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C’è la Cina di Kafka: nel territorio di smisurate lontananze la comunicazione si frange nella
moltiplicazione delle barriere interne, naufraga nel silenzio delle distese sconfinate. Gli ordini, le
notizie, la stessa successione del tempo si appiccica nella ragnatela dello spazio, generando grumi in
cui passato e presente si ibridano e sovrappongono: la pianura della periferia può osservare la luce
di astri imperiali ormai estinti, messaggeri si contraddicono, vecchie e nuove comunicazioni entrano
in fantasmatico contrasto. La voce del potere non raggiunge le orecchie dei sudditi, si rifrange in
echi fino a diventare muta, la struttura politica rigidamente accentrata si genera nel suo grembo
territoriale lo spettro di un coacervo anarchico. Proprio la costituzione oppositiva (e gerarchica) di
centro e periferie, la strutturazione del paese attraverso una rigida delimitazione degli spazi interni
ed esterni, vengono depotenziate (svuotate di valore) dalla loro moltiplicazione innumerevole, dalla
proiezione su scala infinita. Il messaggio si perde nella sua trasmissione : la lettera inviata
dall’imperatore non giungerà mai al destinatario in attesa, ancora si sforza di attraversare le stanze più
interne del palazzo; non le potrà superare mai; e se vi riuscisse non sarebbe niente di guadagnato (…)
dovrebbe attraversare i cortili; e dopo i cortili il secondo palazzo che li racchiude; e ancora scale e ancora
cortili (…) e così via per millenni. Il tempo (della comunicazione) viene sussunto in questo spazio, ne
diviene funzione, la sua direzionalità lineare si incurva, ritorce su stessa smarrendo così il legame
che avrebbe dovuto unire il destinatario al mittente.
Il territorio kafkiano della comunicazione impossibile condivide paradossalmente alcuni tratti di
quel nuovo territorio che la comunicazione totale definisce in se stesso (effetto del salto che impone
alle categorie logiche il regresso all’infinito, rivelando identità nel momento della più divaricata
distanza): come l’universo di Giordano Bruno, cerchio il cui centro è in ogni luogo e la
circonferenza da nessuna parte, così si scopre d’un tratto la segreta costituzione della Cina imperiale
tra le rovine del suo sogno di gerarchicamente orientate strutture, così emerge, liquido, sconfinato,
labirintico, lo spazio interno alla comunicazione globale. Nelle maglie della rete (l’onnipervasiva
metafora che definisce la nostra contemporaneità, quanto le griglie volevano ingabbiare il secolo
passato) questo spazio comunicativo immateriale, astratto, indefinibile si rivela percorribile,
attraversabile, abitabile. In questo nonluogo che le nuove tecnologie della comunicazione
spalancano (nell’implicata trasformazione del prodotto in messaggio, nell’immediatezza del
contatto tra mittente e destinatario che determina imprevedibili effetti di crescita, superfetazione
retroattiva) vengono a ridefinirsi tutte le implicazioni sociali, politiche (ma anche, si vorrebbe,
categoriali e ontologiche) connesse alle strutture topologiche: in evidenzia, lo spazio del lavoro si
riconfigura librandosi dai condizionamenti fisici, da ogni vincolo corporeo (senza confini). Le
massicce, severe e antiestetiche torrette di sorveglianza di tipo panottico non servono più. si è permesso al
lavoro di uscire dal Panopticon (…) il lavoro incorporeo dell’era software ha cessato di ingabbiare il
capitale: gli consente di essere extraterritoriale, volatile, volubile 1. La liquidità di questo scoperto nuovo
mondo non definisce tanto la possibilità (rivoluzionaria) che ogni periferia possa divenire centro, o
che una capitale perda la sua posizione egemonica in vantaggio di nuovi centri (non sarebbe che la
storia della storia), quanto la compresenza potenziale e permanente di perifericità e centralità in
1
Zygmunt Bauman, Modernità liquida, (S. Minucci, t.), Laterza, Roma-Bari 2002, p. 148. Si pensi ad esempio a
quanto i centri di ricerca possano ridefinire il loro senso e le loro modalità di azione, svincolandosi dalla necessità di
una compresenza spaziale e rendendo così possibili collaborazioni e condivisioni estese su scala e con numero di
contatti precedentemente non consentiti dalle limitazioni concrete, con conseguente crescita esponenziale
dell’euristica complessiva (e complessificata).
ogni (anche minima) unità locale (come accade per aberrante implosione di un sistema che si
vorrebbe opposto, dentro – dietro? - la Grande Muraglia). Questa funzione vicariante delle
gerarchie topologiche (capace di erodere ogni univoca opposizione dialettica), la polivalenza
metamorfica delle sedi (la modulabilità delle loro connessioni, la permeabilità delle loro pareti),
definisce lo spazio (della comunicazione globale) come campo assolutamente non lineare (caotico):
una dimensione dello spazio che si oppone in maniera frontale alla solida, ordinata struttura
semantica del territorio reale così come appare (esemplarmente) nella griglia della Parigi
ottocentesca di Balzac, Flaubert & co.
Un campo fisico all’interno del quale le traiettorie delle persone (i destini dei personaggi) vengono
attratti o respinti, avvicinati e resi tangenti tra loro: il narratore si rivela topografo. L’osservazione
della mappa, lo studio dei differenti potenziali interni, l’intrinseco sistema di relazioni, la
considerazione del segno delle forze in gioco garantisce (all’analista avvertito) lo svolgimento della
trama. Così Bourdieu lega gli eventi al territorio nella Educazione sentimentale rivelando quanto la
Riconversione sociale si traduca in una traslazione spaziale. La trama romanzesca si limita a diluire nel
tempo una matrice spaziale2 (Benjamin, d’altronde si domandava negli appunti per i suoi Passages
– e forse offrendo così uno specchio della sua stessa opera - se non si potesse fare un film
appassionante dalla pianta di Parigi, sviluppandone le diverse configurazioni in ordine cronologico):
in definitiva, in questo spazio strutturato e gerarchizzato, le traiettorie sociali ascendenti e discendenti si
distinguono con grande chiarezza: da sud verso nord-ovest per le prime (…) da ovest a est e/o nord a sud per
le seconde (…) Il fallimento di Deslauriers è indicato dal fatto che non si allontana mai dal punto di partenza,
il quartiere degli studenti e degli artisti falliti 3. In questo spazio strutturato e gerarchizzato della Parigi
bourdivina, l’univocità (fissità) semantica dei componenti (il loro senso relazionale, la
significatività delineata per perspicue opposizioni differenziali dei tratti pertinenti: alto/basso,
fuori/dentro) rende possibile alla topologia di farsi matrice narrativa calcolabile, determinabile,
garantendo al territorio una sua definita (e comprensibile) referenzialità: si può cioè opporre alla
comunicazione come territorio fluido, un territorio come messaggio (inviato da una struttura
sociale?) che gli attanti (il Narratore?) devono (possono) decodificare, un sistema di segni la cui
decifrazione ne permetta il controllo, o per lo meno il calcolo vettoriale.
3. LE ORECCHIE DI RE MIDA
11
Jean Baudrillard, La precessione dei simulacri, in: Simulacri ed impostura, Cappelli, Bologna 1980, p. 46.
12
Walter Benjamin, I passages de Paris, op. cit., H 4, 1 p. 222.