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DISPENSA CORSO ONLINE DI LINFODRENAGGIO METODO VODDER

-PARTE TEORICA -

Il sistema linfatico
A. Anatomia del sistema linfatico = 1. Struttura generale del sistema linfatico
2. Apparato linfatico e canali linfatici (capillari, pre-
collettori, collettori, vasi e dotti toracici)
3. Linfonodi
4. Linfa: origine, composizione e trasporto
5. Anatomia topografica del sistema linfatico
B. Fisiologia del sistema linfatico
C. Fisiopatologia del sistema linfatico
D. Drenaggio linfatico manuale Indicazioni e controindicazioni
IL SISTEMA LINFATICO
Il sistema linfatico
A. Anatomia del sistema linfatico = 1. Struttura generale del sistema linfatico
2. Apparato linfatico e canali linfatici (capillari, pre-
collettori, collettori, vasi e dotti toracici)
3. Linfonodi
4. Linfa: origine, composizione e trasporto
5. Anatomia topografica del sistema linfatico

Il sistema linfatico costituisce un sistema di drenaggio a bassa pressione parallelo a quello venoso
che supporta le funzioni del sistema cardiovascolare e del sistema immunitario. I vasi linfatici e
sanguigni, pur simili come struttura delle pareti e come decorso, presentano alcune fondamentali
differenze:
 Il sistema linfatico non è un sistema chiuso: l’inizio è a livello dei linfatici iniziali, i capillari linfatici,
e termina riversandosi all’interno dei grandi vasi sanguigni della circolazione venosa, vicino al
cuore;
 Il sistema linfatico non possiede una “pompa centrale”: i vasi linfatici trasportano la linfa tramite
una motricità spontanea delle proprie pareti;
 Il sistema linfatico presenta delle interruzioni lungo il suo decorso: numerose stazioni linfonodali
sono infatti intercalate lungo i principali vasi linfatici.
I due sistemi invece sono simili nelle seguenti caratteristiche:
 I vasi linfatici principali possiedono delle strutture valvolari che garantiscono una
monodirezionalità del flusso;
 Il flusso linfatico viene stimolato dagli stessi fattori che costituiscono il ritorno venoso: l’attività
respiratoria, la pulsatilità arteriosa, la pompa muscolare e articolare.

A) ANATOMIA DEL SISTEMA LINFATICO

È costituito due parti semi-dipendenti: una estesa rete di vasi linfatici (capillari, vasi, tronchi, dotti)
che formano un sistema a senso unico che parte dai capillari linfatici, i quali raccolgono l’eccesso di
liquido interstiziale e lo convogliano al sistema cardiovascolare; e organi linfatici che producono
ed immagazzinano le cellule che combattono gli agenti patogeni in contatto con il nostro
organismo e sono suddivisi in:
 Organi linfatici primari o centrali:
all’interno di questi i linfociti vengono programmati per diventare linfociti T (all’interno del timo) o
linfociti B (all’interno del midollo osseo).
 Organi linfatici secondari:
comprendono i linfonodi, la milza, le tonsille, i follicoli linfatici dei diversi organi, che giocano un
ruolo fondamentale nella risposta immunitaria.

1) STRUTTURA GENERALE DEL SISTEMA LINFATICO


La struttura generale del sistema linfatico può essere paragonata alle radici di un albero che,
partendo dalle sue estremità più piccole, i capillari linfatici, che assorbono i fluidi interstiziali
all’interno del tessuto connettivo a contatto con il microcircolo capillare, si riuniscono man mano
in radici più grosse, i collettori linfatici, animati da contrazioni spontanee che assicurano la
propulsione della linfa fino ai linfonodi dei linfocentri, dove la linfa viene in gran parte riassorbita e
concentrata. I vasi efferenti delle stazioni linfonodali vanno a gettarsi nei grossi tronchi
linfatici principali, che raggiungono le vene alla base del collo all’interno delle quali riversano la
linfa residua.
L’area di cute che viene drenata da un precollettore viene definita area linfatica, mentre l’area di
cute drenata da un singolo collettore linfatico forma una zona linfatica.
Le zone linfatiche di tutti i collettori che drenano verso lo stesso gruppo di linfonodi formano
un territorio linfatico.

