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DELIRIUM, vulnerabilità neurale nell’anziano fragile

Poche condizioni di malattia hanno un impatto così devastante sulla persona affetta e sui suoi familiari, quali quelle che
comportano la compromissione delle facoltà di ragionamento, e/o la modificazione dei tratti di personalità. Ciò accade
in caso di delirium, una condizione comune negli individui anziani malati, e in particolare in quelli con demenza di
vario grado. Tale condizione, denominata anche “stato confusionale acuto, sindrome o insufficienza cerebrale acuta",
oppure ancora encefalopatia tossico-metabolica, si identifica in un disordine transitorio caratterizzato da esordio acuto,
andamento fluttuante, alterazione dello stato di coscienza, disturbi dell’orientamento spazio-temporale, della memoria,
dell’attenzione, del pensiero e del comportamento.

Nonostante la prima completa descrizione di tale sindrome, rintracciabile negli scritti di Ippocrate, risalga a circa 2500
anni fa, il delirium rimane ancora oggi un disordine poco conosciuto e largamente sotto-diagnosticato, con un gravoso
costo economico, stimato nel 2011 a 164 miliardi di dollari per anno negli Stati Uniti, e a 182 miliardi di euro per anno
nell’insieme dei paesi europei. Pertanto questa condizione ha una forte rilevanza nell’ambito della sanità pubblica, data
la possibilità di prevenirne le conseguenze, grazie a una diagnosi precoce e un trattamento adeguato.

Il delirium può essere considerato alla stregua di una “insufficienza cerebrale acuta”, che emerge a seguito di vari
fattori scatenanti, essendo espressione di una diminuita capacità di resistenza cerebrale a insulti di varia natura. In
questo senso diviene indicatore di una condizione di vulnerabilità cerebrale, sottesa dalla compromissione della
cosiddetta riserva cognitiva, cioè della resilienza cerebrale a fattori dannosi esterni o interni.

Epidemiologia

In linea generale la prevalenza del delirium dipende da diversi fattori, quali la popolazione oggetto di analisi, il setting
di cura, il metodo di studio e la diversità degli eventi antecedenti. Le difficoltà diagnostiche determinano inoltre grandi
oscillazioni nelle stime di prevalenza e incidenza per tale condizione. Ciò premesso, uno studio epidemiologico ha
dimostrato come la prevalenza nella popolazione generale cresce con l’aumentare dell’età, essendo pari allo 0.4% negli
individui tra i 18 e i 55 anni, all’l% per quelli tra i 55 e gli 85 anni, e al 13,6% negli individui al di sopra degli 85 anni.
Tali dati sono stati confermati in uno studio finlandese relativamente recente. Nella popolazione di pazienti ricoverati in
strutture ospedaliere di medicina generale o geriatria la prevalenza all’ammissione in reparto cresce al 18- 35%, e
l’incidenza aumenta durante la permanenza in ospedale fino a raggiungere il 29-46%.

L’incidenza di delirium è elevata in specifiche popolazioni, quali quelle dei pazienti ricoverati in Unità di Terapia
Intensiva (ICU), o di Lungodegenza e Cure Palliative. Un discorso a parte merita il delirium post-chirurgico, dato che
gli interventi chirurgici rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio.

Celsio fu il primo ad introdurre il termine delirium (de Lira) per distinguerlo dalla mania, dalla depressione e dall’i-
steria. Nel 1769 Giovanni Battista Morgagni (“De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis”) sostituì il
termine “frenite” con il termine “delirium febbrile”. Intorno a circa il 20% delle pazienti anziane sottoposte a intervento
chirurgico per neoplasie ginecologiche lamenta un episodio di delirium, come il 33% dei pazienti sottoposti a
riparazione di aneurisma dell’aorta addominale, il 12,5% in pazienti sottoposti a chirurgia della colonna vertebrale, il
25% dei pazienti anziani in sostituzione elettiva dell'anca o del ginocchio, e ben il 65% dei pazienti sottoposti ad
intervento di osteosintesi o artroprotesi di anca in caso di frattura del collo femorale.
I pazienti che hanno manifestato una condizione di delirium hanno un aumentato rischio di eventi avversi, ed in
particolare un aumento del rischio di morte. Tale rischio riguarda anche gli individui ricoverati in strutture di medicina
generale, geriatria, neurologia, in reparti di terapia intensiva, o strutture di assistenza extra-ospedaliera. In particolare i
pazienti con delirium ricoverati in unità di terapia intensiva hanno un rischio di morte da 2 a 4 volte superiore sia
durante il ricovero sia dopo il rientro a domicilio. Approssimativamente il rischio di morte aumenta di 1,5 volte nei
ricoverati in reparti di medicina generale nel corso dell’anno seguente all’ospedalizzazione, e di ben 5 volte nei sei mesi
successivi all’ammissione di strutture per post-acuti. Altri eventi avversi a seguito di delirium includono la
compromissione delle funzioni cognitive, che si estendono nel tempo fino a un anno dopo l’intervento chirurgico, e la
compromissione del funzionamento motorio che si protrae fino a 30 giorni dopo la dimissione. Tra i pazienti con
demenza il delirium si associa con un aumento della rapidità di progressione del declino cognitivo, di
istituzionalizzazione e di mortalità. I rapporti tra le due condizioni, per quanto siano evidenti sul piano clinico e
prognostico (la demenza è il primo tra i fattori precipitanti per il delirium, e la presenza di quest’ultimo si correla con
un significativo aumento della probabilità di avere una demenza nel medio-lungo termine), rappresentano ancora oggi
un’area di grande controversia, in merito al fatto se il delirium sia semplicemente un marker di vulnerabilità verso lo
sviluppo di una demenza, o se esso stesso sia causa di danno permanente che contribuisca allo sviluppo di tale
condizione. Ma ultimamente sembra che entrambe le ipotesi siano vere.

