbabile. Questo permise anche di localizzare e mappare i 3
geni, tra cui il gene responsabile della distrofia di Duchenne.

Iniziarono poi le analisi per capire quali fossero i geni contenuti nel segmento deleto. In questa regione
viene individuato il gene DMD, cioè il gene della distrofia muscolare di Duchenne che codifica per la
distrofina. Si tratta di un gene di dimensioni gigantesche: è il più grande gene umano conosciuto. E’ quindi
un gene molto soggetto alle mutazioni. La DMD compromette notevolmente la fitness riproduttiva, quindi
teoricamente la mutazione di questo gene dovrebbe estinguersi. In realtà ciò non accade perché il gene è
continuamente soggetto a nuove mutazioni.

La distrofina si trova in muscoli scheletrici e cardiaci, in piccola quota anche nei nervi e nel cervello. Questo
gene non produce una sola proteina (full lenght), ma anche proteine più piccole attraverso lo splicing
alternativo. Più un gene è grande, più è probabile che faccia numerosi splicing alternativi.

L’estremità amminica e carbossilica sono le parti funzionali della distrofina. La distrofina si attacca:

- Da un lato alle molecole di actina


- Dall’altro ad un complesso proteico presente sulla membrana della cellula

Come le estremità di una molla. Questo meccanismo garantisce al muscolo durante la contrazione un
effetto elastico, evitando lo strappo muscolare. A causa della malattia, la distrofina perde la propria
funzione, quindi non c’è la molla che permette il movimento: ad ogni contrazione muscolare, avviene la
distruzione del sarcolemma.

Il bambino, infatti, nasce sano perché nell’utero materno non ha sforzato i muscoli. Mano a mano che inizia
a camminare, ogni passo che fa rovina i suoi muscoli: è questo il motivo per cui i primi organi colpiti sono gli
arti inferiori. La distruzione del sarcolemma libera ioni calcio che provocano la formazione di un filtrato
infiammatorio, causando fibrosi (il tessuto muscolare viene sostituito con tessuto fibroso) e necrosi
degenerativa del muscolo. Nel caso di un normale strappo in un paziente sano, invece, il tessuto muscolare
viene sostituito con nuovo tessuto muscolare e non con tessuto fibroso (incapace di contrarsi).

DISTROFINOMIOPATIE

Esistono però diverse distrofine a causa dello splicing alternativo e quindi anche tre malattie legate allo
stesso gene che oramai viene considerato come il GENE DELLE DISTROFINOPATIE poiché è collegato a:

- Distrofia di Duchenne
- Distrofia muscolare di Becker
- Cardiomiopatia dilatativa associata a DMD

Le anomalie di questo gene possono essere di due tipi:

- Un tipo è un’anomalia che porta via l’estremità carbossilica, per cui la distrofina perde
completamente la propria capacità di agganciarsi e la propria funzionalità. In questo caso si ha la
distrofia di Duchenne.
- Un tipo è un’anomalia che porta via un pezzo centrale della proteina ma mantiene le due estremità.
Il risultato è una proteina meno efficiente ma che comunque riesce a svolgere parzialmente il
proprio lavoro (come se fosse una molla più corta del normale). In questo caso si ha la distrofia di
Becker. La cardiomiopatia presenta invece delezioni del corpo della proteina ma in proporzioni
molto minori.

SEGNI CLINICI DELLA DUCHENNE - DMD


- Comparsa dei primi sintomi intorno ai 3 anni, perciò i bambini sembrano normali;
- Decorso drammatico: già a 13 anni gli affetti devono vivere in sedia a rotelle;
- Degenerazione neuromuscolare severa e progressiva, atrofia, debolezza e difficoltà motorie;
- Alterazione della fitness riproduttiva
- Il segno di Gowers è il sintomo tipico della Duchenne: il bambino si rialza dalla posizione prona
facendo forza sulle braccia anziché sulle gambe e deve poggiare le braccia sulle ginocchia per
riprendere la posizione eretta.

Anche le portatrici sane possono presentare alcuni problemi,


principalmente per quanto riguarda il muscolo cardiaco.
Infatti, ci saranno alcune delle loro cellule, in cui si è inattivata
la X sana, non presentano la distrofina. Di solito le portatrici
presentano cardiomiopatie e non devono svolgere intense
attività fisiche perché queste porterebbero alla morte dei
sarcolemmi dei muscoli coinvolti.

Se il bambino con Duchenne ha già perso tessuto muscolare,


la terapia genica non permette di recuperare la normale
funzionalità poiché non è possibile far regredire la malattia. E’
possibile invece intervenire sui geni prima dell’aggravamento
della malattia, rallentandola e rendendola meno grave.
Bisogna intervenire prima dei 13 anni (dopo la diagnosi si
hanno al massimo 7-8 anni).
SEGNI CLINICI DELLA BECKER – BMD
- Debolezza progressiva più lenta e tardiva, fino a 30-40 si vive in uno stato generale di salute
- Il muscolo per gran parte della vita si presenta solo sofferente e ci sono frequenti crampi
- alcuni muscoli sono preservati, come i flessori del collo vengono preservati
- non altera la fitness riproduttiva.

SEGNI CLINICI DELLA CARDIOMIOPATIA LEGATA ALLA DMD – DCM


- non c’è alcun problema di deambulazione o scheletrico
- si rischia di morire di morte improvvisa per arresto cardiaco tra i 20 e i 40 anni.

TEST GENETICO

Il test per le distrofie, che sono malattie monogeniche, rientra dal 2017 nei livelli LEA (livello essenziale di
assistenza), infatti si può effettuare un’analisi gratuita ed è diritto del cittadino. Il test serve a:

- Confermare la diagnosi
- Identificare i portatori sani
- Calcolare il rischio di ricorrenza
- Fare una diagnosi prenatale
- Fare una diagnosi di pre-impianto
- Fare terapia genica

Se una donna ha già un figlio con la Duchenne, qual è il rischio che anche il secondo figlio maschio la abbia?
Risposta: il 50%, ma solo assumendo che la donna sia sicuramente portatrice (due parenti di primo grado
affetti). L’insidia di questa malattia è che invece può scaturire da mutazioni de novo, come accade nel 30%
dei casi.

Se nasce un bambino malato, quindi, la madre non è necessariamente una portatrice sana. Bisogna perciò
considerare:

- La possibilità di eventuali mutazioni de novo


- La dimensione considerevole del gene della distrofina (2 milioni di basi) che lo rende bersaglio di
mutazioni
- Il fatto che le alterazioni cadono in determinate zone del gene (Duchenne nella porzione terminale
e centrale, Becker quasi tutte terminali)

Perciò, quando si analizza un caso di Duchenne non bisogna subito dire che la mamma è sicuramente
portatrice sana e quindi il rischio di un altro figlio malato è del 50% (questo si può dire solo se i casi in
famiglia sono due). Una donna che ha due parenti di primo grado affetti da distrofia di Duchenne è
sicuramente una portatrice sana. Per cui quando si hanno 2 fratelli con Duchenne, automaticamente
sapremo che la mamma è portatrice sana e la sorella sarà portatrice sana al 50% (albero genealogico di
sinistra).

Se invece in famiglia ho soltanto un caso, il rischio della mamma di essere portatrice non è il 100%, ma il
66,6%, poiché in 1/3 dei casi la mutazione non è ereditata (albero genealogico di destra).
Quindi cambia il calcolo del rischio di quella famiglia, in quanto non si parte dall’idea che la mamma sia
sicuramente portatrice, ma si parte dall’idea che la mamma potrebbe essere portatrice come potrebbe non
esserlo (con un rapporto pari a 2/3 e 1/3). In questo caso la sorella non sarà portatrice al 50%, ma lo sarà in
1/3 dei casi, perché il rischio della sorella è pari alla metà del rischio della madre. Per risolvere queste
problematiche, ad oggi si ha la possibilità di effettuare il test genetico.

Il test più in uso al momento è l’MLPA che permette di vedere tutti i 79 esoni del gene ed evidenzia la
delezione. Se nel bambino si nota la delezione (80% dei pazienti), la madre avrà il gene espresso “a metà”.

Nel restante 20% dei pazienti si ipotizzano mutazioni puntiformi. Per scoprirle abbiamo tecniche di
sequenziamento di nuova generazione che consistono nell’introdurre in una macchina un microchip
contenente DNA, ottenendo come risultato dei dati bioinformatici che andranno interpretati in maniera
biostatistica.

Oggi, se arriva un paziente con una sospetta distrofia ma il test per la Duchenne è negativo, si fanno
contemporaneamente i test per tutte le altre distrofie.

La diagnosi prenatale oggi è soprattutto non invasiva, non tocca il feto e consiste semplicemente in un
prelievo di sangue della madre. E’ possibile anche fare una diagnosi preimpianto in caso di fecondazione
assistita (prima che l’embrione venga impiantato).
LA GENTICA DEL CANCRO
La genetica del cancro si basa su due concetti:

- Qual è l’insieme delle anomalie genetiche che determinano la trasformazione di una cellula in una
cellula cancerogene?
- Perché un individuo nasce con un rischio aumentato di avere un tumore rispetto alla popolazione
normale?

Il cancro è una delle principali cause di morte nel mondo, tanto da causare circa 8 milioni di morti all’anno.
Quasi un quarto delle morti è causato dal cancro. Se noi prendiamo la popolazione generale, una persona
su 4 avrà il cancro. Esistono poi persone nate con un rischio maggiore rispetto a quello presente nella
popolazione generale, fino ai casi di persone le quali, nel corso della loro vita, hanno il 90% di rischio di
avere il cancro. Quindi, esistono due situazioni, che sono la popolazione generale e le eccezioni,
rappresentanti circa il 10% di tutte le forme di cancro, che invece si basano sulla suscettibilità genetica.

In Italia, il tumore più frequente è:

- la prostata nei maschi adulti,


- il testicolo nei maschi giovani
- le mammelle nelle femmine di qualsiasi età.

Il tumore alla prostata in un maschio è così frequente che in realtà, ad età >90 anni, è sicuro che un
soggetto maschio abbia un cancro alla prostata; è ovvio che, se morisse prima, potrebbe quindi non averlo
affatto, ma se vivrà oltre i 90 anni con certezza gli verrà diagnosticato un cancro alla prostata.
Ciononostante, il tumore più frequente in assoluto in tutte e due i sessi resta quello alla mammella:
sebbene alla prostata sia così frequente da colpire il 100% degli ultranovantenni, il tumore alla mammella è
così frequente (anche nelle giovani e quindi comprende più fasce di età) che tra uomini e donne risulta
essere il tumore più frequente.

In realtà, soltanto alcuni tumori sono direttamente collegati allo stile di vita. Questo è vero per poche
condizioni: una è sicuramente il cancro al polmone con il fumo di sigaretta, l’altra è l’alimentazione per il
cancro al colon; ma lo stesso cancro al polmone o quello al colon colpiscono frequentemente soggetti non
fumatori o persone attente alla dieta, semplicemente perché aldilà delle scelte di vita nell’ambiente sono
diffuse talmente tante sostanze cancerogene in quello che noi mangiamo o respiriamo, senza sceglierlo,
che i tumori globalmente sono in aumento, ma non per il nostro stile di vita.

L’ORIGINE DEL CANCRO

Lo sviluppo del cancro deriva dal fatto che nel nostro organismo c’è un equilibrio tra la proliferazione e la
morte cellulare. La vita di un individuo nasce da una fase di grande proliferazione cellulare, tant’è che nel
giro di 9 mesi ognuno di noi è passato da essere un individuo monocellulare a diventare un feto formato,
quindi è ovvio che il numero di cellule è aumentato, come è ovvio che il numero di cellule aumenti durante
tutto lo sviluppo del bambino e quindi il bambino nel cresce e attraversare l’infanzia e l’adolescenza, la
pubertà, fin quando non arriva all’età adulta, continua a far proliferare le sue cellule; succede però che non
continuiamo a crescere indefinitamente ma c’è un momento in cui la crescita si ferma. Si stabilisce quindi
un bilancio equilibrato: le nostre cellule muoiono e vengono sostituite in modo equilibrato. Alcune cellule
muoiono e vengono sostituite continuamente, sia per eventi fisiologici (turnover) sia per eventi patologici
(danneggiamento tessuti). Ci deve essere quindi un corretto bilancio tra:

- Stimolo della proliferazione cellulare


- Morte cellulare programmata (apoptosi)

Una cellula cancerosa è una cellula somatica che reca mutazioni accumulate in diversi geni le quali causano
una perdita di controllo della proliferazione cellulare.

Il cancro nasce da una mutazione somatica, quindi il cancro è una malattia genetica ma è nel 90% dei casi
una malattia genetica somatica che colpisce un solo tessuto (10% forma ereditaria). La continua
proliferazione di cellule mutate porta all’accumulo di anomalie cromosomiche come cromosomi aggiuntivi,
mancanti, delezioni, duplicazioni o traslocazioni. Le anomalie cromosomiche, riscontrate nelle cellule
cancerose dello stesso individuo o tra individui che presentano lo stesso tipo di cancro, possono essere
diverse. L’accumulo di anomali cromosomiche è chiaramente una conseguenza della divisione cellulare
incontrollata.

Queste mutazioni possono essere di due tipi. Possono essere spontanee, avvengono perché il nostro
sistema di replicazione del DNA non è perfetto e può commettere un errore che può essere insignificante o
può rappresentare il primo punto di partenza di una cellula verso la trasformazione in tumore. Ci possono
essere poi mutazioni causate dall’esposizione a sostanze mutagene. Questa esposizione però, nella maggior
parte dei casi, non dipende da scelte dall’individuo poiché è la condizione generale di vita degli individui ad
esporci a queste sostanze (raggi UV, fumo, plastica).

