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Nicola Ferrari
2007
INDICE RAGIONATO
CAPITOLO I (Sinfonia)
§1
la sindrome di Aubade (Pynchon)
dalla dimostrazione per assurdo di Sterne: i sermoni di Yorick
alla presa di coscienza di Valéry e Mallarmé
§2
romanzi di formazione in miniatura
le strade perdute della vocazione musicale
le competenze musicali di scrittori
biografismo e analisi testuale
prolegomeni ad una critica della metafora
Forster La critica di Margaret
Pater, Kivy critica all'identità
paradigmi di permeabilizzazione
modelli retorici per la musica strumentale
modelli narratologici per l'analisi musicali
Schönberg : stile e idea
confutazione e autoconfutazione degli obbiettori
Il formalismo come principio unificatore delle arti
Adorno critica alla permeabilità=formalismo
L'anello concettuale di Pater : musica come paradigma
Schlegel
un libro su Margaret scritto da Helen: only connect
critiche ad una cattiva metafora
Curtius (vs Joyce), Spitzer (vs Proust), Adorno
Metafora cieca (i linguaggi sono irriducibili nello specifico): Genette, Souriau
Metafora vuota (i linguaggi sono simili solo nel generico): Wellek, Cupers, Matoré
2
paradigmi:
Vuotezza e cecità vs applicabilità della metafora armonica
Valéry La jeune Parque (una cantata?)
una profezia per absurdum di Wackenroder
CAPITOLO II
Il tema della lettura musicale di un’opera letteraria come cosciente volontà di
deformazione critica viene esplorato in una serie di variazione intorno alle figure di
scrittori le cui opere sono state maggiormente oggetto di un’interpretazione in senso
morfologico e di musicisti le cui composizioni si sono prestate a fornire modelli
convincenti di parafrasi. Segue il tentativo di una tassonomia dei luoghi testuali (dal
titolo alla prefazione) in cui è l’autore stesso a proporre la lettura musicale del proprio
lavoro.
§1 (Aria)
Schlegel legge musicalmente il Wilhelm Meister di Goethe
metaforica musicale in :
Siebenkäs (1796)
Flegenjahre (1804)
3
3. variazioni sul tema di Shakespeare
Schlegel: musicalità del gioco di parole in Shakespeare
Joyce Anna Livia Plurabelle
Saussure anagrammi
Schlegel: musicalità della macroforma in Shakespeare
letture shakespeariane musicoletterarie nel Novecento
letture operistiche di Shakespeare
Il carteggio Verdi-Boito
Musica e morfologie della scrittura teatrale
Mozart legge Beaumarchais
Jouve legge Mozart
Berg legge Büchner
Novalis: musicalità di Shakespeare
confronto con Jean Paul : improvvisazione
Wagner Shakespeare, scrittura di un'improvvisazione
4
2. variazioni sul tema del rispecchiare
introiezioni critiche nel testo
(dalla digressione del narratore alla mîse en abîme)
Broch digressione narratoriale in Costruito metodicamente
Arbasino: confronto tra le autoanalisi extratestuali e le loro
rappresentazioni narrative
Gide Diario di Edouard (mise-en-abîme)
comparazione con Proust Recherche (autoritratto in sé in altro )
lo Stradella di Dostoevskij (da L'Adolescente)
Bachtin e la polifonia dostoevskijana
Kundera Lo scherzo
5
Poe e la musica segreta della Philosophy of composition (un’inconsapevole
eredità hoffmanniana)
la musicalizzazione di Hoffmann
geografia e storia per comprendere la metafora
la storia della metafora come storia della musica in negativo
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polifonia delle epigrafi: Beljy
Marinetti e le partiture poetiche futuriste
la partitura come manifestazione visiva di una struttura formale: il
testo partitura di Mallarmé
BIBLIOGRAFIA
§1 letteratura secondaria
a. monografie
b. numeri monografici di rivista
c. articoli
d. saggi in opere collettive
e. introduzioni critiche
§2 canone
7
Capitolo I
(Sinfonia )
8
§1
9
alla musica di un imprevedibile statuto mimetico - immagine non certo
dell'esteriorità che rimane riflessa in altre arti ma dell'intima, segreta
essenza stessa del reale che solo in essa può specchiarsi -, offre poetica
figura di una tentazione che (velleitaria, intima, travolgente, professata,
combattuta, esibita) ha attraversato la letteratura occidentale degli ultimi
due secoli, ne ha innervato il canone, conquistato le periferie: pensare il
linguaggio musicale come metafora della (ma sarebbe meglio dire per la)
costruzione narrativa. Aubade non può che leggere quello che le accade
se non in termini di costruzioni (non dati, ma organizzazioni) sonore; una
narrativa che pensi con lei, affetta, diciamo, dalla sua stessa sindrome,
non potrà che cercare nel deposito delle forme che la musica nel suo
divenire storico ha prodotto, elaborato, vagliato, sperimentato, il
repertorio di modelli sul quale plasmare, confrontare e ridefinire le proprie
tecniche, misurare le proprie aspirazioni.
Figura, ho detto, di questo sogno poetico, o parodia, gustosa, crudele,
divertita della sua inconsistenza? se le due valenze, di irrisione e
adesione, sono in Pynchon compresenti (sospese, una nell'altra,
inestricabili), il primo caso della Sindrome di Aubade, è certo scherzo,
gioco . Molto serio però che si attesti proprio in uno dei più stupefacenti
2
incunaboli della forma che con quel sogno - sia caso o necessità -
maggiormente avrà a condividere il destino. Siamo poco oltre la metà del
diciottesimo secolo quando Tristram Shandy, raccontandoci la sua vita e
opinioni, si imbatte con perplessità in alcune stravaganti indicazioni date
ai suoi sermoni da Yorick, il pastore (lo si ricordi, amico di ogni burla e
nemico giurato di ogni gravità, probabilmente l'ultimo erede di
quell'antico Yorick sul cui teschio filosofeggiava Hamlet). Se infatti
risultava molto difficile da giustificare la caratterizzazione dei teologici
componimenti con le espressioni (in -quasi- italiano, per di più!)
Lentamente, Tenute, Grave, talvolta Adagio, quasi impossibile era
comprendere e motivare annotazioni del tipo di A l'octava alta, Con
strepito, Siciliana, Con l'arco, Senza l'arco . Sono termini musicali, dotati
3
2 Quel romanzo moderno, sublime invenzione della modernità (da essa inventato
quanto, se non più, di essa stessa, inventore).
3 Sterne, L., La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, (A. Meo, t.), Milano,
Garzanti, 1987, VI, 11.
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immaginifica di queste metafore potesse raggiungere un'effettiva,
condivisibile evidenza realizzativa. Non solo dunque, viene attestato in
Yorick il primo caso della sindrome di Aubade, ma anche (per quanto solo
pudicamente elusivamente suggerita) la diagnosi con cui essa si
scontrerà, in modi diversi ma comunque presenti, per tutta la sua storia,
quella cioè di essere una malattia psicosomatica, confinata all'ambito
delle poetiche ma del tutto velleitaria se ricercata nella concretezza del
testo. Nella così ricca Wunderkammer sterniana di stravaganze narrative
- l'armamentario che i modernismi letterari novecenteschi indosseranno
non è già tutto qui?-, questa (della musicalizzazione della prosa) si limita
ad essere enunciata, raccontata senza però praticarne la
sperimentazione, quasi davvero non potesse significare null'altro che un
wit - qualcosa di simile era accaduto ai quei matematici che, nel
cinquecento, per dimostrare come teorema ciò che Euclide aveva solo
potuto postulare, scelgono la strategia di mostrare l'assurdo cui
condurrebbe la violazione di quel postulato, così prefigurando il sistema
assiomatico che (mutata la definizione di ciò che propriamente ripugni la
natura delle rette) avrebbe costituito il principio fondativo della nuova
geometria non euclidea.
Qualcosa di simile: lo scherzo divenuto una serissima esigenza, una
tensione immaginativa, un'aspirazione compositiva capace di deformare e
ripensare lo spazio dell'opera letteraria . Attraversata la Manica, trascorso
4
11
leur liberté. Une musique de paroles communes, rehaussée peut-être ici et là
d'une appogiature, d'un trille limpide, un pur et tranquille délice pour le coeur,
avec juste ce qu'il faut de mélancolie, à cause de la fragilité de tout. De plus en
plus je m'assure qu'il n'est pas de plus beau don à faire, si on en a les moyens,
que cette musique -là, déchirante non par ce qu'elle exprime, mais par sa
beauté seul. On n'explique absolument rien, mais une perfection est donnée qui
dépasse toute possibilité d'explication 6. Nel tessuto così iridescentemente
metaforico a motivare fin dal titolo il ricorso alla metafora musicale, nelle
passionali e appassionanti giustificazioni dell'invidia che freme nella
poesia di fronte all'arte sorella, molti elementi possono essere sottolineati
per la loro presenza (la natura anfibia del modello, immagine insieme di
calibrata, inattaccabile perfezione costruttiva - cristallo - e di respirante,
vitale coerenza di sviluppo - organismo -, sintesi compiuta di temporalità
come forma e come processo, l'invocazione di una scienza, quella
musicale abilità tecnica che conduce all'appagante sensazione di libertà
nella forma, non vincolata che alle sue leggi interne e affrancata dalle
catene della significazione, dell'univocità del vincolo semantico) ma
l'evidenza paradigmatica, la forza rigenerativa con cui vengono esposti
questi ormai (al tempo di Jaccottet) topici elementi di vagheggiata
trasposizione, vengono coperti dallo strepito di una mancanza quanto mai
significativa ai fini della delimitazione del nostro discorso. Perché di molto
si parla, parlando di musica per la letteratura, ma non di quello che
potrebbe immaginarsi il punto più caratteristico, quell'incantamento
sonoro che si sforza di fare propria la dimensione acustica delle parole. E
ancora più rivelativa mancanza, nelle dichiarazioni di un poeta, di un
giocatore di parole nel genere (quello della poesia) che da sempre in
relazione alla musica si definiva proprio intorno alla capacità di modulare
le esigenze del senso sulla suggestione del suono, i suoi significati
intellettuali vincolati alla sensuosa (sontuosa) malia dei significanti. Così
viene celebrata e definita l’arte poetica (insieme professione e pratica:
niente che pesi niente che posi , il suono inventa il concetto) da un Verlaine
che nel 1874 prescriveva come destino futuro il radicalizzarsi di un'antica
memoria, la tradizionale musicalità del verso: de la musique avant toute
chose,/ et pour cela préfère l'Impair/plus vague et plus soluble dans l'air,/sans
rien en lui qui pèse ou qui pose//car nous voulons la Nuance encor,/Pas la
Couleur, rien que la nuance!/Oh! la nuance seule fiance/le rêve au rêve et la
flûte au cor!//de la musique encore et toujours!). Estremizzandola con
coerenza e coraggio, questa prospettiva non si poteva risolvere che in
una poesia del puro significante, nella lingua di invenzione dei sonetti di
José Bastida (interpretati così dal loro massimo esegeta, monsieur Joseph
Bastide):
Velmá, nora tilvó, noscamor leca (si impongono certe cadenze , un accento
marca seconda e sesta sillaba come un guscio vuoto, una coltre tiepida in
attesa della carne della parola)
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Fos madele se gáspel ganco cía (comincia così un cammino che evita il
ragionamento e conduce dritto alla musica),
Mor ásluacan xirgós colpí delbeca. (il verso suona bene, si incastra con il
precedente, enunzia un'idea poetica e contiene un'emozione, sei nel
centro del turbine, non sei che ritmo endecasillabo e struttura ascendente
del sonetto). Musicalità dunque non solo avant ma invece di ogni altra
cosa. Nella lingua partorita dal personaggio di Torrente Ballester (a 7
13
stile simbolista, (poesia come musica-fonetica) , compie per Benjamin un
passo ulteriore (ma per noi è un'altra la direzione, non semplice
approfondimento della precedente, quella della poesia come musica-
forma ): mette la scrittura in concorrenza con la musica . La musica della
9 10
nostra storia, quella nella quale Aubade legge la realtà, quella che
Mallarmé si propone di costituire nella sua poesia, è ossimoricamente una
musica muta, paradossale sottrazione alla musica della sua costituzione
acustica. Je fais de la Musique, et appelle ainsi non celle que l'on peut tirer du
rapprochement euphonique des mots, cette dernière va de soi; mais l'au-delà
magiquement produit par certaines dispositions de la parole 11. L'ulteriorità cui
dà accesso magico (ancora, in gioco, l'incantamento di Jaccottet) la
disposizione delle parole - indipendentemente da ogni loro eufonia, nella
relazione che si sviluppa tra i versi, tra le sezioni, tra ogni elemento
dell'insieme con ogni altro, insomma - realizza finalmente la concezione
greca (così Mallarmé, ma noi diremo strutturalista) di musica come
rythme entre les rapports, realizzazione di radicale estrema astrazione,
letterariamente (leggi silenziosamente) en toute pureté, sans l'entremise des
cordes à boyaux et des pistons comme à l'orchestre . 12
14
pensare ai loro poemi come sinfonie o sonate - sordi a quella musical
conception of form - non riuscivano a produrre altro da svolgimenti
puramente, piattamente lineari - l'organizzazione in successione che può
avere una striscia di polvere da sparo su cui guizzi la fiamma – 14
proclamava Pound the understanding that you can uses form as a musician
uses sound, that you can select motives of form from the form before you, that
you can recombine them and ‘organize’ them into new form 15. Se Pasternak
non partecipa ad un corso tenuto da Belyj sul giambo classico, ritenendo
non potersi ridurre la musica della parola all'acustica eufonia di vocali e
consonanti ma alla sua capacità di entrare in risonanza nella struttura di
discorso , Eliot addirittura invertiva i termini del problema, opinando (a
16
§2
15
suis-je né pour être peintre ou musicien…?
…un monde bariolé, plein d'apparitions magiques,
scintille et dans autour de moi. Il me semble que
quelque chose de grandiose va m'arriver. N'importe
quelle oeuvre d'art devrait sortir de ce chaos! Sera-
ce un livre, un opéra (…) quod diis placebit!
E.T.A. Hoffmann
Journale intime, 1803-1804
16
storia delle perdute strade in cui vocazioni musicali si sono smarrite,
ritrovando un (differente, alternativo) cammino nella professione
letteraria, è certo tutta da scrivere (e non la scriveremo noi, pur
sentendola così palpitare in cuore): quello che ci riguarda da vicino è (in
una fin sospetta - di genere?- somiglianza tra percorsi biografici così
lontani nel tempo e nello spazio ) la (sovr)abbondante messe delle loro
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cosa più desiderabile e benedetta della vita umana, la suprema felicità concessa
all'uomo da Dio", Massimo Bontempelli, nota a Siepe a nordovest in: Nostra Dea e altre
commedie, Torino, Einaudi, 1989. "Fino a venticinque anni ero attratto molto più dalla
musica che dalla letteratura. La mia cosa migliore di allora fu una composizione per
quattro strumenti: pianoforte, viola, clarinetto e batteria. Essa prefigurava in modo
quasi caricaturale l'architettura dei miei romanzi, la cui futura esistenza, a quell'epoca
neanche sospettavo. … Come accade nei miei romanzi, l'insieme è costituito di parti
formalmente molto eterogenee (jazz, parodia di un valzer, fuga, corale,…), ciascuna con
un'orchestrazione diversa (pianoforte, viola; pianoforte solo; viola, clarinetto, batteria;
…). Questa diversità formale è equilibrata da una fortissima unità tematica", Milan
Kundera, L'arte del romanzo, (A. Ravano, t.), Milano, Adelphi,1988 (1986), p. 132. "Il
fenomeno della creazione musicale mi ha sempre affascinato (…) da bambino
componevo brani per il nostro piccolo trio (…) credo, Dio mi perdoni, di aver anche
cominciato a comporre un'opera, in quel periodo. Non sono andato più in là del
preludio", Claude Lévi-Strauss, (), Da vicino e da lontano. Discutendo con Claude Lévi-
Strauss, (Eribon, D., c.; M. Cellerino, t.), Milano, Rizzoli, 1988, p. 244. "Bowles è un
eccellente compositore di musica (…) apprendiamo che avrebbe voluto diventare uno
scrittore piuttosto che un musicista. Ma poi in una scuola progressista avrebbe mostrato
una certa attitudine per la matematica, cugina prima della musica. Nondimeno preferì
combinare sulla pagina parole invece che note, fino a quando Gertrude Stein lesse le
sue poesie (…) Lui smise di scrivere, dedicandosi alla musica", Gore Vidal, Introduzione
a: Paul Bowles, La delicata preda. Racconti 1939-1976, (M. Biondi, t.), Milano, Garzanti,
1990. "Lavoro anche a una fuga nella quale credo molto - vocale naturalmente (…) aver
successo nel canone batte ogni altro successo artistico, arriva come un miracolo anche
per l'inventore. Sembra che il canone abbia scoperto il musicista e non lui il canone
… niente accompagnamento; la voce umana è immortale", cit. in Gerald M. Hopkins,
Dalle foglie della Sibilla. Poesie e Prose (1863-1888), (V. Papetti, t.), Milano, Rizzoli,
1992, p. 262. "J'aimais chanter, j'aimais tapes sur le touches du piano, j'étais
profondément ému par les instruments (…) quand je me rendais à l'école, puis au lycée,
je fredonnais des airs que j'accompagnais de masses orchestrales d'où emergeait
parfois un solo de flûte ou de violoncelle (…) j'ai été tenté par la composition musicale,
mais je me suis rendu compte que sur le plan instrumentale je n'arriverais jamais à
grand-chose", Michel Butor, Alphabet d'un apprenti, Musique in: Michel Butor.
Présentation et anthologie, Paris, Seghers, 2003, p. 113.
24 Si confrontino l'abbandono alla musica di Pasternak con quello di Savinio, vere e
proprie variazioni su uno stesso topos tematico-biografico: "ormai nessuno aveva dubbi
sul mio futuro. Decisa era la mia sorte e la giusta via scelta. Mi avevano destinato a
fare il musicista, e, per la musica, mi perdonavano tutto (…) Eppure nonostante questo
lasciai la musica… ebbi l'ardire di presentarmi a Skrjabin (…) mi ascoltò, mi approvò, mi
incoraggiò, mi benedì. Ma nessuno conosceva il mio segreto tormento (…) mentre
avanzavo con successo nella composizione ero impotente nella pratica … Mi staccai dalla
musica, il mondo prediletto cui avevo legato sei anni di fatiche, di speranze e di
17
velleitarie le loro posizioni di poetica . La conoscenza approfondita,
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turbamenti, come ci si separa dalla cosa più preziosa. Per un certo tempo seguitai a
improvvisare al piano, come per un'abitudine che andavo gradatamente perdendo. Ma
poi decisi di rendere più rigorosa la mia astinenza, cessai di toccare il piano, non andai
ai concerti, evitai di incontrarmi con i musicisti", Boris Pasternak, Autobiografia e nuovi
versi, (S. D'Angelo, t.), Milano, Feltrinelli, 1958, pp. 28-32. "Musicista, io mi sono
allontanato nel 1915 all'età di ventiquattro anni dalla musica, per ‘paura’. Per non
soggiacere al fascino della musica. Per non cedere totalmente alla volontà della musica.
Perché da ogni crisi musicale io sorgevo come da un sogno senza sogni. Perché la
musica stupidisce e istupidisce. Perché la musica rende l'uomo schiavo (…)
diversamente da quanto credevano gli enciclopedisti che sognavano la libertà per
l'uomo, 'uomo ama sentirsi schiavo: sottomesso a una schiavitù fisica e assieme a una
schiavitù metafisica, quale la musica eccellentemente dà." Alberto Savinio, Scatola
sonora, Einaudi, Torino, 1977, pp. 8-9.
25 All'incertezza espresse da Eliot (Sulla poesia e sui poeti, (A. Giuliani, t.), Milano,
Bompiani, 1960), p. 37) in un saggio pubblicato la prima volta nel 1956 sulla necessità
per un poeta di possedere precise nozioni di tecnica musicale, risponde (indirettamente
ma con sicurezza) la dichiarazione rilasciata da Alejo Carpenter, da una considerevole
distanza geografica ma proprio nello stesso anno, circa la passione con cui egli, scrittore
adolescente, si applicava alla conoscenza dell'arte dei suoni "Mi padre fue un excelente
violonchelista, ante de ser arquitecto. Una abuela mía, magnífica pianista, era discípula
de Cesar Franck. La práctica de la música fue cosa corriente en mi familla desde hace
varias generaciones. De ahí que yo estudiaria la técnica musical con suma daciliadad,
apasionándome, desde la adolescencia por los problemas del arte sonoro", Alejandro
Carpentier, Ese musico que llevo dentro (E. Rincón, c.), Madrid, Amianza Editorial,
1987, p.11.
26 Quasi una postilla a ripensare quanto detto: risolvendo gli stessi contenuti biografici
in gioco di forma, è divenuta ormai quasi di genere, l'idea di applicare la metafora
musicale alla stessa organizzazione del racconto biografico. Narrare il percorso
biografico di artisti come composizioni: Peter Härtling -lo ritroveremo in seguito-
accosta i normali capitoli a momenti musicali, nel suo Schubert. Zwölf Moments
18
«Facciamo grandi discussioni su questo. Mia sorella
dice che io sono ottusa; io dico che lei è
sdolcinata.»
Prendendo l'aire, esclamò: «Bene, non le sembra
assurdo? A che servono le arti se sono
intercambiabili?»
Edward M. Forster
Howard's End
musicaux und ein Roman (Hamburg-Zürich, Luchterhand, 1992); Gert Jonke racconta
La morte di Anton Webern (Un batter d'occhi accecato, (C. Grazioli, c.), Padova,
Meridianozero, 2002 [1996]), in una scrittura tutta giocata su ripetizione e
ricombinazione degli stessi segmenti testuali, quasi fossero differenti forme di una
stessa serie; Braun, intitola i capitoli della sua biografia di E. T. A. Hoffmann, Dichter,
Zeichner, Musiker, (Düsseldorf & Zürich, Patmos, 2004) come movimenti sinfonici
(Maestoso, Andante, Allegro ma non troppo, Adagio, Furioso, Presto, Prestissimo).
27 Edward M. Forster, Casa Howard, (P. Campioli, t.), Milano, Mondadori, 1986, capitolo
V, p. 62.
19
poesia. In tal modo l'elemento sensuale dell'arte, e con esso quasi tutto ciò che
nell'arte v'è di essenzialmente artistico diventa una questione indifferente;
laddove una chiara comprensione del principio opposto - che la materia sensuale
di ogni arte reca con sé una speciale fase o qualità di bellezza, intraducibile nelle
forme di ogni altra, un ordine d'impressioni distinte nella specie - è il principio
d'ogni vera critica estetica (…) ogni arte, avendo il suo proprio peculiare,
intraducibile incanto sensuale, ha il suo proprio modo speciale di colpire la
fantasia, le sue proprie speciali responsabilità verso la sua materia. A parlare
con decisa, luminosa determinazione contro ogni abdicazione di un'arte
dal suo specifico contenuto materiale, a colpire ogni venir meno della
responsabilità nei confronti della sua specificità, addirittura a individuare
tra i compiti del critico proprio quello di indicare alle diverse discipline i
limiti non valicabili, è Walter Pater (e proprio nel celeberrimo saggio su
Giorgione del 1873 ). Sempre in compagnia di Margaret, passati gli anni
28
28 Walter Pater, Il rinascimento, (M. Praz, c.), Milano, Abscondita, 2000 (1947 [1873]),
pp. 133-134.
29 Peter Kivy, Philosophies of Arts. An Essay in Differences, Cambridge University Press,
1997.
30 Come esplicitamente teorizzato (e sistematizzato) da Joachim Burmeister nella
(attenzione al titolo!) Musica Poetica del 1606, e poi innumerevolmente riproposto fino
all'oblio del romanticismo e alla riscoperta moderna (tanto della retorica musicale che di
quella discorsiva). Cfr. la conclusione del quarto capitolo (dedicato alla Retorica) nel
grande saggio di Ernest Robert Curtius, Europäische Literatur und Lateinisches
Mittelalter, Bern & München, Francke, 1963: oltre a citare gli studi di Arnold Schering,
si rileva quanto il titolo bachiano di Invenzione espliciti un richiamo alla tradizione di
20
alle soglie delle grandi invenzioni morfologiche che costituiranno il
paradigma stesso di riferimento della più schietta (assoluta) autonomia
del linguaggio musicale, Joseph Birnbaum per difendere Johann Sebastian
Bach dalle dure critiche di Alfons Scheibe ne rivendica la precisa
conoscenza delle risorse che l'elaborazione di un pezzo musicale ha in comune
con la retorica tanto che non solo lo si ascolta col più appagante piacere
31
Quintiliano .
31 Ne fornirà preclaro esempio la Musikalische Opfer nella quale come ha acutamente
rilevato Ursula Kikendale: "l'imitazione di Quintiliano non si limita ad elementi vaghi o
casuali; è molto concreta e sistematica e si estende sino ai minimi particolari. E, ciò
che più soprende, è perfettamente integrata all'omaggio rivolto dal compositore alla
persona del re. L'enigma del lavoro è così decifrato: i vari pezzi rappresentano le
successive sezioni di un'orazione" in: Giannelli, M T (a cura di), Musica poëtica. Johann
Sebastian Bach e la tradizione europea, Genova, ECIG1986, p.141. Ricercare a 3
(=exordium primum), Canon perpetuus (=narratio brevis), 5 canoni diversi super
thema regium (=narratio longa), Fuga canonica in epidiapente (=egressus), Ricercare a
6 (=exordium secundum, insinuatio), Canone a 2, Canone a 4 quaerendo
invenietis (=argumentatio /probatio+ refutatio/), Sonata sopra il soggetto reale a
traverso, violino e continuo (=peroratio in adfectibus), Canon perpetuus (=peroratio in
rebus).
21
tragedie , ouverture sognate come poemi , finalmente, sinfonie che
32 33
questi generi, del tutto tralasciandone i contenuti che una ricca semantica
alla musicale significanza potrebbero offrire - perché questa è ancora
35
22
(stilisticamente determinata) si confronta con la generatività di idee
musicali, profonde e universali: il linguaggio mediante il quale le idee
musicali vengono espresse in note, si può paragonare al linguaggio che esprime
sentimenti o pensieri con le parole, sia perché il suo vocabolario deve adeguarsi
all'intelletto cui si rivolge, sia perché i sopraddetti elementi della sua
organizzazione adempiono alle funzioni della rima, del ritmo, del metro, della
scomposizione in strofe, frasi, paragrafi, capitoli e così via, nella poesia o nella
prosa36. Ma nella dicotomia che si apre così, all'interno della monoplanarità
musicale, al fine di legittimare le radicali esperienze di rivoluzione degli
stili (di cui Schönberg è geniale apologeta) con la garanzia di permanenza
33 Baudelaire nel famoso articolo del 1861 Richard Wagner et Tannhäuser à Paris (in:
Oeuvres complètes II, (C. Pichois, c.), Paris, Gallimard, 1976, p. 803), dopo aver
cercato di dimostrare l'oggettività dei mondi finzionali che la musica evoca
soggettivamente confrontando tre diverse traduzioni in immagini dell'ouverture
wagneriana, riflette sulla qualità strutturalmente letteraria della musica di Wagner: "en
effet, sans poésie, la musique de Wagner serait encore une oeuvre poétique, étant
douée de toutes les qualités qui constituent une poésie bien faite; explicative par elle-
même, tant toutes choses y sont bien unies, conjointes, réciproquement adaptées, et,
s'il est permis de faire un barbarisme pour exprimer le superlatif d'une qualité,
prudemment concaténées".
34 L'esito estremo [della tecnica beethoveniana dei ritorni mnestico-motivici] sarà il
Leitmotiv di Wagner, il mezzo attraverso cui il 'narratore musicale' fa sentire la sua voce
dietro il racconto scenico, e quindi lo strumento fondamentale di un teatro per
eccellenza ‘epico’. Ogni storia presuppone infatti un narratore, il quale può far
dimenticare completamente la sua presenza annullandosi dietro i suoi personaggi
oppure rivelarla facendo sentire la propria voce, come avviene in misura crescente nella
narrativa otto-novecentesca. É possibile riconoscere un fenomeno simile in un brano di
musica sinfonica, in cui crediamo di ravvisare il modello formale del romanzo ma in cui
è difficile attribuire a un ‘narratore’ una in particolare delle molte voci che ci parlano
dall'orchestra? Fabrizio Della Seta, Beethoven: Sinfonia Eroica. Una guida, Roma,
Carocci, 2004, p. 158.
35 A Schindler che chiedeva l'idea ispiratrice della Sonata opera 31 n. 2, Beethoven
rispondeva “Leggete la Tempesta di Shakespeare” mentre annotava sul suo quaderno di
conversazione che nel Trio opera 97 lo schema espressivo nel suo divenire e la
sequenza di suggestioni poetiche sono desunte dalla Medea di Euripide. Dalla
prospettiva autoriale a quella estesica, Berlioz nel suo Étude critique del 1862 rivela gli
echi omerici suscitati dall'ascolto delle symphonies de Beethoven , tanto da essere
preso in parola da Schering che analizza l'Eroica come traduzione musicale di episodi
dall'Iliade. Sul crinale tra la versione strutturale e quella contenutistica dell'analogia tra
sinfonia e romanzo sono i passi adorniani sulla musica di Mahler:"romanzesca è anche
la curva che questa musica descrive, il suo elevarsi a grandiose situazioni, il suo crollare
in se stessa. I gesti effettuati fanno pensare a quelli di Nastasja che nell' Idiota getta nel
fuoco le banconote o a quelli descritti da Balzac, quando il criminale Jacques Collin,
travestito da canonico spagnolo, impedisce al giovane Lucien Rubempré di suicidarsi
riportandolo a fugace splendeur ; o ancora ai gesti di Esther che si sacrifica per l'amato
senza supporre che nel frattempo la ruota della vita li avrebbe salvati entrambi dalla
miseria", Theodor Wiesugrund Adorno, Wagner. Mahler. Due studi, (M. Bortolotto, G.
Manzoni, t.), Torino, Einaudi, 1975 (1960), pp. 200. Similmente per Beethoven:
"particolarmente singolare e colmo di profondità allegorica è lo sviluppo della nona
sinfonia. L'elaborazione e il crescendo di quel motivo finale, infatti, non conduce
immediatamente al punto culminante e all'inizio della ripresa … bensì si smorza e porta
una seconda risoluzione, che viene spinta fino al ritorno al materiale del secondo
23
di un legame profondo (concettuale, mentale) alla grande tradizione
classica, proprio nel processo traduttivo di medesime idee musicali in
organizzazioni sonore tra loro irriducibili, incommensurabili (come quelle
ad esempio della dodecafonia e della tonalità), si sperimenta una
permeabilità dei linguaggi (nella loro sottomissione al dominio del
concetto) che, grazie all'esperienza interna ad un'unica disciplina, si
legittimizza a generalizzarsi nell'universo complessivo delle arti. Quell'idea
musicale che Schönberg pretende di potersi esprimere tanto nel
mozartese che nel webernese, deve concepirsi ad un livello di tale
astrazione rispetto alla specificità dei linguaggi musicali, da poter
facilmente immaginare di varcare la dimensione sonora e divenire
letteratura.
24
adornese, se ne critica il carattere regressivo) il culto del procedimento
assoluto, causa (insieme al suo simmetrico, l'idolatria del materiale) del
permanente superamento dei confini e dello sfrangiamento delle arti (con
nota sarcastica e sottile osserva quanto già suoni obsoleto il plurale
‘arti’) : la convergenza tra esse avviene a spese delle differenze naturali, in
virtù della supremazia dei procedimenti formativi che si manifestano come
principio identico nei confronti dei rispettivi materiali 37. Ciò contro cui Adorno
opina è probabilmente quello che Kandinski così attento ascoltatore del
suono interiore della forma, (coerenza strutturale - sensibile come una
nuvola di fumo - cui il più piccolo, impercettibile spostamento crea una
modificazione sostanziale), auspicava nella definizione di una teoria
unificata della composizione capace di varcare delimitazioni disciplinari
ormai del tutto obsolete. Ma anche (bersaglio polemico adorniano)
sarebbe il sodale Pater quando, invertendo (in apparenza?) il segno del
suo purismo artistico afferma (con espressione rimasta proverbiale)
l'aspirazione di tutte le arti alla condizione della musica.
Una settantina d'anni prima già il primo romanticismo di Friedrich
Schlegel aveva affermato qualcosa di molto simile nel frammento 120
dalle Idee per composizioni 1798-1799 38: la bellezza (armonia) è l'essenza
della musica (…) essa è la più universale. Ogni arte ha dei principi
[musicali] . Ma in un contesto in cui, fatta salva la centralità storica della
dimensione musicale , tutte le barriere tra i linguaggi si volevano fluide e
39
37 Adorno, T. W., Immagini dialettiche. Scritti musicali 1955-1965, (G. Borio, c), Torino,
Einaudi, 2004, p. 312.
38 Friedrich Schlegel, Frammenti critici e poetici, (M. Cometa, c.), Torino, Einaudi, 1998,
p. 278.
39 "La musica è propriamente l'arte di questo secolo" Friedrich Schlegel, Frammenti
sulla poesia e la letteratura II Frammento 43 in: op. cit., p. 338.
40 Friedrich Schlegel, Athaeneum 264, in: op. cit., p. 77
41 Friedrich Schlegel, Frammenti sulla poesia e la letteratura I Frammento 404, in: op.
cit., p.156.
25
-perché cercando di appropriarsi del paradigma musicale (che significa
l'indistinguibilità di forma e contenuto), ciascuna arte trova il suo
specifico
-ergo, compito della critica è valutare la vicinanza della sua arte oggetto
al paradigma musicale.
La musica non sarebbe dunque solo la grammatica generale della
composizione cui avrebbe poi pensato Kandinski, ma il modo di
permettere a ciascuna arte di definire il suo proprio, cercando di applicare
in esso il modello unificante. La complessità (se non contraddittorietà) del
ragionamento (come la divaricazione tra esercizio critico e teoresi estetica
in Adorno) non faccia sorridere quanto piuttosto riflettere sulla tensione
attrattiva che intrattengono reciprocamente la vocazione all'unità e la
rivendicazione della differenza dei linguaggi, perché è in questo spazio (e
solo in esso) che prende corpo in tutta la sua fragilità, certo ma anche in
tutta la sua ricchezza, uno sforzo di rispecchiamento (quello delle nostre
metafore compositive) che imitando l'altro, cerca di reinventare se stesso
- l'arte un miroir ébloui, come dice Tardieu:
Concludiamo con Margaret che si è vista a poco a poco tradita da tutti i
suoi amici. E pure lei stessa… La sua massima esistenziale, si sa, come
nell'oracolare consiglio del vecchio Boito al giovin Savinio , la frase che
42
42 "La conversazione tra Boito e Ricordi cominciò a languire. Ricordi si alzò per togliere
commiato. Era nell'aria un ineffabile grumo, un che di insoluto, si sentiva che lo scopo
della visita non era stato raggiunto. Boito capì che si aspettava da lui un detto
memorabile, mi posò la mano valida sulla spalla, mi fissò profondamente negli occhi, e
disse: - Ricordati, giovinotto, che bisogna connettere quello che è sconnesso. Trent'anni
sono passati da quel giorno, e ancora ho da capire il significato di quella frase. Ma forse
è il proprio dei detti memorabili di non aver significato", Alberto Savinio, Ascolto il tuo
cuore, città, Milano, Bompiani, 1984 (1944), p. 348.
43 "-Basta! gridò [Margaret] Tu vedrai il nesso, anche se dovesse ucciderti, Henry! Tu
hai avuto un'amante, io ti ho perdonato. Mia sorella ha auto un amante, tu la metti
fuori di csa. Vedi il nesso (…) un uomo che insulta sua moglie quando è viva e parla
ipocritamente di lei quando è morta. Un uomo che rovina una donna per il suo picer e la
butta via perché rovini altri uomini. E dà cattivi consigli finanziari, per non dire di non
esserne responsabile. Tu sei questi uomini. Non puoi riconoscerli perché non sai
connettere le cose (…) Neppure dentro di sé Margaret osava biasimare Helen [tornata
incinta e senza marito] (…) Cristo fu evasivo quando lo interrogarono. Sono le persone
incapaci di connettere quelle che scagliano la prima pietra" Edward M. Forster, op. cit.,
cap. XL, p. 306.
26
lirici, alle pause descrittive, crea una trama che si definisce dentro e
intorno allo svolgersi degli eventi con una sua intrinseca articolazione
ritmica . Dalla parte di Helen.
44
44 Capitolo VII, p. 82 : "-Tu [parla Margaret alla zia, Mrs Munt] e io e i Wilcox poggiamo
sul denaro come su un'isola … quando siamo tentate di aiutare il prossimo, Helen e io
dovremmo ricordare che siamo su queste isole, mentre la maggioranza degli altri sta
sotto la superficie del mare"; IX, 93-94 [il frammento è sospeso tra parodia e adesione,
entusiasmo e ritrosia rispetto alla incontrollata metaforica musicale di Helen] : "-il
fiume, o meglio i fiumi… sembrano esservene dozzine… sono di un azzurro intenso (…)
Helen, che mescola sempre le cose, sostiene che è come un musica. Ha l'obbligo di
ricordarle che è un poema sinfonico. La parte vicino al pontile è in si minore, se ricordo
bene, ma più in giù le cose diventano estremamente confuse. C'è un tema paludoso, in
parecchie chiavi allo stesso tempo, che significa rive melmose, un altro per il canale
navigabile, e la foce nel Baltico è in do# maggiore, pianissimo … Io credo sia
un'affettazione paragonare l'Oder alla musica"; X, 118: "Charles e suo padre non erano
d'accordo. Ma si lasciavano sempre con un aumentato rispetto reciproco e ciascuno non
poteva desiderare compagno più valoroso qundo era necessario navigare un poco oltre
le emozioni. Così i marinai di Ulisse avevano oltrepassato le Sirene, dopo essersi turati
a vicenda gli orecchi con la lana"; XIII, 123: "trascorsero più di due anni e la famiglia
Schlegel conduceva sempre la sua vita di colto ma non ignobile agio, nuotando ancora
con grazia sui grigi flutti di Londra. Concerti e rappresentazioni teatrali scorsero verso di
loro e passarono alle loro spalle, denaro fu speso e rinnovato, reputazione conquistate e
perdute e la città stessa, emblema delle loro esistenze, s'innalzava e cadeva in un
flusso continuo, mentre le sue acque basse si allargavano sempre più contro le colline
del Surrey e sui campi dell'Hertfordshire"; XV, 144-145: "L'uomo d'affari [Mr Wilcox]
sorrise … Sembrava avesse il mondo in pugno mentre ascoltava il fiume Tamigi, che dal
mare rifluiva ancora entro terra"; 150: "La marea aveva cominciato a rifluire. Margaret
si chinò sul parapetto e la osservò con tristezza. Mr Wilcox aveva dimenticato sua
moglie, Helen il suo innamorato; lei stessa probabilmente stava dimenticando. Tutti
traslocano. Val la pena di occuparsi del passato quando c'è questo continuo flusso
persino nel cuore degli uomini?"; XVII, 162 :"mentre entrava nella sala da pranzo,
[Margaret] ebbe una forte, anche se erronea, convinzione della propria futilità e
desiderò di non essere mai uscita dalla sua acqua ferma, dove non accadeva nulla che
non fosse arte o letteratura"; 166: "-Io [disse Margaret] non so fissarmi. I gentiluomini
sembrano mesmerizzare le case: le intimidiscono con lo sguardo e quelle vengono,
tremanti. Le signore non possono. Sono le case a mesmerizzare me (…) -Io [disse Mr
Wilcox] non tocco il fondo in queste acque"; XVIII, 168: "La lettera [di Mr Wilcox, con il
segreto palinsesto di una offerta matrimoniale] agitò Margaret (…) ella rimase per
qualche tempo seduta a contemplare il frantumarsi delle onde"; 175 [a proposta
avvenuta]: "mentre sedeva nella sua casa vuota cercando di fare i conti, tra bei quadri
e nobili libri, irruppero ondate di emozione, come se una marea di emozione salisse
nell'aria notturna"; XIX, 177: "Volendo mostrare l'Inghilterra a uno straniero, forse la
cosa più saggia sarebbe condurlo nella parte finale delle colline di Purbeck e farlo
sostare sulla loro sommità (…) da occidente, Wigh è bella oltre le leggi della bellezza. É
come se un frammento di Inghilterra fluttuasse incontro al forestiero per salutarlo (…) e
27
completezza. Non il chiudersi, ma l'aprirsi. Quando la sinfonia è terminata noi
sentiamo che le note e le melodie che la formavano sono state liberate, che
hanno trovato nel ritmo dell'insieme la loro libertà individuale. Non può essere lo
stesso per il romanzo? Non c'è qualcosa del genere in Guerra e pace (…) un libro
così disordinato! Eppure mentre lo leggiamo, non incominciano a risuonare alle
nostre spalle dei grandi accord i45? (Daniil Charms, da Scene della vita di
Tolstoj : Lev Tolstoj amava suonare la balaljka (anche i bambini, naturalmente). Ma
46
non era capace. E' lì che scrive il romanzo Guerra e pace, e pensa, tra sé e sé : Ten-
der-den-ter-den-ten! Oppure: Bram-pram-dam-daram-pam-pam ).
dietro questo frammento (…) tutt'intorno, con una doppia o tripla collisione di maree,
turbina il mare (…) la ragione vien meno, come un'onda, sulla spiaggia di Swanage;
l'immaginazione si gonfia, si allarga e si approfondisce, finché diventa geografica e
circonda l'Inghilterra; 184 [dialogo tra Margaret e Helen (riguardo al matrimonio con Mr
Wilcox] : "Vi fu un lungo silenzio, durante il quale la marea rientrò nel porto di Poole
(…) l'Inghilterra era viva, palpitante attraverso i suoi estuari (…) appartiene agli uomini
che l'hanno plasmata e resa temibile dagli altri paesi, oppure a quelli che (…) in qualche
modo l'hanno vista, hanno visto d'un colpo l'intera isola, che sta come un gioiello su un
mare d'argento, navigando come nave di anime, con la flotta di tutto il mondo
coraggioso ad accompagnarla verso l'eternità"; XX,184: "Margaret era rimasta sovente
perplessa di fronte all'agitazione che ha luogo nelle acque del mondo quando Amore,
che sembra un sassolino così minuscolo, vi si infila dentro (…) eppure, il suo impatto
inonda cento spiagge. Senza dubbio tale agitazione è in realtà lo spirito delle
generazioni che dà il benvenuto alle nuove e si rivolta contro il Destino finale che tiene
tutti i mari nel palmo della mano"; 190:"-Io [disse Margaret] odio questo continuo fluire
di Londra. É un'epitome di noi nel nostro aspetto peggiore… eterna mancanza di forma;
tutte le qualità, buone, cattive e indifferenti, che scorrono via… scorrono, scorrono
sempre. Ecco perché mi fa tanta paura. Io diffido dei fiumi, persino nei paesaggi. Il
mare, invece… -Alta marea, sì. [disse Mr Wilcox]"; XXIII, 207: "Poi [Margaret, giunta
finalmente a Casa Howard] pensò alla carta dell'Africa; agli imperi, a suo pade, rivoli
della cui vita riscaldavano il suo sangue, ma, mescolandosi, avevano raffreddato il suo
cervello"; XXVII, 236: "Ora che l'ondata di eccitazione era rifluita, lasciando lei, Mr e
Mrs Bast arenati per la notte in un albergo dello Shropshire, si chiedeva quali forze
l'avessero gonfiata" ; XXIX, 246 [Mr Wilcox dopo l'agnizione della poco raccomandabile
moglie di Leonard viene comunque perdonato da Margaret] S'irritò con Mrs Schlegel per
questo. Avrebbe preferito che fosse prostrata dal colpo, o magari furiosa. Contro la
marea della colpa fluiva la sensazione ch'ella non fosse del tutto femminile"; XLI, 315 :
"non gli passò mai per mente che la colpa fosse di Helen. Dimenticò l'intensità del loro
discorso, il fascino che la sincerità aveva conferito a lui, Leonard, la magia di Oniton
nell'oscurità e del fiume mormorante (…) Con un lacerante sforzo di volontà svegliò il
resto della camera. Jacky, il letto, il loro cibo, i loro vestiti sulla sedia, gradualmente
entrarono nella sua coscienza e l'orrore svanì verso l'esterno, come un cerchio che si
allarga sull'acqua"; XLIII, explicit [dopo la morte di Leonard, la condanna di Charles, il
destino, i destini ormai tutti compiuti, non rimane che l'eterna risacca del tempo.
All'ombra di Casa Howard, unica permanenza (in cui tutto si connette) si avvicendano le
stagioni (della natura, dell'uomo: cresce il piccolo figlio di Helen, poi sarebbe venuto
luglio), Henry (la sua fortezza crollata) si raccoglie nelle mani della moglie]: "Il rumore
della falciatrice [è la postumosità agli eventi, la vittoria di Casa Howard, la sua
avvenuta transustanziazione in Margaret, il ritmo eterno e fluente delle cose che si
connettono, la realtà nella sua fluida equorea sostanza] arrivava in modo intermittente,
come il frangersi delle onde".
28
bastano poche note a Debussy per creare
un'atmosfera sottile ed ineffabile; uno scrittore,
potrà scrivere quante pagine vuole ma non potrà
mai arrivarci. Ogni scrittore conosce
quell'inquietudine, quella tristezza che lo invade
quando sente i limiti della sua arte. E' forse questa
la causa per la quale, quando una determinata arte
raggiunge un sommo prestigio, gli scrittori vogliono
avvicinarsi alla musica o alla pittura; come oggi al
cinema. Tentativi grotteschi se non fossero
letteralmente letali (…) ogni arte ha i suoi obbiettivi
e i suoi limiti. E, cosa strana, quei limiti non sono
una debolezza ma una forza, allo stesso modo in cui
per spingere un mobile ci appoggiamo a qualcosa di
resistente
Ernesto Sabato
Limiti e forza della letteratura
45 Edward M. Forster, Aspetti del romanzo, (C. Pavolini, t.), Milano, Garzanti, 1991
(1927), p. 163.
46 Daniil Charms, Casi, (R. Giacquinta, t.), Milano, Adelphi, 1990, p. 96.
47 Così nella sua recensione a James Joyce pubblicata sulla 'Neue Schweizer
Rundschau', Heft I, Januar, 1929, e poi citata in: Stuart Gilbert, op.cit., p. 243.
29
Un motivo conduttore musicale, sostiene il professore, è in sé autonomo e
completo, soddisfacente, insomma, anche senza la precisa conoscenza del
suo significato drammaturgico . Non così il Wortmotif, inintelligibile in sé
48
30
comuni che vengono continuamente imputate al tentativo di una
traduzione di uno nell'altro: l'uso improprio della terminologia musicale e 50
31
unitario di una sinfonia - forse il compact-disc obbligherebbe ad un
ripensamento dell'effettività odierna della dialettica), anche minimizzando
l'eterogeneità dei codici (musicali e linguistici), la diversità ineliminabile
resterebbe quella tra un linguaggio rappresentazionale, teso alla mimesi
di un mondo, ed uno astratto, impegnato a definire un sistema coerente
al proprio interno . 55
32
on peut réduire la notion de variations sur un théme à quelque chose de si vague et de
si explétif au sens musical que l'usage littéraire de pareille notion n'apporte plus grand-
chose, en fin de compte, de critiquement utile sinon, bien sûr, comme rappel du fonds
commun des arts ou de la musicalité première de toute oeuvre littéraire .
Questa doppia strategia di attacco che cerca di sfuggire alla sottile
impressione di contraddittorietà (le due arti sono troppo uguali e troppo
diverse perché il passaggio possa essere qualcosa di più di una cattiva
metafora) cercando di dimostrare l'identità sostanziale tra l'errore di
indicare come altro ciò che in effetti è proprio (metafora vuota) e quello
di fingere come proprio ciò che è -e rimane- altro. Rispetto però a questa
critica così forte e circostanziata rimangono le opere stesse, nella loro
concreta peculiarità (e valore) di testi che la dimostrata inconsistenza
teorica dell'istanza poetica che ha presieduto alla loro elaborazione non
basta a dissolvere. Perché è chiaro che per quanto illusoria fosse l'idea di
poter applicare strutture musicali alla narrativa o alla poesia, poemi,
romanzi, saggi sono stati poi scritti, e con la determinazione di alcune
costanti capace di definirli come in un'identità (formale) di genere. Come
nel libro tibetano dei morti, in cui l'immaginario intimamente creduto ha il
potere di trasformarsi in realtà, la dimostrazione dell'errore metodologico,
della vanità della sperimentazione, lascia aperta la questione di spiegare
(o per lo meno raccontare) una storia europea di più di due secoli di sogni
che (in un qualche modo) sono diventati opere. E laddove -credo- non è
tanto questione di verificare quanto il passaggio da un linguaggio all'altro
si sia effettivamente compiuto quanto capire che cosa la volontà di
metaforizzazione da un linguaggio abbia prodotto sul nuovo (nel suo
significato, nella invenzione di tecniche o nella riaccensione delle antiche)
con la consapevolezza che solo nella caduta, talvolta, può sperimentarsi il
volo, anche se
words strain
crack and sometimes break, under the burden,
under the tension, slip, slide, perish,
decay with imprecision, will not stay in place,
will not stay still
(con l’Eliot dei Four Quartets).
33
André Gide
Le Faux-monnayeurs
59Thomas S. Eliot, Sulla poesia e sui poeti, (A. Giuliani, t.), Milano, Bompiani, 1960
(56), p. 31: "la dissonanza, perfino la cacofonia, hanno una loro ragione di esistere, al
modo stesso che, in un componimento poetico di una certa lunghezza, debbono trovarsi
passaggi tra momenti di maggiore e minore intensità, per rendere un ritmo di emozione
ondeggiante, indispensabile alla struttura musicale dell'insieme".
34
l'universo sociale di discorso, Steiner nella semplice - e sconvolgente -
61
35
trapassa nella narrativa può essere infine giocato con la compiaciuta
sottigliezza di Ford Madox Ford: for this book I have chosen the larger form of
the Opera. We approach now the limits of this section -the fin de section that the
careful bus-conductor in Paris announces when, if you have not already done it,
you must pay a supplementary fare… And the perspicacious Reader will have
perceived that this section is in fact the Overture [sic] of the Opera - the division
in which the composer adumbrates, without dwelling on, the themes that he will
later work out. He has, that is to say, put in and registered, his leit-motiven…
his main subjects. In what follows they shall be worked out in as you might say
two keys, the dominant and the tonic… With that statement I seem to have
drifted into a thing I never thought to find myself perpetrating… But, pun and
all, it is illustrative enough. For in music the ‘tonic’ is the normal, or first and
last, key of a piece, the ‘dominant’ being the key whose scale begins with, and is
named after, the fifth note… In this piece you may say that the dominant theme
is that of our great, noisy and indigestion-sick Anglo-Saxondom which can only
be touched by inspiration from the spirit of Provençal Latinity, frugality and
tolerance. That consideration begins and ends and is the tonic or normal key of
this piece of writing 66. Era un'idea con cui Diderot si era baloccato, nelle sue
Leçons de clavecin et principes d'harmonie, se potesse interessare la
letteratura il procedimento armonico di iniziare una progressione,
interromperla per iniziarne una seconda, e poi una terza, senza finirne
alcuna (la risposta è Jacques le Fataliste!). Come il fatto se potesse
intendersi nei termini di una modulazione la sua tecnica di scrittura
digressiva transizione da un'idea all'altra senz'altra connessione che il
medium di un marginale tratto comune (Lettre à Madamoiselle Volland,
20 ottobre 1760).
È infine su un'ardita adozione del linguaggio armonico (la ricerca
letteralmente indefinita, di quello che si potrebbe tentare in poesia di
analogo a quello che è la modulazione in musica ) che Valéry immagina
67
per la sua Jeune Parque , la forma (il negativo) di una cantata,
68
65 Gérald Genette, op. cit., p. 257: "Fra un sistema tonale (o modale) nei confronti del
quale tutte le infrazioni (parallissi o parallessi) si lasciano definire come alterazioni, e un
sistema atonale (amodale?) dove nessun codice prevale e dove diventa caduca la
nozione stessa di infrazione, la Recherche illustrerebbe uno stato intermedio: stato
plurale, paragonabile al sistema politonale (polimodale) inaugurato per qualche tempo,
e proprio nel medesimo anno (1913), dalla Sagra della Primavera ".
66 Ford Madox Ford, Provence, from minstrels to the machine, New York, Ecco, 1979
(1935), p. 67.
67 Paul Valéry, Oeuvres complètes I, Paris, Gallimard, 1957, p. 1473.
68 Paul Valéry, Opere poetiche, (V. Magrelli, t.), Parma, Guanda, 1989. Così la racconta
Pontiggia: "il soggetto è vago (‘il contenuto è senza importanza’). Lo si potrebbe ridurre
così: la coscienza cosciente. Immaginate che ci si risvegli nel cuore della notte, e che
tutta la vita si riviva, a sé si parli, … sensualità ricordi paesaggi emozioni sentimenti del
corpo profondità della memoria luce cieli anteriori rivisti; trama continua senza
cominciamenti né termini, come sulle rive del sonno".
69 Paul Valéry, op. cit., p. 1622.
36
metaforiche (quella del sogno armonico, quella della forma cantata) che
si realizzano, proprio nella loro integrazione sul principio di variazione dei
motivi. La dialettica tra aria (area di stabilità tonale), e recitativo (spazio
di transizioni modulanti) si può dunque interpretare come confronto tra
segmenti testuali in cui il lavoro motivico rimanga definito intorno a un
solo gruppo motivico (unità tonale) e altri in cui si sperimenti lo
spostamento, l'attraversamento di differenti gruppi. La successione delle
aree di consolidamento motivico rappresenterebbe dunque l'equivalente
di un piano tonale (e in questa prospettiva la coincidenza di inizio e
conclusione sul medesimo gruppo motivico - che è inoltre quello
maggiormente rappresentato - offre a una scrittura che rigetta i nessi
narrativi logico-causali il consolidamento – il sogno - di una differente
coerenza).
Un fiume che scorre mi deve servire da paragone. Nessuna arte umana può
rappresentare con parole dinanzi ai nostri occhi lo scorrere di una massa d'acqua
variamente agitata, secondo tutte le sue mille onde, ora piatte ora gibbose, impetuose e
schiumanti; la parola può solo contare e nominare visibilmente le variazioni, ma non
può rappresentare visibilmente i trapassi e le trasformazioni di una goccia con l'altra. E
ugualmente avviene con la misteriosa corrente che scorre nelle profondità dell'anima
umana: la parola enumera, nomina e descrive le trasformazioni di questa corrente,
servendosi di un materiale a questa estraneo; la musica invece ci fa scorrere davanti
agli occhi la corrente stessa. Audacemente la musica tocca la misteriosa arpa, e traccia
in questo oscuro mondo, ma con preciso ordine, precisi e oscuri segni magici, e le corde
del nostro cuore risuonano e noi comprendiamo. Era il 1797 (l'anno prima della
beethoveniana sonata op. 13, l'anno dei quartetti op. 76 di Haydn, era
l'anno della nascita di Franz Schubert) quando in Das eigentümliche
innere Wesen der Tonkunst und die Seelenlehre der heutigen
Instrumentalmusik, Wackenroder, che sarebbe scomparso di lì a poco,
appena venticinquenne, più giovane di Mozart, diede della musica
romantica la prima testimonianza letteraria. Ma la musica romantica non
esisteva ancora. Non ne esistevano le opere (ancora il classicismo doveva
temprarsi al fuoco di Beethoven) capaci di sostenerne la concezione
metafisica che ne facesse il linguaggio privilegiato dell'inconoscibile,
mimesi dell'interiorità fluttuante e scorrente (dell'universo psichico, del
cuore umano, i vorticosi spalancati abissi) . La musica romantica nasce
70
37
(prima di prender forma sensibile in voci e strumenti, fu una fantasia, immaginaria
proiezione dell'entusiasmo, non importa se etereo o demonico, di musicisti altrettanto
immaginari 71), potremmo immaginare una successiva letteratura che,
reciprocamente, proprio di quella musica inventata sia invenzione.
Seguendo questa ipotesi che condurrebbe a cercare negli esiti più alti
delle sperimentazioni narrative tra fine e inizio secolo il tentativo di
riappropriazione alla letteratura di ciò che Wackenroder le aveva
dimostrato essenzialmente precluso (ancora una dimostrazione per
assurdo?), ricominciamo a narrare la storia della nostra metafora dal
momento in cui il romanticismo tedesco inizia a pensare il modo di
riprendere alla musica proprio ciò che le aveva offerto di più prezioso: la
riflessibilità del profondo coscienziale sulla superficie mobile di una pura
forma.
Capitolo II
(Partita )
38
la progression, il se découvre et se révèle dans le
temps; il obéit à des rythmes, à des mouvements, à
des cadences; il s'assujettit à des lois qui sont celles
de la présentation successive. Aussi tiendra-t-on
compte (…) des relations d'antériorité ou de
postériorité d'une figure ou d'une situation au
regard de toutes celles qui l'entourent, des
moments d'apparition ou de fuite d'un motif, de
l'étirement ou de l'accumulation des données, des
préparations qui annoncent et des retours qui
évoquent, des emplois possibles de la mémoire ou
de l'attente du lecteur, et bien entendu des effets de
vitesse, de tempo. Balzac nous invite à lire ses
romans dans cet esprit, lorsqu'il attire notre
attention sur le différences de mouvement qui
opposent la précipitation des Scénes de la vie
parisienne à la lenteur des Scénes de la vie de
province. L'essentiel de sa vision de Paris et de la
province tient dans ces deux rythmes.
Jean Rousset
Forme et signification
§1
(aria )
39
coercizioni ottiche: di ciò che riflette, essa deve
trasformare tutto; trasformare solo secondo certe
leggi; trasformare sempre nello stesso senso.
Roland Barthes
Critica e verità
C'è il testo, nella sua realtà. E poi c'è il testo, come immaginario. C'è
l'opera concreta, nelle sue relazioni interne, nel suo definire un sistema,
nella sua autonoma strategia di significato, astratta del tutto dalle
condizioni fruitive, dai vincoli autoriali. E c'è la sua dimensione potenziale,
spazio teso e lacerato dalla volontà progettuale, intenzioni, desideri,
sogni, squassato e percorso dalle istanze interpretative, superfetazioni,
rivolgimenti, anamorfosi. Assorti, nel primo capitolo, a confrontare queste
due dimensioni per rilevarne le omologie, i possibili punti di tangenza, a
vagliare l'effettiva adesione della realizzazione al modello (del volere
all'essere) impegnati nel corpo a corpo di pratiche e poetiche, abbiamo
considerato unitariamente tutto il testo intorno al testo, senza distinguere
(non ce n'era bisogno) le tensioni immaginative di produzione,
elaborazione (causa di scrittura) da quelle proiettive di ricezione,
transustanziazione (effetto di lettura). Nel ricominciare la nostra storia
con ordine (dei fiori colti occorre fare bouquet), nel riportarci all'aurale
inaugurale esperienza del romanticismo tedesco (ma non riesco a non
pensarlo come romanticismo tout court senza aggettivi, senza
specificazioni) o il luogo principe della sostituzione al testo dei suoi
fantasmi, dell'inscindibilità della figura dalla sua ombra, bisogna
distinguere nell'assimilazione del reale al possibile, un movimento
proiettivo, da uno immaginativo. Se progettuale è l'immaginazione che
preferisce ideare che compiere il testo (più che poesie e romanzi,
zibaldoni, note, frammenti e quaderni costituiscono - e sostituiscono -
l’opera - fino a Valéry e forse, in qualche modo, a Borges), proiettiva è la
romantizzazione di ogni testo del canone, il suo sforzarlo a esprimere
un'idealità ad esso (storicamente) estranea. Così la nostra metafora che
abbiamo visto muoversi disordinatamente tra suggestioni, prescrizioni
autoriali e indicazioni , per ricominciare (con metodo), sarà
primariamente esplorata nella sua fenomenologia critica perché è proprio
in questa dimensione proiettiva che la metaforizzazione musicale inizia a
essere presa sul serio. Ma soprattutto perché, nella lettura, si inventano
(giustificandole come fossero semplicemente trovate) delle tecniche di
metaforizzazione del testo che a ruota e con ulteriori sviluppi verranno
sperimentate in sede di poetica. I nostri esercizi di lettura, in prospettiva
sono già modelli di scrittura (e viceversa). In entrambi i casi, il testo si
tende per acquisire quello che non ha, che non potrebbe avere, ma:
accogliere l'estraneità, esserne dilaniato, si vuole travaglio ai parti futuri.
40
Quando si legge il goethiano Wilhelm Meister sostiene Friedrich von
Schlegel (un amico di Tieck) si potrebbe rimanere delusi - le attese
72
41
42
§2
(prima partita sovra l'Aria)
73 Dopo che la dilagata divisione del lavoro (anche in campo culturale) aveva reso
eccezionale la consuetudine antica dei Landini e dei Machault, poeti e musicisti, quasi in
endiadi.
74 Per trovare un fenomeno analogo nei tempi contemporanei così fratti in una
molteplicità di movimenti, figure, cordate e isolamenti da pensarsi costituzionalmente
policentrici (o acentrici?), forse si può indicare solo la figura di Charlie Parker, quasi
fosse già l'esemplarità stessa (bruciante e bruciata) del suo percorso biografico
(un'improvvisazione furiosamente libera e laceratamente dissonante) offrisse alle
invenzioni del bebop una semantica letteralizzabile.
43
Variazioni su scrittori, la cui scrittura (non riducibile alle consuete griglie
interpretative puramente logiche e narrative -lo abbiamo visto come
giustificazione della (mis)lettura schlegeliana del Wilhelm), non vincolata
quindi dagli strumenti specifici che essa stessa ha creato si rende capace di
metabolizzare metafore e ambiguità pertinenti a differenti sistemi di
75
Nel 1893, anno della prima esecuzione del Titan mahleriano, la natura
musicale dei romanzi di Jean Paul è talmente indiscussa da non stupire
che i loro titoli siano adottati nel paratesto musicale di una sinfonia: non
solo, globalmente, Titan (il romanzo e la sinfonia), ma Blumine (una
raccoltà di articoli di Jean Paul pubblicati nel 1810 a Tubingen e il secondo
movimento della prima parte), infine, Blumen-, Frucht- und Dorn-
[spine]stücke (titolo jeanpauliano premesso alla specificazione oder
Ehestand, Tod und Hochzeit des Armenadvokat F. St. Siebenkäs im
44
Reichsmarktflecken (Kuhschnappel, 1796) e specificazione dell'Aus den
Tagen der Jugend, titolo complessivo della prima sezione ). La tardiva 76
45
qualcosa d'altro (quasi un'impazzita allegoria), dove l'analogia è principio
principe di accostamento dei materiali la musica prima di potere essere
considerata (dall'esterno) modello di organizzazione formale, è
primariamente assunta (all'interno del testo) entro la complessa rete di
trasfigurazioni metaforiche degli oggetti, degli eventi narrati. Anzi è
proprio come se l'uso metaforico della musica che Jean Paul
disinvoltamente (genialmente) pratica nei suoi romanzi, suggerisse (ai
suoi futuri lettori) la possibilità di trasferirlo dai contenuti
(autoreferenzialmente) alle strutture stesse che quei contenuti
organizzano.
Jean Paul ha della musica una concezione che condivide con il coetaneo
Wackenroder la metafisica dell'espressione ( oh suoni immacolati, come sono
sante le gioie e i dolori che date! Perché voi vi rallegrate e vi lamentate non di eventi
qualunque, ma della vita e dell'essere stesso e delle vostre lacrime è degna solo
l'eternità, di cui l'uomo è il Tantalo. Voi, note pure, non sareste mai riuscite a crearvi un
sacro rifugio nel petto dell'uomo tanto a lungo ingombrato dai detriti terreni … se non
foste esistite in noi già prima degli ingannevoli rumori del mondo, se il vostro cielo non
fosse innato in noi, antecedente alla terra! ) e una sua collocazione ai vertici
delle gerarchia delle arti (la musica, di tutte le arti, è la più autenticamente
umana, la più universale ) ma in più, senza sottrarsi alle contenutizzazioni
linguistiche d'epoca ricorre al linguaggio come analogia per proporre una
78
78 "Haydn scatenò i destrieri dei suoi accordi indomiti nella battaglia enarmonica (…)
quell'alternarsi di fortissimo e pianissimo col quale non aveva confidenza, simile a un
tumulto di sofferenza e di piacere, di preghiere e di bestemmie che si scateni in un
petto, precipitavano Walt … che aveva scarse nozioni e occhi per la musica, ma
abbastanza cervello, orecchie e orecchiette cardiache per accoglierla, in un torrente che
lo trascinava, lo sollevava, lo sommergeva … la vita gli scorreva davanti come un epos,
con tutte le isole e gli scogli e i dirupi dell'esistenza fusi in una sola superficie; nelle
note si confondevano età, nenie di vecchi, ninne-nanne e inni nuziali", "«ci vorrebbe
proprio una bella marcia turca», «oh sì, e specialmente quei passaggi che sono
contemporaneamente degli adagi, in tonalità minore, nei quali l'entusiasmo si comunica
con straordinaria intensità, come da un mondo spettrale»", Jean-Paul, L'età della
stupidera (U. Gandini, t.) , Frassinelli, 1996, p. 211 e p. 398.
79 Jean-Paul, op. cit., p. 225 (e per le citazioni precedenti: p. 212, p. 227).
46
lirici) parallelismi , non tanto generici quanto tecnicamente sapienti,
80 81
armoniche , la fraseologia e
83
morfologia classica . Questo repertorio
84
47
organologiche. Come assordati dallo sfrenato strepitoso concerto
dell'orchestra composta di sentimenti-violini, matrimoni-clavicordi,
uomini-arpe, uomini-pianoforte (a coda e verticali), amicizie-auloi , i 85
di Schubert ) non esita a parlare del flauto jeanpauliano e della sua musica.
88
Ma in realtà lo stile di Jean Paul non era una novità, non era che il
trapianto in terra tedesca delle sperimentazioni di un autore già molto
48
caro alla nostra storia. Gli andamenti digressivi, l'ironia metalinguistica, le
stessa dichiarata spiralizzazione della progressione narrativa, fino alla
vertiginosa confusione metalettica di lettori e personaggi , tutto questo è
89
89 "«Di storie, Walt, ne ho non solo udite ma anche vissute mille e una durante i miei
viaggi (…) in ogni opera epica ci sono capitoli di cui il lettore deve poter ridere,
divagazioni che interrompano il racconto della vita dell'eroe: e questi, ritengo, possa
fornirli il fratello che suona il piffero»", F, p.104; "Sarebbe molto divertente per i lettori
se l'autore dell'Età della stupidera si soffermasse maggiormente, a questo punto, sulle
sollecitazioni e sui moventi che, al di là dell'invito dell'eccellente consiglio municipale, lo
hanno indotto a scrivere, onde corredar così la storia d'una più vasta introduzione
storica: ma un tanto, a ben guardare, non appare né funzionale né prudente", F, p. 22;
"«sta per cominciare un nuovo capitolo» si disse metaforicamente Vult nello scendere le
scale, incontro al fratello e con il cuore in tumulto. E così sarà anche fuor di metafora",
F, p. 88;"«nel regno mineralogico, atomistico, cioè inerte dei cristalli dominano la linea
retta, l'angolo acuto, lo spigolo; invece nel regno dinamico, dai vegetali fino all'uomo,
predominano il cerchio, la sfera, il cilindro e la serpentina linea della bellezza (…) così è
anche per l'arte: cerca la forma più dinamica e completa che, al pari di Dio, si può
raffigurare solo come un cerchio o un occhio", F, p. 142 "infine, seduto e imprecante
(ma a bassa voce) fra le mele acerbe, c'era Vult e, sui rami vicini (considerato che con
lui tutti i lettori possono seguire la stessa scena spiando attraverso la finestra) l'intera
schiera dei soci dei dieci circoli di lettura del Reich tedesco, ovvero molte migliaia
d'anime e di persone d'ogni ceto che a pensarle tutte assieme su quell'albero appaiono
proprio ridicole. Tutti aspettavano con grande ansia l'esito dell'esame", F, p. 57.
49
pianissimo e fortissimo, fra presto e andante 90)
l'equivalenza posta dai Romantici
tra Jean Paul (lo Sterne tedesco) e la musica acquista un significato
staturiamente definitorio e definitivo (né episodico né scherzoso,
maturato come era dalla ormai diffusa wackenroderizzazione della musica
e, fors'anche dalla forza di quell'ipertrofia metaforica presa alla lettera).