2) APPARATO LINFATICO E CANALI LINFATICI


Il sistema linfatico presenta una struttura complessa.
Attraverso complessi passaggi, durante i quali raccoglie dai tessuti i fluidi in eccesso non
completamente assorbiti dal sangue, si incanala nei vasi linfatici, attraversa i linfonodi che operano
una sorta di purificazione e ritornano nel sistema sanguigno attraverso il dotto linfatico destro e il
dotto toracico
La linfa scorre nei vasi mossa dall’azione dei tessuti che la circondano (muscoli) e si muove solo
verso il sistema circolatorio.
I vasi linfatici sono distinti rispetto ai rapporti con i linfonodi: vasi linfatici pre o post-linfonodali.
Rispetto alla funzione di raccolta e convogliamento della linfa: capillari o vasi linfatici iniziali,
precollettori e collettori.
I vasi linfatici a seconda del loro calibro vengono distinti in:
• capillari,
• pre-collettori
• collettori
• vasi linfatici di piccola, media e grande dimensione
• dotto toracico.

I capillari linfatici
I capillari linfatici vengono anche chiamati linfatici iniziali. Rappresentano un elaborato del sistema
di drenaggio del liquido dai tessuti ai vasi sanguigni. Sono presenti in quasi tutti i tessuti
analogamente ai vasi sanguigni.
I capillari linfatici presentano una forma a “dito di guanto”, con fondo cieco, del diametro di 10-30
nanometri, che può aumentare fino a 50-70 nanometri, forniti di un unico strato di cellule
endoteliali prive di membrana basale.
Un elemento caratteristico delle pareti dei capillari linfatici sono i punti di contatto tra le cellule
endoteliali. Le cellule endoteliali dei capillari linfatici possono infatti semplicemente toccarsi,
oppure presentare i margini sovrapposti in maniera semplice o complessa. Le giunzioni tra le
cellule endoteliali possono essere:
 Molto serrate: non consentono il passaggio di alcuna sostanza
 Poco serrate: consentono il passaggio di solo acqua e micro-molecole
 Lasse: consentono il passaggio anche di macro-molecole e cellule
Un altro elemento caratteristico è rappresentato dai filamenti di ancoraggio, che ancorano la
superficie esterna della cellula alle fibre elastiche e collagene dell’interstizio e giocano un ruolo
fondamentale nella formazione della linfa: dal loro stato di contrazione o rilasciamento dipende
l’apertura o la chiusura delle giunzioni intercellulari delle cellule endoteliali e, quindi, il tipo e la
quantità di fluidi e molecole che entrano nel capillare linfatico. I filamenti di ancoraggio sono
numerosi ma molto fragili (le manovre di massaggio classico li rompono), ma hanno anche la
capacità di rigenerarsi rapidamente (circa 48 ore).
I capillari linfatici a livello della cute formano una rete bidimensionale avalvulata, è la rete cutanea
superficiale.
I vasi linfatici più profondi formano una rete tridimensionale a livello dello strato fibroso del derma
e rappresenta la rete cutanea profonda.
Il capillare linfatico è completamente avalvulato per cui, al suo interno, il flusso di linfa può
dirigersi in tutte le direzioni. La rete cutanea profonda è connessa ai collettori sottocutanei per
mezzo di pre-collettori a decorso verticale.
I precollettori linfatici
Dalla rete cutanea profonda originano i precollettori linfatici, ciascun precollettore drena la linfa
da una zona circoscritta di capillari linfatici verso vasi di calibro maggiore, i collettori. Il ruolo svolto
dai precollettori è sia di riassorbimento che di trasporto della linfa. I precollettori verticali drenano
un’area cutanea, definita area linfatica.
I collettori linfatici
Sono i vasi di trasporto della linfa; raccolgono la linfa proveniente da diversi precollettori.
Hanno un calibro da 0,1 a 2 mm. Istologicamente la parete è costituita da 3 strati simili a quelli
della parete venosa: tunica intima; tunica media (più spessa) e tunica avventizia consiste di tessuto
connettivo fibro-elastico.
I collettori linfatici presentano al loro interno delle strutture valvolari, che garantiscono il flusso
diretto in senso centripeto ed impediscono il reflusso della linfa. La funzione delle valvole è
puramente passiva.
Il linfangione