La mutazione in una cellula crea un danno nel DNA. I sistemi di controllo fanno in modo che questa
mutazione due tipi di esiti:

- La mutazione è grave e letale per la cellula (esempio: scottatura), le cellule muoiono e vengono
sostituite
- La mutazione viene riparata

Se non ho nessuno di questi due esiti, la cellula non muore e non viene riparata, quindi trasmette la
mutazione alle cellule figlie. Questa proliferazione ha un punto cruciale nel momento in cui si perde
l’inibizione da contatto. Normalmente, le nostre cellule smettono di crescere nel momento in cui si
toccano. Se perdono l’inibizione da contatto, continuano lo stesso a proliferare quindi, anziché restare
allineate per comporre un organo, si ammucchiano e diventano una massa disordinata. Una delle più grandi
acquisizioni della ricerca scientifica, risalente a circa 40 anni fa, è rappresentata dalle cellule HELA, che sono
le cellule del cancro all’utero di una donna; si vide che queste cellule continuavano a crescere, fornendo
loro il nutrimento in terreno di coltura, e queste cellule sono ancora vive in tutti i laboratori perché non
smettono di moltiplicarsi.

Tra l’esposizione all’agente mutageno e la manifestazione della malattia passa molto tempo, anche anni. La
cellula che muta può essere:

- Quella esposta maggiormente all’agente mutageno: il tumore si manifesta laddove c’è stata la più
forte esposizione mutagena, in caso di mutazioni indotte. Nelle zone dove si mangia molta carne
alla brace si hanno molti tumori allo stomaco e all’intestino, trai fumatori ci saranno molti tumori ai
polmoni, nelle zone esposte ai raggi UCV ci saranno molti melanomi
- Qualsiasi cellula, in caso di mutazioni spontanee: ci sono molti tumori che non derivano da
esposizioni ambientali.

Andando a studiare la mappa cromosomica dei tumori, si vide che c’erano numerosissime anomalie. Ci si
chiese se queste anomalie fossero la causa o la conseguenza del tumore. Oggi sappiamo che l’accumulo
delle anomalie è una conseguenza dell’anomalia che ha originato il tumore. Per trovare la causa di questo
accumulo bisognò fare una comparazione tra le anomalie dei vari casi di tumori: esse sono generalmente
differenti, ma è possibile trovare un’anomalia comune, che rappresenta l’anomalia all’esordio del tumore.

Tutto questo avvenne nel 1960, a Philadelphia, quando si identificò questa anomalia specifica in una
paziente affetta da leucemia mieloide cronica. Scoprirono che in tutti i pazienti affetti da leucemia mieloide
cronica presentavano un 22 piccolo e un 9 più grande del normale, perché c’era stata una traslocazione
bilanciata. Tutti i pazienti aventi questa traslocazione bilanciata 9-22, che prese da allora il nome di
cromosoma Philadelphia, sviluppavano la leucemia mieloide cronica e solo in seguito quando la malattia
diventava avanzata si accumulavano le altre anomalie; quindi, si andò a capire quale fosse l’anomalia di
partenza. Da lì, si arrivò a capire che i geni coinvolti nello sviluppo de cancro sono di 3 tipi:

- Oncogéni
- Geni oncosoppressori
- Geni mutatori (o riparatori)

GLI ONCOGENI
Gli oncogeni sono circa 80 geni che ognuno di noi ha nel codice genetico. Questi geni producono proteine
che stimolano la proliferazione cellulare, favorendo la crescita delle cellule. Questi geni servono soprattutto
nelle fasi di crescita (specialmente embrionali) o in tessuti in cui è richiesta un’intensa proliferazione
cellulare. Quando l’individuo si è sviluppato, questi geni, nella loro condizione fisiologica, si tacciono e
diventano protooncogeni, ma se vanno incontro a mutazioni si possono riattivare, tornando oncogeni. Una
mutazione quindi causa il cencro se si tratta di una mutazione somatica che colpisce oncogeni, favorendo la
riproduzione cellulare. Gli oncogeni mutati sono dominanti, perciò è sufficiente che la mutazione colpisca
uno solo dei due alleli: si tratta di un acquisto dominante di funzione. I prodotti degli oncogeni sono:

- Fattori di crescita, come gli ormoni che stimolano la proliferazione cellulare


- Proteine di membrana
• Proteine chinasiche, attivano la parte interna dei recettori di membrana: un normale
stimolo di proliferazione viene percepito come anomalo
• Proteine non chinasiche, attivano la parte interna dei recettori di membrana
- Proteine G, che trasferiscono il segnale dalla membrana al nucleo
- Proteine nucleari che agiscono sul DNA e ne promuovo la duplicazione

Si tratta sempre di mutazioni da guadagno di funzione. L’attivazione degli oncogeni può derivare da:

- mutazioni puntiformi (cambiamento nella sequenza di DNA), che alterano la funzione di una
proteina (proteina più attivata)
- trisomie, cioè nell’interno di quel tessuto troviamo un’amplificazione genica poiché si hanno 3
copie dell’oncogene anziché 2
- traslocazioni: il gene viene spostato su un altro cromosoma e questo spostamento causa la
disregolazione della sua attività
- inserzioni virali: il tumore della cervice uterina è un tumore di origine virale. Ci si può vaccinare per
il papilloma virus, perché se non c’è il papilloma virus non può svilupparsi il tumore del collo
dell’utero. Il papilloma virus deriva dai rapporti sessuali ma, generalmente, non causa tumori nel
maschio. Non è escluso che tra gli effetti del long covid ci sia un aumento della mortalità, potrebbe
comportare un aumento del rischio di qualche tumore
- alterato imprinting e altri meccanismi epigenetici

Un oncogene, a seguito di un’amplificazione, diventa presente in migliaia di copie formando una struttura
che prende il nome di Double minutes: i geni si amplificano così tanto che escono addirittura dal genoma
dei cromosomi e si trovano mescolati in mezzo ai cromosomi normali.

Si consideri, come esempio, la prima condizione in cui fu identificata una cellula cancerosa che era il
Philadelphia, che deriva da una traslocazione 9-22. Nel cromosoma 9 normale, all’estremità abbiamo il
gene C-ABL, un oncogene generalmente spento negli adulti. Nel cromosoma 22, invece, abbiamo il gene
BRC, attivo. A seguito della traslocazione, un pezzo del 9 (compreso l’ABL) si attacca sotto al BRC: i due geni
vanno a fondersi. Siccome BRC è normalmente espresso, viene espresso anche il gene ad esso fuso; quindi,
l’oncogene ABL si riattiva causando la leucemia mieloide cronica. Il nuovo gene di fusione diventa un gene
con attività di tirosinchinasi, quindi la cellula altera la sua capacità di membrana di recepire segnali di
crescita e inizia a proliferare in modo anomalo. In questo caso, le cellule coinvolte sono le cellule dei globuli
bianchi che, proliferando, fanno aumentare il numero di cellule cancerose fanno e diminuire tutte le altre
cellule prodotte dal midollo (globuli rossi, plasma, linfociti) poiché sottraggono loro nutrimento. Il paziente,
quindi, inizia ad avere anemia, infezioni ed emorragie. Può passare molto tempro prima che la mutazione
manifesti i propri effetti.

Sul cromosoma 8 c’è un altro oncogene, il C-MYC, mentre sul 14 ci sono i geni delle immunoglobuline. A
causa di una traslocazione, il gene C-MYC (Spento) si sposta sul cromosoma 14 attaccandosi ai geni delle
immunoglobuline (accesi). Questa condizione provoca un linfoma particolare, che è il linfoma di Burkitt,
una malattia che colpisce quasi esclusivamente i giovani di colore. Questa stessa anomalia, nei soggetti
bianchi, provoca un tipo di leucemia diverso dal linfoma di Burkitt. Il linfoma di Burkitt è una malattia tipica,
che colpisce i linfonodi della guancia del paziente. Quindi, le variabilità anche etniche contribuiscono,
perché questa anomalia nei bianchi provoca un altro tipo di leucemia.

GLI ONCOSOPPRESSORI
Gli oncosoppressori sono i geni che dovrebbero proteggerci dal cancro; infatti, favoriscono la morte
cellulare programmata (si tratta di una morte fisiologica). Bloccano la proliferazione cellulare e le proteine
da esse prodotte possono indurre:

- apoptosi, ovvero la morte cellulare programmata. Una cellula può morire in due modi:
• per necrosi: è una morte traumatica e improvvisa, causata da una lesione
• per apoptosi: è un processo programmatico fisiologico per permettere all’organismo di
sostituire le cellule
Perciò questi geni sono molto importanti nella prevenzione delle metastasi, in quanto esse
derivano da una cellula che si stacca dal tumore primario che, se ha creato spontaneamente
dei sistemi di vascolarizzazione, manda in circolo la cellula.

- il blocco del ciclo cellulare, dunque impediscono alla cellula di replicarsi. Nel caso in cui si parlasse
di una cellula che presenta una mutazione, il problema principale è che essa dividendosi dà vita a
dei cloni, che ad ogni divisione raddoppiano e l’insieme di quelle cellule formano il tumore. Quindi
bloccando il ciclo cellulare impediscono a una cellula mutata di duplicarsi.
- inibizione dell’attività delle proteine prodotte dagli oncogeni. È come se gli oncogeni giocassero in
attacco favorendo il cancro, mentre gli oncosoppressori in difesa andando a bloccare i prodotti
proteici.

Il più importante dei geni oncosoppressori è il p53, definito “sentinella o guardiano del genoma”, infatti i
pazienti che ce l’hanno mutato avranno diversi tumori sin dall’età giovanile. Questo gene, infatti, è il gene-
chiave della regolazione della nostra protezione contro il cancro. L’assenza del controllo negativo sulla
proliferazione si manifesta fenotipicamente solo quando l’oncosoppressore è deleto o mutato in entrambi
gli alleli. Gli oncosoppressori, quindi, danno il problema per perdita di funzione e ipoattività, comportandosi
in maniera recessiva; mentre gli oncogeni danno il problema per acquisto di funzione e iperattività,
comportandosi in maniera dominante.

È come se i due alleli fossero due sentinelle a guardia di un fortino, se i nemici abbattono una delle
sentinelle, rimane l’altra, che anche da sola potrebbe fronteggiare il nemico, ma se anche l’altra sentinella
viene abbattuta allora il nemico avrebbe libero accesso al fortino.

In caso di delezione il gene viene deleto, quindi viene rotto, e c'è automaticamente una perdita di funzione;
in caso di mutazione si ha una mutazione che introduce il codone di stop.

Questo meccanismo della doppia perdita di allele è stato rilevato per la prima volta nel retinoblastoma, un
tumore dell’occhio, in cui un individuo sano presenta due copie normali dell’oncosoppressore Rb. In caso di
perdita di una delle due copie l’individuo sarà ancora sano, ma con la perdita di entrambe le copie si avrà lo
sviluppo della malattia.

Il gene p53 si esprime quando la cellula è esposta a criticità, cioè in presenza di un danno del DNA, ipossia o
nel caso in cui notasse che c’è qualcosa che non va. Quindi, questo gene risponde alla presenza di un
problema, esprimendosi notevolmente in caso di criticità, ad esempio, in caso di esposizioni della cellula a
radiazioni cancerogene o mutagene, attivando poi una serie di geni. L’esito dell’intervento di p53 può
essere di due tipi:

- la cellula mutata viene riparata e torna normale


- la cellula non riesce ad essere riparata e viene avviata alla morte cellulare

Se invece l’evento mutageno colpisce p53, questo non riesce a svolgere la sua funzione e le cellule mutanti
proliferano. Quindi gli oncogeni subendo una mutazione si attivano e innescano la proliferazione cellulare
che deve portare un tumore, mentre gli oncosoppressori frenano questo meccanismo e riparano o
eliminano le cellule mutate, ma se gli oncosoppressori non funzionano il tumore si sviluppa comunque.
Sintetizzando, quindi, possiamo dire che per avere un tumore occorre prima la mutazione dell’oncogene,
che porta alla proliferazione delle cellule mutate, e poi la mutazione dell’oncosoppressore, in modo da non
permettere l’inibizione della duplicazione delle cellule mutate. Per questo è possibile che passino molti anni
dall’esposizione agli agenti mutageni e la manifestazione del tumore, perché l’agente mutageno deve
contemporaneamente inattivare diversi geni e prima che questo succeda i tempi di esposizione a una
sostanza cancerogena sono lunghissimi.

Gli altri oncosoppressori aumentano il rischio di cancro specificamente su alcuni organi e in maniera
secondaria su altri. Ad esempio, le mutazioni BRCA1 aumentano molto il rischio di tumore alla mammella,
all’ovaio e possono anche creare il rischio di tumore alla prostata, al pancreas e al colon ma su quest’ultimi
non hanno un effetto eccessivo, p53 invece aumenta il rischio di tutti i tumori.

Quando si ha una mutazione al gene p53 che si trasmette, essa non è somatica ma è germinale: dunque la
prima mutazione viene trasmessa all'interno della famiglia e la seconda interviene a livello somatico.
Quando in una famiglia si trasmette la mutazione del gene p53 si hanno dei casi drammatici perché ogni
individuo che eredita la mutazione ha un rischio altissimo di avere qualsiasi tumore e di averlo a qualsiasi
età.

Ovviamente il metodo di trasmissione è quello per cui metà dei figli erediteranno il p53 mutato o meglio
ogni figlio avrà il 50% di ereditare il gene p53 mutato. In queste famiglie, quindi, gli individui NON nascono
con il rischio generale della popolazione, secondo cui 1 persona su 3 avrà un tumore e si genererà dopo
decenni di esposizione. Qui la frequenza di sviluppo di un tumore è altissima, può avvenire a qualsiasi età e
in qualsiasi distretto corporeo.

Sempre Il Retinoblastoma è stato il modello su cui si è sviluppata la “Teoria del doppio colpo” di Knudson.

Knudson era un pediatra, che prima della


scoperta sul meccanismo degli oncosoppressori,
si pose un problema. Egli si chiese perché
esistevano i tumori nei bambini e a che cosa
erano esposti, in quanto il modello diceva che il
soggetto sviluppava un tumore dopo essere
stato esposto per decenni a sorgenti mutagene.
Egli fu il primo a proporre la teoria del doppio
colpo secondo cui la prima mutazione è
ereditaria e il bambino la eredita e sarà presente
in tutte le sue cellule già dalla nascita. Quindi
questo individuo appena nasce ha una
suscettibilità al cancro in tutto il suo corpo, mentre nei tumori sporadici (che non sono ereditari) ci sarà uno
specifico distretto corporeo dove inizierà la mutazione e il rischio sarà lì.