(Un'equivalenza che si rivela tanto fortunata, da proiettarsi
retrospettivamente sullo stesso Sterne, assunto infine a padre del
romanzo musicale. Riflusso recente di una marea lontana, il critico
americano William Freedman riconoscendo come particolarità del
91
90 Jean-Paul Vorschule der Ästhetik (1813) in: Werke, (N. Miller, c.), vol. V, serie I,
München, Hanser, 1963 p. 131. Jean Paul, peraltro si limita a invertire la direzione
(anacronizzandolo) di un parallelo canonico nella critica musicale di fine settecento:
nella notizia biografica dedicata a Hayden apparsa anonima nel 1782 sul ‘Musikalischer
Almanach’ si legge, infatti: "un burlone in musica, ma come Yorick [Sterne] di una
comicità non volgare, ma elevata: cosa terribilmente difficile in musica. Ecco perché
così pochi si accorgono che Haydn scherza, quando sta scherzando (…) Si distinguono
due stili o due periodi nelle composizioni haydniane. Nelle prime Haydn rideva spesso di
cuore; in quelle del secondo periodo accenna appena al sorriso"; otto anni dopo nella
'Allgemeine musikalische Zeitung': "non posso descrivervi quale puro godimento (…)
ricevo dalle opere di Haydn. E' qualcosa di simile a ciò che provo leggendo gli scritti di
Yorick (…) il suo umorismo gaio, malizioso, bonario, spiritoso, unito a una fantasia
sbrigliata, a vigore, a dottrina, a pienezza -in breve, questo primaverile tripudio di
suoni e di belle modulazioni; e ancora sulla stessa rivista l'anno successivo a firma
Johann Karl Friedrich Triest, il parallelo non esclude un'importante distinzione:" lo si
potrebbe paragonare al nostro Jean-Paul per la fecondità dell'immaginazione (ma,
s'intende, non per l'ordine caotico di quest'ultimo, poiché la chiara rappresentazione, il
lucidus ordo, non è fra i minori pregi di Haydn), e a Lor. Sterne per quanto riguarda il
suo humour, la sua particolare arguzia" (fonte: M. E. Bonds, Haydn, Laurence Sterne e
l'origine dell'ironia musicale in: (A. Lanza Tomasi, c.), Haydn, Bologna, Mulino, 1999).
91 William Freedman, Laurence Sterne and the Origins of the Musical Novel, Athens,
University of Georgia Press, 1978.
92 Secondo un sillogismo fallace che conclude dal fatto che a e b assomiglino ad uno
stesso c, la loro identità (il che si darebbe solo in presenza di modalizzatori universali,
cioè che ogni a ed ogni b siano c).
50
them, they are like musical rests, barlines, or sostenuti, lengthening, measuring off,
marking pauses, emphases, and directional shifts, varying in length to suit his changing
needs and capturing graphically the multiple rhytms of mind, activity, and speech and
the strange suggestiveness of silence 93. Non casuale, estemporanea
associazione di idee, dunque, ma patterns of repetition (…) repeated at various
levels of structure; non divaganti, acefale digressioni ma elaborato sviluppo
motivico (noses are more then mere sexual puns. They are a secondary theme in
their own right, subject to development and elaboration … tristram's damaged nose call
to his mind the quaint history of Shandean noses, which in turn had aroused Walter's
special interest in this organ some years earlier and led him to translate
Slawkenbergius's proboscular tales, one of which we are therefore treated to );
contrappunto a quattro voci (in the bass, functioning as a kind of cantus firmus or
ground bass, is the narrative plot, made up of a few basic motives or themes -
Tristram's conception, his birth and nose-smashing, his naming and window-sash
catastrophe - punctuted and ultimately succeeded by uncle Toby's adventures on the
bowling green and his amours with the Widow Wadman (…) the second voice and
principal melody (…) belongs to the narrator himself. It is the melody of Tristram as
adult, the man who, among a variety of other activities, is writing a book (…) the
second independent and accompanying melody, the third voice, belongs to the reader.
The reading of the book is a coherent, self-contained experience in itself, with its (…)
own rythms, problems, tensions and resolutions (…) when Madam's attention slips, he
sends ger back to read the whole chapter again (as though there were two dots before
the double bar) (…) the reader inevitably goes his way, but he is basically an
accompanist and makes, as he goes, his harmonic and rhytmic adjustments to the
principal melodies. The fourth voice is that of the rounded, self-contained digression
and interpolations (…) the 'decorations' of the piece, the shorter melodies, themes,
variations, division and transitions seventeenth- and eighteenth-century performers and
composers used to decorate the ground bass or other melodies ). A questa
ricchissima (davvero jeanpauliana) immaginazione critica non fa riscontro
alcuna dichiarazione di Sterne né esterna né interna al testo (la stessa
metaforica musicale è molto povera e credo non sia necessario
sottolineare ancora la giocosa parodisticità del sermone di Yorick - non
certo una mise-en-abîme. Si cerca quindi di supplire con prove
biografiche (l'attività di Sterne come violista da gamba, la sua
frequentazione di concerti…) alla latitanza di intenzioni autoriali
effettivamente espresse, ma la loro rilevanza per la dimostrazione di una
consapevole adozione di modelli musicali da parte di Sterne è così debole
da doverne comunque lasciare sospesa la questione e moltiplicare
incontrollabilmente i referenti metaforici, dalla forma sonata ABA (il primo
capitolo come esposizione dei temi principali, che variati e sviluppati,
riapparirebbero nella conclusione), alle variazioni motiviche, alla polifonia.
Ma proprio l'indicazione come possibili modelli di concezioni formali che la
musica proprio allora (e altrove) cominciava ad elaborare (Tristram fu
scritto fra i cinque e gli undici anni di Mozart), rivelano che l'opera di
Sterne funzioni come archetipo per il romanzo musicale novecentesco
assai meno di quanto la lettura di Freedman riveli il successo delle
sperimentazioni musicalizzanti, dal romanticismo al modernismo,
93W. Freedman, op. cit., pp. 179-180, [per le citazioni seguenti pp. 153, 98, 79-83,
186].
51
nell'inversa volontà di imporre a testi (che possano in qualche modo
sopportarlo) una metaforizzazione ad essi estranea (per ragioni storiche o
poetiche). Non si tratterebbe quindi di poter garantire con la presenza di
forme musicali nel Tristram a means of presenting the image of life as ongoing
process, the patterns and complexities of consciousnee, simultaneity within and
between the interior and external worlds; as a means of conveying the immediacy,
continued presentness, and fluid evanescence of time ma, al contrario, di non
riuscire più a leggere le modalità of conveying the immediacy, continued
presentness, and fluid evanescence of time altrimenti che sotto le modalità di un
trasferimento metaforico di tecniche dalla musica al romanzo.
Quanto la lettura di Sterne proposta (scientificamente) da Freedman
testimonia gli esiti della metaforizzazione musicale compiuta su Jean
Paul, la lettura di Dante offerta (visionariamente) da Mandel’stam applica
come metodo (?) critico la metaforizzazione musicale da Jean Paul
sperimentata nei suoi romanzi. In una pirotecnia analogica suggestiva
quanto vaga, il monologo dantesco sarebbe costruito sui registri d'organo
(Assai prima di Bach, quando non si fabbricavano ancora organi
monumentali, ma solo modestissimi prototipi, embrioni del futuro
portento, quando la cetra accompagnata dalla voce umana era ancora lo
strumento principe, Dante seppe costruire nello spazio verbale un organo
smisurato e potente, sul quale era già in grado di sbizzarirsi usando tutti i
registri possibili, soffiando nei mantici, facendo urlare e tubare le
canne94), meglio, farebbe risuonare il nucleo della futura orchestra
tripartita (se sapessimo ascoltare Dante riusciremmo a percepire il
nascere del clarinetto e dell'oboe, il trasformarsi della viola in violino e
l'allungarsi dei pistoni del corno) di cui Dante stesso sarebbe sublime,
chimico, direttore (Quando il lettore si accosta a Dante … quando
accompagna e commisura le proprie intonazioni con gli appelli dei gruppi
orchestrali e tematici che affiorano continuamente sulla superficie
semantica smossa e sconvolta; quando comincia ad afferrare i segni di
riconoscimento, le allusioni sonore e semantiche inglobate nel minerale
cristallino e nebuloso della forma sonora da un'intelligenza non più
poetica ma genealogica, allora il lavorio puramente vocale, tonale e
ritmico cede il passo a un'attività coordinatrice più potente, direttoriale,
alla bacchetta del direttore). In questa strumentazione che il testo mette
in atto, il canto di Ugolino è affidato alla voce del violoncello, densa e
greve come miele avvelenato, suono d'attesa e impazienza torturante,
rappresa, raffrenante, il carcere ne è cassa armonica, con intuizione che
profetizza concezioni della musica ancora tutte a venire, il timbro stesso è
forma, principio di organizzazione - la struttura drammatica della
narrazione scaturisce dal timbro, e non il contrario, cioè che il timbro si
adatti e modelli su quella struttura come su una forma di legno (Tu dei
saper è la prima appoggiatura del violoncello, il primo affacciarsi del tema
(…) Seconda appoggiatura E se non piangi (…) come il violoncello
94Osip Mandel'stam, Sulla poesia (M. Olsoufieva, t.), Bompiani, Milano, 2003, p. 125,
[per le citazioni successive pp. 125-126, 144, 147-148].
52
conversa assurdamente da solo estraendo da se stesso domande e
risposte, la narrazione di Ugolino è interpolata dalle pietose, impotenti
repliche dei figli).
Nell'incommensurabilità di retoriche e nell'alterità di linguaggio che le separano, le
interpretazioni di Freedman e di Mandelstam (gli inizi dalla fine del Novecento?), rivelano
tuttavia la vibrazione (scandagliata a diverse profondità del testo) di un’aggrovigliata
trasfigurazione metaforica - una lontana persistente risonanza.
53
Arbasino e nipote di Gian-Paolo (così lo chiamava) Carlo Dossi ci offre un
96
96 "3999. Leggendo Richter parmi di legger… me stesso" Carlo Dossi, Note azzurre, (D.
Isella, c.), Milano, Adelphi, 1964, I, p. 482. Seppure Dossi non citi espressamente la
musica come modello alla scrittura di Jean Paul, sia l'una che l'altra capaci di acquistare
senso solo come pratiche di bontà ("1858. non si trova scrittore, che meglio di Gian-
Paolo abbia saputo imprigionare in periodi quelli già-inesprimibili sentimenti che si
affollano in una giovane anima, colma di amore e di malinconia nell'ora del crepuscolo …
una buona traduzione di Richter influirebbe in bene sulle lettere nostre, più di
qualunque altra opera originale (…) non c'è libro che possa più influire di questo alla
umana bontà. Basterebbe all'educazione di un bimbo. - I miei figli non leggeranno altro
libro" cfr con: "4521. ai moderni matematici della musica, questa non piace loro che pei
problemi di acustica. Nè ci vedono altro, nè ci trovan di bello che numeri e combinzioni
di numeri, che vibrazioni di onde sonore ecc L'occulta famigliarità fra la musicale
armonia e la bontà che si indovinava nelle opere antiche, è affatto perduta nelle
moderne. Non dominano in questa che le dissonanze dell'odio", Ivi, I, p. 111-112 e II,
p. 548) analoghe espressione di un'essenza dell'arte che si vuole sublime capacità
minchionatoria ("2171. In letteratura e credo anche in musica - è tra i caratteri del
genio, lo stile, a volte, minchionatorio. Chi sta sempre serio -e non sa ridere mai o ride
male, è un genio incompleto, come Aleardi, come Foscolo, come Verdi. La vera sojatura
l'hanno invece Dante, Manzoni, Rossini, Shakespeare, Richter, etc.-" Ivi, I, p. 134). Al
di là del crasso fraintendimento di Verdi poi riparato in una nota che vedremo
successivamente, il passo è interessante nell'evidenziare la natura né formale né
propriamente contenutistica del parallelo musico-letterario quanto diciamo così stilistico
in senso ampio (rappresentazione del mondo come burla).
97 Carlo Dossi, op. cit., nota 1132, vol I p. 61.
98 Carlo Dossi, La desinenza in A, Torino, Einaudi, 1981 (1884), p. 19 [citazioni
successive da p. 18].
54
disperazione del pubblicaccio),l'immaginario musicale rimane in Dossi ad un
livello superficiale, senza riuscire ad accedere in alcun modo alle strutture
profonde del testo. Stupisce il fenomeno se si pensa a quanto,
dall'abbandono della fabula e delle necessità dell'intreccio verso altre
forme di organizzazione (e coerenza) della narrazione alla concezione non
più accessoria degli ambienti in cui si svolgono le storie, assunti a
personaggi (e cioè dotati di interna coerenza, non semplici attrezzi
teatrali, ma veri e propri motivi in sviluppo), alcune delle intuizioni
caratteristiche della sua scrittura, ben si presterebbero alla
metaforizzazione che esperimenti coevi e consimili invocavano; ma è
invece pienamente comprensibile all'interno di un contesto culturale
(quello italiano) in cui musica è - e rimane -melodramma, canto,
emotività, superficie appunto, stile forse - non mai struttura. Nella storia
della nostra metafora quindi si tratteggia la silhouette della storia (e
geografia, con i suoi attardamenti e le sue avanguardie) del concetto
stesso di musica. Il modo con cui possa (o non possa) divenire paradigma
per altre discipline ne rivela i tratti caratterizzanti lo statuto, il senso (e in
questo, la nostra storia dei tentativi di fare il negativo della musica,
risulta anche una specie di negativo di storia della musica). Se infatti
Dossi si paragona a Verdi, e così facendo, manca l'occasione di offrire alla
sua scrittura un modello di organizzazione (musicale) capace di trasferire
sul piano dell'invenzione formale, tutta la sua ricchezza di invenzione
stilistica e linguistica, è proprio perché quel modello in Italia non esisteva
(come non esisteva per Sterne, non per Jean Paul, ancora, ma per i suoi
romantici lettori). Per Wagner, quel modello esisteva e aveva il nome
Beethoven.
55
alcun commentatore, pure del tutto autonoma rispetto a quella (fino ad
allora paradigmatica) denotativa, delle parole. Semantica di forme la cui
potenza è di tale travolgente intensità da costringere proprio quelle parole
soppiantate, eluse, spodestate, a un confronto, a un ripensamento dei
reciproci statuti e autonomie. Il caso Wagner è, al solito, esemplare.
Usare Beethoven contro Beethoven. Estrarre dalle forme sinfoniche di
Beethoven tutto quello che hanno prodotto e dimostrarne la reale
pertinenza ad una forma del tutto differente, nuova, quella di Wagner,
appunto, il Musikdrama. Nell'opera vi sono pezzi musicali brevissimi che, allineando
rapidamente il tema principale e quello secondario, il ritorno, la ripetizione e la
cosiddetta ‘coda’, realizzano la struttura del movimento sinfonico e sono perfettamente
racchiusi in se stessi, ma privi di ogni rapporto con tutti gli altri pezzi musicali costruiti
in modo analogo. La stessa struttura la troviamo invece realizzata e sviluppata in modo
magnifico nel periodo sinfonico (…) in tale movimento sinfonico riconosciamo quella
stessa unità che nel dramma compiuto agisce su di noi in modo così decisivo 99. La
sinfonia (beethoveniana) offre a Wagner le tecniche per riuscire a definire
l'opera come macroforma complessiva, coerente, globale (differente dalla
sequenza di articolazioni in sé compiute ma tra loro irrelate se non per la
cogenza estrinseca dello sviluppo drammaturgico). Wagner vuole offrire
all'organizzazione sinfonica del tempo la possibilità di liberare le
potenzialità drammatiche ancora inespresse, sottraendo la musica
strumentale alla sua antica origine di danza (ancora presente in
Beethoven) e proiettandola verso la complessità sintetica del
palcoscenico: l'elemento ad essa più estraneo era quello drammatico che, per
dispiegarsi aveva bisogno di forme infinitamente più ricche di quelle che gli si potevano
offrire sulla base del periodo sinfonico, ovvero la musica per danza. Tuttavia la nuova
forma della musica drammatica, per costituire un'opera musicale, deve presentare
l'unità del movimento sinfonico … La forma della musica strumentale, costruita
sul modello forte delle forme vocali e operistiche (quando non addirittura
retoriche), non appena conquista l'autonomia di un'intrinseca coerenza
strutturale, genera immediatamente una semantica che, compiuto il
periplo, invoca prepotentemente una letteralizzazione drammatica ( furono
però proprio dei compositori strumentali vivamente dotati a nutrire l'ispirazione d
allargare i confini dell'espressione musicale e delle sue configurazioni cercando di
presentare all'immaginazione degli eventi drammatici, designati dai titoli, grazie al solo
impiego di mezzi d'espressione musicali ). Le tecniche sinfoniche beethoveniane
applicate da Wagner alla sua nascente Opera (d'artetotale) si rivelano
portatrici di una del tutto intrinseca capacità teatrale - una declinazione di
quella che abbiamo definito semantica) del tutto in quelle tecniche
concepita elaborata e definita.
56
vedere eroi e naufragi nel fiume della musica ( era cominciato l'Andante:
bellissimo, ma con una cert'aria familiare a tutti gli altri bellissimi Andanti scritti da
Beethoven e che, secondo Helen, staccava gli eroi e naufragi del primo movimento dagli
eroi e folletti del terzo … «Adesso viene il movimento stupendo: prima i folletti e poi un
trio di elefanti che ballano (…) state attenti al punto in cui sembra che i folletti se ne
siano andati e invece ritornano» sospirò Helen, mentre la musica ricominciava con un
folletto che vagabondava tranquillamente per l'universo, da un capo all'altro. Altri lo
seguirono. Non erano creature aggressive (…) si limitavano a osservare en passant che
cose come lo splendore o l'eroismo non esistevano nel mondo (…) Beethoven afferrò i
folletti e fece far loro quello che voleva (…) diede loro una piccola spinta ed essi
cominciarono ad aggirarsi per l'universo in chiave maggiore, invece che minore, poi…
egli soffiò e i folletti si dispersero! Vampate di splendore, dei e semidei che si battono
con enormi spade (…) ogni fato era titanico; ogni lotta desiderabile (…) e i folletti… in
realtà non c'erano stati? Erano soltanto i fantasmi della codardia e dell'incredulità?… i
folletti c'erano stati davvero. Potevano tornare… e lo fecero. Fu come se lo splendore
della vita potesse traboccare, consumarsi in vapore e schiuma. Mentre si dissolveva
risuonò la terribile nota infausta e un folletto, con accresciuta malignità, si aggirò
tranquillamente per l'universo, da un capo all'altro. Panico e vuoto! (…) Persino i
fiammeggianti bastioni del mondo potevano crollare. Infine Beethoven sceglieva di
mettere tutto a posto. Ricostruì i bastioni. Soffiò una seconda volta e di nuovo i folletti
si dispersero. Riportò le vampate di splendore, l'eroismo (…) e, tra immensi scrosci di
gioia sovrumana, portò a conclusione la sua Quinta sinfonia. Ma i folletti c'erano.
Potevano tornare)100. La contenutizzazione di Helen non è che esemplare
tardivo (e come tale, parodia amorosa) di una lettura delle forme in
contenuti che proprio su Beethoven fu esercitata con significativa
101
57
l'evento transeunte, cavallo strappato dagli accordi magici verso il trionfo
concertante dell'acustico lucore-clangore. Se la vittoria è di Wellington,
tutta (e solo) di Beethoven, la gloria. La battaglia come evento esterno,
reale oggettivo, esiste (per la musica) solo come transustanziazione del
(ma soprattutto nel) soggetto. Nel nome di Beethoven si manifesta la
natura eminentemente musicale dell'universo-io, romantica inversione
interiorizzante l'antico tema dell'armonia delle sfere che l'uomo avrebbe
potuto percepire solo in quanto anima liberata dal sordo scrigno del
corpo: soli comete pianeti stelle sono tutti interni a me, suonano (questo
racconta la musica di Beethoven) risuonano (cori astrali l'anima universo)
nella cassa armonica del mio petto (nell'identificazione pienamente
realizzata di io e musica, è un Dio (direttore) a segnare il tempo). La
composizione di Beethoven nella dialettica tra esterno e interno che
instaura, nell'indipendenza dal referenziale con cui trasfigura il suo stesso
programma, diviene così ritratto dell'artista da Creatore: fortunato spirito
che aleggia sull'acqua, non condotto come una nave che deve mutare le
vele indotta da venti e correnti, ma nella sola coscienza di sé poetando
(creandolo – aracnicamente - dal profondo della sua individualità, egli
scopre di essere mondo). L'esistenza di Wellington attraverso Beethoven,
dell'universo nell'individuo attraverso l'ascolto musicale, racconta, nel
tessuto immaginifico che ne legge Brentano, l'allegoria della musica come
forma del soggettivo capace di proiettarsi e deformare il reale o
addirittura di costituirlo (e quindi anche allegoria della capacità della
metafora musicale di riflettersi sul linguaggio e in questo modo mentre lo
si deforma nello sforzo dell'immaginario, di fatto reinventarlo).
Quanto complessa è l'eco che in Brentano risuona della musica di
Beethoveniana (trasfigurazione letteraria di una trasfigurazione musicale
di un contenuto storico, ascolto poetico come fantastica divagatività
immaginifica e insieme riflessione sulla – della - autoreferenzialità
caratterizzante la semantica della musica) tanto paradossale è quella di
Hoffmann che dedica alla musica strumentale di Beethoven un numero di
Kreisleriana I. Perché Hoffmann (che è anche – lo sappiamo - musicista)
alla musica rivendica una dimensione wackenroderiana di estraneità
rispetto al mondo fenomenico esterno che rende del tutto inane lo sforzo
di definire plasticamente una semantica denotativa all'arte par excellence
più antitetica alla plastica . Sarebbe quindi tutto dalla parte di Margaret, se
poi non dovesse (anch'egli) analizzare la quinta sinfonia di Beethoven nei
termini immaginifici, precisamente plastici, di Helen: Non ci sembra di udire,
nell'affettuoso tema dell'Andante con moto la voce soave di un angelo che ci colma il
cuore di speranza e di conforto? (…) lo spirito tremendo (…) riemerge ad ogni istante
dalle nubi temporalesche in cui era scomparso; e dinanzi alle sue folgori le amabili
apparizioni che ci circondavano fuggono spaventate (…) come un abbagliante raggio di
sole, ecco lo stupendo tema del Finale 104. Ma se questa schizofrenia è
fortemente rivelativa delle due istanze insieme complementari e
104 E. T. A. Hoffmann, Romanzi e racconti I, (C. Pinelli, t.), Torino, Einaudi, 1969, p.
39
58
contraddittorie che l'esperienza beethoveniana (e da lui, genericamente,
la musica strumentale) induce (la rivendicazione di un'autonomia
semantica irriducibile e insieme uno slancio emotivo che sforza alla
trascrizione linguistica), in gioco è anche un'embricatura tra forma e
contenuto che, messa in atto dal suo sinfonismo, si riflette
inevitabilmente (specularmente) sulla parola critica (poetica) che ne
parla. La descrizione in termini di contenuti immaginativi si intreccia
infatti alla descrizione di una fenomenologia formale: com'è semplice (…) il
tema posto dal maestro a fondamento del tutto, ma come mirabilmente gli si allineano
accanto, coordinandosi per affinità ritmiche, le idee subordinate e collaterali, sì da
servire soltanto a sviluppare sempre più il carattere dell'allegro (…) sono tutte frasi
brevi - di due, tre battute al massimo; e per di più, spesso spezzate nel continuo
scambio responsoriale fra fiati e archi. Parrebbe che da simili elementi non possa sortire
se non un pezzo frammentario, incomprensibile. Invece è appunto questa struttura, il
continuo ripetersi delle stesse frasi, degli stessi accordi a portare al massimo grado
quell'indefinibile sensazione di palpitante nostalgia . I contenuti emotivi (quelle
stesse immagini precedentemente evocate) si definiscono finalmente in
funzione di un'articolazione strutturale ed è chiaro quanto questa lezione
critica sia già una simulazione di poetica: la lettura di Hoffmann offre alla
letteratura la grande lezione formale appresa da Beethoven; ne
suggerisce una possibile applicazione costruttiva proprio per quella
letteratura che con i limiti (da trasformarsi in euristica) del frammento
aveva vocazionalmente a che fare. La ripetizione (strumento principe
della sintassi musicale) come struttura di (e per) materiali letterari fratti,
ellitticci, trasformerebbe, sul modello evocato, la loro denotatività in una
semantica vaga, indefinita, non referenziale ma relazionale capace però
(secondo il dettato wackerodiano) di dire l'indicibile, di aprire nel finito del
linguaggio le ferite da cui intravvedere l'ineffabile infinito della musica.
Reso in questo modo praticabile (se non sempre ugualmente plausibile)
un confronto del paradigma-Beethoven con le più diverse scritture e
scrittori (e ai più diversi livelli ), dall'elaborazione di un contenuto
105
105 Balzac che in Gambara legge Beethoven come Walter Scott (o viceversa): "chez
Beethoven, les effets sont pour ainsi dire distribués d'avance. Semblables aux différents
régiments qui contribuent par des mouvements réguliers au gain de la bataille, les
parties d'orchestre des symphonies de Beethoven suivent les ordres donnés dans
l'interet général, et sont subordonnées à des plans admirablement bien conçus. Il y a
parité sous ce rapport avec un génie d'un autre genre. Dans les magnifiques
compositions historiques de Walter Scott, le personnage le plus en dehors de l'action
vient, à un moment donné, par des fils tissés dans la trame de l'intrigue, se rattacher
au dénouement"; o Marcel Proust (A propos de Baudelaire in: Chroniques, Paris,
Gallimard, 1927, p. 221) che identifica l'ineseguibilità del verso Baudelaire con quella
vocale della Nona sinfonia: "Je suppose surtout que le vers de Baudelaire était
tellement forte, tellement vigoureux, tellement beau, que le poète passait la mesure
sans le savoir. Il écrivait (…) sans songer plus à adoucir sa parole pour ne pas flageller
les mourantes, que Beethoven dans sa surdité ne comprenait en écrivant la Symphonie
avec choeurs, que les notes n'en sont pas toujours écrites pour des gosiers humains,
audibles à des oreilles humaines, que cela aura toujours l'air d'être chanté faux.
L'étrangeté qui fait pour moi le charme enivrant de ses derniers quatuors, les rende à
certaines personnes qui en chérissent pourtant le divin mystère, inécoutables, sans
59
letterario per le forme beethoveniane all’organizzazione dei contenuti
letterari attraverso una forma beethoveniana, il passo è breve (tanto che
i due livelli continuano spesso ad intrecciarsi).
Così Alejo Carpentier (ben cosciente della dimensione eminentemente
strutturale della musica di Beethoven: en la obra de Beethoven, los temas, las
melodías, tienen una importancia mínima, al lado de sus desarrollos. El desarrollo es la
dialéctica del músico; su modo de explicar lo que quiere decirnos; la exposición total de
su pensamiento lógico. El primer tiempo de la Sinfonía heroica descansa sobre ocho
simples notas, encerradas en el límite de un acorde, que son un mero pretexto para
edificar lo que viene después 106 ) apparentemente utilizza la Terza Sinfonia in
maniera semplicemente tematica: è durante una sua esecuzione che si
svolgeranno i fatti narraati da El Acoso . L'evocazione della Sinfonia Eroica,
107
qu'elles grinces des dents, autrement que transposés au piano"; o Paul Claudel
(Mémoires improvisés. Quarante et un entretiens avec Jean Amrouche , Paris, Gallimard,
1969, p. 48) che legge nell'inizio dell'Idiota un crescendo (formale) beethoveniano: "Il
n'y a pas de plus belle composition dans une verbe que j'appellerai beethovénien, que
le début de L'Idiot : les deux cents premières pages de L'Idiot sont un véritable chef-
d'oeuvre de composition qui rappelle les crescendos de Beethoven (…) à ce point de vue
formel, j'ai appris beaucoup de Dostoïevski, comme je dirai que j'ai appris beaucoup de
Beethoven, que j'épelais avec un doigt à ce moment-là. Je trouvais beaucoup d'analogie
entre leurs systèmes de composition, systèmes tres copieux. Ils n'oublient rien"; o
ancora Theodor W. Adorno (Note per la letteratura, Torino, Einaudi, 1968, p. 138 e pp.
136-137) che usa il ponte di un analogia con l'aneddotica biografica di Beethoven ("il
gesto [di Balzac che torna alla scrittura durante la rivoluzione di marzo dicendo
torniamo alla realtà] è quello dell'ultimo Beethoven, che in camicia, brontolando di
rabbia, scrisse sulla parete della sua stanza a caratteri cubitali le note del quartetto in
do # minore") per poi musicalizzare a tutto tondo Balzac: "nonostante la tendenza
visuale la sua opera ha in complesso un che di musicale. Se molta produzione sinfonica
dell'Ottocento e degli inizi del Novecento nella sua inclinazione per le grandi situazioni,
nell'appassionato crescere e precipitare, nella indomabile pienezza di vita, fa pensare a
romanzi, quelli di Balzac, archetipi del genere, sono musicali nel loro impetuoso correre,
nel loro produrre figure e di nuovo ripiegare su se stessi, nel porre e trasformare
caratteri che pare che inclazino sul filo del sogno. La musica romanzesca, accecata
rispetto ai contorni dell'oggettualità, sembra ripetere per così dire al buio, nella testa, il
movimento di tale oggettualità; ma la testa gira a colui che, attendendo
spasmodicamente il seguito, sfoglia frettolosamente le pagine di Balzac, come se tutte
le sue descrizioni e azioni fossero pretesto per un suono selvaggio e variopinto che lo
inonda. Essi si rendono conto di quel che il pentagramma dei flauti, dei clarinetti, dei
corni e dei timpani promettevano al bambino prima che questi potesse propriamente
leggere la partitura. Se la musica è la ripetizione del mondo disoggettualizzato nello
spazio interiore, allora lo spazio interiore dei romanzi di Balzac, proiettato all'esterno
come mondo, è la retrotraduzione della musica nel caleidoscopio".
106 Alejo Carpentier, Sinfonias condensadas, in: 'El Nacional', Caracas, 1954, poi in: Ese
musico que llevo dentro (E. Rincón, c.), Madrid, Amianza Editorial, 1987, p.315.
107 Alejo Carpentier, A., Concerto barocco, (A. Morino e V. Martinetto, t.) Torino,
Einaudi, 1991.
60
Il racconto si apre con focalizzazione sull'acculturato (ma non abbiente)
giovane che intreccia polifonicamente la lettura di una monografia su
Beethoven (preparatoria al futuro ascolto e garante della sua volontà di
emersione sociale) con l'osservazione del pubblico che entra in sala.
L'attrazione per una provocante donna con la stola grottescamente risolta
nella coscienza della propria invisibilità sociale ( la donna si sfila un indumento
molto intimo del tutto indifferente alla segnalata presenza presenza del ragazzo, come
se non esistesse neppure) , si inverte - e conforta - nella beethoveniana
dichiarazione della superiorità d'artista ( 'Principe, quello che voi siete, lo dovete
alla nascita, ma quello che sono io, lo devo a me stesso' ). Uno spettatore
frettoloso che dona la banconota senza aspettare il resto (la lettura della
biografia si interrompe su un punto che in seguito si capirà parlare - in
imitazione - proprio di quel personaggio, il braccato: Ma il moribondo sente,
d'improvviso, una risposta alla sua supplica. Dal fondo dei boschi che lo circondano,
dove dorme, sotto la pioggia d'ottobre, la futura Pastorale risponde al richiamo del
Testamento, il suono dei corni ), segna il momento di massimo distacco del
cassiere dal suo modello - decide di sacrificare l'ascolto pregustato (e
preparato) da giorni, sfruttando il denaro in eccesso per un'avventura
erotica mercenaria (compensazione alla frustrante indifferenza della
donna con la stola). Come in una staffetta di focalizzazioni alla Mrs
Dalloway, la sezione successiva sposta la sua prospettiva sul nuovo
personaggio, il braccato del titolo, che nascosto in sala - la narrazione si è
fatta autodiegetica - ci racconta pensieri paure ricordi. E' dunque ancora
la Terza sinfonia (dopo la presentazione, la sua esecuzione) a connettere
le due sezioni della storia, assolvendo, in questa parte, una funzione più
complessa che in quella precedente. In un delirante contrappunto
emozionale, il braccato sviluppa lo svolgersi dei movimenti sinfonici come
rappresentazioni della sua agitazione, terrore (nel primo movimento il
gran fragore sul palcoscenico gli strumenti che si ripercuotono nelle viscere è quasi
come rendesse pubblico, rivelasse agli altri spettatori il suo battito che lo
sfonda a gomitate, il ventre che gorgoglia, il cuore che gli si arresta in gola ,
l'insopportabile paura di essere allontanato dai vicini ), ma insieme la Terza
funziona anche come veicolo mnestico ( per giorni e giorni aveva ascoltato
questa Marcia funebre , senza sapere che fosse una marcia funebre; per giorni e giorni
la aveva avuta accanto ).
In contrappunto alla Terza continua il racconto; per il cassiere (si risolve
in un nulla di fatto anche la visita alla meretrice perché la banconota è
falsa) è infatti proprio l'Eroica, nella meticolosa rilettura delle pagine di
presentazione e nell'acribia del confronto biografico, che scandisce le
tappe dei suoi fallimenti e la presa di coscienza della sua finale
inettitudine (il cassiere continua a leggere la descrizione del Finale canto di gioia e
libertà, così irridente la sua serata mal andata, il non sopito rancore verso
l'indisponibilità di Estella, persino la banconota da lei dichiarata falsa si
scoprirà essere, in realtà vera) ; per il braccato è innesco di memoria
(aprirà, nel secondo capitolo, un lungo frammento analettico che
ripercorrerà la sua storia fino all'ingresso in teatro: durante la forzata
reclusione del perseguitato agitatore politico nella casa di una vecchia
61
malata un entusiasta per il recente acquisto d'un grammofono (il cassiere,
ovviamente vicino della donna) non fa che rimettere di continuo la stessa
musica ). L'ascolto ripetuto in prigionia offre alla sinfonia una
verbalizzazione immaginifica che ancora una volta ci proietta in una
dimensione à la Helen: prima viene un brano molto confuso, in cui si distinguono
squilli di cornetta, simile a una marcia militare senza esserlo del tutto. Dopo viene il
tema triste, lento, monotono. Poi una danza molto allegra, nuovamente interrotta da
motivi militari che non diventano mai completamente marziali … e finiva sempre con
una musica saltellante - che aveva qualcosa dei giochi per bambini -, in cui il
movimento inverso di bacchette parallele mette in moto due fantocci che battono
alternativamente un martello sopra un maglio - seguita da certi valzer spezzati, che
terminavano in una musica solenne e maestosa … e poi, di nuovo, l'allegro tumulto
finale con i suoi corni da caccia. La marcia funebre, secondo movimento, oltre
alle connotazioni personali assume valenza simbolica della dimensione
funebre che incentra lo sviluppo della storia - dalla morte della vecchia
che gli aveva garantito una copertura al finale omicidio della polizia
attraverso la sequenza di eventi (ricordi del primo momento, eroico, della
militanza terroristica del protagonista senza nome) in cui l'ideologia si era
progressivamente sciolta in disgustante esperienza di lutto (il processo e
la condanna del Delatore, l'umiliazione di quel corpo modellato nella
forma più perfettamente virile, l'ossessionante fantasma del primo
attentato con il gesto incancellabile, vigliacco, del colpo mortale alla nuca,
l'attentato, deflagrante a mezzo librobomba). La trama quindi non
sarebbe che uno sviluppo narrativo (imitazione contrappuntistica?) del
contenuto semantico implicito nella Sinfonia che viceversa, nella
conclusiva coincidenza del quarto movimento e del terzo capitolo,
rappresenta nella sua forma l'evoluzione emozionale del personaggio (dal
parossismo di paura alla risoluzione di pace). La forma della composizione
musicale, cioè, struttura e aggrega un flusso coscienziale, le cui costanti
tematiche (ricordi, sensazioni, osservazione del pubblico, ascolto della
musica, preghiere) si sviluppano e modellano sulla successione dei
movimenti.
La narrazione non solo, come in Brentano o in Hoffmann, riespone
letterariamente i contenuti impliciti nella sinfonia, ma ne condivide
idealmente la temporalità, la obbliga, per così dire, a risuonare
contemporaneamente al procedere del racconto.
Senza lasciare questa diramazione della strada, ci si imbatte in un
interessante esperimento di Butor: le Bagatelles de Thélème; petit
dialogue avec les Bagatelles opus 126 de Ludwig van Beethoven , 108
62
musicale (performativamente evocata dalle precise indicazioni di attacco)
si potesse realizzare una polifonia dei linguaggi, creare un negativo delle
consuete associazioni in presenza (dal lied alla canzone).
Già a questo livello della simulazione d'ascolto che segmenta (e doppia)
la mimesi narrativa, l'interpolazione della sequenza canonica delle
bagatelle con il ritorno costante delle prime battute dal presto della
quarta sviluppa nella disposizione espositiva dei materiali una forma che
riflette, rende letterariamente visibile il sentiment du cercle sur lequels se
disposent ces six pièces . La suggestiva capacità di immaginare verbalmente
109
109Ecoutons pour l'instant le second refrain, le presto qui encadre la dernière bagatelle,
et qui va séparer toutes les autres, doucement écarté d'elles par ce petit tampon sonore
que sont mes phrases.
63
boutille,nel quale, cette fois, tout va par sept. Sul terzo livello di sviluppo
motivico, la libertà (estrinseca) del contrappunto con l'ascolto
beethoveniano, si riflette in una conduzione dello sviluppo interno, più
analogica, in una più divertita eterogeneità di divagazioni geografico-
antropologiche costruite intorno al sei come proiezione spaziale - si
citano, nel quinto commentario in coda alle riflessioni musicologiche, le
cerimonie del solstizio di inverno nel pueblo de Zuni, vicino alla frontiera
dell'Arizona: spettacolo legato a sei società segrete ciascuna connessa
alle sei dimensioni dello spazio, i nostri quattro punti cardinali più zenit e
nadir, nelle quali l'espace est un cube e chacune de se faces correspond à une
couleur et une grille symbolique . L'introduzione dell'ultima figura di variazioni,
quella del dado (come riduzione simbolica delle sconfinate avventure
dello/nello spazio cubico), è montata in un polifonico gioco imitativo sui
diversi livelli, l'esagono dell'abbazia si inverte nell'esperienza dello
sconfinato deserto americano, che proiezione su scala cosmica del dado, a
questo rimanda, al suo universo di gioco d'azzardo e di sesso. In canone,
il tema erotico, si insegue dai giochi di parole rabelaisiani sullo sviluppo
fonetico six=sexe (si ricorda la fontana delle Grazie che, proprio al centro
dell'abbazia, spandono acqua da tutti gli orifizi del corpo) alla riflessione
(musicologica) sul carattere allusivamente amoroso delle indicazioni
agogiche apposte alle bagatelle compiacevole, grazioso, amabile…
Questa scrittura polifonica che quadriplica la voce letteraria dell'iniziale
bicinium (musica-parole) in un gustoso scarto imitativo tra i piani di
sviluppo motivico, si approfondisce nel settimo commentario: l'analisi
della struttura formale di ogni bagatella viene ripresa dalle differenti torri
dell'abbazia, dalla loro collocazione spaziale (e definizione cromatica) dal
numero corrispondente del lancio di dado. Così, la forma della prima
bagatella (bipartita con ripresa della seconda parte - ABB) si riflette sulla
torre gialla orientale (con sovrapposizioni più o meno idiosincratiche),
sull'occorrenza del numero tre, quella bipartita con ripetizione di
entrambe le sezioni (AABB) alla torre bianca posta a Nord, al dado caduto
sulla faccia del quattro,… Divenute così la musica beethoveniana e
l'architettura-racconto di Rabelais, esplorazioni dello spazio-mondo (VIII:
Beethoven à commencé par l'Orient, puis il est passé au Nord et de l'autre côté de la
Terre pour nous mener aux horizons sanglants et enivrants du Nouveau Monde ), ecco
apparire chiaro quanto la normale contenutizzazione del nono
commentario venga riattivata strutturalmente come sviluppo del
materiale motivico fino a questo punto cardato (analogamente alla
successiva cromatizzazione delle direzioni spaziali). Per finire con uno
strepitoso concertato che, apoteosi polifonica del gioco tematico sul
numero sei, completa, con l'ascolto delle ultime bagatelle, la proiezione
della loro costruzione formale sui differenti piani di sviluppo motivico (il
dado, lo spazio, l'abbazia come nel settimo commentario), arricchendola
però con l'approccio contenutistico (la metereologia hoffmanniana del
nono) e con la fantasia cromatica (del decimo commentario): c'est le chiffre
six de notre dé, arc-en-ciel qui rassemble toutes les autres couleurs. Mais c'est aussi
64
déjà le chiffre sept qui se faufile (nella quarta bagatella come nell'universo
rabelaisiano): c'est un dé fendu qui s'ouvre comme un fleur.
Butor rappresenta l'esito più estremo (virtuosistico fino al manierismo) di
quella possibilità di costruire una trama di parole che non solo riempia di
contenuto la forma vuota (?) di una composizione musicale, ma che con
essa condivida (o per lo meno simuli la condivisione) di uno stesso
svolgimento temporale. Così, nella complessa relazione tra l'esecuzione
della terza sinfonia e lo svolgimento dell'Acoso di Carpentier, alla sua
funzionalizzazione come proiezione emozionale dello stato interno del
braccato (agitazione, terrore, disperazione, pacificazione), come
(estrinseco) veicolo mnestico (capace di connettere tematicamente la
scena nella sala da concerto con il lungo frammento analettico della
reclusione al Belvedere), si associa la sua capacità di offrire alle voci dei
due personaggi lo spazio (acustico) in cui intrecciarsi, il medium del loro
confronto. Non solo, contestualmente, è durante l'esecuzione della terza
che si svolgono le avventure di uno e dell'altro (e sempre la terza (ci)
rivela l'inconsapevole vicinanza dei due personaggi durante la reclusione
del braccato), ma soprattutto in senso simbolico, nel nome dell'Eroica, si
svolge l'opposizione contrappuntistica dei due destini: chi è l'eroe (il
cassiere con i suoi sogni di gloria, la sua volontà di potenza frustrata da
banconota reputata falsa,… o il braccato che da giovane eroico
intellettuale, trova il suo impegno politico coartato a poco a poco entro
una terroristica burocrazia della morte dalle cui maglie non riesce a uscire
- non eroica la sua morte, sotto un tappeto del teatro, né eroico il suo
terrore palpitante…)? Nella medesima successione dei movimenti
sinfonici, ricalcando lo stesso arco formale (ed emozionale) dal travaglio
(motivico) del primo movimento, attraverso la marcia funebre del
secondo fino alla finale apoteosi, il braccato vive il suo sviluppo
psicologico dalla paura attraverso il recupero della memoria, alla
speranza, il cassiere quello dalle intenzioni di grandezza, attraverso la
frustrazione erotica alla compensazione simbolica del suo scacco
nell'esecuzione del fuggitivo (per lui, falsario).
Ma c'è un ulteriore livello di intreccio tra le forme narrative e quelle
musicali: il testo sulla Sinfonia, cioè si vuole anche testo come sinfonia . 110
65
modello di composizione motivica per un tessuto testuale tutto fatto di
ripetizioni, riprese, variazioni, e insieme di questa struttura uno degli
elementi costitutivi. L'iteratività coerente all'impostazione del racconto in
parallelo acquista una sua specificità dimensione musicale in relazione
alla ripresa degli stessi motivi (lo abbiamo visto per quello più notevole,
della sinfonia) polarizzati dalle prospettive psicologiche dei personaggi in 111
111 Oltre a quelli caratterizzanti lo sviluppo interno a ciascun personaggio, per il cassiere
ad esempio, gli odori (gli odori della campagna bagnata riportano il ragazzo alla
pulsioni erotiche dell'adoloscenza, l'appartamento di Estella è oggetto di
un'approfondita esplorazione olfattiva), la veglia funebre al Belvedere (I, 78:"nella
villa la cui foggia antica, scrostata negli zoccoli e nelle balaustre, conservava almeno il
prestigio di uno stile, doveva certo vegliarsi un morto perché sulla terrazza, sempre
deserta in quanto troppo assolata o troppo buia, si era visto sfilare uno sciame di ombre
fino al rimbombo del primo tuono"; ritornando dall'inutile visita a Estella "vide l'antico
palazzo del belvedere dove quelli della veglia funebre dovevano essere di nuovo
accalcati nella camera ardente").
66
Equivalente narrativo dell'opposizione tonale e affettiva dei due principali
gruppi tematici, la forte contrapposizione che costituisce come tali i due
temi tanto attraverso la differente tecnica narrativa (prospettiva
interna/esterna) che lo scontro di contenuto simbolico (braccato: la vita
in gioco/cassiere: la vita è un gioco), la tensione prospettica tra i temi
dell'esposizione viene mantenuta nella ripresa dove però (modulazione in
stessa tonalità) si offre una più serrata compresenza spaziale e temporale
(braccato e spettatore condividono (ciascuno a suo modo) lo stesso
evento. In questo senso, è proprio l'elaborazione della rete motivica
unificata (che abbiamo analizzato prima) ad offrire il collante tonale che
permette alla contrapposizione di cogliersi nell'unità del movimento.
L'interpretazione narrativa dello sviluppo nell'analessi centrale esplicita le
latenze condensate nella parte espositiva, garantendo loro - nella
successiva ripresa - la necessaria affabilità epistemica, la conseguente
esplosione emozionale (e implicitamente politica e morale). Incentrato
sulla prospettiva del braccato ma con la voce eterodiegetica riservata al
cassiere, lo sviluppo non è quindi della storia, nel senso classico della
peripezia dei personaggi: è peripezia per il lettore che coglie dei motivi
enunciati implicazioni, genealogie, stravolgimenti come in uno sviluppo
motivico di tipo musicale. L'interesse non si esaurisce quindi nella forza
della trama 112
quanto nella esplorazione narrativa (emozionale ed
emozionante) di una gnoseologia della temporalità (avventura di lettore)
che la narrazione simula più di quanto rappresenti. La struttura della
narrazione è di fatto volta a saturare l'enigmaticità di una situazione
iniziale attraverso la sua messa in relazione con il prima e la sua
tensione verso il dopo (non sono gli eventi che diventano costitutivi della
narrazione quanto il gioco tra memoria, sensazione, speranza, futuro,
presente, passato). Il modello della terza si comprende infine, essere
adottato dal racconto di Carpentier in una pluralità di sensi, da quello
immediatamente evidente delle connotazioni semantiche eroico-luttuose,
a quello, profondo e intrinsecamente musicale (beethoveniano) di un uso
della costruzione formale come (potente, insostituibile) strumento di
riflessione sull'esperienza percettiva della temporalità.
112 Quasi ineludibile per una letteratura, quella contemporanea latinoamericana, che,
per necessità storica, alla riflessione sulla re(l)azione violenta al potere sembra non
potersi in alcun suo esponente sottrarsi.
113 Peter Szondi, Teoria del dramma moderno, op. cit., p. 65.
67
contenuto?) della Sonata dei fantasmi, la strindberghiana opera tre
(1907) . 114
114 August Strindberg, Sonata di fantasmi, op. 3 in Teatro da camera, Milano, Adelphi,
1980.
115 E si pensi alla strana contorsione degli anelli (nella traduzione di una traduzione) se
è vero che Beethoven rispondeva a Schindler che gli chiedeva l'idea ispiratrice della
Sonata op. 31 n. 2, di leggere la Tempesta di Shakespeare - come peraltro indicava sul
suo quaderno di conversazione nella Medea di Euripide lo schema espressivo del Trio
op. 97 (fonte: L. Magnani, Beethoven, lettore di Omero, Torino, Einaudi, 1984).
116 Motivo che peraltro fu ritrovato tra gli appunti beethoveniani per un lavoro (lasciato
incompiuto) sul fantasmaticissimo Macbeth shakespeariano.
117 Se infatti, per quanto artatamente, è possibile leggere la prima parte nei termini di
un'esposizione e quella centrale di uno sviluppo (accettandone pure la natura più
narrativa che musicale), i tentativi di ridurre alla ripresa la parte conclusiva rimangono
decisamente velleitari (se non parodisticamente procustici). R. Jarvi (Strindberg's The
Ghost Sonata and Sonata Form in: (A. Cluck., c.), Literature and music. Essays on
form, Provo (Utah), Bringham Young University Press, 1981) dopo aver severamente
criticato altri tentativi di lettura musicologica - Göran Lindström, per tutti, ondeggiante
tra la nozione di sonata in quattro movimenti e quello di forma-sonata del primo -
68
D'altro canto, spicca l'eterogeneità della forma drammatica rispetto alle
tradizionali convenzioni drammatiche, non solo manca la divisione in
scene, ma non c'è traccia delle codificate forme teatrali (quelle con le
uscite a effetto per gli applausi, i monologhi, i ruoli da star, la tipicità dei
ruoli,…). Nelle lettere ai membri dell'Intima teatern, quadro operativo
istituzionale da lui fondato nel 1906 per attuare i suoi propositi
sperimentali chiarisice la necessità di non potersi riferire a tradizioni già
date in partenza essendo il tema stesso a determinare la forma della sua
esposizione. Come in Beethoven, la forma è epifania del materiale.
L'adozione (invocazione) di una struttura musicale (esterna) funziona a
legittimare la rottura di regole e consuetudini drammaturgiche. Il
trasferimento al dramma dell'idea(le) della musica da camera, si attua su
tre principali direttrici di analogia det intima förfarandet, det betydelsefulla
motivet, den soignerade behandlingen (il procedimento interno, il motivo
significativo, l'accorto trattamento); il riferimento alla forma musicale
inventa (come trascrizione) una struttura compositiva non solo esulante
dalla consueta prassi teatrale ma capace di esprimere una logica narrativa
avulsa dalle normali concatenazioni logico-causali (un onirico
accostamento di momenti eterogenei, di situazioni non convenzionali non
presenta una sua analisi che dopo un convincente inizio per le prime due parti di
esposizione (introduzione: la pantomima della Lattaia;
tema A presentazione di Arkenholz
=> transizione dalla focalizzazione su Arkenholz a quella su Hummel
tema B presentazione di Hummel
(ritornello:)
A' apparizione della Fanciulla
=> apparizione del Console
B' Hummel (descritto dal dialogo di Johansson) poi suo ritorno
coda riapparizione della lattaia -vista anche da Hummel, che scopriremo
in seguito suo assassino)
e di sviluppo
sul tema B (Hummel) - la cena degli Spettri: le condizioni della casa nel dialogo
tra Bengtsson e Johansson, confronto tra Hummel e la Mummia, storia di
Hummel, rivelazioni e minacce di Hummel (la Fanciulla è sua figlia), rivelazioni
della Mummia su Hummel, riapparizione della Lattaia, trasformazione in
pappagallo e morte di Hummel, canto al sole di Arkenholz
-preparazione al ritorno di A);
l'analisi naufraga sulla ripresa. Infatti dopo la possibile evocazione dei due gruppi
tematici
(A Arkenholz e la Fanciulla
=> rivelazioni della Fanciulla sulla realtà della casa, modula alla figura
della Cuoca
B apparizioni del personaggio della Cuoca (appartenente alla stessa
vampirica famiglia di Hummel ) riflessioni della Fanciulla
sull'ingiustizia e assurdità della sua condizione sotto l'apparente
armonia)
rimangono irrisolti i problemi della consistente porzione testuale fino alla morte della
Fanciulla (come può essere solo una coda?) e dell'oscura relazione tra primo e secondo
tema nel passaggio dalla esposizione alla ripresa (l'opposizione tra Arkenholz e Hummel
ritornerebbe nel confronto tra Arkenholz e la fanciulla, figlia di Hummel?).
69
tanto - o non solo - in senso fantastico quanto per la loro reciproca
relazione). Il riferimento cameristico, dunque, non si comprende nelle
dimensioni contenute delle pièces, nel gioco leggero delle voci quanto
nella ricerca di un processo compositivo, un accorto trattamento, capace
di elaborare attraverso un procedimento tutto interno alla struttura, un
motivo fondamentale (significativo) di cui la successione degli eventi non
è che epifenomeno. È quindi sul soggiacente (interno) conflitto tematico
(fondamentale) tra realtà e apparenza del mondo che le azioni e lo
sviluppo dei personaggi prendono consistenza, articolano il loro statuto
finzionale in quanto funzionale. La coerenza tradizionalmente ottenuta
dalle connessioni logiche della storia viene trasferita sul piano della
ripresa/variazione, sulla metamorfosante rotazione di motivi/figure, la
lattaia, il pappagallo (in cui si trasforma Hummel), il sole, i vampiri, la
relazione tra interno ed esterno della casa (da un punto di vista
topologico quanto metaforico): al di là di ogni volontà (o possibilità) di
identificare precisi modelli morfologici, questa è la musica narrativa che
Strindberg apprende da Beethoven.
118 Lev N. Tolstoj, Sonata a Kreutzer (E. Bruzzone, t.), Milano, Mondadori, 1994
(citazioni da pp. 35, 77) .
70
fatale. La condanna della sensualità e conseguentemente della musica
(che con la sua incontrollabile induzione energetica la suscita, la eccita,
obbligandola ad uno sfogo che non può che, liberandosi, condurre al
male) utilizza dunque la Sonata come exemplum, nel suo ruolo tematico
di motore innescativo degli eventi che si compiranno con il tragico destino
della donna. Non ci sarebbe neppure da parlarne qui, dove in gioco è
sempre la metaforizzazione costruttiva (e non le infinite comparsate della
musica -protagonista, antagonista, sfondo - sulla scena letteraria). Pure,
la forma del romanzo può rivelare un'interpretazione del titolo meno
convenzionale.
Perché di fatto non un pamphlet è stato scritto contro l'eccitazione dei
sensi (come sarebbe dovuto essere nella trappistica istanza
programmatica di Tolstoj, ma della cui efficacia, della cui forza
probabilmente dubitava - e questo già è peccato), né semplicemente la
storia di una fatale passione (di sicuro effetto, ma frutto di quella stessa
tradizione finzionale cui Tolstoj dalla sua manzoniana prospettiva morale
non poteva non opporsi): sperimentazione dunque, di una forma ibrida
costruita su un doppio livello, il viaggio in treno, nelle conversazioni con i
passaggeri la conoscenza, le futili divagazioni, finalmente il nucleo
concettuale della condanna morale di ogni forma di sensualità anche nella
legalizzazione matrimoniale, e, da questo livello metadiegeticamente
germinato ma ad esso strutturalmente contrapposto, il racconto del
tradimento della moglie e della sua sanguinaria punizione. Due livelli,
dunque, che funzionano come momenti di uno sviluppo narrativo
opposto: digressivo, circolare riflessivo l'uno quanto cogentemente
orientato alla risoluzione dei nodi della sua storia l'altro. Uno contrapposto
all'altro, uno temperante, giustificante l'altro: la pornografia della storia
(che ancora stimolerebbe beethovenianamente quei sentimenti non
razionalmente dominabili) inquadrata da una riflessione distanziante,
moralizzatrice. Ma (ed è il motivo per cui si continua a leggere e rileggere
l'opera, indipendentemente dalla condivisione dei suoi assunti) questo
argine didascalico viene in realtà travolta squassato da una violenza
ritmica, un incantamento formale irresistibile che nell'alternanza agli
algidi rallentando riflessivi, lungi dal dimidiarli, precipita gli aspetti
emozionali (vorrei dire energetici , sensuosi ) della storia di amore e
morte. Secondo quanto insegna alla forma narrativa la lezione
beethoveniana della Sonata a Kreutzer, del suo primo movimento, quello
formalmente più interessante, nell'opposizione costitutiva del gesto lento
ampio dell'adagio introduttivo (che prepara, attende, si ricalca in negativo
sulla futura arttesa apparizione tematica) e quello fratto, determinato e
risoluto dell'attacco Presto (con la volitiva affermazione del primo tema).
L'introiezione di questa dialettica dalla zona introduttiva (liminare,
paratestuale, rispetto allo svolgimento formale effettivo) al movimento
nella sua interezza (una sua adozione formale complessiva, con mossa
profetica che già indica nella piena maturità le svolte visionarie, le
possibili radicalizzazioni del tardo stile) permette una considerazione
71
ritmica della globalità della forma capace di creare quegli effetti terribili
che al narratore rivelano, creano sentimenti totalmente nuovi, nuove
possibilità fino ad allora ignorate (gli stessi volti di prima, anche quelli di
mia moglie e di lui, mi apparvero sotto una luce diversa).
Il titolo tolstojano dunque che nella parte (Sonata) pro tutto (Musica) cela
la disposizione inversa - tutto (la sonata) per la parte (il primo
movimento)-, che nasconde nella condanna contenutistica un'adozione
(adesione?) strutturale, rivela la medusea fascinazione cui non si
sottraggono il narratore (travolto nella vita dai sentimenti che ora
condanna) il lettore (trascinato inarrestabilmente da un ritmo narrativo
ineludibile dentro un orizzonte ideologico del tutto estraneo), - forse
anche un autore che dopo la conversione continua comunque a narrare il
non narrabile. La musica suscitatrice di affetti si scopre anche l'unico
linguaggio con cui definirli, dirli (simularli) - lingua della gelosia (come
sapranno Proust, Mann, Robbe-Grillet) nella sua folle esperienza che
annoda e riannoda i fili di una aggrovigliata temporalità nel labirinto della
coscienza deformato dalla passionalità.
Ancora uno strano anello: nel 1923 Janacek intitola Sonata a Kreutzer il
suo primo quartetto per archi. Non ha però intenzione di fare omaggio
(come sarebbe facile immaginare) alla composizione beethoveniana
bensì, sorprendentemente, al racconto tosltojano. Nei suoi quattro
movimenti, ascoltiamo infatti lo sviluppo di temi che cercano di
caratterizzarsi in senso narrativo - il tema del desiderio femminile,
frustrato e bisognoso d'amore, il tema del seduttore, feroce, aggressivo,
raccontano nella forma musicale la storia di morte, il suo compimento in
un fatale tragico destino. Con effetto di paradossale snaturamento del
proprio in altro, la citazione di un frammento della sonata beethoveniana
assolve una funzione del tutto contenutistica, non cioè come una musica
che quella musica rielabori, parafrasi, vari o trascriva, ma come un
racconto che di quella musica narri un'esecuzione - ovvero lo strano caso
di un musicista (Janacek) che imita uno scrittore (Tolstoj) che imita un
altro musicista (Beethoven).
The musicalization of fiction (…) Meditate on Beethoven.
The changes of moods, the abrupt transitions. (Majesty
alternating with a joke, for example, in the first
movement of the B flat major quartet. Comedy suddendly
hinting at prodigious and tragic solemnities in the scherzo
of the C sharp minor quartet)… Those incredible Diabelli
variations, for exemple. The whole range of thought and
feeling, yet all in organic relation o a ridiculous little waltz
tune. Get this into a novel. How?
Aldous Huxley
Point Counter Point
From Philip Quarles's Notebook
72
proprietà spirituale del Novecento. Le transizioni brusche, scabre -
violente cinematografiche sequenze - la capacità di giocare con l'antico,
proiettato in un futuro immaginario (tutto da venire, e forse ancora mai
pienamente venuto), una capacità di deflagrare nello spazio acustico la
più normale sequenza tematica, privata della sua fisicità nell'aerea trina
di trilli, stravolta negli scoppi-sincopi-singulti di ritmi inauditi,
defunzionalizzata da siderali estensioni, rendendola frammento da
montare e rimontare; questo immaginario formale, conquista del tardo
stile, non poteva non esercitare un'attrazione travolgente sulle ardite
avventure di scrittura del secolo passato. Per George Steiner, sul modello
degli ultimi quartetti, è composta la complessa struttura polifonica del
Tod des Vergil . Per Milan Kundera, solo sul modello della sonata per
119
119 George Steiner, Language & Silence. Essays on Language, Literature and the
Inhuman, New Haven and London, Yale University Press, 1998 (1970): piuttosto
genericamente p. 89: "The Death of Virgil is composed in the form of a string quartet,
the prose of the different sections being imitative of the mood and rhytms of
corresponding musical movements", o più specificatamente, p. 29:"The Death of Virgil
is a novel built in four sections, each of which is figurative of one of the four
movements of a quartet. Indeed, there are hints that Broch had before him the
structure of a particular late quartet of Beethoven. In each 'movement', the cadence of
the prose is meant to reflect a corresponding musical tempo: there is a swift 'scherzo'
in which plot, dialogue, and narrative move at a sharp pace; in the 'andante', Broch's
style slows down to long, sinuous phrases. The last section, which renders Virgil's actual
passage into death, is an astounding performance (…) the words literally flow in
sustained polyphony. Strands of argument interweave exactly as in a string quartet;
there are fugal developments in which images are repeted at governed intervals; and,
at the last, language gathers to a dim, sensuous rush as remembrance, present
awareness, and prophetic intimation join in a single great chord. The entire novel, in
fact, is an attempt to trascend language toward more delicate and precise conveyances
of meaning".
120 "Beethoven è forse il più grande architetto della musica post-bachiana. Egli ha
ereditato la sonata concepita come un ciclo di quattro movimenti, spesso accostati in
modo abbastanza arbitrario (…) tutta l'evoluzione artistica di Beethoven è
contrassegnata dalla volontà di trasformare questo raggruppamento in una vera unità.
Sicché, nelle sonate per pianoforte, egli sposta a poco a poco il centro di gravità dal
primo all'ultimo movimento, riduce spesso la sonata a due sole parti, elabora gli stessi
temi nei diversi movimenti, e così via. Al tempo stesso, però egli cerca di introdurre in
questa unità il massimo di diversità formale. Più volte inserisce nelle sue sonate una
grande fuga, segno questo di straordinario coraggio, giacché, in una sonata, la fuga
doveva sembrare allora tanto eterogenea quanto il saggio sulla disgregazione dei valori
nel romanzo di Broch", (Milan Kundera, L'arte del romanzo, Milano, Adelphi,1988
(1986), pp.134-135); "La Sonata op. 111 ha solo due movimenti (…) è proprio l'inattesa
contiguità di questi due movimenti [uno drammatico e breve, il secondo calmo e
riflessivo, meditativo, l'insieme sembrerebbe condannare la tensione drammatica alla
perdita di ogni tensione drammatica] a diventare il gesto semantico della sonata, il suo
significato metaforico (…) non traducibile in parole e tuttavia forte e insistente,
conferisce unità ai due movimenti della sonata. Un'unità inimitabile (…) La Sonata op.
111 mi fa pensare a Palme selvagge di Faulkner, in cui si alternano un racconto d'amore
e la storia di un evaso, due soggetti che non hanno nulla in comune, non un
73
Four quartets di Eliot l'esempio più travolgente di trascrizione formale
delle ultime composizioni di Beethoven.
A seguito delle dichiarazioni di Eliot che in una lecture tenuta a New
Haven nell'inverno del 1933 esprimeva la sua volontà di scrivere sul
modello degli ultimi quartetti beethoveniani, una poesia la cui cristallina
trasparenza fosse capace di andare (come quella musica al di là della
musica) al di là della poesia stessa, tutta una ridda di interventi critici si 121
74
- un gioco ritmico-formale di immagini che nella ricorrenza tematica di
124
75
modo è la forma stessa a divenire mimetica del contenuto centrale del
testo: la riflessione (cristiana) su una temporalità da cui uscire e in cui
continuare a permanere -il reciproco desiderio di storia e la teologia, la
danza che è immobilità e la quiete che è sintesi del divenire- trova
espressione (o meglio simulazione) nella dialettica compositiva di sviluppo
e ritorno, identità e variazione. Come nella grande speculazione sulla
temporalità che Beethoven, definendo la semantica musicale come
prodotto di categorie sintattiche , era riuscito a condurre entro e
125
76
comprende meglio il confronto che Wagner pone tra Beethoven e
Shakespeare. Ammesso l'altissimo valore artistico del dramma
shakesperiano non possiamo sbagliarci se ci attendiamo la possibilità di una tale
elevazione in misura perfettamente corrispondente solo da quella musica che si
rapportasse ad esso nell'identico modo in cui si rapporta al dramma shakespeariano la
musica di Beethoven 127. La liberazione della forma beethoveniana dai vincoli
che ancora ne limitano le intuite potenzialità può avvenire secondo
Wagner solo per contaminazione con il modello costruttivo
shakespeariano, appropriandosi della sua figura misteriosamente vitale, della
sua sublime disimmetria .
127Richard Wagner, Musikdrama. Scritti teorici sulla musica, (F. Gallia, t.), Pordenone,
Studio Tesi, 1988 (1879), p. 29.
77
intrecciato, inestricabile, dimostra un processo di musicalizzazione delle
opere shakesperiane tanto avanzato e consolidato da permettere di
invertire la direzione del passaggio. Mettere Shakespeare in musica,
prima che mestiere da librettista, è stato certamente passione del critico.
Come per Jean Paul, la ricca presenza di musica come referente
metaforico (il flauto di Hamlet, tra le più sublimi) e soprattutto l'evidenza
di una composizione complessa, molteplice, apparentemente non
sussumibile entro le consuete categorie formali letterarie, rendeva
irresistibile la tentazione di leggere i drammi shakesperiani in senso
(tecnicamente) musicale. Ma quella che, per quanto deformante rispetto
alla scrittura di Jean Paul, era di fatto un'operazione non estranea
all'immaginario autoriale, rispetto a Shakespeare costituisce una forzatura
consapevolmente anacronistica (perchè, come ci insegna Wagner, se
Shakespeare servirà a far prendere il volo allo stesso Beethoven - apogeo
della pura forma musicale - certo è difficile immaginare che modello della
sua invenzione teatrale fosse offerto dalla morfologia 'a piccolo
cabotaggio' del primo seicento). L'indifferenza romantica alle esigenze di
una fondatezza storica della lettura (motivata da una concezione della
musica – romantica - come destoricizzato linguaggio universale
dell'espressione e in quanto tale attingibile dal Genio in ogni momento e
in ogni disciplina questi si trovi a lavorare) è però, dal nostro punto di
vista, assolutamente rivelativa di una volontà mimetica capace di
proiettare sul passato quello che si vuole realizzare nel futuro (strategia
forse non nuova né unica nella storia delle poetiche). Pur nell'obbligata
genericità dei riferimenti testuali, si cercano nell'eccezionalità e nella
ricchezza delle invenzioni shakespeariane quegli elementi che, puramente
letterari, si rivelino però passibili di assunzione entro la metafora
musicale. Più o meno quello che Wagner pensava di fare con Beethoven,
la (mis)lettura shakespeariana si poneva come premessa al successivo
sviluppo musiconarratologico di quei germi (che in Shakespeare avevano
tutt'altro senso). Come spesso succede, poi, le metafore sfuggono dalle
mani, se ne perde la dimensione traslata, le letture si attaccano al testo e
non lo abbandonano più - della musica che Schlegel ascolta in
Shakespeare, permangono echi nella critica moderna.
Nei suoi Frammenti sulla poesia e sulla letteratura che Friedrich Schlegel
128
scrive tra gli anni novantasette e novantotto del Settecento (ancora da
venire non solo il tardo stile beethoveniano, ma la stessa assunzione di
Beethoven all'Empireo degli scrittori), la musicalità di Shakespeare -
collocato a sorgente di una cascata di autori che attraverso Voltaire,
Swift, Hume sfocia direttamente a Carl Philipp Emanuel Bach - si invoca 129
128 Friedrich Schlegel, Frammenti critici e poetici, (M. Cometa, c.), Torino, Einaudi,
1998.
129 Autore la cui eccentricità di stile oltre a fornire un'ulteriore modello per pensare la
scrittura di Jean Paul, si era cimentata con una tastieristica fantasia su Amleto .