Il tratto di collettore compreso tra due valvole viene chiamato


linfangione. La caratteristica del linfangione è di possedere la capacità
di contrarsi in maniera autonoma: rappresentano pertanto la più
piccola unità motoria di drenaggio linfatico, originariamente
chiamata cuore microlinfatico.
La contrazione del linfangione dà origine a un treno di impulsi che si
susseguono automaticamente; la frequenza di queste onde di
contrazione spontanea, simili alla peristalsi intestinale, è lenta. I
linfangioni contigui si contraggono alternativamente.
La frequenza e la forza con cui la parete muscolare di un linfangione si
contrae dipende dallo stato del suo riempimento: quando nel
linfangione viene raggiunto un riempimento tale da determinare una
pressione interna di 3-4 cm H2O, lo stiramento delle pareti determina la
contrazione muscolare, che induce lo svuotamento della linfa in
entrambe le direzioni; la presenza delle valvole impedisce il reflusso nel
linfangione precedente, ottenendo in tal modo un flusso centripeto.
Tale attività spontanea, in condizioni di riposo, determina circa 10 – 12
contrazioni al minuto con pause di 5 – 6 secondi (fase di contrazione muscolare rapida, fase di
distensione lenta).
Quando però il carico linfatico aumenta, l’attività dei linfangioni accelera. L’aumento della
pressione interna determina quindi, un aumento sia della frequenza che dell’ampiezza delle
contrazioni.
Stimoli che possono influenzare l’attività contrattile del linfangione:
 Stimolazione diretta delle fibre muscolari
 Stimolazione del riflesso dei recettori presenti nella parete dei vasi linfatici
 L’aumento della pressione esterna: ogni volta che un vaso linfatico subisce una compressione
dall’esterno la linfa riceve una spinta in entrambe le direzioni, ma grazie alle valvole soltanto la
direzione centripeta è permessa. I fattori che esercitano tali compressioni sono, in ordine di
importanza: la contrazione muscolare, i movimenti passivi delle parti corporee, la pulsazione di
arterie contigue (quest’ultima è particolarmente utile per i collettori profondi);
 Stimolazione nervosa: i vasi linfatici sono innervati dal sistema nervoso simpatico (l’innervazione
della parete è concentrata nella porzione mediale del linfangione) ed è dimostrata una risposta
alla stimolazione simpatica;
 Stimoli farmacologici: molti agenti farmacologici agiscono direttamente a livello della muscolatura
parietale linfatica, influenzandone l’attività; tra i principali si ricordano i benzopironi (in particolare
la cumarina) e la L-arginina;
 La temperatura: un rialzo termico determina un aumento della frequenza di contrazione dei
linfangioni; questo accade però soltanto fino ai 41°C, oltre ai quali si assiste a una caduta del flusso
per linfangioparalisi. Le basse temperature determinano invece, sotto i 22°C, un arresto del flusso
linfatico per linfangiospasmo.
 Correnti elettriche: l’effetto di correnti soglia è stimolante, mentre quello di correnti faradiche è
spasmizzante;
 Il tono vasale gioca un ruolo significativo nel determinare la contrazione iniziale.

Vasi linfatici
Aumentano la loro dimensione lungo il percorso ed assumono via via quell’aspetto a “corona di
perle”, determinato dal susseguirsi di restringimenti e dilazioni dei vasi stessi e dalla presenza di
inserzioni valvolari che consentono alla linfa di risalire superando la legge di gravità
I vasi linfatici nel loro viaggio verso i dotti, convogliano la linfa passando attraverso i linfonodi
(stazioni di filtraggio)
Nel momento in cui entrano nel linfonodo sono detti afferenti quando escono sono detti efferenti
Come regola generale, la linfa attraversa uno o più linfonodi prima di entrare nel flusso sanguigno,
tendendo a seguire il deflusso del drenaggio venoso.

Tronchi linfatici
I tronchi linfatici sono formati da vasi linfatici che escono da gruppi specifici di linfonodi per
formare i tronchi corrispondenti. Sono in numero di undici ed ogni tronco drena una regione
corrispondente dell’organismo. Esistono i tronchi lombari, il tronco intestinale, tronchi
broncomediastinali, tronchi succlavi, tronchi giugulari e tronchi discendenti intercostali. Per
esempio, i tronchi lombari sono responsabili del drenaggio degli arti inferiori e di altre regioni.
Questi tronchi si svuotano in due grossi vasi collettori: dotto linfatico destro e dotto toracico che
convogliano la linfa nel circolo venoso

Il dotti toracici
Rappresentano i vasi linfatici di maggior calibro e sfociano nel sistema venoso portando la linfa di
tutto il corpo attraverso i vasi sanguigni, generalmente nella congiunzione della vena succlavia con
la vena giugulare di ogni lato. In questo modo, si completa tutto il sistema di drenaggio (ritorno
sanguigno e linfatico del cuore) di tutti i fluidi e sostanze mobilitate dal sistema circolatorio. I dotti
hanno un diametro di circa 2mm e possiedono da tre a quattro valvole.