Quindi i bambini che ereditano una mutazione per p53 a livello germinale hanno una mutazione in tutto il
corpo e nel luogo dove si svilupperà la seconda mutazione, che sarà somatica, si svilupperà il tumore.
Generalmente, per produrre un tumore sporadico si devono verificare due eventi rari, cioè due mutazioni
della stessa cellula. In una persona che, invece, nasce già portatore della prima mutazione, invece, è
sufficiente che si verifichi una sola mutazione addizionale perché si sviluppi il tumore.

I tumori ereditari hanno quindi la caratteristica di avere un’insorgenza precoce: ciò significa che si
sviluppano prima dell'età media in cui si sviluppano gli altri tumori nella popolazione. Inoltre, può accadere
che un soggetto nel caso di tumore ereditario abbia più tumori, in distretti corporei diversi.
GENI RIPARATORI
I geni riparatori o mutatori, quando funzionano sono riparatori mentre quando sono mutati sono mutatori,
infatti non riparando aumentano il tasso delle mutazioni. I geni riparatori hanno il compito di riparare il
DNA delle cellule migliaia di volte al giorno, dietro stimolo degli oncosoppressori, a seguito di danni
provocati da sostanze chimiche o fisiche. Quando sono a loro volta mutati, non riescono più a riparare il
DNA e tutte le mutazioni si vanno ad accumulare. I geni riparatori mutati sono recessivi, quindi occorre una
mutazione di entrambi gli alleli (come per gli oncosoppressori).

Un esempio di malattia ad essi correlata è lo xeroderma pigmentoso. In questa malattia gli individui
nascono inizialmente normali, ma hanno una mutazione in un gene che ripara il DNA, questo gene in
particolare ripara le mutazioni indotte dai raggi ultravioletti. Quest’ultimi sono radiazioni non penetranti (a
differenza dei raggi x), quindi creano un danno solo sulla cute o sull’occhio, se esposto. Il gene dello
xeroderma pigmentoso è un gene che ripara i danni cutanei; perciò, se un bambino nasce senza questo
gene appena viene esposto al sole si nota subito che si ricopre di lentiggini, che all’inizio sono tumori
benigni ma che progressivamente alcuni diventeranno maligni. Essa è una patologia drammatica, perché i
bambini non possono essere esposti al sole, nemmeno con la crema protettiva.

Il bambino con lo xeroderma pigmentoso non ripara i danni causati dai raggi ultravioletti; quindi, in realtà
quando noi ci esponiamo al sole abbiamo gli stessi danni che ha questo bambino, ma in noi vengono
riparati.

Bisogna stare attenti ai raggi ultravioletti in quando sono diventati molto più aggressivi negli ultimi anni e
mettono a dura prova i sistemi di riparazione; quindi, la percentuale di tumore cutaneo (soprattutto il
melanoma) è molto aumentato soprattutto negli stati uniti e nelle categorie molto esposte. In conclusione,
lo Xeroderma pigmentoso è un modello che ci fa capire cosa succede quando noi non riusciamo a riparare i
danni del DNA.

TEST GENETICO PER IL RISCHIO DI CANCRO

I test genetici per calcolare il rischio di formazione di un tumore per un individuo sono validi solo per tumori
ereditari, causati da una mutazione germinale che viene trasmessa da un individuo all’altro della famiglia.
Possiamo quindi dividere i tumori in.

- Ereditari: sono circa il 10%. Il soggetto


eredita una mutazione germinale
(presente in tutte le cellule) che gli
conferisce suscettibilità al cancro e subisce
una seconda mutazione a livello somatico.
Trasmette la predisposizione al cancro.
- Sporadici, non ereditari: sono la
maggioranza e si verificano in individui che
non nascono con un rischio di cancro, ma a
seguito di un’esposizione a fattori
cancerogeni, ad esempio al fumo della
sigaretta, possono avvenire mutazioni. Si
tratta di mutazioni somatiche, ovvero la mutazione è solo nel sito in cui si svilupperà il tumore. il
soggetto va incontro a due mutazioni, entrambe a livello somatico, di entrambi gli allei di un gene.
Le mutazioni possono essere spontanee, causate da un errore di replicazione di DNA, o indotte,
causate dall’esposizione ad un agente mutageno. Non trasmette la predisposizione al cancro.
Perciò per questa classe di tumori la cosa più importante è lo stile di vita. Il rischio, infatti, deriva
dallo stile di vita e da una casualità per la quale non sarà mai possibile azzerare il numero di tumori
nella specie umana, in quanto molti derivano da errori nella duplicazione del DNA non prevedibili.
- Esistono poi i tumori familiari: sono quei tumori per cui si ha una famiglia con diversi casi di cancro
perché i componenti di quella famiglia sono esposti a degli stimoli cancerogeni tutti insieme e non
perché viene trasmesso un gene di scuscettibilità. Ad esempio, vicino all’Ilva id Taranto, ci sono
famiglie decimate dal cancro ma non a causa di una trasmissione della malattia bensì per
l’esposizione a veleni tossici. Non c’è quindi una trasmissione verticale del rischio. Un’aggregazione
familiare di tumori non è sinonimo di predisposizione genetica. I tumori familiari coinvolgono
molteplici geni e fattori ambientali. Il rischio di manifestare il tumore è superiore rispetto alla
popolazione normale.

Nel cancro sporadico, le due mutazioni devono apparire sulla stessa cellula, mentre questo non è valido per
i tumori ereditari.

Nei tumori ereditari, l’individuo nasce con un rischio aumentato di tumore ma questo tumore nasce solo
dopo un’esposizione ad agenti mutageni ambientali. I tumori ereditari sono malattie multifattoriali. Infatti,
anche l’ambiente ha un ruolo importante nei tumori di questo genere, in quanto non si eredita il tumore
ma la suscettibilità; dunque, il soggetto nasce con una probabilità più alta di avere il tumore, ma poi il
tumore si genera solo a seguito di esposizioni ambientali; quindi noi abbiamo due elementi da considerare
in questi casi: i geni di suscettibilità e i fattori ambientali che sono i fattori scatenanti. Quindi in ogni caso il
ruolo dell’ambiente c'è sempre, anche se meno importante nel tumore ereditario (perché qui l'individuo
nasce già con una mutazione in tutte le proprie cellule).

DATI SUL CANCRO IN ITALIA (2019)

I tumori ereditari sono il tipo di tumori nei confronti dei quali, maggiormente, negli ultimi anni si sono fatti
progressi nella prevenzione e nella terapia. Ogni giorno, complessivamente, abbiamo in Italia 1000
diagnosi di tumore maligno.

La prevalenza di un tumore rispetto all’altro è data dallo stile di vita, ad esempio in Italia la frequenza del
tumore al colon, per via della dieta mediterranea, è minore rispetto agli altri stati. Mentre altrove il tumore
al colon è molto frequente, in Italia nelle donne è più frequente il tumore alla mammella e negli uomini
quello alla prostata, ma comunque in tutta la popolazione il tumore più frequente resta quello alla
mammella, che colpisce raramente anche il sesso maschile. Ci sono più motivazioni, ma la più realistica è la
grossa mancanza di misure di salvaguardia dell’ambiente; infatti, nell’inquinamento d’Italia sono molto
presenti sostanze dette interferenti endocrine, sostanze micidiali, sostanze plastiche che hanno un’azione
estrogenica. Per cui nei maschi danno problemi per quanto riguarda la riduzione della fertilità e della libido,
mentre nelle donne danno un aumento del carico estrogenico e gli organi più a rischio di cancro sono quelli
più ricchi di estrogeni, perché gli estrogeni funzionano come fattori di crescita. Quindi la mammella è uno
degli organi a rischio di tumore perché è ricco di estrogeni ed ecco perché in un ambiente ricco di
interferenze endocrine il tumore mammario diventi il più frequente.
Nei maschi, ad esempio, anche il tumore al polmone è molto frequente e rappresenta il secondo tipo di
tumore (il secondo più frequentemente diagnosticato), mentre nella donna il terzo, ma oggi la frequenza
nei due sessi è praticamente la stessa, anche se una volta non era così. Il fumo, infatti, una volta era
un'attitudine prevalentemente maschile invece ora gli effetti del fumo ricorrono in entrambi i sessi, quindi,
è presente più o meno in tutti e due questo tumore, così come quello al colon.

Altri tumori, più particolari, come quello alla prostata può averlo solo il maschio e quello al collo dell’utero
che può averlo solo la donna.

Un’altra cosa drammatica sono le percentuali di mortalità, in quanto mentre la prostata è frequente solo
nei maschi e si trova al 3° posto per la mortalità (al 1° il polmone); il tumore alla mammella, oltre a essere
quello a maggior frequenza nelle donne di qualsiasi età, è anche quello a maggior mortalità.

IL TUMORE ALLA MAMMELLA

Questo tumore è uno di quelli soggetto a


screening, ovvero dai 50 anni le donne ricevono
una lettera con un invito per effettuare una
mammografia per controllare la presenza di un
tumore. In Italia il 59% delle donne tra i 50 e 69
anni, aderisce allo screening per tumore
mammario. Sono dati lontani dall’adesione che c'è
nei paesi nord-europei (si vedano ad esempio
Danimarca o Finlandia).

Il dato italiano sull’aderenza potrebbe essere


molto migliore, se non esistesse una
ingiustificabile differenza tra l’estensione degli
inviti a Nord e Sud della penisola. Nel Nord il 98% delle donne ricevono l'invito, al Centro il 96%, al Sud e
nelle isole solo il 59%. Questo comporta che la partecipazione all’invito nel Nord sia al 68% (più alto della
media nazionale) ma al Sud sia al 44%, questo non per mancanza di virtù ma perché sono poche quelle che
hanno ricevuto l'invito.
C’è poi un secondo problema: la differenza di incidenza tra tumori ereditari e tumori sporadici. Esiste infatti
un rischio della popolazione generale e un rischio specifico per singoli individui (suscettibili a tumori di tipo
ereditario) che è molto più alto rispetto a quello della popolazione generale.

Bisogna quindi sostituire il vecchio modello “One size fits all” (tradotto in "la stessa taglia va bene per
tutti"), ovverosia che la medesima prevenzione è sufficiente per tutta la popolazione, ad un modello in cui
la popolazione viene separata in base al loro rischio individuale, a cui consegue una prevenzione mirata in
base al rischio di partenza dei singoli individui. Questo diverso rischio di partenza si basa o sul fatto che il
tumore derivi da agenti ambientali responsabili del danno sul DNA (es. asbesto) , o da mutazioni ereditarie;
in altre parole il rischio è diverso tra chi subisce mutazioni germinali che danno luogo ai tumori ereditari
oppure chi invece subisce mutazioni sporadiche e quindi casuali.

I tumori ereditari hanno caratteristiche specifiche:

- Età precoce di insorgenza: Per precoce si intende una età inferiore ai 40 anni per il sospetto di una
forma ereditaria. Ѐ tuttavia differente a seconda del percorso diagnostico (esempio: su territorio
abruzzese l’asticella è posta ai 50 anni, per cui se si ha un tumore mammario a 50 anni comunque
siamo di fronte a una situazione che ci fa sospettare una forma ereditaria);
- neoplasie bilaterali o multifocali: il tumore si verifica in entrambe le mammelle. Questo è un segno
molto forte di ereditarietà del tumore, infatti il tumore sporadico si concentra su un organo,
mentre i seni, pur essendo due, sono indipendenti tra loro.
- associazione con altri tumori: l’associazione più comune è tra mammella e ovaio, ma non è la sola:
mammella e tiroide; mammella e melanoma sono altresì frequenti.
- presenza di casi comuni nella stessa famiglia. Ci deve essere un pattern specifico, il tumore deve
essere presente in ogni generazione
- Caso di tumore in forma triplo-
negativa, la forma meno responsiva
alle terapie. il 14% dei pazienti
triplo-negativi ha una forma
ereditaria della mutazione.
- Caso di tumore alla mammella
maschile, dove la casistica di
ereditarietà è di 1:3
- Non riferendosi alla mammella, si
hanno spesso lesioni precancerose,
come nel caso dei polipi nel colon.

Ovaio, stomaco e mammella sono i tumori ereditari più frequenti.


Tutte le donne a cui viene diagnosticato il tumore all’ovaio fanno il test genetico, mentre nel caso di tumore
alla mammella il test viene fatto solo in caso di insorgenza precoce e presenza di altri casi in famiglia.

Ognuno di noi non nasce con un rischio 1:3 di avere un tumore, ma il rischio è molto più alto se si hanno
mutazioni ereditarie:

- nel tumore alla mammella il rischio sale fino all’87%,


- nel tumore ovarico sale fino al 44%,
- per il tumore al colon l'insorgenza è praticamente certa.

Pertanto la dicitura secondo la quale si nasce con un rischio di 1:3 di contrarre un tumore non è vera,
poiché per alcuni individui è addirittura superiore a 1:1 specie in casi di insorgenza di multipli tumori.

Va quindi ribadito in quanto punto focale, che la prevenzione dei tumori in questi individui non può essere
la stessa di quella per la popolazione generale. Da un lato quindi si hanno screening preventivi per la
popolazione generale, nel caso di individui a rischio invece si effettuano screening “improved”, quindi
migliorati e approfonditi (esempio non ci si ferma a una mammografia annuale, ma si eseguono altri esami
di controllo come MRI od ecografie). Negli USA esiste anche la possibilità di effettuare una chemioterapia
preventiva, anche se sia l’utilità sia la sicurezza di tale pratica sono molto discusse. In Italia è possibile
effettuare procedure preventive del rischio, ad esempio nel caso di una donna giovane la quale scopre di
avere una mutazione trasmessa dalla madre che causa un aumento del rischio di sviluppare un tumore alla
mammella o all’ovaio. In questi casi, al fine di ridurre il rischio, si può decidere di procedere con un
intervento drammatico: la mastectomia bilaterale e l'ovariectomia, ovvero la rimozione totale di mammelle
e ovaio. Alcune delle problematiche legate a questi interventi sono le considerazioni per la famiglia: ossia
che per le forme ereditarie, al contrario delle forme sporadiche dove l’affetto da tumore non coinvolge altri
membri nella decisione, ogni parente di primo grado ha il 50% di possibilità di avere il gene mutato viene
quindi la famiglia ad essere oggetto dell’indagine. Un altro genere di problemi che insorgono riguardano la
sfera psicologica.