78
sceglieva persino il tipo di tono e gli accordi di accompagnamento per il basso
generale130 ). Non contraddice l'accusa di anacronismo l'indicazione di una
tecnica musicale che si penserebbe precedente alle opere di Shakespeare,
perché Schlegel non intende certo la polifonia vocale cinquecentesca i cui
i giochi di sovrapposizione, imitazione, omoritmie si percepiscono
determinati dalle esigenze rappresentative del testo intonato, che ne
determina e governa la forma complessiva. Il contrappunto
shakespeariano cui Schlegel allude è quello che, attraverso il travaglio
speculativo e compositivo della musica strumentale è divenuto a poco a
poco principio morfologico - quello che assolutizzato nei modelli
(didatticamente mai obliati) di Bach padre, ritornerà, sconvolto e
travolgente, nella fucina dell'ultimo Beethoven. In questa prospettiva (ma
con senso molto generico) è contrappuntistica l'opposizione e
sovrapposizione drammatica tra tipi shakespeariani ( Fr.1229: Shakespeare ha
un determinato ciclo di personaggi originali preferiti - il nobile e virtuoso furfante - il
generoso libertino - l'umorista - e poi come contrappunto il freddo, maligno e pure
gagliardo furfante ). Molto più precisa e interessante risulta invece la
riflessione sulla musicalità (polifonica) dei giochi di parole consegnata
all'enigmatica indicazione di un frammento (il 1158), in cui pure appare
chiara la dimensione formale del contrappunto evocato dal linguaggio di
Shakespeare: I giochi di parole una musica logica e [grammaticale] dove ci devono
essere fughe, fantasie (e sonate) .
130 L'eco di questa concezione giungerà fino alla critica sovietica di Lunacarskij
("Shakespeare è straordinariamente polifonico") così commentato pro domo sua da
Mikhajl Bachtin (Dostoevskij. Poetica e stilistica, (G. Garritano, t.), Torino, Einaudi,
1968, p.49): "Lunacarskij, a nostro parere, ha ragione nel senso che elementi, germi,
embrioni di polifonia sono reperibili nei drammi di Shakespeare (…) ma parlare di una
polifonicità pienamente formata e riuscita dei drammi shakespeariani è impossibile (…)
il dramma è per sua natura estraneo ad una vera polifonia; il dramma può essere a più
piani, ma (…) ammette solo uno, e non più sistemi di riferimento".
79
imprevedute affinità. Immaginiamo un testo in cui ogni espressione, ogni
parola lavori come un'intera colonna di piani, significati, strati di associazioni: a partire
dai più semplici strumenti delle combinazioni sonore fisiologiche, attraverso due o tre
strati di immagini regolari, fino a raggiungere un piano di lettura sovrastrutturale che
mette in gioco reminiscenze, associazioni, echi di significati e di sentimenti .
Immaginiamo cioè una lettura che richieda (come i pun di Shakespeare
per Schlegel) un tipo tutto particolare di comprensione: non diversamente dal più
complesso contrappunto o fuga. Ma in condizioni significativamente più ampie. Così
Ejzenstein che parlando di Joyce, imparava a parlare di sé - che
ascoltando il contrappunto dello Ulysses immaginava le proprie complesse
partiture cinematografiche, dove la sovrapposizione di suoni immagini e
narrazioni realizzava un'ulteriore avventura alla metafora musicale fuori
dalla musica (applicare come modello compositivo della nuova arte la
lezione che dalla musica aveva appreso la scrittura). Dunque, la forma
musicale del gioco di parole, il suo costituirsi come contrappunto di
significati nell'unità del significante, la dimensione verticale aggiunta a
quella sintagmaticamente orizzontale delle successioni frastiche e
periodali, le fughe che Schlegel intuiva possibilità della scrittura
shakespeariana, vengono sistematicamente realizzate nella polifonia-
polisemia del Finnegans Wake (nella quale ciascuna allusione stabilisce una
chiave interpretativa di tutto il contesto, e la scelta di un criterio determina le scelte
successive, come nella progressione binaria della diairetica del Sofista platonico - e
tuttavia una scelta non esclude mai le altre ma permette una lettura in cui vibrino
contemporaneamente gli 'armonici' di varie compresenze simboliche 131). Riformulando
una concezione capitale del romanticismo tedesco (cui si collega per
segreta profonda affinità), Joyce intreccia in unico nodo, giuoco di
linguaggio e gesto musicale con la mediazione de ll'estetica del sogno, dove
ogni forma si moltiplica e si prolunga, dove le visioni passano dal triviale all'apocalittico,
dove il cervello usa le radici dei vocaboli per trarne altri che siano capaci di nominare i
suoi fantasmi, le sue allegorie, le sue allusioni 132. Un canto, un discanto un
controcanto, tutto all'interno della stessa serie di parole, adirittura entro
una stessa parola. Si prendano le tre parole con cui Joyce traduce Joyce
nel frammento da Anna Livia Plurabelle pubblicato in italiano con la
collaborazione di Nino Frank: Ostregotta, ora capesco. Tre parole raccolte
in una semplice minimalissima frase. Parole di un linguaggio di
invenzione, delirio di un proto impazzito. Eppure non è assenza ma
eccesso di senso che si manifesta, ci sommerge, ci attacca: in quelle tre
parole abbiamo una esclamazione di disappunto e stupore, ostregheta (veneto), un
richiamo a lingue incomprensibili, ostrogoto (silloge dell'intero Finnegans Wake),
ostia (bestemmia, italianissima) e Gott (Dio). Bestemmia pronunciata di fronte a una
lingua incomprensibile. Per cui ci sarebbe da concluderne non capisco. Ma ostrigotta
80
suggerisce anche I got it ('ho capito, ce l'ho fatta'), e [la traduzione italiana di Joyce]
scrive ora capesco che fonde 'capire' e 'uscire', 'uscirne', forse d'imbarazzo, o dal
meandertale 133. Ettore Settanni, collaboratore con Frank alla versione
italiana di Finnegans, racconta nelle sue memorie di un incontro con
Joyce per assisterlo nella traduzione di alcuni passi che Egli, il Maestro,
aveva voluto fare di Suo pugno. Di fronte alla perplessità dei suoi
collaboratori rispetto alle trovate (che più che tradurre, di fatto
riscrivevano come solo un Autore avrebbe potuto fare), Joyce pare che
rispondesse di essere partito da una tecnica della deformazione delle
parole capace di raggiungere un'armonia che vinca la nostra intelligenza,
come la musica. Vi siete fermato presso un fiume che scorre? Sareste capace di dare
valori musicali e note esatte a quel fluire che vi riempe gli orecchi e vi addormenta di
felicità? Colpisce nella dichiarazione riportata in questo aneddoto, un'altra
insospettata permanenza, oltre al sogno, della poetica romantica nel
pensiero di Joyce. Ancora a funzionare da tramite è il ricorso a un
immaginario metaforico di tipo musicale . La metafora fluviale che per
134
133 Umberto Eco, Ostrigotta, ora capesco in: James Joyce, Anna Livia Plurabelle di James
Joyce. Versione italiana di James Joyce e Nino Frank , Torino, Einaudi, 1996, p. XXIX
134 Pienamente cosciente in Joyce, non c'è bisogno di ribadirlo. Si connette però ai
discorsi in corso in modo tanto lieve e divertente la poesiola pubblicitaria premessa
dall'autore al volume in cui appariva la prima pubblicazione di Anna Livia che bisogna
citare: Buy a book in brown paper/From Faber and Faber/ to see Annie Liffey trip,
tumbel and caper/sevensins in her singthings/Plurabelle on her prose/ seashell ebb
music wayriver she flows.
81
sue anse, le sue volute, a serpeggiare da una all'altra delle prospettive-
storie-personaggi che si sfiorano, accavallano, confondono (come onde,
appunto). E anche Joyce che, al solito enciclopedico, non si sottrae al
gioco (non solo nelle dichiarazioni) ma, da suo pari, rilancia. Cito ancora
dalla sua spassosa gustosa autotraduzione del frammento Anna Livia,
nella convinzione che vedendo il testo completamente ripensato in altra lingua, se
ne comprendono i meccanismi profondi, al di là dell'insistenza su questo o quel gioco
citazionistico 135. Tra lavandare e sciabordare, panni e frammenti di storie e
linguaggio, Ô dis-moi tout d'Anna Livia :
136
82
57 Bayorka buah! Boyana bueh! S'è ben guadagnata la maritazzuccia, quel
fuocacciatore che ne paga le spose
61 Per l'appunto, per San Sedine! H.C.E. ha conche all'elmo. Già, ed allora, c'è
poca schelda. Chi? Anna Livia? Sì, Anna Livia. E non racimolò a dritta e a manca putte
fiumane che non furo al corrente per far da ganze al capo reone, e solleticarlo lemme
lemme?
67 Come disse El Negro quando vide che mosa la Plata gli fe'.
81 Già, Ombrone aveva la sarca bile, la malorba all'uscio e la peste burbonica
100 E si e no cuocendogli una broda di giuggiole […] con coppenagri di tè irslandese
107 (e l'ira di desso, come metaureggia!)
159 per la terra e per ilcoperto, che ho bisogno marcio d'un derivatano nuovo
fiumante, vada in madore, e paffuto per giunta.
162 Ché questo mio affare di stucco ch'è qui è logor, e come po', a furia di
sentarmene a mo' di sol d'aspetto per il mio vecchio Dano
210 Non odo più per le acque di. Le chiacchiericcianti acque di.
219 Presso le frusciacque di, le quinciequindi acque di. Not!
Il sogno di Schlegel sulle fantasie (in senso musicale) dei giochi di parole
shakesperiani, realizzato (su Wackeroder): il capitolo cioè non solo
sintatticamente è fluviale lessicalmente: fiumi acque, con nomi generici o
propri, entrano dentro le parole ed elaborano una vera e propria struttura
motivica che risuona insieme alla trama discorsiva in contrappunto.
L'allentamento dei nessi semantici lineari per una loro complessa
straticazione, la moltiplicazione per risonanza dei significati (che - con
ripensamento dell'eredità simbolista - non consente un'univoca
determinabilità), questo sognare per il linguaggio verbale il sogno del
linguaggio musicale, deforma il significante nella tensione tra l'asse
orizzontale dei sintagmi e la verticalità composita di compresenti
paradigmi. In uno sforzo che arriva al punto di fare deflagare le parole.
Fino al confine, ma senza varcarlo: Joyce (o la maschera schlegeliana di
Shakespeare) crea la polifonia dei significati all'interno dell'unità (per
quanto piagata, ferita, violata, molteplicemente fecondata) del
significante, (affinché differenti motivi possano incontrarsi in uno stesso
spazio acustico, agglutinarsi in una simulata compresenza temporale).
Ci troviamo quindi alla confluenza dei due aspetti teoreticamente possibili
della musicalizzazione della narrativa: quello antonomastico, poetico,
dell'analogia applicata ai materiali, parole come suono, fenomenologia
fonologica, da giocare combinare per ripetizione e variazione,
alliterazione, contrapposizione di fonemi fino ad una lingua del puro
significante, astratta da ogni vincolo semantico (quella dei poemi fonetici
dadaisti composti da Schwitters , della Abstrakte Oper elaborate da
137
137 Tra il 1922 e il 1932, viene infatti composta la Ursonate in quattro tempi in cui la
mimesi delle forme tradizionalmente musicali (dal Rondò allo Scherzo) non passa come
nella via maestra della nostra storia per organizzazione di materiali linguistici
tradizionali (e dunque semantici) ma usando motivi fonetici come motivi musicali (e
quindi in una lingua di completa invenzione a la José Bastida).
138 (1953) Il libretto, nelle dichiarazioni dell'Autore è costituito da un testo astratto che
non solo non comporti alcuna continuità coerente dell'azione ma che si componga di
83
neovanguardista di Nono e Berio - tra gli altri, sopra gli altri - che negli
anni infuocati tra il sessanta e il settanta del secolo scorso usavano
l'intonazione come destrutturazione di un testo poetico, fosse Joyce,
Pavese, Machado o Ungaretti, come – vendicativa - riappropriazione alla
pura musicalità della più temperata musicalità poetica), quello di cui non
parla la nostra storia, si viene a intersecare con il suo oggetto amato,
l'analogia applicata alle forme costruttive, alle organizzazioni dei
significati, dei racconti e delle storie, non al livello microscopico delle
parole, ma a quello generale del discorso, del testo nella sua interezza.
Alla confluenza di queste due modalità di immaginare la traducibilità del
musicale nel letterario, Joyce ripensa e reintegra alla luce del nuovo
paradigma formale di Mallarmé, quella stessa concezione da Mallarmé
superata. La musica di esecuzione risolve l'antinomia della programmatica
opposizione letteraria alla musica di concezione, per ritrovarsene
inglobata - sottinsieme da quella determinato. Considerando le
tradizionali concatenazioni sintagmatiche della poesia per relazione di
significante non tanto nel loro (possibile) aspetto di decorativismo
(virtuosismo, colore, incanto) sonoro offerto ad un contenuto risolto su un
piano del tutto differente, ma in quanto possibilità di articolare in maniera
differente (non vincolata alla necessitazione logica) l'associazione dei
significati, la tradizionale musicalità del poetese offriva uno
sperimentatissimo grado zero per la concezione formale dell'elaborazione
musicale prestata alla letteratura - non muovendo verso una
desemantizzazione del discorso letterario, ma al contrario verso un a
ipersignificazione per moltiplicazione (e, in Joyce, sovrapposizione) di
piani di senso. Laddove quindi il gioco fonico sulla parola non costituisca
une forme inédite de tralala allègre ou tradéridéra déridant , ma introduca nella
costitutiva linearità, monodimensionalità del linguaggio narrativo, - doping
pour moi et cloche d'éveil pour l'autre - une dissonance détournant le discours de son
cours , dove quindi la construction logique est étroitement unie à une construction en
quelque sorte musicale, convergence in cui si vedano spectaculairement forme et
fond s'entremêler et réagir l'un sur l'autre, en procédant comme si le contenant était
autant ce qui détermine le contenu que ce qui, par décret du sort dirait-on, on, le
revêrt, allora, con Leiris139, che redigendo il testamento della sua
concezione poetica, ci offre il lascito impagabile di un (possibile)
significato della nostra metaforizzazione che unifichi il gioco sonoro del
significante nella parola a quello formale dei significati nel discorso nella
stessa medesima prospettiva di offrire alla scrittura la sua grande
occasione, di affermarsi, cioè, fabricatrice de pensée et non seulement metteuse
en scène. (La lezione della musica offerta alla letteratura dunque sarebbe
quella di una opacizzazione della forma, non più, ideale trasparenza, via
d'accesso a un contenuto da essa separato, quanto portatrice di un
significato inestricabilmente stretto al modo del suo porgersi,
semplici elementi fonici che si rivolgono alle capacità di associazione automatica
dell'ascoltatore, saltando il riferimento a una qualunque semantica codificata.
139 Michel Leiris, Langage tangage ou Ce que les mots me disent, Paris, Gallimard,
1985, pp. 89-90 [per la citazione successiva p. 170]
84
inscindibilmente. La forma musicale non è la scala wittgensteiniana che si
dissolve una volta attraversata.)
Passo successivo rispetto a quello di un poeta che intende la
musicalizzazione della letteratura in senso formale e non sonoro, il
narratore che applica al significante la metafora compositiva musicale (la
costruzione di una fuga dentro la parola, che nell'assonanza
dell'immagine acustica compone e miscela somme di parole - i joyceani
fiumi nello spettegolio su AnnaLivia -, la parola esplosa in una ridda di
schegge, frammenti fonetici, suoni la cui ricombinazione crei nuovi sensi,
temi per variazioni ) non è che fantasma del sogno di Schlegel su
140
Shakespeare. Del sogno che inaspettatamente travolge gli ultimi anni del
padre della moderna linguistica scientifica, Ferdinand de Saussure . Che 141
85
struttura di un motivo generatore, materiale fonetico da cui trarre la
molteplicità delle combinazioni dei versi e insieme senso segreto
sovrapposto a commentare sostenere ridefinire i significati manifesti , (e 142
142 Si vedano ad esempio l'analisi del preambolo del De rerum natura - in cui Ferdinand
de Saussure disvela "la présence obsédante du nom d'Aphrodite"; o quella di Eneide, II,
vv. 268-297 - "La vision d'Hector appelle évidemment comme anagramme le nom
d'Hector. Mais (…) on doute qu'Hector avec la pauvreté de ses syllabes (…) ait pu être
choisi par Virgile (…) un remplaçant quelconque de ce nom était nécessaire (…) Virgile
prenait (…) Priamides, comme le seul nom suffisant clair hors d'Hector. Ce nom qui
n'est pas prononcé dans le texte, devient le thème d'une chaîne d'anagrammes
ininterrompue, - mais qui est construite d'une manière particulièrement claire. En effet,
à chaque anagramme est donné pour centre un complexe-mannequin ["Saussure
cherche l'indice de l'hypogramme dans un groupe des mots dont le phonéme initial et le
phonéme final correspondent à ceux du mot-thème sipposé. Il désigne ce group sous le
nom de mannequin : un mannequin vraiment complet (…) n'aura pas seulement même
commencement et même terminaison que le mot-thème, il en contiendra aussi la
plupart des constituants phoniques", Jean Starobinski] imitant ‘Priamides’ et les mots
qui s'étendent autour de chaque complexe apportent exactement le complément
nécessité par les syllabes qui manquent dans le mannequin", J. Starobinski, op. cit. pp.
53-54.
143 Cito come ulteriore esempio della deriva delle metafore, l'applicazione della lettura
ipogrammatica che Saussure sperimentava sul verso latino, alla Recherche proustiana
in J. Milly, (La phrase de Proust: de phrases de Bergotte aux phrases de Vinteuil , Paris,
Champion, 1975, p. 72). Dopo avere esaminato, ad esempio, la frase in cui la
riflessione su Wagner, si genera per costruzione sul wagneriano tema-motto, Tétralogie,
rilevato in finale ("L'autre musicien, celui qui me ravissait en ce moment, Wagner,
tirant de ses tirois un morceau délicieux pour le faire entrer comme ThEme
réTRospectivement nécessaire dans un oeuvre à laquelle il ne songeait pas au
moment où il l'avait composé, puis ayant composé un premier operA mythoLOGIquE,
puis un second, puis d'autres encore, et s'apercevant tout à coup qu'il venait de faire
une Tétralogie", Marcel Proust, À la recherche du temps perdu, III, Paris, Gallimard,
1954, pp. 160-161), la variazione sul significante riporta autoreferenzialmente al
procedimento costruttivo a Leitmotive : gli anagrammi infatti di cui si contesta il
possibile carattere fortuito ("elles reprennent le mot-thème dans un espace de texte
86
ricerca non esita a fare -come noi quello di Schönberg - il nome di Bach
(già nella sua stessa traducibilità musicale, quelle stesse sue note-lettere
b, a, c, h (si, la, do, si b) che appaiono come sequenza costruttiva,
permutabile e generativa di ardite costruzioni contrappuntistiche) -, ma
soprattutto riguarda la possibile riflessione sulla statuto creativo,
anamorfico di una lettura che si vorrebbe - e non può essere - scientifica,
suffragata dalle dichiarazioni di coscienza intenzionale degli autori citati
non proiezione sul testo di un desiderio immaginativo). Avverte
Starobinski che l'erreur de Ferdinand de Saussure (si erreur il y a) aura aussi été
une leçon exemplaire. Il nous aura appris combien il est difficile, pour le critique,
d'éviter de prendre sa propre trouvaille pour la règle suivie par le poète. Le critique,
ayant cru faire une découverte, se résigne mal à accepter que le poète n'ait pas
consciemment ou inconsciemment voulu ce que l'analyse ne fait que supposer. Il se
résigne mal à rester seul avec sa découverte. Il veut la faire partager au poète. Mais le
poèt, ayant dit tout ce qu'il avait à dire, reste étrangement muet. Toutes les
hypothèses peuvent se succéder à son sujet: il n'acquiesce ni ne refuse . Lo stesso
sogno di musicalizzazione dell'anagramma che Schlegel applicava a
Shakespeare con il gusto di una provocazione (di una sfida alla
progettualità dell'immaginario compositivo futura lanciata come
riflessione sul passato) era stata dallo spirito accademico del nuovo secolo
di de Saussure assorbita, (come un incanto di sirena cui non si sappiano
tappare le orecchie - Joyce ne mostrerà appieno le potenzialità poetiche)
e insieme drammaticamente percepita nella sua natura di arbitrio, di
privata proiezione (impubblicabile). Grumo di entusiasmo e disillusione,
certezza e rigetto (i quaderni di pagine e pagine di ricerche non verranno
mai pubblicati in vita), fanno dell'incredibile storia degli anagrammi di
Saussure un paradigma della ricezione della nostra metafora, sempre
travolta com'è (tra un livello neutro dell'opera, strattonato dalle istanze
progettuali e le effettività estesiche), così ambiguamente ondeggiante
très restreint, et cette densité nous empêche de craindre que nos regroupements ne
soient arbitraires, effectués sur une séquence où tous les phonèmes de la langue
finiraient par reparaître à la longue; cette reprise est souvent faite non par phonèmes
isolés, mais par groupes de phonèmes; enfin l'ordre de repris bouleverse peu, en
général, celui du mot-thème") si presentano con maggiore densità e insistenza proprio
"dans le fragment où Proust évoque les leitmotivs de Wagner, il est tentant de souligner
ce rapprochement et de voir une analogie voulue entre les deux procédés de
composition: l'anagramme serait le correspondant du Leitmotiv dans la prose poétique.
Comme lui, elle procède par retour de séquences sonores (pourtant, il faut le préciser,
avec une répétition non littérale, mais selon des positions et des combinaisons
différentes, plutôt à la manière de la musique sérielle) liées à un signifié identique.
Comme lui, elle est moins un procédé de rappel explicite qu'une sollecitation de
l'inconscient. Elle aboutit d'une part à renforcer la présence d'un nom par répétition de
ses éléments, d'abord dans un champ restreint, le locus princeps, puis dans un espace
plus vaste, à la manière d'un halo d'intensité décroissantte (et nous rappellerons ici les
commentaires de Proust sur l'aide qu'apportent la répétition et la mémoire dans la
perception de la musique I, 209); d'autre part, en décomposant le signifiant et en
dispersant ses éléments dans d'autres mots, à déployer le mot-thème en faisant jouer
les capacités d'association de ses parties, d'où un notable enrichissement de sa
signification".
87
nella sua valutazione (volontà o velleità), metafora dal fascino irresistibile
che pure, come acqua, sembra perdersi appena la si cerchi di afferrare.
88
Shakespeare - con curiosa analogia neanche Adorno riuscirà a compiere la
sua, vagheggiata su Beethoven- : della forma di Shakespeare).
Questa interpretazione musicale di Shakespeare, il cui successo è tale da
poter arrivare addirittura alla deriva della voce enciclopedica , è 145
critico che stiamo esaminando quindi rappresenta uno degli strani anelli
per cui un procedimento compositivo in sé non musicale, nel momento in
cui la musica se ne appropria (conducendolo ad una definizione precisa,
verificandone le capacità poetiche, le risonanze estetiche, emozionali)
acquisendolo quindi come tecnica compositiva di piena ed esclusiva
pertinenza musicale, come tale viene applicata (deformando il passato
non tanto in un anacronismo idealistico - quasi la musica potesse offrire
un archetipo intemporale - quanto nella legittimazione di un desiderio
imitativo ad esso successivo) - la lettura della storia, del canone,
dicevamo, come riflesso (e legittimazione) di un atto di scrittura ancora a
venire. Non è un caso che a difendere la lettura musicale dei drammi
Shakespeare si ponga un Eliot che nel ritrovamento di una struttura
musicale molto complessa ad essi soggiacente, sta in realtà descrivendo
l'affascinante partitura dei suoi quartetti, quella stessa musica di
immagini che abbiamo analizzato precedentemente: in alcuni drammi di
Shakespeare, un disegno musicale può essere individuato soltanto in determinate
scene, mentre in altri più perfetti si può ravvisare non solo in qualche scena ma
nell'opera come un tutto. E' una musica fatta, oltre che di suoni, di immagini : nel suo
esame di varie opere shakespeariane, Wilson Knight ha infatti dimostrato quanta parte
145 Con esempio particolarmente forte, nell'English Larousse (Paris, 1968) voce
Shakespeare, William, si può leggere un'adozione integrale e senza riserve del
paradigma schlegeliano, nel ritratto del drammaturgo "quale cosciente artista sinfonico,
capace di produrre nella sue più grandi opere un'elaborata struttura nella quale tema
risponde a teman bella quale il tutto, come in musica, è il significato proprio che ogni
parafrasi snatura".
146 "Su un piano piuttosto generale si possono fare convincenti paralleli di ritmo
drammatico, tecnica, convenzioni, e via dicendo, tra i vari generi di dramma musicale e
di dramma letterario. In effetti, la natura di certi drammi greci e di certi drammi
elisabettiani è stata spiegata sulla base di una struttura 'musicale' -musicale in senso
moderno, più che in senso greco o elisabettiano", J. Kerman J., L'opera come dramma,
(S. Melani, t.), Torino, Einaudi, 1990 (1984), p. 113.
89
dell'effetto complessivo di un dramma è dovuta all'uso di immagini ricorrenti e
dominanti. Un dramma di Shakespeare è una struttura musicale molto complessa 147.
La dimostrazione offerta dalla lezione di Wilson Knight - citata
esemplarmente anche da un altro campione della musicalizzazione della
narrativa nel suo proprio ascolto della musica Shakespeare, Aldous
Huxley nei saggi critici intitolati amleticamente The rest is silence -
consiste tutta nella considerazione del dramma come struttura sinfonica,
a set of correspondences which relate to each other independently of the time-sequence
which is the story 148. Così the Othello music sarebbe per Wilson Knight
l'estensione strutturale di una superba metafora strumentale di Iago che
dichiara di fronte all'intonazione del suo capitano, la volontà di allentarne
il bischero: Oh you are well tuned now!/ But I'll set down the pegs that make this
music,/ as honest as I am (atto II, scena 1, vv. 202-205). Il dramma
metterebbe in scena sopra (o dentro) la nota storia di inganno, passione
e gelosia (rappresentazione di un male metafisico, assoluto,
dostoevskijanamente irriducibile a qualunque contingente motivazione
psicologica), un'avventura di linguaggio, uno sviluppo armonico
dall'affermazione della tonalità-Othello alla sua finale ripresa cadenzale
attraverso un duro travaglio di distorcenti cromatiche modulazioni-Iago . 149
90
analogico rivela, ancora una volta insieme, la difficoltà di applicare in
senso forte il modello musicale successivo ma anche la straordinaria
capacità che quel modello offre al ripensamento (alla reinvenzione) critica
di una delle potenzialità che il testo esprime.
91
uno stesso motivo su differenti voci, alla contrapposizione tra solo e tutti
- una forma di vero e proprio concertato composta da Shakespeare
quando il melodramma appena vagiva la sua nascita, o nelle parole più
generiche di Verdi (Boito avrebbe capito senza troppe ridondanze) la
notazione di quanto in quel punto vi sarebbe un pezzo musicale bell'e fatto in
Shaespeare . Pochi giorni prima, il sette luglio, Verdi suggeriva a Boito la
152
92
ad applicare alla scrittura drammaticale la metafora critica schlegeliana, a
leggerne lo sviluppo come analogo possibile di un'intrinseca
organizzazione musicale.
Pochi anni prima della lettura schlegeliana di Shakespeare (una sua
preparazione in campo musicale), la lettura mozartiana di Molière-Da
Ponte, il Don Giovanni si rivela un'opera che solo un grande compositore di
sinfonie avrebbe potuto scrivere . In effetti senza ancora ambire ad una
154
154 "In una sinfonia di Beethoven nella qualità del procedere musicale c'è qualcosa di
schiettamente drammatico: l'esposizione che subito porta a un crescente conflitto, lo
sviluppo dei contrasti e la risoluzione e il risultato finali. E in un'opera di Mozart, il ruolo
di quanto si potrebbe definire, in modo impreciso, tecnica sinfonica drammatica è di
primaria importanza", J. Kerman, L'opera come dramma, op. cit., pp. 63 -64.
155 Si pensi all'indicazione analitica di Kerman (op. cit., p. 71) che ritrova nel terzetto di
Elvira la coerenza e la dinamica della forma sonata. Enrico Fubini [Forma sonata e
melodramma, in: (Nattiez, J.J., c.), Enciclopedia della musica. IV: Storia della
musica europea, Torino, Einaudi, 2004, p. 692 e pp. 688-689] notando la
contestualità tra l'affermarsi della forma sonata e l'elaborzione del nuovo melodramma
nota la novità mozartiana di interpretare il dramma comme drammaturgia formale:
"Mozart (…) aveva perfettamente capito quanto lo stile sonatistico fosse in grado di
rappresentare più di qualsiasi altro stile precedente la sua nuova concezione
drammatica, proprio perché esso già contiene i germi, da un punto di vista formale,
beninteso, di un dramma caratterizzato da un profondo dinamismo interno (…) non più
commedia di personaggi ma commedia di situazione, dove i casi della vita, gli intrecci
comici o drammatici (ma il comico e il drammatico nella realtà della vita non sono forse
indissolubilmente congiunti?) rappresentano la molla per una nuova dinamica con le sue
tensioni e risoluzioni, proprio secondo quello schema formale che lo stile sonatistico già
contiene al suo interno""la pluralità dei temi, le complesse simmetrie, le risoluzioni dopo
le avventure tonali dello sviluppo, tutto ciò trova dal punto di vista formale un
corrispettivo nell'azione drammatica delle opere buffe di Mozart: la pluralità dei
personaggi e il maturare dei conflitti dei caratteri, gli intrighi da cui emerge uno
scioglimento più o meno imprevisto del dramma, il passaggio da una situazione all'altra
sotto la spinta di una dinamica interna che rappresenta la molla dell'azione e del suo
procedere verso unsoluzione pacificatoria. Vi è dunque una dinamica formale sonatistica
che trova una perfetta applicazione negli intrecci melodrammatici del nuovo teatro dopo
Metastasio e dopo l'opera barocca".
93
(Il lieve sfasamento cronologico di queste due prime operazioni peraltro
così omologhe è da attribuire al ritardo con cui la forma musicale come
paradigma compositivo/conoscitivo riesce a varcare i confini disciplinari -
perchè ciò che a un musicista come Mozart poteva essere chiaro,
divenisse effettivamente presente ad un letterato come Schlegel,
bisognava che passasse almeno una ventina d'anni).
Abbiamo quindi, la proiezione di questa letture retrospettive
sull'invenzione costruttiva, l'estensione del procedimento ad una forma
drammatica in cui la musica non agisca solo a livello di
accompagnamento del testo (in praesentia, dunque - e fuori dalla nostra
storia), ma, in absentia, ridefinisca compositivamente la costruzione del
testo che intona (la lettura ancora si rivolge in scrittura). È il caso
emblematico e superbo di Berg che, senza l'ausilio del collante
tradizionale della tonalità, e alle possibilità di strutturazione formale da
essa garantite, si interroga sulle possibilità di dare coerenza musicale e
strutturale ad un testo - il lacerato, frammentario, tagliente Woyzeck di
Büchner che in sé non sembrava garantirla neppure con l'unità di
156
94
quindici scene come repertorio delle principali morfologie della musica
strumentale - dalla suite alle variazioni (con una vocazione di scrittura
enciclopedica che non può non ricordare quello letteraria del
contemporaneo - sotto questo aspetto sorprendentemente analogo -
Ulysses joyceano). Oltre a offrire un sorprendente esempio di
metaforizzazione intramusicale dei procedimenti morfologici classici (dove
cioè alla traduzione del procedimento da un linguaggio dei suoni ad uno
letterario si sostituisce quella da un linguaggio musicale - governato dalle
leggi dell'armonia e della tonalità - ad un altro sempre musicale, ma
privato di quella caratteristiche tecniche che consentivano al modello di
essere qualcosa di più di un'aspecifica generalissima idea), questa
operazione berghiana acquista una particolare pregnanza per la nostra
storia in virtù della legittimazione con cui vengono associati le particolari
situazioni drammaturgiche alle determinate forme musicali cui si
associano: perché la forma musicale viene indicata non come libera
associazione tra una costruzione formale e uno sviluppo drammatico ma
come esplicitazione, rappresentazione di uno schema morfologico già
presente nel testo letterario. Il motivo per il quale, per esempio, la primissima
scena dell'opera si basa su una suite può consistere nel fatto che il dialogo di questa
scena, nella quale propriamente non accade nulla, è costituito da diversi temi discorsivi
staccati e allineati l'uno dopo l'altro. Era logico trovare, per ognuno di essi, una piccola
forma, che, unita alle altre, desse come risultante appunto unaserie di piccoli pezzi
pezzi, cioè una suite (…) la passacaglia o ciaccona della quarta scena è costruita su un
tema dodecafonico (…) l'elaborazione in forma di variazioni di questo tema non è
meccanica (…) sta naturalmente in connessione con l'azione drammatica (…): si tratta
infatti sempre del medesimo tema, della medesima idea fissa del Dottore, che echeggia
anche là dove Wozzeck, torturato da quel tema e da quelle idee fisse, prende la parola
(…) quando infine nell'ultima variazione, il Dottore erompe nell'invocazione
all'immortalità (culmine delle sue idee fisse) questo tema basso, piuttosto nascosto nel
corso della passacaglia, si ripresenta con maggiore evidenza, armonizzato a corale, e
conclude così il brano con una specie di stretta (…) il II atto presenta, come prima
forma musicale, un tempo di sonata. Non è forse un caso che a caratterizzare le tre
figure che agiscono in quetsa scena: Maria, il suo bimbo e Wozzeck, siano stati scelti i
tre gruppi di temi di un'esposizione musicale: tema principale, secondario e finale,
rendendo così possibile la classica forma di sonata. Anzi, tutto lo sviluppo drammatico di
questa scena dei gioielli, il ripresentarsi due volte di certe situazioni, infine l'urto dei
personaggi l'uno contro l'altro hanno permesso di mantenere anche in seguito il
carattere rigoroso della struttura musicale. Si ha infatti, dopo l'esposizione, la prima
ripresa, lo svolgimento e infine la seconda ripresa. Anche la scena seguente presenta
tre personaggi, i quali però sono in un rapporto reciproco meno stretto dei tre comparsi
nella scena precedente, legati da vincoli di parentela. Mentre dunque in quel caso poté
nascere una forma musicale, nella quale i membri erano organicamente connessi come
in una famiglia, vale a dire la forma-sonata, qui è più opportuna invece una forma
costruita con elementi più estranei l'uno all'altro: per esempio un'invenzione e fuga con
tre temi .
La conferenza di Berg ci offre una specie di manuale (offerto da un
musicista agli scrittori! ) sulle modalità di utilizzare le forme musicali
157
157L'intuizione formale di Alban Berg fornirà modello anche per la di molto successiva
invenzione compositiva di Alberto Arbasino (Sessanta posizioni, Feltrinelli, Milano, 1971,
p. 476) che racconta la struttura dell'Anonimo Lombardo in una maniera molto simile a
95
come strumento di lettura (modello di organizzazione) per un'opera
drammatica o narrativa . La costruzione sintattica che la musica ha
158
96
funzionare come istanza traduttiva, proposta di ascolto immaginario,
musica ricreata attraverso parole . Non si tratta cioè di analizzare una
159
all'interno del verso, in tal modo, risulta pienamento coincidente con il 'ritmo musicale'
all'interno dei gruppi, delle rappresentazioni di montaggio (…) è notevole che nella
composizione plastica si conservi un elemento… di rima con il tema delle inquadrature
in cui compare la rima verbale … La rima possiede molte definizioni. La più giusta (…)
coincidenza di due diverse rapppresentazioni in due parole congruenti dal punto di vista
fonico (…) Il ruolo dell'unità nella composizione plastica coinciderebbe con l'identità
dello schema strutturale, il ruolo della diversità - che qui tende alla massima tensione-
contrapposizione - sarebbe assicurato dal diverso contenuto rappresentativo di questo
identico schema", S. M. Ejzenstein, Teoria generale del montaggio, (Pietro Montani, c.),
Venezia, Marsilio, 1985, pp. 310-313.
159 "[La musique s'appuie] sur la structure et la matière sonore: elle ‘com-pose’ des
motifs rythmiques multiples et l'analyse minutieuse (…) de quasiment toutes les notes
du Wozzeck de Alban Berg dégage de "purs motifs rythmiques de l'être" selon
l'expression de Mallarmé. La forme musicale rejoint les grandes forces primaires de
l'inconscient humain et, les ‘exprimant’, les fait être selon son ordre"; "La ‘poésie-
critique’ s'efforcera d'expliquer ces données de la 'com-position' musicale, c'est-à-dire
d'éclairer les bases secrètes de tout “ce qui a été placé ensemble”. Mais, à son tour, elle
'com-posera' et se faisant alors peut-être plus 'poésie' que 'critique', elle essaiera de
nous donner à (re)vivre un inconscient structuré comme une musique", S. Meitinger,
Écrire-Musique. Pierre Jean Jouve et la poésie critique in : (C., Blot-Labarrère, c.),
Pierre Jean Jouve 3: Jouve et ses curiosités esthétiques , Paris, Lettres Modernes, 1988,
p. 21, p.9.
160 Pierre-Jean Jouve, Il don Giovanni di Mozart, (T. Turolla, t.), Milano, Adelphi, 2001
(1968).
97
tramite la ricomposizione letteraria . La critica letteraria che ha imparato
161
161 Qualche esempio in libertà dalla partitura (di Mozart? di Jouve?). Nell'atto I, scena 1:
dopo l'Ah soccorso del Commendatore, il disegno della voce di don Giovanni "non ci
suona nuovo, la sua melodica effusione ci sembra di averla appena udita altrove (…)
restiamo ammirati dalla sapiente associazione che ci permette di cogliere un po' del
mistero insito nei rapporti affettivi: il disegno melodico del canto di Don Giovanni è -
lento e in minore- il tema di Anna Come furia disperata. Vi è dunque una
corrispondenza segreta, anche nella Musica, fra l'odio pieno di amore della giovane e il
dispiacere del seduttore costretto a ucciderle il padre; o piuttosto il seduttore che vede
morire il padre per mano sua, corre col pensiero alla figlia, sia per addossarle la colpa di
quella morte sia per approfittare sin d'ora della sua collera tramutata in dolore"(p. 42).
La riflessione può essere molto generale ("Don Giovanni e Leporello, dal punto di vista
drammatico, sono ritagliati in una unica e identica realtà psichica (…) le vite affettive, le
esistenze dei due personaggi sono comunicanti, e possono insinuarsi l'una nell'altra.
Ognuno dei due, identificandosi con una parte dell'altro, se la appropria e, per così dire,
la divora", p. 45) oppure individuata su particolari (come la ripresa delle trombe -nella
tredicesima scena del primo atto, a segnalare il momento in cui Anna finalmente
riconosce da un'intonazione, il suo misterioso violentatore, nella diciottesima a dare
inizio alla concitata Festa, giocata sul mascheramento opposto). Vera e propria sintesi di
temi e situazioni precedenti, la scena ventesima: "Tornerete a far presto le pazze ricrea
l'atmosfera frenetica di Fin ch'han dal vino. Eccoci di nuovo in quel clima burrascoso dai
corruschi tratti demoniaci, creato dal poter della seduzione (…) i temi si susseguono, si
deformano ruotando però sempre attorno allo stesso tema; l'ostinazione del ritmo
ternario è ossessiva, ma da questo ingranaggio è impossibile uscire (…) in questa
circostanza le due parti del 'doppio' concordano nella comune soddisfazione (…) al
ricevimento offerto dall'orco, dove tra poco saranno presenti tutte le sue vittime,
Leporello conclude le frasi di Don Giovanni, intuisce i suoi pensieri, canta nella sua
stessa linea melodica, alla terza", pp. 88-89. Il tema di Elvira viene ritrovato a mettere
in relazione fondere, interagire diverse scene dell'atto secondo (la seconda e terza in
cui: "Le sinuosità, gli elementi nervosi della musica hanno il compito di trasmettere quei
conflitti che la parola vorrebbe occultare (…) l'orchestra ripropone quindi il tema di
Elvira su cui canta ora Don Giovanni (e si noti come questo metta in luce musicalmente
il suo primo, profondo intento)", p. 105; l'ottava: "i singhiozzi di Leporello hanno un
ruolo di transizione, e il suo ultimo per carità genera una modulazione ardita simile a un
gioco di parole (da sol minore a la bemolle maggiore) e poi, in un susseguirsi di tonalità
provvisorie, una sorta di scala sussurrante che porta al tema del lamento di Elvira nella
sua struttura primaria", pp. 116-117). Infine, si suggerisce, una forma di ripresa di
materiali dell'ouverture nella scena quindicesima (l'ultima di don Giovanni prima della
girotondeggiante coda intorno al vuoto dei sopravvissuti): "alla quarta battuta inizia il
canto della Statua, subito seguito da quel ritmo degli archi che avevamo già incontrato
e indicato nell'Ouverture, idea centrale, sotterranea, della catastrofe, del suo avanzare
implacabile, del suo passo (dalla cadenza molto lenta e straordinariamente pesante) (…)
basta osservare le due prime battute della seconda frase della Statua, come pure la
98
statutariamente, compositivamente musicale della critica letteraria ), ma 163
quinta e la sesta, scritte in un sorta di canto piano (…) mentre poi si crea per due volte
quella che io chiamo depressione febbrile della frase - in cui arde una grande armonia,
la seconda volta più ardente della prima -, dove ricompare la cadenza del Passo, così
come ricompaiono il rimorso e la speranza. E subito dopo, per dare vita a un nuovo, più
ampio movimento della terribile Parola, ecco le scale, quelle scale infernali che abbiamo
già udito nell'Ouverture, e che ora svolgono le loro spire dolorose", pp. 152-155.
162 Friedrich Schlegel, Frammenti sulla poesia e sulla letteratura in op. cit., Fr. 1321:
"Henry V ha qualcosa di Hamlet, cioè la riflessività. - Un'affinità lega i personaggi più
importanti così come i drammi più importanti. Henry VI,3 prepara Richard III, e questo
si ricollega immediatamente a quello. -" Solo intuita ma fortemente suggestiva
l'indicazione del trasferimento della musicalizzazione interna al singolo play sulla
struttura intera dell'opera drammatica.
163 Si veda Gerard Genette, Figures V, Paris, Seuil, 2002.
164 "Fidèle à sa conception de la ‘traduction’, de la suggestion imaginaire et poétique du
musical, Pierre Jean Jouve a plus d'une fois repris sous forme de poème les thèmes et
analyses qu'il avait esquissés de façon poétique-critique dans se livres (…) sa poésie-
critique est tout simplement devenue poème à part entière", S. Meitinger, Écrire-
Musique. Pierre Jean Jouve et la poésie critique in: op cit., pp. 23-24.
99
Frammenti e studi, (1799-1800)
100
vagabondare sui tasti, improvvisando con stupefacente facilità (i suoi
ascoltatori stupefatti dalla fecondità inventiva, dalla fantasia di questo
dilettante chiamato a compensare una paterna insoddisfatta passione
musicale, e pur sprovvisto di un solido mestiere - compositivo, esecutivo
- à la Hoffmann, comparavano l'incanto fiabesco delle sue estemporanee
inenzioni musicali a quelle - celeberrime (rimpiante persino da Wagner) -
di Beethoven). Così intendevano il parallelo le testimonianze coeve, come
riconoscimento di una capacità che sotto sotto nascondeva la denuncia
critica di una volontà di abbandonarsi alle impressioni del momento,
lasciando da esse modificare qualunque predeterminata direzione. Lezione
di libertà e insieme testimonianza di debolezza. La metafora musicale che
abbiamo letto sempre come ipersensibilità formale (fino all'oblio dei
contenuti) viene dunque assunta, in questo ricorso all'idea di fantasia e
improvvisazione, proprio per significare, al contrario, una latenza
strutturale, un'estemporaneità incapace di dominare il materiale come
insieme?
Più sottile, certamente, l'intendimento di Novalis. Che certo aveva
perfettamente compreso nella sua formula aforistica (nell'idea della
poetizzazione di fantasie musicali) quello che Jean Paul rivela in una
lettera a Tieck . Preludendo Leopardi, nell'identificazione tra bello
168
168 Citata insieme alle testimonianze d'epoca sulle abilità improvvisative dello scrittore
al piano da Albert Beguin, L'âme romantique et le rêve, p. 235
169 "Con ciò subentra certamente anche una completa modificazione della stessa opera
d'arte poetica e questo lo potremmo definire nel modo migliore immaginandoci
l'improvvisazione, magari scritta, di un grande musicista. Possediamo eccellenti
testimonianze dell'incomparabile impressione esercitata sui suoi amici da Beethoven
durante lunghe improvvisazioni al pianoforte; non dobbiamo considerare esagerato,
neppure di fronte alle massime opere del Maestro, il rimpianto che queste creazioni non
siano state trascritte, se solo ci atteniamo all'esperienza secondo la quale persino i
musicisti meno dotati, le cui composizioni scritte con la penna sono affette da rigidità e
goffaggine, quando improvvisano possono davvero stupire con un'inventiva inopinata,
101
di questa particolare declinazione della metafora fiorisce e dilaga
incontrollabile quando, nel secondo novecento, è proprio l'impianto
improvvisativo del jazz a costituirsi oggetto della sottile gelosia degli
scrittori, quando diviene Charlie Parker la figura catalizzatrice e simbolica
(quale Beethoven per i romantici, Wagner per la fin-de-siècle) offerta
all'immaginario letterario. Ridefinito il campo referenziale della metafora
musicale, la scrittura, non fuga o sonata, vuole farsi bebop, jamsession -
e non è però che variazione sul tema dell'immaginario creato dal
romanticismo tedesco. A Charlie Parker, si accede (lo si sappia o meno)
attraverso Jean Paul, attraverso Novalis.
102
da Bach a Mozart a Beethoven) viene a identificare completamente l'idea
stessa di composizione. Non si tratta della semplice (!) sostituzione di una
concezione orale a quella tradizionalmente scritta dell'invenzione
musicale, ma di un intreccio più complesso marcato da un'invenzione
tecnologica che (come molte volte era già successo) aveva indelebilmente
segnato la costituzione stessa dell'immaginario estetico: il disco. Perchè
attraverso la sua fissazione su vinile (attraverso la sua riproducibilità
tecnica), l'improvvisazione diviene un affascinante, sconosciuto ibrido che
rende l'estemporaneità della creazione orale fruibile come scrittura, non
solo indipendentemente dalle condizioni contestuali di produzione, ma
anche indefinitamente ripetibile, analizzabile, per sempre fissata.
Contingenza (dell'invenzione momentanea) e necessità (della
permanenza reiterabile) si intrecciano e convergono in uno spazio
liminare capace di proiettarsi sulla letteraria relazione tra scrittura e
testo. Trasformando la suggestiva lettura wagneriana di Shakespeare,
maestro dell'improvvisazione scritta, in un programmatico orizzonte
poetico, transustanziando le suggestioni di Novalis, in un efficace modello
metaforico, ripensando la dialettica proposta da Jean Paul tra fluidità della
percezione e nascondimento delle strutture coesive profonde, l'esperienza
del jazz, dell'esecuzione come composizione, si metabolizza (al solito)
primariamente come elemento tematico: in emblema, l'ascolto-epifania
per il nauseato Roquetin- di Some of these days, conclude l'inaugurale
romanzo sartriano prebellico sulla nascita/legittimazione di una vocazione
letteraria, proprio entro la drammaturgia della contingenza che la musica
(maestra di formazione) rappresenta contro le antiche tragedie della
necessità. Una più estesa esplorazione narrativa dell'esperienza jazz come
metafisica del momento, rivendicazione della forma come dialettica senza
sintesi tra libertà e costrizione, è nel Persecutore di Julio Cortázar,
riscrittura sub specie jazz del Doktor Faustus di Thomas Mann (l'ebbrezza
estetica, tra paure e deliri verso l'avvilente fine di Johnny (pseudonimo
per Charlie Parker)/Adrian Leverkühn raccontata dall'amico giornalista -
perseguitato dall'ombra devastante del genio - la normalità
SerenusZeitblom che tenta di rendersi interprete dell'eccezione
esistenziale rappresentata dal genio).
103
vite parellele di musici (Charlie Parker, appunto) e scrittori (Esenin) ; in 171
Cortázar condurrà all'indicazione nel jazz di una musica che non soffre
orgasmi né provoca nostalgie, di una musica che piacerebbe poter definire metafisica,
che respinge ogni facile erotismo, ogni wagnerismo per così dire, per situarsi su un
piano apparentemente disimpegnato dove la musica rimane in assoluta libertà, così
come la pittura sottratta all'impegno rappresentativo rimane libera di essere
esclusivamente pittura. In questa concezione che condividerebbe con Xenakis
l'elogia dell'insensibilità proposto da Kundera, la musica diviene
strumento di (auto)esplorazione, morso nella realtà che sfugge tutti i
giorni, una costruzione infinita il cui piacere non sta nella conclusione bensì nella
reiterazione esploratrice, nell'impiego di facoltà che, senza perdere umanità, lasciano
indietro ciò che è immediatamente umano 172. Diversamente dall'ideologizzazione
del jazz per Sartre - il quale nonostante la formazione musicale, le
competenze teoriche, pur amando, comprendendo, vivendo nella musica non solo
mai tentato di scrivere in musica, ma neppure, pur nel suo noto
poligrafismo, mai intorno ad essa , la faustiana tensione che Cortázar
173
104
rovescio del tappeto, là dove gli stessi fili e gli stessi colori si compongono
altrimenti , ridefinizione di una banale melodia che attraverso lo scarto
175
175 Julio Cortázar, La vuelta al dìa en ochenta mundos, Mexico-Madrid, Siglo XXI, 1967,
poi in: Europe, (Jazz et littérature) 820-821, agosto settembre 1997.
176 Julio Cortázar, Entretiens , op. cit., pp. 222-223.
177 Julio Cortázar, Del racconto breve e dintorni in: I racconti, op. cit., p. 1334.
178 George Perec, Je me souviens du jazz in: Jazz Magazine, 272, février 1979.
"Concernant l'oeuvre de Perec, 'contrainte' est le nom que prend la rhétorique et c'est là
donc, essentiellement, ce que Perec demande au jazz: l'aider à penser ce concept et
cette pratique clé de sa poétique. A penser la possibilité de nouvelles formes. Est-il dès
lors excessif de dire que La vie doit autant à Archie Shepp et Albert Ayler qu'à Larbaud
et Melville?", Y. Séité, Ce que le jazz pense de la littérature in: Europe (Jazz et
littérature ), 820-821, agosto-settembre 1997, p. 19. Riprende (da Cortázar e Perec)
Echenoz (Il se passe quelque chose avec le jazz. Entretien avec Jean Echenoz (Olivier
Bessard-Banqui, c.) in: Europe, cit., p. 200): "saboter pour dilater, c'est une formule
dont je ferais bien mon programme. Ou détruire pour embellir. Créer un maximum
d'obstacles par rapport à une forme fixe pour la déstabiliser, le casser, l'affaiblir, le
torturer mais non dans un but pervers, plutôt pour lui faire faire un quart de tour".
179 George Perec, La chose in: Magazine littéraire, 316, febbraio 1993. E ancora, come
Cortázar applica ai surrealisti il modello jazz che farà presto proprio, Perec legge come
free la veglia linguistica di Joyce.
105
mutano i referenti musicali, cambiano i risultati letterari, ma permane
stabile il loro rapporto, il senso globale dell'adozione del modello.
Così, del jazz, il confronto con lo standard ( une thème devenu classique
indéfiniment repris par toutes sortes de musiciens qui ont trouvé là une unité
melodique, harmonique, séduisante, intéressante, fertile, et chacun va la traiter à sa
façon en le magnifiant et en le sabotant à la fois ) diventato generico modello per
ripensare la scrittura come (postmodernista) gioco con (improvvisazione
su)i generi letterari codificati , come esecuzione deformante trasfigurante
180
gli autori amati , può proporre con più precisione una nuova definizione
181
180 È il caso di Jean Echenoz (op. cit., p. 200, anche per la citazione precedente): "il se
passe en effet quelque chose avec le jazz. Le travail que j'ai pu effectuer à un certain
moment sur les genres a peut-être quelque chose à voir avec le standard ".
181 Analizzando la propria riscrittura teatrale del Neveu de Rameau, Milan Kundera (I
testamenti traditi, Adelphi,1994 (1993) p. 84, p. 93) seguendo la regola che non si
proponeva un adattamento di Diderot, quanto una commedia autonoma, personale
variazione su Diderot, omaggio d'amore a Diderot, il riferimento allo Stravinski
neoclassico (su Pergolesi) di Pulcinella si legge anche (raddoppiando dunque la posta al
gioco della nostra metafora) come originale riformulazione letteraria della musica jazz:
"l'intero repertorio della musica jazz consiste in variazioni su un numero relativamente
limitato di melodie, ed è sempre possibile intravvedere un sorriso che si è intrufolato fra
la melodia originaria e l'elaborazione. I grandi maestri del jazz, che amavano come
Stravinskij l'arte della trascrizione ludica, diedero versioni personali non soltanto dei
vecchi song negri, ma anche di Bach, Mozart, Chopin".
182 Per il Philippe Sollers di Paradis, ad esempio, il riferimento è alla costruzione ritmica
di Lennie Tristano nella sua lorda, ossessiva, insistenza, nella crescita senza remissioni:
"Vous vous rappelez ce que disait Céline dans Guignol's Band : «Le jazz a renversé la
valse, l'impressionisme a tué le 'faux-jour', vous écrirez 'télégraphique' ou vous écrirez
plus de tout» (…) Comment être toujours plus fluide, rapide, et fluide et rapide,
condensation, abréviation, répétition… Ce qui m'intéresse, c'est que la répétition
produise une accumulation de plus en plus intensive, de plus en plus dramatique, où on
sente (…) la liberté relative de convoquer ce qu'on veut, sur la scène. Les citations,
références, peuvent passer, discrètement convoquées, retournées dans l'oreille, dans la
voix, et puis s'en allant. C'est une façon de liquider, de liquider le temps, de liquider le
temps dans l'espace, dans l'espace d'un sujet en train de répéter que le temps,
l'espace, tout ça, c'est une question de répétition à creuser de plus en plus
profondément, jusqu'à ce que quelque chose de tout à fait inouï, comme la pointe du
106
stretta dei tempi, gioco delle citazioni, durate, intreccio di altre voci in
una texture dove la stessa mutazione delle densità diviene articolazione
strutturale, il testo (critico) si rivela percorso dal fremito del momento
germinale, dall'irreversibilità di un'invenzione tutta giocata nel momento.
Il jazz, titolare di un sapere di cui la letteratura voleva rendersi cosciente,
modello di un'oralità (fissata, tracciata e conservata), permette di
ripensare una riflessione critica la cui scrittura recuperi e mantenga la
dimensione orale della conferenza . 183
Il nodo di ritmo e oralità stretto nella scrittura jazz come nuova modalità
di relazionarsi alle forme del passato, di reinventare nel tempo il rapporto
al tempo , si stringe, in primo luogo, al livello microscopico della frase, la
184
sujet, son code génétique, passe", Philippe Sollers, Jazz (entretien avec J-L. Houdebin)
in: 'Tel Quel', n. 80, été 1979, pp. 19-20.
183 Michel Butor, Improvisation da Alphabet d'un apprenti in: Michel Butor. Présentation
et anthologie, Paris, Seghers, 2003, p. 88, ("Les articles de cet alphabet sont des
improvisations que j'aurai corrigées quelque peu").
184 "Ça m'intéresse le coté encyclopédique de Braxton (…) trouver les formes
complètement nouvelles qui soient en même temps encyclopédiques (…) mais pas du
tout sous la forme d'un catalogue de savoir, mais par la prise en charge subjective de
l'histoire, de l'histoire de formes, à chaque instant (…) Joyce se posait cette question
(…) le jazz peut nous montrer, dans sa lumière, que brusquement il y a des gens qui
ont osé prendre une autre forme de pensée, pensée très rigoureuse, très élaborée, sous
la forme NON PAS du savoir, mais d'un désir violent, d'un ETRE LA' de leur corps au
moment meme où il s'exprime. Il faut voir, pour ça, ce qui est arrivé à l'humanité en
tant que rythme, en tant que rapport au temps…", Philippe Sollers, Jazz, op. cit. , p. 17.
185 Louis F. Céline, Lettres à Milton Hindus, in: 'L'Herne', Paris 1972, pp. 115 e 127.
186 Ivi, p. 114 e p. 111.
107
loro notturne peregrinazioni On the road : con il cappello in testa, suonava
sull'onda di un'improvvisazione felicemente liberatoria, una frase che saliva e scendeva,
passando da ii-iah! a un ii-dii-lee-iah! ancora più folle, e strepitava accompagnato dal
rullio di una batteria martoriata dietro cui stava un nero robusto dall'aria brutale, con i
riccioli crespi e il collo taurino, a cui non fregava niente di niente se non castigare i suoi
tamburi, crash, rattle-ti-bum, crash (…) il pianista picchiava sui tasti a dita distese,
negli intervalli in cui il grande tenore prendeva fiato preparandosi a un'altra frase, solo
accordi, accordi da fine del mondo, che facevano rabbrividire il pianoforte, legno, corde
e tutto, boing !187 La descrizione innervata dal pulsare dell'onomatopea che
vorrebbe rendere sulla pagina la corporeità sonora dell'esperienza
percettiva, rivela però, più sottilmente, un'insistenza non casuale di
Kerouac proprio su quella dimensione fraseologica che (nella sua natura
anfibia, pertinente tanto al discorso musicale che a quello letterario)
suggerisce la possibilità che la frase raccontata nel suo salire e scendere
(libertaria incontenibile trascinante conquista dello spazio acustico -, sia
poi rappresentata nella stessa frase che la racconta, in uno unico lungo
respiro, in una stessa costruzione che si vorrebbe fissata nel momento del
suo farsi, senza schemi, preordinamenti, ripensamenti, soprattutto
nell'identica (invocata) capacità di trascinare lettori/ascoltatori in un
vorticoso incantato gorgo emozionale . Scrivere bebop come un sax che
188
187 Jack Kerouac, Il jazz della Beat generation (1949) in: La leggenda di Duluoz, (M.-G.
Castagnone, t.), Milano, Mondadori, 2001 (1995), pp. 272-273.
188 La volontà patetica (forse, in ogni senso) identificativa degli intenti (noi musicisti-noi
scrittori: così intende il plurale) è esplicitamente dichiarata dal vibrante manifesto che il
narratore intona all'uscita della session : "Cerchiamo di trovare nuove frasi, ci
sforziamo, ci dibattiamo, ci agitiamo e suoniamo; di tanto in tanto un grido chiaro e
armonico ci suggerisce un motivo, un pensiero, che forse un giorno o l'altro diventerà
l'unico motivo o pensiero del mondo e darà gioia ai cuori degli uomini. Lo troviamo, lo
perdiamo, lottiamo per ritrovarlo, lo ritroviamo, ridiamo, piangiamo. Piangete per gli
uomini. E' il pathos della gente che ci rattrista, tutti noi, amanti di questo sogno", Jack
Kerouac, Il jazz della Beat generation, op. cit., p. 283.
189 Così Kerouac in un'intervista con Gerald Nicosia pubblicata su 'Paris Review', n. 43,
été 1968.
190 Jack Kerouac,Essentials of Spontaneous Prose in: 'Evergreen Review', n. 5, estate
1958.
108
però storicamente significativa della continuamente invocata metafora
musicale come legittimazione di una volontà (qualunque ne sia il valore e
la concretezza realizzativa) di ripensare su nuove basi, con rinnovate
esigenze la lingua letteraria.
La metafora musicale quindi, spaziata su referenti lontanissimi (da
Beethoven a Charlie Parker il passo è lungo), con esiti traduttivi
paradossalmente (almeno in apparenza) contraddittori (dalla forma
costrizione alla forma improvvisazione), mantiene l'invarianza funzionale
della giustificazione estrinseca della necessità di un rinnovamento
stilistico intrinsecamente letterario.
Alla simile invocazione di un differente sistema linguistico - difesa
dell'apostasia rispetto al proprio -, fa eco una medesima direzionalità nel
trasferimento dall’istanza critica a quella creativa (Céline proietta su
Morand quello che ancora non dice esplicitamente di sé, come Schlegel su
Shakespeare, su Jean Paul che a sua volta lo proietta su Sterne, ciò che
realizzeranno Hoffmann o Tieck…), una stessa progressiva emergenza
(per pubblicità, precisione e dell'estensione realizzativa del modello. Ad
ogni nuova puntata del gioco, ad ogni cambio nel referente o ripresa sotto
nuovo aspetto della volontà di musicalizzare la prosa, l'indicazione si
muove da una pertinenza essenzialmente riservata delle dichiarazioni
(lettere, documenti - così ancora in Celine, come era in Jean Paul),
attraverso la conquista di sedi pubblicistiche (giornali, manifesti: le
interviste di Cortàzar, i frammenti di Novalis), fino a raggiungere la piena
collocazione di un titolo, una prefazione, una rivelativa mise en abîme
(Tieck, Butor). Così, da una definizione a ombrello, generica e ampia al
possibile (il jazz di Céline, la musica strumentale di Tieck) la metafora
muove verso la precisione di concrete declinazioni stilistiche, precise
scelte di repertorio, di sottoclassificazione: è il Beethoven di Hoffmann,
Brentano, sarà il Wagner di Proust, di Joyce, gli elementi fraseologici de
syncope, de coupure, de faux pas, de piège, de rupture, de dissonance così preziosi,
191
191 Jean Echenoz, Entretien in: 'Europe', n. 888, avril 2003, p. 309.
192 Con un divertente anello, questa volta non relativo alle traduzioni di traduzioni dal
musicale al letterario, ma dalla dichiarazione autoriale alla lettura critica, la
musicalizzazione come immaginario jazz che presiede per Jean Echenoz alla scrittura
del suo Au piano da leggersi 'comme on écoute de la musique', permette il
riconoscimento di differenti archetipi morfologici: "Au Piano est moins une pièce en trois
actes (exposition, crise, dénouement) qu'un concert en trois parties (allegro, andante,
allegro vivace) … Dans un art qui est bien celui de la fugue (entendu au double sens du
mot), Jean Echenoz procède à une série de variations (combinaisons rythmiques,
allitérations mélodiques, modulations thématiques). Cette écriture de la spirale définit
un sujet de plus en plus flottant. Les regards thématisent subtilement les
décentrements de l'identité". Solo in conclusione, con sincretismo finale e
contenutisticamente figurale, anche il jazz rientra (ad abundantiam): "entre le même et
l'autre, harmonie classique (cloture de la forme) et improvvisation jazzy (déchirures du
ragtime), Jean Echenoz nous donne une fulgurante interprétation de l'inquiétude qui
saisit l'homme moderne", Christine Jerusalem, La phrase comme destin in: Europe, n.
109
di una crescente precisione nell'indicazione di un definito repertorio (nomi
propri vs nome comune) che la letteratura si impegnerebbe ad eseguire,
la capacità del modello di poser des questions sur la composition des phrases et
leur articulation si innalza verso la concatenazione generale del discorso: a
trovare risposte narrative dove il metaforico si riveli sempre più specifica
novità tecnica (per quanto frustrata nell'effettiva aderenza musicale) che
generica volontà programmatica, il confronto, il corpo a corpo tra modello
e applicazione, si amplia dallo spazio ristretto della frase a quello del testo
complessivo. Significativamente, nelle più notevoli e convincenti
estensioni sulla composizione macroformale della lezione jazzistica, è
proprio la scrittura nera a riappropriarsi (anche in senso politico, oltre che
letterario) di ciò che la cultura afroamericana aveva creato e offerto al
mondo come più irriducibilmente (figuralmente, quasi) proprio. La musica
jazz di Ralph Ellison e Toni Morrison è la musica delle proprie (ritrovate)
origini.
110
Proprio così, Reverendo Bliss, la terra della giungla. Alcuni di noi hanno la pelle chiara
come la tua, ma anche loro vengono dall'Africa.
Dall'Africa, davvero signore?
Dalla devastata madre dei neri, figlio mio
Signore, Tu ci hai portato fuori dall'Africa…
Amen, fuori dalla tenebra che ci era familiare. L'Africa. Ci hanno portato quaggiù da
ogni parte dell'Africa, Reverendo Bliss. E alcuni erano figli e figlie di re pagani…
Alcuni erano re, Daddy Hickman? noi delle giovani generazioni abbiamo inteso bene
quello che hai detto? Alcuni erno parenti di re? Veri re?
Amen! Mi dicono che alcuni erano figli e figlie di re…
…Di re!…
e alcuni erano figli e figlie di guerrieri…
…di guerrieri…
Di guerrieri feroci; e alcuni erano figli e figlie di contadini…
Di contadini africani…
e alcuni di musicisti…
…Musicisti…
Come in una qualsiasi jam-session, i due predicatori-strumenti si
rincorrono, incalzano, gareggiano, improvvisano, variando su uno stesso
tema (quello centrale della cultura nera strappata alla sua patria,
trapiantata sul territorio americano), lo arricchiscono, lo ornano,
diminuiscono, aumentano in una trama di variazioni minimali, sfide
lanciate, raccolte, cellule, frasi proposte da una voce all'altra (dal vecchio
al giovane predicatore… dal sax alla tromba), ancora la punteggiatura (i
céliniani puntini di sospensione) rendere (come sognava Kerouac) la frase
(il suo tempo, il suo confine), quelli del ritmo-respiro. Un ritmo che
costituisce da solo una semantica (nella struttura compositiva, nella
costruzione stilistica si riprende ancora un mito fondatore delle origine gli
antichi tamburi parlanti dei regni africani):
…e ci lasciarono senza una lingua…
…ci tolsero i nostri tamburi parlanti…
…tamburi che parlavano, Daddy hickman? Diteci di questi tamburi parlanti…
tamburi che parlavano come fosse un telegrafo. Tamburi che riuscivano ad arrivare
all'altro capo del paese come il suono di una campana. Tamburi che diffondevano le
notizie quasi prima che accadessero! Tamburi che parlavano con voci altisonanti come
certi uomini imponenti! Tamburi come coscienze o profondi battiti del cuore capaci di
distinguere il bene dal male. Tamburi che annunciavano buone nuove! Tamburi che
diffondevano rapidamente la notizia dei guai in arrivo! Tamburi che ci dicevano il nostro
tempo e il nostro luogo…
quelli sì che erano tamburi, Reverendo Hickman…
…sì, e loro ce li portarono via…
Il procedimento anaforico viene restituito alla sua più pura dimensione
ritmica e musicale, variazione per accumulo e ripetizione, la
frammentazione e reiterazione del materiale minimale, cancella ogni
denotatività alla successione di parole, nella tensione di uno stringersi e
allentarsi delle frasi in percussione, quello che scoppia è il crescendo
travolgente di una inarrestabile progressione emotiva.
L'improvvisazione (il frangersi del discorso in dialogo, antifona che alterna
e sovrappone, imprevedibile mutarsi dell'argomentazione
nell'arrangiamento degli strumenti) persegue una strutturazione dinamica
111
delle emozioni. Strumento di convincimento che esplora e chiama in
causa la dimensione connotativa della conoscenza, il ritmo, di quel tempo
in cui si dispiega e attraverso cui si definisce, offre una profonda
interpretazione semantica, lo rende vettore di una specifica modalità di
interpretazione della realtà.
Il sermone-musica rappresenta una efficace mise-en-abîme di un
romanzo, nel suo insieme, musica (e in questa prospettiva, la sua
incompiutezza - la mancanza di un'organizzazione definitiva ai materiali
redatti - non si motiverebbe in una qualsivoglia aneddoticità biografica
ma rappresenterebbe una costitutiva - e irrisolvibile- apertura della
scrittura all'oralità musicale - inquieta e vibratile tensione di un divenire
compositivo che non possa prescindere (nella determinazione-partitura)
dalla libertà germinale di esecuzione che solo un trascrittore, a posteriori,
possa fissare). Juneteenth è certo libro della vita, libro di una memoria
che da personale si vuole proiezione di un'intera società e cultura (radici,
tradizioni, l'embricamento il sottile -vergognoso, fondante- allacciamento
di bianchitudine e negritudine - questa rothiana macchia umana, questo
punto nevralgico della sofferta, mai raggiunta (auto)coscienza
americana-, l'inesausta lotta tra accettazione e repulsione); ma
soprattutto è libro in cui la forma del confronto memoriale, della parola
come demiurgo emotivo e levatrice temporale non può che esprimersi
nella dichiarata adozione di un procedimento musicale.