Riserva cognitiva e fragilità

Accanto all’evidenza che l’esposizione di una serie articolata di fattori di rischio può scatenare il delirium in soggetti
fragili con fattori predisponenti, l’esperienza clinica e diversi studi dimostrano che la suscettibilità al delirium è
estremamente variabile tra individui. È stato ipotizzato che ciò dipenda da una minore vulnerabilità neurologica di
alcuni, che parallelamente si esprime in una minore compromissione cognitiva, rispetto ad altri con comparabile quadro
neuropatologico. Da ciò è scaturita l’ipotesi che gli individui ad alto funzionamento cognitivo (e neurologico)
posseggano dei fattori di riserva, che agiscono in modo da ritardare o limitare i deficit cognitivi o funzionali che si
presentano nelle condizioni neurodegenerative. A tal riguardo sono state ipotizzate due tipologie di riserva: la riserva
neurale e la riserva cognitiva.

La riserva neurale si riferisce ad aspetti strutturali del Sistema Nervoso Centrale, quali le
dimensioni cerebrali, la conta e densità sinaptica, e rappresenta un fattore di protezione che riesce a contenere gli effetti
di una lesione cerebrale, fino a quando non sia superata una certa soglia lesionale. Essendo pertanto tale riserva neurale
diversa da individuo a individuo, a parità di carico lesionale si possono avere diversità di conseguenze sul piano clinico
e sintomatologico.

Per riserva cognitiva si intende la capacità di utilizzare in maniera flessibile ed efficace le reti neurali, grazie a modalità
di funzionamento cognitivo più efficiente. Tale peculiarità sarebbe il frutto di comportamenti e abitudini di vita di lungo
respiro, correlati a livello di istruzione, tipologia lavorativa e partecipazione ad attività stimolanti sul piano cognitivo,
dato che un individuo sottoposto ad esperienze stimolanti, essendo le strutture e funzioni cerebrali plastiche, sviluppa
reti cognitive di maggiore complessità. Così due persone con quadro neuropatologico analogo possono avere risposte
diverse a seguito di lesioni cerebrali, perché uno fa un migliore uso del restante substrato cerebrale, motivo per il quale
gli individui con maggiore riserva cognitiva manifestano esiti migliori a seguito di eventi patologici. Se è vero che fino
a pochi anni fa l’età è stata considerata il più importante predittore di mortalità e di esiti avversi nella popolazione
anziana, una mole crescente di evidenze scientifiche dimostra che l’età cronologica non è in grado di definire con
sufficiente accuratezza l’estremamente eterogeneo stato di salute di individui anziani. Negli ultimi
anni ha invece avuto sempre maggiore attenzione il concetto di fragilità, con il quale si intende una sindrome medica
caratterizzata da una ridotta capacità di riserva funzionale, diminuzione della forza e della resistenza, a cui consegue
un’aumentata vulnerabilità a sviluppare conseguenze negative a seguito di condizioni patologiche, quali il declino nelle
performance funzionali e motorie, l’allungamento della durata dei ricoveri ospedalieri, la necessità di re-
ospedalizzazione, o di istituzionalizzazione e la mortalità. Dal punto di vista patogenetico gli studiosi concordano che i
sistemi fisiologici coinvolti nella fragilità, quali i sistemi nervoso, endocrino, immunitario, muscolo-scheletrico, sono
mutualmente correlati, cosicché quando si avvia il declino in uno di essi, gli altri necessariamente vengono coinvolti.