LA SCOPERTA DELL’EREDITARIETA’ DEL CACRO


La prima ipotesi che esistessero delle forme ereditarie di cancro fu fatta da un
medico francese, Paul Broca, che si rese conto che la famiglia di Madame Z.
aveva una percentuale di casi di tumore alla mammella straordinariamente
elevata. Era una trasmissione simile a quella delle malattie genetiche
dominanti, non poteva essere quindi una casualità.

Tale signora,
malata a 60 anni
di tumore alla
mammella, ebbe 4 figlie, anch’esse tutte malate
di tumore, tra cui un caso di tumore al fegato il
quale verosimilmente era in realtà da imputarsi
all’ovaio, dal momento che la sua diagnosi non
era facile da effettuarsi al tempo e che il tumore
all’ovaio ha la tendenza a diffondersi subito. A
sua volta questa donna ha molti figli (7), 5 dei
quali malati di tumore. Broca già nel 1866
comprese che non poteva trattarsi di una casualità, tenendo conto che gli agenti ambientali del tempo non
causavano familiarità. Ipotizzò dunque che Madame Z. avesse in qualche modo trasmesso una suscettibilità
al tumore alle figlie e che esse stesse a loro volta avessero trasmesso tale suscettibilità alla progenie. La
scoperta del DNA era distante quasi un secolo (1950 circa), tuttavia il mendelismo cominciava ad essere
conosciuto. Intorno al 1994-95 vennero individuati i geni BRCA1 nel cromosoma 17 e BRCA2 nel
cromosoma 13.

BRCA1 E BRCA2
Per BRCA1 le tipologie di tumore il cui rischio è
aumentato sono il tumore mammelle e quello
all’ovaio.

Per BRCA2 aumenta sia alla mammella sia


all’ovaio, anche se meno che nel caso di BRCA1,
ma aumenta soprattutto la casistica di tumori alla
mammella nei maschi, per i quali BRCA2 è un
fattore di rischio molto forte, oppure ancora
tumore alla prostata e al pancreas.
Quindi per quanto siano definiti come geni del carcinoma mammario, i tumori interessati sono diversi,
seppur meno che nel caso di P53 (per mutazione di p53 si possono avere tutti i tumori possibili e
immaginabili).

Quando si esamina l’istologia, ovvero la tipologia, dei tumori sporadici, si evince che in genere si tratta di
tumori Luminal A, una categoria istologica non particolarmente aggressiva.

Nel caso della mutazione del gene BRCA1 si tratta al 61 % di una tipologia basal-like, che è una forma più
aggressiva, per cui un tumore con mutazione per BRCA1 (e un po' meno per BRCA2) è un tumore più
aggressivo della forma sporadica.

BRCA1 è più aggressivo di BRCA2 perché tra le funzioni di BRCA1 troviamo:

- riparazione dei danni al DNA


- regolazione della trascrizione
- controllo del ciclo cellulare (arresto della proliferazione cellulare), BRCA2 ne è un bersaglio
- ubiquitinazione delle proteine.

BRCA2 ne risulta uno dei bersagli, dunque una mutazione di BRCA1 inficia sull’efficacia di BRCA2, ma non
viceversa. In assenza di questi due geni, la cui funzione è stabilizzare il genoma, esso diventa appunto
instabile e le mutazioni tendono poi ad accumularsi.

Quindi, i tumori causati da mutazione di BRCA1 e 2 sono molto più aggressivi, precoci e colpiscono più
organi. 1 è più aggressivo del due.

L’idea per identificare una strategia di prevenzione parte dalla disamina di un soggetto affetto. Si verifica
dunque se per età di insorgenza, tipologia di tumore, familiarità si tratta di una persona a rischio di avere
una mutazione e si compie un'analisi di BRCA. L’analisi di BRCA può dare due risposte:

- il paziente presenta la mutazione: si tratta di tumore ereditario e allora il calcolo del rischio non si
basa più sul rischio empirico, cioè sui dati della letteratura, ma su quello del paziente in base al tipo
di mutazione. A questa persona vengono dunque prescritti esami clinici ogni 6-12 mesi, MRI
annuale e, previo consenso della paziente, una mastectomia bilaterale.
- il paziente non presenta la mutazione, e si hanno due categorie
• il rischio è pari a quello della popolazione generale, quindi 8% di rischio di tumore alla
mammella e meno dell’1% di tumore all’ovaio, per i quali è sufficiente lo screening
annuale;
• nonostante l’assenza di mutazione, c’è familiarità, quindi il rischio è comunque più alto
della popolazione generale. Si consiglia una sorveglianza maggiore.
L’EFFETTO DEI MEDIA SULLE CAMPAGNE DI PREVENZIONE DEL CANCRO
Il tipo di approccio individuale di prevenzione colpisce molto
l’immaginario collettivo e i mass media, i quali hanno in alcuni casi
adottato un approccio sensazionalistico calcando la mano su una
visione estremamente negativa. Per esempio, intorno alla fine degli
anni Novanta ci fu un caso, citato dalla rivista Newsweek, di
familiarità per cancro mammario tra nonna, madre e figlia di 5 anni,
della quale ci si domandava la possibilità di scampare alla malattia.
Dall’articolo si poteva intendere che avere la mutazione
corrispondesse ad avere la malattia e che l’unico modo per
scongiurarla fosse la mastectomia, aggiungendo la necessità per un
test ad Alessandra (la bambina di anni 5). Il test si effettua solamente
su soggetti maggiorenni poiché l’insorgenza non può essere antecedente ai 18 anni. In ogni caso raggiunta
la maggiore età il soggetto sarà in grado di decidere se e quando effettuare gli interventi preventivi. Infatti,
prima dei 18 anni, la paziente non è in grado di decidere, in caso di positività, come procedere.
Una grande svolta nell’ambito mass mediatico della
prevenzione accadde nel 2013 quando Angelina
Jolie rese pubblica la sua condizione di individuo in
cui è presente la mutazione al gene BRCA1 e di
essersi sottoposta ad una mastectomia e
ooforectomia preventive, per poi rendersi
testimonial di questa scelta invitando le donne a
sottoporsi a screening e interventi preventivi se
dovesse esservi la necessità. In seguito a queste
dichiarazioni si è riscontrato un grande aumento
nella domanda di screening a livello mondiale, tale
effetto è stato denominato effetto Jolie. Il test non va tuttavia preso sottogamba, poiché la mastectomia
che può seguire NON è un intervento banale, non si tratta di un intervento di chirurgia estetica, dove si
opera solamente nella parte adiposa della mammella; nella chirurgia preventiva viene rimossa anche la
ghiandola mammaria, e nel caso in cui anche una ovariectomia venga effettuata si perdono due funzioni
endocrine e per di più la donna rimane sterile. Una pratica che ovvia a queste problematiche è il social
freezing, ossia la pratica di prelievo di ovocellule o di un pezzo di ovaio prima dell’operazione e congelarlo
in laboratorio in modo tale che se l’intervento fosse eseguito prima di aver avuto dei figli la donna potrà
fare fecondazione assistita con le ovocellule che sono state messe "da parte" o addirittura potrà
ritrapiantare del tessuto ovarico non nel punto da cui era stato prelevato, ma ad esempio sottocute
nell'avambraccio da dove poi si possono prelevare gli ovociti.

In conclusione per valutare chi può essere sottoposto a questo test è necessario considerare il rapporto tra
costo e beneficio poiché il costo per individuare geni mutati BRCA1/2 ed altri ammonta a 1.200 euro.
Effettuare questo test a pagamento è una grave forma di discriminazione sociale, infatti non è questo il
caso, ma è comunque necessaria una selezione dei pazienti altrimenti il costo a livello sanitario nazionale
non sarebbe sostenibile, inoltre le tempistiche di arrivo dei risultati non sarebbe in tempi utili, dal
momento che ad ora il tempo di attesa è un mese e questo con la selezione.

Quindi i problemi sono:

- rapporto costi-benefici
- considerazioni etiche, ossia il consenso della paziente. Bisogna spiegare bene quali sono le
conseguenze del test e soprattutto non si deve eseguire il test se la donna non ha dato il proprio
assenso.
- problemi riproduttivi nel caso della ovariectomia;
- problemi relativi alla sfera psicologica, molti studi infatti affermano che le donne sottoposte a
mastectomia bilaterale hanno problemi di natura sessuale dovuta alla perdita di ormoni e quindi ad
una libido diminuita.

Un tempo, quando i costi erano più elevati (4000 euro), il test veniva effettuato solo nei soggetti dalla cui
storia familiare risulta lampante una correlazione alla ereditabilità della mutazione.

SI trattava però di un approccio troppo restrittivo che escludeva una grande fetta della popolazione che
presenta comunque la mutazione, perché la familiarità non è necessariamente un evento vincolante. Si può
trattare anche di mutazioni de novo. Il primo elemento per decidere se fare il test è quindi l’età: in caso di
esordio precoce, il test deve essere fatto anche in assenza di familiarità. Il triplo negativo è la forma più
aggressiva di tumore alla mammella e, quando questa viene diagnosticata, in ogni caso deve essere svolto il
test; infatti, il 14% di pazienti che presentano questo tumore sono positive al test.

Tra i maschi che hanno il tumore alla mammella, 1:3 hanno la mutazione; quindi, in caso di tumori alla
mammella maschili bisogna sempre effettuare il test. I pazienti che hanno questo tumore però arrivano
tardissimo alla diagnosi perché non pensano neanche di potersi ammalare. Eppure, la mutazione del BRCA1
può causare anche tanti altri tumori.

Mentre prima si pensava una incidenza di 1:400 casi di forme ereditarie, nella popolazione generale c’è
probabilmente una casistica di 1:150 di mutazioni di BRCA1 e BRCA2.

In Canada, tutti i soggetti dopo i 18 anni svolgono il test, in modo da individuare le famiglie che presentano
la mutazione e focalizzare poi gli investimenti per assisterle.

Si è scoperto che i geni coinvolti in questi meccanismi sono molti, alcuni sono più frequenti (BRCA1,
BRCA2), altri meno frequenti. Per fare uno studio approfondito su un paziente non bisogna considerare
pochi geni ma i pannelli multigenici. La grande novità è stato capire che non ci sono geni specifici per una
malattia.

BRCA1 e BRCA2 aumentano il rischio di tumore alla mammella e alle ovaie, ma anche del tumore al colon,
della prostata, del tumore al pancreas, questo perché i portatori di mutazioni hanno mutazioni in tutte le
cellule del corpo, quindi qualsiasi parte del corpo è a rischio. Per una serie di motivi ( per esempio ormonali)
alcuni individui possono avere più a rischio il seno o le ovaie o altre zone. Nasce quindi lo studio di tutti i
geni contemporaneamente, perché ad esempio BRCA2 può essere connesso al cancro ovarico, ma anche a
quello al pancreas, alla prostata, ecc.

Solo il 30% dei pazienti che hanno già un cancro alla mammella causato da mutazione di BRCA vengono
sottoposti al test e solo il 10% dei non affetti ma portatori della mutazione sono sottoposti al test: quindi
vuol dire che noi abbiamo ancora un 70% dei pazienti con mutazione già ammalati e addirittura il 90% dei
pazienti con mutazione non ancora ammalati che dobbiamo esaminare. Tutti i possibili casi in cui si deve
fare il test sono moltissimi, la condizione del paziente che si sottopone al test è molto variegata.

CHI SI SOTTOPONE AL TEST?


Quando una donna ha un tumore alla mammella o alle ovaie viene sottoposta al test se rientra in una di
queste categorie (età giovanile di insorgenza, familiarità, carcinoma triplo negativo) inoltre vengono
sottoposti al test anche i portatori di:

- carcinoma ovarico
- tumore alla mammella maschile
- tumore alla prostata
- tumore al pancreas

Tutti questi pazienti devono fare necessariamente la consulenza genetica, per spiegare al paziente cosa
andremo a fare e per interpretare i risultati. Bisogna spiegare che il test vuol dire che, per esempio, su una
persona ancora sana che ha un alto rischio di sviluppare il tumore, che non è la certezza ma un rischio
molto alto, che ci sono delle procedure profilattiche. Ma la cosa più importante è: il paziente può rifiutarsi
di fare il test. È per questo che serve la consulenza: spiegare bene al paziente che cosa noi andremo a fare,
il quale potrà dare il suo consenso. Non funziona come in ospedale, dove si prende un prelievo di sangue
(per l’emocromo, la glicemia, l’azotemia) al paziente, il quale non può rifiutarsi (non avrebbe senso che si
rifiuti perchè quei valori servono a dire com'è la sua situazione di salute attuale). Il test genetico invece
guarda nel futuro e non è detto che il paziente voglia sapere cosa gli succederà nel futuro.

Un test che non prevede l’intermediazione di un medico, ma che prevede esclusivamente l’analisi in
laboratorio del campione, è ritenuto illegale, deontologicamente scorretto, perché la consulenza è
fondamentale per spiegare il significato del risultato.

È stata portata avanti negli Stati Uniti un’iniziativa che aveva il nome simbolico di “23&me”: 23 erano le
coppie di cromosomi, “me” era il paziente. Questa era una compagnia che sosteneva che tra il laboratorio
che faceva l'analisi e il paziente non ci dovessero essere intermediari. Ossia, portava avanti il concetto del
test diretto al consumatore.

QUAL È IL SIGNIFICATO DEL RISULTATO?


In primo luogo, si esamina la differenza di rischio che c’è tra popolazione generale e popolazione con la
mutazione trovato. Se c’è una mutazione patogenetica del BRCA, il rischio di sviluppare il tumore aumenta
notevolmente.