Tutto inizia con un attentato: il bianco Senatore Adam Sunraider, durante
uno dei suoi ignobili comizi razzisti, viene colpito da una pallottola
sparatagli da un giovane di colore. Sul letto di ospedale, al suo capezzale,
il bianco Senatore chiama (imprevedibilmente, incomprensibilmente per
tutti i suoi collaboratori) quel misterioso predicatore nero, Alonzo
Hickman, il trombone di Dio, guida spirituale di una Chiesa del Sud giunto
lì a Washington (e non ricevuto) proprio per avvertirlo di un pericolo
incombente. Nel dialogo tra i due, le parole fioriscono antichi celati
legami, forzano la memoria a liberare mondi sopiti - il Senatore ridivenuto
il giovane Bliss, ripercorre la sua strada, le tracce ormai cancellate che
hanno condotto al reazionario corrotto politico dalla comunità nera in cui
Hickman, il leader, lo aveva allevato nella speranza di farne un
predicatore; e su quella stessa strada della memoria anche Hickman è di
nuovo giocatore d'azzardo, jazzista, per tornare finalmente, il religioso
Hickman seduto di fronte al Senatore. Proprio il confronto tra il bianco
ferito e il nero ormai anziano che il romanzo mette in atto (quale sia
l'ordine che si voglia dare alle sezioni), come quello del sermone tra il
bianco bambino e il nero predicatore, abbisogna di un metodo che sia
naturalmente antifonale. Il senatore e il Reverendo Hickman, il piccolo Bliss e Daddy
Hickman. La parte antifonale, o mito dell'Emancipazione, si dipana in ospedale, dove il
Senatore si confessa a Hickman sotto la pressione della sua coscienza, del ricordo e
delle domande di Hickman, e il tutto prende la forma della versione che Bliss ricordava,
contro i resoconti ricchi di locuzioni idiomatiche di Hickman 194. La narrazione si
112
articola in una pluralità di voci, timbri che si alternano, cangiando, in un
gioco in cui è la stessa tipografia a cercare di rendere visivamente,
concretamente i passaggi antifonali delle focalizzazioni , le articolazioni
195
Uno stesso interesse per il jazz come filosofia, come archetipo speculativo
prima che come esito sonoro - per il jazz come documento della
negritudine in quanto forma d'arte autonoma, fuori dalla sfera dei bianchi
- presiede all'immaginazione narrativa di Toni Morrison. Nella dichiarata
esigenza di offrire alla letteratura lo sguardo diverso sul mondo che
possiede la musica afroamericana, non soltanto eco ma epitome stessa di
un'epoca - nel tentativo di tradurre quell'impulso all'improvvisazione che
195 La lezione mallarmeana della tipografia come (disperata) lotta alla linearità della
prosa si presenta nella corsivizzazione dei tratti autodiegetici (pensieri di Hickmann e
dei ricordi Bliss) all'interno dell'eterodiegesi focalizzata in alternanza sulle due voci.
196 E le due connotazione si unificano in una comune origine profondamente religiosa
del procedimento: "un grande leader religioso è un maestro di estasi. Evoca emozioni
che vanno al di là del razionale e sfociano nel mistico. Un musicista jazz fa qualcosa di
simile. Tramite la manipolazione del suono e del ritmo, libera movimenti ed emozioni
che gli consentono di trascendere la realtà quotidiana. In qualità di ex jazzista, il
Reverendo Hickman mette insieme i due ruoli, ed è questa la fonte del suo ruolo guida",
R. Ellison, Note di lavoro, op. cit. p.311.
113
è al tempo stesso esigenza di disciplina, quella severità di invenzione che
produce il respiro di una libertà sfrenata, di riconquistare l'altrove che
incarnava lo spirito della possibilità - nella volontà di riafferrare tutto il già
citato repertorio di più o meno sottili ragioni di letteraria gelosia,
l'adozione della metafora musicale è esibita fin dal titolo, Jazz, di un
romanzo tra i più tesi nella sua concreta applicazione narrativa . Il tema è 197
114
histoire - voire de jouer une histoire - qui ne trouve sa résolution qu'à la fin du livre,
quand l'accord final de jazz tant attendu se prolonge dans le silence de la page
désormais blanche 199.
La struttura a variazioni sul tema, la costruzione per accumulo e
reiterazione, l'evoluzione a spirale contro lo sviluppo rettilineo cui il
linguaggio formale del jazz forza la narrazione permette alla storia di non
evolversi nella consueta direzionalità quanto di scavarsi in profondità
(esplorazione dei suoi segreti recessi, attualizzazione delle inespresse
possibilità), ma soprattutto rimette in opera una identificazione della
forma musicale con la rappresentazione (in uno spazio attanziale
multidimensionale) di una temporalità non lineare. La stessa tensione su
cui si fonda l'estetica jazz tra scoperta di novità (l'improvvisazione) e
consolidamento del già noto (il tema, memorizzato, riaffiorante e
fondante lo slancio dell'invenzione), attraversa l'intreccio dei diversi
frammenti di memoria, ma soprattutto definisce i personaggi proprio nel
loro confronto con l'alterità di un passato ineludibile e continuamente
risorgente. Ogni azione individuale risponde al bruciore di lontane, non
cicatrizzate ferite. Individuali e collettive memorie, soli e tutti, nel loro
reciproco alternarsi e confondersi, permettono alla relazione con il
passato che determina la motivazione personale di estendersi al piano
globale delle relazioni sociali tra i diversi membri della comunità.
L'interpretazione letteraria del jazz configura dunque una filosofia della
storia secondo la quale il futuro non è che variazione sul passato e quindi
la compless(iv)a interazione (degli eventi, dei protagonisti) abbisogna,
per essere compresa, del ricorso a quel medesimo schema compositivo (a
tema e variazione, a improvvisazione su uno standard) che presiede al
suo racconto, all'arrangiamento dell'istanza narrativa. Che così infatti,
dichiara, in conclusione: Avevo la certezza che uno avrebbe ucciso l'altro. Ho
aspettato che così fosse per raccontarlo. Avevo la certezza che sarebbe successo. Che il
passato fosse un disco vecchio, condannato a riproporsi nello stesso solco ormai rotto e
che nulla al mondo sarebbe stato in grado di sollevare il braccio con la puntina (…) li ho
visti insieme, Felice, Joe e Violet, e mi sembravano l'immagine speculare di Dorcas, Joe
e Violet. Ma il narratore che inventa uno sviluppo musicale del racconto per
rappresentare una musicale concezione (del tempo) della storia, non
riesce a concludere come avrebbe pensato, con il ritorno degli eventi su
loro stessi, la perfetta identificazione di Felice e Dorcas, la simmetrica
conclusione sullo sparo viene frustrata sospendendo la trama a
un'impensata apertura: l'improvvisazione sfuggita di mano al leader, il
narratore, dichiara il suo scacco, il completo fallimento. Ed è allora, solo
allora, che decide di rivelare la sua identità. Quella voce che, base
ritmica, fondamento armonico dell'alternanza degli interventi, avevamo
imparato a riconoscere per il timbro specifico dei suoi assoli, le liriche
proteste d'amore alla città, la presentazione dei personaggi, le
rivendicazione delle proprie pretese e dei propri limiti conoscitivi , finisce200
115
pateticamente confidandoci, urlando: che ho amato solo te e voglio che
tu mi ami e me lo dimostri amo le tue dita, le amo quando mi sfiorano, quando mi
toccano. L'io narrante si rivela il libro che abbiamo tenuto fino ad ora fra le
mani e, in questo modo, la nostra metafora musicale accede ad un
ulteriore livello di applicazione. Nel senso che il convenzionale appello al
lettore si ridefinisce nei termini del coinvolgimento ritmico-emotivo tra
esecutore e ascoltatore tipico dell'attiva fruizione jazz , ne viene
201
200 Esempi in ordine sparso: "la conosco quella donna (…) conosco anche il marito (…)
non riesco a dargli torto (…) questa Città mi piace un casino quando guardo le strisce di
erba verde lungo il fiume (…) non ho muscoli, sicché non posso difendermi. Ma so come
prendere le mie precauzioni (…) ho vissuto a lungo, forse troppo, nella mia mente.
Dicono che dovrei uscire di più (…) da quanto ne so (…) le chiamo crepe perché di
questo si trattava (…) mi sembra di avere un'inclinazione, una specie di debole per il
dolore (…) è stato l'amore per la Città a distrarmi e a farmi venire tante idee. Mi ha
fatto credere di poter parlare con la sua voce chiara e forte".
201 "Jazz ne se contente pas de remettre à l'honneur dans l'écrit le modèle d'appel-et-
répons entre des personnages isolés, alénés, et de transposer sur la portée d'un texte
littéraire le ludisme musical du jazz; le roman m'invite aussi à écouter et jouer. Du
coup, lire devient une forme de réplique, et signale que je suis membre (…) de la
communauté, de la famille des joueurs de jazz de Toni Morrison, ou tout simplement
que je me suis laissée recréer par le roman, selon le voeu de l'auteur qui disait (…) -
Narrative is radical, creating us at the very moment it is being created", Florence Martin
Toni Morrison fait du jazz, op. cit., p. 103.
116
Firmian aprì il fortepiano, ripercorse sui tasti la
serata, e le corde vibranti divennero lingue
infuocate del suo petto in tumulto. La cenere a cui
si erano ridotti i fiori della sua gioventù si disperse
e, sotto, rispuntarono alcuni giovani e verdi minuti.
Le note sommersero invece d'un caldo balsamo il
cuore stretto e tumefatto di Natalie, le cui trafitture
s'erano enfiate ma non rimarginate; ora si aprì
dolcemente come se fosse stato inciso, tutte le
pesanti e ardenti lacrime che v'erano racchiuse ne
fluirono a profusione e senza ritegno, e divenne
debole e leggero.
Jean Paul
Setteformaggi
117
nell'anima umana si uniscono michevolmente gioia e dolore, natura e artificio,
innocenza e violenza, scherzo e brivido di terrore, e spesso a un tratto tutte insieme si
dànno le mani; quale arte, meglio della musica, sa rappresentarla, e con significati più
profondi, più ricchi di mistero e più efficaci sa esprimere tali incognite dell'anima ?
Riconoscendo dunque nella libertà della musica quella del nostro mo(n)do
coscienziale, nel suo non dominabile fluire la privilegiata - unica possibile
- rappresentazione (capace di renderne, diremmo, analogicamente il
capriccio), impararne, tradurne la lingua significherebbe, secondo Jean
Paul, cercare di comprendere ciò che solo Dio comprende, parlare parole
come quelle pronunciate, senza poterne capire il senso dagli allievi
sordomuti di Heinecke. Ma soprattutto immaginare una possibile
rappresentazione verbale della dimensione psichica meno vincolata alla
cogenza razionale, alla concatenazione logica. Il sogno della letteratura a
farsi musica non può che concepirsi come eplorazione narrativa della
musica dei sogni.
uomo colto di alternare la musica a tutto ciò che musica non fosse
(significativa tassonomia della realtà culturale) nello stesso modo in cui si
alternano sonno e veglia . L'analogia si può riferire solo alla dinamica
204
203 Il sessantunesimo dei Frammenti e studi in: Novalis, Opera filosofica, op. cit., vol. II,
p. 646.
204 Jean Paul declina invece l'opposizione del tutto internamente alla musica come
dialettica tra dissonanza modulante (sogno) e consonanza cadenzante (veglia): così
infatti nel (celeberrimo e celebrato) sogno su Cristo professante la morte di Dio
(Discorso del Cristo morto che, dall'alto dall'universo, dichiara l'inesistenza di Dio, primo
fiore a conclusione del secondo volumetto di Setteformaggi, op. cit. , pp. 300-307) tra
le tombe scoperchiate in cui rimangono solo i bimbi, tutte le altre ombre impazzate a
sfarfallare la loro disperazione, la chiesa oscilla su e giù per l'impatto di due note
stridenti continue che, dentro, si combattevano tentando invano di confluire in un suono
armonioso; Cristo rivela il supremo dolore dell'inesistenza di Dio, orfano anch'Egli come
i disperati infanti morti che a Lui accorrono, rivelando l'inutile insensatezza della gridata
lacerante dissonanza umana in uno spazio cosmico ad essa sordo: «Gridate pure,
continuate a gridare stridule note, lacerate pure le ombre con le vostra grida perché Lui
non c'è” Lo stridore delle note stonato fatto più violento». Solo il risveglio è il
ristabilimento della perduta armonia quando attorno al sognatore, dalla natura tutta,
sgorghino finalmente note di pace, come di lontani rintocchi vespertini.
118
abbacinante chiarezza Adorno che la controversia se la musica possa
205
119
metamorfica, modulante: simile al caos, il mondo invisibile, voleva d'un
tratto generare tutto, una figura sbocciava sull'altra, da fiori crescevano
alberi, da questi colonne di nuvole in cima alle quali spuntavano facce e
fiori. Ma dal caos si può far emergere una struttura a variazioni di pochi
nuclei semantici fondamentali che liberamente trapassano, si combinano
e sviluppano, un certo metodo dunque dietro la follia, il divenire
imprevedibilmene metamorfico delle figure si fonda sul continuo ritorno
dei temi generatori (come un'improvvisazione, dunque). In questo trionfo
dell'immaginazione creatrice su quella mimetica, venuta
programmaticamente meno con l'instanza rappresentativa, la chiara
indicazione referenziale, la modalità di concatenazione delle sequenze non
soddisfa la domanda di significato. Perchè i tradizionali nessi logici
sostituiti da questo libero fluire, si vorrebbero solo celati, ma solo per chi
non ne possedesse la chiave segreta capace di svelare l'enigma. Si
vorrebbe che il sogno fosse un'allegoria, sostituendo i veri (simbolici)
referenti alle figure misteriose, tutto si chiarirebbe all'improvviso e
incontrovertibilmente. Probabilmente, è proprio questo che vorrebbe Walt
da suo fratello, dopo avergli raccontato questo sogno intricato, il
significato, la sua trasformazione in discorso. Vult, così interrogato,
risponde che gli rivelerà quanto vuole sapere, ma che intanto si distenda
a letto, sereno. Quindi prende il suo flauto e inizia a suonare. Suona
mentre esce dalla stanza, suona mentre scende le scale, suona ancora
lasciando la casa. Walt, rapito, continua ad ascoltare le note che parlano
fuggendo lungo la strada, e non si accorge neppure che con loro è fuggito
suo fratello. Su quella musica e quella sparizione, il romanzo finisce.
Lasciando aperto per Walt (ma soprattutto) per noi il significato del
sogno, l'allegoria si fluidifica, impazzisce (come già si fosse entrati nei
labirinti del Novecento senza uscita). L'esigenza necessaria di un codice
viene elusa in un gesto evasivo (in senso proprio): la flautistica sinfonia
degli addii, interpretata da Vult, chiude senza (volere/sapere?) concludere
(con mossa finale significativamente caratteristica dei romanzi di Jean
Paul). Quelle note però qualche cosa avevano voluto suggerire (Walt in
esse si perde, si appaga), avevano additato un possibile cammino. Che
percorrerà Novalis. Ma non Hegel. Il sogno di Walt, della scrittura di Jean
Paul è un efficace paradigma, modello condensato (quasi una
rappresentazione en abîme). L'insieme di ammirazione stupefatta per la
capacità (volontà) immaginativa e di insoddisfazione per la mancata
coerenza dell'insieme, l'estemporaneità imprevedibile delle associazioni,
un'originalità che precipitando nell'arbitrio lasci indefinito il significato
profondo. Severamente, Hegel censura Jean Paul, nella sua Estetica : le 208
sue combinazioni infatti si vedrebbero spesso non nate dalla forza del
genio ma messe insieme in modo esteriore. In una grottesca parodia
ironizza l'amico Antonio, sarebbe potuto essere opera soltanto di Lévi-Strauss…, ivi, p.
335).
208 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica (1836-8), (N. Merker, N. Vaccaro, t.),
Torino, Einaudi, 1997 [per le citazioni p. 332, p. 673].
120
dell'enciclopedismo dei lumi (l'eredità culturale, rovina la sua marmorea
architettura d'ordine in granelli di sabbia che ragazzi terribili -si
chiameranno JoyceJames, ArbasinoAlberto - modellano in improbabili
castelli che ogni ondata mutila e rinnova), Jean Paul ha guardato, per avere
sempre nuovo materiale, in tutti i libri delle più diverse specie, botanici, giuridici, di
viaggi, filosofici; ciò che lo colpiva, lo annotava, vi aggiungeva quel che gli passava in
quel momento per la mente, e quando si trattava poi di passare all'invenzione, metteva
insieme in modo esteriore le cose più eterogenee: piante brasiliane e l'antica corte di
giustizia dell'Impero. Questo poi è stato lodato particolarmente come originalità o
giustificato come umorismo che autorizza ogni cosa. Ma la vera originalità esclude da sé
proprio un simile arbitrio. Non solo non sarebbe realmente originale un
accostamento casuale senza forza coesiva, ma non c'è neppure niente di
cui sorridere, si acciglia il professore di Norimberga e così però intuisce
sullo scrittore censurato una verità critica più profonda del suo semplice
confinamento alla dimensione umoristica. Rilevando quanto l'interesse
dell'opera di Jean Paul non possa collocarsi nella storia, nel contenuto,
nello svolgersi degli eventi, Hegel (l'acume non offuscato dalla negatività
del giudizio) sottolinea che nel riferire e incatenare una materia arraffata da ogni
zona del mondo e da ogni campo della realtà, l'umoristico torna quasi al simbolico. Non
umoristico ma simbolico per il restare reciprocamente esterni di
significato e forma. Ma soltanto quasi simbolico perché è la semplice
soggettività del poeta che comanda sulla materia come sul significato, disponendoli
in un ordine eterogeneo. Un simulacro del simbolico (noi lo avevamo
chiamato un'allegoria fluida - o impazzita): l'evocazione di un'ulteriorità di
senso rispetto alla letteralità delle sequenze materiali non si fonda su un
definito, oggettivo (benché estrinseco alla materia) codice semantico. Si
genera il fantasma di un significato non incarnato nella sequenza
narrativa né incarnabile in un'alterità figurale, una struttura portatrice di
un senso non saturabile univocamente, non definibile circoscrivibile in una
più o meno complessa operazione dizionariale. Quello che Hegel (sordo
all'arte dei suoni) condanna come arbitrio della soggettività, inane
intemperenza del soggetto a sostituirsi alla comunità, allo Spirito, non è
altro che una modalità di trasferire alla narrativa la dimensione
semantica, specifica dell'astrazione musicale pura (dei puri suoni senza
ausilio del testo) . Quella che Novalis, i romantici, rivendicheranno come
209
121
soltanto come musica lo si può intendere. Godere dell'associazione
fantastica dei suoni (delle immagini) nel loro gioco, sentirne l'intrinseca
coerenza che non abbisogna di ancorarsi ad una consequenzialità logica e
referenziale - impegnarsi in una ricerca di senso che non potrà mai essere
appagata né sopita.
210 Richard Wagner, Musikdrama (1879). Scritti teorici sulla musica, (F. Gallia, t.),
Pordenone, Studio Tesi, 1988, pp. 128-129.
211 Charles Baudelaire, Richard Wagner et Tannhäuser à Paris (1861) in: Oeuvres
complètes, vol. II (C. Pichois, c.), Paris, Gallimard, 1976 [per le citazioni successive, p.
786, p. 802].
122
l'implicazione di intentions mystérieuses et une méthode qui m'étaient inconnues .
Dietro alla gustosa rivendicazione di oggettività ai procedimenti di
contenutizzazione imposti (offerti) al discorso musicale (du côté de chez
Helen), Baudelaire però chiarisce la natura di quel metodo, ne precisa le
intenzioni nella capacità della musica a offrire con la sua presenza, con la
sua costruzione ad echi, improvvisi ritorni, sviluppi e contrasti,
un'interpretazione del testo mitologico, dell'azione drammatica come
articolazione sintattica di simmetrie e varianze. Imponendo alla
percezione del testo la temporalità complessa, riveniente,
dell'elaborazione sinfonica, la messa in musica del libretto, più che una
canonica enfatizzazione espressiva del suo contenuto, offre il potenziale
simbolico della sua trasformazione (transustanziazione) in forma: forçant
notre méditation et notre mémoire à un si costant exercice, arrache, par cela seul,
l'action de la musique au domain des vagus attendrissements et ajoute à ses charmes
quelques-uns des plaisirs de l'esprit (…) il demande une singulière attention du public
(…) ses mélodies sont en quelque sorte des personnifications d'idées ; leur retour
annonce celui des sentiments que les paroles qu'on prononce n'indiquent point
explicitement (…) les situations ou les personnages de quelque importance sont tous
musicalement exprimés par une mélodie qui en devient le constante symbole . La
musica non solo riflette il testo, ma vuole riflettere sul testo (rendendo la
storia struttura, la successione degli eventi, dramma), non raddoppiando
ma contrappuntando il discorso verbale e offrendogli così una sconosciuta
complessità dimensionale, tra voci e orchestra, palcoscenico e fossa, tra
l'intonazione del testo e la sua elaborazione sinfonica si profila una
polarità, irriducibile ad alcuno degli estremi. Il contrappunto dei temi principali
e del poema realizza dunque una sorta di analisi strutturale, poiché per mezzo di
scivolamenti e spostamenti sovrappone alcuni momenti dell'intreccio che altrimenti si
succederebbero soltanto nel tempo. A volte il tema principale musicale, e il poema,
letterario, coincidono; altre volte il tema principale richiama un episodio in rapporto
strutturale con quello a cui si assiste, sia per analogia che per contrasto 212. La
composizione musicale offre all'apprensione della storia una competenza
strutturale (di compresenza e confronto sincronico di elementi, di
esplicitazione delle sotterranee relazioni diacroniche) sconosciuta alla
linearità del poema drammatico. La lezione capitale di Wagner che nella
messa in musica dei miti non attua tanto una scelta tematica, un'opzione
contenutistica quanto una sperimentazione di lettura formale, è un'onda
lunga che attraversando i simbolismi e modernismi arriva a lambire il
lontano continente strutturalista di Lévi-Strauss (quasi un secolo dopo
Baudelaire). La morfologia musicale da Wagner applicata alla
rappresentazione del mito, ne diviene modello per l'indagine critica ( il
confronto con la sonata, la sinfonia, la cantata, il preludio, la fuga, etc. permetteva di
accertare facilmente che in musica erano sorti dei problemi di costruzione analoghi a
quelli sollevati dall'analisi dei miti, e per i quali la musica aveva già inventato delle
soluzioni 213). Così, il lettore in Beethoven di un insostituibile modello per la
212 Claude Lévi-Strauss (con D. Eribon), Da vicino e da lontano. Discutendo con Claude
Lévi-Strauss, (M. Cellerino, t.), Milano, Rizzoli, 1988 p. 241.
213 Claude Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto (A. Bonomi, t.), Milano, Saggiatore, 1990
(1964), p. 31.
123
scrittura drammaturgica, il lettore nella mitologia nibelungica di una
struttura musicale dell'azione, degli eventi, che solo il golfo mistico può
chiaramente esplicitare, rappresentare - il Wagner che nella sapiente
conduzione delle modulazioni conduce la musica di teatro alla
Durchführung di una sinfonia, di una sonata o di un'altra forma circolare,
che con la tecnica del Leitmotiv rivela il grandioso proposito di unificare il
materiale tematico di tutta un'opera e persino di un'intera tetralogia - il
Wagner formalistico, insomma (sarà apprensione schönberghiana il
penetrarne con radicale chiarezza le brahmsiane concezioni
macroorganizzative ), viene letto come possibile modello (forse, della
214
214 "se la preveggenza organizzativa è, nel caso di Brahms, chiamata formalistica, allora
anche l'organizzazione wagneriana dei Leitmotive è formalistica poiché deriva da una
medesima concezione, dalla concezione di chi concepisce tutta un'opera in un solo
attimo creativo e agisce di conseguenza", Arnold Schönberg, Brahms il progressivo in:
Stile e idea, (M. G. Moretti eL. Pestalozza), Milano, Feltrinelli, 1975 (1950), pp. 66-67.
215 Fino al punto di immaginare la trasposizione letteraria, la generalizzazione a
pradiogma concettuale dell'aspetto più strettamente armonico del linguaggio musicale
wagneriano. Il gioco di semantizzazione del cromatismo nell'esito estremo di Lévi-
Strauss (Il crudo e il cotto, op. cit., p. 362), divertito pandant della formalizzazione
musicale dei contenuti: "dietro questa giustapposizione di temi apparentemente
eterocliti si percepisce confusamente all'opera una dialettica tra i grandi e i piccoli
intervalli, o per attingere al linguaggio musicale, due termini confacenti, una dialettica
del cromatico e del diatonico. Tutto avviene come se il pensiero sudamericano,
risolutamente pessimista nella sua ispirazione e diatonico nel suo orientamento,
attribuisse al cromatismo una specie di nequizia originaria, e tale che i grandi intervalli
- indispensabili alla cultura perché essa esista, e alla natura perché essa sia pensabile
per l'uomo - non possono risultare se non dalla distruzione di un continuo primitivo, la
cui potenza si fa sempre sentire nei rari punti in cui esso è sopravvissuto". Fino a
suggerire un'interpretazione etnologica generalizzante del Tristan : "anche la sariga è
un essere cromatico. Del resto non è forse vero che la sariga somministra il veleno ai
suoi seduttori [in uno dei miti] e che essa è veleno negli altri miti dello stesso gruppo?
Non arriveremo a suggerire che Isotta è riducibile a una 'funzione sariga'. Ma il fatto
che l'analisi dei miti sudamericani ci abbia indotti a vedere nel veleno da pesca o da
caccia una variante combinatoria del seduttore, avvelenatore dell'ordine sociale e che,
fra natura e cultura, sia il veleno che il seduttore siano apparsi come due modalità del
regno dei piccoli intervalli, sta appunto a convincerci che il filtro d'amore e il filtro di
morte sono intercambiabili per motivi che esulano dalla semplice opportunità, e ci invita
a riflettere sulle cause profonde del cromatismo del Tristano "Ivi, p. 365. Ma la
contenutizzazione del linguaggio armonico ha radici contemporanee allo stesso Wagner
(non da lui direttamente influenzate). Nel 1865 (quattro anni successivo agli entusiasmi
baudelairiani, lo stesso anno della prima del Tristan ), Gerald M. Hopkins scrisse infatti
Sull'origine della bellezza. Un dialogo platonico (in: Dalle foglie della Sibilla. Poesie e
Prose (1863-1888), (V. Papetti, t.), Milano, Rizzoli, 1992, pp. 322-324), usando la
contrapposizione tra diatonico e cromatico cui Wagner lavorava compositivamente come
generale tassonomia estetica (per Lévi-Strauss, lo sarebbe stata concettuale, Wagner
connette esperienze critiche apparentemente incorrelabili): "delle molte distinzioni che
si possono fare tra cose belle, occorre tener presente che ce n'è una (…) tra graduale e
netto. La voglio definire, anche se temo riderai dei termini, una distinzione tra bellezza
124
J'ai tant aimé la Walküre et la conception
wagn[érienne] m'avait tellement frappé, pénétré
que le premier effet de cette action fut de faire
rejeter avec la tristesse de l'impuissance, tout ce
qui était littérature.
Paul Valéry
Cahiers (1942-1943)216
cromatica e diatonica. La scala diatonica, come è noto, non comprende i mezzi toni, la
scala cromatica sì. Naturalmente la scala cromatica, in musica, non è veramente
cromatica. É solo più prossima a una vera scala cromatica di quanto non lo sia la
diatonica. Ma questo si sa. Quindi possiamo ordinare, secondo queste due categorie,
molte forme artificiali: in particolare (…) le forme poetiche che possono appartenere
all'una o all'altra. (…) Mettiamo dunque il parallellismo [concetto comune al paragone di
somiglianza (metafora, similitudine,… ), e di differenza (antitesi, contrasto,…)] nella
categoria della bellezza diatonica. Nella categoria della bellezza cromatica invece si
collocano enfasi, espressione (nel senso che ha in musica), tono, intensità, clima e così
via. Per la precisione, parlo di enfasi ed intensità in modo improprio perché possono
avere anche un modo brusco, nel qual caso vvanno collocati nell'altra categoria. Ma in
questa scienza bambina la terminologia è manchevole. Forse il termine tono o
espressione precisa meglio il campo della bellezza diatonica".
216 Altissimo il numero degli specifici riferimenti wagneriani negli scrigni dei Cahiers ,
Gallimard, Paris, (I vol.: pp. 35, 73, 175, 246, 294, 303, 307, 353, 356, 678, 683, 722,
1106; II vol.: pp. 22, 183, 466, 473, 514, 516, 548, 646, 708, 928-932, 940, 944,
952, 956-9, 962, 968, 970, 977-982, 1047, 1049, 1132, 1221, 1346, 1539).
125
sempre in grado di distinguere (o sciogliere) l'adesione all'immaginario
mitico contenutistico, alle proiezioni superomistiche dall'interpretazione
delle tecniche compositive - fino al ritorno, ultimo, così necessariamente
mediato, all'originale Heimat tedesca. Se questa storia è stata esplorata
in una ricchissima messe di contributi critici volti a disegnare mappe locali
o tracciare più generali sintesi complessive, rimangono ancora alcune
spigolature capaci di suggerire (più che un ritratto del romanzo da opera
d'arte totale) le particolari inflessioni che la sublime gelosia per Wagner
ha imposto alla di(re)zione della nostra metafora.
«Ma, naturalmente, il vero 'briccone' è Wagner. Lui
ha fatto più di chiunque altro, nel XIX secolo, per
confondere le arti (…) di tanto in tanto nella storia
compaiono questi geni terribili, come Wagner, che
scuotono tutte le fonti del pensiero in una volta. Per
un momento è splendido. Certi spruzzi come non ce
n'erano mai stati. Ma poi… un gran mucchio di
fango; e le fonti… il fatto è che oggi comunicano
troppo facilmente l'una con l'altra e nessuna
scorrerà del tutto limpida. Ecco cosa ha fatto
Wagner» (Margaret).
Edward Morgan Forster
Howard's End
126
l'interlocutore Sembrerebbe un'analogia nata estemporaneamente,
trascinata dalle virtù della penna più che dalla sostanza del concetto,
affidata com'è alla dimessa, generica colloquialità della definizione,
qualcosa di simile ai Leitmotive, se non fosse per la successiva secondaria
che elude le precisazioni musicali rinviandole però alle sussidiarie orali
esplicazioni di qualche benintenzionato amico musicista di Bonnet, e così,
con mossa retorica efficacissima, dice senza dire - assicura senza oneri di
prova - una competenza tecnica non occasionale, una conoscenza non
dilettantesca dei principi compositivi del Musikdrama. Il riferimento
dunque non risulta mero, improvvisato artificio esplicativo ma profonda
analogia costitutiva tanto dei procedimenti musicali che di quelli letterari.
Ancora più significativo perché dichiarato in coda all'esplicazione delle
caratteristiche di quello che viene più volte stigmatizzato come
procedimento letterario, quasi a volerne difendere la specificità
disciplinare, la paternità spirituale da un modello (quello musicale) che
funzionerebbe solo estrinsecamente come analogia a posteriori. Si
avverte cioé nella dichiarazione di Zola come un ondeggiamento tra il
dichiarato ricorso all'esteticamente legittimante nome di Wagner e la
sottovalutazione del suo ruolo nella determinazione di un immaginario
scrittoriale che era giunto ad analoghe conclusioni per vie autonome. La
ripetizione come modo di rendere coerente una forma lunga, complessa,
la soluzione sinfonica della frammentazione dell'opera italiana che Wagner
apprende trasfigurando drammaturgicamente la forma di Beethoven, non
era di fatto una scoperta tecnica che potesse considerarsi indipendente,
affrancabile dal modello musicale? (L'impiego della metafora musicale non
risulta -con gli amici di Margaret- del tutto vuota in questo caso,
indicando come propri di un'arte, problemi e soluzioni appartenenti ad
uno spazio comune - l'articolazione di una forma temporale?) Questa
pare la volontà espressa inizialmente dalla disposizione argomentativa
della lettera. Che però tradisce una non espressa (ma ineludibile)
consequenzialità nel passaggio dall'anonima indicazione di sviluppo
quantitativo (la crescita del così letterario procedimento della ripetizione)
all'analogia successiva con le tecniche wagneriane. (Suggeriscono dunque
gli amici di Helen:) se le due proposizioni fossero unite causalmente, la
progressione d'uso delle ripetizioni come collante strutturale risulterebbe
chiarita, motivata dal ricorso all'esperienza maturata musicalmente da
Wagner. Non una tecnica specificamente musicale, dunque, ma un
procedimento di cui una geniale sperimentazione musicale ha dimostrato
le potenzialità strutturali e costruttive stimolando ad una più
generalizzata e cosciente applicazione narrativa. Fino ad arrivare alla
sicurezza con cui Valéry, appena voltato il secolo, sostiene che, per
quanto si possano criticare o sbeffeggiare i Leitmotive (la denominazione
musicale non ha più bisogno di cercare equivalenti letterari) il est
radicalement impossible de concevoir une oeuvre de grandes dimensions sans de tels
secours, qui sont des nécessités 217.
217 Paul Valéry, Cahiers, op. cit., vol. II, p. 1002 (anno del frammento: 1916).
127
In aperta polemica con l'indebita estensione retroattiva della concezione
di Valéry, Leon Guichard, nel suo tentativo di analitica (autore per autore)
valutazione della maggiore o minore metaforicità del ricorso a Wagner
nelle lettere francesi nell'epoca a lui contemporanea, ne critica la vulgata
applicazione già allo Zola della Faute de l'Abbé Mouret, argomentando su
una semplice incompatibilità di date. Il romanzo infatti apparve nel 1875:
qui connaissait alors Wagner? dont on n'avait encore joué en France, à cette date, ni
Tristan ni Le Crépuscule en dehors de quelques initiés dont Zola ne faisait assurément
point partie 218. Anche senza confutare la cogenza di questo protestato
anacronismo con l'articolo (di quattordici anni precedente la pubblicazione
del romanzo contestato) in cui già Baudelaire notava il misterioso metodo
delle melodie ricorrenti, anche relativizzando l'affermazione all'effettiva
competenza musicale di Zola (quella che per Guichard risulta essere
dimostrazione dell'arbitrarietà del ricorso all'analogia wagneriana
potrebbe invece inducare una precisa tappa della coscienza nell'impiego
delle ripetizioni proposto nella lettera a Bonnet. Leitmovica, dunque,
sarebbe la tecnica della Faute non tanto in sé quanto nella prospettiva
unificata (e necessariamente retroattiva) del corpus complessivo dei
Rougon-Macquart quale appare definitivamente compiuto alla data della
lettera, nell'anno 1894. Ma c'è un'altra possibile soluzione al pasticcio
delle date: ipotizzare un referente musicale generico di cui si rilevino
l'efficacia applicativa, le potenzialità strutturali e costruttive attraverso la
forza esemplificativa di uno specifico intramusicale esempio di sviluppo
(lo slancio propulsivo del nome proprio assunto a paradigma). Se è vero
che nella fabbrica dei Rougon, i quaderni preparatori alla stesura dei
romanzi, a proposito de la Curée di pochi anni precedente la Faute,
(privatamente, non analogia d'ausilio esplicativo - rivolta all'esterno - ma
modello di stimolo inventivo - personale) Zola intende il ritorno finale di
alcuni elementi narrativi nel senso delle ripetizioni di frase melodica nello
sviluppo della forma musicale. Wagner e Zola intenderebbero
(musicalmente e narrativamente) lo sviluppo metaforico di uno stesso
procedimento musicale all'elaborazione drammaturgica. Nella maggiore
omogeneità al comune modello musicale di riferimento, nella forza di
penetrazione estetica e fruitiva, la definizione wagneriana del
procedimento si offre efficacemente ad un progressivo rispecchiamento di
Zola (la lettura del sé come altro) che non solo ne estende la volontà e la
consistenza applicativa ma permette anche di dare una chiara definizione,
una istituzionalizzazione tecnica e programmatica, a quello che poteva
agire da principio come timida incerta aspirazione dall'esterno, infine a
considerare la tecnica compositiva musicale dei temi conduttori, un
letterario modello prima ancora che avesse potuto effettivamente agire
come modello sulla letteratura.
128
lo sviluppo recente del Leitmotiv come artificio
letterario è un esempio della reciproca interazione
tra musica e letteratura (…) Esso fu creato dai
musicisti su imitazione del linguaggio verbale,
dando un significato esterno a un gruppo di suoni.
Ma tale gruppo di suoni era, nella maggior parte dei
casi, molto più lungo e di effetto più vasto che non
una singola e normale parola. Soprattutto attirava
su di sé l'attenzione in una maniera che nessuna
parola avrebbe potuto imitare (…) E da quel
momento infatti attirò l'attenzione, venne
riconosciuto, si prestò a una quantità di usi nello
svolgimento della trama, della caratterizzazione e
dell'idea, necessarie alla musica a programma in cui
era usato. Constatando la sua utilità e la sua
versatilità gli scrittori ne mutuarono l'uso dalla
musica creando, a sua imitazione, una frase che
potesse essere riconoscibile e che fosse possibile
utilizzare in modo analogo (…) dunque la musica
non avrebbe potuto sviluppare il Leitmotiv senza
quelle suggestioni precedenti che le venivano dalla
letteratura, e la letteratura non avrebbe potuto
sviluppare il Leitmotiv, in questo nuovo modo,
completamente diverso dalle suggestioni letterarie
originarie senza l'apporto della musica"
Calvin Brown
Musica e letteratura. Una comparazione delle arti
129
d'abord disparate à laquelle les personnages ou les
thèmes reparaissants confèrent une sorte
d'homogénéité rétrospective mais grandiose.
G. Matoré, I. Mecz
Musique et structure romanesque dans la Recherche
du temps perdu
219 Pierre Boulez, Per volontà e per caso. Su Pierre Boulez e sulla musica
contemporanea. Conversazioni con Célestine Deliège, Torino, Einaudi, 1977 (1975), p.
50.
220 Pierre Boulez, Punti di riferimento, (G. Guglielmi, t.), Einaudi, Torino, 1984 (1981),
p. 131.
130
finale fallimento era probabilmente intrinseco al rigore con cui la metafora
musicale si voleva letteralmente applicata all'organizzazione poetica). E
proprio nella nota di redazione all'edizione su 'Cosmopolis', 1897, del
poema, emerge in riferimento allo sforzo de faire de la musique avec des mots
la chiara indicazione del modello: une espèce de leitmotiv général qui se déroule
constitue l'unité du poème: des motifs accessoires viennent se grouper autour de lui . 221
trouva alors rayonnant dans la musique wagnérienne et il se pencha sur elle pour
reconnaître les secrets qu'elle avait dû dérober à la poésie . Se appare quindi chiara
la tentazione rappresentata per un musicista (Boulez) da uno scrittore
(Mallarmé) che sulla scena del suo spirito alla musica aveva guardato
sempre come modello con cui rivaleggiare , più difficile risulta
225
131
attraverso un'assimilazione della sua traduzione letteraria. Il musicista
Boulez ha cioè assimilato la lezione di Wagner non apprendendola
direttamente dall'ascolto, analisi delle sue opere, ma attraverso la lettura
di quegli scrittori (amati modernisti, loro sì, sodali di barricata) che di
Wagner avevano fatto un modello compositivo letterario. Sopra tutti, si
intende, Joyce per il quale scrivere un romanzo significava, lo abbiamo
già detto, scrivere musica, e scrivere musica voleva dire risolvere il
problema dell'unità e coesione dell'opera in una fluente struttura motivica
(a man might eat kidneys in one chapter, suffer from a kidney disease in another and
one of his friends could be kicked in the kidney in another chapter ). Nel 226
132
rondò, cabaletta, stretta, ritornello, pezzo
concertato, son tutte là, schierate in fila dritta per
affermare l'asserto. L'ora di mutare stile
dovrebb'essere venuta, la forma vastamente
raggiunta dalle altre arti dovrebbe pure svolgersi
anche in questo nostro studio (…) ci si muti nome e
fattura, e invece di dire libretto, picciola parola
d'arte convenzionale, si dica e si scriva tragedia.
Arrigo Boito
133
sovrapposizione nell'idea di una modulante successione («Io non voglio
230
risuscitare una forma antica; voglio inventare una forma nuova, obbedendo soltanto al
mio istinto e al genio della stirpe poiché da tempo le tre arti pratiche, la musica, la
poesia e la danza, si sono disgiunte (…) io penso che non sia più possibile fonderle in
una sola struttura ritmica senza togliere a taluna il carattere proprio e dominante omai
acquistato. Concorrendo a un effetto comune e totale, essi rinunziano al loro effetto
particolare e supremo: esse, insomma, appaiono diminuite. Tra le materie atte ad
accogliere il ritmo, la Parola è il fondamento di ogni opera d'arte che tenda alla
perfezione. Stimi tu che nel drama wagneriano sia riconosciuto alla Parola tutto il suo
valore? E non ti sembra che il concetto musicale vi perda la sua purità primitiva,
dipendendo spesso da rappresentazioni estranee al genio della Musica? (…) hai mai
pensato che l'essenza della musica non è nei suoni? (…) essa è nel silenzio che precede
i suoni e nel silenzio che li segue. Il ritmo appare e vive in questi intervalli di silenzio.
Ogni suono e ogni accordo svegliano nel silenzio che li precede e che li segue una voce
che non può essere udita se non dal nostro spirito (…) imagina l'intervallo tra due
sinfonie sceniche in cui tutti i motivi concorrano ad esprimere l'essenza interiore dei
caratteri che lottano nel drama …quel silenzio musicale, in cui palpita il ritmo, è come
l'atmosfera vivente e misteriosa ove soltanto può apparire la parola della poesia pura.
Le persone sembrano quivi emergere dal mare sinfonico come dalla verità stessa del
celato essere che opera in loro (…) La più alta visione non ha alcun valore se non è
manifestata e condensata in forme viventi … io non verso la mia sostanza in impronte
ereditate. La mia opera è d'invenzione totale … E nondimeno … anch'io ho davanti al
mio spirito un'altra opera, compiuta da un creatore formidabile, là, gigantesca, in mezzo
agli uomini ). E dal discorso intellettuale, dall'evocazione della passione di
Kundry e Parsifal, la musica di Wagner, anche solo evocata dalle parole di
un fedele bayreuthiano, tracima la sua estasi sensuale, inonondando
Perdita e Stelio che in un solo intrecciarsi, confondersi di sguardi, come
su un letto di voluttà e di morte, vengono travolti a riprovare i fremiti e
gli spasimi, l'inebriante contrasto di desiderio e orrore, del raccontato
bacio sulla bocca dell'adolescente folle. Fino a sentire risuonare nel
silenzio del cuore la voce dell'amata come una straziante melodia,
scoprire nella sua presenza l'incanto di una melodia infinita (qui nasce
Aubade?). Ma Wagner nel Fuoco non è solo musica, idee, manifesti
estetici, è anche (e soprattutto) concreta presenza fisica: a poca distanza
da Stelio, ospitato al palazzo Vendramin-Calergi, Wagner, stanco, molto
stanco e affranto, Wagner, (l'immagine tornerà continuamente nel
romanzo:) gli occhi cerulei brillanti sotto la fronte vasta, le labbra serrate
sul robusto mento armate di sensualità, di superbia e dispregio, Wagner,
l'uomo, con il suo piccolo corpo incurvato dalla vecchiezza e dalla gloria,
negli occhi di Stelio si solleva, ingigantisce a somiglianza della sua opera,
ad assumere l'aspetto di un dio. Nel romanzo del dilagante fuoco creativo
230 Ma insieme a quello che il protagonista enuncia, si potrebbe accostare quello che,
nella sua struttura, sperimenta il romanzo, nuova e vera, succedanea e alternativa,
derivata e autonoma opera d'arte totale: "potremmo pensare in questo senso che i
romanzi dannunziani sono anche i melodrammi (parole, più musica di parole) in cui il
poeta davvero si riconosce: i testi in cui, col suo pieno consenso, la pagina è partitura di
ogni trasversale e polifonico procedere e l'immagine musicale diventa passepartout ad
ogni vagheggiata abolizione di separatezze", Adriana Guarnieri Corazzol, Sensualità
senza carne. La musica nella vita e nell'opera di d'Annunzio, Bologna, Il Mulino, 1990,
p. 120.
134
(il crogiolo dell'opera da farsi), del devastante fuoco erotico (la brama di
passione, il desiderio incoercibile), c'è la storia di un grande incendio che
dolorosamente si sta spegnendo. Proprio come un vero e proprio tema
conduttore, Wagner riemerge, ritorna, si inabissa nella trama delle
avventure artistico-sentimentali di Stelio. Dopo la notte con la Foscarina,
Effrena getta un mazzo di fiori dinnanzi al portone del Palazzo Vendramin,
come atto di omaggio al sacro cuore malato che lì palpita, come augurio
di salute al Vittorioso, invincibile foss'anche dalla morte. All'improvviso,
un pomeriggio di Novembre, (come nel poema di Tranströmer) un
Wagner vecchio e sofferente, uno straccio che la raffica dovesse portar
via e disperdere, appare appoggiato al parapetto di prua appenando gli
animi di una compagnia fino ad allora palpitante. Stelio, l'amico Daniele
Glauro, notano il malore, si avvicinano, prestano aiuto, portano su le loro
braccia il peso dell'Eroe, fremono al ritmo percepito sotto le mani di quel
sacro cuore malato. Questo evento diviene ricordo più volte citato, alluso,
riassaporato nel riferimento ossessivo agli insondabili misteri, ai segreti
palpitari del cuore ormai stanco e sfinito, alla maschera di morte sempre
meno distaccabile dall'antico volto del compositore. E infine, quando lo
scampanio di San Marco annuncia alla laguna e al mondo, la morte di
Riccardo Wagner, diventa il titolo di merito grazie al quale i giovani
Italiani che avevano sostenuto una sera di novembre l'eroe svenuto
osano chiedere alla vedova, l'onore di trasportare il feretro nella
cerimonia funebre che chiude il romanzo ( Tutti erano fissi all'eletto della Vita e
della Morte. Un infinito sorriso illuminava la faccia dell'eroe proteso: infinito e distante
come l'iride dei ghiacciai, come il bagliore dei mari, come l'alone degli astri. Gli occhi
non potevano sostenerlo; ma i cuori, con una meraviglia e con uno spavento che li
facea religiosi, credettero di ricevere la rivelazione di un segreto divino ). Di questa
stessa morte con cui d'Annunzio inaugura il secolo breve, oltrepassatane
quasi metà, Savinio , ci racconta una più modesta versione. Sostituisce
231
agli occhi estetizzanti del genio amato dalla Foscarina, quelli più
campestri e dialettali di un capostazione in servizio in un paesello veneto
- alle immaginifiche visioni lagunari, all'esaltazione degli animi in estasi
rapiti per quel cuore che il tormento dell'arte ha reso esausto, una figura
carpita da un treno in corsa che dà finalmente il volto (di un signore rosso
di pelo, a naso uncinato e ganascia a scarpa, che regge un libro con la
sinistra e con la destra carezzava un cagnolino) all'enigmatico Vanièr di
cui un telegramma annunciava lo speciale passaggio (alle diciassette e
quindici in un punto). Una figura che non accarezzerà più cani né sfoglierà
libri, nel ritorno successivo del Vaniér con il direttissimo delle
sediciequarantotto, confinato ormai nel furgone di coda dentro una bara.
Conclude Savinio (con un'ironia freccia che non si può non intendere
scoccata al bersagio del sublime d'annunziano) che tanti conoscono a
memoria i Leitmotive della Trilogia: quel modesto funzionario delle FFSS visse e morì
senza sapere chi fosse quale misterioso Vanièr, che ora arrivava e ora ripartiva .
Colpisce però nell'assoluta distanza d'atteggiamento delle due narrazioni,
231 Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, Bompiani, 1984 (1944).
135
nello scontro stilistico e ideologico delle concezioni (dove da un lato si
esalta dall'altro si irride, la ricercatezza che rischia l'autoparodia contro
una parodizzazione non estranea ad una compiaciuta ricercatezza),
l'immagine di Wagner si presta ad una funzionalizzazione ritmica. Come
se la sua sola evocazione forzasse la prosa ad un'elaborazione di tipo
musicale - visto dal ferroviere o dall'esteta, Wagner si transustanzia in
Leitmotiv.
Così in d'Annunzio che già da anni volto all'uso letterario di questa tecnica
musico-drammaturgica (in una lettera al suo traduttore francese, Georges
Hérelle, datata marzo 1892, spiegava il senso della ripetizione di alcuni
gruppi di parole che fossero come motivi dominanti, qualcosa di simile al
Leitmotiv wagneriano) e che avrebbe impegnato i suoi critici alla
catalogazione dei temi conduttori del romanzo, reperiti come in una
partitura , nel Fuoco ne metteva en-abîme la riflessione sulle potenzialità
232
136
progressione emozionale capace di veicolare sul piano dell'adesione
sentimentale i contenuti ideologici del testo.
Con tutt'altre finalità (dicevamo) ma con analoga logica costruttiva,
l'organizzazione dei materiali nell'ibrido aneddotico-saggistico-narrativo di
Savinio. La reinvenzione letteraria della conversazione erudita, vede
(ancora) nella forma musicale il modello elaborativo che tenga insieme la
lieve divagatività delle associazioni. Se infatti seguiamo le articolazioni
macroscopiche del capitolo di Ascolto il tuo cuore città intitolato El Vanièr
in riferimento al citato episodio wagneriano abbiamo una congerie di
spunti, riflessioni, teorizzazioni, frammenti biografici molto largamente
imbastiti sul filo di un'assai poco d'annunziana Venezia (dialetto veneto,
Nietzsche e la pazzia, il museo Poldi Pezzoli, l'odore delle città, il nodo di
odore e amore, palazzo Vendramin, Wagner e il ferroviere, rapporti con
l'Oriente, vecchie affogate, Charlot nel canale, l'incubo della prima visita
di Savinio bambino a Venezia, il crollo del campanile di San Marco, una
visione di Isadora Duncan, il primo nome delle automobili, le cotolette
Lieder ohne Worte,…). Se però guardiamo la struttura più in dettaglio,
noteremo una trama di motivi attraverso cui le modulazione tra i disparati
argomenti del conversare si trasforma in flusso, in infinita melodia. Ad
esempio, il riferimento al dialetto come infanzia della lingua prepara lo
sviluppo successivo di Savinio bambino (si noti come i motivi possano
creare ponti immediatamente modulanti oppure connettere in struttura
momenti lontani dello svolgimento) ; la pazzia di Nietzsche modula
all'attrazione saviniana per la stranezza che si distende nella sezione sul
museo Poldi Pezzoli (sviluppo di un tema introdotto marginalmente nella
sezione precedente così come gli accidentali riferimenti a Milano si
comprenderanno strutturalmente nello sviluppo della sezione conclusiva) ;
l'introduzione di nuove variazioni su Venezia (l'odore di Venezia e, da
questo derivato attraverso il tema di palazzo Vendramin - conduttore a
quello della morte di Wagner - i rapporti di Venezia con l'oriente)
espongono nuovi gruppi tematici alcuni dei quali si svilupperanno tutti
intorno alla loro prima occorrenza, altri torneranno trasversalmente ad
allacciare sezioni successive del testo. L'uso dei motivi più instabile e
trascolorante (nel quale il tema sembra non riuscire a fermarsi, fissarsi in
un argomento principale intorno al quale gli altri funzionino
coloristicamente) rispetto alla determinazione di un nucleo centrale
traduce una dialettica tutta musicale (da Wagner anch'essa reinventata
drammaturgicamente) tra sezioni modulanti e armonicamente stabili.
Sul ricordo del bambino Savinio, la storia del crollo del campanile offre il
materiale per variazioni che pervengono a crescenti livelli di astrazione e
di possibili nuove concatenazioni (attraverso un'elaborazione motivica che
dallo sviluppo delle immagini si estende al gioco di figure di linguaggio).
Con la citazione delle mutazioni urbanistico-concettuali della città di
Venezia, si modula definitivamente al tema tante volte accennato della
chiusa civiltà di Milano. Nell'ideologico rifiuto per l'imposizione
totalitaristica della musica wagneriana (non lascerebbe vuoti),
137
l'interpretazione letteraria che Savinio ne offre (parlandone, eseguendola)
dimostra una comprensione più profonda (della contestazione critica) , 233
138
Marcel pone allora quello di Wagner e mentre le mani si muovono sui
tasti, il pensiero (come farà la narrazione proustiana) ricrea un proprio
sviluppo di motivi, intorno al tema principale, interni all'emergere nella
memoria della grande esperienza musicale: così all'opera di Wagner viene
rivendicata inizialmente la superiore realtà rivedendo quei temi insistenti e
fugaci che visitano un atto e si allontanano soltanto per tornare, e - a volte lontani ,
assopiti, quasi distaccati - sono in altri momenti, pur rimanendo vaghi, così prossimi e
pressanti, così interni, così organici, così viscerali da far pensare, più che alla ripresa
d'un motivo, a quella d'una nevralgia. L'interna composizione motivica (il nome
tecnico viene significativamente omesso per non accentuarne il carattere
premeditato e ipercosciente) di cui si rivendicherà la valenza organica, la
naturale funzione di crescita, aprono l'opera ad una dimensione di
fisiologico sviluppo rilevato fino al paradosso dell'analogia (così sentita)
sintomatico-patologica. Ma proprio in questo modo, la musica acquisisce
una profondità, una capacità di scavo in interiore hominis - rivelazione di
novità allo spirito, conoscenza di quell'essenza qualitativa delle sensazioni d'un
altro in cui nemmeno l'amore per un altro essere ci fa penetrare. In questa
variazione alla domanda sulla verità dell'arte, l'elaborazione dei motivi
musicali e wagneriani permette la sicura rivendicazione di un'arte più
reale della vita.
L'analisi del passo (rispetto alla nostra storia) deve necessariamente
condursi su due fronti diversificati. Da una parte, le riflessioni di Marcel
sull'esperienza estetica wagneriana, rappresentano con singolare
profondità e acume inventivo, una lettura del modello compositivo
wagneriano atta a farsi letteratura (o, meglio, a farsi Proust) . Quanto 235
139
Wagner - i due aspetti, lo abbiamo più volte osservato in questo capitolo,
risultano intricati all'indiscernibile). Marcel infatti intende per
incompletezza un modello auxologico, per il quale l'unità di un'opera
vasta e complessa si acquisti progressivamente attraverso una riflessione,
a posteriori, sulle potenzialità semantiche intrinseche alla struttura nel
suo farsi. L'autocontemplazione artistica del lavoro trae dall'opera una bellezza nuoa,
esterna e superiore ad essa, imponendole retrottivamente un'unità, una grandezza
ch'essa non possiede. Elementi eterogenei per concetto e momento di
composizione giungono a costituire (a costituirsi come) un ciclo, a
scoprire la loro capacità di organizzare una forma attraverso un
retrospettivo ripensamento della forma stessa. Prima del grande movimento
d'orchestra che precede il ritorno di Isotta, è la stessa opera ad attrarre a sé l'aria
semiobliata del flauto di canna di un pastore. E certamente, quanto la progressione
dell'orchestra all'avvicinarsi della nave, impadronendosi di quelle note di flauto, le
trasforma, le associa alla propria ebbrezza, ne spezza il ritmo, ne schiarisce la tonalità,
ne accelera il movimento, ne moltiplica la strumentazione, altrettanto, credo, lo stesso
Wagner quando, scoperta nella propria memoria l'aria del pastore, l'aggregò alla propria
opera dandole tutto il suo significato. La tecnica wagneriana nella lettura di
Proust pur mantenendo il consueto senso di uno strumento di coesione
della macroforma, lo interpreta nel senso di un divenire più che di una
sostanza, di un'euristica della forma come scoperta non come imposizione
(Wagner tira fuori dal cassetto un brano delizioso per farlo entrare, come tema
retrospettivamente necessario, in un'opera alla quale quando l'aveva composto,
nemmeno pensava). Sotto questo aspetto, la lettura wagneriana della forma
beethoveniana come esplicitazione della sua latenza drammaturgico-
narrativa, aumenta la posta in una sua funzionalizzazione
metacompositiva, strumento di riflessione interna all'opera sulle modalità
stesso del suo farsi. Nella definizione (in Wagner attraverso Proust)
dell'opera insieme come composizione di una storia e storia di una
composizione, il portato storicistico del pensiero hegeliano si proietta sulla
costituzione novecentesca dell'opera come (auto)riflessione intorno alle
possibilità e modalità della sua realizzazione. Boulez - che lo ha ricavato
236
236Pierre Boulez, Punti di riferimento, op. cit., [per le citazioni successive pp. 208-209]
237 Jean Jacques Nattiez nel suo saggio su La memoria e l'oblio (Wagner/Proust/Boulez)
(in: Il combattimento di Crono e di Orfeo. Saggi di semiologia musicale applicata ; (F.
Magnani, t.), 2004, pp. 230-237) propone uno stimolante confronto su alcune costanti
(compositive ed ideologiche) presenti nelle opere maggiori dei tre grandi autori:
1. proliferazioni (condivisione di una costante insoddisfazione nei confronti di ogni risultato
provvisoriamente conseguito, desiderio di inglobare ogni singola opera in un'opera più ampia, un
soffio creatore di lunga durata che si traduca in gigantesche proliferazione a partire da nuclei
generatori ristretti, un'infinita ricerca della totalità:
RingRechercheRépons primo abbozzo:
racconto della morte di un eroe che sottintende una storia precedente riassunta nel Prologo dalle
tre Norne. -proliferazione a sinistra di un primo sviluppo di qualche centinaio di battute: negli
abbozzi, le radici dell'intera opera - oltre al resto, le ondulazioni marine su cui si aprirà
140
Ring a una specie di diario musicale ove il compositore riprende continuamente
lo stesso materiale tematico per metterci continuamente a parte delle proprie riflessioni
e del proprio lavoro intorno a queste scelte fondamentali. Quel lavoro sottorraneo
che conduce i primi abbozzi tematici alla realizzazione finale che
Beethoven confina ai suoi quaderni - ad uno stadio anteriore, cioè ad uno
spazio (concettuale e fisico) esterno al confine dell'opera - da Wagner (da
Proust - da Boulez?) viene assunto internamente - rappresentato
all'interno dello svolgimento della forma. Non solo quindi i temi musicali
assumono nelle loro successive modificazioni in corso d'opera, una
specificità di personaggi che si modificano, incontrano, acquistano una
genealogia (la loro proustiana essenza d'être), ma nel movimento di
appropriazione (ridefinizione del senso) di convenzioni drammaturgiche e
teatrali antecedenti (congelate da anteriori consuetudini) - nella sua
copiosa ricchezza capace di modificare la sostanza fissata in partenza in
ogni momento del suo sviluppo a inglobare e assorbire, digerire
trasformando in sua propria materia ogni elemento inizialmente estraneo
- il divenire della struttura musicale racconta sotto ed entro la peripezia
drammatica, la storia compositiva di un'opera (il portare a compimento
germi inizialmente imprevisti, metabolizzare la tradizione scoprendone
sconosciuti potenziali innovativi, ripensare i piani di sviluppo all'interno
dello stesso sviluppo) - forse, con aspirazione più totalizzante, la storia
dell'Opera tout-court (nel senso di una vera e propria Fenomenologia
Rheingold e da cui quasi ogni altro motivo deriverebbe Origine:
il saggio Contre Saint-Beuve, 1908, con anticipo dell'episodio-madelaine
seguito dalla notazione sulle irregolarità del cortile,
-proliferazione a destra, 1912, versione in due volumi,
1913, in tre volumi (l'irruzione di Albertine sbilancia la struttura iniziale)
1919 progetto in cinque tomi
1919-1922 sdoppiamenti e moltiplicazioni sui finali sette volumigenerata da un materiale ridotto
portato ad ogni possibile conseguenza. -prolifera dal centro, espansione a destra
Donauschingen(1981) 20'; Londra (1982) 30';
Torino (1984) 40'
(conserva solo sviluppo iniziale e conclusione). 2. punti di riferimento (per facilitare la
percezione globale di un'opera immensa)
RingRechercheRépons i motivi conduttori guidano l'ascoltatore grazie alla sensazione di
riconoscere qualcosa di già udito, nello stesso tempo creano un mondo complesso di rapporti
obbligandolo a chiedersi quali legami vi siano tra due scene completamente eterogenee
attraversate da un medesimo o da medesimi motivi.fili tematici che s'intrecciano, sciolgono,
richiamano, attraversano le tremila pagine giunti alla fine della quali non si può che rileggere
l'intera opera "colti dal timore din non aver colto delle relazioni dei rinvii o delle preparazioni: il
romanzo una volta terminato, continua per il lettore a proliferare". costitutivi della retorica
compositiva di Répons i suoni prolungati sono mantenuti dal trillo, inviluppi e segnali che
permettono all'ascoltatore di attraversare la giungla delle proliferazioni della serie accordale di
riferimento esposta nelle prime battute. 3. riflessione sulla temporalità (come riflessione
sull'oblio):
RingRechercheRépons Rappresenta l'oblio dell'imperativo estetico nel rapporto allegorico tra
Sigfried (il poeta), Brunhild (la vera musica dell'avvenire), Gutrune (il passato del Grand -
opéra cui si cede solo a causa del filtro di Hagen): voltando le spalle al futuro, è mortale l'oblio di
Brunilde, della melodia infinita mezzo per l'opera di trascendere il Tempo.Fonda un progetto
d'opera sull'oblio del superfluo e la riconquista del Tempo per mezzo della letteratura.pratica
compositiva di un'astrazione selettiva : occorre ispirarsi non (epigonalmente) ad uno stile ma alle
idee (da esso) implicate. Pratica l'oblio volontariamente, ne fa strumento paradossale della sua
lotta contro il Tempo.
141
dello spirito melodrammatico ?). 238
Nella musica certi temi scompaiono
progressivamente in quanto l'autore non sembra più interessato al loro materiale
musicale, dopo averli sacrificati all'aneddoto cui appartenevano; altri, in compenso, in
una situazione iniziale relativamente insignificante, si sviluppano al di fuori di ogni
attendibile proporzione : il compositore sembra averne trovato a posteriori il vero
significato, sembra scoprire via via tutte le potenzialità che erano incluse in certe figure
che gli erano servite in primo tempo da espediente teatrale. E' quanto mai singolare nel
lavoro di Wagner sui molteplici motivi del Ring, la visione retrospettiva dell'autore su se
stesso; egli guarda le parti dell'opera già compiute, e in tal modo conferisce loro una
nuova prospettiva che li carica di un significato completamente diverso.
Se quindi la compiutezza si vuole non data ma progressivamente
raggiunta, l'opera un organismo autotelico, la forma un effetto di
feedback (una profezia estetica del contemporaneo pensiero sistemico?) -
se l'unità rappresenta l'esito di una ricerca più che l'incarnazione di un
progetto - l'unità ulteriore non fittizia - resa cioè paradossalmente reale
proprio dal fatto d'essere ulteriore, scoperta dunque e non imposta, vitale
non logica - genera sull'autore un effetto di manifesta gioia creativa, il
senso di compiacimento per la propria abilità vulcanica. Questa
annotazione conclusiva che modula i pensieri del narratore (e cadenza) al
ritorno della domanda iniziale ( che fosse questa nei grandi artisti adare l'illusione
di un'originalità innata, irriducibile, in apparenza riflesso d'una realtà più che umana, in
effetti prodotto di un'industriosa fatica? Se l'arte non è altro che questo, non è più reale
della vita e io non dovevo avere tanti rimpianti), ci riporta dal fronte dell'analisi
della lettura proustiana di Wagner a quello della struttura wagneriana di
questa lettura. Perché tutto il discorso condotto ad interpretare il concetto
di incompletezza nel senso di un'intima, incoercibile sensibilità della forma
(musicale) al tempo, sembra indirizzato alla conclusiva adozione del
modello wagneriano per la scrittura di Proust. Ma quest'ultimo passo cui
239
142
frasi ricorrenti non esprimerebbero cautele o precauzioni da studioso
quanto piuttosto vere e proprie cadenze da musicisti) , non viene enunciato,
esplicitamente teorizzato, quanto compiuto nella struttura stessa
dell'opera. I pensieri di Marcel seduto al pianoforte in attesa di Albertine, i
suoi ricordi di musica, la modulazione dalla Sonate a Tristan seguono un
andamento melodico di echi, sviluppi e ritorni. La riflessione su Wagner,
cioè, conduce alla necessità di sperimentare la sua tecnica compositiva
per organizzare i materiali di quella riflessione: il modello di embricatura
tra forma e contenuto rappresenta, nel particolare, la struttura generale
della Recherche (la cui storia prepara l'avvento del romanzo che quella
storia racconta) così come il ritorno variato e risorgente di Wagner come
tema conduttore del passo esemplifica il ruolo e la potenzialità costruttive
che elementi tematici possono acquisire in senso strutturale. La musica
della Recherche (da Wagner a Vinteuil) gioca con la doppia possibilità di
immettere nella trama composizioni musicali (capaci di funzionare come
ideogrammi di momenti esistenziali, secondo l'addestramento associativo
proposto da Debenedetti per l'ascolto wagneriano ed estendibile alle
relazioni musicali dei personaggi proustiani: infatti, fissando col sussidio della
poesia e della figurazione drammatica, alcune tra le corrispondenze (univoche, forse;
ma forse soltanto possibili) tra i suoi temi e un attimo un gesto una situazione della
vita - Wagner aveva educato gli uditori a fare di quei temi della sua musica, e poi in
seguito anche dei temi più originali e caratteristici di musiche diverse, altrettanti temi
della loro vita, indissolubilmente legati ai ricorsi di essa 240) e di considerare la
trama stessa come composizione musicale (interpretando cioè
241
240 Giacomo Debenedetti, Saggi (A. Berardinelli, c.), Milano, Mondadori, 1999, p.287.
241 "Wagner est l'aïeul de Vinteuil comme Swann est le père spirituel du narrateur, le
décalage des générations permettant à la fois d'insttuer des identités et de signifier des
différences; mais une autre ressemblance peut être dégagée: celle de Wagner et du
narrateur. Il s'agissait pour Proust d'insinuer qu'il existait une parenthé d'inspiration et
de technique entre Wagner et lui-même", G. Matoré, I. Mecz, Musique et structure
romanesque dans la Recherche du temps perdu, op. cit , pp. 152-153.
143
consiste nel farne modello del ricordo. La forma inventata da Wagner 242
144
afferrare l'ineffabile, contraddittoria realtà dell'universo coscienziale,
cercavano in Wagner la sintassi formale capace di rinnovare
completamente il tradizionale impianto narrativo (affacciato sull'esterno
del mondo, non nei suoi abissi, di memoria o di pensiero). In questa
condivisa considerazione della tecnica musicale come modello
gnoseologico e, quindi, di una scrittura intesa novecentescamente come
avventura di conoscenza, prende corpo in scrittori peraltro molto
differenti la condivisione del sogno di riuscire ad impiantare nel testo
letterario, a riprendere come fondamento narrativo il linguaggio
strutturale wagneriano . 245
145
riprese e rispondenze, ritorni e variazioni, temi affioranti e sommersi,
scambiati e contrapposti, come vedremo nell’ultimo capitolo) sarà la
scena sulla quale si svolgerà l'intera narrazione del Tonio Kröger,
rappresentazione wagneriana di un'azione interiore (o rappresentazione
interiore dell'azione).