Diagnosi

Diversi studi basati sul confronto tra documentazione clinica e valutazioni sperimentali suggeriscono che il delirium
viene diagnosticato solo nel 12-35% dei casi. In ogni caso, dato che una nuova diagnosi di delirium può essere associata
con una condizione di grave pericolo di vita, i pazienti affetti devono essere sottoposti ad una approfondita anamnesi,
esame obiettivo e neurologico, e indagini strumentali e di laboratorio. Gli esami di laboratorio routinariamente
richiesti includono emocromo completo, elettroliti, urea, creatinina, esame urine, test di funzionalità
epatica, Rx torace, ed ECG. In alcuni casi può essere utile l’esecuzione di esami tossicologici nel sangue e nelle urine
(se si sospetta un abuso di sostanze), emocolture, emogasanalisi arteriosa (se si sospetta un’insufficienza respiratoria
acuta), imaging cerebrale (in soggetto con trauma cranico e segni neurologici focali), puntura lombare (se si sospettano
meningo-encefaliti) o EEG (se si sospetta un sindrome comiziale). Quest’ultimo usualmente dimostra rallentamenti
diffusi dell’attività di fondo. Il quadro clinico del delirium è così caratteristico che una diagnosi può essere eseguita,
anche se la causa scatenante non sia stata identificata. Le caratteristiche peculiari sono esordio acuto, andamento
fluttuante dei sintomi, turbe dello stato di vigilanza, deficit dell’attenzione, disturbi cognitivi (disorientamento, deficit
mnesici, disturbi del linguaggio). Altre
caratteristiche utili a fini diagnostici includono la presenza di disturbi dei ritmi sonno-veglia, disturbi percettivi
(allucinazioni o illusioni), deliri, disturbi psicomotori (con ipo o iper-attività), labilità emotiva, e comportamenti
inappropriati. La compromissione dello stato di coscienza si presenta con un andamento tipicamente fluttuante, ed
accentuazione nelle ore serali (condizione definita come sun-downing, e traducibile con la locuzione “al calar del sol”).
La consapevolezza è compromessa e lo stato di vigilanza può essere falsamente incrementato o ridotto. Il ciclo
sonno/veglia è quasi sempre disturbato, con inversioni dei ritmi (sonnolenza diurna e insonnia notturna). L’attività
onirica può essere così intensa da rendere l’individuo non in grado di distinguere il sogno della realtà, dato esperienziale
descritto nei casi di demenza a corpi di Lewy. Il pensiero è progressivamente disturbato, con iniziale rallentamento o
accelerazione del flusso locutorio, e ingravescente compromissione delle capacità di giudizio e di astrazione. Con il
progredire del delirium il pensiero diviene incoerente e disorganizzato: il paziente si presenta non in grado di
relazionarsi al mondo esterno, e pienamente occupato in pensieri ed esperienze interne, spesso di natura anormale.
Un’altra caratteristica cardinale del delirium consiste nei disturbi della memoria a breve e lungo termine, che si esprime
ad esempio nell’incapacità di fissare il ricordo del luogo e del tempo in cui si svolge l’esperienza attuale. Ciò, associato
alla natura fluttuante del delirium può indurre la produzione di falsi ricordi (confabulazioni), che sono espressione del
tentativo di riconciliare le fasi di delirium con il ritorno a uno stato di coscienza normale. Ci possono essere disturbi del
comportamento, che oscillano da condizioni di riduzione dell’attività spontanea, a reazioni improvvise e rapide,
scatenate da deliri o allucinazioni, come nel caso del delirium tremens. Ci possono essere comportamenti finalizzati, o
movimenti complessi stereotipati, che raramente configurano la mimica di un’attività lavorativa (delirium
occupazionale). È comune il riscontro di disturbi percettivi, quali micropsia o macropsia, illusioni e allucinazioni
(spesso di tipo visivo, sia non strutturate come lampi di luce, o strutturate, quali scene fantastiche di persone e animali).
Le allucinazioni lillipuziane (dove le persone e gli oggetti appaiono di piccole dimensioni) sono caratteristiche.
Esperienze floride e paurose sono tipiche del delirium tremens e degli effetti tossici della dietilamide o
dell’intossicazione da cocaina. Le allucinazioni visive nel delirio sono più spesso associate a molteplici fattori
eziologici rispetto alla presenza di allucinazioni o illusioni
uditive.

Sul piano sintomatologico sono state descritte tre tipologie di delirium: la sindrome ipoattiva, quella iperattiva, e la
mista, la cui discriminazione è rilevante ai fini della diagnosi, in quanto le forme iperattive (caratterizzate da agitazione,
iperreattività, aggressività, allucinazioni, deliri) sono più facilmente rilevabili, rispetto a quelle ipoattive, caratterizzate
da diminuita reattività, rallentamento motorio e del flusso locutorio, ipomimia e che si associano a una durata della
degenza ospedaliera significativamente più lunga. Tuttavia dato che le due forme non presentano diversità eziologiche o
di esito, è importante riconoscere quelle più facilmente scotomizzate sul piano diagnostico, cioè le forme ipoattive
(spesso confuse con una condizione di depressione), al fine di identificarle e quindi poter esprimere importanti
previsioni prognostiche. Lo strumento più utilizzato per la diagnosi di
delirium è la CAM, Confusion Assessment Method, elaborata da Sharon Inouye nel 1990.

ANTONIO VISCUSO

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