Ad esempio, il rischio di avere un tumore


alla mammella per una donna sotto i 50 anni
va dal 2% al 51%, se la mutazione è
presente. Il rischio a 70 anni è 8% in una
donna senza mutazione, 87% con la
mutazione, ma se ho per una donna che ha
già un tumore alla mammella, il rischio di un
secondo tumore mammario per la
popolazione è 11%, con una mutazione sale
a 64%, e il rischio di tumore ovarico entro i
70 anni che nella popolazione generale è
molto raro, meno del 1%, sale a 63%.

Questo è vero solo nel caso in cui si trova una mutazione patogenetica, ovvero una mutazione che
provocherà, in questo caso, la perdita di funzione dell’oncosoppressore. Le varianti che troviamo in un test
genetico sono di diversi tipi, infatti le mutazioni possono essere:

- patogenetiche, che fanno aumentare sicuramente il rischio di tumore


- verosimilmente (probabili) patogenetiche, vanno trattate come patogenetiche (non ne siamo sicuri
ma è molto probabile, per cui nel dubbio le trattiamo come patogeniche),
- VUS, varianti di significato ignote, non sappiamo se sono patogenetiche quindi non le trattiamo
come se fossero patogenetiche
- Verosimilmente benigne, che non trattiamo come se fossero patogenetiche
- Benigne, che non trattiamo come se fossero patogenetiche

Sulla base del tipo di mutazione trovata, ci sarà una specifica profilassi. Per esempio, sappiamo che BRCA2
aumenta il rischio di tumore alla mammella maschile mentre BRCA1 no, quindi se troviamo una famiglia in
cui ci sono anche dei maschi con mutazione di BRCA2 è possibile avvisarlo del rischio. Se invece la
mutazione è di BRCA1, questo rischio è molto molto basso.

QUALI SONO I BENEFICI DEL TEST?


Prima di tutto, se non trovo alcuna mutazione posso rassicurare il paziente, il quale magari era preoccupato
per l’alta familiarità con il cancro. Naturalmente, bisogna specificare che il rischio generale rimane, ma è
comunque molto più basso. Ma laddove invece trovo una mutazione il vantaggio è rappresentato dal fatto
che posso fare la profilassi, la prevenzione. Trovata la mutazione, infatti, diventa possibile:

- Sottoporre al test anche altri parenti adulti e individuare eventuali portatori della mutazione
- Tenere la paziente sotto osservazione, facendo frequenti indagini in modo da individuare subito la
malattia appena compare. Nel caso del tumore alla mammella, quindi, la paziente viene tenuta
sotto sorveglianza con delle mammografie, delle risonanze magnetiche, ma anche delle colonscopie
perché la mutazione di BRCA può portare l’aumento di rischio di cancro al colon, così come la
mappatura dei nei. Si vanno quindi a prevedere tutti i possibili tumori causati dalla mutazione
- Fare cambiamenti nello stile di vita. Ad esempio, gli estrogeni aumentano il rischio di tumore alla
mammella, quindi una ragazza mutata a rischio non deve prendere la pillola anticoncezionale (ricca
di estrogeni). Questo è l'unico motivo per cui bisogna ragionare bene sull’ età in cui fare il test: se si
aspetta molto a farlo magari quella ragazza ignora di avere una mutazione e prende la pillola,
aumentando il rischio.
- Chemio-prevenzione (non consentita in Italia)
- Fare chirurgia profilattica, cioè esportare entrambe le mammelle e le ovaie.
CHIRURGIA PROFILATTICA
Sulla chirurgia profilattica possono aprirsi vari dibattiti: consiglio o non consiglio a una donna la chirurgia
profilattica? Questa consiste nell'asportare entrambe le mammelle ed entrambe le ovaie. Per quanto
riguarda la chirurgia, molto dipende da:

- Età
- Aver fatto figli
- Avere un partner

I medici si dividono in preservers e preventers.

I preservers sono quelli che preferiscono lasciare il seno perché:

- ritengono molto più efficace fare un follow up di queste pazienti, seguirle e fare una diagnosi
precoce per, eventualmente, intervenire subito
- pensano che se tutte le donne si togliessero i seni, ci sarebbe un affollamento delle sale operatorie,
a danno delle donne che effettivamente presentano il tumore e necessitano dell’intervento
- vogliono preservare l’aspetto esteriore e non compromettere la vita sessuale delle pazienti

I preventers sono quelli favorevoli all’intervento. Anche le donne si dividono in preservers e preventers, ma
le loro motivazioni sono in parte diverse da quelle dei medici.

Le donne preventers vogliono fare l’operazione:

- per motivi estetici e di simmetria, dimenticando, a volte, come la mastectomia elimini anche la
ghiandola mammaria, il capezzolo e l’areola, per cui c’è disregolazione endocrina e diminuzione
della libido
- per paura che il tumore si presenti in un solo seno e, nel caso dovessero rimuoverlo, avrebbero una
situazione sbilanciata

Le donne preservers decidono di non sottoporsi all’operazione preventiva. Si tratta solitamente di donne
giovani.
Per quanto riguarda l’ovaio, la prognosi è molto più negativa rispetto alla mammella dove invece, se faccio
una diagnosi precoce, riesco a fermare la malattia. Per quanto riguarda l’ovaio, si raccomanda sempre di
toglierlo. L’unico problema è il quando, perché togliendo l’ovaio si rende il paziente sterile. Si consiglia di
non superare i 40 anni, in quanto di solito dopo i 40 anni la possibilità di fare figli è comunque ridotta.
Donne che hanno già i figli, invece, tendono con grande disinvoltura a togliere l’ovaio perché il problema
estetico che c’è sulla mammella ovviamente non persiste.

LE TERAPIE
I pazienti con mutazione di BRCA1 e 2 rispondono meglio a terapie particolari.

Tutti i giorni subiamo danni al DNA che vengono riparati. Tra le funzioni di BRCA1 e BRCA2 ci sarebbe
proprio quella di riparare il DNA, ma se questi sono mutati diventano inefficienti. In caso di
malfunzionamento di BRCA, entrano in gioco degli altri sistemi di riparazione, tra cui le molecole che
prendono il nome di “PARP”. I PARP sono dei riparatori del DNA che, laddove c’è un danno, lo vanno a
riparare e la cellula sopravvive. Però se quella cellula è una cellula con mutazione di BRCA1, sopravvive.
Paradossalmente, PARP, nel riparare quella cellula, fa un favore al cancro, perché fa sopravvivere una
cellula con una mutazione.

Visto che le cellule sono già sprovviste di BRCA1 o BRCA2 (inefficienti), se vado a inibire anche i PARP non ci
sarà più alcun meccanismo di riparazione; infatti, dando un farmaco PARP-inibitore, il sistema di riparazione
legato a PARP viene disattivato (quello BRCA già non è più attivo): a questo punto non c'è più la riparazione
del DNA e le cellule tumorali muoiono. Questo meccanismo fa morire solo le cellule tumorali e non quelle
sane.

Nelle mutazioni degli oncosoppressori la prima mutazione è ereditata, la seconda è somatica. Un paziente
con tumore alla mammella avrà in tutto il corpo una mutazione, ma all'interno del tumore ne ha due: la
seconda è quella somatica. Se io do i PARP-inibitori, cosa succede? Tutte le cellule del corpo hanno una
copia di BRCA1 non mutata, perciò riescono comunque in parte a riparare il DNA. Al contrario, le cellule
tumorali hanno entrambe le copie di BRCA non funzionanti, perciò saranno private di qualsiasi meccanismi
di riparazione e moriranno. Quindi quelle del cancro muoiono con i PARP-inibitori, mentre quelle che
ancora non sono cancerose (quindi, se la donna il tumore alla mammella, si tratterebbe ad esempio delle
cellule di stomaco, pancreas, cervello, dell'altra mammella... tutte tranne quelle del tumore) non muoiono.
Le donne con la terapia degli inibitori PARP sopravvivono più a lungo di quelle che vengono trattate con la
terapia classica. Il problema è però la disponibilità e il costo dei farmaci. Vanno quindi somministrati solo
alle donne che presentano effettivamente la mutazione. Tuttavia, questo richiede che vengano individuate,
attraverso dei test, tutte le donne portatrici della mutazione; mentre dai dati vediamo come il 70% dei
soggetti malati con mutazione non vengono sottoposti al test (quindi non saremo mai che hanno la
mutazione e che potrebbero essere curati con questa terapia).

NUOVE TERAPIE
Siccome la terapia è basata sul tipo di mutazione e non sul tipo di cancro, può essere usata anche per altri
tumori, ad esempio per il tumore al pancreas. Questa terapia aumenta notevolmente l’aspettativa di vita
dei pazienti con tumore al pancreas.

L’oggetto della terapia, quindi, prescinde dalla malattia e dall’organo che coinvolge, dipendendo invece
dalla mutazione. La medicina personalizzata quindi, prescinderà anche dal concetto del singolo paziente,
ma sarà una medicina per quella che prima era la medicina personalizzata e che adesso chiamano
“medicina di precisione”, perché “personalizzata” è la medicina costruita sull’individuo; invece, “di
precisione” è quella costruita sulla mutazione.

In realtà tra i tumori ereditari (che costituiscono il 10% dei tumori totali), noi oggi sappiamo che solo un
quarto è causato dalla mutazione di BRCA1 e BRCA2 che sono geni ad alta penetranza, ma il 75% è dato da
geni a bassa penetranza. Che cos'è un gene a bassa penetranza? Sono dei geni che aumentano il rischio di
cancro, ma con una aspettativa difficilmente calcolabile, soprattutto con una grande differenza tra i due
sessi, in quanto nel sesso maschile non aumentano il rischio di cancro. Ci sono casi familiari di tale gene
passato sempre dai maschi (sani), per poi essere ereditato da una donna che manifesterà il cancro.

Possiamo riassumere due nuovi concetti sulla genetica del cancro:

- Uno stesso tipo di tumore può essere causato da tanti geni


- Mutazioni in uno stesso gene mi danno tipi diversi di cancro, come nel caso di una mutazione in
p53.

Si passa da un concetto di genotipo-fenotipo lineare (mutazione di BRCA1 o BRCA2 = aumento del rischio di
cancro alla mammella) ad un concetto a network: diversi geni possono dare diversi tumori.

Nel giro di pochissimi anni la diagnostica di questa malattia si è trasformata, arrivando al concetto di
multigene testing, cioè, studiare da 40 geni (come a Chieti) fino a 400 geni in contemporanea.

Nel test a singolo gene, si trova la mutazione con tecniche che analizzano solo quel gene. Nel test a geni
multipli, si usa il sequenziamento a nuova generazione che permette di analizzare più geni
contemporaneamente.

Se passo dallo studio di due geni al pannello multigenico (31 geni in questo caso), ottengo il raddoppio del
detection rate. Questo raddoppia in quanto la popolazione studiata dimostra che mentre facendo il test
BRCA1/2, ogni 100 pazienti analizzati si riscontrano 12 casi di mutazione (12,7%), usando il pannello
multigenico sulla stessa popolazione si riscontrano invece 24 casi su 100 (24,7%).
Il rischio di una ragazza, che ha fatto il test ed ha la mutazione, figlia di una donna che ha avuto un cancro
alla mammella in età giovanile, di sviluppare la malattia è un rischio dominante, del 50%.

Nel campo dei tumori ereditari bisogna fare una prevenzione diversa, non si può aspettare i 50 anni, perché
l’insorgenza è generalmente in età precoce.

Tecnologia e crollo dei costi hanno permesso il passaggio a questa seconda modalità. Oggi è possibile fare
un test dell’intero genoma umano con 1000-500 euro. Questo permette di prevenire tumori che hanno
costi sociali altissimi. Per il sistema sanitario conviene investire sui test piuttosto che spendere nelle
terapie.

Questo progresso tecnologico diventa fondamentale se accompagnato alla consulenza genetica, in cui
vengono spiegate tutte le dinamiche legate alla presenza di una mutazione (intervento, prevenzione fatta
con osservazione, supporto psicologico). L’identificazione di pazienti che nascono con suscettibilità per
intervenire è un modello che può essere applicato a qualsiasi tumore.
CLASSIFICAZIONE DEI TEST GENETICI
I test genetici servono:

- All’identificazione, prima o dopo la nascita, di anomalie genetiche responsabili di malattie


- Alla tipizzazione di regione del DNA che permettono di identificare ciascun individuo, in base alla
propria costituzione genetica

Il test genetico non è solo l’analisi di laboratorio ma anche consulenza pre-test, cioè informare il paziente di
che cosa andiamo a fare con quella analisi, e consulenza post test, cioè spiegazione dei risultati. Per legge, il
test genetico deve essere preceduto e seguito da consulenza. La consulenza genetica deve essere parte
integrante dei test genetici, sia in epoca prenatale che postnatale. Che test bisogna prescrivere? Ci sono
due tipi di test:

- Analisi citogenetiche (o cromosomiche): permettono di evidenziare alterazioni nel numero o nella


struttura del cariotipo di un individuo responsabili di patologie cromosomiche, in caso di sospetta
malattia cromosomica (cariotipo)
- Analisi molecolari: permettono di evidenziare mutazioni di singoli geni responsabili di malattie
mendeliane, di patologie ad espansione di triplette e di malattie mitocondriali.

Con il cariotipo individuiamo una serie di malattie come sindrome di Down, Edwards, Patau, Klinefelter,
Turner e qualche anomalia strutturale del Cri-du-chat, ma non permette di individuare la Duchenne, la
fibrosi cistica.

Dobbiamo fare attenzione ai test che richiediamo: per esempio, se un neurologo sospetta che un bambino
con atrofia muscolo-spinale abbia la distrofia di Duchenne, egli prescriverà un test per la Duchenne. Esso
sarà negativo ed il bambino sembra non avere alcun problema al cariotipo. L’appropriatezza prescrittiva
consiste nel non sbagliare il test da fare.