2004 quando Antonio Tabucchi pubblica il suo Tristano muore : due 250
146
s'è messo in testa di vivere un grande amore platonico e, come oggetto di
quest'operazione sentimentale ha scelto un'attricetta del varietà, che lo
mena per il naso senza mai smettere di strappargli quattrini, il sogno del
giovane è che lei gli si conceda e lui possa tirarsi indietro per darle prova
di una sublime devozione; invece ogni sera lei lo mette alla porta senza
dargli l'occasione del bel gesto (così lo raccontava Italo Calvino nella
presentazione alla traduzione italiana del libro). Un soldato che ha
combattuto per la libertà del suo Paese, nel suo ultimo mese di agonia,
tra febbri, dolori, visioni e morfine, ripercorre nel frammentario dialogo
con un famoso scrittore, l'avventura della vita che sta abbandonando. Il
riferimento a Wagner è per Dujardin storicamente obbligato ma
curiosamente paradossale la sua applicazione ad un grado zero
drammatico (il linguaggio dell'epos nibelungico si deve adottare a
raccontare un nulla evenemenziale, il più assoluto antieroismo del
protagonista - quasi come se per contrappasso il denso travolgente fiume
wagneriano nello sconfinamento artistico dovesse forzarsi nell'alveo di
una monologante lievità parodico-umoristica (come non fu per d'Annunzio
ma sarà per Savinio) a rendere (parodisticamente, seriamente?) mitico
l'orizzonte più banalmente quotidiano della contemporaneità senza
qualità, la lezione del UlisseSiegfrid joyceano). Inversamente, per la
narrazione di Tabucchi l'evocazione di una prospettiva simbolica
wagneriana alle vicende potrebbe apparire più appropriata da un punto di
vista dei contenuti ma del tutto lontana dall’universo dei possibili referenti
estetici (le orchestre wagneriane ormai soppiantate, lo abbiamo visto,
dagli assoli Charlie Parker). Per questo (seguendo differenti strategie di
autolettura del testo nel testo che analizzeremo di seguito) mentre
Dujardin dichiara nell'esplicita chiarezza di una prefazione, con tutta
l'urgenza di un'istanza storicamente poeticamente condivisa e
condivisibile il suo programma traduttivo, la volontà di appropriazione del
modello wagneriano, in Tabucchi la si sussurra, vi si allude più che non si
confessi apertamente: nel titolo certamente il nome del protagonista,
251
147
(esperienza, esecuzione, vita) e musica come scrittura (conoscenza,
composizione, memoria), si può leggere insieme alla variazione su un
nodo centrale nella riflessione esistenziale su cui ruoto l'agonia del
narratore , anche uno dei paradossi fondanti la musicalizzazione del
252
148
selezione tramite criteri logici di pertinenza (alla ricerca di catene causali
di storia), l'accumulazione di un flusso organizzato intorno al persistere,
dissolversi di elementi minimali percettivo-cognitivi, entro i quali la storia
precipita in vortice, si percorre e ripercorre, frange e ricompone, il
personaggio del tutto assorbito dall'istanza narrativa). La temporalità del
nuovo narratore wagneriano sussume tutta la stratificazione di futuri e
passati e possibili concepiti come progetti e ricordi e sogni, nel suo
presente (insieme, lo notava Tristano, paradossalmente ridondante -
perché organizzato intorno all'ossessivo sviluppo di un materiale
continuamente ritornante - e caotico - perché la violazione delle
economiche concatenazioni evenemenziali risulta una molteplicità di dati
non regimentati-regimentabili). Il presente coscienziale è la partitura in
cui si intrecciano e articolano le differenti voci temporali che facendo
saltare tutte le opposizioni categoriche tra racconto e digressione, tra
pause e storia, tra momento e narrazione - compimento della prospettiva
di Tristram Shandy nel momento in cui si concretizza il progetto musicale
del suo bizzarro canonico? -, scoprono una nuova unità nella direzione del
narratore, nella coesione che offre il ritorno motivico, la loro modulazione
timbrica da uno all'altro piano coscienziale.
Così nel primo capitolo del romanzo di Dujardin sotto le linee vocali della
serotina convenevole conversazione con l'amico Lucien, in orchestra
risuona ripetutamente, prepotente motivo del desiderio, il ricordo del
corpo della sua giovane amante Léa (l'attricetta demimondaine che
promette senza mai concedere i suoi favori con un'arte sottilissima e
quanto mai musicale di attese, ritardi, quanto mai wagneriana di tensione
non mai cadenzante), la percezione di un fiore sul passante diventa
immaginazione dell'abbigliamento per l'appuntamento progettatto,
frammenti della conversazione si ampliano in improvvisi ricordi, si
sviluppano in considerazioni, sogni, si contrappuntano all'infinita melodia
delle percezioni. Come l'orchestra wagneriana , il narratore commenta il
253
149
Valéry scopriva in Wagner. Sotto le parole di Tristan, l'orchestra
wagneriana scava le abissali profondità del desiderio e delle reminiscenza,
sotto le parole di Tristano, il tabucchiano Tristano narratore sprofonda nei
gorghi di un tempo musicale infinitamente suscettibile di espansione e di
contrazione, il suo ultimo transito prende la forma di quella transizione,
oggetto della principale ossessione wagneriana e che (in Wagner, in
Tabucchi) non può concepirsi se non a partire da un materiale dato ma da cui la
fissità sia stata praticamente bandita . Ulteriore ripresa del metodo già
254
150
§3
(seconda partita sull'Aria )
151
loro intrecciata embricatura capace di travolgere le autonomie delle
differenti discipline artistiche quanto di abbattere le specificità dei ruoli
interni all'attività letteraria (con metalinguaggi critici che trascendono in
linguaggi creativi, prospettive analitiche che si rivelano istanze di
poetica), le letture narrative per analogia musicale si raccontano in una
storia la cui complessità temporale (per inversione -attraverso il passato,
si accede al futuro - quanto per salti - imprevedibili contatti, spaesanti
sovrapposizioni tra aree lontane) scopre nella successione cronologica un
aggrovigliarsi di nodi che allacciano estremi distanti del filo, che
confondono ripresa e avanzamento - affascinante labirinto che non si può
percorrere linearmente (ma quale storia poi si può davvero seguire
così?): lo Shakespeare di Novalis e l'improvvisazione di Jean-Paul dentro
il Charlie Parker di Sollers, il Wagner di Mallarmé sotto il Proust di
Boulez… Quasi che la storia di tutte queste letture deformanti (intorno
alla nostra metafora), si articolasse nelle modalità che quelle letture
suggerivano per una narrativa plasmata a immagine e somiglianza della
musica (si sviluppasse in sé l’avventura dell'istanza poetica con la stessa
temporalità narrativa a cicli e spirali, a variazioni e ritorni - con la
temporalità musicale che Wagner aveva proposto come principio di un
nuovo discorso sul racconto).
Ma oltre la considerazione intorno all'ordine temporale delle letture - i
reciproci influssi, contatti, gli epicicli, il ritmo di costanti e varianti, il
viluppo di aneddoticità e permanenze strutturali - rimane ancora la
questione circa lo spazio testuale in cui queste letture si propongono,
dispongono, diffondono. Perché se è chiaro che la sede di
un'interpretazione critica eterologa è abbastanza fissa nella sua
caratterizzazione pubblica, argomentativa e necessariamente esterna al
testo considerato, quando è l'autore stesso ad indicare la metafora
musicale come griglia di lettura per una propria opera, i luoghi (e di
conseguenza le modalità) di cui può avvalersi sono molto più numerosi
(ne abbiamo incrociati alcuni in ordine sparso). La storia allora può
comporsi in tassonomia, il suo spazio multidirezionale, la sua natura di
campo - estendiamo da Valéry l'analogia proposta per Wagner -
intendersi nell'astratta concettualizzazione delle mappe.
Dunque, la lettura musicalizzante si definisce in una dimensione privata
(rivolta ad un pubblico selezionato o postumo, confidata a lettere, a
pagine diaristiche) oppure pubblica. Quella pubblica può presentarsi nella
forma extratestuale delle eteroletture (articoli, saggi, interviste) oppure -
ed è la sua possibilità più stimolante - introiettarsi all'interno dell'opera,
suggerendo la possibilità di applicazione della metafora grazie a strumenti
messi a disposizione dal testo stesso - e da essi, quindi, costitutivamente
indissolubili e irrevocabili.
152
La presentazione autoriale (pre o postfattiva) dell'opera assume certo le
dimensione retorica e formale più assimilabile al discorso critico
extratestuale tuttavia configura tuttavia una dimensione di radicale
specificità la sua possibilità di definire (attraverso la sua collocazione non
revocabile) una lettura come pertinente all'intenzionalità (progettuale
costitutiva) del testo - di dichiarare cioè quella lettura (parte del) Testo,
non iperfetativa, non parassitaria (e quindi non eludibile né trascurabile),
innalzata di statuto rispetto a ogni altra interpretazione possibile. Questa
lettura fascinosamente inscindibile dal suo oggetto può però assumere
due differenti strategie di lettura.
D'Annunzio premette al suo trionfo della morte, 1894, un'articolata
epistola dedicata a Francesco Paolo Michetti, in compagnia del quale
introdurre i lettori al raffinato cenobio intellettuale che dibatte sul destino
della forma romanzo, l'ideale libro di prosa moderno che essendo vario di
suoni e di ritmi come un poema, riunendo nel suo stile le più diverse virtù della parola
scritta - armonizzasse tutte le varietà del conoscimento e tutte le varietà del mistero;
alternasse le precisioni della scienza alle seduzioni del sogno; sembrasse non imitare
ma continuare la natura; libero dai vincoli della favola, portasse infine in sé creata con
tutti i mezzi dell'arte letteraria la particolar vita -sensuale sentimentale intellettuale- di
un essere umano collocato nel centro della vita universa - nel successivo Fuoco, a
sottolineare la significativa mobilità dei confini interni, queste discussioni
slitteranno dalle periferie prefative al centro stesso (cuore palpitante e
insieme generante il romanzo che le accoglie). Il proposito di fare opera
di bellezza e di poesia, impone così alla prosa una profonda vocazione
sinfonica, le chiede di adornarsi con immagini e musiche. Un plurale
rivelativo. Perché d'Annunzio parla certo (pienamente inserito nella
tradizione letteraria italiana) della musica dei fonemi, la musica
dell'acustica rivelazione della parola - quella di una lingua madre così
naturalmente cantante, composta di elementi musicali così varii e così efficaci da
poter gareggiare con la grande orchestra wagneriana nel suggerire ciò che soltanto la
Musica può dire - parla di una scrittura erede accorta dello studio dei ritmi
dell'eloquenza latina, consapevole della virtù suggestiva e commotiva che le
sillabe possiedono oltre il significato ideale (e si cita l'elenco dei grandi
scrittorimusici: dal loro principe Boccaccio, assai dotto orecchio a variar le
cadenze delle sue frasi abundevoli , attraverso le melodie di Firenzuola e il
risuonar delle elette parole di Annibal Caro, fino all'ovvio -insuperabile
punto d'arrivo d'annunziano). Ma c'è pure un'altra musica evocata
dall'epistola, meno apertamente forse, pure ben evidente nell'indicazione
di un modello organicistico e non logico alla struttura narrativa (lo stesso
modello che Webern indicava come cammino verso la nuova musica ),
una crescita (quanto mai musicale) per ritorno di elementi stabili a
intessere l'ordito di motivi avventizi (una composizione per varianti e
costanti, motivi e variazioni), la sostituzione della favola bene composta
(secondo il dettame della Handlung wagneriana) con la mimesi
dell'interiorità (rendere la vita interna nella sua copia e nella sua
153
diversità) . Di tutto questo d'Annunzio, a noi lettori - nello specchio
256
dell'amico Michetti - parla, prima che si sia ancora ascoltata della sinfonia
romanzesca, il gioco dei temi, lo sviluppo strutturale che renda la trama
una forma, la narrazione una composizione . La strategia prolettica
257
determina un'aspettativa che in qualche modo inizia a creare ciò verso cui
si attira (attrae l'attenzione fruitiva), la presentazione anticipata della
lettura intepretativa mira quella lettura insieme a indicare e rendere (più)
reale: il tentativo di immettere nella concreta realizzazione del
programma, la forza persuasiva del manifesto, vuole rendere - nella
memoria di lettura - del tutto indistinguibile la volontà dall’attuazione. In
un vincolo che muta l'esplicazione in cogenza, la futura percezione si
vuole modellare su un modello già presente, organizzare la percezione
intorno ad un'attesa. Si sposta cioè l'attenzione del lettore per
l'organizzazione strutturale dall'autonomo rinvenimento al guidato
riconoscimento di un'organizzazione strutturale (postulata) - dalla
formulazione all'applicazione di un modello interpretativo. Se rispetto alle
istanze formali, un'introduzione analitico-programmatica svolge ruolo
analogo agli antichi prologhi in cui la trama veniva anticipata nei suoi nodi
risolvendo il soddisfatto interesse per il cosa nella stimolata domanda
verso il come, alle antiche conclusive morali (l'esplicitazione del
significato implicito nella storia) si può assimilare (per luogo e funzione)
la lettura posfattiva.
256 "La rete motivica desunta da d'Annunzio (o, meglio, confermatagli e giustificata
teoricamente [secondo il modello che avevamo notato anche per Zola]) dalla scrittura
musicale wagneriana imbraca ora da un capo all'altro la narrazione con il suo gioco di
costanti e varianti, eludendo il tempo narrativo tradizionale". Così sviluppa la lettera
Adriana Guarnieri Corazzol (Sensualità senza carne, op. cit., pp. 151 e 155) che -
scoperta di un'ulteriore dimensione della musicalità dannunziana (non dichiarata ma
solo eseguita) oltre al wagnerismo atletico di contenuti e quello fluidomotivico delle
forme - analizza il celeberrimo passo (capitolo iniziale dell'ultima parte del Trionfo :
esemplificazione fra la più rappresentative e antologizzabili del programma wagneriano)
come "abilissimo pasticcio quale avrebbe potuto realizzare, in ambito operistico, un
intelligente compositore-impresario del XVIII secolo con l'aiuto di un intelligente
librettista; o, se preferiamo, una composizione-parodia, come recupero di ancor più
antiche tecniche di alto artigianato musicale. Il paragrafo può dunque essere
considerato alla stregua di tutti i passi dannunziani analoghi costruiti con materiali di
riporto: musicalità narrativo di un tipo 'inattuale' in quanto restaura una dimensione
musicale artigiana preromantica; eccentrica -ése vogliamo, postmoderna - rispetto al
contemporaneo 'moderno', sia d'annunziano che europeo". Quello che la prefazione
dice, dunque, può anche rappresentare un tentativo di distogliere l'attenzione da quello
che non dice (non solo invitare ad una lettura, ma nasconderne altre): l'autoritratto
dello scrittore d'Annunzio nelle vesti del compositore Wagner, ricopre quello, meno
magnificente, nel costume di un Leonardo Leo.
257 "I temi [suicidio iniziale, zio dell'amante, rumore degli uomini al lavoro, domanda
della madre, musica del mare] servono a legare tra loro i diversi episodi del romanzo
ma ottengono anche lo scopo più importante di rendere costantemente presente al
lettore lo stato d'animo dell'uomo - il fascino ipnotico del suicidio - che rimane
costantemente sullo sfondo, e che in realtà è il vero soggetto del libro", Calvin S.
Brown, Musica e letteratura. Una comparazione delle arti, Lithos, 1996, pp. 324-325.
154
Dopo le pagine narrative del clone (dopo il luttuoso consumarsi degli
eventi), Cortázar conclude il racconto con una Nota sul tema di un re e la
vendetta di un principe. Si esprimono alcuni tratti di poetica - una facilità
ispirativa che abbisogna della rigida griglia di un sistema autoimposto di
regole capaci di creare una specie di euristica alle possibilità inventive
(puro Perec) - per preparare la (stupefacente?) rivelazione di una
struttura musicale soggiacente la narrazione appena terminata: il modello
dell'Offerta musicale di Johann Sebastian Bach (e in particolare la
versione di Millicent Silver per otto strumenti d'epoca, incisa dal London Harpsicord
Ensemble sul disco Saga XID 5237 - la puntigliosità del dettaglio a voler
stimolare (a poter sopportare) un diretto confronto frammento contro
frammento, parola contro nota) viene applicato non solo al punto da
adeguare lo sviluppo di ogni brano ad una precisa forma contrappuntistica
(canone, trio-sonata, fuga canonica,…) ma anche da seguire la
successione proposta nell'esecuzione di riferimento. Come per
l'introduzione d'annunziana, l'assunzione in testo trasforma la natura
della rivelata struttura musicale, da momento compositivo (di privata
pertinenza della fucina autoriale, diciamo di aneddottico contesto della
scoperta) a istanza di lettura (il carico passa al lettore, sostanziale
contesto di giustificazione), ma la sua postumosità rispetto all'oggetto cui
si applica, ne muta il significato. Laddove la premessa d'annunziana
offriva un binario di lettura da cui il testo doveva occuparsi di non
deragliare e il lettore di non dimenticare, rispettando scambi e
precedenze, la nota a narrazione ultimata (che quel modello introduce
retrospettivamente come riorganizzazione di un materiale già strutturato
in qualche aggregato interpretativo), obbliga ad una seconda lettura,
come la soluzione di un poliziesco, la chiave di un indovinello invitano a
ripercorrore (con la memoria o fattivamente) tutti i passi precedenti per
verificarne la pertinenza al modello proposto (imposto): con Gide, è la
rassegnata consapevolezza che i processi possono vincersi solo in appello,
che si scrive solo per essere riletti . 258
155
nella pedanteria di una nota, nella didascalicità di una premessa ? 259
J'aimerais qu'on ne lût pas cette Note ou que parcorue, même on l'oubliaît; elle
apprend, au Lecteur habile, peu de chose situé outre sa pénétration: mais, peut
troubler l'ingénu devant appliquer un regard aux premiers mots du Poème pour que de
suivants, disposés comme il sont, l'amènent aux derniers, le tout sans nouveauté qu'un
espacement de la lecture. Al lettore esperto non servirebbe (per lui, il mistero
del testo può e deve saper essere penetrato dalla sola sensibilità -
l'indicazione di lettura ridondante rispetto alla lettura), al lettore ingenuo
non servirebbe (per lui, il sussidio interpretativo non può che applicare,
meccanico, sterile, un modello estrinseco alla sua percezione dell'opera -
l'indicazione di lettura vuota di un reale oggetto di stessa lettura): la
scettica constazione che Mallarmé rivolge contro (ma significativamente
entro) la sua premessa autolettura Un Coup de Dés jamais n'abolira le
Hasard (e che Wittgenstein ventiquattro anni dopo rivolgerà
all'esposizione di pensiero tout-court nella prefazione al Tractatus –
ancora contro ed entro esso), l'esplicitazione delle regole di un gioco che
si vorrebbe autoevidente sembrerebbe denunciarne una fragilità attuativa
- che, insomma, non se ne possa accorgere un lettore abile, ma solo un
lettore avvertito, di quanto sia determinante per la composizione del
poema l'influence, je sais, étrangère, il modello formativo della Musique
entendue au concert, il tentativo di riappropriarsi letterariamente di quello
che di provenienza musicale, pure alla letteratura sembrava di destino
appartenere, di quanto nell'analogia del nuovo ritmo poetico che
affiancava senza sostituire l'antico verso comme la symphonie, peu à peu, à
côté du chant personnel, non contasse solo o non tanto l'identità del rapporto
storico tra i generi quanto la definizione sinfonica, polifonica
dell'immaginario compositivo.
Ma l'Observation relative au poème, presente (seppur così
problematicamente) nell'Édition préoriginale, pubblicata su ‘Cosmopolis’
nel 1897, non venne riprodotta nelle edizioni successive. Quasi come se il
sentimento di impotenza nei confronti del modello si volesse dimostrare
acquietato – superato - nella coscienza di come nel solitaire tacite concert se
donne, par la lecture, à l'esprit qui regagne, sur une sonorité moindre, la signification:
aucun moyen mental exaltant la symphonie, ne manquera, raréfié et c'est tout -du fait
de la pensée. La Poésie, proche d'idée 260, est Musique, par excellence - ne consent pas
d'infériorité 261. Ma la struttura aperta e relazionale, l'organizzazione musicale
156
prestata (restituita) alla letteratura come sintesi non definitoria ma
coerentizzante un insieme di elementi assolutamente privi di nesso-
récit , i suoi pensieri che non si riescono a concepire esterni, isolabili da
262
262 "Saisie par l'esprit, elle lui propose une règle générale de compréhension, une grille
lui permettant de distinguer la valeur de tel ou tel détail particulier, mais ne figeant
jamais en elle, soutenant au contraire de son architecture toute la mobilité du sens. Or,
de toute évidence, c'est cette puissance d'expressivité structurale que Mallarmé
voudrait faire passer de la musique dans la littérature … les sonorités se dissolvent
directement en songe, mais leur appareil architectural sera récupéré par le langage, qui
devra, avec ses moyens propres, en refabriquer un équivalent. Ces chocs, glissements,
trajectoires, raccourcis relèvent bien d'une géométrie abstraite; mais leur dynamisme
reste pourtant sensible . Ce sont, comme l'écrit merveilleusement Mallarmé, de ces
«motifs qui composent une logique, avec nos fibres»", Jean-Pierre Richard, L'univers
imaginaire de Mallarmé, Paris, Seuil, 1961, pp. 415-416.
263 Stephan Mallarmé, Oeuvres complétes, () p. 883.
157
parts of the same story as you are, you can make a
variation on the theme. But why draw the line at
one novelist inside your novel? Why not a second
inside his? And a third inside the novel of the
second? And so on to infinity …
Aldous Huxley
Point Counter Point
(1928)
158
l'intreccio dei suoi differenti sviluppi, ne osserva (ne ascolta)
narrativamente (attraverso la mediazione di un'istanza narrativa) le
possibilità evolutive, gli esiti molteplici come di differenti linee melodiche
sovrapponibili, ricostituendo in unità musicale l'eterogeneità degli universi
potenziali. Come l'evocazione e applicazione narratoriale della nostra
metaforizzazione costruttiva vuole dunque garantire all'intreccio di
speculazione e narrazione il mezzo di rappresentare la complessità di un
mondo irriducibilmente plurale (nessuna univoca attualizzazione può
risolvere linearmente il suo viluppo di possibilità), l'evocazione di quel
principio costruttivo da parte di personaggi narrati in un universo
narrativo che quel principio applica, trasforma l'opera letteraria in
abbraccio insolubile di potenza e atto (il racconto musicale che in Broch si
legge insieme trattato ontologico, in Gide si propone saggio critico
estetico).
159
narrazione, il romanzo in potenza trasforma il senso della sua
specificazione da filosofico a matematico: la potenza, cioé, si precisa al
quadrato (ma gli esponenti possono crescere), il romanzo, romanzo di un
romanzo (più specificamente, romanzo musicalizzato di un romanzo
musicalizzato).
Il caso più estremo (non più valicabile né per summa - testamentaria -
del raggiungimento né - forse - per limite cronologico - ultimo insomma
nell'epocale e personale acceziona degli straussiani Vier letzte Lieder ) si
legge nei Fratelli d'Italia. Organismo in crescita ventennale fino a
raggiungere la dimensione monstre del 1993, unisce insieme una
congerie di archetipi letterari (dal romanzo di formazione al viaggio in
Italia), masticando e digerendo, irridendo e parodizzando (quello che si
scopre oggetto di un amore postumo se non necrofilo addirittura),
d'annunziando stili e bouvardpecuchetizzando mode e modi culturali, il
romanzo-vita di Arbasino soprattutto si costruisce intorno alla discussione
sulla modalità (e possibilità) di costruirsi. Nella compiuta identificazione
di lettura critica e scrittura narrativa ( grande illusione sklovskiana, applicare alla
'messa a punto' gli stessi strumenti e le stesse tecniche della 'messa a nudo' ),
267
disposte al posto giusto, sistemi di echi, rinvii, richiami ossessivi, rimandi onirici …
Oppure può costituirsi (la lettura critica eterodiretta, il programma
intrinseco per l'opera vagheggiata, l'opera realizzata nel vagheggiarla)
come variazione musicali su opere della tradizione italiana (dal Leopardi
zibaldonante alle dossiane Note azzurre che si introducono funebri e postume, però
267 Alberto Arbasino, Postface 1977 a Fratelli d'Italia, successivamente espunta dalle
edizioni successive del romanzo (à la Mallarmé) e pubblicata come lettura critica
extratestuale in: Certi romanzi, Torino, Einaudi,1977, pp. 206-207 [anche per la
successiva citazione].
268 Alberto Arbasino, Fratelli d'Italia, Milano, Adelphi, 1993, pp. 1275-1276 [per la
citazione successiva p. 1337].
160
come 'gossip' divertenti e narrativi, nell'architettura delle iterazioni strutturali e
tematiche, cioè sinfoniche…).
Di questa potenzialità autoriflessiva - scrittura-lettura - del romanzo ma
anche del suo uso ai fini di una dichiarazione di intenti musicalizzanti,
Gide offre ne Le faux-monnayeurs il modello più consapevolmente
paradigmatico (definitoria e definitiva appropriazione della tecnica fin dal
suo battesimo araldico), l'archetipo imitabile - e imitato . La metafora 269
161
cogente degli ancoranti isomorfismi riflessivi (gli specchi interni si
permettono di contemplare l'opera come dal suo esterno), riesce (rispetto
all'efficacia dell'indicazione di lettura) a non pagare il prezzo di un
indebolimento epistemologico - nel cambio voce dalla prospettiva di
indiscutibile autorevolezza, autofondata e legittimante (la dichiarazione
d'autore) alla revocabile, relativizzabile, strutturalmente parziale
espressione di personaggio, non garante epistemico ma fenomeno
prodotto dell'universo diegetico.
272 Arbasino (come abbiamo visto) ha certo bene studiato (e appreso) la lezione.
162
Dostoevskij, scrittore coscientemente polifonico come lo hanno letto
Bachtin e Kundera , non esita egli stesso a mettersi in musica,
273 274
163
due (principali) esso perde tutto il suo succo. Tu capisci che cosa è il passaggio in
musica. Qui è esattamente la stessa cosa. Nel primo capitolo, apparentemente sono
tutte chiacchiere; ma ecco che queste chiacchiere negli ultimi due capitoli si risolvono in
un'improvvisa catastrofe. Questo tipo di dichiarazione (privata extratestuale -
esplicitamente tesa alla autoanalisi di un'opera determinata), entrando
nel testo, nella voce di un personaggio, si nasconde, in
un'apparentemente estrinseca digressione sulla musica - musica amata,
praticata, musica che si vorrebbe comporre, musica ascoltata nelle
emozionali anabasi melodiche di Stradella: (siamo nell'Adolescente, a
parlare è Trisatov) «Sentite, amate la musica? Io l'amo terribilmente. Vi suonerò
qualcosa quando verrò da voi. Suono molto bene il piano e l'ho studiato molto tempo.
L'ho studiato con serietà. Se dovessi comporre un'opera lirica, prenderei il soggetto dal
Faust (… ) penso spesso alla scena nella cattedrale (…) entra Gretchen (…) i cori
tuonano tetri (…) poi, a un tratto, sono la voce del diavolo. É invisibile, non si sente che
il suo canto; s'accompagna agl'inni, quasi si fonde con essi, eppure è qualcosa di
completamente diverso, si potrà farlo sentire in qualche modo (…) poi il canto si fa
sempre più forte e più appassionato, più precipitoso; le note salgono sempre (…)
Stradella ha alcune di queste note - e all'ultima nota il deliquio». Stradella ha
queste note nelle sue cantate o, piuttosto le possiede, nel suo romanzo,
Dostoevskij? La musica che il personaggio sente, immagina o ricorda,
nella transizione dei momenti (il modularsi di un momento, l'improvviso
trascolorare di uno stato emotivo in uno contrapposto), nella pluralità
contrappuntistica (metamorfica variazione del senso melodico ottenuta
con la dissonante aggiunta di altre voci, gioco di identità e differenza di
uno stesso canto), nella travolgente, finale, affannata esplorazione degli
estremi confini dello spazio diastematico con cui la linea melodica diviene
gesto espressivo, lacerante e incontrollabile esplosione emozionale prima
del silenzio, la precisione delle indicazioni rappresenta con una
partecipazione ed un'esattezza che nulla concede al sospetto di casualità,
un modello compositivo, un'indicazione di lettura indubbiamente riferita
da Dostoevskij nello specchio dell'immaginifico Faust di Stradella alla
propria scrittura, al suo progetto romanzesco.
da una tecnica di affabulazione, ma soprattutto da uno stesso tema: quello dei demoni
da cui è posseduto l'uomo quando perde Dio" lo stesso tessuto imitativa si deve cercare
nel kunderiano Libro del riso e dell'oblio, in cui "la coerenza dell'insieme è data
unicamente dall'unità di alcuni temi ( e motivi) con le loro variazioni", "l'esplorazione
progressiva dei temi ha una sua logica, ed è questa a determinare il concatenamento
delle parti [per esempio il tema dello scontro tra uomo e storia, esposto nel primo
capitolo, Le lettere perdute, torna rovesciato nel secondo, La mamma (indifferenza
della mamma tutta intesa alle pere del suo giardino nei confronti dello storico arrivo a
Praga dei carriarmati russi), infine torna a concludere il libro, il tema della storia si
mescola agli altri, della frontiera, della risata diabolica, in un'identitario annichilamento
(storia sesso tragedie: si trasforma in fumo ogni cosa]", Milan Kundera, I testamenti
traditi, Adelphi,1994 (1993), p.172.
164
termini in cui noi dovremmo leggere la costruzione del romanzo).
Generata dall'esplicitazione degli intenti autoriali di Dostoevskij e Broch,
la riflessione kunderiana sulla metafora musicale per la costruzione
narrativa innerva il primo testo teorico dell'esilio francese, l'Arte del
romanzo (scritto a più di vent'anni dalla composizione dello Scherzo). Se
già nel titolo il rinvio al testamento contrappuntistico di Bach non può
passare inosservato, ancora più pregnante risulta in relazione alla
centralità che assume la definizione della concreta applicazione del
modello polifonico alla letteratura - la specificazione delle modalità
traduttive, delle regole e le specie attraverso cui realizzare la partitura
utopica di una simultanea molteplicità di voci entro la dimensione
costitutivamente lineare (la monodicità rigidamente strumentale) del
romanzo. Il contrappunto romanzesco, effetto (non può immaginarsi
diversamente) di un raffinato trompe-l'oreille, può intrecciare idealmente
insieme, fondere in unitaria percezione (mnestica), una pluralità di linee
differenziate che però non risultino divisibilie rimagano omogenee per
spessore e porzione testuale. Perché la tradizionale (dickensiana) pluralità
di storie, la moltiplicazione prospettica del grande romanzo ottocentesco
(si pensi a quanto costitutivamente sfruttata anche da un narratore così
teologicamente onnisciente come quello di Manzoni) si mutino in voci per
una scrittura contrappuntistica, bisogna seguire la doppia regola (desunta
dalla tecnica musicale) che vuole l'eguaglianza quantitativa di differenti
linee e l'indivisibilità dell'insieme (che non significa solo una convergenza
finale). La precettistica di Kundera (quasi nella forma dei tradizionali
trattati di composizione con regole ed esempi commentati). Offre una
lettura critica come prototipo di scrittura. Nello Scherzo, la divisione in
parti segna un cambio di focalizzazione e prospettiva rispetto ai tre
protagonisti del romanzo (nella prima conosciamo pensieri, storie e punti
di vista di Ludvik che ritorna al suo paese natale, molti anni dopo avere in
qualche modo cercato di riappropriarsi di una vita che la frase scherzosa
scritta a una ragazza e strumentalizzata dal partito gli aveva sottratto,
impedendogli di terminare gli studi, rieducandolo come minatore,… ; nella
seconda la prospettiva si sposta sulla sfortunata Helena, giornalista,
amante di Ludvik, con il quale spera di potere mutare la triste realtà della
sua vista, moglie ignara - inconsapevole strumento di vendetta - proprio
dell'uomo che da giovane dirigente del comitato studentesco lo aveva
rovinato; ancora Ludvik, poi, nella quarta parte, a prestarci lo sguardo
sarà Jaroslav, musicista appassionato del folklore ceco, rimasto sempre
nel suo paese natale, spettatore inane del naufragio dei suoi sogni,…). I
destini dei tre personaggi si annodano nella festa folklorica detta
Cavalcata dei re, al paese natale di Ludvik, dal quale Jaroslav non si è
mai allontanato, cui Ludvik torna, accompagnato da Helene. La classica
convergenza delle storie in un solo intreccio, non segna una
monologizzazione prospettica ma la sovrapposizione polifonica delle
focalizzazioni in un'unica sezione, che conclude il romanzo. Le tre linee
(omogenee secondo la norma indicata e costituenti l'invocato insieme non
165
scindibile), si susseguono variando il ritmo delle entrate nella successione
dei paragrafi - (la concezione polifonica perde la sua genericità analogica
per esplorare modelli strutturali di organizzazione della forma) . 275
166
uno stesso motivo unisce le storie del romanzo, una stessa traagica
indistinguibilità del dramma dalla farsa - che la polifonia imitativa
permette di ascoltare nella deflagrante dissonanza delle improvvise,
impreviste affinità di destini differenti e insieme identici. Una musica
meravigliosa e polifonica : ciascuno declamava i suoi versi monotonamente su una sola
voce ma ciascuno su una nota diversa, per cui le voci si fondevano involontariamente in
un accordo; e poi non gridavano tutti insieme, ognuno cominciava a declamare in un
momento diverso, per cui le voci risuonavano da vari punti e separatamente, ricordando
un canone a più voci; una voce era arrivata in fondo, un'altra era a metà e a questa, a
un'altezza diversa già se ne aggiungeva una terza 276. L'ammirato stupore con cui il
personaggio Jaroslav descrive il dipanarsi del canto folklorico rappresenta
pienamente la lettura che la narrazione, sottilmente, ci impone per il
romanzo nel suo insieme.
A Milán.
Salman Rushdie
La terra sotto i suoi piedi
276 Milan Kundera, Lo scherzo, (G. Dierna, t.), Milano, Adelphi, 1986 (1965), pp. 300-
301.
277 Rispetto al discorso che sto conducendo inglobo entro i confini del testo molta di
quella superficie che Genette definirebbe paratestuale. Criterio di demarcazione
risulterà dunque l'intenzione testuale, ciò che per l'autore (della modernità) rappresenta
l'unità segmentabile ma non solubile della sua opera (che non si può fruire priva degli
apparati paratestuali autoriali).
167
infinitesima di testo che l'onere della dimostrazione (decifrazione), si
lascia (lancia) tutto sulle spalle del lettore . 278
tout court (l’omaggio, nel suo gesto così enfatico e potente, rivendica,
prima di argomentarlo, un sostanziale isomorfismo tra il discorso musicale
e quello critico strutturalista - in entrambi un nodo di architetture fuori
tempo e processi temporali, ringrazia per i modelli formali che la
successiva ouverture sottrarrà per organizzare la messe dei suoi dati
apparentemente arbitrari), nella dedica è generalmente in gioco il
riferimento ad una persona attraverso la cui evocazione (più o meno
280
279 La dedica di Lévi-Strauss è insieme epigrafe, seguita infatti in esergo dalla citazione
musicale della melodia di Chabrier, come la dedica intitolata A la musique - Mère du
souvenir et nourrice du rêve, C'est toi qu'il nous plait aujourd'hui d'iinvoquer sous ce
toit!, le parole di Rostand mettono in versi molte delle nostre pagine precedenti. L'uso
di epigrafi musicali era già stato sperimentato sull'onda delle infatuazioni berlioziane da
Joseph d'Ortigue che nel 1836 aveva scelto per il suo romanzo La Sainte Baume dei
frammenti musicali da riprodurre in testa ai capitoli principali.
280 Del quale non ci interessano ovviamente le ragioni biografico-affettive quanto quelle
programmatico-poetiche.
168
Nel 1999 Salman Rushdie pubblica il romanzo Under his feets , moderna 281
(barocca) variazione sulla favola di Orfeo, l'antico mito dello scontro tra
arte (dei suoni) e morte, emozione e temporalità. Per un romanzo che -
ricca, fastosa, ingombrante scatola sonora - contiene (di musica) racconti,
(su musica) riflessioni, (per musica) parole, nella musica narrazioni, la
dedica a Milan Kundera rappresenta certo qualcosa di più significativo
(per noi) rispetto a una dichiarazione di stima intellettuale, all’offerta
creativa per un amico collega. La dedica dell'opera a Kundera funziona qui
come un rinvio bibliografico, - ammiccamento alla sua lettura
musicalizzante il romanzo non solo teoreticamente trattata e (come
abbiamo visto) sperimentata nella propria produzione narrativa, ma letta
e analizzata nello stesso Rushdie (che non l'aveva dichiarata).
Così (legge Kundera nei Satanic Verses una chiara morfologia
musicale ) le tre linee delle vite di Saladin Chamcha e Gibreel
282
Farishta (A), della storia coranica della genesi dell'Islam (B), della
marcia dei pellegrini verso La Mecca (C), vengono riprese
successivamente nelle nove parti del romanzo secondo un ordine in
cui il tema principale ritorna sistematicamente alterandosi con alcuni
temi secondari (A B A C A B A C A), una delle più classiche forme
musicali, un romanzo che si ascolta rondò.
La dedica di Rushdie a Kundera nel suo primo romanzo pubblicato dopo la
lettura musicale dei Verses, sigla un'approvazione della tesi che rilancia
verso una giganteggiante appropriazione del modello: un romanzo-mondo
che della musica fa il suo oggetto - l'ambientazione nell'universo della
musica rock, l'esplorazione della sua mitologia, i suoi codici linguistici, i
modelli antropologici proposti, certo, ma soprattutto l'onnipresenza del
tema di Orfeo (la musica come linguaggio capace di superare le soglie
della morte in tutte le sue riscritture dai primi melodrammi ai sonetti
rilkiani) quasi fosse un cantus firmus al quale ancorare tutta la
complessità di narrazioni presenti, magmaticamente accavallate. Ma
soprattutto un romanzo sinfonico che della musica fa strumenti (ma
ancora si deve declinare al plurale) compositivi:
- la conduzione a temi conduttori che, nel ritorno variato costruiscono il
tessuto della narrazione, ne segnano le articolazioni ritmiche e le
variazioni espressive (il canto, le api, le capre, il mondo secondo, i
terremoti, la fotografia, l'invisibilità,…)
- la forte destrutturazione della fabula in anticipazioni e riprese che gioca
alla sovrapposizione polifonica dei piani temporali e dei livelli di realtà
(travolgendo non solo la memoria e il destino della storia narrata, ma il
169
contesto più ampia della Storia che quella storia circoscrive in cui
risuonano insieme gli archetipi classici, e gli immaginari futuribili, le
antiche mitologie indiane e le moderne icone rock);
- una valenza costruttiva straordinaria della ripetizione che (come nella
sintassi musicale) rende significativi i materiali linguistici in virtù della
struttura e permette di connettere, di scoprire parentele tra gli elementi
in gioco, nei processi di raddoppiamento, identificazione distanziamento,
sovrapposizione ibridazione, (nei quali la risonanza cresce fino al rumore).
Solo in questo spazio partiturale, di relazioni sincroniche e diacroniche, le
singole voci acquistano senso, definiscono il loro timbro, rivendicano la
loro precisa consistenza semantica.
La struttura generale del romanzo (scena iniziale del terremoto, analessi
ricostruttiva delle vicende occorse ai due personaggi centrali Vina e
Ormus - con la mediazione del narratore sempre in bilico tra la
dimensione del testimone e quella del protagonista -, ripresa della scena
iniziale con completamento della vicenda di Ormus) ricalca chiaramente
un'espansa morfologia sonatistica: introduzione, esposizione (tema di
Vina, tema di Ormus, Rai, il narratore costituisce un ponte modulante tra
i due gruppi), sviluppo (la storia di Ormus e Vina si intreccia
sviluppandone i motivi caratteristici), ripresa (dopo la sua sparizione, Vina
- il suo tema, ritorna all'interno di Ormus - come nella piano tonale della
sonata classica, il secondo tema viene trasposto nella tonalità
d'impianto). Ma, operando sulle forme, la stessa strategia della
saturazione indicata per il piano dei contenuti, non uno solo ma numerose
morfologie, oltre la sonata, vengono praticate evocate - dall'ouverture
operistica alla costruzione leitmotivica alla già rilevata fantasia su basso
ostinato (il mito di Orfeo). L'accumulazione dei livelli di realtà (di universi
compresenti) nella storia, il contrappunto di codici che giocano insieme
tutta la mitologia, tutta la contemporaneità, tutta la letteratura, tutto il
mondo, la pervasività esponenziale della nozione di polifonia dalla purezza
rinascimentale (come in Kundera) unione di linee indipendenti ed
equivalenti, diventa (nella sua capacità di operare a tutti i livelli e con
tutti i livelli insieme) una postmoderna polifonia di forme: composizione di
composizioni, intreccio di intrecci. A Milan, tutto questo, alla sua lettura e
ai suoi progetti, Salman con osservanza (e gioco) offre. Nel gesto
infinitesimale di una dedica.
170
In principio, si è detto, era la burla. La metafora musicale per la
composizione letteraria, l'idea di trasferire nell'arte della parola dei
procedimenti morfologici elaborati dall'arte dei suoni, nasce come
stravagante (privata) intuizione di un faceto canonico inglese del XVIII
secolo. Ironicamente, dunque, nasce (e ironicamente viene come
commentato - e commendato), ancora ironicamente si sviluppa. Ma
quando con la folgorante invenzione del primo romanticismo tedesco, nel
travaglio del secolo morente, a vagire è proprio l'immaginario della
contemporaneità, allora il mondo nuovo appare - e non può non apparire
- che sotto le specie di un mondo capovolto: l'ironia, la burla diventano
la vera serietà, principio (metafisico) di approccio al reale, la massima
falstaffiana generalizzata a ineludibile premessa epistemologica. Così, la
soggettività divenuta unico metro di misura, l'obiezione di Tristram
(ammesso pure che Yorick avesse in mente un'idea precisa nell'assegnare
ai suoi sermoni titoli e indicazioni musicali, cosa avrebbero mai potuto
immaginarne i suoi fedeli, ascoltandoli?) viene non tanto confutata,
quanto del tutto delegittimata, privata di pertinenza: non quindi le
realizzazioni interessano - necessariamente, costitutivamente
frammentarie, parziali, provvisorie - ma piuttosto il campo energetico
delle intenzioni, la deformante tensione - non per accidente ma per
statuto mai scioglibile - cui la materia artistica è sottoposta, sforzata, la
volontà d'autore come unica norma mai compiuta. La metaforicità quindi
di una proposta di poetica non è figura che si possa parafrasare (e
dissolvere) nel linguaggio piano, valutandone l'effettiva realizzabilità, ma
si mantiene (anche nei casi più utopici) come linea asindotica di
riferimento, l'alto lontano orizzonte senza il quale nessun paesaggio può
avere senso (e d'altronde, il paradosso non è l'unica via d'accesso alla
verità?). Se quindi noi dei sermoni di Yorick avevamo ricevuto dall'ironica
censura di Tristram solo i titoli e le indicazioni musicali, Johann Ludwig
Tieck, sperimenta (giocosamente - gioiosamente) il contenuto testuale
che quei titoli possa saturare. L'idea semplicemente enunciata in Sterne,
viene così finalmente praticata in una pièce dal titolo paradigmatico
rispetto ai discorsi fino ad ora condotti (die verkehrte Welt) e nella cui
articolazione oltre alla consueta divisione in cinque atti, più un epilogo
(ovviamente -dico, rispetto all'universale capovolgimento- presentato in
apertura), leggiamo quattro interventi musicali. Come delle musiche di
scena (come quelle che l'amico Mendelssohn scriverà per gli strepitosi
allestimenti tieckiani di Shakespeare, di Sofocle). Sinfonia , Adagio in 283
171
facoltà di giudizio sulla kantiana ragionpura), offre a Tieck perspicuo
modello della possibilità di coniugare la profondità delle cose più
profonde con la leggerezza mirabile del gioco (così Tieck - che come
Yorick non amava la gravità - argomentava nei capitoli di teoria musicale
- die Töne-Symphonie - aggiunti alle Phantasien über die Kunst, del suo
grande amico Wackenroder). La musica come paradosso realizzato sfidava
quindi al paradosso al quadrato: rappresentarla privandola del suo
elemento più caratteristico, il suono. A farne parole, frasi, storie. Non
quindi il tradizionale prologo al pubblico, ma (come nel teatro d'opera)
una Sinfonia (il nome italiano per le ouvertures ). E non semplicemente il
titolo generico ma anche, in sottotitolo, l'indicazione agogica Andante e
(udite bene!) di tonalità - in re maggiore. Ulteriormente, il corpo del testo
viene segmentato da successive annotazioni (catalogo pressoché
completo delle tipologie possibili per la paratestualità musicale): rispetto
alle dinamiche (Piano, Crescendo, Fortissimo ), alla successione interna dei
movimenti (Adagio, Tempo primo ), fino all'orchestrazione (Primo violino
solo, Pizzicato con accompagnamento dei violini, Tutti gli strumenti ) con
conclusione ancora sulle dinamiche ( Forte). Come immagina Tieck che il
testo possa rispondere a così differenti sollecitazioni (e così estranee alla
sua specificità)? Nel confuso pandemonio di questa prima provocatoria
sperimentazione, la coerenza tra titolo e testo viene giocata su livelli
molto diversi ed eterogenei, percorrendo in velocità gradi di maggiore o
minore estrinsecità (allentando o stringendo la relazione metaforica e
rendendola, quindi, più o meno pertinente allo sviluppo della nostra
storia). Ma è proprio questa difficoltà nel definire un unico coerente
campo applicativo a risultare significativa rispetto all'inauguralità del
momento in cui (caoticamente, germinalmente) vengono ad affastellarsi,
una sull'altra, come onde di un mare impetuoso, istanze, progettualità,
echi, intuizioni, velleitarismi, derisione e vocazione, brodo di cultura in cui
si ripenseranno su basi nuove le relazioni tra musica e parola (all'interno
e solo all'interno delle quali l'applicazione della musica alla costruzione
letteraria potrà acquistare un senso, maturare delle tecniche. Ouverture
quindi alla commedia di Tieck ma anche (per noi soprattutto) alla nostra.
Andante in re maggiore
Quando ci si vuole divertire, non importa tanto il modo con cui ci si riesce,
quanto il fatto puro e semplice che ci si diverta veramente. La serietà cerca pur
sempre di essere allegra; e se la burla comincia a stufare, ecco che torna a farsi
più grave. Però le cose studiate tradiscono un eccesso di premeditazione un po'
troppo sfacciato e finiscono facilmente per smarrire sia il senso della vera
serietà, sia il piacere della pura allegria.
L'inizio (del testo) mostra tutta la fatica, l'incertezza degli inizi (di un
nuovo immaginario espressivo). Certo questa riflessione è pienamente
attinente al tema dell'opera, rivolge (tradizionalmente) una sorta di
giustificazione teorica agli eventi che seguiranno. Ma l'indicazione di re
maggiore si giustifica evocando (nel neoplatonico ethos delle tonalità)
quell'agognato divertimento di cui si parla e quindi (sottosopra rispetto a
172
quello che ci stavamo aspettando) offrendo una semantica alla sintassi
musicale e non una sintassi musicale alla costruzione narrativa? Oppure è
semplicemente parodia del gesto titolatorio musicale (dove il re maggiore
varrebbe per una qualunque tonalità) e cioè non usciremmo di fatto da
una variante della semplice enunciazione di un gioco (che però non si
riesce – vuole - ancora a giocare) - ancora Sterne, dunque? Forse si può
motivare l'andamento di questo incipit così assennato e didascalico nei
termini di un movimento sospeso tra una certa non mesta vivacità di
argomenti e la pacatezza riflessiva della loro conduzione (non un allegro
non un adagio) ma certo la coerenza argomentativa che bene si addice
alla tradizionale sentenziosità di un prologo classico non si rivela adatta
ad una composizione musicale (la logica che incatena in successione le
parole non é quella che intreccia i suoni in libertà). Ed allora, lo stacco.
Segnalato da un'improvvisa mutazione dinamica, la consapevolezza di
avere imboccato una strada differente induce a un nuovo attacco:
Piano
Ma simili considerazioni fanno parte a buon diritto di una sinfonia? Perché mai il
tutto deve cominciare così gravemente? No e poi no: preferisco che tutti gli
strumenti si mettano a suonare insieme all'improvviso!
Crescendo
Con un po' di raziocinio faccio in modo che la tempesta non si scateni su due
piedi, ma si annunci piano piano, cresca, poi susciti ansia, timore, piacere e, alla
fine, compassione. Laddove altrimenti provocherebbe stupido sbalordimento e
vuoto terrore. É difficile suonare dallo spartito, ma è ancor più complicato
ascoltare da esso, e noi siamo già sottosopra: rimbombino i timpani e squillino
le trombe!
Fortissimo
Ah il trambusto, gli attacchi, la rissa di suoni! Dove correte? Da dove venite? Gli
uni si precipitano trionfando nel più chiassoso impiccio: chi cade è perduto. Gli
altri tornano deboli e feriti, e cercano di consolarsi e rinfrancarsi. Un trottìo
controcorrente di nitriti, un registro d'organo profondo come un tuono tra le
Alpi, un continuo mormorio, un furioso strepito d'acqua gorgogliante che, con la
disperata intenzione di annientarsi, si getta sulle nude rocce e giù, sempre più
giù, precipita verso il fondo del baratro e non riesce a trovare né quiete né pace.
Non più concetti ma parole che nell'atto di descriverla, performativamente
creano una musica ancora irrealizzata (ineseguita nel senso più forte del
termine): inventando, nell'applicazione ad opere immaginarie, il
linguaggio della moderna critica musicale sospesa e continuamente
284
284 Che di lì a poco utilizzerà per ripensare i grandi capolavori beethoveniani, riscoprire
le segrete delizie schubertiane, legittimare le contemporanee conquiste poetiche,
tecniche e formali.
285 Inaugurato del già citato Wackenroder, questo genere musico-letterario conoscerà i
suoi vertici nel Proust critico di Vinteuil, nel Thomas Mann capace di descrivere
verbalmente con tanta precisione le opere del suo Leverkühn da rendere possibile la
loro effettiva trascrizione musicale.
173
(ancora una disillusione delle nostre attese) tra titolo e testo (rematica)
su quella tra il titolo e l'oggetto (in questo caso sonoro) di quel testo
(tematica). Il segnale musicale non ci parla del testo, ma di ciò di cui il
testo parla. Ricominciamo.
Adagio.
Allora? Che stava succedendo per farmi andare dietro a simili pazzie? É tutto già
finito: ciò che prima sembrava così vivace e smosso, giace alle mie spalle ormai
sepolto, senza aver lasciato alcuna traccia all'infuori di questa sfumatura,
intendo quella attuale, che corre incontro al suo tramonto.
Primo tempo.
Tuttavia, resta pur sempre la memoria a trasformarsi di nuovo in presente: devo
ridestarla e riplasmarla in me, al fine di fermare il ciò che Era ed É e quello che
Sarà in un unico incantesimo.
Dopo i movimenti, dopo la dinamica, la strumentazione:
Primo violino solo
Come? Non sarebbe possibile pensare in varie tonalità e comporre in note al suono di
parole e concetti? Oh, allora le cose si metterebbero male per noi artisti: povera lingua,
e ancor più povera musica! Quei pensieri che tradotti in musica galopperebbero verso
tristi stati d'animo, non li state per caso pensando così intellettualmente raffinati al solo
scopo di trovare finalmente un po' di pace? Non accade forse spesso che le angosce
quotidiane si lascino dietro unicamente un cupo brontolio che prima o poi rivive in
qualche melodia? Che cosa contengono i suoni di così chiaro e persuasivo? Accidenti,
signori miei (intendo chi mi ascolta), la maggior parte delle cose sulla faccia della terra
si tocca molto più da vicino di quanto riteniate. Perciò siate cauti, siate ragionevoli! E
non uscite subito fuori dai gangheri non appena vi imbattete in qualche paradosso.
Perché, forse, ciò che così spiacevolmente vi colpisce è solo la sensazione di starvi
avvicinando al polo magnetico; il quale finalmente vi libera dentro di ogni vite e
rondella di ferro: la nave che vi porta alla fine fa naufragio, ma con un po' di speranza e
di fiducia raggiungerete ugualmente la riva dove non avete più bisogno di pezzi di ferro.
Nell'intervento solistico del primo violino, la composizione di parole abdica
dall'istanza rappresentativa per accogliere quella metalinguistica, di
riflettere sul senso e le possibilità dell'effettiva traducibilità di un
immaginario musicale nella lingua del letterario. Le invocazioni alla
musica, la rivendicazione della sua chiarezza, infine la sublime gelosia
insieme al dubbio sulla possibilità di pensare in varie tonalità (Aubade,
dove sei?) trovano approdo in un elogio del paradosso che, così
introdotto, viene instrumentato dalla sezione degli archi
Pizzicato con accompagnamento dei violini
I paradossi sono, del resto, più rari di quanto sia lecito pensare tra la gente
perspicace. Quest'ultima, però, è di gran lunga più rara degli stessi paradossi
e finalmente sfocia in un tutti che, abbraccio finale dell'orchestra al
pubblico, dilaga nel forte che conclude la sinfonia, dove ogni affermazione
si precipita nel suo contrario fino a che, come accordi conclusivi, giungono
le intimazioni al silenzio:
Tutti gli strumenti
É quindi fuor di dubbio che l'assemblea degli stimati spettatori non possa
assolutamente consistere di sole persone intelligenti. Comunque, orchestra e
compagnia si rallegrano al contempo di suonare e recitare di fronte a un
174
pubblico così illustre e illuminato. Bisogna avere unicamente un po' di pazienza,
la principale virtù della vita, senza la quale la vita stessa non è da sopportare.
Forte
É tutto pronto: le decorazioni sono a posto, il suggeritore è sceso nella buca e
altri spettatori non arriveranno di certo. L'attesa è quindi molto viva, la curiosità
diviene ansiosa. Pochi soltanto già pensano al finale e a quando potranno
finalmente esclamare -beh? era poi qualcosa di speciale? Fate attenzione, questo
dovete fare al fine di non capovolgere il tutto. Ma, al contempo, non state troppo
attenti per non vedere e non sentire più di quanto vi si voglia far capire. Fate
attenzione! State però attenti nella maniera giusta. Silenzio! State zitti! State
zitti! Zitti! Zitti!
Se dunque è risultato paradossale il tentativo di fare musica con le
parole, proprio questa sua paradossalità (nome serio della beffa?) risulta
chiave per comprenderne (in prospettiva tieckiana) la necessità (perché è
solo nel paradosso, nave che naufragando ci permette di toccare la riva,
che si accede alla verità- e questo è ancora un paradosso). Ma il
paradosso sembra (ma sembra solo) falso. Dunque, lo scacco (di Yorick)
dovrebbe rivelarsi, alfine, matto (per Tristram). E infatti, se consideriamo
la sinfonia, non più analiticamente nella traduzione corpo a corpo dei
singoli passaggi, non più in quegli aspetti concreti, acustici delle
dinamiche, degli strumenti, ma nella globalità della sua forma, lì leggiamo
quanto di nuovo il modello musicale ha da offrire alla composizione
letteraria. Dicevamo di strade diverse intraprese nel testo, come un
ricominciare, un cambiare registro e non ci accorgevamo che stavamo
trascurando quello che di più eminentemente (e notevolmente) musicale
veniva rappresentato in questi cambi, in queste articolazioni. Poiché la
musica non conosce legami semantici, la sua organizzazione nel tempo si
costruisce sintatticamente nella dialettica di contrasto e identità. Le
sezioni formanti - prive della possibilità referenziali della parola che
agganciano i significati nelle cogenti concatenazioni della logica discorsiva
- acquisiscono un significato intrinseco al sistema che costituiscono,
affatto relazionale ad una combinatoria oppositiva di parametri
(forte/piano, lento/veloce, solo/tutti). In questo modo la sinfonia d'opera
italiana si definiva per l'opposizione di movimenti (il grave introduttivo vs
l'allegro successivo), di tecniche contrappuntistiche (omoritmiche vs
imitative) di presenza/assenza motivica. Ed è proprio l'analogon di questo
gioco costruttivo che Tieck offre alla sua Sinfonia opponendo la lingua del
ragionamento a quella dell'immaginazione, i motivi della musica a quelli
dello spettacolo: descrivendo l'immaginaria musica di scena, divagando
sulla musicalizzazione della parola, dalla successione dei momenti di
brusca interruzione, improvvisa ripresa, sotterraneamente, cercava di
emergere (sinfonia nella Sinfonia), ancora incerta nei suoi esiti, ma sicura
nella sua volontà, una forma musicale come strutturazione del testo. Con
l'effetto (perseguito e certo, questo, pienamente ottenuto) che il criterio
ordinativo prestato, capace di creare, abbiamo detto, una semantica dove
non c'è referenza, entrasse in conflitto con le valenze referenziali
implicate dall'uso dei materiali verbali: che quell'organizzazione per
175
contrasto e riprese, parassitando (e svuotando) quella (attesa,
convenzionale) per catene di significati generasse il senso di una
inquietante compresenza di ordine e disordine, (risibile certo ma
soprattutto rivelativa, mettere sottosopra il mondo unico modo di
percorrerlo, e torniamo al paradosso da cui si era partiti).
286 Rispetto al più noto (anche per la qualità degli esiti) e ripetutamente tracciato
panorama della letteratura wagneriana in Francia e in Europa, il più modesto (ma forse
nella sua maggiore maneggevolezza, teoreticamente più intrigato) capitolo della
letteratura berlioziana è mappato da J-M., Bailbé, L'Époque de Berlioz, un moment du
romantisme in: 'Revue d'histoire littéraire de la France', année 104, n°3, juillet-
septembre 2004.
287 Già nel titolo generale (con un rapporto che verrà mutato d'ordine nei titoli dei
movimenti), la classica consueta indicazione morfologica si accendeva
contenutisticamente nell'attributo seguente -originale, non a posteriori come nei
famigerati esempi beethoveniani- e nella chiarificante esplicitazione programmatica
degli épisodes de la vie d'un artiste .
176
Alphonse Karr (rivendicando la trasfigurazione sensualmente musicale
dell'arte dello scrittore, della sua costruzione di intrigo e sviluppi
psicologici) pubblica nel 1834 il romanzo dal titolo piuttosto sibillino nel
significato ma chiarissimo nelle intenzioni invocate: Fa dièse. Tredici anni
dopo, Jules Janin dimostra il percorso compiuto, l'inversione pienamente
realizzata con il suo Le gâteau des rois, che ha per complemento
l'indicazione di symphonie fantastique. La Francia dell'Ottocento
conoscerà in diversi momenti - fino a farne quasi un genere - questa
tentazione titolistica che la penetrazione non solo europea del movimento
parnassiano e di quello simbolista (nella loro ultima e forse più efficace
appropriazione) lo esporterà dal Brasile di Raimundo Correia (Sinfonias,
1883) alla Russia di Belyj agli Stati Uniti di Aiken.
Dei luoghi in cui la lettura musicale si può dichiarare, il titolo rappresenta
certo quello non solo di massima visibilità ed esplicitazione, ma anche
quello in cui più indipendentemente dall'onere della giustificazione si
sperimenta la forza performativa (proprio nel senso dell'archetipo
battesimale) della pura dichiarazione. Lo stesso Janin sembrava non
avere precisamente in mente come potesse definirsi letterariamente il
riferimento sinfonico del suo titolo : Ici (scriveva nel Prélude al suo
romanzo successivo, 1858) la plume eut grand soin d'expliquer au crayon que ce
titre ingénieux de Symphonie de l'hiver était un prétexte à toutes sortes d'opéras,
d'opéras comiques, de ballets, voir, ô ciel! de vaudevilles en prose, uniquement en
prose, et ce que c'était toute la nouveauté de cette musique où le récit était peu de
chose, où le style était…un pénible effort pour arriver, à peine, à produire autant d'effet
qu'une chansonnette de Mlle Loïsa Puget
Préludes de Symphonie de l'hiver .
Ma, indipendentemente dai risultati - da Janin (che in un'aggiunta
manoscritta all'edizione del suo romanzo berlioziano per un amico,
precisava la tonalità - mib - della sua sinfonia - come in Tieck,
l'imitazione musicale autoparodizzata o presasi sul serio fino al
grottesco ?) fino a Gide, lasciando imprecisato quanto il riferimento
musicale si voglia effettivamente compositivo e non contenutistico
(l'applicazione al contenuto del testo non rappresenterebbe in questo caso
problema), il titolo rimane l'effetto più facilmente sottraibile alla musica
(comunque mossa da compiere, prima e indipendentemente dalla
riflessione di come soddisfarne le promesse attese - lo aveva già
insegnato Yorick) per la sua immediata infraintendibile riconoscibilità. La
musica strumentale aveva infatti codificato con chiarezza e semplicità i
suoi titoli - fino alla rivoluzione dell'arbitrio romantico (inaugurato dal
citato esempio di Berlioz e portato alle sue più esilaranti - conseguenze
dalle provocazioni del mammifero Satie) - nel grado zero della più sobria
indicazione morfologica relativa ad una scelta ristretta e condivisa di
generi e forme (per l'opera complessiva o per i singoli movimenti: sonata
suite fuga concerto sinfonia passacaglia tema e variazioni ) o indicazioni
ritmico-agogiche (da quelle stilizzazione delleantiche danze – di
minuetti e valzer - alle forme avverbiali che uniscono insieme il
riferimento esecutivo alla determinazione dell'impulso temporale - con
177
moto, lento, andante - con l'invocazione di un clima espressivo tanto per
l'interprete che per il fruitore - vivace, con brio, precipitando verso le più
immaginifiche e particolareggiate indicazioni emotive del
romantiscismo ). Problematicamente applicabili alla realtà testuale, i
288
titoli musicali per essere decifrati come tali non hanno però bisogno di
apparati. Con forza proclamano la sublime gelosia di cui parlava Claudel e
che oltre Claudel giunge alla seconda metà del Novecento, attraversando
anche la scrittura letteraria verso la produzione critica (non casualmente
di area francese). Se confrontiamo gli indici di due grandi saggi, uno di
argomento propriamente musicologico apparso nel 2004 e l'altro,
monumento dell'antropologia strutturale contemporanea che nella
musica, come abbiamo già accennato, aveva scoperto generativi modelli
mitografici, pubblicato giusto quarant'anni prima , i titoli delle sezioni ci 289
Nattiez Lévi-Strauss
Preludio Ouverture
I La semiologia musicale
Allegro con brio Parte I Tema e variazioni
La struttura e la negazione del tempo I. Canto Bororo
II Il passato remoto aria dello snidatore d'uccelli, recitativo, prima variazione,
III Boulez strutturalista interludio del discreto, seguito della prima variazione,
IV Gould fuori del tempo seconda variazione, coda
Allegretto II. Variazioni Gé
La tripartizione semiologica e il ritorno di Crono
V Hanslick o le aporie dell'immanenza Parte II
VI Fedeltà, autenticità e giudizio critico I. Sonata delle buone maniere
VII Gould precursore del postmodernismo? II. Sinfonia breve
Intermezzo Primo tempo: Gé
VIII La memoria e l'oblio Secondo tempo: Bororo
Terzo tempo: Tupi
Moderato cantabile Parte III
Wagner e il tempo della creazione I. Fuga dei cinque sensi
IX Le tre Norne e la petite madelaine II. Cantata della sariga
X Tannhäuser nello specchio di Baudelaire a) racconto della sariga
Finale b) aria in rondò
Boulez e il tempo dell'opera c) secondo racconto
XI Répons nell'era postmoderna d) aria finale: il fuoco e
l'acqua
Parte IV L'Astronomia ben temperata
I. Invenzioni a tre voci
II. Doppio canone rovesciato
III. Toccata e fuga
IV. Composizione cromatica
178
II. Concerto d'uccelli
III. Nozze
290Propongo per l'ordinamento degli esempi una tabella a due righe (rispetto alla
genericità dell'indicazione) e due colonne (rispetto alla tipologia musicale prescelta):
applicazione \tipologia__
179
Tralasciando gli esempi di indicazioni agogiche non pertinenti al nostro
discorso o perché non applicati alla composizione del testo quanto a
suggerire indicazioni di performance (intertitoli esecutivi che immaginino
in senso non traslato - torneremo in seguito su questo problema - la
partituralità dell'opera poetica o narrativa) o perché giocati più sul piano
291
180
da Massimo Bontempelli nello sperimentale centone enciclopedico delLa
293
181
ipoteticamente forse - ma del tutto a posteriori, il testo per capire il titolo
più del titolo per capire il testo - una indefinita Stimmung nel modo di
percepire i non-eventi). Proviamo invece a leggere omettendo il
sottotitolo anche solo le prime frasi dei quattri ritratti-miroirs che Jean
294
1
En équilibre entre les démons sordides
qui grouillent dans les recoins des villes
et les anges épais
que leur poids du haut du ciel sombre accélère,
l'Homme s'édifie comme une Tour,
depuis sa base enfouie dans la chaude toison animale jusq'au coup de projecteur de Dieu sur la face
qui regarde.
2.
Je me regarde dans la glace et je vois un objet à peindre.
Un objet dans la lumière du matin.
L'air, autour de cet objet, se répand sans contrainte, agréable et sonore.
3.
Toujours,
toujours à la hate,
à la table volante du monde,
à la ronde,
au reflet d'un rayon comme plume au chapeau,
en passant
j'ai saisi ce seigneur élégant,
vieillassant,
fatigué
qui, pareil
au soleil,
s'exprime en tournant sur la vie.
4.
Le tourbillon!
L'incandescence!
La folie du soleil!
Sur mon front de pierre, les flammèches
les pétales de l'incendie,
la pluie,
la pluie,
la pluie de feu!
182
punteggiatura (frequenza di punti a capo) nel secondo, il ritorno a una
struttura sintatticamente complessa nel terzo ma resa ritmica dalle
ripetizioni, - a livelli crescenti di organizzazione del testo dalle rime
interne alle enumerazioni paratattiche -, infine, nell'ultimo, sulla
concisione nominale del secondo una progressiva intensificazione ritmica
(nell'enfasi anaforica resa efficace dalla frequenza dei punti esclamativi!).
Questi tratti di scrittura (con un affascinante cortocircuito sinestetico)
rappresentano uno stile pittorico non descrivendone tradizionalmente le
immagini ma mimandone il gesto pittorico, ridonando al pittore la
temporalità del suo fare rispetto alla fissità del risultato, traducendo la
pittura in narrazione grazie alla mediazione di un modello musicale che si
pone come tramite grazie proprio alla sua capacità di definire, dare un
nome all'appropriazione (pittorica, narrativa) del tempo: Maestoso, Largo,
Allegro, Furioso i quattro sottotitoli, esplicitano in tutto il loro potenziale
poetico la trasformazione dei ritratti in movimenti.
al ritorno dal viaggio in America (travolto dai ricordi, dalle sue ossessioni
296 Lo scrittore russo Kuraev non nuovo alla titolazione musicale (ricordo che il romanzo
Ronda di notte si precisava formalmente come Notturno a due voci ), definisce in
frontespizio Lo specchio di Montacka come una Suite criminale in 23 parti . La necessità
di alternanza ritmico-formale dei capitoli che presentano (musicalizzazione del Perec di
La vie: mode d'emploi ?) non solo le diverse storie e prospettive degli inquilini
coabitatori di un grande espropriato appartamento sovietico (in uno stesso giorno tutti
perderanno alla fine la propria immagine riflessa nello specchio) ma l'eterogeneità dei
materiali stilistici che intorno a quelle diverse e intrecciate avventure esistenziali
coagulano dal trattato demonologico al dramma dostoevskiano; la struttura
compositiva della suite romanzesca può essere letta con le parole che definiscono quella
proposta dal musicologo Mario Gamba per la sua raccolta di saggi (Questa sera o mai.
Storie di musica contemporanea, Roma, Fazi, 2003, p. 14): "racconti di eventi,
interviste, piccoli e meno piccoli saggi: per mettere assieme i diversi materiali ho
preferito adottare una struttura compositiva molto usata nella musica, anche in quella
contemporanea. Si tratta della suite. Ci sono alcuni capitoli e, dentro, i frammenti
eterogenei di discorso (i ‘movimenti’) che si susseguono uno dopo l'altro, separati solo
da una pausa. Forma musicale".
297 Nel genere (postmoderno ma un archetipo potrebbe essere la manniana Lotte in
Weimar ?) del romanzo-saggio, reciprocamente fecondante la scrittura storica (liberata
dalla piaga dell'accademismo iperspecialistico o dalla genericità della divulgatività
professionale) e l'invenzione narrativa (disarenata dalle secche dell'eccesso
contemporaneo di finzionalità), nel modo affascinante del Flaubert's Parrot di Julian
Barnes o del Rimbaud le fils di Pierre Michon.
183
erotiche, dal crogiuolo teoretico e poetico dal quale però non uscirà il
grandemente sognato libro - su don Giovanni-, soffocato dal progressivo
sprofondamento nell'abisso della follia), per raccontare del suo
personaggio la vocazione di una scrittura tutta protesa, dilaniata da un
desiderio di musica (quella che vorrebbe dissolverci entro di sé e cui tutti
ci abbandoniamo, ci abbandoneremo, quello per cui spesso, scrivendo,
desiderava che le parole si liberassero dal corpo della scrittura, che di loro
restasse solo una particella sonora: il desiderio che lacerava le sue frasi,
senza togliere ad esse la loro pesantezza: il motivo per cui avrebbe
preferito cantare invece di scrivere), non solo adotta un linguaggio
jeanpaulianamente ricco di metafore musicalizzanti (tutta la sua
299
184
(una suite sarebbe voluta essere il racconto della storia di Faust ergo una
suite vorrà essere il racconto della storia del suo autore). Questo ci dicono
i titoli. Ma, omettendoli come nel nostro precedente esperimento di
lettura, molto più forte della presunta segmentazione (da strutturare
musicalmente) sembrano rivelarsi la (solo apparente?) omogeneità dei
capitoli, la loro forte continuità motivica (che non è soltanto l'unità tonale
del mantenimento dei personaggi ma un raffinato giuoco di variazioni sui
temi del tempo, del ricordo, del don Giovanni - una durchkomponierte
Form, wagneriano sinfonismo insomma ben più che bachiana partita),
infine e in definitiva un complessivo tradizionale telos romanzesco
(sviluppo dell'ossessività di Lenau dal ritorno dal viaggio in America fino
alla morte). Proviamo ad entrare più in dettaglio.