Il dotto toracico raccoglie la linfa della metà sottodiaframmatica del corpo e della metà sinistra
della testa e del collo e, parzialmente, quella del torace.
Il dotto toracico ha inizio al davanti della colonna vertebrale, in una regione compresa tra la
2°vertebra lombare e la 10° vertebra toracica per la fusione di tre grosse radici: due tronchi
linfatici lombari, destro e sinistro ed il tronco linfatico intestinale.
Presenta due lievi dilatazioni: una del tratto iniziale, conosciuta con il termine di Cisterna di
Pequet (dimensione tra 3 a 8 cm di lunghezza e da 0,5 a 1,5 cm di larghezza) ed una, minore,
prima del suo sbocco (presente nel 30-40% dei casi).
Il dotto toracico ha una lunghezza di circa 36-45 cm e un calibro medio di circa 1-5 mm. Presenta
poche valvole (da 1 a 20) specialmente all’origine e alla terminazione.

Il dotto linfatico destro o grande vena linfatica si forma


dall’unione del tronco linfatico giugulare destro con il
tronco linfatico succlavio destro e, talora, con il tronco
linfatico bronco-mediastinale destro. Drena la linfa
proveniente dall’emitorace destro e dalla metà destra
di testa e collo.
In realtà è molto raro che i tronchi di destra si uniscano
a formare un dotto linfatico destro. Nella maggior parte
dei casi vi sono da 2 a 7 tronchi che possono sfociare
separatamente su diverse vene di una regione
definita area giugulo-succlaveare, il cui centro è a livello
dell’angolo venoso.

3) I LINFONODI
I linfonodi sono organi linfatici di diverse dimensioni
(da 0,2 a 3 cm), hanno una forma ovoidale o
reniforme e sono intercalati lungo il decorso dei
collettori linfatici . Nel nostro corpo esistono circa
600/700 linfonodi. Il tessuto linfoide rappresenta dal
2 al 3% del peso corporeo. La funzione principale dei
linfonodi è quella immunitaria, ossia di contribuire
alla difesa dell’organismo contro l’aggressione di
qualunque agente estraneo; tale compito viene
svolto sia grazie alla funzione immunopoietica,
ossia di produzione e differenziazione di cellule immunitarie, i linfociti, e dalla produzione di
anticorpi, oltre che grazie alla funzione di filtro operata dalla fagocitosi dei macrofagi.
I linfonodi possiedono tuttavia anche altre due importanti funzioni: quella di contribuire al
riassorbimento linfatico e quella di impedire il reflusso linfatico gravitazionale.
I linfonodi si trovano isolati o riuniti in gruppi più o meno numerosi (stazioni linfonodali o
linfocentri). Il numero complessivo dei linfonodi varia da 600 a 700, di cui 100 – 200 sono
localizzati a livello mesenterico.
Si suddividono topograficamente in linfonodi superficiali, situati al di sopra della fascia muscolare,
e in linfonodi profondi, situati al di sotto di tale fascia.
I linfonodi presentano una forma ovalare con, in un tratto della loro superficie, una intaccatura più
o meno pronunciata chiamata ilo; da questa regione entrano nel linfonodo i vasi arteriosi ed
escono i vasi venosi e i collettori linfatici efferenti. Questi ultimi presentano un minor numero
(solitamente sono 1 o 2 per ciascun linfonodo), ma un calibro maggiore rispetto ai collettori
linfatici afferenti che penetrano nel linfonodo in diversi punti della sua superficie.
Ogni linfonodo presenta al suo interno numerosi spazi chiamati seni; quando la linfa scorre nei
seni viene filtrata dai macrofagi, globuli bianchi che fagocitano detriti e agenti patogeni.
La linfa giunge al linfonodo dal lato convesso attraverso vasi afferenti. Dal momento che ci sono
meno vasi efferenti che afferenti, il flusso nel linfonodo è stagnante e si lascia il tempo ai linfociti e
macrofagi di svolgere le loro funzioni
I linfonodi, in corrispondenza dei linfocentri, sono disposti anatomicamente in serie; i collettori
efferenti di un linfonodo divengono i collettori afferenti del successivo.
La linfa deve passare attraverso parecchi linfonodi prima che il processo di filtrazione sia completo
L’infiammazione di un linfonodo è spesso causata da un gran numero di batteri rimasti intrappolati
al suo interno = l’infiammazione induce ingrossamento del linfonodo e dolore
I linfonodi possono diventare sedi secondarie di proliferazione tumorale = i linfonodi infiltrati dal
cancro sono ingrossati ma non dolenti