L’ESTRAZIONE DEL DNA


La maggior parte dei test si fanno sul DNA e la grande diffusione dei test genetici è legata dal fatto che il
DNA si trova da tutte le parti. Infatti, possiamo estrarre il DNA da fonti molto più vaste rispetto ad una
volta. Ad oggi ci sono tecniche di laboratorio più avanzate, infatti i campioni utilizzati per un’analisi
molecolare non sono di grandi dimensioni, ad esempio possiamo utilizzare:

- Gocce di sangue
- Saliva presente su una sigaretta o su un chewing-gum
- Mucosa boccale (con un tampone andiamo a massaggiare le guance del paziente in maniera
totalmente indolore, e in pochi secondi otteniamo il campione)
- Tracce di sperma (utile nei casi di reati di violenza sessuale)
- Urine
- Feci
- Capelli
CLASSIFICAZIONE DEI TEST GENETICI
I test genetici possono essere:

- Diagnostici: usati per fare diagnosi, per confermare un sospetto clinico (il clinico ha fatto la
prescrizione)
- Screening: non si fa partendo dal fenotipo ma sulla popolazione. si prende in considerazione una
popolazione e si va ad analizzarla per vedere se in essa ci sono possibili portatori di una malattia o
di persone affette ma senza alcun sintomo (es. screening neonatale). Viene testata l’intera
popolazione, non c’è un sospetto clinico.
- Test pre-sintomatici / pre-clinici: trovo una mutazione che sicuramente causa una malattia ma
quella malattia ha esordio tardivo. La presenza della mutazione mi dà la certezza che quella
mutazione si manifesterà. Il test tipico di medicina fa una foto della condizione presente, il test
genetico fa una proiezione (Huntington, Alzheimer, Parkinson, rene policistico)
- Test predittivo di suscettibilità genetica: dice che si ha un rischio molto alto, ma non la certezza, che
si avrà una malattia. Non indica l’età a cui eventualmente verrà la malattia. Dice solo se la
probabilità di rischio è maggiore, minore o uguale alla popolazione generale.
- Test farmacogenetico: come quello di BRCA per i PARP. Si basa sul concetto che uno stesso farmaco
causa effetti diversi in diversi pazienti. Sono dei test fatti ad un paziente prima di dare una certa
terapia e sulla base del test si può sapere se il farmaco è efficace oppure dannoso per il paziente.
Permette di costruire una carta di farmaci specifica per ogni paziente. Permette di vedere se un
paziente risponde ad una terapia e se questa dà effetti collaterali. Permette di capire il dosaggio del
farmaco che deve essere dato ad uno specifico paziente. In futuro, prima di una terapia si farà
sempre questo test.

I test diagnostici possono essere fatti anche in epoca pre-natale. La diagnosi prenatale è importante perché
permette di fare la diagnosi ad un bambino che non è neppure nato.

TEST PREDITTIVI
Sono dei test che ci dicono se un individuo ha un rischio aumentato, ma non la sicurezza di avere la
malattia. Più di vent’anni fa Francis Collins, direttore del Progetto Genoma negli Stati Uniti, per informare
sui rischi dei test predittivi, utilizzò la storia di un paziente: un giorno un signore disse che voleva fare tutti i
test genetici per sapere cosa gli verrà. Allora il genetista lo chiama per dargli la risposta e gli dice di avere
buone notizie e cattive notizie. La buona notizia è che il paziente aveva un rischio ridotto del tumore alla
prostata (la probabilità di contrarre il cancro alla prostata è del 7%) e di Alzheimer (rischio del 10%). Il
paziente è contento perché pensa che non avrà queste malattie. In realtà non è così, perché comunque
corre il rischio di presentare queste malattie.

La cattiva notizia è che il signore ha un rischio elevato di malattie coronariche (rischio di contrarle del 70%),
cancro al colon (rischio 23%) e cancro al polmone (rischio 40%). Tutto questo a prescindere dallo stile di
vita, perché se il signore è fumatore tutto questo aumenta. Il paziente crede che abbiano sbagliato a fare il
test, perché la somma di tutte le probabilità è superiore al 100%. Non c’è nessun errore perché una
malattia non esclude l’altra.

La scoperta di alcuni geni di suscettibilità non permette di intervenire, anzi, peggiora la condizione
psicologica del paziente, anticipando la percezione di una malattia che ancora non c’è.
I test genetici vanno fatti quando servono per intervenire.

I test genetici vanno fatti quando sono opportuni e non giusto per sapere il destino della vita, altrimenti ci
andiamo a focalizzare troppo sulle possibili malattie che potremmo avere e nel caso in cui non si possano
prevenire, non viviamo bene. Se diciamo ad un paziente giovane che ha un alto rischio di avere l’Alzheimer,
alla prima dimenticanza comincerà a preoccuparsi.

% DI RISCHIO
MALATTIA RISCHIO RELATIVO
DURANTE LA VITA
Cancro prostatico 0,4 7
Rischio ridotto
Alzheimer 0,3 10
Malattie coronariche 2,5 70
Rischio aumentato Cancro al colon 4 23
Cancro al polmone 6 40
GLI SCREENING NEONATALI
Una delle 5 tipologie di test genetici è quella dei test di screening. Gli screening neonatali rappresentano
una delle branche della medicina maggiormente in espansione: iniziati negli anni ’90 (nel 1992 si limitavano
a due malattie), ora comprendono più di 40 malattie.

I neonati possono essere sottoposti a screening per una varietà sempre maggiore di condizioni patologiche;
questo si basa sul principio secondo cui una diagnosi precoce, prima che la malattia provochi danni
all’organismi (cioè quando il bambino è ancora asintomatico), può portare ad una terapia che prevenga la
comparsa a lungo termine di gravi problemi medici. I progressi tecnologici stanno continuamente
espandendo le finalità degli screening neonatali.

Lo screening viene fatto ai bambini non appena nascono, perché:

- quanto tutti i bambini nascono in ospedale, quindi non si creano problemi organizzativi per la
gestione del ricovero (tutta la popolazione d’interesse è già all’interno di una struttura sanitaria);
- su questa popolazione posso fare la prevenzione di una buona parte di malattie genetiche che in
colpiscono maggiormente i bambini.

I bambini cui viene posta diagnosi di un errore congenito del metabolismo richiedono cure che durano per
tutta la vita. Ad esempio, una conseguenza inattesa della fenilchetonuria è il rischio di anomalie congenite
nei figli di una donna affetta a causa della tossicità della fenilalanina se la madre non viene mantenuta sotto
stretto controllo della dieta durante la gravidanza.

Esiste un’ampia varietà di meccanismi fisiopatologici alla base dei disturbi congeniti del metabolismo;
questi meccanismi includono difetti di enzimi e coenzimi, con conseguenze fisiologiche di deficit di un certo
prodotto e accumulo dei substrati. Sono in uso o in via di sviluppo un gran numero di approcci per il
trattamento degli errori congeniti del metabolismo, come la gestione della dieta, la supplementazione di
coenzimi o la rimozione dei metaboliti tossici.

Le malattie, per essere sottoposte a screening, devono rispettare alcuni requisiti:

- La malattia deve creare danni irreversibili se non viene trattata precocemente, la sua diagnosi
tardiva è causa di un deficit irreparabile
- Il trattamento previene i danni ma solo se iniziato in età neonatale, prima della comparsa dei
sintomi. Tra le malattie sottoposte a screening neonatale non c’è la Duchenne perché ancora non
esiste un trattamento che, se fatto alla nascita, previene sicuramente la malattia.
- La storia naturale della malattia deve essere conosciuta. Non è possibile fare lo screening di
malattie di cui non conosco le conseguenze
- Deve essere disponibile un test di screening adeguato
- Devono essere disponibili strutture per la diagnosi e la terapia. Ad esempio, a partire dal novembre
2022 l’atrofia muscolo spianale è entrata nel protocollo di screening, ma si tratta di una patologia
che richiede una terapia costosissima. In caso di nascita di un bambino malato, devono esserci
strutture adeguate poiché il trattamento, essendo molto costoso, non può essere fallimentare.

Lo screening viene effettuato solo per le malattie a causa delle quali, al momento della nascita, il bambino è
asintomatico e apparentemente sano. E’ questo il motivo per cui la popolazione non viene sottoposta ad
uno screening per la trisomia 21, in quanto la sindrome di Down è subito individuabile. Ovviamente, un
bambino Down sarà sottoposto a tutti gli altri screening a cui sono sottoposti gli altri bambini.

Non viene effettuato lo screening neanche per l’albinismo e il daltonismo, perché queste patologie non
hanno una sintomatologia grave.

COME SI FA LO SCREENING?
Appena nato, si fa una puntura sul tallone del bambino e le gocce di sangue che escono vengono depositate
su un cartoncino. Tutti i campioni presi in un giorno vengono poi mandati in laboratorio (CAST Chieti). I
campioni vengono analizzati con diverse procedure; la più comune è la spettrometria di massa in tandem.

Il test, nella maggior parte dei casi, non guarda direttamente il gene ma il prodotto del gene (enzimi): se
viene trovata un’anomalia nei prodotti, allora si procederà all’indagine del gene. L’unica eccezione è
costituita dall’atrofia muscolo spinale, il cui il test è direttamente sul DNA.

Ipotiroidismo e fenilchetonuria erano sottoposte a screening sin dagli anni ‘90. Nel 1994 è stata inserita nel
protocollo anche la fibrosi cistica. Dal 2017 lo screening è stato esteso ad altre 40 patologie che vanno a
rappresentare lo screening neonatale esteso. Atrofia muscolo spinale, malattie lisosomiali e malattia dello
sviluppo sessuale sono state aggiunte solo in Abruzzo.

FENIL CHETONURIA

Tra gli amminoacidi che utilizziamo c’è la tirosina, che deriva dalla fenilalanina. Infatti, con gli alimenti non
assumiamo tirosina, bensì fenilalanina che, tuttavia, è tossica per il nostro sistema nervoso. In un soggetto
normale, una volta assunta, la fenilalanina viene trasformata in tirosina dalla fenilalanina-idrossidasi, perciò
non causa alcun deficit cognitivo (dato dalla tossicità cerebrale). Se però il gene dell’enzima è mutato, la
fenilalalnina non diventa tirosina, quindi:

- L’organismo manca di tirosina


- la fenilalanina resta in circolo

Siccome la fenilalanina non è contenuta nel latte che il bambino assume nei primi mesi di vita, se non
venisse effettuato lo screening, ci accorgeremmo della malattia solo dopo lo svezzamento, quando inizia a
diventare letargico e a presentare danni cerebrali. In questo modo invece possiamo diagnosticare subito la
malattia e ad evitare che il bambino mangi alimenti ad alto contenuto di fenilalanina (alimenti ricchi di
proteine, come carne, pesce, latticini, uova), prediligendo alimenti a basso contenuto di fenilalanina
(alimenti a basso contenuto proteico, come verdure, frutta, pane, zuccheri). Il bambino farà una dieta a
basso contenuto di fenilalalnina fino a quando il suo sistema nervoso non si sviluppa; quando si è
sviluppato, non è più così vulnerabile perciò può iniziare ad introdurre fenilalanina nella sua dieta. Le
bambine che nascono con questo problema devono ricominciare la dieta quando sono in gravidanza,
perché la fenilalanina passa la placenta, andando ad accumularsi del feto (ancora in sviluppo) provocando
ritardo mentale e dismorfismi.

La madre, che aveva la fenilchetonuria diagnosticata con screening neonatale, sarebbe stata esposta alla
fenilalanina allo svezzamento, perciò avrebbe presentato solo deficit cognitivi; mentre il suo bambino è
stato esposto alla fenilalalnina durante la gravidanza. E’ questo il motivo per cui il bambino, nonostante
non sia malato di fenilchetonuria, presenta una sintomatologia più grave data dall’accumulo eccessivo di
fenilalanina.

Ci sono molte malattie in cui si fa terapia enzimatica. La terapia enzimatica è però più costosa di una terapia
che si basa sulla dieta. E’ quindi molto più economico intervenire sulla dieta, per un rapporto costi-benefici.

Dopo la diagnosi fatta con lo screening neonatale, è necessario assicurarsi che i genitori della bambina
affetta le tramandino l’informazione quando sarà grande, perché potrebbe dover riprendere a seguire la
dieta priva di fenilalanina anche in età adulta in caso di gravidanza.
LA DIAGNOSI E LO SCREENING PRENATALE
La diagnosi prenatale è un complesso di indagini strumentali e di laboratorio volte a valutare lo stato di
salute del feto lungo tutto il decorso della gravidanza, permettendo di fare una diagnosi prima che il
bambino nasca. Fare una diagnosi prima della nascita permette ad una madre di interrompere la sua
gravidanza nel caso in cui il feto risulti malformato.

Esistono 3 tipi di aborti:

- Spontaneo: la gravidanza si interrompe per un problema, non per volontà della madre; quindi, non
c’è la scelta della donna di porre fine alla gravidanza;
- Volontario: ogni donna può decidere, entro i primi 90 giorni di gravidanza, di interrompere la
gravidanza per motivi personali;
- Terapeutico: regolato dalla legge 194, può essere effettuato anche dopo 90 giorni solo se la donna
ha un figlio che, con diagnosi prenatale, risulta affetto da una patologia la cui gravità mette a
rischio la salute psichica della madre. È un aborto terapeutico per la salute psicologica della madre
(non è terapeutico per il figlio).

Il rischio minimo della popolazione generale di avere un problema alla nascita è del 3%: non esiste il rischio
zero nella riproduzione umana. Questo 3%, inoltre, non comprende le malattie che non sono visibili alla
nascita (come la distrofia di Duchenne).

La diagnosi prenatale va effettuata quando questo rischio può essere aumentato, cioè in casi come:

- Età materna avanzata, superiore a 35 anni (aumenta il rischio per la sindrome di Down). Si tratta di
un rischio generico che riguarda tutte le donne che hanno più di 35 anni;
- Il genitore ha un riarrangiamento cromosomico strutturale, come una traslocazione bilanciata che
si può sbilanciare nel feto;
- Il genitore ha un cariotipo con problemi che non impediscono la riproduzione, cioè ha un cariotipo
aneuploide compatibile con un fenotipo normale (aneuploidie di cromosomi del sesso, marker
sovrannumerario);
- Positività ad un test di screening;
- Presenza di malformazioni fetali evidenziate ecograficamente;
- In famiglia c’è già un figlio Down o malformato, o con malattia monogenica (come la fibrosi cistica);
- Motivazioni psicologiche.