Il terzo capitolo si presenta come scena: il dialogo triangolo tra la
fascinosa Karoline, Otto Zarg (il marito), Niembsch-Lenau (che ne era
stato amante) [N]. Il dialogo sembra svilupparsi a spirale intorno alle
disquisizioni teoriche degli uomini sul concetto dell'immobilità (centrale
nell'esperienza tanto esistenziale che estetica di Lenau - e nucleo
musicalmente motivico) in contrappunto agli sguardi resi e offerti alla
donna amata da entrambi.
In questa conversazione-composizione, il motivo dell'immobilità si modula
su quello della precedente storia con la moglie di Otto, che per la prima
volta (ormai conclusa), Lenau ha il coraggio di evocare in presenza del
marito prima nell'esplorazione a parole del senso di quella relazione ( la
prima storia, quella - conclusa - con Karoline come amore senza malattia, conoscenza
del corpo come di un paesaggio, desiderio di armonia tenerezza che crea parole,
conversazioni ), poi nell'immobilità di ascolto della coppia, in una pantomima
recitata dei differenti momenti della relazione ( dietro l'aspetto di un uomo che
si immerge nell'immobilità, i due attenti spettatori sentivano una vigilanza cattiva, il
sacrificio del suo amore al desiderio di immobilità, Niembsch mima in silenzio la sua
storia con Karoline, fa la corte, amoreggia un ragazzo straripante di beatitudine nei suoi
occhi la paura, una pausa, abbracci, la passione, pausa più lunga, amori calligrafici la
donna ripete i gesti, ricomincia abbracci più esperti, più distaccato il linguaggio erotico ).
Solo allora, con inaspettato colpo di scena, Otto rivela di essere stato a
conoscenza della storia già allora, proprio nel tempo del suo consumarsi,
e di aver preferito al ruolo di marito tradito quello di compiaciuto
osservatore degli avvenimenti, minuto analista delle metamorfosi
affettive, del sorgere e dell'esaurirsi del loro desiderio adulterino
(spettatore di tutto, tutto ha visto, qualcosa accadeva si snodava e prendeva forma
sotto i miei occhi, si disfaceva resistendo nell'ombra avrebbe avuto abbastanza forza
per osservare il loro desiderio e la sua realizzazione, si abbandonava al lirismo
deformante della metamorfosi il tempo gli divenne indifferente: il territorio conquistato
diveniva astratto, più sottile, si trasformava in un pensiero unico, Karoline sarebbe
rimasta a lui, mentre l'immagine di Niembsch si cancellava lentamente, diveniva
inafferrabile e vuota ). Con significativa ripresa motivica, nell'evocazione di
una stessa immobilità temporale si concludono insieme la narrata
rivelazione e la passione di Niembsch che aveva perduto il volto amato,
perché aveva voluto dominare il tempo e aveva smarrito il tempo per
raggiungere uno spazio inerte e immobile. Formalmente possiamo leggere
185
come caratterizzante una definita bipartizione tra il tradimento esperito
da Niembsch e il tradimento esperito da Otto. Due parti dunque, di cui la
seconda configuri l'inverso della prima. Ecco, quello che aspettavamo,
l'anello cui uncinare il nostro titolo: della giga, la danza veloce in tempo
ternario, non un equivalente ritmico ma la ripresa del modello formale
polifonico (il gioco di voci, il contrappunto doppio che permette di
sperimentare un ribaltamento dello spazio). Una giga, dunque, ma a due
voci: il racconto intreccia in ciascuna sezione un gioco imitativo fra gli
stessi elementi motivici, in bocca a Niembsch, passati a Otto, ancora,
variati, a Niembsch. Ma muta la relazione di basso e superius, si ribalta
verso l'alto il motivo inferiore nel cambio di dominio prospettico: la prima
parte di Niembsch, la seconda di Otto. Se nello spazio musicalmente
sintattico delle due parti della giga l'inversione può consistere nella
direzione di una medesima serie ritmico-intervallare, nello spazio
semantico può immaginarsi come quella della ripolarizzazione di una
medesima storia - non solo la stessa storia narrata da differenti
personaggi, ma una stessa storia che nel racconto dei differenti
personaggi acquisisce un significato del tutto opposto (chi vince è chi
perde, chi beffa è chi è beffato). La forza dell'imitazione metaforico
strutturale dunque si appoggia non tanto su un'adesione all'andamento
ritmico quanto su una mimesi formale come dimostrano gli altri numeri
del testo in cui la metafora titolatoria è tanto meno pretestuosa quanto
più il riferimento si allontana dall'evocazione di ritmi e articolazioni di
danza verso modelli di strutturazione formale come nel caso del Rondò
che precede la Giga.
La dialettica tra il ritorno più o meno variato di uno stesso tema e la
successione di sezioni contrastive sembrerebbe a tutta prima esprimersi
nell'opposizione tra il continuo articolare del tempo presente (il ritorno di
Niembsch nella casa di Karoline, dopo l'esperienza americana e l'avvenuta
conclusione della loro storia di due anni prima) con una trama di ricordi
che (a partire dalla rievocazione di quella storia arretra fino a un doloroso
mai pacificato ricordo di gelosia infantile per la madre).
Schematizzando, risalta la debolezza di questa ipotesi sia perché essendo
del tutto assenti i segnali di discorso diretto, la marcatura analettica non
è mai chiaramente delimitabile (soprattutto non in prima istanza) dai
semplici passaggi metadiegetici in cui i ricordi appartengono al tempo
presente (la visita di Niembsch); sia perché i ricordi si intrecciano l'uno
dentro l'altro con effetto mimetico del progressivo sprofondamento di
Niembsch nelle spire delle sue voci interne (una palude mnestica) - si
tratta di una struttura a scatole cinesi più che di una a rondò (anche
unificando D ed E in uno stesso segmento tematico, il che renderebbe più
economica la strutturazione, i due momenti temporali che ritornano (A e
B) si percepiscono come segmentazione e intreccio delle loro catene
evenemenziali ben più che ripresa di identificabili nuclei tematici). E'
dunque ad un livello meno macroscopico che si deve cercare
l'articolazione formale indicata dal titolo. C'è infatti una sequenza
186
motivica che riaffiora continuamente attraverso l'inquieto incastro
(delirio) temporale e che gioca in alternanza ai frammenti narrativi: è il
tema della dialettica tra verità e invenzione del ricordo (l'abisso sospeso
tra ricordo e oblio) che, presentato nelle sue prime occorrenze come
sforzo mnestico di ricostruire un volto in un ritratto, riappare
successivamente come impossibilità di descrivere il passato, ossessione
dei lontani fantasmi - di un disvanire che si rende permanente - e
cadenza infine nelle conclusive parole di Karoline che si propone di
insegnare al proprio ritrovato ospite l'arte della dimenticanza (che è
sempre anche insieme arte del ricordo).
Una forte variazione motivica sviluppa progressivamente il tema del
ritratto, dopo le sue prime tre occorrenze testuali: i tratti caratterizzanti il
suo reale tentativo pittorico (frammento analettico) si astraggono
progressivamente nel passaggio al gioco di invenzione/ricordo della
descrizione di Karoline (frammento metadiegetico), seguito dall'autonomo
sviluppo dei due tratti costituenti il tema, l'ossessione e (il suo inverso)
l'incapacità di (precisare il) ricordo. Nella ripresa finale (ancora
metadiegetica) oblio e memoria si riallacciano nella inestricabilità del
nodo allacciato dalle parole di Karoline.)
Ma, a questo livello strutturale non si può non rilevare la ripresa di un
ulteriore motivo, il ricordo dell'avventura con l'anonima viennese, dalla
quale teme venerei contagi, per la quale subisce biasimi materni, unica
sua esperienza d'amore precedente Karoline.
Dunque, non solo l'intreccio problematico dei ritorni macrostrutturali con
quelli del motivo-ricordo ma anche la relazione di questo e della sua
elaborazione con le riprese più testuali del motivo-viennese, proiettano
l'adozione del modello formale musicale su una molteplicità di strutture
possibili tali da poter essere meglio descritte (e questo vale tanto per il
capitolo che per il libro nella sua interezza) più che dalla specificità delle
forme invocate dai titoli, nei termini ancora musicali (ma legati ad un
principio compositivo non legato al vincolo stretto di una codificazione)
con cui intratestualmente (ancora en abîme, dunque) Niembsch (una sua
lettera) progetta la narrazione di alcuni eventi occorsigli: ci sarebbe in tutto
questo materia per un racconto (…) certo questo racconto, non ancora scritto (e chi
vorrà assumersi una tale fatica?) somiglierà soprattutto a un pezzo musicale con temi,
variazioni, riprese e ripetizioni, senza dimenticare i ritorni e anche i rovesciamenti -
tutte cose che il nostro misero linguaggio può rendere solo in apparenza, che la
riflessione, cui noi rendiamo omaggio, subito distrugge e cancella .
Se dunque questa vocazione musicale dell'esposizione narrativa cui
l'apparato dei titoli fa centrale riferimento è resa necessaria dalla
pregnanza dell'esperienza temporale vissuta da Niembsch, proprio la sua
complessità (ossessiva, progressivamente sprofondante nel gorgo della
follia) non riesce a strutturarsi secondo le indicazioni invocate, troppo
strette (quanti - abbiamo visto - possibili rondò in Rondò) o troppo larghe
(come si distingue l'andamento della giga da quello del successivo
minuetto). Ma è proprio questa debolezza del riscontro metaforico, a
essere significativa di una costitutiva difficoltà della parola a farsi musica,
187
della temporalità a bloccarsi in forma (e quindi, immobilità, apprensibile
maneggiabile), nella complessa e sfumata relazione tra i titoli e il testo,
nel suo intreccio di desiderio e velleità, noi lettori sperimentiamo
performativamente la stessa (esaltante frustrante) avventura poetica del
nostro protagonista.
300 "Ci accorgevamo altresì che l'ordine di presentazione dei documenti non poteva
essere lineare, e che le fasi del commento non si collegavano l'una all'altra sotto il
semplice rapporto del prima e del poi. Taluni artifici di composizione erano
indispensabili per dare al lettore il sentimento di una simultaneità che è sì
illusoria (giacché si rimaneva vincolati all'ordine del racconto), ma di cui si poteva per lo
meno cercare l'equivalente approssimativo facendo alternare un discorso disteso e un
discorso diffuso, accelerando il ritmo dopo averlo rallentato, e ora accumulando gli
esempi, ora tenendoli separati. Constatavamo così che le nostre analisi si situavano su
188
che Gerard Genette cerca di dettagliare nel suo discorso sul racconto alla
categoria della velocità (permettendosi così audacemente seduttive
interpretazioni dell'agogica di Proust ) , in Kundera diventa necessità
301
formale (la divisione del romanzo in parti, delle parti in capitoli, dei capitoli in
capoversi, in altre parole l'articolazione del romanzo, io voglio che sia di un'estrema
chiarezza … Una parte è un movimento. I capitoli sono battute. Queste battute sono
brevi, o lunghe, o di una durata molto irregolare ) che aspira a farsi vero e proprio
titolo. Quasi ogni parte dei suoi romanzi potesse portare un'indicazione musicale:
moderato, presto, adagio, e così via, Kundera ci insegna a desumere dal testo il
suo movimento, il suo titolo implicito, calcolandone il metronomo non
solo nella genettiana relazione tra la sua durata in pagine e la durata
'reale' degli eventi che descrive ma soprattutto nel rapporto tra la
lunghezza complessiva del capitolo e il numero delle sue interne
suddivisioni . 302
vari assi. Quello delle successioni, certo, ma anche quello delle compattezze relative,
che esigeva forme evocatrici di ciò che in musica è il solo e il tutti; quelli delle tensioni
espressive e dei codici di sostituzione, in funzione dei quali apparivano, nel corso della
redazione, opposizioni paragonabili a quelle fra canto e recitativo, insieme strumentali e
aria. … una ripartizione in capitoli isometrici doveva cedere il passo a una divisione in
parti … di lunghezza non uniforme [e che] non potevano essere colate in un unico
stampo; ciascuna avrebbe invece obbedito alle regole di tono, di genere e di stile,
richieste dalla natura dei materiali messi in opera e da quella dei mezzi tecnici utilizzati
in ogni caso", Claude Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto , op. cit., p. 31.
301 Proponendo la sua partizione delle velocità di racconto nei quattro movimenti (la
metafora è d'autore) dell'ellissi, del sommario, della scena e della pausa, la tipologia
critico-letteraria si dimostra fondata sulla tradizione musicale che "aveva distinto
nell'infinità delle possibili velocità d'esecuzione alcuni movimenti canonici, andante,
allegro, presto… i cui rapporti di successione e alternanza hanno guidato per circa due
secoli strutture come quelle della sonata, della sinfonia e del concerto". Ma ancora più
interessante è l'interpretazione beethoveniana che questa quadripartizione consente di
rilevare nella Recherche : "in Proust si osserva una crescente discontinuità del racconto
(sospeso tra ellissi e rallentamento) sempre più sincopato tra enormi scene e lacune
immense (…) pare proprio che Proust abbia voluto, e fin dall'inizio, questo ritmo sempre
più contrastante, di una massività e di una brutalità beethoveniane, in opposizione così
viva alla fluidità quasi inafferrabile delle prime parti, come per opporre la tessitura
temporale degli avvenimenti più remoti a quella dei più recenti; quasi la memoria del
narratore, a mano a mano che i fatti si avvicinano, diventasse al tempo stesso più
selettiva e più mostruosamente dilatante", Gerard Genette, Figure III. Discorso del
racconto, (L. Zecchi, t.), Einaudi, 1976 ('72), pp. 142-143.
302 Seguendo questa doppia griglia, i capitoli della Vita è altrove si scandirebbero nella
successione di movimenti moderato- allegretto-allegro-prestissimo-moderato-adagio-
presto, Milan Kundera, L'arte del romanzo, op. cit., p. 128.
303 Clemens Brentano, Poesie, (R. Fertonani, c., t.), Milano, Mondadori, 1988.
189
nel 1800 Brentano pubblica una composizione letteraria, una Fantasia,
che rende di pertinenza esclusivamente musicale l'ambivalenza semantica
del titolo con una quanto mai stupefacente precisazione di organico
postagli in successione tra parentesi: (für Flöte, Klarinette, Waldhorn und
Fagott). Un Tieck prima di Tieck, ma senza gioco (senza Sterne),
Brentano strumenta (qualunque cosa questa espressione voglia
significare) la sua poesia con un evocato quartetto di fiati (il classico
quintetto senza l'oboe: flauto, clarinetto, fagotto e corno). Le sequenze
successive vengono dunque attribuite ai differenti strumenti in due serie
inaugurate entrambe dal flauto ma con ordine mutato (prima dall'acuto
al grave - clarinetto, fagotto, corno - e poi inversamente - corno, fagotto,
clarinetto) concluse entrambe da un tutti ricapitolativo. Il postulato
sotteso a questa sperimentazione titolatoria è la fede (che letta in
Beethoven sarà di Hoffmann - di Tieck, ovviamente) nelle potenzialità
narrative della musica puramente strumentale - l'invenzione letteraria
(Wackenroder) della musica romantica -, ma certo il parametro timbrico è
qui evocato ancora con una semantica del tutto idiosincratica se non
accidentale (né legata a significative caratteristiche strumentali, né ad un
codificato immaginario quale potrà essere quello del successivo
immaginario coloristico reso paradigmatico in area tedesca dalla linea
Weber-Wagner). Se dunque il rapporto tra sequenze e strumenti non
dimostra una motivazione argomentabile, sarà almeno necessaria una
relazione interna tra le sezioni affidate allo stesso strumentario.
La scelta più facile di un legame di superficie (il ritorno immediatamente
percepibile di motivi identici) viene riservata al lavoro di orchestrazione
dei frammenti figurali tanto nella dimensione diacronica del loro
trasmigrare da uno strumento all'altro come nella tradizionale costruzione
cameristica, quanto in quella sincronica, nella stretta polifonica dei tutti.
Dunque la coerenza timbrica deve giacere su un livello più astratto:
l'indicazione strumentale (come già i titoli precedenti) ci forza a un
processo di messa in relazione delle corrispondenti sezioni, a rubricare le
immagini contenute sotto un'unica, comune marca semantica.
La raffinata concezione compositiva di Brentano agisce dunque su livelli
molteplici: una omogeneità semantica di classe più astratta garantisce
alle indicazioni di organico un senso - segnali di un lavoro sul materiale
motivico che, non solo nella ripresa di alcune figure cardine, ma
nell'alternanza e giustapposizione dei timbri (nuclei semantici di grado
superiore), permette di leggere come forma l'apparentemente rapsodico
accostamento di immagini della poesia, libero giuoco di variazioni sul
tema generatore della relazione tra sé e totalità, divenire e forma,
filosofica e poetica, ma certo musicalissima Fantasia, appunto:
190
Fantasie, improvvisi , maggot :
304
il
305
referente musicale così
romanticamente aereo, non univocamente codificato nella forma, ne
rende difficile una chiara esplicitazione applicativa (e quindi facile,
soggiogante) l'indicazione in titolo, la sua funzione di generico richiamo
ad una costruzione che sostituisca la rigida concatenazione causale delle
sequenze poetiche alla libertà dell'accostamento analogico musicale,
oppure come nella suite, il gioco di contrapposizioni sintattiche per
accostare materiali eterogenei che avrebbero così scoperto impensate
affinità, segrete relazioni - più profonde dei contenuti - contro
l'omogeneità stringente delle argomentazioni, la piana linearità degli
304 Il titolo con cui Giorgio Manganelli riunisce (a posteriori, per la pubblicazione in
volume) i suoi elzeviri giornalistici sotto il felice nome diImprovvisi per macchina da
scrivere (Milano, Adelphi, 2003) offre alla quarta di copertina l'opportunità per leggerne
la struttura, suonando e sviluppando virtuosisticamente la metafora musicale del titolo:
"Il ticchettio della macchina da scrivere, per GM, nasce “dai capricciosi amori di un
cembalo estroso e di una mite mitragliatrice giocattolo”. Non è un caso, dunque, che nei
suoi Improvvisi un'incessante mutevolezza di melodie e di fraseggi (ossia di temi e di
linguaggi) si accompagni ad una tonalità ironico-umoristica percorsa da nere venature
malinconiche. Gli spunti (le “arie” su cui improvvisare) sono spesso offerti da un minimo
fattio di cronaca, una polemica frivola, un provvedimento ministeriale bizzarro…" Il
titolo cioè crea a posteriori una forma (musicale) e permette di rileggere come unità
oggetti testuali che come unità non erano stati originariamente pensati. Il titolo è
ancora una volta insieme testo e sua interpretazione.
305 John Fowles (Maggot la ninfa (1985), (E. Capriolo, t.), Milano, Garzanti, 1988)
definisce il suo romanzo A Maggot. Nel Prologo spiega le ragioni del titolo spiegando il
significato che alla parola Maggot veniva attribuito nella terminologia musicale barocca
e tardo barocca: un capriccio, (aria o ballabile) una forma che non avesse una sua
precisa denominazione: "Questo mio maggot è stato scritto in buona parte per la stessa
ragione che ispirò i vecchi maggot musicali del periodo in cui è ambientato:
l'ossessione per un tema". L'ossessione per il tema è da intendersi duplicemente: nel
senso ovvio (e contenutistico) del lungo coinvolgimento biografico per un soggetto che
finalmente diventa scrittura, romanzo (in questo caso, racconta Fowles, un'immagine:
dei viaggiatori a cavallo, in un tempo lontano, senza motivi apparenti si dirige verso un
evento misterioso). Ma soprattutto (per quel che ci riguarda) come principio di
organizzazione formale. Il tema è (allora) una storia (una sera dell'aprile 1736, una
carovana di cinque viaggiatori ristora le sue fatiche in una locanda, è del giorno
successivo la scoperta del cadavere di uno di loro, probabile suicida, la scomparsa di un
altro) viene raccontata nove volte (ciascuna scegliendo una differente prospettiva
capace di arricchire la versione base a focalizzazione esterna, in una sequenza di
inversioni ampliamenti sviluppi tematici la cui progressione costituisce il vero contenuto
del libro). La struttura iterativa divenuta ormai di genere (dall'archetipo Browning agli
sviluppi di Morrison Queneau Compère, variante potenziale di Reza, Ayckbourn, grande
ricaduta cinematografica del genere da Kurosawa a Kieslowski) una delle (ormai più
codificate) modalità di trasposizione letteraria della forma musicale del tema e
variazioni. (E' interessante notare come la scelta titolistica leghi poi questa stessa forma
- quando dichiarata: il paratesto può sempre tacere su quello che poi il testo sussurra
(o urla) - a un referente metaforico differente: dal capriccioso maggot del barocco
inglese, all'accademico - o sperimentale - classicismo e successivi neo del tema e
variazioni, fino alla - per ora ultima - rinascita della forma nell'uso degli standard nel
Jazz - questo il titolo del romanzo di Tony Morrison costruito come quello di Fowles.
Come un'identità di struttura si incarna in una molteplicità di differenti stili: è il gioco
della trasposizione letteraria, ma è anche una chiave di lettura - che questo sforzo
191
accorpamenti consueti (consunti). Paradossalmente, però, il riferimento
titolistico a forme classiche (debussyanamente amministrative), ancora
maggiormente il confronto realizzativo con il modello musicale, ottenendo
i risultati più efficaci (romanticamente rivoluzionari nella ridefinizione
della struttura letteraria).
metaforico offre - alla storia della musica - ancora scoperte impreviste parentele, più o
meno segreti percorsi svelati nello specchio della trasformazione).
306 Ludwig Tieck, Fiabe teatrali. Il gatto con gli stivali. Il mondo alla rovescia, (E.
Bernard, t.), Genova, Costa&Nolan, 1986.
192
produzione dei drammaturghi tanto inglesi che tedeschi (b), i quali confondono caratteri
di scemi e intelligenti (c))
la terza variazione sacrifica il tema dello spettacolo (b) che era stato quello
maggiormente sviluppato nella precedente, lasciando nuovamente separati come nel
tema quello del nuovo (rivendicazione di libertà di essere originali) e del mondo
sottosopra (ora nella doppia versione degli ascoltatori troppo furbi per esserlo, e delle
variazioni suonate senza essere state ascoltate).
La mimesi musicale (in Brentano lirica, qui scherzosa) rappresenta una
dialettica complessa in cui ordine e disordine non delimitino dimensioni
mutualmente esclusive ma fenomeni interagenti, interrelati,
complementari. Il disordine digressivo del minuetto, nella sua libera
articolazione dei tre nuclei motivici della ricerca di novità, della
rappresentazione teatrale, del mondo sottosopra, si cristallizza nell'ordine
(giocoso, rossiniano) della reiterazione, della triplice, in crescendo,
variazione. In una cogenza il cui esito irridente e scherzoso è tutto dovuto
all'adozione di un modello musicale, criterio di organizzazione sì, ma
eterodosso rispetto al materiale letterario cui si applica (e quindi
sostanzialmente ad esso irriducibile: la velleitarietà metaforica è ancora
riflessione sull'irriducibile moltiplicazione dei piani di lettura del testo).
307Heimito von Doderer, Divertimenti e variazioni, (A. Di Donna, t.), Milano, SE, 1999.
308L'immaginifico percorso di deflagrazione scomposizione morte e trasfigurazione della
pretestuosa banalità di un valzerino, della profonda e composta semplicità di un'arietta,
193
l'invenzione musicale maturata da questo (tra)vaglio compositivo,
definisce la tecnica (e la suggestività poetica) di una relazione tra le parti
il cui legame, progressivamente slitta dalla superficie dell'ascolto (o della
immediata riconoscibilità) alle regioni più profonde della comprensione
intellettuale (o della riconoscibilità imposta dalla struttura).
Il tema, un raccontino di Hebel, un aneddoto gustoso (di quelli che hanno
reso famoso - e così amato in Germania da divenire proverbiale - il
narratore, l'amico di famiglia) si risolve in una scommessa, uno scherzo
finito male, un coraggio che non regge alla prova, un esito luttuoso; il
nostro tema quindi: morire di paura
194
successione scommessa scherzo scacco (macabro scherzo allo scherzo),
quello che ci si offre è una successione di racconti non solo senza legami
(di superficie?) con il tema ma anche (apparentemente?) del tutto irrelati
fra loro.
Variazione III
il proprietario di un frutteto che, in un cesto delle sue pere di diverse qualità, ne ha
posta per ischerzo una di marzapane, invita una signora ad addentarla provandone
l'estrema sugosità. L'improvviso e incontrallabile incrinarsi della mimica facciale nella
frustrazione della pregustata sensazione tattile-gustativa, scatena le risate della
compagnia.
Variazione IV
Un agente assicuratore vive con la sorella in un appartamento, il cui abbellimento era
loro cura precipua e costante. Una sera, infatti, tornando a casa si decide per l'acquisto
di un cassettone antico ma, rientrato, scopre il suo appartamento essere stato
completamente derubato. Un furto operato con destrezza, fingendo un trasloco.
Travolto dalla rabbia, si ribella ancor più per la beffa di essersi comprato il prezioso
mobile, proprio quando non ne avrebbe avuto più alcun altro.
Variazione V
Rosa, una cuoca che lasciati l'impiego e la residenza per nuovi padroni non sa dove
passare la notte prima di prendere servizio, si dispone a trascorrerla su una panchina
della Ringstraße. E' già buio quando, attratto dalla sua figura snella, le si avvicina
Teddy, singolare giovin signore in attesa della sicura sistemazione che gli garantisca un
tenore di vita adeguato al ceto. I due conversano: Rosa spiega con una ritrosia che
alona di mistero le circostanze della sua decisione di passare lì la notte; Teddy (che non
chiede più di quanto non gli si dica, intento a celare le sue reali intenzioni) protestando
l'impossibilità di lasciarla senza averle procurato una sistemazione più conveniente, la
accompagna in un piccolo hotel. Proprio nel momento in cui si accinge a salire in
camera con lei, quando il desiderio inizia ad accendersi, il volto di Rosa appare per la
prima volta alla luce: ordinario sciupato da vecchia. La cocente delusione si modula in
un comportamento che risulta coerente alle buone intenzioni esibite precedentemente.
Ormai sola nella sua stanza da letto, Rosa si felicita dell'esistenza di persone ancora
così per bene. E sconsolatamente piange.
Variazione VI
il giovane Milan, abbandonata la sala, cammina nella notte, a lungo interminabilmente.
Rifiuta ammicchi, profferte erotiche. Infine, stanco, decide di accettare la compagnia di
due prostitute qualunque con le quali concorda prezzo e prestazioni. Raggiunta una
camera d'albergo, mentre si accinge a consumare, l'occhio rimane arpionato dal
fastidioso particolare di una falange mancante alla mano sinistra di una delle ragazze.
Ogni interesse disvolato, è meglio chiacchierare un poco e poi congedarsi. Milan si
ritrova quindi nuovamente solo sulla strada, soddisfatto della sua condizione di
conquistata atarassia fino al momento in cui si accorge che le ragazze (pur così
generosamente e a fondo perso remunerate) gli hanno sottratto una matita: un
nonnulla, certo, ma capace di scatenare un'ira impreveduta e violenta. Atteggia il suo
volto per esorcizzare la rabbia in un atteggiamento di scherno che, rivolto a se stesso,
viene letto ostilmente da una povera donna in avanzato stato di gravidanza che non
esita a insultarlo e minacciarlo. Un'ulteriore inaspettata metamorfosi rende a Milan
indifferenza ed estraneità: guarda allora il cielo che coriandola i suoi pigri fiocchi di
neve, e si incammina ancora, libero, nella notte gelida.
195
Variazione VII
un vagabondo, scorato dalla fatica del cammino, lancia uno sguardo all'orizzonte e ogni
cosa muta per lui, egli stesso muta, gli occhi ora brillanti, lo sguardo gioioso e franco, il
passo lieve
196
incontrata (nella terza): la smorfia della donna che morde la pera di
marzapane aspettandosi un frutto sugoso, la smorfia di Milan che rivolge
senza volerlo il proprio sguardo di scherno su una poveraccia per strada,
l'incrinarsi delle loro faccemaschere, si identifica in quello di una lastra di
ghiaccio al calare dell'acqua sottostante. Ancora nella variazione sesta, la
più ricca e sviluppata, l'ultima prima della settima che ha funzione di
coda: Toby si sofferma a guardare a una delle ragazze, la mano
menomata di una falange, mano misera gonfia e rossa per il freddo. E' il
ritorno della mano calda che nell'aneddoto hebbeliano sfiora il volto del
povero contabile ma anche il riportare sulla terra quelle mani invisibili
metafisiche ineludibili che, nel pensiero ossessione dell'assicuratore
svaligiato, frugano crudeli beffarde nei nostri destini; il rendere nella sua
efficace concretezza la mano sul tavolo, emblema, nella sesta variazione,
del fatto minimo capace di risonanza nella cassa armonica della
riflessione.
197
generalizzazione che, attraverso una similitudine paesaggistica
(strettamente connessa all'ambientazione dell'ultimo racconto: come
cangia il volto dei campi, alla luce del sole o impallidato dalle ombre delle
nubi) si muta in conclusiva morale allegoria (ma è il sole a rimanere
immobile anche dietro la nuvolaglia, pronto a risorgere, quando sia
venuto il momento). Per finire, insomma, con un utile ammaestramento.
Eppure, questo ammaestramento è ben più formale, di lettura, che di
indirizzo etico. E' il ritorno del tema nella sua struttura scarnificata:
un'avventura psicologica (si tratta solo di questo) condensata in un
momento. In un movimento improvviso incoercibile istantaneo di
rivoluzione l'anima, nel trascolorare emozionale innescato dal contatto di
un evento esterno (ma a quello incommensurabile), prende coscienza
della vastità insondabile dei suoi spazi, si strappa con violenza dal mondo,
scopertasi universo. Un'unica avventura, che si dice in molti modi. Il
vagabondo (insoddisfatto della realtà) la vive come scoperta gioiosa di
indipendenza, il contabile (sicuro del mondo esterno) muore di paura
(non per lo scherzo subito rivelato come tale, ma per la conoscenza di
un'interiorità capace quel mondo di ingoiarsi). Il momento è lo stesso,
l'individuo dismaga (nella definitività di una malattia, di una ribellione al
destino, o nella transitoria e subito ricomposta risibilità di un'espressione)
la sua maschera identitaria. La signora della pera, il contabile,
l'assicuratore, Toby e Rosa, Milan nelle sue peregrinazioni notturne, il
vagabondo in quelle diurne: vivono tutti a gradi diversi, in modalità
differenti, la stessa avventura. Variazioni diversi (ora sì) di uno stesso
tema, dietro il cui succedersi traluce finalmente la coerenza strutturale
che il titolo prometteva (e in qualche modo ha prodotto): una forma
complessiva che si articola (musicalmente) per alternanze contrastive
(principio della successione di suite) e sviluppi progressivi (principio
dell'elaborazione tematica). Nell'isomorfismo dei livelli che l'adozione della
metafora costruttiva musicale tenta sempre di mettere in atto, questa
costruzione complessiva riflette sulla superficie del testo i processi
elaborativi del tema fondamentale:
contrasto sviluppo
198
adottata conducendo (e forzando) l'aneddoto di Hebbel alla sua settima,
conclusiva variazione (il tema alla sua ripresa in maggiore?).
199
détraquer la pendule puis rester prostré sur sa chaise, les coudes sur la table, la tête
dans les mains.
Le calme. Le gris. De remous aucun. Quelque chose doit être cassé dans la mécanique
mais rien ne transparaît. La pendule est sur ma cheminée, les aiguilles marquent
l'heure.
Quelqu'un dans la pièce froide viendrait d'entrer, la maison était fermée, c'était l'hiver.
Le gris. Le calme. Se serait assis devant la table. Transi de froid, jusqu'à la tombée de
la nuit;
C'était l'hiver, le jardin mort, la cour herbue. Il n'y aurait personne pendant des mois,
tout est en ordre.
La route qui conduit jusque-là côtoie des champs où il ny avait rien. Des corbeaux
s'envolent ou des pies, on voit mal, la nuit va tomber.
La pendule sur la cheminée est en marbre noir, cadran cerclé d'or et chiffres romains.
--
L'homme assis à cette table quelques heures avant retrouvé mort sur le fumier n'aurait
pas été seul, une sentinelle veillait, un paysan sûr qui n'avait aperçu que le defunt un
jour gris, froid, se serait approché de la fente du volet et l'aurait vu distinctement
détraquer la pendule puis rester prostré sur sa chaise, les coudes sur la table, la tête
dans les mains.
200
initiale.Il titolo allora appare insieme chiarito e chiarificatore: Passacaille . 311
201
Capitolo III
(Suite)
202
1. (storie & geografie: movimenti)
203
significativa percezione di un'effettiva convergenza nei risultati teorici di
pur lontane esperienze critiche. Questa identità tra le due pratiche di
analisi e concezione del testo letterario si fondava sull'influsso (neppure
percepito) di una comune matrice simbolista (che dalla Francia di
Mallarmé era emigrata nella Russia di Belyj. Più precisamente era la
nostra metafora musicale che, inoculata nella letteratura dalla poesia,
aveva progressivamente contagiato il metodo analitico (se il poema era
divenuto sinfonico, la sua analisi non poteva che compiersi nei termini -
nella prassi musicale (compositiva e critica) del tutto pacifici - di sistemi
motivici, di strutture di relazione, di costanti e varianti). Così, ad est
come ad ovest, la stessa concezione metaforica del testo come partitura
aveva generato simili risposte nella definizione di una nuova teoria
letteraria. La storia del movimento (insieme storico e geografico) della
nostra metafora (dal simbolismo francese al simbolismo quello russo -
attraverso il medium del formalismo simbolista del cinema ejzensteiniano
- quindi al formalismo letterario russo e – ritorno - allo strutturalismo
francese, per proseguire nel nouveau roman) rivela e motiva le segrete
rispondenze, la complessità di un gioco di echi e risonanze indecifrabile al
di fuori di questa prospettiva apparentemente periferica - dimostrazione
che guardare il mondo dalla posizione centrale non sempre aiuta a
comprenderlo al meglio.
Edgard Allan Poe condivise con lo strutturalismo a venire (di cui certo la
Philosophy of Composition - datata di un sorprendentemente lontano
1846 - costituisce prezioso incunabolo) l'interesse per la costruzione
(smontabile, modellizzabile, esplicabile) di un'opera, la svalutazione di
ogni pretesa ineffabilità, di ogni rimando a a species of fine frenzy, an
ecstatic intuition . L'articolata ricetta in risposta al you want to write a
314
204
determined to produce continuosly novel effects, by the variation of the
application of the refrain - the refrain itself remaining, for the most part
unvaried) ? La costruzione poetica sembra dunque dunque trasformarsi in
morfologia compositiva musicale (di ritorni tematici in differenti campi
armonici - rimane il suono, cambia il pensiero - di mutazioni semantiche
per variazione di relazione contestuale - come in un rondò, come nella
drammaturgia sinfonica di Wagner). Per Valéry (che non si lascia sfuggire
l'occasione di commentare la Philosophy , e di valeryzzare Poe), non ci
315
315 Paul Valéry, Sur la technique littéraire in: Oeuvres I , Paris, Gallimard, 1957,
p.1832.
316 "The view of obtaining some artistic piquancy which might serve me as a key-note in
the construction of the poem - some pivot upon which the whole structure might turn",
E. A. Poe, op. cit.. p. 484.
317 Edgard Allan Poe, Music in: op. cit., p. 433.
318 "Solo un ordine simile a quello armonico presiede e regola i rapporti tra l'intrigo e
quelle che sarebbe megio definire figure anziché personaggi, le quali sono chiamate ad
abitarli. Raro si presenta, in tal modo, il caso che una di coteste figure risulti coerente a
se stessa, una volta che venga avulsa dal sistema per cui fu concepita, che risponda,
205
assenza di segnali extra o intratestuali in cui quel debito ispirativo venga
non dico esplicato ma per lo meno riconosciuto in accenno. Ancora più
significativamente, i riferimenti narrativi alla musica ne denunciano
sempre un'essenza febbrile, irrazionale, pura espressione di un
incontrollato sovreccitamento nervoso, figura rapsodica di disordine - non
certo archetipo di costruzione strutturale quale Poe (dal nostro punto di
vista) lo dovrebbe immaginare . Sembra una definitiva prova a carico
319
insomma, da sola all'essere suo. La legge di questa musicalità, che non è afftto di puro
suono - e che anzi, nelle prose, si avvale di uno stile spoglio ed essenziale, nudato di
qualsiasi inflessione - ma che investe, nella sua più segreta intimità, la sostanza poetica
delle sue figurazioni fantastiche, è la legge suprema della poesia del Poe", Gabriele
Baldini, Introduzione in: E. A. Poe, Racconti, Milano, Garzanti, 1981, p. X.
319 Ad esempio, la composizione del Crollo della casa Usher, la vita musicale dei suoi
personaggi, la loro costruzione sinfonica ("l'indiretta presentazione di Lady Madeline (…)
somiglia al modo di porgere il trasognato tema d'una composizione sinfonica, perché
venga nuovamente sommerso ell'onda polifonica. La tecnica di tali passaggi e sviluppi
del dramma, la quale fa sempre perno su soluzioni sintattiche e non mai su pause o
rivolgimenti psicologici i quali non possono essere in un'arte siffatta, è certamente uno
dei ritrovati più singolari della poesia del Poe e come gli permette la più ampia libertà di
composizione - com'è appunto, entro i limiti dell'armonia … e del contrappunto d'ogni
composizione musicale - lo sprona a ricercare le più bizzarre e suggestive associazioni,
o accordi di effetti", G. Baldini, op. cit., p. XI) si può confrontare con la musica che il
protagonista Roderick Usher, propone al narratore, opera di una selvaggia fantasia,
frutto di un'eccitata ipersensibilità, ultima coscienza di una ragione che si sta
oscurando.
206
sottraendo la sua dimensione ancillarmente connotativa verso un nuovo
paradigma denotativo autoreferenziale. Poe cioè non poteva accorgersi di
quanto la sua impostazione metodologica (la sua ispirazione poetica)
dovesse in realtà a un modello che egli ignorava completamente, ma che,
pure, in qualche modo doveva essere giunto fino a lui. Non c'è trucco, né
magia (non c'è bisogno di invocare coincidenze metafisiche di poetica, né
iperuraniche identità, forse neppure negare tutto in nome di una
trappistica autonomia delle arti) è semplicemente un gioco della storia,
un altro dei passaggi segreti (come quello da Barthes percepito - senza
saperlo) che influenze e debiti permettono (quasi per caso, se osservati in
giusta luce) di scoprire.
Dichiarata dall'autore e agilmente riconosciuta dai lettori, l'influenza del
romanticismo tedesco sulla scrittura di Poe si riscontra in un comune
repertorio di temi e motivi. L'ossessione per il doppio, la fascinazione per i
fenomeni misterico-scientifici di magnetismo e ipnotismo, l'attrazione per
le condizioni di patologia mentale, il gusto, insomma, verso il fantastico e
l'orrifico, per quanto si vogliano poi personalmente rielaborati dal genio di
Poe, non possono (né forse vorrebbero) celare la loro profonda
discendenza Germanic. Ma forse, Poe da quel romanticismo tedesco,
insieme ai temi, alle suggestioni d'atmosfera, al repertorio di sensibilità,
assimilò (e più profondamente, fino a farli oggetto della sua riflessione
teorica) anche quei modelli strutturali che erano stati tradotti dalla
musica (ma che come musicali egli non fu in grado di riconoscere) . 320
207
dichiara, avviene che il romanticismo tedesco che pur scientemente
conosce e usa (inaugurando, abbiamo visto, l'intera tradizione), non
sempre precisamente ne dichiara l'avvenuta (o voluta) adozione. Il caso
Hoffmann risulta particolarmente significativo per districare il nodo che la
nostra metafora stringe tra i differenti luoghi e tempi. Anima bella della
prima travolgente ondata Romantik, attento alla lievità del gioco musicale
come mozartiana - tieckiana (privilegiata, unica) - via di accesso alla
trascendenza, compositore indifferentemente di note e parole, letterato e
critico, trapassante in pratica di scrittura l'intuizione wackenroderiana , 321
321 "Nel linguaggio umano vi è un nesso così intrinseco tra suono e parola, da renderci
impossibile la formulazione di un qualsivoglia pensiero senza il supporto del geroglifico
corrispettivo - (le lettere della parola scritta). - La musica rimane invece il linguaggio
universale della natura, parla a noi per risonanze magiche, misteriose, impossibili a
fissarsi nei segni. L'artificioso allineamento dei geroglifici conserva appena un vago
accenno di quanto abbiamo percepito" E. T. A., Hoffmann, Pezzi di fantasia alla maniera
di Callot in: Romanzi e racconti I, (C. Pinelli, t.), Torino, Einaudi, 1969, p. 305.
322 Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Romanzi e racconti III, (C. Pinelli, t.), Einaudi,
Torino, 1969, p.92.
323 Per Michel Brion (L'Allemagne romantique. Novalis. Hoffmann. Jean-Paul.
Eichendorff, Paris, A. Michel, 1963, p. 118n), l'analogia del Gatto Murr con l'ossimorica
definizione di dramma giocoso premessa da Mozart alla composizione del Don Giovanni
di Mozart non si intende solo in senso contenutistico quanto come parallellismo di
organizzazioni formali:"le commencement des ‘placards’ dans Le chat Murr est traité,
musicalement, comme un ouverture dramatique".
208
contrappunti e armonie dei secoli precedenti - e così, con mossa geniale,
non solo riesce a descrivere Berg e Boulez grazie a Hoffmann, ma a
spiegare le specifica costruzione del Gatto Murr attraverso l'analisi del
Kammerkonzert : il cui finale infatti si basa sull'idea di presentare
simultaneamente i primi due movimenti (…) si trattava di produrre qualcosa di
simile a un'unità di statica e dinamica (…) l'adagio che precede il Rondò e viene
a costituirne uno degli strati è in forma speculare (…) il secondo strato
simultaneo invece, equivalente al primo movimento, è un ciclo di variazioni dal
decorso monodirezionale (…) l'articolazione del tempo mediante ripetizione,
ossia staticità, e l'utopia dell'irripetibile si compenetrano virtualmente (…) nel
secondo libro delle Structures per due pianoforti Boulez riprende esplicitamente
l'idea di sovrapporre diverse forme il cui modello letterario è il Gatto Murr di
Hoffmann 324). Se l'occasione d'uso della metafora compositiva musicale
sembra nel caso di Hoffmann mancata come nel suo futuro erede Poe,
l'elusione risulta qui di segno affatto differente.
Posto nel momento cruciale del ribaltamento prospettico - la musica da
rappresentazione (espansione, risonanza) affettiva di un'istanza verbale
(dominante in presenza, ricercata in assenza) si scopre portatrice di un
autonomo potenziale semantico che la parola può inversamente (e solo e
sempre in via approssimativa) cercare di tradurre - Hoffmann possiede
infatti non solo una piena e matura coscienza delle implicazioni
semantiche (traducende/intraducibili) della costruzione musicale , ma 325
209
inestricabile da non poterne più uscire - non percepisce nulla se non sotto
le specie della musica (il nonno di Aubade? l'accostamento tra figure del
romanticismo e del postmodernismo è meno casuale ed episodico di
quanto potrebbe apparire): dissonanze non risolte mi stridevano dentro -
proprio nel momento in cui tutte le settime dalla lingua viperina stavano
risolvendosi in luminose e amabili armonie di terze (…) quella figura mi parve
così sconosciuta e insieme così nota che, lì per lì, non riuscii a capire che razza
di successione accordale andasse sommuovendosi in me con crescente, calzante
intensità (…) essendo io un musicista molto preparato (…) individuai
chiaramente la tonalità da cui scaturiva quell'assieme di cose 326. Potrebbe
sembrare un gustoso gioco metaforico ripercorrente la strada di Jean
Paul (ulteriore capitolo della storia del trapianto della letteratura
327
210
verso il suo Romeo, nell'alto dei cieli pieno di amore e di gioia. Poi mi aveva
espresso il proposito di togliersi la vita, pugnalandosi con una quinta aumentata
nel vicino bosco 329), alla storia come movimento musicale, agli eventi come
concatenazione armonica, permette di configurare una nuova modalità di
racconto. Nella Prinzessin Brambilla è infatti il narratore a prendere
direttamente in carico questo paradigma metaforico, descrivendo la
lacuna di eventi immediatamente successivi dello scambio tra i due
personaggi (il comico dell'arte Giglio Fava e il suo misterioso sosia, il
nobile, enigmatico principe Pistoia), l'effetto strutturale dell'ellissi non
colmata, nei termini di uno sperimentale passaggio armonico (quasi una
trasposizione della conclusione del primo Lied del schumanniano
Dichterliebe ): manca il passaggio da una tonalità all'altra, cosicché il nuovo
accordo crea uno stacco privo della dovuta preparazione. Anzi si potrebbe dire
che il capriccio si interrompe con una dissonanza irrisolta. Infatti il principe
[dopo il maldipancia e il rimedio di Celionati] cadde addormentato, al che vi fu
un grande strepito. Non si apprende né cosa significhi tale strepito, né in che
modo il principe, ovvero Giglio Fava, sia uscito da Palazzo Pistoia insieme a
Celionati330.
Tutto un Valéry già chiaramente formulato, dunque, quello che Poe non
sarebbe riuscito a percepire? Non proprio, perché se si legge con
attenzione, risulta quanto di piccolo cabotaggio sia questa applicazione
metaforica del discorso musicale. Limitata, cioè, e parziale, l'analogia non
copre il testo nella sua globalità: se non meramente esornativa (la libertà
nella conduzione del discorso narrativo si appoggia sull'esperienza
estetica - percettiva e cognitiva - di nuove soluzioni armoniche), il
parallelo di strutture non viene espresso globalmente con la forza
definitoria delle successive esperienze simboliste. Nella stessa Prinzess
Brambilla (datata 1820: cinque lustri prima della Philosophy e una
quindicina prima del commento di Valéry), opera in cui lo statuto
metamorfico e relazionale dei personaggi si può dire facilmente di tema
musicale in sviluppo , l'indicazione musicale della forma Capriccio (citata
331
evocata più che - in senso tecnico - per una sua precisa referenza
329 E.T.A., Hoffmann, Kreisleriana, op. cit., p. 265.
330 E.T.A., Hoffmann, La principessa Brambilla, op. cit., p. 567.
331 "La facilité avec laquelle les personnages de Hoffmann changent de nom, de
costume, de fonction, démontre la plasticité de leur caractère, leur aptitude à devenir
autre, parce qu'ils contiennent en eux-mêmes toutes les possibilités de
métamorphoses", M. Brion, op. cit., p. 162.
332 Umorismo da intendersi come principio metafisico: "quella meravigliosa facoltà del
pensiero, nata dalla profonda intuizione della natura, di creare il proprio doppio ironico,
le cui stravaganti buffonate gli consentono di riconoscere le proprie e (…) le buffonate di
tutto l'esistente, e di esserne deliziato", (E.T.A. Hoffmann, La Principessa Brambilla, op.
cit., p. 520). Si presti, inoltre, attenzione alla trasfigurante proiezione ideologica del
tema del doppio che noi affronteremo anche sul piano strutturale (evidenziando una
compatta identità dei piani del testo, dal senso alla storia attraverso il montaggio).
211
morfologica: non è un libro per chi ama prendere tutto sul serio. L'editore
prega però umilmente il benevolo lettore disposto e pronto a rinunciare per
alcune ore alla serietà (…) di pensare a cosa può pretendere un musicista da un
capriccio 333. Se scorriamo velocemente i sommari della storia posti a titolo
dei differenti capitoli (come avvenne che uno, ballando, divenne principe,
cadde svenuto tra le braccia di un ciarlatano e poi, a cena, dubitò delle
doti del suo cuoco / Liquor anodynus e molto rumore per nulla / Duello
cavalleresco degli amici immersi nell'amore e nella malinconia, e sua
tragica conclusione / Svantaggi e sconvenienza dell'annusar tabacco /
Massoneria di una ragazza e un apparecchio per volare di nuova
invenzione/ Come la vecchia Beatrice inforcò un paio di occhiali e poi se li
levò …) capriccioso (in senso ludico) apparirà l'effetto di dissoluzione della
trama in sterniana anarchia accumulativa, incoercibile incontinenza che
arrotola la storia in spirali che non giungono in nessun luogo, la
generalizzata soppressione dei ferrei ed usuali legami di consecutio
logico-narrativa (non solo per effetto sommario sostituito ogni propter in
puro post hoc), la realtà resa aerea, trinata tessitura onirica . 334
212
artificio contrappuntistico. Il doppio da ovvia figura di contenuto si
propone come segreto principio di organizzazione ed elaborazione del
materiale (la reciproca proiezione di tema e struttura - identificazioni
quanto mai d'essenza musicalissima - subordinerebbe la tradizionale
coesione e cogenza della storia): come in una composizione in canone, lo
stesso frammento melodico si distende e sovrappone su voci diverse -
invertendo il proprio moto, aumentando, diminuendo il proprio
andamento (l'ossessione per la figura fantastica dei sosia si motiverebbe
cioè in un immaginario del tutto musicale: la polifonica moltiplicazione
dell'identico, la sovrapposizione dell'uno con il se stesso proiettato - di cui
a Poe resterà la sola perifrasi narrativa, che Dostoevskij, non solo
nell'esegesi bachtiniana, proprio nello stesso anno della
Philosophy riprenderà nella pienezza dell'archetipo compositivo ). 336
quale i regnanti vedono riflessi alla rovescia il cielo azzurro e splendente, i cespugli, gli
alberi, i fiori, la natura e il loro stesso Io, come se un cupo velo si sollevasse: allora a
lungo Ofioch e Liris rimangono ad osservare, poi si alzano, si guardano e… ridono,
poiché deve essere chiamata riso l'espressione fisica dell'intimo benessere nonché della
gioia per la vittoria della forza fisica interiore. Infine, specchio di uno specchio, quella
rivelativa fonte di Urdar si scopre essere il teatro, in cui la stessa azione compie un
ulteriore giro: proprio in quel piccolo mondo che si chiama teatro, bisognava trovare un
coppia che non solo fosse animata da vera fantasia, da vero umorismo, ma che fosse
anche in grado di riconoscere questo stato d'animo oggettivamente, come in uno
specchio, per farlo uscire all'esterno affinché agisse come un potente incantesimo sul
grande mondo in cui quello piccolo era racchiuso.
336 Citando l'osservazione di Grossman (capitale ai nostri fini) secondo il quale il tema
del sosia ha per Dostoevskij una funzione importante non solo dal punto di vista ideale
e psicologico, ma anche (possiamo dire soprattutto) da quello compositivo, Bachtin
(abbagliato dalla mancanza di precise indicazioni formali, compie l'errore inverso di Poe
- riconoscere senza sapere-, cioè pur conoscendo e applicando -ma solo per
Dostoevskij- il modello compositivo musicale lo censura in Hoffmann interpretandone la
costruzione per articolazioni prive di legami pragmatici, come unione immediata
all'interno di un solo orizzonte monologico, come per una consonanza lirico-emotiva
oppure simbolica) analizza con finezza il Sosia, non solo dimostrandone l'elaborata
tessitura polifonica ("tutta l'opera è costruita come un vero e proprio dialogo interiore di
tre voci entro i limiti di una sola coscienza che si è scissa. Ogni suo momento essenziale
si trova nel punto di intersezione di queste tre voci e della loro brusca e tormentosa
interferenza (…) una stessa parola, idea, fenomeno passa per le tre voci, ed in ciascuna
acquista un suono diverso. Il medesimo insieme di parole, di toni, di impostazioni
interiori passa attraverso il discorso esteriore di Goljadkin, attraverso il discorso del
narratore e attraverso il discorso del sosia, e queste tre voci sono rivolte l'una verso
l'altra, parlano non l'una dell'altra, ma l'una con l'altra. Le tre voci cantano la stessa
cosa, ma non all'unisono e ciascuna svolge la sua parte) ma interpretando il gioco
contrappuntistico - il riferimento a Hoffmann e al modello musicale postwckenroderiano
si fa urgente e ineludibile - nel senso di una sostizione dell'universo reale, esterno con il
multiverso interiore, psichico: la seconda voce di Goljadkin, che sostituisce l'altra, la
sua prima voce, che cerca di nascondersi alla parola altrui e che poi si arrende a questa
parola estranea, e, infine, la voce altrui che eternamente risuona in lui si trovano in così
complessi rapporti reciproci "che offrono un materiale sufficiente per tutto l'intreccio e
permettono di costruire tutto il racconto solo su di esse. Il reale avenimento, cioè
l'infelice richiesta di matrimonio a Klara Olsuf'evna e tutte le circostanze precedenti non
vengono propriamente raffigurate nel romanzo: esse serono soltanto come spinta per
213
Proviamo a leggere, nella trama della Prinzessin , negli sviluppi, incontri,
accadimenti, il dissolversi di un principio individuationis dei personaggi
trasformati (nel trascolorare identitario di uno nell'altro) in principi
motivici, (nel permanere delle marche onomastiche distintive) nello
spazio partiturale che i precedenti frammenti melodici attraversano, in
ricorrenze e sovrapposizioni.
Giacinta (voce I) viene creduta la principessa Brambilla (tema A)
osservando la sartina Giacinta Soardi che sta provando un magnifico abito per il
Carnevale romano che ella stessa ha ricamato, la vecchia Beatrice, prorompe con
entusiasmo affermando, per tutti i santi, che lei non sarebbe la sua Giacinta… (così
bella, scherza, deve essere un'illustre principessa). Il gioco viene ripreso seriamente
dall'innamorato della giovane, l'attore (dal nome che è ossimorica unione di sublime
e triviale) Giglio Fava che crede di vedere davanti a sé la Principessa del suo sogno
(di fronte alle offese proteste di Giacinta trasforma il suo sbalordimento in galante
omaggio alla bellezza dell'abito).
Giglio (voce II) viene creduto il principe Cornelio (tema B)
Giglio indossati un bel paio di pantaloni celesti e calze rosa per andare a ricercare la
principessa Brambilla, incontra un Pantalone con un incongruo cappello a punta
ornato di penne di gallo: che lo scambia per il principe Cornelio; gli offre a Giglio un
fiasco da cui esce una nebbiolina rossastra che dà forma al busto della principessa
Brambilla. Nello stesso momento, una voce potente e misteriosa gli rimprovera di
non permettersi di farsi passare per chi non è.
Giglio come Principe corre dietro a Brambilla (voce III)
mentre il principe Cornelio (voce IV) seduce Giacinta come Principessa
Dulcamara da fiera, invero raffinato e misterioso negromante, Celionati, deus di tutta
la macchina, punto cieco in cui covergono tutte le aberranti linee della narrazione
rivela a Giglio che contemporaneamente al suo correre dietro la principessa
Brambilla, un aitante principe faceva la corte alla sua donna. Giglio, ancora in
costume, si offre cavaliere all'amata di sogno, incontrata e subito scoparsa in un
corteo di maschere.
Giglio incontra se stesso come Principe
Un tipo buffo, vestito fin nei minimi dettagli come Giglio, e anzi tutto uguale a lui per
statura, postura e così via, balla, accompagnandosi alla chitarra, con una donna
dall'abito molto grazioso. Se la vista del suo secondo Io danzante lascia Giglio di
sasso, il fuoco torna a divampargli in petto osservando la ragazza. Una maschera
accanto a lui presenta la principessa Brambilla che danza con il suo innamorato, il
principe assiro Cornelio Chiapperi. Quando Giglio Fava ode quelle parole, gli accade
semplicemente di credersi all'istante il principe assiro Cornelio Chiapperi che balla
con la principessa Brambilla. Ma il suo Io gli sta di fronte, e ballando e saltando come
lui e facendo le sue stesse smorfie, con la grossa spada vibra fendenti contro di lui.
Brambilla nuovamente scompare!
Giglio come Principe balla con Giacinta credendola Principessa
Dopo una fuga e un cambio d'abito, Giglio ritorna sul Corso e viene nuovamente
invitato a ballare da una graziosa e angelica figura femminile, subito identificata con
mettere in movimento le voci interiori, esse non fanno altro che attualizzare e inasprire
quel conflitto interiore che è il vero oggetto della raffigurazione del romanzo (…)
L'intreccio esteriore, intenzionalmente oscuro (tutti gli avvenimenti principali si sono
svolti prima dell'inizio del racconto) serve anch'esso come intelaiatura appena
percepibile al tatto per l'intreccio interiore di Goljadkin (…) Dostoevskij pensò Il sosia
come una 'confessione' (non in senso personale, naturalmente), cioè come una
raffigurazione di un avvenimento tale che si svolge nei limiti dell'autocoscienza",M.,
Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, (G. Garritano, t.), Torino, Einaudi, 1968, p.
288 e pp. 279-280.
214
la bramata Principessa. Ma quando stordito di esultanza, inebriato dalla folle danza,
rischia di perdere i sensi, la persona tra le cui braccia cade non è che il vecchio mago
Celionati che, riconoscendo in lui il caro Principe, gli spiega non essere la ballerina
altri che una sartina di basso rango, Giacinta Soardi, che la principessa gli ha
affibbiato per potersi dedicare indisturbata ad altre faccende.
A questo punto (con un gioco che anticipa i drammi bien parisien di Allais,
le morti-risurrezioni – l’aggiramento del principio di non contraddizione da
Beckett a Pinget) la dissociazione tra personaggio-voce e personaggio-
motivo diventa irreversibilmente definita quanto sfuggente e confusa la
capacità del lettore di identificare i personaggi. Oscurato il nostro accesso
ai pensieri del protagonista (fino ad ora manifesti), smarrita non solo ogni
chiave naturalizzante l'incredibile successione degli eventi (il sogno,
l'incanto,…) ma resa indecifrabile la stessa percezione di cosa realmente
stia accadendo a chi, rimane irresolubile la contraddizione tra
l'attribuzione esplicita (a Giglio) e quella desumibile dal contenuto (al
principe) della battuta che segue la confidenza di Celionati: «E' mai
possibile?» esclamò Giglio «eppure mi pare che quella ragazza abbia per innamorato un
miserabile straccione di commediante, un certo Giglio Fava» . Insomma, se nel
capitolo è propriamente avvenuta l'identificazione promessa dal sommario
titolatorio (come avvenne che uno ballando si mutò in principe ) a mancare è
l'attesa esplicazione della modalità in cui definire l'enigmatica asserzione:
Giglio parla di Giglio come ne parlerebbe il principe (con l'albagia di un
nobile nei confronti di un miserabile commediante, uno straccione): sta
solo profittando dell'errore di Celionati (ma che vantaggio ne
ricaverebbe)? e come potrebbe proprio Celionati, mago e dio dell'intiera
vicenda, essersi confuso tra i due personaggi? anche qualora si trattasse
semplicemente del fenomeno di identificazione psichica tra l'attore
(avvezzo professionalmente ai processi di appropriazione dell'identità
altrui) e il principe, come già accaduto nel ballo precedente, chi sarà il
Giglio Fava ucciso nella scena successiva dalla maschera sotto la quale
sappiamo nascondersi proprio il principe? In realtà non so bene chi siate, bella
dama! dice il principe (o chiunque egli sia) alla ritrovata principessa (o
chiunque ella sia) O piuttosto non oso indovinarlo, visto che così spesso sono
rimasto vittima di ignobili illusioni (sta parlando di quelli che noi abbiamo letto
accaduti a Giglio:) Principesse si trasformano davanti ai miei occhi in sartine,
commedianti in manichini di cartapesta . Nello spaesamento dei personaggi (fino
a decidere di non tollerare altre illusioni o fantasie, e di distruggerle senza pietà
ovunque le si trovi ) si ritrova però (metaletticamente performativamente) il
disorientato lettore - con mossa che anticipa, nel nome di un immaginario
del tutto musicale, il passaggio da una concezione rappresentativa ad
una, diciamo novecentescamente, simulativa della letteratura: sarà uno
degli esiti più interessanti della nostra storia) l'impossibilità di attribuire
un precisa identità ai personaggi (per i personaggi come per i lettori)
obbliga a ripensare la concatenazione narrativa in modo affatto nuovo - a
percepire il gioco dei motivi nel cambio delle voci, gustandone la natura
relazionale (perdendo ogni istanza ipostatizzante, il fluire dell'ascolto non
215
solidificabile in oggetti manipolabili, afferrabili, parafrasabili). Il senso
dello scambio passa dall'artificio tradizionalmente teatrale (di
travestimento, agnizione) a quello appena scoperto alla letteratura di
pratica contrappuntistica: non caso, proprio nel punto in cui più
chiaramente emerge l'impossibilità di una lettura narrativa della vicenda,
si rende evidentissimo il procedimento musicale dell'inversione (dal
motivo del Principe che passa dalla voce del Principe a quella di Giglio, al
motivo di Giglio - inverso del motivo del Principe - che si scambia dalla
voce di Giglio a quella del Principe); è proprio come in una seconda parte
di composizione canonica bachiana che il principe Cornelio viene
scambiato per l'attore Giglio Fava (Celionati si congratula per la sua
abilità nell'aver tolto di mezzo il fastidioso sosia), che la sartina Giacinta
(finalmente in lei risuona il suo motivo, inverso di quello della
Principessa) si dichiara amata dal nobile, dimentica del guitto, e che il
Principe incontra la Principessa senza riconoscerla. Solo nella coda
conclusiva (la favola musicale, musicalmente allegorica come la vuole
Novalis, non consente psicologia né verosimiglianza, non concede
spiegazioni ma solo risoluzioni cadenzali: saturazione di relazioni formali,
ristabilimento di equilibrio combinatorio), i motivi nella loro forma
originale e inversa ritroveranno la necessaria collocazione tonale: in una
meravigliosa, liberatoria risata, la principessa Brambilla viene ritrovata e riconosciuta
finalmente dal principe Cornelio che ne scopre la reale identità: la regina Mistilis, così
liberata da un malvagio incantesimo, potrà regnare finalmente sul vacante regno di
Ofioch (che similmente, nel racconto di Celionati, osservando se stesso e il mondo
capovolti in una fonte, aveva acquistato il potere con la capacità di ridere insieme alla
regina Liris). Giglio Fava e Giacinta rientrano felici a casa dopo aver recitato insieme
nella Commedia dell'Arte, scoperta sul teatro quella stessa magia dell'umorismo ironico
che rivela il mondo nel raddoppiarlo in inversione.
Schematizzando il racconto, emerge evidente il modello di elaborazione
contrappuntistica, la cui piena coscienza si legge nel progressivo gioco
delle entrate, nell'impiego delle forme di inversione e della loro
combinazione con gli originali, nella densità variabile (dal solo al tutti) e
nella studiata alternanza delle disposizioni delle voci, infine nel nodo di
autonomia e relazionalità delle singole parti.
Anche volendo leggere a grana meno sottile, risulta che la stessa storia di
perdita e riconoscimento si intona alternativamente (o simultaneamente
dispiega) sullo spazio di tre differenti universi narrativi (il mondo piccolo
di Giacinta e Giglio, quello principesco di Brambilla-Cornelio e quello
regale e incantato - raccontato da Celionati che ha dunque ragione: non
si tratta di una digressione - di Liris e Ofiach). Come un canone, la
differenza di registro, il lieve sfasamento temporale permettono la
sovrapposizione del motivo con se stesso, rivelandone le possibilità
articolative in una dialettica compositiva di alterità e identità.
216
Hoffmann della metafora musicale dichiara raffinate infiorescenze,
trascurando lo stupefacente spessore del tronco che tutte le linfe e gli
umori protegge e conduce?
Le ragioni possono essere personali in parte e in parte generazionali (ma
forse, pienamente, nel suo caso l'esperienza individuale si fa specchio di
un'epoca intera). Perché Hoffmann si vuole in primo luogo musicista, nel
suo essere scrittore sente un'esperienza sussidiaria se non vicariante,
perché il primo Romanticismo inizia a intuire le possibilità di musicalizzare
la letteratura dopo aver indebolito la frontiera cercando di incarnare in
concreti (per quanto immaginifici) contenuti le aeree, sfuggenti eppure
tanto pregnanti forme astratte della musica sinfonica. In questa
prospettiva, la scrittura sperimentale di Hoffmann si intende da se stessa
(e così si dichiara) molto più nel tentativo di offrire una possibile
trascrizione semantica di un procedimento formale che di costruire una
narrazione sub specie musicae. Nello specifico della Prinzess, ad esempio,
si intuisce la sensibilità di Hoffmann tutta rivolta a immaginare cosa
possa raccontare un canone a tre voci (e quindi, l'identità confusa, la
maschera che si rivela maschera sotto la maschera, lo scombinante
turbinio degli scambi, il turbamento del riflesso, la scoperta del sé in
altro, del diverso in sé) molto più che saggiare gli esiti di una morfologia
compositiva nell'organizzazione di una storia: si tratta poi, se vogliamo, di
una differente percezione della stessa ricerca capace di influire più che
sugli esiti (lo abbiamo visto) sulle loro modalità di presentazione,
divulgazione, trasmissione.
A dimostrare il profondo ancoramento di questo discorso a una verità
epocale di sentire, chiamiamo la testimonianza di Schumann che nel 1835
(a quattordici anni dalla Prinzessin , undici anni prima di Poe e
Dostoevskij) inventa nel Carnaval, il modo di riappropriare alla musica la
poeticizzazione di un'esperienza formale musicale: l'allegoria carnevalizia
inventata da Hoffmann come rappresentazione narrativa di una scrittura
canonica, diviene composizione musicale, le variazioni motiviche sulle
quattro note danzanti (a-s-c-h, segreto, travolgente atto d'amore) celano
anch'esse la struttura formale in cui si articolano dietro la scena di
maschere e personaggi in parata (Chopin, Eusebius, Chiarina - reali o
fittizi che differenza c'è?).
Quello che conta nell'adozione del modello polifonico (racconto di
personaggi-motivi musicali dotati della capacità di percepire con
sbalordimento il miracolo del loro intrecciarsi, riflettersi, scambiarsi) è la
capacità di definire lo spazio inaudito di una novella storia. L'effetto
(schematicamente risulta ben percepibile, cito ancora Poe come lettore
modello) di costruzione simmetrica e bilanciata, questa forma della
musica definisce l’artificio capace di liberare il piano del contenuto (la
storia) dai nessi dell'artigianale, logica, buona fattura (qualcosa di simile
agli esercizi perechiani e oulipien?). La morfologia compositiva, cioè,
costituisce lo strumento tecnico per immaginare una frammentazione,
un'incoerenza capricciosa capace (nel suo celato fondamento strutturale)
217
di dare lingua (è sempre la concezione wackenroderiana) a ciò che la
lingua non sa, non può dire (il gioco - musicale - si scopre mimesi
dell'ineffabile contraddittorio mondo coscienziale: forse anche tu, o mio
lettore, sei come me dell'idea che lo spirito umano stesso sia la fiaba più
straordinaria che possa esistere. Che mondo magnifico è racchiuso nel nostro
petto! Nessun ciclo solare lo limita, e i suoi tesori superano l'insondabile
ricchezza di tutta la creazione visibile . (L'occultamento della metafora da
effetto di prospettiva storica - vedere il problema dalla parte della musica
- si rivela finalità ideologica - si trascuri il mezzo per enfatizzare il fine).
337Ludwig Tieck (Rondò da Il mondo capovolto): "Certi versi sono prosa impazzita, certa
prosa è un verseggiare gottoso e artritico; quello che resta tra prosa e poesia non è poi
meglio. O musica! Dove vuoi andare? Forse lo ammetti in te non c'è ragione". Gustave
Flaubert (Correspondance, II, p. 468): "la prose! ça n'est jamais fini; il y a toujours à
refaire. Je crois qu'on peut lui donner la consistance du vers. Une bonne phrase de
prose doit être comme un bon vers, inchangeable, aussi rythmée, aussi sonore
218
poesia, per negazione dei tradizionali vincoli metrici, delle caratteristiche
puramente sonoriali, del vincolo corporeo della parola, e quindi verso una
definizione di musicalità più astratta e compositiva, quanto,
inversamente, originando da una prosa sempre più definita entro una
dimensione formale, costruttiva, proiettante su scale più ampie di
significato la tradizionale architettura di simmetrie e variazioni del
significante poetico ) ma progressivamente erodendo la liceità di una
338
219
l'impossibilità di mantenere le proprie interne barriere. Nella medesima
perseguita volontà di diventare sonata, concerto, sinfonia, il poema non si
può più pretendere distinto dal romanzo (attraversiamo l'età vittoriana di
Browning, il simbolismo di Mallarmé, il modernismo di Pound ed Eliot), il
racconto dal saggio (il romanticismo di Hoffmann, - ancora - i modernismi
di Proust e Joyce, i postmodernismi, dalle nouvelles critiques alle
summae-saghe: si voglia delegittimare la possibilità di un metalinguaggio
o, al contrario, considerare essenzialmente metalinguistico - e
metametalinguistico - qualunque discorso narrativo della
contemporaneità).