Con l’evoluzione della diagnosi prenatale, si cerca sempre più di non danneggiare il feto prediligendo
tecniche non invasive, che non comportano nella loro esecuzione un rischio per il feto e per la madre. Tra
queste troviamo:

- Ecografia ginecologica del primo trimestre


- Screening sierologico su sangue materno, prelievo di sangue della madre da cui si dosano degli
ormoni che ci dicono il rischio specifico di quella donna in quella gravidanza di avere un bambino
down
- Screening del DNA fetale non invasivo (NIPT), facendo un prelievo alla madre cerco cellule del dna
fetale per fare uno studio dell’assetto genico del figlio senza prelevargli nulla

Le tecniche invasive invece comportano rischi per il feto e per la madre e sono:
- Villocentesi
- Amniocentesi
- Funicolocentesi

TECNICHE NON INVASIVE

SCREENING ECOGRAFICO
Lo screening ecografico effettuato al terzo mese permette di valutare:

- L’epoca gestionale e la sua esatta datazione: la donna non può sapere esattamente il giorno del
concepimento e quindi non sarebbe possibile calcolare i 90 giorni disponibili per l’aborto volontario
- La crescita fetale, cioè come sta crescendo il feto
- L’eventuale presenza di una gravidanza gemellare
- La presenza di marker di anomalia cromosomica e fetale: anche se nel primo trimestre degli organi
non sono ancora visibili, esistono dei segni tipici che sono modificati in caso di alcune patologie,
come la translucenza nucale. La translucenza nucale consiste nella valutazione ecografica del
liquido contenuto all’interno dei tessuti molli retronucali fetali. Tale accumulo di fluido viene
evidenziato come una piccola area translucente (scura) presente nella porzione posteriore del collo
fetale. Esso può cambiare nei bambini che hanno una patologia cromosomica. Il riscontro di un
valore elevato di translucenza nucale (superiore ai 2,5 mm) si associa d un aumentato rischio di
aneuploidie cromosomiche, nello specifico della trisomia 21 o della sindrome di Turner. Una
minima parte di feti con translucenza nucale (NT) aumentata presentano malformazioni fetali
associate a cariotipo normale come:
• Malformazioni cardiache
• Malformazioni del tubo neurale
• Displasie scheletriche
• Ernia diaframmatica
• Sindromi genetiche

SCREENING SIEROLOGICI
I test di screening sierologici, messi a punto negli anni ‘90, non sono test diagnostici ma test probabilistici
(lo stesso vale per il test della translucenza) che ci permettono di selezionare le gravidanze con un
aumentato rischio di anomalie cromosomiche da indirizzare a diagnosi invasiva. Non dicono se la malattia
c’è o meno, ma suggeriscono che una donna ha un rischio maggiore e permettono di approfondire le
indagini, fino ad arrivare ad una diagnosi invasiva.

Quindi, prima di arrivare alla diagnosi invasiva che mette a repentaglio la salute del feto, viene effettuata
una serie di test innocui che permettono di valutare se il rischio è superiore a quello di tutte le donne che
effettuano lo screening prenatale.

Il test che si usa di più è il test combinato, che consiste in un prelievo di sangue venoso periferico. Si esegue
nel primo trimestre. Unisce il dato ecografico di translucenza nucale e il dosaggio sierologico di 2 analiti
presenti nel sangue materno:
- PAPP-A
- Free beta h-CG

Il valore ottenuto deve essere paragonato alle mediane di riferimento MoM (valori della popolazione
generale). I risultati possono essere:

- Gravidanza fisiologica con feto sano


• PAPP-A aumenta
• Free beta h-CG diminuisce
- Feto con trisomia 21
• PAPP-A diminuisce
• Free beta h-CG aumenta
- Feto con trisomia 18
• PAPP-A diminuisce
• Free beta h-CG diminuisce

Il risultato di questo test indica un sospetto di malattia, perciò bisogna proseguire con test invasivi. Ci può
essere infatti un falso positivo, cioè il sospetto di una condizione patologica che però non c’è. Il falso
positivo è seguito e smentito da diagnosi invasiva, al contrario invece del falso negativo, molto più grave
perché non viene seguito da diagnosi invasiva (verrà smentito solo alla nascita).

Partendo dal rischio di base, dettato dall’età materna, si prende la MoM corretta per i fattori di correzione
(etnia, fumo, diabete) e si stabiliscono 3 classi di rischio:

- Alto rischio: positivo.


• Si prosegue con la diagnosi invasiva (villocentesi)
- Rischio intermedio, si prosegue con
• Screening sierologico del secondo trimestre (TRITEST)
• Non invasive prenatale testing (NIPT)
- Basso rischio: negativo

Una volta si faceva anche il TRITEST, che si esegue nel secondo trimestre portava però a due classi di
rischio:

- Alto rischio: positivo


• Si prosegue con una diagnosi invasiva (amniocentesi)
- Basso rischio: negativo

NIPT
La NIPT (non invasive prenatal testing) è un test di screening genetico. Non va a valutare gli ormoni, come
negli screening sierologici; infatti analizza il cfDNA (cell free fetal DNA) e indaga la presenza di un
aumentato rischio di aneuploidie cromosomiche, cioè di trisomie 13, 18 e 21. Permette inoltre di
determinare il sesso del feto.

Il cfDNA sono delle molecole di DNA fetale libero che circolano nel sangue materno: non sono delle cellule
del bambino! Queste molecole derivano dal citotrofoblasto (placenta) e si rintracciano nel primo trimestre.
Siccome questo test permette di analizzare direttamente il DNA del feto, non è un test probabilistico
(anche se è un test di screening).

Il cfDNA costituisce una frazione variabile compresa tra il 3 e il 20% del DNA totale rilevabile nel circolo
materno. Ha una concentrazione che aumenta progressivamente nel corso della gravidanza e che può
variare in presenza di aneuploidie fetali (diminuisce in trisomie 13 e 18, aumenta nella trisomia 21).

Il risultato del test è condizionato dalla quantità percentuale di DNA fetale (frazione fetale %) presente nel
plasma che deve essere superiore al 3-4% per avere un buon risultato. Quantità inferiori non sono
sufficienti per fare il test, in quanto possono esitare in risultati falsi negativi. Infatti, si rischia di analizzare il
DNA della madre (sana). La quantità libera di DNA fetale si riduce in alcune condizioni, come l’età
gestazionale inferiore alla 10° settimana e un BMI della madre superiore alla media. L’obesità in gravidanza
è quindi in problema, anche perché aumenta il rischio di diabete gestazionale e la nascita di un bambino
suscettibile all’obesità e al diabete.

La NIPT viene fatte se si ha:

- Test sierologico a rischio intermedio


- Età materna superiore ai 35 anni: è molto probabile infatti che una donna che ha più di 35 abbia un
test sierologico positivo. Se la mamma ha più di 35 anni, il sierologico non viene fatto e si passa
direttamente alla NIPT (il sierologico nella maggior parte di casi risulterebbe positivo)
- Marker ecografici di cromosomopatia
- Precedenti gravidanze con alterazioni cromosomiche (aneuploidie) o aborti
- Traslocazione robertsoniana in un genitore.

La NIPT è comunque un test di screening (e non diagnostico) perché la sua attendibilità non è al pari a
quella dell’analisi cromosomica, che invece è sensibile e specifica al 100%. Il test diagnostico permette di
rilevare con certezza la presenza della malattia.

Sensibilità Specificità
Trisomia 21 Più del 99% Più del 99%
Trisomia 18 97,4 % 99,8%
Trisomia 13 91,6 % 99,8%
Aneuploidie cromosomi sessuali 91% 99,6%

La sensibilità è legata al concetto del falso negativo ed è la capacitá di identificare l’anomalia: un test è
tanto più sensibile, quanto più identifica la presenza di un’anomalia.

La specificità è relativa al falso positivo ed è la capacità di dare una risposta esatta che corrisponde allo
stato del bambino.

La NIPT presenta però dei limiti, infatti il test non distingue tra diversi tipi di aneuploidie come una trisomia
libera da traslocazione cromosomica o un mosaicismo. Inoltre, possono verificarsi dei casi di falsi positivi e
falsi negativi, causati da:

- mosaicismo feto placentare: facendo queste analisi si scopre che, quando si sta sviluppando
l’embrione, c’è la presenza di un assetto genico diverso tra placenta e feto.
- Gravidanze gemellari in cui uno dei gemelli è stato riassorbito nelle prime settimane di gestazione
(vanishing twins) e il suo DNA è ancora in circolo
- Malattie tumorali della madre
- Condizioni di mosaicismo cromosomico della madre

Se una donna in gravidanza, o per età avanzata o per test sierologico con rischi intermedio, fa la NIPT:

- Se è negativa, corre solo l’1% di rischio dato dalla possibilità che la metodica sia stata errata, ma è
un rischio di errore molto basso
- Se è positiva, significa che ha un rischio aumentato di aneuploidie fetali e questo rischio deve
essere confermato con test diagnostici invasivi.
Non si procede quindi all’aborto di un bambino sulla base della positività della NIPT, per via di uno
scrupolo basato sull’1% di possibilità di errore del test.

Per quanto riguarda la NIPT, possiamo quindi riassumere che:

- Non è un test diagnostico, ma come test di screening presenta sensibilità e specificità elevate (>altri
test di screening)
- Il test è validato per le trisomie più frequenti, che rappresentano il 50-70% della patologia
cromosomica fetale clinicamente rilevante
- Un test negativo non assicura assenza di patologia
- Un test positivo necessita di conferma diagnostica con approccio invasivo
- La quantità di DNA fetale può essere insufficiente all’esecuzione del test (<3%)
- Sono sempre necessarie una consulenza pre e una consulenza post test per esporre le
caratteristiche e i limiti del test.

TECNICHE INVASIVE

La diagnosi prenatale invasiva è l’insieme delle procedure diagnostiche idonee a prelevare tessuti
embriofetali o annessiali per la diagnosi prenatale di difetti congeniti (cromosomopatie, malattie genetiche
con mutazione nota). I test diagnostici invasivi consistono nell’ingresso di un ago nella cavità uterina per
fare (in ordine cronologico):

- Villocentesi
- Amniocentesi
- Funicolocentesi

VILLOCENTESI
E’ una tecnica invasiva di diagnosi prenatale che consente di effettuare un prelievo di villi coriali dalla
placenta inserendo un ago sotto guida ecografica attraverso l’addome materno (si prendono un pezzo di
villi e un pezzo di placenta). L’ago non entra nella cavità amniotica e vengono prelevati dei tessuti.

Può essere fatta dopo la 10 settimana di gestazione. Alla fine si ottiene la mappa cromosomica del
bambino. L’indagine citogenetica sui villi può essere eseguita mediante metodo diretto o coltura a lungo
termine. La villocentesi presenta tuttavia dei limiti. Può esserci infatti una non concordanza tra il metodo
diretto e le colture. Non sono rare le discrepanze tra il cariotipo ottenuto dai villi coriali e quello ottenuto
dagli amniociti oppure dal sangue fetale o neonatale. Inoltre, si tratta di un esame che comporta numerosi
rischi:
- Per la madre
• Perdite ematiche
• Contrazioni uterine
• Isoimmunizzazione Rh
• Infezioni uterine
- Per il feto
• Aborto, tra l’1% e il 2% (il rischio dipende dalla capacità dell’operatore)
• Lesioni fetali per prelievi effettuati prima della 10° settimana di gestazione

AMNIOCENTESI
L’amniocentesi è una tecnica di diagnosi prenatale invasiva che consiste nel prelievo di liquido amniotico
dalla cavità uterina mediante puntura transaddominale sotto guida ecografica. Vengono esaminati gli
amniociti presenti in sospensione nel liquido amniotico, per cui l’ago entra nella cavità amiotica e preleva il
liquido contenente le cellule derivanti dagli epiteli urinari.

Viene effettuata tra la 16esima e la 19sima settimana.

Anche questo esame comporta rischi:

- Per la madre
• Emorragia per perforazione uterina
• Emorragia per perforazione dei vasi addominali
• Isoimmunizzazione da fattore Rh
• Puntura della vescica
- Per il feto
• Aborto, circa l’1%
• Infezioni <0,01%
• Puntura del feto, che può nascere con una cicatrice

FUNICOLOCENTESI
La funicolocentesi serve principalmente per individuare malattie del sangue piuttosto che malattie
cromosomiche. La funicolocentesi si fa solo nei casi estremi in cui è indispensabile. Consiste nel prelievo di
sangue fetale dal cordone ombelicale tramite puntura transaddominale sotto guida ecografica; vengono
esaminati i linfociti T. Viene effettuata per fare:

- Diagnosi di malattie genetiche ematologiche


• Talassemie ed emoglobinopatie
• Difetti della coagulazione
• Deficit immunologici
- Diagnosi di infezioni virali
- Diagnosi citogenetica
- Terapia fetale
I rischi materni sono equiparabili ad altre metodiche invasive; mentre il feto corre il rischio di:

- Aborto (3%)
- Sanguinamento
- Bradicardia
- Lacerazione o ematoma del funicolo
DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO: PGT
La PGT permette di fare la diagnosi prima che l’embrione sia trasferito nell’utero materno in caso di
fecondazione assistita.

La PGT è un processo che si avvale di tecniche di procreazione medicalmente assistita per indagini
genetiche su embrioni prima del trasferimento in utero. La diagnosi preimpianto sull’embrione è nata negli
anni ‘90 con l’idea che, se abbiamo una coppia a rischio molto alto in quanto portatrice di alterazioni
geniche o cromosomiche, possiamo diagnosticare la presenza di anomalie genetiche nell’embrione, prima
ancora di fare la diagnosi prenatale che si tradurrebbe in un momento doloroso, cioè l’aborto terapeutico.
Nella fecondazione assistita si stimola l’ovulazione, si raccolgono delle ovocellule, si fecondano e si fa il test
su questi embrioni in modo che nell’utero venga inserito solo l’embrione sano. La selezione non viene fatta
durante la gravidanza, ma prima dell’impianto.