Marcel Proust (Venezia, 10-11 settembre 1971), Padova, Liviana, 1973; poi in (Pinto, P.
e Grasso, G., c.), Proust e la critica italiana, Roma, Newton, 1990, p. 260) della non
casuale convergenza temporale di poesia e narrativa rispetto ad un sempre più
generalizzata e travolgente tentatazione metalinguistica: "come non riflettere che la
poetica del naturalismo nella narrativa fu contemporanea della poetica del simbolismo
nella poesia, che Zola fu coetaneo di Mallarmé? La tendenza che presto avrebbe
portato, anche nella narrativa, l'arte a parlare dell'arte, l'opera a rispecchiarsi all'interno
dell'opera, il linguaggio a farsi metalinguaggio che prende per oggetto se stesso, si era
già affermata al più alto livello nell'altro maggiore genere letterario della seconda metà
del secolo in Francia … un minimo comune denominatore storico si rivela fra il narratore
impossibilitato … a ricostruire altrimenti che per giustapposizione di compartimenti
stagni una totalità sociale e il poeta impossibilitato a integrare nei suoi versi, come
aveva potuto fare Hugo e ancora Baudelaire, il senso che le parole possedevano per
tutti". Ancora più rivelativa non solo della fluidità (valicabilità se non completa
dissoluzione) delle (ormai antiche) definizioni di romanzo e poema, ma soprattutto
dimostrazione della pertinente appartenenza di questa declinazione del fenomeno alla
nostra storia di suggestioni musicali per la letteratura, l'ipotesi affascinante quanto
ineludibile che "in certo senso la Recherche sia essa stessa quel Livre assoluto,
circolare e totalitario che Mallarmé aveva architettato invano per tutta la sua vita"(Ivi,
p. 262).
220
Infine, e passando all'altra sponda, i negativi letterari di forme musicali
scattano i negativi di una storia della musica, la storia della sua
penetrazione culturale, del risultato della sua ricezione (la luminosità delle
differenti figure nella misurazione del loro riflesso). L'emergenza del
progetto imitativo parafrastico, ma certo ancora maggiormente la sua
mancanza (le lacune, lisure, i buchi dell'arazzo) permette di capire (in un
determinato tempo, in uno specifico luogo) cosa intendiamo quando
parliamo di musica: non sarà la stessa musica quella cui pensa Valéry che
usa (e sa e dice) il modello musicale per la sua o altrui poesia, e quella
che Poe usa ma non sa (e quindi non dice), non la stessa quella che
Hoffmann conosce, usa (ma non dice fino in fondo), e (per completare la
tassonomia ancora sospesa) la musica intesa da Rousseau che, musicista,
come Hoffmann la compone ma scrittore, differentemente da Hoffmann,
non la immaginerebbe mai modello costruttivo per la propria opera
narrativa.
Rousseau che partecipa da protagonista (tanto pubblicista che autore)
alla grande querelle tra opera francese e opera italiana, rivendica una
priorità sulla costruzione armonica (francese) dell'effusività melodica
(italiana) in virtù del potere che possiederebbe nell'accedere direttamente
all'anima dell'ascoltatore (dove cioè la scienza armonica in tutta la sua
sapiente complicazione non potrebbe oltrepassare il dominio elementare
della sensazione, offrendo un piacere superficiale, sensuale privo di
profondità; la melodia - come argomenta il Dictionnaire de Musique -
proprio in nome dell'interiorità cui permette di accedere acquista così una
vera e propria dimensione morale). Rousseau in una delle sue grandi
ucronie edeniche immaginava (a inaugurare l'età sedentaria: stadio
intermedio - e benedetto - tra la lingua grossiére dell'orda e quella
exténuée dei civilizzati) una parola-musica in cui i componenti
accentuativi, metrici, melodici fossero indistricabili da quelli semantici, un
langage, musical et poétique, n'est pas encore un agent de division. Il autorise
la communication expressive du sentiment et la pleine comprehénsion
réciproque 339. Questo modello etico-estetico di musica Rousseau ha in
mente tanto quando narra (e immagina l'utopica Confession di un cuore
trasparente senza mediazione, la dissoluzione del linguaggio nel suo
attraversamento) che quando compone (nel melodramma, una musica,
che nell'unione melodica con il testo, ritrova alla parola l'antica
appartenenza alla lingua dell'espressione - contro ogni coercitiva
costruzione, l'italianità rimane emblema ipostatizzante il puro sentire):
musicien et poète, il n'a pas oublié la langue de la société commencée, il est un
“habitant du mond enchanté”: il est Jean-Jacques .
Una musica come lingua della spontaneità del cuore non può che negare
le sue stesse istanze costruttive e pertanto, originaria aspirazione alla
comunicazione non mediata non può (né certo lo vorrebbe) divenire
221
modello morfologico. (Mi chiedo quanto la posizione di Roland Barthes
non radichi le sue sideralmente distanti conclusioni di poetica in 340
340 "Dans une société qui n'a pas encore trouvé son repos, comment l'art pourrait-il
cesser d'etre métaphysique, c'est-à-dire : significatif, lisible, représentatif? Fétichiste? A
quand la musique, le Texte?", Roland Barthes, Diderot, Brecht, Eisenstein in: Revue
d'estehétique, 1973; poi in: Écrits sur le théatre, (J-L. Rivière, c.), Paris, Seuil, 2002, p.
339. "Tramite la musica, comprendiamo meglio il Testo come significanza … non la
presenza di un significato, oggetto di riconoscimento o di decifrazione, ma la
dispersione stessa, il gioco di specchi dei significanti, senza sosta riproposti da un
ascolto che ne produce continuamente di nuovi, senza mai fissarne il senso ", Roland
Barthes, Ascolto , Il corpo della musica in: L'ovvio e l'ottuso. Saggi critici III, (C.
Benincasa, G. Bottiroli, G. P. Caprettini, D. De Agostini, L. Lonzi, G. Mariotti, t.),
Einaudi, Torino, 2001 (82), p. 299 e p. 251.
341 "Cos'è dunque la musica? è una qualità di linguaggio (…) col divenire qualità, nel
linguaggio viene ad accentuarsi ciò che non dice, ciò che non articola. nel non detto,
vengono a collocarsi il godimento, la tenerezza, la delicatezza, la sodisfazione, tutti i
valor più delicati dell'Immaginario. La musica è ad un tempo l'espresso e l'implicito del
testo: ciò che è pronunciato (sottoposto ad inflessioni) ma non articolato: ciò che è
insieme al di fuori del senso e del non-senso, pienamente in questa significanza, che la
teoria del testo oggi cerca di postulare e di situare. La musica come la significanza, non
ha a che a fare con nessun metalinguaggio, ma solo con un discorso del valore,
dell'elogio: di un discorso amoroso: ogni relazione riuscita (in quanto giunge a dire
l'implicito senza articolarlo, a superare l'articolazione senza cadere nella censura del
desiderio o nella sublimazione dell'indicibile) una tale relazione può a ben diritto essere
detta musicale. Forse una cosa può valere solo per la sua forza metaforica; forse è
questo il valore della musica: essere una buona metafora ", Roland Barthes, Ascolto,
op. cit., p. 273.
342 "(niente più grammatica, o semiologia musicale: derivata dall'analisi specialistica -
reperimento o concatenazione di 'temi', 'cellule', 'frasi' - rischierebbe di passare di
fianco al corpo; i trattati di composizione sono oggetti ideologici, il cui senso è quello di
annullare il corpo)", Roland Barthes, L'ovvio e l'ottuso. op. cit., p. 294.
222
l'opéra (généralment non saisies par l'auditeur et
tojours purement indicatrices).
Paul Valéry
(1917)
secolo, non solo stabilisce che una fiaba possa e debba essere
completamente [musicale] ma invoca per il romanzo (sentimentale o
filosofico) un'unità musicale caratterizzata dai ritorni simmetrici del tema
identificando tout-court il metodo del romanzo con quello della musica
strumentale - Nel romanzo persino i caratteri dovrebbero essere trattati
arbitrariamente come la musica tratta il proprio tema , bisogna considerare
con Novalis344 la somiglianza della musica con l'algebra: non ha la musica
qualcosa dell'analisi combinatoria e viceversa? (…) Il linguaggio è uno strumento
musicale di idee. Il poeta, il retore e il filosofo suonano e compongono
grammaticalmente. Una Fuga è assolutamente logica o scientifica - Essa può
essere trattata anche poeticamente . Ma la matematica, elemento peculiare
del mago345, appare formalmente, come rivelazione - come idealismo creativo
solo nella vera musica (danza e canti non ne sono che degenerazioni):
l'algebra musicale della forma si può computare solo nella musica
strumentale (Sonate - sinfonie - fughe - variazioni questa è la vera musica ), il
modello rispetto al quale definire la vocazione della poesia ad essere in
assoluto puramente intelligente - artificiale - inventata - Fantastica ! Solo nella
paradigmaticità dell'astrazione formalizzata, nella sua professata
(promessa) autonomia dall'univocizzante vincolo referenziale, la musica
sinfonica (si legga beethoveniana) permette alla letteratura di sognare
una nuova semantica della fantasia e della libertà - figlia degenere della
contemporanea critica kantiana del Giudizio? -: sintomaticamente, nella
definizione proposta da Tieck della Sinfonia come dramma variopinto,
multiforme, intricato e meravigliosamente sviluppato (perché coerente come
intrinseca costruzione formale e non come sudditanza ad una qualsivoglia
343 Friedrich Schlegel, Idee per composizioni 1798-1799, Frammento 51, Frammenti
sulla poesia e la letteratura I, Fr 518, Idee per composizioni 1798-1799, Frammento 40
in: Frammenti critici e poetici, (a cura di M. Cometa Torino, 1998, p. 271, p. 169, p.
271.
344 Novalis, Allgemeines Brouillon, Frammenti nn. 547, 676, 695, in: Opera filosofica,
(F. Desideri, c.), Einaudi, Torino, 1993, vol. II, pp. 390, 669,773, 778-779.
345 L'idea di una musicale magia matematica si trova in Wackenroder, Das
eigentümliche innere Wesen der Tonkunst und die Seelenlehre der heutigen
Instrumentalmusik (1797: "e tutti gli affetti musicali sono diretti e guidati da quell'arido
sistema scientifico di cifre, come dalle strane meravigliose formule evocative di un
vecchio mago") che rivendica al linguaggio dei suoni una ricchezza
incommensurabilmente superiore a quello di parole proprio in virtù della sua sostanza
non referenziale. Il nodo tra formalismo e abdicazione del principio mimetico, la musica
come modello per la letteratura antinomico rispetto al quadro diviene topos mantenuto,
seppure da posizioni differenti di poetica, lungo una storia che si snoda da Schiller a
Barthes).
223
legge di verosimiglianza) già è implicata la sua assunzione a modello per
la letteratura (alla cui enigmaticità si garantisce il sostegno di una sicura
costruttiva, invertendo la tradizionale associazione di superficie e
profondità con articolazione delle forme e discorso dei contenuti).
In quegli stessi ultimi anni in cui il sommuovente ribollire del nuovo
Romanticismo germinava nel grembo del secolo morente, Schiller porta 346
346 Friedrich Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, (E. Franzini, W. Scotti, t.),
Milano, SE, 1986 (1796), pp. 58-59.
347 In questo passo esemplare si possono leggere l'introiezione (o la contestualità) della
volontà critica e di quella poietica dei primi anni del secolo ventesimo, ma pure la
persistenza fino al presente del modello analitico e dei topoi argomentativi da quella
stessa critica in quei lontani anni elaborati: "Le roman avait été un genre hybride, où
224
e teoreticamente discussi e legittimati da Paul-Emile Cadilhac; tutte le
mosse di questa fascinosa partita - che Giraudoux sintetizzava
348
identificando nel suo jeu litteraire una variante del jeu au piano - si
giocano sull'unica scacchiera di una medesima concezione del musicale
che possiamo - ancora - sintetizzare, questa volta nelle alate parole con
cui Valéry racconta in un appunto del 1927 la Sinfonia in sol di Mozart:
349
Ne rien dire - - -
mais le dire si bien -
ou plutôt, dire seulement tout ce qui est autour du dire même.
Les temps subtils, les reprises, coups d'oeil
Les fonds et les directions
Le commencements de
Parfois des ombres de phrases.
l'artiste se soumettait à la matière (…) Le romancier restait guidé par son 'sujet'.
Peintres, musiciens, et poètes par la suite, avaient eu une plus grande liberté (…) De
Proust à Butor, le roman a conquis la liberté de composition, sans asserviment au sujet
(…) Proust n'avait cherché à raconter sa vie, ni à faire l'histoire d'une société; il avait
placé dans le temps des thèmes à la fois romanesques et musicaux, le faisant jouer
entre eux sans se préoccuper d'en faire une 'histoire' logique et bien narrée. Disposer
des 'motifs' dans le temps comme Proust et comme les musiciens (…) telle est la
création… L'œuvre du créateur est une 'composition', non une reproduction du réel.
Après quoi, le musicien peut donner un titre à sa composition musicale, et l'intituler
Musique de l'eau (…) : primauté de la forme sur le sens", R-M., Albérès, Métamorphoses
du roman, Albin Michel, Paris, 1966, p. 127.
348 Per una sintetica e complessiva ricognizione storica di questo momento della poetica
francese: Marcel Raimond, La crise du roman. Des lendemains du Naturalisme aux
années vingt, Corti, 1966.
349 Paul Valéry, Oeuvres complétes, Paris, Gallimard, 19??, vol. II, p. 950 [per le
citazioni successive, pp. 938, 968, 974].
350 Thomas Mann, Doktor Faustus, (E. Pocar, t.), Milano, Mondadori, 1949 (1947), p.86.
351 "In mezzo alla stanza, il quartetto Duke di Angelis stava vivendo un momento
storico. Vincent era seduto e gli altri in piedi: eseguivano esattamente i movimenti di
un gruppo di musicisti che suonano, solo che non avevano gli strumenti (…) «capii, in
un guizzo di genio, che se in quel primo quartetto di Mulligan non c'era il piano, poteva
voler dire soltanto una cosa (…) niente accordi fondamentali. Non ascolti niente e suoni
la tua frase orizzontale. In quei casi la base viene pensata», Meatball cominciava a
225
dalla sua dimensione sonora, la musica può offrire il paradigma di un'arte
tutta definita all'interno di un sens formel da concepirsi tanto come viva-
vivente coscienza de la double - nécessairement double - (au moins) valeur
des éléments de l'art : valeur significative et valeur 'réelle' ou functionelle - D'où
doit résulter la consistance et la richesse de la construction par les effets de
composition - che come notion d'univers fermé - c'est-à-dire que les éléments
(y compris les éléments nuls, redites, silences - etc) forment un groupe . Da
Bach a Wagner (a loro, significativamente si intitola il precedente
frammento, del 1934), la musica diviene - così intesa - ispirazione
(aspirazione) all'esercizio di una scrittura come arte formale , riduzione 352
capire ed era inorridito. «È l'estensione logica successiva», disse. «Si pensa tutto»,
annunciò Drake con semplice dignità. «Base, frase, tutto» (…) E riattaccarono di nuovo;
ma Paco stava suonando in sol# - almeno così sembrava - mentre tutti gli altri erano in
mib , e così dovettero ricominciare da capo", Thomas Pynchon, Entropia (R. Cagliero,
t.), Roma, e/o, 1992 (1960), p. 95.
352 "Mon 'inspiration' n'est pas verbale. Elle ne procède pas par mots. Plutôt par formes
musicales - 1923" Paul Valéry, Oeuvres complétes, Paris, Gallimard, 1956, vol. I, p.
255. "C'est l'exercice d'un art formel qui m'a finalement intéressé. J'ai fini par
considérer le contenu, 'idées', images comme (…) subordonnés à la figure de la forme
(…) laquelle est la réalité organique de l'ouvrage - et ce qui fait de l'ouvrage une unité
de passion et d'action et un moment d'univers poétique -1939-1940", Ibidem, p. 295.
353 Nattiez (Fugue littéraire et récit musical in: (Backès, J-L., Coste, C., Pistone, D., c.),
Littérature et musique dans la France contemporaine. Actes du colloque des 20-22 mars
1999 en Sorbonne, Presses Universitaires de Strasbourg, 2001, p. 52) intende il
rapporto tra cogenza della struttura e arbitrarietà dei contenuti rappresentativi come
accesso privilegiato ad una dimensione metafisica della temporalità, pienamente
sintetizzata nella poetica proustiana: "la musique a la possibilité d'atteindre à
l'évocation de profondeur affectives et métaphysiques, sans passer par les contingences
de la représentation, mais avec un sens spécifique et unique de la construction formelle
qui est sa raison d'être et qui se déploie dans le temps (…) a l'irréversibilité du temps
vécu, l'oeuvre musicale …oppose le reflet en raccourci des événements qui, dans notre
vie, se sont heurtés à lui, même si, en écoutant la seule musique, nous ne savons ni de
quels événements ni de quels personnages il s'agit. La musique (…) est une manière de
temps retrouvé".
354 "Ainsi, pour Valéry la musique apparait, plus que tout autre art, comme 'l'art du
possible' qui, par l'effet de son indétermination même, incite l'auditeur à penser et à
imaginer. Voilà le but essentiel de tout art véritable selon Valéry: rendre le récepteur
actif (…) "l'originalité de Valéry par rapport à l'estethétique de Mallarmé et du
Symbolisme repose sur le fait que Valéry a, pour la première fois, élaboré un point de
226
Romanticismo in nuove vesti): la musique est le plus puissant engin (non
chimique) à exciter le possible pur. Elle est l'art du possible. Un son met en état
de quasi-présence tout le système des sons -et c'est là ce qui distingue
primitivament, le son du bruit. Le bruit donne des idées de causes qui le
produisent, des dispositions d'action, des réflexes - Mais non un état
d'imminence d'une famille de sensations intrinsèque (1937).
227
(anche attraverso la mediazione letteraria) si offre nel laboratorio della
pratica compositiva.
Una tecnica di scrittura (l'elaborazione motivica) che in circa due secoli di
sperimentazioni aveva progressivamente maturato un'autonomia
nell'organizzazione dei materiali da qualunque criterio ad essa estrinseco
(codici retorici, ancillarità testuale,…) dimostra con Beethoven una tale
prepotente e irriducibile urgenza semantica, una pregnanza estetica di
tale forza da porla al centro dell'immaginario intellettuale occidentale e
fare del suo linguaggio della forma un punto di confronto ineludibile per
ogni esperienza creativa: la tecnica (artigianale) si assume cioè a
paradigma (artistico). La letteratura definisce nella sua doppia modalità di
confronto il complesso rapporto che anche la musica del romanticismo
intratterà con il corpus beethoveniano: quella letteraria strategia
dell'invidia (che se da una parte prova a dire l'ineffabilità molteplice, a
esplicitare i contenuti latenti nella musica beethoveniana, dall'altra
sperimenta una costruzione analogica dei propri significati che ricalchi il
nodo di necessità strutturale e libertà semantica del modello) viene
trasposta nella trepidante nostalgia con cui i compositori romantici
guardano a un modello formale che sentono come altro e inarrivabile -
che sembrano tradurre come da un'altra dimensione linguistico artistica
più che stilistica (le loro sinfonie sono sinfoniche come può esserlo un
romanzo) - e nell'esplicitazione (embricatura, forzatura) di contenuti
narrativi che i compositori sovrappongono alla costruzione formale (da
Berlioz a Schumann , fino al caso esemplare di Wagner, con cui il ciclo si
355
228
l'effetto dalla causa, l'eco dalla fonte, l'avvenuto contagio wagneriano
della quasi totalità dei contemporanei linguaggi compositivi.
Non si può non avvertire a questo punto - ancora cioè nel nome di quel
Wagner in cui tutte le linee del nostro discorso sembrano convergere e
trapassare una nell'altra - la necessità di invertire momentaneamente la
rotta d'indagine e chiedere alla storia (della ricezione) della musica di
rendere ragione di un punto oscuro della storia della nostra metafora: il
paradosso apparente dell'esperienza italiana. Perché il Paese di una
letteratura che dai tempi alti e lontani della sua giovinezza aveva
sperimentato le più intime e feconde relazioni con la musica, che della
musicalità aveva fatto elemento di identità nazionale (con una tradizione
compositiva, elemento trainante e punto di riferimento, in molte epoche,
della ricerca europea) non subisce nella sua produzione poetica e
narrativa l'irresistibile tentazione alla forma musicale fino alla fine
dell'Ottocento (di lì poi sarà un fiorire inesauribile di volontà e velleità, in
molteplici contrastive declinazioni, dagli scapigliati ai futuristi, da
d'Annunzio a Savinio, da Palazzeschi a Montale e Saba, fino ai
neoavanguardisti e ulteriori postumosità)? Proprio la mancata
assimilazione del paradigma formalistico beethoveniano può risolvere il
problema. L'evoluzione del linguaggio musicale italiano, tutto chiuso nel
sublime orizzonte melodrammatico (la nostra epica, il nostro teatro, il
nostro romanzo), lo sconvolgente sviluppo che conduce da Rossini a
Verdi, viene vissuto con una coscienza estetica che non si muove di molto
dai presupposti roussoviani - o forse dall'ancor più lontana e originaria
dottrina monteverdiana degli affetti. L'opera non è che azione e
sentimento, cantabilità come aspirazione alla lingua universale, alla
diretta comunicatio cordis che nessuna stramberia armonica - non
parliamo di (co)scienza costruttiva - deve turbare. L'idealizzante (e
arretratissima - di piena ideologia primo settecentesca) posizione di un
intellettuale - profondo e non ingenuo - come Leopardi (la musica non
soggetta all'evoluzione storica, ma al vincolo ineludibile di un discorso
naturale ) rimane emblematica di un'assoluta cecità non solo alle
356
229
possibili implicazioni latamente estetiche ma alla possibilità stessa di una
differente concezione musicale. Il melodramma entrerà solo attraverso
Wagner nella dimensione che ci pertiene di semantica della forma - con
grande difficoltà l'Italia ne acquisterà precisa consapevolezza (perché
nella pratica compositiva e drammaturgica neppure il Verdi degli anni
ruggenti aveva certo da prendere lezioni da alcuno).
Figura del passaggio modulante verso la definizione strutturale dell'opera
(e dell'ambivalente rapporto di riappropriazione e rigetto dell'ispirazione-
concezione wagneriana), Arrigo Boito (da musicista-librettista e
pubblicista musicale) denuncia l'imprescindibilità storica - la musica
procede del continuo ora nell'uno ora nell'altro de' suoi elementi, con un moto
(ci si passi l'immagine) circolare e centrifugo, che le dà somiglianza di quella
figura spirale che s'alza, s'alza e s'allarga perennemente, simbolo sublime della
civiltà sulla terra - di un'istanza formale che tenga il passo degli sviluppi
armonici, melodici ritmici dei secoli precedenti: l o sviluppo al quale oggi
accenna la musica, tiene suo stato nel più materiale de' musicali elementi, nel
più palpabile alle grosse mani dei molti (lo dicemmo): la forma 357; Arrigo Boito
(da scrittore, per esempio nel suo capolavoro, la favola in versi Re Orso)
reinterpreta l'inquieta cangianza metrica in termini di ritmo compositivo
complessivo, propone la ripetizione di frammenti testuali come mezzo
coesivo e di unificazione sintattica di un insieme narrativo frammentario e
scomposto (noi diremmo come di tema conduttore) ma intende la
358
230
riformato melodramma, niente affatto come possibilità ispirativa che la
struttura formale del melodramma (si voglia o meno wagnerizzato) offra
alla costruzione letteraria (si voglia critica o poetica). Paradossalmente -
ma non troppo -, solo dopo che Wagner ha concepito in senso sinfonico il
dramma musicale, la vecchiotta, bistrattata, superata opera italiana
denuda la sua segreta faccia formale (il senso relazionale
dell'articolazione dicronica in arie e recitativi, la possibilità di elaborazione
sincronica dei motivi nel concertato,…) e viene recuperata (quasi
postuma) a modello ispirativo, possibilità di percepire il testo letterario
(non contenutisticamente, non per riferimento citazionale ) come 359
231
visionario Mandelstam del saggio sul dantesco conte Ugolino , 363
232
e reso inservibile - il sistema tonale, di fatto aveva eliminato il materiale
cui le forme classiche (dalla sinfonia alla sonata) potevano applicarsi in
senso proprio, e trasformato così il loro impiego musicale (da Mahler a
Berg via Schönberg) in un'adozione traslata, metaforica (quasi) quanto
quella del suo innesto in terreno non musicale. Ma insieme a questa
ultima permanenza dell'impianto concettuale beethoveniano nella (non
solo nominalmente) seconda scuola di Vienna, nella sua non mai
abbastanza rivendicata appartenenza alla grande tradizione, nuove
proposte stilistiche delineavano paradigmi ad essa irriducibili. Se da un
lato Stravinskij propone nella fraintesa rivoluzione del suo neoclassicismo
una concezione costruttiva che sostituisce all'ideale elaborativo, quello
enunciativo (allo sviluppo, la pura esposizione dei materiali), offrendo alla
forma una dimensione tutta gestuale, una strada difficilmente percorsa (o
percorribile: forse Snittke?), la via regia per cui si stava muovendo la
composizione (e quindi la definizione concettuale del) musicale,
rivendicava al suono tutta la pregnanza fino ad allora trascurata nella
linea di sviluppo che da Varése-Debussy-Webern conduce direttamente
alla parte permanente delle neoavanguardie darmstadtiane (mutandone i
criteri di pertinenza rispetto all'autoimmagine d'epoca). Di questi nuovi
orizzonti compositivi che costruiscono la forma dentro il timbro -
rivendicazione della corporeità acustica contro ogni astrazione (succedeva
a Darmstadt, credendo forse di fare il contrario) -, del definitivo tramonto
del sole beethoveniano ci parla l'ultimo capitolo della storia della nostra
metafora, con l'assunzione a modello dell'esperienza musicale del jazz.
Laddove infatti i compositori europei della prima metà del secolo
ascoltano nel linguaggio afroamericano la novità del sound, le invenzioni
ritmico-armoniche da adottare per scardinare le carceri formali di
invenzione e liberare le potenzialità (tutte fisiche e corporee) di un suono
inascoltato (finalmente capace di determinare intrinsecamente il proprio
destino, la propria evoluzione temporale); gli scrittori, dagli anni sessanta
in poi, leggono nel jazz la freschezza con cui si ripresenta un modello di
invenzione formale legato alla relazione variativa su un tema dato (per
loro, il jazz si differenzia - come modello formale - da Beethoven
principalmente per aspetti accessori - contenutistici o pubblicistici: la
decantata dimensione improvvisativa (una delle specificità seduttive di
questa variante della metafora musicale) si appoggia (non solo nella
parafrasi letteraria) sulla solida tecnica elaborativa dello sviluppo
motivico).
365 "Possiamo chiamare questi frammenti di discorso delle figure. La parola non va
intesa nel senso retorico, ma piuttosto nel senso ginnico o coreografico (…) quello che si
legge nel lemma posto in capo alla pagina non è la definizione della figura, ma il suo
argomento. Argumentum : «esposizione, racconto, sommario, piccolo dramma, storia
inventata». La figura è in un certo senso un'aria d'opera; e come l'aria viene
identificata, rimemorata e maneggiata attraverso il suo incipit…, così la figura prende le
mosse da una certa cadenza di linguaggio (una sorta di versetto, di refrain, di cantilena)
che l'articola nell'ombra", Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, (R.
Guideri, t.), Torino, Einaudi, 2001 (1977), pp. 5-7.
233
Tratteggiando questa storia della musica nel riflesso dell'invidia che ne ha
provato la letteratura, è risultata una prospettiva analitica che nella
complessa testura degli sviluppi compositivi, nella molteplicità degli stili,
dei linguaggi e delle epoche, ha rintracciato come un tema fondamentale,
del quale le differenze potessero leggersi variazioni. Nell'osservare quanto
fosse stato il modello beethoveniano - nel suo costituire insieme un
intreccio di memoria e profezia, sintesi complessiva delle tecniche
precedenti e incunabolo fecondo di quelle a venire - a rendere
irresistibile (per i primi teorici romantici) l'idea di usare le forme musicali
come metafora di strutture narrative - nella scoperta cogenza di una
dimensione formalista del paradigma musicale per rendere la
sperimentazione traduttiva (almeno in qualche misura) efficace - si è
letto dietro la fuga dei referenti concreti della metafora (da Mozart a
Wagner) la persistenza di quella concezione (che Beethoven rappresenta
in figura). Sotto questa luce, anche la storia della musica rivela una
compattezza, una coesione paradigmatica (nonostante gli scontri, le -
apparenti - rivoluzioni, le reciproche contestazioni): da Bach a Schönberg:
l'epoca lunga, l'Età beethoveniana, contrastata dalla persistenza della
concezione melodrammatica che però Wagner riesce a includere, agendo,
come Beethoven anche retrospettivamente, fino all'ascesa - e vittoria -
della linea (questa sì davvero incommensurabile) che (figura per figura)
definirei di Debussy. Ma di questa seconda musica come concreta epifania
sonora (così della musica come effusione sentimentale, o puro linguaggio
degli affetti) la letteratura non può (né come volere né come sapere) fare
metafora.
Poichè l'analogia col linguaggio armonico, il riferimento a movimenti
ritmici, l'evocazione di impasti timbrici, non possono che risultare
ornamentazioni del tutto estrinseche alla sostanza narrativa, e solo
l'impianto di sviluppo motivico, la forma costruita per riprese e variazioni,
tanto in processo diacronico che in sovrapposizione sincronica,
rappresentano una aspirazione tecnica che la scrittura può fare propria
definendo una mutazione dei propri esiti, un suo fruibile ripensamento, il
referente musicale (quale esso sia) o si può considerare sub specie
Beethoven, oppure si dissolve in puro gesto (appartenente di fatto a un
contesto della scoperta, ma non a quello ben più importante della
giustificazione).
234
Prendiamo l'adozione di Bach a referente della metafora. Bach diviene
modello compositivo, postumo - ne potremmo proporre assaggi nelle
parafrasi di Saba, Cortázar, Hofstadter,… : proviamo a contrapporre ora il
senso di un’adesione estrinseca e di una intrinseca al modello.
L'ispirazione che Dürrenmatt trova nel Clavicembalo ben
temperato rimane al livello del tutto personale di una corrispondenza
numerica - o meglio numerologica - tra le (arbitrariamente) ventiquattro
frasi-capitolo in cui si snoda il romanzo può e l'insieme di preludi e fughe
che sono ventiquattro in Bach (necessariamente) per ragioni
strutturalmente musicali di cui la letteratura non può costitutivamente
appropriarsi (completa esplorazione del totale cromatico, sperimentazione
delle corrispondenze e simmetrie del labirinto armonico, connessione
sistematica tra impianto tonale ed elaborazione contrappuntistica). Al
contrario, la musicalità di Le Roi des aulnes , adotta il modello bachiano
366
235
del romanzo il persistere di una stesso tema generatore: nella (ri)lettura
del Genesi, nei ricordi dei giochi infantili in cortile con l'inquietante figlio
del custode, Nestor o delle agiografie del santo dedicatario del collegio,
lette in refettorio o riprese nell'omiletica dei professori, meditate dal
narratore protagonista Abel Tiffauges (bambino), nelle sue scoperte (da
uomo) del piacere indicibile e rivelativo del sollevare, sostenere un corpo
abbandonato, negli incontri epifanici con un giovane schettinatore preso
in braccio dopo una sbucciatura al ginocchio, lo stesso motivo viene
ripreso, melodicamente variato, ornamentato, rendendo la storia delle sue
apparizioni e mutazioni la vera storia narrata nel diario di Abel (la prima
parte dell'opera), un'esposizione più che un antefatto.
Da questo gruppo tematico nella sue differenti forme - vero e proprio
soggetto, in accezione musicale - si generano per derivazione motivica
altri gruppi capaci di proseguire autonomi processi di sviluppo: la
passione per i bambini (oggetti privilegiati della passione forica) può
essere basso armonico di una (succedanea) vocazione alla cura dei
piccioni, può trasformare in orco l'uomo che ne è travolto . Ma 368
368Così Abel viene definito, scherzosamente ma non troppo, dall'amante Rachel ("Sei un
orco, mi diceva a volte Rachel. Un Orco? Cioè un mostro meraviglioso, riemergente
dalla notte dei tempi? Io ci credo senz'altro, alla mia natura meravigliosa", I, p. 13),
così - lo scherzo divenuto terrore - lo identificano i paesi nei dintorni della fortezza di
Kaltenborn nei quali Abel si reca a reclutare i ragazzi per la scuola militare di eccellenza
("gli tese un foglio di carta di cattiva qualità su cui era stato grossolanamente riprodotto
al ciclostile, il seguente testo (…) ATTENZIONE ALL'ORCO DI KALTENBORN. Brama i
vostri figli. Percorre le nostre regione e rapisce i ragazzi … se l'orco porta via i vostri
ragazzi, non li rivedrete MAI PIÙ!", V, p. 319). L'orco si nutre di carne cruda ("avrei
tanto più ubbidito alle mie aspirazioni alimentari quanto più mi fossi avvicinato all'ideale
della crudità assoluta"), rende tiffaugeano il rito eucaristico ("fatta stamane la
comunione … freschezza rinvigorente della carne fremente del Bambin Gesù sotto il velo
trasparente della piccola ostia secca di pane azimo. Ma come definire l'infamia dei preti
di Roma che rifiutano ai fedeli la comunione sotto le due specie e riserano a se stessi la
succulenza che questa carne acquista certo nel venire annaffiata con il proprio caldo
sangue?") immagina e realizza di nutrirsi della carne di animali allevati amati ("credo
che sarei capace di sgozzare con le mie mani e di mangiare con un affettuoso appetito
un animale che avessi allevato e che avesse condiviso la mia vita. Lo mangerei
addirittura con un gusto più illuminato, più approfondito di quello che uso con una carne
anonima, impersonale", quindi scoperti i propri piccioni, arrostiti per il comandante:
"Piume rosse e argentee erano sparse sull'ammattonato, e nel focolare, tre corpicini
nudi, infilzato e colanti grasso, giravano tristemente su un fuoco di fscine (…) almeno
uno dei commensali non li avrebbe assaggiati, lui, Tiffauges, che li aveva allevati con
amore per farne fedeli messaggeri, insegne viventi e vibranti. Poi ebbe un'altra idea.
Non doveva essere lui solo a mangiare i corpicini assassinati?, II 171).
236
hitleriana dall'infamante accusa di aver cercato di fare violenza ad una
bambina di nome Martine (I, Scritti sinistri di Abel Tiffauges ), esperiente
la guerra come responsabile di un'anacronistica unità colombofila da lui
stesso costituita (II, I piccioni del Reno ), catturato e tradotto in territorio
tedesco, recluso nel campo di Moorhof dove scopre nella Germania il suo
paese d'elezione (III, Iperboreo), nominato, per l'ottima condotta e il
progressivo arretrare delle posizioni tedesche, prima aiutoguardiacaccia
nella tenuta di Göring, (IV, L'orco di Rominten), poi collaboratore nella
fortezza di Kalterborn, all'addestramento ideologico, mitico, militare di
una elite di ragazzi futura squadra speciale combattente per il Reich, la
Napola (V, L'orco di Kaltenborn ) fino alla completa disfatta della fortezza,
alla morte di tutti i ragazzi, al suo incontro e fuga con il piccolo cristico
ebreo, scampato ai campi, Ephraïm (VI, L'Astrophore ), nel suo insieme,
la storia, così spazialmente dislocata, - inverosimilmente combinata - non
solo non coagula la molteplicità dei suoi momenti in unitaria, attesa
coesione, ma soprattutto non si definisce per un'intrinseca teleologia.
Piuttosto delimita uno spazio in cui possa rivelarsi la struttura interna di
relazioni tematiche. I mov(im)enti psicolologici, le sequenze cronologiche
e causali di eventi non hanno a intendersi che come leggero manto
coprente, non energie motrici del romanzo ma piuttosto loro ornamento
(come i pistoni e le bielle delle piccole locomotive elettriche dei ragazzi non
fanno veramente andare avanti la macchina ). Per questo, la morte
conclusiva dei tre ragazzi, i prediletti di Abel, Haïo, Haro e Lothar che
nell'apocalittica scena finale appaiono impalati sulle spade monumentali
sigillate sul parapetto della terrazza del castello, non richiede spiegazioni,
indagini di lettore su chi abbia effettivamente compiuto il delitto: chi? Ma
tutto il romanzo, sicuro, la spinta irresistibile di una massa di piccoli fatti e
annotazioni accumulati nelle quattrocento pagine che precedono! C'è, a
esempio, Nestor che dichiara misteriosamente all'inizio: «Bisognerebbe riunire
con un tratto solo alfa e omega», ci sono poi i tre piccioni preferiti dal
colombofilo Abel Tiffauges (che corrispondono ai tre ragazzi della Napola)
infilzati e mangiati, c'è soprattutto la teoria sviluppata dal comaandante on
Kalternborn secondo la quale i simboli - nel caso i gladii solennemente
consegnati ai ragazzi - in virtù di un'inversione maligna cessano d'essere portati
dagli esseri per portare loro stessi gli esseri (il Cristo che dopo aver portato la
croce è lui stesso portato dalla sua croce) 369. Oltre che di una vocazione -
sapienza - polifonica (evidente nel contrappunto temporale della prima
parte tra i ricordi di Abel bambino al collegio St. Cristoph e Abel orco,
garagista che registra e fotografa i ragazzini all'uscita dalla scuola -
secondo il modello esplorato vertiginosamente dal Butor di L'emploi du
temps - o nella successiva - e conclusiva - sovrapposizione canonica
degli stessi avvenimenti a Kaltenborn, narrati alternatamente da
un'anonima voce esterna e dal protagonista nei frammenti diaristici dei
suoi Écrits sinistres ), Bach diviene cioè modello di un'istanza strutturale
- nella nostra accezione, dunque, un Bach beethovenizzabile - che
237
trasforma il contenuto in puro epifenomeno della forma. Se valutassimo
autonomamente - come di prassi, per la narrativa - il solo piano della
successione evenemenziale complessiva, la domanda sul come essa
termini sembrerebbe dover cedere il passo a quella sul perché proprio a
quel punto si interrompa. Solo sul piano della struttura, la scena finale
acquista la sua valenza pienamente, convincentemente conclusiva:
Tiffauges ubbidì docilmente, e da quel momento non fu più che un bambino tra i piedi e
le mani del Porta-stella … e via via che i suoi piedi affondavano maggiormente nel suolo
fradicio d'acqua, sentiva il ragazzo - pur così esile, pur così diafano - pesargli addosso
come una massa di piombo. Avanzava, e il fango continuava a salirgli su per le gambe,
e il peso che lo schiacciava aumentava a ogni passo. L'incontro con il disperso
Ephraïm aveva segnato l'ultima ripresa del soggetto - combinatoriamente
generativo di tutta la combinatoria struttura del romanzo - permettendo
la ripresa dei temi principali (da Abel-cavallo alla - compositivamente
motivata - fine dei suoi prediletti ragazzi-simboli-piccioni). Ma per
equilibrare l'inversione dei giochi e passioni di Abel nel racconto di
Ephraïm sulle sevizie nei Lager sui bambini ebrei, è quello stesso tema
principale della foria (Abel che prende sulle spalle il piccolo ebreo
scampato) ad apparire così - come in uno stretto - sovrapposto non solo
alla sua aumentazione (Abel porta il portatore della stella), ma alla sua
stessa inversione (è il portatore ad essere portato, il salvatore salvato,
l'affondare salvezza, il peso insostenibile, unica - e davvero ultima -
possibilità di volo). In questa travolgente, perorativa saturazione del
materiale tematico, proiettato, avvolto su se stesso, moltiplicato ad
esaurire lo spazio testuale, la forma impone la clausola cadenzale, la
storia perde la possibilità stessa di proseguire per esaurimento
dell'energia (motivica) che l'aveva mossa, il romanzo si conclude
trasferendo così il piano della realtà in una dimensione (aerea, aperta,
allusivamente, ineffabilmente) simbolica. Gli eventi, come nell'intima
percezione di Abel , così finalmente nella coscienza del lettore, si
370
238
quest'opera (Bach, Beethoven, Wagner, Tournier) possiede una carica
insieme umana e cosmica ed è tanto più ricca e tanto più commovente quanto
più è sottomessa alla costruzione formale più spietata. Si direbbe che questa
costruzione monumentale sia portata a incandescenza dalla violenza delle regole
del gioco contrappuntistico come la corrente elettrica esplode in luce accecante a
condizione di passare attraverso un filamento diafano, chiuso esso stesso in
un'ampolla vuota371.
Solo nella forma, si può sognare il sogno musicale, solo in quanto forma
la musica può offrire metafora cognitiva, strumento di rivelazione alla
letteratura di possibilità costruttive, ridefinizioni statutarie, novità di
effetti, grazie alla precisa analogia col referente - morfologico o autoriale
- proposto - anche indipendentemente dalla possibilità (soggettiva
capacità o realizzabilità sostanziale) di risolvere in maniera pienamente
soddisfacente l'istanza parafrastica. Alla musica come suono (armonia,
dinamica, timbro) non si può domandare più del gesto metaforico,
un'evocazione che parla di intenzione e desiderio, piuttosto che una
volontà che (in qualche modo, più o meno diretto) arrivi a parlare del
soggetto testo che la invoca - sono le possibilità euristiche della metafora
cognitiva a potersi solo simulare nella metafora gestuale. Quel referente
musicale che si presta ad essere adottato in quanto istanza formale, può
in virtù della forza ispirativa di quel modello, cercare una
rappresentazione narrativa anche dei suoi parametri ritmici, armonici,
tonali, agogici, nei suoi aspetti cioè (costitutivamente) irrapresentabili -
quasi che la suggestione mimetica potesse davvero sciogliere l'analogia in
identità: ma la metafora diviene allora puro giuoco linguistico.
239
Webern, Darmstadt
Spettrali sound
jazz
Nella nostra prospettiva in cui solo la dimensione prioritariamente formale
del repertorio permette di considerare le sequenze armoniche o le
articolazioni ritmiche, referente di un gesto metaforico - per quanto
vuoto (o cieco) -, l'uscita da questo sistema privilegiato - sfera la cui
circonferenza tocca Bach e Schönberg, intorno al centro Beethoven - si
valuta non in base a mutazioni linguistiche quanto all'esaurimento di un
paradigma morfologico dominante gli altri parametri (suoi - vicariabili -
materiali, secondo l’insegnamento principe della seconda Wienerschule:
Webern, come il suo maestro ossessionato dalla pregiudizialità del
problema formale, nella serie scopriva l'avatar tecnico - il mezzo più
estremamente coerente ed esteso - per rendere ancora possibile - dopo
l'esaurimento del linguaggio tonale in cui era nata - quella concezione
strutturale della musica - architettura di temi, esposizioni, sviluppi,
riprese che, con mossa rivelativa di tutti i percorsi di influenze,
embricature che ho raccontato nel capitolo precedente - e per noi quindi
quasi epigrafe - riconosceva nella scrittura musicale di uno scrittore non
musicista: mi ha riempito di grande entusiasmo che anche in Shakespeare si
noti una analoga ricerca di coerenza nelle molte assonanze e conosonanze. è
stata costruita perfino una frase che può essere letta per modo ricorrente. Così
anche è nata l'arte della parola di un Karl Kraus; anche qui si deve raggiungere
coerenza, perché essa aumenta la comprensibilità 372). Certo, se la forma
diviene funzione del suono (invertendo l'ordine di determinazione) a
dissolversi risulterà la possibilità stessa della musica come referente, ma
più problematica risulta la definizione del senso letterario di un'esperienza
come quella stravinskijana che, paradossalmente definisce in un'ancora
mantenuta dimensione formale, la negazione della dimensione
propriamente musicale della forma (sostituisce alla concezione strutturale
delle temporalità di marca beethoveniana-wagneriana, una volontà tutta
spaziale di esposizione senza sviluppo, di giustapposizione senza
metamorfosi, dei motivi-personaggi facendo stili-oggetti: la forma
frontalmente squadrata 'espositiva'… con decisa soppressione delle funzioni
transitive 'di centro' (gli svolgimenti tematici, i ponti, le modulazioni di
passaggio, gli sviluppi elaborati); in poche parole, la eliminazione del senso di
'divenire dialettico': il cui diretto corollario non poteva che essere l'orrore per la
discorsività compositiva 'a vite senza fine' di Wagner 373(…) in favore di una
372 Anton Webern Verso la nuova musica (G. Taverna, t.), Milano, Bompiani, 1963, pp.
103-104.
373 Paolo Castaldi, In nome del padre. Riflessione su Strawinsky, Milano, Adelphi, 2005,
p. 13; e aggiungo dalla citazione: "il più nostro Strawinsky, proporrei: forse, nessun
tempo è stato e sarà meno vicino nello spirito, dell'attuale, all'espressionismo; e meno
vicino nello spirito, di questo attuale, alla classicità sonatistica e sinfonica, con il loro
comune galoppo haletant di ponti, transizioni e tempestose condenszioni-rarefazioni di
forze, crescendi-decrescendi di tensioni: meno vicino agli Höhepunkte orgasmatici di
Schönberg, come alle vibranti arringhe del Beethoven più titanico, o turbolento e
caliginoso, occorreva infine dirlo con questa chiarezza (…) vorremmo dire nostro il
240
concezione della musica in sé, come atemporale composizione a pannelli (…) il
più nostro Strawinsky, proporrei: forse, nessun tempo è stato e sarà meno
vicino nello spirito, dell'attuale, all'espressionismo; e meno vicino nello spirito, di
questo attuale, alla classicità sonatistica e sinfonica, con il loro comune galoppo
haletant di ponti, transizioni e tempestose condenszioni-rarefazioni di forze,
crescendi-decrescendi di tensioni: meno vicino agli Höhepunkte orgasmatici di
Schönberg, come alle vibranti arringhe del Beethoven più titanico, o turbolento e
caliginoso, occorreva infine dirlo con questa chiarezza … vorremmo dire nostro il
sublime ornamentale … ch'è incapace di porsi in qualsiasi forma per antitesi-
sintesi, ma solo è in grado di 'esporre', e non per materia 'nobile' e nemmeno
visibilmente connessa, anche nei sensi tecnico e letterale dell'espressione ). La
possibilità di una parafrasi stravinskijana vissuta come crisi di rigetto
verso l'arte wagneriana (della totalitaria persuasione per sopraffazione
mistico sentimentale), l'avevamo letta nelle dichiarazioni d'intenti di
Savinio (che però poi esercita l'antidoto del suo guizzante wit proprio
attraverso le tecniche che consentivano all'ideologia del suo idolo
polemico di dispiegarsi in tutta la sua forza inarrestabile: e costruiva le
sue narrazioni - divagazioni, conversazioni - saggistiche per temi
conduttori, modulazioni infinite, variazioni e riprese). Ancora più
paradossalmente, il modello stravinskijano (letto attraverso Janacek) che
invita Kundera a immaginare una letteratura priva di transizioni, senza
connettivi riempitivi, per giustapposizione di nuclei essenziali, si attua
attraverso una tecnica compositiva, ispirata alla tecnica di variazioni di
Beethoven (l'uscita dal nostro paradigma dominante, è solo apparente:
un esito letterariamente stravinskijano rappresenterebbe dunque l'effetto
anamorfico di una condotta narrativa che consideri la successione narrata
degli eventi come sequenza di variazioni intorno a uno o più temi
generatori). Specularmente, il Roland Barthes dei Fragments che 374
241
dall'amico Severo Sarduy, ancora dal Werther, infine dall'Armance di
Stendhal - nessuno sviluppo, nessuna composizione, sola presenza - né
attesa né memoria di struttura - il tema (soggetto) come pura epifania :
1. Werther parla della sua stanchezza ("Lasciami soffrire fino in fondo; sebbene
mi senta sfinito, ho ancora forza sufficiente per resistere"). L'assillo amoroso
comporta un dispendio di energie che logora il corpo quanto un duro lavoro
fisico «Soffrivo talmente, - dice qualcuno-, tutto il giorno lottavo a tal punto con
l'immagine dell'essere amato che, la notte, dormivo come un ghiro». E Werther,
poco prima di suicidarsi "si coricò e dormì a lungo". 2. Risvegli tristi, risvegli
strazianti (di tenerezza), risvegli bianchi, risvegli innocenti, risvegli pieni di
innocenza (Octave si risveglia da uno svenimento: "A un tratto gli vennero in
mente le sue sventure: non si muore di dolore altrimenti egli sarebbe morto in
quell'istante)"376.
Con vertiginoso gioco di proiezioni (la metafora musicale come modello
critico - a varcare la barriera che lo separa(va) dal suo oggetto di
indagine - per la (melusinanda) scrittura saggistica che (come la musica
di Stravinskij) sulla citazione, si definisce e costruisce) Paolo Castaldi
(compositore scrittore) scrive un (grande) saggio Nietzsche cum
Strawinsky che, volendo rappresentare nell'esposizione i contenuti della
377
sua analisi, di fatto li organizza come parafrasi letteraria del proprio pezzo
per pianoforte Anfrage . 378
242
Nella musica dei corni c'erano accordi che avevano
con lui una indiscutibile affinità, ma la parentela era
indiretta, laterale, quasi artificiale
Michel Tournier
Il re degli Ontani
4. (storia di storie: intrecci)
243
que certaines structures complexes ne puissent apparaitre dans le langage
articulé que lorsque le langage musical les a déjà dans une certaine mesure
rendues courantes?381 o Lévi-Strauss: Anche qui, perciò, le forme musicali ci
offrivano la risorsa di una diversità già verificata dall'esperienza, giacché il
confronto con la sonata, la sinfonia, la cantata, il preludio, la fuga, etc.
permetteva di accertare facilmente che in musica erano sorti dei problemi di
costruzione analoghi a quelli sollevati dall'analisi dei miti, e per i quali la musica
aveva già inventato delle soluzioni 382) fino a tratteggiare una storia della
musica per raccontare quella del coevo romanzo (Robbe-Grillet - la storia
del romanzo come sistema di probabilità e scarti, mutevole nel modo ma
permanente nella sostanza, dal naturalismo balzachiano all'entropica
rinascita del nouveau roman si può leggere sotto forma di narrazione
delle avventure del sistema tonale: je vais développer une espèce de fiction
sur l'évolution du système tonal de Bach à Schönberg (…) prendre l'exemple de
la musique. Porquoi ? parce que la musique est en somme un système de
classement plus simple, en particulier la musique tonale (qui a beaucoup servi
justement comme exemple) (…) et par conséquent plus forte que l'écriture
romanesque (…) le système tonal avait cette particularité d'etre producteur
d'écarts (…) Donc c'était d'une part un système de classement extremement fort
et d'autre part un systéme qui appellait, comme naturellement, la subversion ;
dopo Bach (il primo grande giocatore = il romanzo settecentesco?),
Beethoven (vraiment le spécialiste des écarts = Balzac?), l'étape bien sur
qu'on peut signaler comme jalon suivant, c'est Wagner (Proust?), où le système
de Bach est toujours présent, mais où chaque accord peut appartenir à de
nombreuses tonalités à la fois (…) si bien que l'auditeur ne peut jamais se
reposer dans une tonalité d'où on serait patri, à laquelle on saurait revenir (…) il
ne fait que continuer le système tonal, en prenant le problème au point où il se
trouve : comment, avec le système tonal tel qu'il est aujourd'hui, comment puis-
je encore produire un plaisir nouveau chez l'auditeur? (…) Et le degré suivant,
avec Schönberg (finalmente, Robbe-Grillet!) , va consister (…) que jamais
aucun tonalité ne puisse être décelée dans un accorde ou groupe d'accords
quelconques (…) Dans le roman, le choses sont plus complexes. Mais il es
si approprierà (verso cui convergerà) il suo grande analogo musicale, la sinfonia: "La
ripresa era il punctum dolens della forma-sonata, poiché annullava l'elemento che era
decisivo da Beethoven in poi, cioè la dinamica dello svolgimento, facendo pensare
all'effetto di un film su uno spettatore che dopo la fine rimanga al suo posto rivedendo
l'inizio (…) di contro la musica senza ripresa conserva un che di insoddisfacente - e non
solo dal punto di vista culinario-, un che di sproporzionale, di sconnesso, come se le
mancasse qualcosa e non avesse fine (…) la risposta di Mahler a questa alternativa
converge con quella dei più grandi romanzi della sua generazione: quando egli, in
obbedienza alla forma, ripete dei passi precedenti, non ne intona la lode né canta la
lode del passato. Grazie alla variante, la sua musica si ricorda a grande distanza del
passato e di ciò che ha quasi dimenticato, s'oppone all'inanità di esso e lo definisce
come un fattore effimero, irrecuperabile. Essa si basa su tale fedeltà redentrice",
Theodor Wiesegrund Adorno, Wagner. Mahler. Due studi, (M. Bortolotto, G. Manzoni,
t.), Torino, Einaudi, 1975 (1960), pp. 222-223.
381 Michel Butor, Répertoire II, Minuit, Paris, 1964, p. 35.
382 Claude Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto ( A. Bonomi, t.), Milano, Saggiatore, 1990
(1964), p. 31.
244
évident qu'il 'agit aussi d'un système de classement des éléments 383; con altra
partizione, il parallelo viene esplicitamente tracciato da Milan Kundera: La
storia della musica europea ha quasi mille anni (…) la storia del romanzo
europeo (…) ne ha circa quattrocento. Quando ci penso, ho costantemente
l'impressione che queste due storie abbiano proceduto con ritmi assai simili, per
così dire in due tempi. Nella storia della musica e in quella del romanzo le cesure
fra questi due tempi non sono sincrone. Nella storia della musica, infatti la
cesura occupa un intero secolo, il Settecento (l'apogeo simbolico della prima
metà coincide con l'Arte della Fuga di Bach, l'inizio della seconda con le opere
del primo classicismo); nella storia del romanzo la cesura cade un po' più tardi,
fra il Settecento e l'Ottocento, vale a dire fra Laclos e Sterne da una parte, Scott
e Balzac dall'altra (…) i più grandi romanzieri del periodo postproustiano - penso
in particolare a Kafka, a Musil, a Broch, a Gombrowicz, o, nella mia generazione,
a Fuentes- sono stati estremamente sensibili all'estetica del romanzo
preottocentesco (…) al pari dei grandi romanzieri, i grandi compositori moderni
(Stravinskij non meno di Schönberg) hanno (…) dovuto far uscire la musica dal
solco tracciato dal secondo tempo (…) rifiutando di individuare la ragion d'essere
della musica esclusivamente in una confessione della vita emotiva, idea che
nell'Ottocento era diventata per la musica un imperativo ferreo quanto
l'obbligo della verosimiglianza per la coeva arte del romanzo 384). Questa storia
d'amore e di specchi può differenziarsi dalla più o meno lieve sfasatura
cronologica, può progressivamente sincronizzarsi - il principio analogico
dissolversi in ideale parallelismo di sostanza - in relazione a differenti
parametri di sviluppo, non solo formali, ma ritmici, armonico-tonali
(Ernesto Sabato - storia comparata dell'emancipazione della dissonanza:
quando si paragonano gli ultimi spartiti di Mozart con i primi comprendiamo il
valore della dissonanza, il suo potere di penetrazione attraverso gli strati della
pura bellezza fino alle zone più profonde. E' ciò che, su scala maggiore, è
successo con la letteratura del nostro tempo: la dissonanza in Rimbaud, in
Dostoevskij, in Joyce è come dinamite che fa esplodere i paesaggi convenzionali
e mette a nudo le verità ultime, e spesso atroci, che vivono nell'intimo
dell'uomo. Ricordiamo la scena della fiera in Madame Bovary, che si sviluppa su
tre piani simultanei : sotto la folla avanza spingendosi contro il bestiame; sul
palco, i funzionari blaterano i luoghi comuni commemorativi; sopra, nella stanza
Rodolphe ripete pompose frasi d'amore. Attraverso la dialettica della volgarità,
grazie alla simultaneità di muggiti, discorsi e retorica amorosa, Flaubert ha un
effetto devastante contro il sentimentalismo apocrifo e la volgarità borghese.
Paradossalmente, raggiunge in questo modo un romanticismo più disperato e
lancinante. Certamente la dissonanza non è stata una scoperta della letteratura
attuale: si pensi al modo in cui Shakespeare mette in contrasto spirito burlone e
spirito sublime; gli effetti ottenuti da Cervantes contrapponendo Don Quixotte e
Sancho; alle spietate dissonanze che utilizza Dante nell'Inferno. Ma è altrettanto
vero che la dissonanza non ha mai svolto un ruolo così trascendente come
nell'aspra letteratura del nostro tempo 385), o leggendo nell'elemento
383 Alain Robbe-Grillet, Ordre et désordre dans le récit, 1978 in: Le voyageur, Paris,
Bourgois, 2001, pp. 139-141.
384 Milan Kundera, Improvvisazione. In omaggio a Stravinskij in: I testamenti traditi,
Adelphi,1994 (1993), p. 65, pp. 80-81.
245
dominante di sviluppo - secondo il modello a lombrico (un segmento si
raccoglie l'altro si estende) di Boito - l'emergenza di un'analogizzabile,
identificabile istanza poetica o strumentale (Antonio Pizzuto: la musica
risulta da una triplice fonte: melodia, ritmo, armonia. Al primato di questi tre
elementi, che fu tenuto dall'armonia nei secoli scorsi, avendo inizio con la
polifonia palestriniana del Cinquecento, subentrò gradualmente, attraverso il bel
canto italiano del sec XVII, l'elemento melodico e il canto monodico rese
filiforme la parte armonica - ridottasi a basso numerato - che riprese poi il
sopravvento nell'orchestra wagneriana, fino alla quale il ritmo serbò carattere
unitario e anzi monistico. Ma la sensibilità estetica del nostro tempo non è più né
armonica né melodica: è essenzialmente ritmica, e più precisamente poliritmica
(…) per ritmo intendo poliritmicità, o ‘arritmicità’ addirittura (‘arritmicità’
stravinskijana: con due erre doppio rotacismo). Ma poliritmicità: perché guarda
che all'aritmicità non si può mai arrivare. Io dalla mattina alla sera sono
tormentato da problemi di ritmo (…) se tu fai un po' di analisi combinatoria,
vedi che è assolutamente impossibile giungere a una combinazione pura che non
sia nessuna delle combinazioni normali (…) ma noi abbiamo una poliritmicità
assoluta che dissipa completamente il nostro sospetto della ritmicità
convenzionale386), fino a proporre, più articolatamente, il tentativo di una
sintesi comparativa . 387
385 Ernesto Sabato, La dissonanza in: Lo scrittore e i suoi fantasmi, (L. Dapelo, t.),
Roma, Meltemi, 2000 (1963-1979), pp. 131-132.
386 (P. Peretti, c.), Pizzuto parla di Pizzuto, Cosenza, Lerici, 1977, pp. 69-70.
387 "No influence is in question here, no common heritage, no particular shared
problematic, not even the same public - only a common sensibility (…) for the 'laws' of
musical structure offer firmer guidelines to interpretation than the more approximate
principles of verbal expression", Marshall Brown, Origins of modernism: musical
structure & narrative forms in: (Scher, S. P., c.), Musical and text: critical inquiries,
Cambridge University Press, 1992, p. 90.
246
narrativamente, poeticamente il discorso musicale, quanto, della storia
avventurosa di quella volontà, un ulteriore capitolo.
247
testimonia (con strepito) che quella impossibilità in molti modi e molte
volte (senza sottolineare poi da chi) è stata pensata possibile.
La maturazione del paradigma formalista definendo in termini strutturali
la specificità del musicale ne rende concepibile una conversione in
struttura letteraria: da questa mossa che, abbiamo visto, storicamente
decide il destino (il successo) della nostra metafora, si può trarre
l'argomento teoretico decisivamente confutativo della contestazione per
cecità della volontà parafrastica. Di fronte all'obbiezione che tendeva a
delegittimare l'adozione letteraria di forme musicali insistendo che nulla
(quelle definizioni morfologiche) potessero significare fuori dal concreto
contesto di relazioni armoniche, piani tonali,… in cui (solo) acquistassero
un senso effettivo, si rivendica la loro adozione ancora musicale ma
all'interno di un orizzonte non solo stilisticamente ma linguisticamente
non commensurabile. L'uso metaforico di un astratto modello formale si
dimostra possibile per la letteratura, essendosi già sperimentato
all'interno della stessa pratica compositiva musicale. Ancora Berg, con
esemplare chiarezza, descrive la difficoltà che la crisi - kuhnianamente,
di paradigma - atonale aveva determinato nella scrittura, privando le
grandi classiche articolazioni formali, del loro sostegno linguistico: come
sarebbe stato possibile mantenerle, privandole del loro senso proprio, del
preciso supporto che permetteva di riferirsi ad esse come non generiche
aspirazioni (stiamo parlando di un musicista che, rispetto a quel modello
morfologico, si pone problemi come fosse uno scrittore, impegnato a
trasferirli in un linguaggio ad esso eterogeneo): come potevo raggiungere,
senza ricorrere al mezzo tradizionale della tonalità e alle possibilità di
strutturazione formale da essa garantite, la medesima coerenza, la medesima
ferrea unità musicale 388? La risposta era già stata data, qualche anno prima,
il 9 febbraio 1925, nella Lettera aperta ad Arnold Schönberg , dedicatoria
389
388 Alban Berg, Analisi di Wozzeck. Conferenza (1929) in Luigi Rognoni, La scuola
musicale di Vienna, Torino, Einaudi, 1966, p. 469.
389 In: Luigi Rognoni, La scuola musicale di Vienn, op. cit., pp. 442-443.
390 Un significativo esempio successivo viene indicato da Nattiez nell'esportazione
dell'isomorfismo tonale in un contesto extratonale nelle ultime opere di Boulez,
segnatamente in Rèpons : "è caratteristico il fatto che Boulez recuperi così il grande
248
l'applicazione di una metaforizzazione strutturale rappresenta una
391
249
contrappunto ideale e metaforico dove potrebbe esistere quello reale) - e
in questo modo, suggerendo (come noi) il senso dell'adozione della
metafora musicale come modello della (sua) narrazione critica dei miti 393
250
straordinaria Coda del primo movimento della sonat
Les Adieux, dove la frase con le 'note dei corni' ed i
suoi echi si avvicinano progressivamente. La
presentazione simultanea di cose che ci si aspetta
solo in successione - in questo caso la dominante e
la tonica- ha l'effetto di un improvviso, sconcertante
groviglio nel flusso temporale (…) La famosa entrata
anticipata del corno prima della ripresa nel primo
movimento dell'Eroica è un esempio simile; il corno
traccia il tema in tonica, mentre
nell'accompagnamento il fluire della cadenza
richiederebbe la dominante. Questa commistione di
funzioni, che colpisce così violentamente in un
contesto tonale ben ordinato, è stata generalizzata
ed addomesticata da Strawinsky nella sua tecnica di
montaggio
Gyorgi Ligeti,
Metamorfosi della forma musicale
251
paradigma formalista), ora però ci troviamo costretti alla mossa opposta,
rivelare nell'apparentemente simile la reale disparità , riconoscendo 395
252
letterari - mi piace solo segnalare l'uso possibile per ribadire la già
segreta - insieme ignorata e agita - volontà musicale di Poe nel suo
indicare i limiti temporali del poem entro una sola - dagli affari del mondo
non interrompibile - seduta-esecuzione ). Bensì di una concezione
399
C'era una volta uno di quei santi ignudi che in giorni lontani abitavano le
caverne solitarie. Egli non aveva mai pace parendogli di sentire senza posa il
fragore della ruota del tempo che girava, girava, rombando nelle sue orecchie
con un grande strepito, un insopportabile fragore. Lo si vedeva affaticarsi, quel
sant'uomo, nel movimento più sforzato e violento, come a far girare un'immensa
ruota, come per venire in aiuto con tutto lo sforzo del suo corpo a quel tonante e
fischiante ruotare, affinché il tempo non corresse il pericolo di rimanere un sol
momento fermo, «Infelici» si rivolgeva a chi lo incontrava e sgranava tanto
d'occhi a vedergli compiere quei gesti incomprensibili e defatiganti, «non sentite
la scrosciante ruota del tempo?». Ma in una notte d'estate meravigliosa e chiara
di luna, due innamorati vollero abbandonarsi completamente alle meraviglie
della solitudine su una barchetta leggera dalla quale una musica eterea saliva
ondeggiando nell'ampiezza del cielo. Nel deserto apparve per la prima volta un
mondo nuotante di suoni, e nelle note, che ora salivano ora scendevano a
ondate, si poteva distinguere il canto: ecco, d'improvviso, la rombante ruota
sparì di mano al santo ignudo. La sua forma umana scomparve, mentre
un'immagine spirituale bella come un angelo, intessuta di vapore leggero, stava
sospesa fuori della grotta, e stendeva, piena di nostalgia, le braccia snelle al
cielo, e s'innalzava secondo le note della musica in un movimento di danza, dalla
terra verso l'alto. In alto, sempre più in alto, con alati piedi danzanti, penetrò
nel cielo e infine s'inoltrò con volute intrecciate tra le stelle: allora risuonarono
tutte le stelle e mandarono un celeste tintinnio, chiaro come un raggio negli
spazi aerei, fino a perderso nel firmamento infinito. Carovane in cammino
guardavano stupite la meravigliosa apparizione notturna e gl'innamorati
credettero di vedere il genio dell'amore e della musica.
In questo wunderbares morgenländisches Märchen von einem nackten
Heiligen (1797), Wackenroder ci racconta di una musica, forma ineffabile
che ferma la ruota del tempo (quell'inesausto inarrestabile precipizio che
ci afferra - come ben sa il nudo santo che da quella cura è travolto, da
quella volontà di arresto impedito alla normale pace della vita),
nell'epifania sonora che oggettiva il tempo senza reificarlo, l'agostiniano,
transeunte presente, diventa spazio abitabile, percorribile, percepibile. La
399 "If any literary work is too long to be read at one sitting, we must be content to
dispense with the immensely important effect derivable from unity of impression - for,
if two settings be required, the affair of the world interfere, and every thing like totality
is at once destroyed (…) what we term a long poem is, in fact, merely a succession of
brief ones (…) it appears evident, then, that there is a distinct limit, as regard length, to
all work of literary art - the limit of a single sitting - and that, altough in certain classes
of prose composition, such as 'Robinson Crusoe', (demanding non unity) this limit may
be advntageously overpassed, it can never properly be overpassed in poem", E. A. Poe,
The philosophy of composition, op. cit., p. 481.
253
temporalità che la musica permette di percepire nella sua struttura,
temporalmente definita, si definisce - questo racconta la parabola (al
solito profetica) di Wackenroder - paradossalmente come una temporalità
del tutto atemporale. Chiosando con Lévi-Strauss, la dimensione
temporale che musica richiede per manifestarsi, rivela una relazione al
tempo di natura singolare: tutto avviene come se la musica non avesse
bisogno del tempo se non per infliggergli una smentita. Macchina per
sopprimere il tempo, al di sotto dei suoni e dei ritmi, la musica opera su un
terreno grezzo, che è il tempo fisiologico dell'uditore; tempo irrimediabilmente
diacronico in quanto irreversibile, e di cui la musica stessa tramuta però il
segmento stesso che fu dedicato ad ascoltarla in una totalità sincronica e in sé
conchiusa. L'audizione dell'opera musicale, in forza dell'organizzazione interna di
quest'ultima, ha quindi immobilizzato il tempo che passa; come un panno
sollevato dal tempo, l'ha ripreso e ripiegato. Cosicché, ascoltando la musica e
mentre l'ascoltiamo, noi accediamo a una specie di immortalità 400, quella del
santo che diviene stella. O rispondendo alla nostra wackenroderiana
parabola con una costruzione mitica Nattiez (in un testo intitolato con
stretta attinenza al nostro discorso Il combattimento di Crono e Orfeo)
racconta una sua particolare - programmatica - versione del mito
musicale per definizione, la storia di Orfeo che, perduta Euridice, dopo
aver bevuto l'acqua del Lete, dimentica definitivamente colei che l'aveva
ispirato per dedicarsi solo alla propria arte. Confidando nei propri poteri
incantatori, sfida Crono in persona improvvisando una lunga ballata in forma di
variazioni : «Nel mio canto, gli dice, la melodia si ripete ma non è mai la
stessa». Crono intuisce imediatamente il pericolo : Orfeo, per mezzo della
musica, cerca di sottrarre tutti coloro che l'ascoltano all'inesorabile scorrere del
Tempo. Ma la vittoria della quale Crono lascia illudere il cantore, è di
breve durata: la storia della musica che Nattiez ripercorre in figura vede a
poco eclissarsi il modello beethoveniano della temporalità soggiogata
nella forma (Crono dopo aver finto di cedere alla seduzione della sua voce, ne
provoca la morte. É una morte definitiva? ). Di questa visione mitica non
401
400 Claude Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto (A. Bonomi, t.), Milano, Saggiatore, 1990
(64), pp. 32-33.