È possibile, in base alla finalità, distinguere tre tipi di PGT:

- PGT-M, per le malattie monogeniche


- PGT-SR, per la presenza di anomalie cromosomiche numeriche e, soprattutto, strutturali
- PGT-A, per le aneuploidie (trisomie)

Le indicazioni per la PGT-M e PGT-SR sono sovrapponibili a quelle della diagnosi prenatale invasiva. Si
effettua quindi in caso di rischio di una malattia genetica trasmissibile o di anomalia cromosomica, in modo
da vedere se nell’embrione il genotipo è normale o no. Questo test si può fare solo se si conosce bene
l’anomalia presente nella famiglia, quindi ci deve essere stato un caso precedente o i genitori devono
essere portatori sani. E’ possibile effettuare questo tipo di PGT per malattie autosomiche recessive,
autosomiche dominanti e X-linked, di cui sia noto il gene malattia e la variante patogenetica causativa del
fenotipo.

Negli ultimi anni si è evoluto il concetto di malattia genetica e si è pensato di fare la PGT per la
predisposizione oncologica. Infatti, la PGT è una possibile opzione riproduttiva per i portatori di varianti
patogenetiche a carico di geni che determinano predisposizione al cancro (es. BRCA1/2) i quali richiedono
questa analisi per evitare di trasmettere ai figli la predisposizione ad ammalarsi di cancro della
mammella/ovaio.

E’ opportuno comunque discutere con la coppia che richiede tale PGT i pro e i contro della diagnosi,
tenendo conto che si tratta di una patologia a insorgenza tardiva, a penetranza ridotta e per la quale
esistono delle misure profilattiche (ovariectomia, mastectomia) e terapeutiche valide. Infatti:

- Avere una mutazione di BRCA1 e BRCA2 non vuol dire avere certamente il cancro, poiché la
malattia ha penetranza ridotta
- Rifiutare l’impianto di un embrione con mutazione di BRCA significa ipotizzare che, nei prossimi
decenni, non ci saranno progressi della medicina che permetteranno all’individuo affetto di
condurre una vita discreta; esistono infatti profilassi per la prevenzione che consentono comunque
una vita “normale”
- Decidere di non far nascere un bambino per timore che si ammali significa precludergli la possibilità
di vivere comunque discretamente per un lungo periodo senza troppe complicazioni.
Nel caso dei geni di suscettibilità al cancro ci troviamo in una situazione diversa da quella delle malattie
monogeniche. In questo caso, infatti, si rischi di non impiantare un embrione basandosi esclusivamente su
un gene di suscettibilità, escludendo il fatto che egli possa comunque presentare altre anomalie più gravi
(che determinano una malattia certa) che tuttavia non vengono rilevate in quanto non sottoposte a test,
poiché si tratta magari non ci sono casi precedenti in famiglia.

La PGT-SR è da considerare per tutte le coppie in cui uno o entrambi i partner siano portatori di
aneuoploidia dei cromosomi sessuali, mosaicismo o anomalia cromosomica strutturale (bilanciata o
sbilanciata) per le quali esistono specifiche evidenze in letteratura che possano portare poliabortività,
ripetuti falliti impianti e/o nascita di un figlio affetto da patologie derivanti dalla presenza di uno
sbilanciamento cromosomico. La poliabortività potrebbe essere il sintomo di un’anomalia bilanciata che si
sbilancia nella fecondazione dei gameti. In questi casi è importante fare la PGT.

L’analisi deve includere non solo il/i cromosoma/i coinvolto/i nell’anomalia, ma tutti i cromosomi al fine di
identificare un embrione euploide.

Il PGT-A è utilizzato nel rilevamento di anomalie cromosomiche numeriche (aneuploidie) degli embrioni. Si
analizza l’intero assetto cromosomico (22 autosomi più i cromosomi sessuali X ed Y) sulle cellule del
trofoblasto ottenute da blastocisti (al quinto-settimo giorno di sviluppo).

La PGT-A si fa in caso di

- Età materna avanzata > 35 anni e altri fattori che aumentano il rischio per la trisomia 21 (non ci
deve essere necessariamente un precedente in famiglia)
- Ripetuti impianti falliti in diversi cicli di PMA standard
- Aborti spontanei del primo trimestre ripetuti (almeno 3 aborti), non dovuti a cause “meccaniche”
quali patologie dell’utero, o altri fattori causativi riconosciuti;
- Gravi oligoastenoteratospermia, criptospermia o azoospermia non ostruttiva che comportano il
ricorso a tecniche microchirurgiche di MESA e TESE per il prelievo di spermatozoi dalle vie seminali.
Se il maschio ha spermatozoi poco funzionanti, c’è il rischio che sia lo spermatozoo a portare
l’anomalia e non l’ovocellula
- Coppie con indicazioni ad altro tipo di PGT (ad esempio per malattia monogenica), al fine di
ottimizzare la valutazione dell’embrione. Può essere fatto quindi come esame aggiuntivo per le
coppie che fanno la PGT-M.

PRIMO STEP: BIOPSIA


La tecnica di biopsia consiste nel prelievo di un frammento (5-6 cellule) di trofoectoderma allo stadio di
blastocisti. La blastocisti è una struttura in cui si sono organizzate due tipi di gruppi cellulari:

- La massa cellulare interna, da cui uscirà il bambino


- Il citotrofoblasto, da cui deriverà la placenta

L’analisi di un frammento di citotrofoblasto permette un’accuratezza diagnostica superiore rispetto


all’analisi del singolo blastomero prelevato in terza giornata come accadeva in precedenza. La grande
novità della diagnosi preimpianto consiste nel fare un prelievo dal citotrofoblasto, così l’embrione non
rischia di avere problemi nello sviluppo. L’assetto genico si presuppone essere lo stesso della massa
cellulare interna.
L’analisi allo stadio di blastocisti ha permesso di ottimizzare l’efficienza di tutta la procedura grazie
all’analisi di solo embrioni competenti allo sviluppo, cioè solo su embrioni “buoni” che si stanno
sviluppando.

SECONDO STEP: VITRIFICAZIONE DEGLI EMBRIONI


Il test genetico dura 48 ore, quindi durante la sua esecuzione la restante parte dell’embrione viene
congelata. La vitrificazione è una tecnica di congelamento basata sull’uso di sostanze chiamate
crioprotettori (azoto liquido a basse tmeperature), che proteggono le cellule, e una velocità di
raffreddamento molto elevata. Ciò impedisce la formazione di cristalli all’interno delle cellule, che
danneggerebbero le strutture interne e causerebbero la morte delle cellule. Si evita che lo sviluppo
progredisca e il processo viene fatto ripartire, eventualmente, solo al termine del test.

Temperatura di coltura (37°) → Temperatura di congelamento in azoto liquido (-196°)

Gli embrioni vengono conservati durante lo svolgimento delle analisi genetiche.

TERZO STEP: ANALISI GENETICHE


Si eseguono le analisi genetiche e si seleziona l’embrione che non presenta le anomalie genetiche o
cromosomiche indagate.

QUARTO STEP: SCONGELAMENTO E TRANSFER DELL’EMBRIONE


Gli embrioni vengono posizionati sul terreno di coltura, poi vengono fatti passare attraverso vari mezzi con
concentrazioni decrescenti di crioprotettori. In questo modo si ottiene la reidratazione cellulare, in modo
che i crioprotettori siano sostituiti dall’acqua.

Successivamente, nello stesso giorno, l’embrione selezionato viene trasferito all’interno dell’utero
attraverso un catetere sotto guida ecografica.

Gli step sono quindi:

- Fecondazione in vitro
- Coltura
- Biopsia
- Analisi genetica
- Trasferimento embrione

Purtroppo c’è l’idea di usare questa tecnica a scopi eugenetici (scegliere sesso, colore degli occhi del
bambino): non ha senso utilizzare una tecnica medica per fare una scelta che non è medica.

Al momento, l’unica pratica autorizzata è effettuare il test per selezionare possibili donatori per dei fratelli
malati. Infatti, se una coppia ha già un figlio con la leucemia a cui serve un donatore, nel momento in cui
farà a la fecondazione assistita e la PGR per avere un secondo figlio, si selezionerà l’embrione compatibile
per donare il midollo al fratello in vita (malato). Si selezionano quindi possibili donatori per dei fratelli che
hanno la malattia. Questa pratica è autorizzata.
LA TERAPIA GENICA
Per molti anni si è ritenuto che le malattie genetiche fossero incurabili. La comprensione della patogenesi di
una malattia genetica può rivelare i bersagli per terapie su base farmacologica.

Per patologie così complesse, prima che venga iniziato un trattamento su una base clinica di routine, sono
svolti trial clinici per dimostrane la sicurezza e l’efficacia ed attuare un monitoraggio continuo per la
presenza di effetti avversi. Se in laboratorio viene messo a punto un farmaco capace di curare una malattia,
prima di distribuirlo occorre fare il trial clinico, provandolo su animali, poi su dei volontari, poi su un gruppo
di pazienti e solo alla fine è possibile metterlo sul mercato e distribuirlo.

Molti e svariati approcci sono in corso di sviluppo e di applicazione per il trattamento delle patologie
genetiche, inclusi approcci che possono portare alla correzione di una mutazione genica.

E’ necessario che l’approccio terapeutico sia costruito su misura per una particolare patologia genetica e, in
alcuni casi, per una particolare mutazione genica. Non c‘è infatti una terapia generalizzata per tutte le
patologie genetiche.

LA SCLEROSI TUBEROSA
La sclerosi tuberosa è una malattia autosomica dominante che colpisce diversi distretti del corpo. Si
presenta spesso nell’infanzia con macchie cutanee ipopigmentate, chiazze piatte di pelle lievemente
pigmentata. Le macchie sono di per sé innocue, ma rappresentano un’indicazione per esaminare altri
aspetti della malattia. Sembra un’acne ma in realtà consiste nella formazione di piccoli tumori benigni sulla
pelle. Uno dei segni precoci più preoccupanti interessa il sistema nervoso: gli individui affetti sono a rischio
di sviluppare convulsioni e compressione al cervello. Infatti, si creano dei piccoli fibromi che possono
interferire con aree cerebrali.

In questa malattia è interessata una via metabolica che passa per l’mTOR e coinvolge i geni TSC! E TSC2. Se
c’è una disfunzione di questa via, aumenta la proliferazione cellulare (si tratta di un meccanismo simile a
quello degli oncogeni, ma in questo caso i tumori sviluppati sono benigni).

I geni TSC1 e TSC2 codificano proteine che devono inibire mTOR. Se uno dei due geni è mutato, mTOR non
è più inibito, si attiva troppo e causa la proliferazione cellulare. Non è esattamente un oncogene, perché
non causa una neoplasia vera e propria. Sapendo ciò, possiamo fare una terapia con gli inibitori di mTOR.
Infatti, inibendo mTOR, possiamo riportare indietro la capacità di crescita cellulare. Non vado quindi a
riparare il gene mutato, ma vado a bilanciare il difetto genetico, sopperendo alla mancanza di un inibitore
attraverso l’introduzione di un inibitore “esterno”, che non agisce sui geni mutati ma su mTOR.

DEFICIT DI SHOX
Il gene SHOX ha la capacità di far crescere gli individui. Se è mutato, l’individuo presenta bassa statura e
alterazioni nella struttura dell’avambraccio. Quando c’è questa malattia, somministrando l’ormone della
crescita si può compensare il deficit di SHOX e il bambino torna a crescere. In questo caso, quindi, non
agiamo sulla via metabolica del gene, ma somministriamo uno stimolatore della crescita laddove c’è una
mancanza di crescita.

DISTROFIA DI DUCHENNE
La distrofia di Duchenne si presenta se la distrofina sintetizzata dall’individuo perde l’estremità carbossi-
terminale e non permette l’aggancio alle fibre muscolari. La terapia può svolgersi in diverse modalità:

- Iniezione del gene sano: utilizzando un vettore si può iniettare un gene che codifica per una mini-
distrofina, cioè una proteina più piccola, che ha entrambe le estremità. Possedendo una distrofina
funzionate ma più breve, il paziente diventa malato di distrofia di Becker. Non possiamo iniettare il
gene che codifica per la distrofina completamente funzionante in quanto sarebbe troppo grande.
- Readtrough therapy: molte mutazioni responsabili della Duchenne sono causate dal fatto che, nel
trascritto del gene, c’è un segnale di stop. La sintesi della proteina, quindi, si interrompe durante la
traduzione (e non trascrizione) e non viene sintetizzata l’estremità carbossi-terminale. Tuttavia, una
serie di composti riescono a ingannare il ribosoma e fargli leggere la tripletta di stop come se non
fosse una tripletta di stop, facendo continuare la traduzione. Bisogna però usare dei composti che
agiscono in maniera mirata solo sulla sequenza del gene della distrofina, non devono agire anche su
altri geni.
- Exon skipping: avendo una mutazione nell’esone 53 che porta il segnale di stop, possiamo usare un
sistema di splicing alternativo che fa “saltare” l’esone 53; il risultato finale sarà una proteina più
corta, quindi si passerà dalla Duchenne alla Becker. Quindi, si fa uno splicing alternativo in modo
che il punto mutato venga rimosso dallo splicing. Se servisse, potremmo anche “skippare” diversi
esoni (multiple exon skipping).

ATROFIA MUSCOLO SPINALE


Per la terapia della SMA (atrofia muscolo spianale) non siamo più a livello sperimentale, al contrario della
Duchenne, infatti esiste una terapia clinica, seppur costosissima.

Il gene si trova sul cromosoma 5 in una zona in cui abbiamo due sequenze speculari identiche:

- SMN1
- SMN2

Se c’è una mutazione di SMN1 si presenta la malattia. Poichè abbiamo due copie identiche, in caso di
mutazione di SMN1 possiamo trasformare SMN2 in SMN1. In realtà, ci sono varie tecniche per permettono
di riattivare SMN1, attraverso:

- sostituzione del gene, per cui occorre una sola dose per tutta la vita
- alterazione dello splicing per riattivare SMN2, ma bisogna fare più volte le punture nel corso della
vita

Potrebbero piacerti anche