401 Jean-Jacques Nattiez, Il combattimento di Crono e di Orfeo. Saggi di semiologia
musicale applicata; (F. Magnani, t.), 2004 , p. IX.
254
scorrere ma lo sottomette (…) paradossalmente il tempo che passa, che passa
anche per la concezione della forma musicale, viene sincopato dall'istante del
motivo identico, in sé senza tempo, viene abbreviato dal suo teso crescendo
finché si arresta 402.
Non si tratta quindi di una generica disposizione diacronica del materiale,
che la letteratura condivida per statuto con la musica, ma la ricerca nella
musica di una concezione della temporalità che, paradossalmente, riesca
insieme a far esperire il flusso in cui si dispiega e negarlo nella sua
struttura r(el)azionale. Il modello musicale non viene cioè addotto
surrettiziamente a rinominare quella ovvia proprietà comune delle arti
della diacronia, ma sforza la letteratura a simulare nella sua articolazione
costruttiva quella dimensione formale non lineare del tempo (fare non
solo nel ma soprattutto del tempo una semantica strutturale di attese e
ritorni) che rappresenta un portato essenziale dell'esperienza musicale
maturato intorno al paradigma beethoveniano . Così Mallarmé che nel
403
402 Theodor Wiesegrund Adorno, Beethoven. Filosofia della musica, (R. Tiedemann, c.),
Torino, Einaudi, 2001 (1993), p. 133.
403 Nella sua trasformazione da musicale in letterario, questo tempo intemporale, come
già colto precisamente - profeticamente - da Wackenroder assume - nell'imperativo
rappresentativo della narrazione - una dimensione coscienziale. Infatti, dalla parabola
del santo nudo che vuole dominare il tempo, che ne conosce la forma nella musica
dell'estasi d'amore, e si fa stella, da questa allegoria, che a cominiciare dalla modalità
narrativa in cui si presenta, sancisce l'atto inaugurale del definitivo trapasso dalle
concezioni musicali linguistico-emozionali della Erklärung verso la rivoluzione
metafisico-espressiva del romanticismo, risuona la profonda suggestione di una nuova
mimesis che non abbia a che fare con la concretezza di immagini o affetti ma che,
attraverso il dominio del tempo, attraverso la rappresentazione di una temporalità
complessa, aggrovigliata, circolare, ambisca a catturare il mondo coscienziale nel suo
complesso (e nella sua inconscia essenza non verbale ma formalizzabile).
404 Jean-Pierre Richard, L'univers imaginaire de Mallarmé, Paris, Seuil, 1961, p. 566.
405 Ramón Maria de Valle-Inclán, Il tiranno Banderas (A. Camerino, t.), Milano,
Feltrinelli, 1984 (1926).
255
nelle ultime due. Quanto questa manifesta sensibilità strutturale sia di
pertinenza di un immaginario costruttivo tutto musicale (come in tutta
l'opera di Valle-Inclán) è esplicitamente dichiarato nel titolo della Parte I,
SINFONIA del Tropico.
Oltre a rappresentare nella sua costruzione simmetricamente strutturale -
sonatistica e sinfonica, appunto - il modello e il senso (musicale)
dell'impianto costruttivo dell'intero romanzo (entro e per mezzo di una
potente tecnica della variazione motivica si rivela tutta l'ambivalenza
semantica del tema potere - che progressivamente si disfa nel momento
della massima sua prensione sulla realtà), la sinfonia accenna (sinfonia
nel senso italiano di ouverture?) molti dei motivi secondari presenti nel
testo (dalle connotazioni descrittive dei personaggi - la bavetta verde del
tiranno, il suo verso ricorrente ciac ciac - la loro funzionalità strutturale - il
loro porsi e prendere consistenza eminentemente relazionale, nel gioco di
catene oppositive, identificative -, gli elementi paesistici ed etnologici
trasfigurati in (simbolici) motivi conduttori, ripresi e variati - come il
giuoco della ranita che ritorna nel primo libro della parte settima, quando
il potere assoluto del tiranno è già tutto vincolato all'insorgenza delle
truppe rivoltose di Cuevas - ; cellule che riceveranno successive
espansioni - la festa dei Santi e dei Morti (e non diventa simbolica, poi,
questa festa, del possibile destino dei rivoltosi, e forse dello stesso
Banderas?), accennata nella prima e nella seconda parte, diventa il
contesto intorno al quale ruota tutta la costruzione del capitolo centrale).
Presentata già nell'indicazione del segnale titolistico, propria la
strutturazione musicale e motivica di tutto il romanzo - dimostrando come
proprio la segmentazione paratestuale, con le indotte rivelate (costituite?)
simmetrie di costruzione, i ribaltamenti, inviti a leggere secrete identità
sotto la modulata superficie variativa - si permette l’accesso ad una
concezione non naturalistica della temporalità (nella musica esperibile e
concepibile letterariamente sul modello di quella architettura formale) - e
proiettare così su un piano simbolico (in musica, semantico) la (in
musica, semanticamente vuota) progressione lineare degli eventi.
Sto scrivendo qualcosa, in cui l'idea di riempire il tempo come El Greco riempiva
lo spazio, mi assorbe totalmente - dichiarava suggestivamente Valle-Inclán a
‘España’, l'otto marzo del 1924: riempire il tempo come El Greco lo spazio
(dichiarazione di bellezza travolgente), trasformare la cronologia in
espressione, in campo di forze e tensioni (El Greco lavorava con la
topologia) attraverso cui le cose si rivelino per quello che sono (violando il
flusso, la normalità evolutiva della successione - come El Greco le
proporzioni - il momento non volatile e fugace ma circolarmente ripreso e
variato esprime la sua esplosiva complessità, gli eventi si toccano,
scontrano collidono e conflagrano in uno spazio curvo in cui ogni ente è
confinante con ciascun altro).
Nello stesso 1926 del Tiraño Banderas, Gertrude Stein descrive - e scrive:
lo stile rappresenta il contenuto - la sua concezione della forma
256
(Composition as Explanation ) che risolve nella ripetizione la dialettica di
406
406 Gertrude Stein, Composition as Explanation (1926) in: Look at Me Now and Here I
Am. Writings and Lectures 1909-1945, London, Penguin,1967, pp. 28-29.
407 Una semplice disposizione del periodo che sottolinei spazialmente le riprese interne,
il gioco sottile di ripetizione e variazione, dimostra sensibilmente quanto nella
concatenazione logico causale ridotta ad esposizione tautologica, si sperimenti una
disposizione temporale delle frasi capace di violarne l'intrinseca ed univoca direzionalità.
257
Lo scardinamento effettuato sulla sintassi tradizionale deraglia il tempo
da essa implicato in una amnesiaca, ipnotica ebbrezza anaforica 408
tentando una resa del modello musicale, della sua intrinseca fraseologia
(costruita per manipolazione combinatoria di un ristrettissimo materiale
ritmico intervallare che definisce il suo significato solo attraverso la sua
costante ripresa) applicata nella maniera meno figurale, meno metaforica,
utopisticamente diretta, senza mediazioni traduttive (come la traslazione
- con tutto quello che comporta d'adeguamento e ridefinizione - delle
articolazioni morfologiche - proprie della musica - sul piano delle
macrounità di significato - proprie della letteratura). Ma questa la volontà
di fare della parafrasi un calco (indifferente alle caratteristiche del
medium d'arrivo) - l'impegno di far deflagrare il tempo nel tempo - a
lacerarsi, scomporsi, in definitiva scomparire può essere il testo che
quell'operazione avrebbe dovuto supportare - perché arrestarsi alla frase
e non agire sulla stessa parola ripetendone e variandone i costituenti
fonetici, al limite estremo la nostra metafora strutturale sembra toccare la
sua precedente e generica versione sonora?, questo il senso (profondo)
della dura critica (ma militante: siamo appena all'anno dopo la conferenza
citata) che Forster rivolge a Stein (la letteralità dell'applicazione impegna
ad una coerenza che non può arbitrariamente sospendersi che alla
dissoluzione complessiva del senso in lacerto sonoro): Andando molto più in
là di Emily Brontë, di Sterne o di Proust, Gertrude Stein ha spezzato e ridotto in
briciole il suo orologio, sparpagliandone i frammenti sul mondo come le membra
di Osiride … [con] la speranza di emancipare la narrativa dalla tirannia del
tempo, esprimendovi unicamente la vita secondo i valori [liberarsi dall'eterno e
poi e poi]. Non ci riesce però: basta liberare davvero la narrativa dal tempo per
non farle più esprimere assolutamente nulla (…) è decisa ad abolire
completamente questo aspetto della storia, la sequenza della cronologia; e io
l'apprezzo. Ma non può farlo senza abolire anche la sequenza delle frasi.
Abolizione che a sua volta non ha il minimo effetto se non si abolisce anche
l'ordine delle parole nella frase, fatto che porta a sua volta all'abolizione
dell'ordine delle lettere o dei suoni delle parole ( non si può che pensare alla
giocosa parodicità di alcuni degli Exercises di Queneau, Permutations par
groupes croissants de mots, Permutations par groupes croissants de
lettres, il cui significato può prodursi solo in una dimensione intertestuale,
presi in sé non sarebbero anch’essi che: ) un esperimento votato alla
sconfitta. La sequenza del tempo non si può distruggere senza che coinvolga
nella sua rovina anche tutto ciò che avrebbe dovuto prenderne il posto: il
408 "Finora la sequenza [delle parole] è stata ordinata secondo uno schema prefissato di
regole grammaticali, sintattiche, e di pensiero, che comprendono la parola presente
sulla pagina grazie all'intervento della memoria: il senso si compie lungo il vettore del
tempo. Ma Gertrude Stein blocca precisamente questo andamento progressivo della
scrittura; la fondamentale strategia compositiva che lei articola è, al contrario, la
ripetizione " Nadia Fusini, Nomi. Il suono della vita di Karen Blixen, Emily Dickinson,
Virginia Woolf, Gertrude Stein, Charlotte ed Emily Bronte, Mary Shelley, Marguerite
Yourcenar, Milano, Feltrinelli, 1986, p. 132.
258
romanzo che avrebbe l'ambizione di esprimere i valori diventa soltanto
inintellegibile e quindi privo di valore 409.
Indipendentemente dalla maggiore o minore adesione rispetto alla
negativa valutazione forsteriana, impegnata certo più a legittimare la
propria che a comprendere l'altrui scrittura, la lezione offerta da questo
attacco, oltre a rilevare la specificità di una temporalità così estranea
all'ortodossia narrativa che la tensione generata dal tentativo di adozione
rischia di non potere essere sopportata dal testo, invita a riflettere ancora
sulla necessità che l'analogia non si voglia identità, che lo sforzo poetico
(e quindi, di ritorno, critico) non sia quello di immaginare (e quindi
giudicare) la letteralità della trasposizione di tecniche e strumenti da una
all'altra arte, la loro avvenuta sovrapponibilità - quanto al contrario la
diversità degli esiti e degli effetti, l'interpretazione, l'arbitrarietà matrice
di innovazione creativa, il gioco di sottile e ambigua deriva tra identità e
differenza, nell'adozione di un immaginario strutturale metaforico.
Solo in questa prospettiva, infatti, si può gustare appieno l'effetto
paradossale per cui, quello che ho definito il calco frastico della classica
fraseologia musicale operato da Stein (con scomunica di Forster), diventa
a sua volta modello di una fraseologia musicale del tutto differente da su
cui era stata modellata (ancora uno strano anello, dunque). Come
Wackenroder ha inventato in letteratura il romanticismo musicale
(interpretando Beethoven), così Stein si inventa letterariamente il
minimalismo musicale della premiata ditta Philipp Glass & co. Come non
riconoscere nelle poche ripetute parole risuonanti negli elaborati schemi
musicali la descrizione delle semplici (essenziali) funzioni armoniche il cui
410
259
things seen into the feeling I then has there in San Remy of light and air moving
and being still 413) pur dimostrando l'importanza della percezione musicale
della temporalità - immobile e fluente - nella definizione della sua
concezione del tempo letterario, non sembra, così poco circostanziata
tecnicamente, capace di confrontarsi con l'impegno assimilativo,
deformante e innervante la sua prosa che ho proposto, limitandosi a una
genericissima. Seguendo rigorosamente le regole che mi sono imposto, di
non parlare di adozione della metafora musicale se non per quegli autori
che l'avessero esplicitamente volontariamente denunziata, avrei dovuto
tacere il caso, pur così emblematico e per molti versi significativo. Mi
sono a lungo interrogato sul perché di questo silenzio - nessuna ragione
storico-geografica (alla Poe) poteva giustificarlo: l'evidenza testuale mi
pareva strepitosa. Finalmente mi venne in aiuto Alice B. Toklas 414
413 Gertrude Stein, Lectures in America in: (R. Bartlett Haas, c.), A Primer for the
Gradual understanding of Gertrud Stein; Los Angeles, Black Sparrow Press, 1973, p.81.
414 Gertrude Stein, The Autobiography of Alice B. Toklas, New York, Vintage Books,
1960 (1933), p. 75, p. 79.
260
astratto dell'aritmetica, la figura della matematca ci
appaiono qui come forma che determina
irrefutabilmente il sentimento, ovvero come
melodia, la quale si può fissare in modo tanto
infallibile per la rappresentazione sensibile, quanto
invece la dizione poetica del discorso scritto è
soggetta ad ogni arbitrio dovuto alla personalità di
chi lo recita. Ciò che Shakespeare non poté essere
praticamente, ovvero il mimo di tutti i suoi ruoli,
può esserlo con la massima precisione il
compositore giacché egli ci parla direttamente
attraverso ogni musicista che ne esegue l'opera. La
migrazione dell'anima del poeta nel corpo dell'attore
procede qui secondo le leggi infallibili della tecnica
più sicura
Richard Wagner,
Musikdrama
261
compenetrazione delle due distinte dimensioni del foglio sul quale le idee
musicali vengono presentate in successione e simultaneità rappresentano
la proiezione di una forma del tempo capace di esplorarsi insieme come
unità e dispiegamento: qualsiasi evento accada in un punto qualsiasi di questo
spazio musicale provoca un effetto non ristretto alla sua area immediata, ossia
non agisce soltanto sul suo piano specifico, ma opera in ogni direzione e su tutti
i piani, estendendo la sua influenza fino ai punti più lontani . Così Arnold
Schönberg , tutto inteso a storicizzare - universalizzare? - la raggiunta
417
262
possibilità) dotata di un sistema di notazione, che segnasse la curva delle
altezze in modo così preciso come la notazione musicale ). Il bizzarro
418
canonico Gerald Manley Hopkins (come il suo collega Yorick) non esita a
scrivere sul bordo della copia di alcuni suoi componimenti scritti per la
sorella Grace, indicazioni di staccato, rallentato,… che valgono insieme
come suggerimenti per un'attesa messa in musica, e espressione
metaforica della lettura musicale che il testo presuppone. Ma soprattutto
sono i segnali di una vocazione della poesia a farsi musica (Non ho mai
composto niente di più musicale) che non riesce a definire la forma di questa
metaforizzazione: non solo quanto cioè si definisca in termini di struttura,
di metro o di fonetica, ma quanto pertenga alla dimensione compositiva o
invece esclusivamente a quella esecutiva, di performance. All'interno di
un stessa lettera all'immancabile destinatario delle sue produzioni
poetiche - in questo caso si tratta del Dalle foglie della Sibilla – e
successive (auto)esegesi, all'amico Bridges, Hopkins scrive prima
interrogandosi su come trasporre letterariamente la funzione formale di
una coda musicale (Sarei contento di sapere cosa sia una coda e come viene
usata) e poi rivendicando la dimensione orale e performativa della sua
poesia, viva e da ascoltare gustandone nelle orecchie ritmi e sonorità: ad
alta voce, piacevolmente poetica (non retorica), con lunghe pause, lunghi indugi
sulla rima e altre sillabe sottolineate, e così via. Questo sonetto dovrebbe
essere quasi cantato. É ritmato molto attentamente in tempo rubato419. Questa
esigenza fortemente sentita di una notazione capace di precisare le
esigenze musicali della lettura ad alta voce (il sonetto Harry aratore viene
inviato a Bridges con un elenco di nuovi sette segni diacritici che ne
dovrebbero esplicitare le modalità esecutive: in una successiva lettera
Hopkins immagina il progresso che alla scrittura in quanto trascrizione del
parlato offrirebbe la segnalazione grafica delle distinte funzioni sintattiche
interne alla frase, in modo da distinguere il soggetto, il verbo, l'oggetto e in
genere far risaltare all'occhio la costruzione ), la volontà di trasformare la
punteggiatura in una dimensione letteralmente, propriamente musicale,
ha come primo esito la possibilità di una lettura metaforicamente
musicale degli strumenti tradizionali della punteggiatura, il cui esito più
estremo e visionario mi pare coglibile nel saggio di Adorno Interpunzione
.
420
263
connessione tra modelli di punteggiatura e schema tonale , si impenna 421
264
attraverso una autonomizzazione logico-semantica che entra
prepotentemente in conflitto con quella loro stessa aspirazione mimetica.
Adorno lo dice in tutt'altro senso (invocando la massima di un –
antileirisiano - rasoio di Occam per la punteggiatura: ogni segno
accuratamente evitato è una reverenza che la scrittura fa al suono che
essa soffoca) ma la riflessione ci porta invece a sottolineare quanto la
volontà di trasformazione della pagina poetica in spartito pur obbedendo
424
265
n'importe quelle page de Beckett (…) peut-être
immédiatement reconnue comme etant de lui (…) à
cause de sa technique particulière d'organiser,
d'orchestrer tous les éléments formels qui s'y
appliquent: l'absence relative et simplicité de son
langage, juxtaposées à des passages poétiques et
musicaux; l'équilibre et la tension crées par les
différent rythmes, sons et images; les répétitions;
le jeu continu d'idées et de thèmes soit parallèles,
soit opposées; le contrepoint auditif et visuel; les
oppositions soigneusement détaillées d'éléments
semblable ou les rapprochements d'éléments
opposés; et d'autres notes de musique dramatique.
Une fois, George Devine du Royal Court, un des
premiers défenseurs et interprètes de Beckett (…) a
expliqué ainsi sa conception du terrain beckettien:
"il faut penser au texte un peu comme on penserait
à une sorte de partition musicale où les 'notes', les
éléments visuels et auditifs, les silences, ont des
rythmes qui leur sont propres tout en étant
intimement reliés. Ce de leur composition qui jaillit
leur effet dramatique".
A. Schneider
'Comme il vous plaira'
Travailler avec Samuel Beckett
266
simboliste che orchestrano la guerra in trincea della marinettiana
Battaglia di Tripoli, 1912, con archi di violino che la rossa bacchetta del
tramonto infiamma di entusiasmo o l'ancora più impudicamente
impresentabile orchestra vegetale da Gli Indomabili con il suo corale
intonato dalla foresta intiera, i rami come frenetici archetti di violino che giù e
su, con cavate febbrili spremevano tutta la voluttà dell'aria notturna (…) i
tronchi offrono le loro canne d'organo (…) così gli usignuoli pescavano fiori di
luce nel mare dei fogliami, e nelle reti grondanti d'armonia raccoglievano cuori
rapiti rapiti (Filippo Tomaso Invernizio?) come si integrano alla sensibilità
acustica così avanguardisticamente tesa alla legittimazione estetica del
rumore, esperienza sonora della contemporaneità bellica e tecnologica?.
Ma ancora più in profondità, dietro il rifiuto del riferimento melodico
(ottenuto dalla soppressione dell'aggettivo e dell'avverbio, determinanti
l'effetto di dondolio melodioso e monotono della frase ) e l'esaltazione
dionisiaca dell'onomatopea sfrenata e generalizzata, la rappresentazione
partiturale (la rivoluzione diretta contro la così detta armonia tipografica della
pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile
che scorre nella pagina stessa 428) elaborata per liberare e far librare un
affatto nuovo paradigma sonoriale , germina un'interpretazione
429
428 Filippo Tommaso Marinetti, Distruzione della sintassi- Immaginazione senza fili-
Parole in libertà (11 maggio 1913) in Teoria dell'invenzione futurista, op. cit., p.77.
429 "Valorizzazione della fonicità delle parole attraverso una gestione della forma grafica,
della grandezza dei corpi, della successione e organizzazione sequenziale delle righe di
testo (…) coinvolgimento pieno del rumore come fattore di qualificazione compositiva
(…) attraverso l'uso dell'onomatopea o di trascrizione alfabetizzata degli effetti
rumoristici delle macchine, delle armi (…) valorizzazione timbrica di alcune parole con
moltiplicazione, triplicazione, proliferazione di lettere, attacchi, dinamiche", Roberto
Favaro, La musica nel romanzo italiano del '900, Lucca, Ricordi-LIM, 2003, p. 126.
267
delle sensazioni e analogie pittoriche (stampata in un carattere grosso) formerà
la prima linea del primo fascio e continuerà, (sempre nello stesso carattere),
nella prima linea di ognuno degli altri fasci. La catena delle sensazioni e analogie
musicali (2° linea), meno importante della catena delle sensazioni e analogie
pitoriche (1°linea), ma più importante di quella delle sensazioni e analogie
odorose (3° linea) sarà stampata in un carattere meno grosso di quello della
prima linea e più grosso di quello della terza 430.
Di valore ben più programmatico che efficacemente realizzativo (certo più
interessanti - come avvenne per il caso di Cage? - nel loro senso
fertilizzante successive fioriture - altrui - ma anche significativo esempio
431
rivaliser avec la musique non tanto (o non solo) nel senso di esplicitare,
enfatizzare, radicalizzare della lingua i tratti soprasegmentali quanto di
430 Filippo Tommaso Marinetti, Distruzione della sintassi,… op. cit., pp. 78-79.
431 "Dal punto di vista semantico si è in presenza di un impressionismo estremo
realizzato medinte una sintassi esclusivamente nominale intrammezzata da
onomatopee. L'assunto culturale è indubbiamente interessantissimo, il risultato
espressivo è di una grossolana elementarità prossima a diventare accademica. E qui
importa poco che quel lievito culturale abbia agito in ambienti (in primo luogo il
cubofuturismo russo, poi Dadà e il primo surrealismo, un aspetto di Joyce…) che
seppero spesso tradurlo in espressione vera; non importa nemmeno che i canoni
grammaticali del futurismo (come il verbo in forma infinitiva) corrispondono in astratto
all'operatività di un prosatore tra i maggiori del momento presente (…) Antonio Pizzuto.
Importa che la realizzazione sia strettamente legata a un ordine tipografico, anche se i
vari caratteri pretendono di riprodurre vari fasci di sensazioni e analogie (pittoriche,
musicali, olfattive,… ). La poesia diventa così un'arte meno acustica che visiva; o nel
caso che la tipografia sia il semplice simbolo di una partitura attuabile, per usare la
definizione stessa del Marinetti, in 'declamazione dinamica e sinottica' (…) diventa
un'arte strumentale e visiva non meno, o più, che vocale", Gianfranco Contini,
Innovazioni metriche italiane fra Otto e Novecento in: Varianti e altra linguistica , p.
591.
432 Michel Butor, Ponctuation ( da Alphabet d'un apprenti ) in: Michel Butor.
Présentation et anthologie, Paris, Seghers, 2003, p. 129.
268
esplorarne l'intrinseco potenziale polifonico. In particolare, la parentesi
offre lo strumento principe per rappresentare (come le futuriste variazioni
del corpo tipografico, ma più economicamente) all'interno della lineare
adimensionalità della frase la molteplicità di piani compresenti. La
parentesi inventa sintatticamente la prospettiva (possibilità di
raffigurazione della realtà tridimensionale nello spazio piatto del quadro),
apre la narrazione alla metaforica esperienza del contrappunto, delle linee
che simultanee, s'intrecciano, s'intersecano, dissonano e consuonano
(reinterpreta, l'inciso, la segmentazione dell'unica linea melodica sui
diversi registri dello strumento con cui Bach mimava sul violino la
costruzione fugale).
Immaginiamo di avere diverse linee temporali in cui narrare (poniamo) il
ruolo della musica in una particolare esperienza biografica:
la prima che identifica la centralità del coinvolgimento infantile nella
passione pianistica della madre; la seconda che nella passione materna
definisce la privata versione della storia della musica; la terza che ne
specifica il giudizio rispetto agli stili successivi; la quarta, infine, che
presenta le personali riflessioni critiche (ed esperienze pratiche) del
narratore
Attraverso le parentesi, in esse embricate (ci insegna Jacques Roubaud ) 433
433 Jacques Roubaud, Poésie:, Paris, Seuil, 2000, p. 227: seconda parte del progetto
autobiografico intrapreso con L'incendie de Londre, sperimenta la possibilità di un
musicale isomorfismo tra l'articolazione - polifonica - delle proposizioni moltiplicati
attraverso inserti incidentali e embricature ipotattiche, e la concezione macrostrutturale
dell'opera come successione, sovrapposizione di sezioni-incisi e sezioni-biforcazioni.
434 "Il risultato, esteso anche alle passate e future esperienze letterarie, è anche qui
quello di una 'partitura linguistica' fatta di dialetto e slang gergale, di registro colto e
specialistico. (Senza dimenticare che tutti i racconti dell'Adalgisa sono corredati da un
compendio di note a fine testo, dell'autore stesso, che forma una sorta di controcanto,
un romanzo-saggio in negativo, prolificato dalle notazioni stesse che si incontrano nel
testo narrativo)", Roberto Favaro, La musica nel romanzo italiano del '900, op. cit. , p.
222.
435 Alberto Arbasino, L'Anonimo lombardo, Milano, Adelphi, 1996, [per l'esempio
analizzato, p.134]
269
quanto esplicitamente dichiarato - in una narrazione tutta percorsa
fremente di palpiti metanarrativi (ancora avatar di letteratura
progettuale, il racconto sempre condotto come riflessione sul racconto) -:
le pagine risultano infatti terribili da orchestrare, la tecnica di composizione
è grossolanamente ‘alla Stravinskij’, perché suole concludere ogni pagina soi-
disant ‘ispirata’, o almeno ‘corretta’, con l'ammicco della dissacrazione
dissonante, la sofisticata degradazione del pastiche-parodia . Al sentimentale-
larmoyante coinvolgimento della storia tra l'Anonimo e il giovane Roberto,
le note offrono la straniante dissonanza della cultissima (auto)irrisione.
Se il riferimento stravinskijano si coglie nella natura citazionale delle note
che armonizzano il canto dell'anonimo, ne deformano l'andamento,
imitandolo in materiali letterari preformati (frammenti di libretti, versi più
o meno aulici), l'effetto globale risulta quello di un concertato da opera
buffa in cui la dimensione contrappuntistica complessiva reinterpreta
(irride, gioca con) il patetismo delle singole voci (il referente letterario del
gesto stravinskijano ancora una volta abbisogna di una tecnica
compositiva non stravinkijana ). 436
436 L'organizzazione complessiva della storia riduce gli eventi narrativi a motivi che si
elaborano per imitazione e variazione in una forma coscientemente musicale
(ebeethoveniana ): "Solo per non annoiarti non istituisco qui un parallelo che si regge
con una somiglianza sorprendente: mi trovo rispetto a R.2 [il Roberto amato
dall'Anonimo dopo aver lasciato un giovane omonimo] nella stessa posizione di R.1
rispetto a me, agli inizi, cioè amore contro durezza. Forse insofferenza, oh, li conosco
bene gli sviluppi, chi si mostra attaccato, chi rivela un affetto, è destinato a perdere
inesorabilmente terreno", Ibidem, pp. 180-181.
437 Come nel passaggio del motivo da una voce all'altra (e nella loro sovrapposizione)
può mutarne l'interpretazione armonica, così Arbasino può mutare la semantica delle
parole-motivo dal testo alla nota con effetti irresistibilmente comici: sull'apparizione di
un ragazzaccio della giostra, alto e biondo, entra il frammento dal libretto di Traviata
[II, 11]: "Forte il braccio, fiero il guardo/ Delle giostre egli è il signor", Ibidem, p. 176.
438 Alain Robbe-Grillet, La reprise, Paris, Minuit, 2001, p. 182 [per la citazione
successiva, pp. 226-227].
270
applica ad un tema (quello del doppio) che da Hoffmann a Dostoevskij
abbiamo visto appreso alla scuola musicale del contrappunto imitativo
(tanto per il soggetto, dunque che per la sua narrazione ). C'est sans 439
aucun doute possible que j'ai reconnu, face à moi, mes propres traits, il motore
della storia, tesa a comporre verosimilmente il nodo fantastico di identità
e differenze nella Berlino del 1949 lacerata dalla guerra, proliferante di
immagini speculari, raddoppiamenti tra ricordi e deliri, scoperte
gemellarità, conduce in abisso la narrazione a stratificarsi in piani, a
riprendere la storia, la stessa eppure diversa, tra testo e note la
conduzione delle parti - le possibili varianti della storia copiose,
interagenti, si sovrappongono embricano elidono correggono -
orchestrano un'ostinata ripresa motivica con un progressivo contrappunto
tra la voce del narratore e i suoi dissonanti doppi. Fino all'implosivo
disintegrarsi della stessa presenza (e liceità e responsabilità) di un'unica -
gerarchicamente superiore - istanza narrativa: il y aurait en fait quelqu'un,
à la fois le même ey l'autre, le démolisseur et le gardien de l'ordre, la présence
narratrice et le voyageur… solution élégant au problème jamais résolu: qui parle
ici, maintenant? Les anciens mots toujours déjà prononcés se répètent,
racontant toujours la même vieille histoire de siècle en siècle, reprise une fois de
plus, et toujours nouvelle…
Nel tentativo di fare della pagina letteraria partitura di simultanee linee
narrative (ancora utilizzando materiali citazionali - d'altronde la polifonia
musicale non nasce proprio dalla sovrapposizione di una parte originale al
già costituito repertorio gregoriano?), all'armonizzante voce inferiore della
polifonia delle note a pié di pagina, può far riscontro il discanto superiore
delle epigrafi. Nel 1833 Puskin aveva scritto il poema Il cavaliere di
bronzo, sviluppando uno spunto tematico dalla terza parte dei Dziady di
Mickiewicz, capolavoro della letteratura romantica polacca. Belyj, dopo
averne analizzato le implicazioni strutturali nel saggio sul ritmo come
dialettica e il Cavaliere di Bronzo , ne sperimenta l'uso come cantus
440
439 Ancora il caso dell'uomo duplicato di José Saramago (ma l'assenza di esplicite
dichiarazioni corroboranti la proposta critica rende l'esempio tutto condizionale) non
modella la costruzione formale che raddoppia la storia come il personaggio si scopre
improvvisamente doppio, a imitazione di un contrappuntistico canone infinito?
440 Anche Eisenstein si confronterà con questo testo di Puskin, offrendone
un'interpretazione musicale nell'elaborazione di una partitura cinematografica
audiovisiva (nella trasformazione della musica del testo in quella del film, la
considerazione trapassa ineluttabilmente da una concezione di senso tradizionalmente
metrico-fonetico verso quella più propriamente strutturale): "La divisione in versi
assumerà per noi il ruolo di una rigorosa articolazione musicale. Sul generale
canovaccio metrico sul quale si regge la musica del verso, noi cuciremo la 'musica' [qui
è virgolettato!] delle rappresentazioni. Non riporteremo la musica del verso, cioè il
disegno ritmico e melodico della pronuncia di questo brano poetico: ci occuperemo
soltanto del suo aspetto rappresentativo. In tal modo la nostra partitura rifletterà il
quadro della 'muratura' di un complesso di 'immagini ' [si ponga attenzione al gioco di
corsivi e virgolettature] (gruppi di montaggio che fanno eco a ciò che è stato scritto
dallo stesso Puskin) e, al loro interno, delle singole rappresentazioni (pezzi di
montaggio) faremo (…) la trasposizione in una struttura visiva d'immagine di un'intera
catena di inquadrature, in accordo con una precisa partitura musicale (qui musical-
271
firmus per il suo Pietroburgo : la tragica storia di Eugenio sconvolto
dall'incubo della statua maligna e da questa inseguito e travolto,
raddoppia l'avventura dello sparuto cospiratore Dudkin, da quella stessa
statua di Pietro il Grande, ossessionato. La doppia collocazione, nel testo
e in epigrafe, di queste due esplicite varianti della stessa storia,
(l'identificazione della follia di Dudkin con la demenza di Eugenio),
permette di leggere in tutte le citazioni epigrafiche (non solo ornamento
d'erudizione, ammiccamento alla cultura del lettore) un'unità che le leghi
trasversalmente a costituire (seppur percettivamente frammentaria) una
voce autonoma e in simultaneo imprescindibile contrappunto con la
narrazione degli eventi.
Nella loro performatività incipitaria i versi dell'epigrafe (tratti dalla
conclusione del Proemio, prima delle tre parti in cui si compone il
Cavaliere di bronzo, trapasso dall'elegia , dallo struggente atto d'amore
per la città di Pietroburgo, l'onnipresenza della sua Neva, il suo corrusco
affacciarsi sul mare; alla storia del povero Eugenio, la cui vita - la sua
amata - quel fiume tracimando travolgerà, lasciandolo pazzo in preda a
ingoverbabili fantasmi) si rivolgono (strabicamente) tanto alla sospesa
prosecuzione di Puskin quanto al successivo capitolo: in contrappunto
doppio (le posizioni sono rivoltabili) è il mesto racconto - quello di Puskin,
quello di Belyj.
Il sesto capitolo rappresenta il momento di massima sovrapponibilità tra il
capitolo e l'epigrafe (tratta dalla fine della seconda parte del Cavaliere,
quando, resasi intrattenibile la sua rivolta ontologica che il mondo chiama
follia, Eugenio si rivolge a chi ha costruito la trappola, la città sfidante le
acque, in cui sarebbe perita la sua vita, la sua ragione d'esistenza, insulta
la statua a cavallo di Pietro, ne viene inseguito, fino a che non lo
raggiunge la morte: la stessa sorte, abbiamo detto, capita (oniricamente?
in delirio?) ad uno dei piccoli cospiratori della storia di Belyj: Gli stava
dinanzi il Cavaliere di Bronzo (…) si ripetè il destino di Eugenio (…) il gigante
dalla testa di bronzo aveva galoppato attraverso le epoche ). Attraverso la
chiave di volta di questo intreccio imitativo di epigrafe e testo, il sistema
delle epigrafi si legge come testo coeso - uno sviluppo che coinvolge la
leggenda del cavaliere di bronzo meticciandola ad altri momenti lirici
puskiniani -, bordone di sostegno, voce in simultaneo controcanto alle
storie narrate da Belyj.
La vocazione partiturale di una pagina letteraria come rappresentazione di
una stratificazione di linee simultanee (sia effettiva o evocata, interna al
testo o giocata su intrecci paratestuali, invenzione di nuovi artifici
verbale) (…) La struttura visiva è tratta (…) non solo dalla parte rappresentativa
(‘aneddottica’) e tematica del libretto dell'opera letteraria, ma anche dalla stessa sua
struttura, dall'andamento e dall'intreccio delle sue immagini [il paragrafo s'intitola
sintomaticamente Di nuovo Puskin: il contrappunto ]. Questo elemento interno alla
costruzione determina il movimento della connessione visiva delle immagini. Non
avremo a che fare, quindi, con elementi formali e metrici di costruzione, ma con una
struttura e un'architettura ", S. M. S. Ejzenstein, Teoria generale del montaggio (1935-
7), (P. Montani, c.), Venezia, Marsilio, 1985, pp. 305-307.
272
tipografici o reinterpretazione degli strumenti tradizionali) si manifesta
441
con una tale urgenza e una tale eterogeneità di soluzioni applicative che
la metafora del libro-partitura giunge a svicolarsi completamente da
qualunque esigenza di supporto grafico divenendo astratto, generico
modello di interpretazione del testo. Con l'assunzione critica del modello
da parte di Barthes che trascrive in partitura Sarrazine di Balzac , 442
441 Non posso non citare le graffe dickensiane (anche se il loro senso è giocosamente
rappresentativo e non strutturale) adottate per rendere l'effetto concertato di voci che
si sovrappongono in Our Mutual Friend , II, 16:
"There is nothing new this morning, I suppose? …
| “No, there's not a word of news, says Lammle
< “Not a particle, adds Boots
| “Not an atom, chimes in Brewer
Somehow the execution of this little concerted piece appears to raise the general spirits
as with a sense of duty".
442 "L'espace du texte (lisible) est en tout point comparable à une partition musicale
(classique). Le découpage du syntagme (dans son mouvement progressif) correspond
au découpage du flot sonore en mesures (l'un est à peine plus arbitraires que l'autre).
Ce qui éclate, ce qui fulgure, ce qui souligne et impressionne, ce sont les sèmes, les
citations culturelles et les symboles, analogues, par leur timbre forte, la valeur de leur
discontinu, aux cuivres et aux percussions. Ce qui chante, ce qui file, se meut, par
accidents, arabesques et retards dirigés, le long d'un devenir intellegilble (telle la
mélodie confiée souvent aux bois), c'est la suite des énigmes, leur dévoilement
suspendu, leur résolution retardée (…) enfin, ce qui soutient, ce qui enchaîne
régulièrement, ce qu harmonise le tout, comme le font les cordes, ce sont le séquences
proaïrétiques, le marche des comportements, le cadence des gestes connus (…) chaque
code est l'une des forces qui peuvent s'emparer du texte (dont le texte est le réseau),
l'une des Voix dont est tissé le texte. Latéralement à chaque énoncé, on dirait en effet
que des voix off se font entendre: ce sont les codes: en se tressant, eux dont l'origine
'se perd' dans la masse perspective du déjà-écrit, ils désoriginent l'énonciation: le
concours des voix (des codes) devient l'écriture, espace stéréographique où se croisent
les cinq codes, les cinq voix: Voix de l'Empirie (les proaïretisme), Voix de la Personne
(les sèmes), Voix de la Science (les codes culturels), Voix de la Vérité (les
herméneutisme), Voix du Symbole", Roland Barthes, S/Z, Paris, Seuil, 1970, pp. 35-
36, p. 28.
443 Filippo Tommaso Marinetti, Distruzione della sintassi, op. cit., p. 77.
273
jamais n'abolira le hasard, non solo l'esito più radicalmente estremo delle
concezioni simboliste ma anche l'opera aurorale di una concezione
irriducibilmente nuova del testo poetico che avrà esiti spiegati sulla
superficie estesa di tutto il Novecento. Una concezione che, modellata
sulla metafora partiturale, esita anch'essa (come quella che si vorrebbe
oppositiva di Marinetti) tra l'interpretazione acustica e strutturale della
musicalizzata definizione tipografica. Nella Observation, premessa
all'edizione del poema su rivista, le indicazioni rivelano, in ordine sparso,
quanto il distanziamento tra le parole o i gruppi di parole sembri accélérer
tantôt et de ralentir le mouvement, che cet emploi à nu de la pensée avec
retraits, prolongements, fuites, ou son dessin même, résulte, pour qui veut lire à
haute voix, une partition, ma anche la possibilità di consentire una vision
simultanée de la Page capace di costituire una unità sostitutiva di quella
tradizionale del Verso, che la differenza nel corpo dei caratteri dicte son
importance à l'émission orale et la portée, moyenne, en haut, en bas de page,
notera que monte ou descend l'intonation ma insieme segnala (secondo un
artificio grafico che - gli strani anelli si moltiplicano - verrà
successivamente adottato da Schönberg e dalla sua scuola) la distinzione
entre le motif prépondérant, un secondaire et d'adjacentes , suggerendone un
intreccio contrappuntistico . La sintesi di Valéry indica nel Coup una
444
partition littéraire où les mots s'ajustant comme des motifs, ou bien comme des
timbres dans un morceau de musique, offraient par leur disposition
typographiques un équivalent d'une partition musicale Mallarmé avait osé
orchestrer une idée poétique445. Questa ulteriore reinterpretazione del testo
di Mallarmé alla luce della metafora partiturale che sostituisce quella
performativamente acustica e si affianca a quella polifonico-
contrappuntistica (Gide avrebbe sognato la stampa di una pagina dei
proustiani Guermantes secondo la partitura mallarmeana del Coup ) 446
274
genere umano, ormai da un altro pianeta, all'interno di una nostra
biblioteca, si confrontano con i volumi rimasti indecifrabili rispetto alla
scoperta della lettura del nostro alfabeto da sinistra a destra e dall'alto in
basso: les partitions d'orchestre. Nos savants s'acharneront à lire les portées
l'une aprés l'autre, commençant par le haut de la page et les prenant toutes en
succession; puis, ils s'apercevront que certains groupes de notes se répètent à
intervalles, de façon identique ou partielle, et que certains contours mélodiques,
apparemment éloignés les uns des autres, offrent entre eux des analogies. Peut-
être se demanderont-ils, alors, si ces contours, plutôt que d'être abordés en
ordre succesif, ne doivent pas être traités comme les éléments d'un tout, qu'il
faut appréhender globalement. Ils auront alors découvert le principe de ce que
nous appelons harmonie : une partition d'orchestre n'a de sens que lue
diachroniquement selon un axe (page après page, de gauche à droite), mais en
même temps, synchroniquement selon l'autre axe, de haut en bas (…) toutes les
notes placées sur la même ligne verticale forment une grosse unité constitutive,
un paquet de relations. Un pacchetto di relazioni: contro la linea retta cui
sembra costretta la prosa (fin dalla sua etimologia) lo spazio complesso
della partitura vorrebbe permettere di evocare la sognata orchestrazione
di una scrittura che si dispiega in struttura tanto orizzontale che verticale.
275
tra le voci sorelle, comicia - come quasi ogni aspetto della modernità - nel
travaglio barocco: se il legame in presenza di suoni e parole vive il
rivoluzionario cambiamento dalla scrittura contrappuntistica agli ideali
monodizzanti del nascente melodramma (nel quale l'artificio formale, la
proiezione spaziale del testo cedono il posto - per un breve momento -
alle ragioni affettive e rappresentative di una piena adesione ai suoi
contenuti narrativi, alla lineare temporalità della storia) ancora più
rivoluzionaria si dimostra la contemporanea liberazione dal vincolante
riferimento a strutture (di senso e di scrittura) del testo poetico, la
musica strumentale (liberata infine dall'alternativa paralizzante tra il
giogo del raddoppio vocale e l'oralità popolare cui era stata per secoli
vincolata - limitata ad una sua non riflessa funzionalità da piazza o
cortile). L'omofonia si scioglie in imitazione, privata dal sostegno del testo
come parte costitutiva della sua struttura, l'invenzione compositiva
continua ad evocarne il fantasma: gli astratti schemi di organizzazione del
discorso verbale (i modelli retorici) assunti - più o meno metaforicamente
- a presiedere in profondità l'articolazione di una forma che, orfana del
suo antico tutore, non ha ancora scoperto le proprie intrinseche
potenzialità nello sviluppo del materiale - oppure ha ancora bisogno
dell'analogia con il già noto per dare nome, riconoscibilità, apprensibilità a
processi sperimentali ancora insicuri della loro specifica autonomia . 448
448 "Alcuni musicologi credono che la relazione musica-retorica sia stata applicata troppo
letteralmente, che elementi retorici come le figure e lo schema della dispositio fossero
mere analogie, sussidi familiari mutuati da un'arte sorella per spiegare e analizzare
quanto accade nella musica. Secondo costoro il discorso musicale e quello verbale
sarebbero invece così radicalmente diversi da non potersi dare alcuna applicazione
dall'uno all'altro in termini letterali. Nel campo avverso c'è chi segnala l'effettiva
esistenza di parallelismi sorprendentemente precisi fra certe strutture e operazioni della
musica e della retorica, affermando che le due arti non sarebbero reciprocamente
disgiunte, bensì inestricabilmentelegate l'una all'altra (…) non si può negare il fatto che
la terminologia retorica, usata dai musicisti durante tutta l'epocaa barocca per
cimentarsi con concetti che essi riuscivano ad articolare a fatica, abbia notevolmente
arricchito la nostra comprensione del modo in cui essi vedevano la propria arte",
Gregory Butler, La retorica tedesca e la Affektenlehre in: (J-J. Nattiez, c.), Enciclopedia
della musica. IV: Storia della musica europea, Torino, Einaudi, 2004, p. 460.
449 Walter Benjamin, Gottfried Keller in: Opere complete. II: Scritti 1923-1927, (R.
Tiedemann, H. Scweppenhäuser, c.), Torino, Einaudi, 2001, p. 674.
276
inestricabile polifonia di scritture: di Haydn si racconta che una volta una
sinfonia gli sia riuscita faticosissima. Per poter procedere, egli si sarebbe allora
immaginato questa storia. Un commerciante in difficoltà finanziarie tenta invano
di reggere e fallisce - Andante - così decide - Allegro, ma non troppo - di
emigrare in America, là - Scherzo - ha successo e - Finale - torna a casa
raggiante dai suoi. Ora, tale è press'a poco l'antefatto e l'inizio del Martin
Salander. E, per esprimere l'ineffabile dolcezza dello stile di Keller e la sua
sonora pienezza, verrebbe voglia di inventare questa storia alla rovescia
raccontando di come egli si lasciasse condurre nella stesura della sua prosa
dall'ascolto di melodie. Se da un lato, si può giocare con Ford Madox Ford
(che cita un insospettabile Wells) a scoprire nella classica forma sonata
l'archetipo stesso della trama romanzesca tout court ( The novel as Mr
Wells long ago told me can very well be based on the structure of the Sonata!
First Subject Hero; Second Subject Heroine; Re-statement of Case of Hero;
ditto of Heroine; the Free Fantasia or mix-up of the affairs of Hero and Heroine;
the Recapitulation or Marriage in which the themes of Hero and Heroine are
restated in one and the same key 450- per Pound451, invece, in forma sonata si
definisce solo una specifica classe di romanzi, quelli nella forma théme,
contrethéme, rencontre, développement, finale , dei quali loUlysses joyceano
rappresenta l'avatar più estremo, per cronologia e sperimentalismo);
dall'altro, i temi sonatistici in virtù del solo loro ordinamento sintattico
acquistano uno spessore semantico che del loro sviluppo fa avventura di
veri e propri personaggi , delle sinfonie, grandi narrazioni romanzesche
452 453
450 Ford Madox Ford, Provence, New York, Ecco Press, 1979 (1935) , p. 67. La parafrasi
mozartiana di Burgess sembra riferirsi esplicitamente a questo modello analogico.
451 Nell'apologia di Joyce pubblicata sul 'Mercure de France' (poi in: (Read, F, c.),
Pound/Joyce: The Letters of Ezra Pound to James Joyce, New York, New Directions,
1967, p. 205.
452 "Per la prima volta forse, nella forma-sonata, la musica si organizza in un linguaggio
sintatticamente complesso e non preso a prestito da altri linguaggi (…) la forma sonata
realizza per la prima volta compiutamente l'aspirazione a una musica che parli un suo
linguaggio in un ambito suo proprio. Per usare una metafora letteraria si potrebbe
avanzare l'ipotesi che la forma-sonata abbia creato non solo una nuova sintassi
musicale ma una struttura narrativa paragonabile in letteratura a quella del romanzo
moderno (…) si è parlato di romanzo moderno a proposito della forma-sonata e della
loro non casuale contemporaneità per quanto riguarda la nascita, e in effetti si può
immaginare una certa parentela metaforica tra la struttura del romanzo e quella della
forma-sonata. I temi della sonata si caratterizzano per la loro personalità e grazie a
questa si pongono in relazione l'uno con l'altro in un confronto dinamico da cui
scaturisce il dramma musicale, proprio come i personaggi di un romanzo in cui la
diversità dei caratteri e delle situazioni in cui si trovano fa scattare la dinamica della
vicenda, altrimenti impossibile", Enrico Fubini, Forma sonata e melodramma in: (J-J.
Nattiez), Enciclopedia della musica. IV, op. cit., pp. 688-689.
453 "Le forme beethoveniane e post-beethoveniane, che tendono allo sviluppo continuo
(in particolare nell'opera di Berlioz, Chopin, Schumann e Liszt), suggeriscono con ogni
evidenza la metafora del racconto. Che ci sia o meno un programma, che lo si conosca o
no, la moltiplicazione di gesti eloquenti così come la specifica scelta delle configurazioni
formali - che privilegiano un perenne rinnovamento edevitano i ritorni all'indietro -
suscitano l'impressione di un intreccio pragonabile alle strutture che sostengono l'epica,
il dramma o il romanzo", Jean-Pierre Bartoli, Retorica e narratiità musicali nel XIX
secolo in: (J-J. Nattiez), Enciclopedia della musica. IV, op. cit., p. 798.
277
(il riferimento alla forma sonata rende evidente la natura morfologica,
strutturale dello svolgimento di una trama, il pensiero del romanzo
esplicita il potenziale drammatico implicitato in un'elaborazione motivica).
Da questa lettura partiturale emerge chiaramente un ripiegarsi su stesso
dello spazio di influenza in anelli il cui groviglio risulta così fitto da
rendere arduo districare le origini dai termini dei processi metaforici : 454
Tentando di tirare le fila del nostro discorso, l'arazzo sembra disfarsi tra le
nostre mani: gli strani anelli rischiano di stringersi attorno a soffocare, a
far crollare di schianto tutto il castello di argomentazioni eretto a
legittimare l'adozione letteraria della metafora musicale?
Si era accusata l'impossibilità delle parafrasi letterarie di una musicalità
diversa dalla generica attenzione per l'aspetto sonoro del significante
(tradizionale risorsa del linguaggio poetico) rivendicando un'alterità
irriducibile tra i due sistemi linguistici (dei suoni e delle parole - lontane
terre divise da acque che nessun ponte poteva attraversare). Ma - si era
parata la durezza del colpo affondato di punta nel desiderio in molti modi
e così tante volte sognato da musica e letteratura di riflettersi in unità, si
voleva reincantare l'esorcismo che impietosamente faceva svaporare
verso la luna delle perdute essenze gli esiti amorosi di quell'intima
complicità di intenti e aspirazioni - astraendo dalla loro specificità
materiale (di parole e frasi, con sintassi e semantica, con contenuti e
storie, implicazioni logiche; di note e fraseggi, con la sola sintassi, con
relazioni e strutture, accostamenti analogici, vaghe significanze emotive),
le due arti potevano condividere uno spazio comune nel loro definirsi al
livello profondo di pure forme, capaci di organizzare i contenuti,
superficialmente esibiti ma di esse assai più arbitrario (e dunque
trascurabile). Valéry esplicita questa condizione riferendola (come sempre
- come Platone con Socrate?) al suo Mallarmé : il rejoignait par là l'attitude
455
278
des hommes qui ont approfondi en algèbre la science des formes et la partie
symbolique de l'art mathématique. ce genre d'attention se rend la structure des
expressions plus sensible et plus intéressante que leurs sens ou leurs valeurs. Le
propriétés des transformations sont plus dignes de l'esprit que ce qu'il
transforme; et je me demande parfois s'il peut exister une pensée plus générale
que la pensée d'une 'proposition' ou la conscience de penser quoi que ce soit…
Questa stessa concezione della letteratura cui la prova della traducibilità
offre effettivo riscontro (per lo meno a quella scrittura che - la descrive
Harry Mulisch, contrapponendo Dostoevskij a Nabokov, ma
semplicemente (al solito) per definire se stesso - non è di parole, non di
frasi ma di libri, di storie - noi diremmo, senza snaturare il suo pensiero:
di strutture - che la traduzione - mantenendo le relazioni pur mutando i
componenti - non snatura ), la musica conosce e sperimenta in tutta la
456
système clos. Toutes les formes d'art, même si elles apparaissent chacune individuelles
et irréductibles, sont les cellules vivantes d'un seul et même organisme, conformément,
encore, à la conception symboliste de l'origine commune des arts. Ce que relie les arts,
ce ne sont pas des ressemblances extérieures, mais une essence commune, une
structure identique, des rapports mystérieux", Momcilo Milovanovic, Les figures du livre.
Essai sur la coïncidence des arts dans Á la recherche du temps perdu, Paris, Champion,
2005, p. 259.
456 "I poeti sono scrittori di parole e di conseguenza intraducibili, perché nel tradurre le
loro parole scompaiono. Ogni parola ha una sua sonorità; e in un'altra lingua si
trasforma in una sonorità diversa che il poeta non aveva in mente. È come se una
sonata di Beethoven nei Paesi Bassi fosse eseguita con la prima nota una terza più in
alto, la seconda un quinta più in basso e così via; e in Francia una qurta più in basso e
una settima più in alto,… Gli scrittori di romanzi a loro volta possono essere suddivisi in
scrittori di frasi e scrittori di libri (…) di uno scrittore di frasi in una brutta traduzione
rimane poco, per un grande scrittore non fa differenza. La lingua deve scomparire del
tutto, soltanto la storia deve restare", Harry Mulisch, La procedura (t. L. Pignatti),
Milano, Rizzoli, 2005 (1998) p. 16. Possiamo confrontare questa posizione con
l'annotazione marginale - capitale, per noi - di Bachtin (Estetica e romanzo , (C. Strada
Janovic, c.), Torino, Einaudi, 1975, p. 110): "soffermiamoci ad analizzare alcuni tratti
dal romanzo di Dickens Little Dorrit. Le linee principali e sommarie, che qui ci
interessano, dello stile del romanzo si conservano abbastanza bene anche in
traduzione".
279
convincente sembrava affannarsi a dichiarare concettualmente fruttuoso
un gioco di parole privato di ogni sostanza), si potevano proporre due
sentieri capaci di evidenziare come la semplice condivisione di una
premessa formalistica non sapesse né potesse considerarsi esaustiva di
tutte le possibili conclusioni da essa sintetizzabili (quello della differente
funzione che l'organizzazione formale permetteva di maturare all'interno
dei differenti linguaggi - in particolare, la specifica concezione non lineare
della temporalità rappresentata all'interno della struttura musicale; quello
dell'asincronia degli sviluppi interni al comune paradigma, grazie alla
quale un'arte poteva proporsi a modello, in virtù della rappresentatività
dei risultati garantiti dal suo anticipo sull'altra).
L'emergenza degli anelli, nella pregnanza simbolica offerta alla
metamorfosi di un linguaggio nell'altro (continua, inesausta, gelosa
ripresa del proprio nel momento in cui divenisse altrui) offriva contro
questi argomenti, la definitiva figura capace di denunciarne la fragilità?
457 Anche cioè consentendo che "much of what we commonly regard as 'musical' is
simply a matter of convention. There is probably nothing inherently musical about
structures and techniques like sonata form or, indeed, the leitmotif, both of wich
280
rinnovamento interno può passare cioè attraverso una presa di coscienza
dei propri mezzi visti in proiezione esterna (l'assunzione di un modello, la
rappresentazione dell'Altro entro se stesso permette di concepire
finalmente sé come altro ) - così l'ambivalenza ricettiva e produttiva (di
458
depend on a principle of theme, repetition and variation", rispetto alla volontà degli
artisti di citare il proprio come altro non si può tralasciare l'essenziale considerazione
che "the status of music as an exceptional art helped these artists to define their own
genres more precisely and to imagine how literature might be different", Timothy
Martin, Joyce and Wagner. A study of influence , Cambridge University Press, 1991,
p.164.
458 Si pensi ad una serie di testi che, non avendo nulla a che fare con la nostra storia,
pure, nei suoi presupposti ideologici, offre di essa maravigliosa figura: l'orientalismo
sospeso tra un'analoga appropriazione dell'altro in sé e la possibilità di guardarsi come
differente e nuovo (il nostro sguardo verso gli altri e riflesso, quindi, nello sguardo altrui
rivolto a di noi).
459 Jean Pierre Richard, L'univers imaginaire de Mallarmé, Paris, Seuil, 1961, p. 527 e p.
419.
281
o ex post - su quella reale - ancora la formula di Richard per Mallarmé
460 461
282
certo numero di attività diverse, cerco di introdurre
in ognuna di essi aspetti convenzionalmente invece
limitati ad una, o più, delle altre.
John Cage
Silence
(1961)
283
tempo, nell'attribuzione ai suoi componenti di un significato relazionale.
(Ingmar Bergman parlando della sua ultima Sarabanda sosteneva che
quanto più complessa fosse la materia da narrare, tanto più si esigesse
una forma rigorosa - il riferimento musicale nel titolo parla della sua
struttura combinatoria di astratta partitura, indifferente al medium
esecutivo (teatro cinema o televisione) come un'arte della fuga).
Ma c'è poi il dottor Ingravallo, don Ciccio, che non riesce a giocare: le
inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un
unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di
depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta
una molteplicità di causali convergenti (…) un nodo o groviglio, o garbuglio, o
gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo . La percezione
dell'avvenimento come gliuommero è figlia di un'impossibilità di ritagliare
nell'indefinita pluralità del multiverso (reale) un universo (conoscitivo),
spazio astratto e manipolabile in cui possa delinearsi una (e non mille/
nessuna) struttura di relazioni (e (quindi?) di senso). La forma (del gioco
meta definitiva (e definiente)) non si può costitutivamente dare (e con
essa il gioco stesso): il tempo non coagula in oggetto, la sua dimensione
non si percorre, ci si può soltanto perdere (e senza possibile conclusione
che non sia artata interruzione).
Si arruffano anche gli impomatati baffi belgi, la loro sussiegosa ironia
spenta nella denunzia della cauzione pagata per la loro supponente
superiorità: nell'ordine rigoroso delle penetranti deduzioni da loro
dipartite, non si rispecchia l'ordine delle cose ma il giuoco di una
modellizzazione fittizia. Di un'imposizione, si tratterebbe, non di scoperta,
certamente, poiché si trova quel che si è messo, non l'ordine del caos, ma
un ordine nel caos. Inevitabilmente, la Forma finge: chi costruisce il
senso perde il mondo (anche Poirot (di fatto) sconfitto). Mentre la Realtà,
si è già visto, retrocede: simmetricamente, chi affonda nella totalità, ne
perde il significato (il povero don Ciccio).
Raccontare una costruzione narrativa che vincoli il suo significato a
un'esclusiva manipolazione sintattica (la metafora musicale potrebbe
indicare questo): testimonianza (o denuncia) del modo in cui il romanzo
ha perduto il mondo? O (peggio) dimostrazione del perdere (dissolvere)
l'oggetto letterario da parte di una critica infatuata (accecata) di vane
metafore?
284
Paul Scher
How meanigful is 'Musical'
in Literary Criticism?,
(1972)
analogies are suggested casually with no
explanation of what verbal phenomena the analogy
is supposed to single out. The various
manipolations of harmony, tonality, melody and
rythm that govern most musical structures simply
correspond to nothing
Stephen J. Adams
Are the Cantos a Fugue?
(1981)
die Gefahren, die einer Foruntersuchung drohen,
die sich nur auf äussere Ähnlichkeiten als Indiz für
Formparallelen stützt
Horst Petri
Form- und Strukturparallelen
in Literatur und Musik
(1984)
463 La forma degli studi generalmente prevede una premessa metodologica (austero
sipario che si alzerà sulle analisi più avventurose) che riflette sulla condizione di
arbitrarietà del confronto interartistico (curiosamente, l'avvertimento sembra
esorcizzare il problema con la sua sola enunciazione: il pericolo della genericità
285
(esso stesso, capitolo della storia della nostra metafora). Ma il cui punto
più debole rimane la taratura dell'esercizio analitico sulla valutazione
dell'efficacia traspositiva (materiali per una teoria della traduzione
interartistica che tende a porsi come improbabile principio di giudizio
assiologico) più di quanto cerchi di indagarne le motivazioni profonde,
l'impatto del modello musicale sull'invenzione di nuove costruzioni
letterarie.
Certo questa indubitabile dilagante fortuna della metafora musicale non si
può giustificare dimostrandone la perfetta riuscita applicativa - ma
motivandone la capacità di rispondere ad un bisogno poetico (l'onere
critico dunque deve fondare la disamina del come sull'enucleazione dei
perché: che impatto sulla concezione narrativa (sull'idea di mimesi, ad
esempio, sulla ri- o de-strutturazione temporale, sulla costituzione di un
significato simbolico) si persegue nell'adozione di una morfologia
extraletteria?). Nell'esplorazione di un mobile tessuto di concetti, precetti
che si muovono, aerei, da una disciplina all'altra - fili che legano, catene
di passaggi il cui prius genetico sembra spostarsi sempre in un altrove
ulteriore - la ricerca di omologie trascendentali deve incarnarsi nella storia
(ancora più immaginifica) degli intrecci, variazioni e contrappunti tra
volontà poetiche e tensioni critiche (spesso l'una con l'altra confuse -e
confondibili) che ripensa le potenzialità formali intrinseche ad ogni
sistema, immaginandole come altre, esterne, prestate, ancor meglio,
rubate. La struttura narrativa (ma inversamente: musicale), nel tentativo
di introiettare al suo interno dettati estrinseci, scopre differenti
dimensioni della sua propria forma. Differenti finalità, soprattutto.
286
Beethoven il passaggio è obbligato, suggerisce Adorno ) si assume come
465
465 Theodor W. Adorno, Beethoven. Filosofia della musica, (R. Tiedemann, c.), Torino,
Einaudi, 2001 (1993), p.108.
466 Arnold Schönberg, Manuale di armonia, (G. Manzoni, t.), Milano, Saggiatore, 1986,
p. 20.
467 Paul Valéry, Oeuvres complétes, Paris, Gallimard, 1957 vol. I, p. 1502. "Les relations
des significations seraient elles-mêmes perpétuellement pareills à des rapports
harmoniques", ivi, p.1462.
468 Michel Butor, La musique, art réaliste, in: Répertoire II, Minuit, Paris, 1964, p. 28.
"Comment exprimer quelque chose d'aussi peu matériel que le fontionnement d'une
imagination dans la langue ? (…) comme séparer la conscience, c'est-à-dire les
structures qui gouvernent et limitent l'activité psychique, des objets de la conscience?
287
Se la musica si offre come strumento privilegiato per riorganizzare il
mondo secondo la temporalità (ricorsiva, analogica, riveniente) della
coscienza, la musica offre anche (contemporaneamente - gli aspetti sono
fortemente intrecciati) il modello di una semantica della forma che
proietta il materiale in uno spazio di significazione fluente e molteplice
(incoercibile all'univocità vincolante di un solo definibile senso). Si ritorna
invariabilmente alla matrice romantica sulla quale proiettare gli esiti più
radicali della sperimentazione analogica successiva (iniziata per gioco
sterniano, poi presa sul serio - o meglio assunta l'ironia (nel suo
privilegiare il progetto sulla realizzazione, la metafora sulla lettera) come
unico gesto possibile per sfiorare un mondo altrimenti inattingibile):
Racconti senza nesso, ma costruiti per associazione, come i sogni. Poesie -
solamente ben suonanti e piene di belle parole - ma anch'esse senza alcun senso
e nesso - tutt'al più con singole strofe comprensibili - debbono essere puri
frammenti delle più svariate cose. Tutt'al più la vera poesia può avere un
significato complessivamente allegorico e produrre un effetto indiretto, come la
musica ecc. - Novalis469 ci rivela la mediazione musicale come accesso ad
un'ulteriore dimensione della scrittura che da mimesi dell'interiorità
diventa allegorizzazione benjaminiana , da forma di contenuti si inabissa
470
288
(potenzia) in forma di forme. Il gioco non differisce che per i materiali
impiegati, la stessa morfologia musicale con cui riformulare il modello di
rappresentazione (la percorribilità spaziale di un tempo retrogradabile) si
applica alla rappresentazione delle rappresentazioni (i meccanismi
compositivi che de-costruiscono la realtà nella memoria individuale si
innescano sulla memoria collettiva della nostra cultura).
289
perciò neppure adattare . Resteranno o scompariranno così come sono 472). Il
peso (per noi) del discorso di Flaubert risulta però ancora maggiore se si
sottolinea quanto non solo l'interesse dell'argomento sia funzione
esclusiva di una inalterabile morfologia, ma la sua stessa verosimiglianza.
Flaubert pone cioè (pur senza esplicitarla) una differenza fondamentale
tra una scrittura come enunciazione e una scrittura come simulazione.
Stigmatizzava Valéry nell'inesausta riflessione dei suoi Cahiers (1906-7)
la capacità propria della musica di simuler et imposer tout ce que la
littérature ne peut que désigner - toutes les feintes et les démarches réelles du
penser, retours, symétries, tendances vers - durées nulles, absences,
spontanéité, attentes, surprises, niaiserie, éclairs 473. L'avventura che la musica
racconta è quella esperita dal fruitore nell'ascolto (per Nono, l'ultimo
autentico spazio tragico) - così il musicale romanzo di Robbe-Grillet non
tanto racconta ma esso stesso è la gelosia del narratore, il musicale
romanzo di Butor o di Bernhard non descrive, non evoca ma diviene il
labirinto coscienziale in cui si perde Jacques Revel o l'amico di
Wertheimer, il musicale romanzo di Arbasino costituisce un'esperienza di
attraversamento (esistenziale, culturale) più di quanto la descriva. La
lettura del lettore e l'avventura del personaggio-narratore accedono (per
la struttura) ad una unificata dimensione dell'esperienza temporale che
costituisce il vero oggetto della narrazione (rispetto agli eventi in essa
sospesi, quelli che la letteratura può solo designare). In questo senso
(che è ancora tutto da scrivere) si sogna dunque musicale una letteratura
nella cui forma quello che si rappresenta, performativamente accada.
472 Kundera esemplifica sulla calcolata composizione del finale della Éducation
sentimentale (il cui senso si può percepire solo entro la struttura di cui é parte):
"questo finale non ha riscosso molti consensi (…) terminare un romanzo con un nuovo
motivo è un difetto di composizione; come se nellle ultime battute di una sinfonia il
compositore, anziché tornare al tema principale, accennasse d'improviso una nuova
melodia [ma] il motivo della visita al bordello non è nuovo, non appare "d'improvviso" ;
è stato esposto all'inizio del romanzo, alla fine del secondo capitolo della prima parte
["l'allusione a un'avventura comune riempì entrambi di allegria. Ridevano forte per le
strade"]. Flaubert, tuttavia, non dice nulla a proposito di quell'avventura comune; si
riserva di raccontarla alla fine del romanzo affinché l'eco di un'allegra risata (quella che
risuonava forte per le strade) possa unirsi alla malinconia delle frasi finali in un unico
raffinato accordo", Milan Kundera, Il sipario, op. cit., p. 166.
473 Paul Valéry, œuvres complètes, vol. II, p. 929
474 Julio Cortázar, Lettera a una signorina a Parigi da Bestiario in: Racconti, (C. Greppi,
t.), Torino, Einaudi, 1994, pp. 9-10.
290
Andrée,
io non volevo venire ad abitare nel suo appartamento di via Suipacha (…) mi
addolora entrare in un ordine chiuso, costruito ormai fin nelle più sottili maglie
dell'aria, quelle che in casa su preservano la musica della lavanda, il volo di un
piumino per la cipria, il gioco del violino con la viola nel quartetto di Rarà. Mi
amareggia entrare in un ambito dove qualcuno che vive in modo preciso e
raffinato ha disposto tutto come in una reiterazione visibile della propria anima
(…) quale colpa diventa il prendere una tazzina di metallo e spostarla all'altra
estremità della tavola, posarla lì semplicemente perché uno è venuto con i suoi
dizionari d'inglese, e proprio da questa parte, a portata di mano, è dove
dovranno stare (…) come se di colpo tutte le corde dei contrabbassi si
rompessero nello stesso tempo e con la stessa spaventosa staffilata nell'istante
più silenzioso di una sinfonia di Mozart. Muovere quella tazzina altera il gioco di
corrispondenze di tutta la casa, di ciascun oggetto con l'altro, di ciascun
momento della sua anima con l'anima intera della sua casa e con la sua lontana
inquilina …
291
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