Quindi, per mezzo del sistema linfatico si eliminano i fluidi e le sostanze che non riuscirebbero a
tornare indietro attraverso il sistema venoso per mezzo dei vasi linfatici; questo avviene grazie ai
linfonodi. In entrambe le metà del corpo esistono tre grandi gruppi di linfonodi attraverso i quali
avvengono i drenaggi di tre grandi territori: linfonodi inguinali, ascellari e cervicali.
Ai linfonodi inguinali giungono i vasi linfatici degli arti inferiori, del perineo, dei genitali esterni e
della parte infraombelicale del tronco.
Ai linfonodi ascellari convergono i vasi linfatici dell’arto superiore, della zona addominale
sopraombelicale e del tronco fino a metà della nuca e dei linfonodi cervicali, i quali ricevono i vasi
linfatici della testa e del collo.
Il sistema linfatico si estende per tutto l’organismo sotto forma di rete

4) LA LINFA: ORIGINE, COMPOSIZIONE E TRASPORTO


Origine e composizione
È un liquido incolore, trasparente e lattiginoso composto per il 90% di acqua ed ha origine nei
capillari sanguigni. La quantità di linfa presente normalmente e circolante in assenza di qualsiasi
patologia è di circa 2,4 litri al giorno, ma può salire a 20 litri al giorno in caso di necessità (in caso di
infezioni in atto o in relazione all’assunzione di cibo)
La linfa, cosi come il sangue, è formata da due parti:
- una parte plasmatica = il liquido ed i soluti in esso disciolti (proteine, glucosio, azoto, colesterolo,
ferro e ormoni);
- una parte corpuscolata o cellulare = in massima parte sono linfociti (globuli bianchi), in minima
parte eritrociti (globuli rossi), cellule di transizione
La parte corpuscolata della linfa (compresi gli organi linfoidi ed i noduli linfoidi disseminati)
costituisce il 2-3% del peso corporeo totale.
Il numero totale di linfociti che quotidianamente entrano nel sistema vascolare dell’uomo e di
150-200 milioni. Di questi, una quota penetra rapidamente e si diffonde in tutti i tessuti ed organi,
un’altra quota rimane nei vasi e costituisce la parte circolante dei linfociti. Il DNA dei linfociti
verrebbe usato dalle cellule dell’organismo per la costruzione o la riparazione dei tessuti
danneggiati o invecchiati. Per l’apporto di linfa <<nuova>> e con essa di linfociti che recano in sé
prezioso materiale da costruzione, il processo di cicatrizzazione si verifica più rapidamente,
unitamente all’effetto <<meccanico>> dell’asportazione, con la linfa, del liquido d’edema, che
sempre è presente in caso di ferite, siano esse accidentali o chirurgiche.
Nella linfa sono rappresentate anche cellule con attività di tipo fagocitario (macrofagi), che
inglobano e digeriscono residui cellulari, agenti patogeni o comunque corpi estranei. La loro
funzione è di tipo difensivo.
La linfa ha principalmente due funzioni :
1) bagnare gli spazi intracellulari del nostro organismo ( linfa interstiziale ) , dove è presente una
parte del plasma fuoriuscito dai capillari sanguigni , raccoglierlo e aiutare così lo smaltimento di
questi scarti del catabolismo cellulare
2) La seconda funzione è di incanalare nei capillari linfatici e successivamente nei canali linfatici (
linfa vascolare ).
La linfa si produce nei capillari linfatici per riassorbimento dei fluidi interstiziali che costituiscono
l’ultrafiltrato netto.
Come avvenga il riassorbimento del fluido interstiziale non è ancora stato definitivamente chiarito.
Il riassorbimento linfatico avverrebbe con un meccanismo a più fasi:
1° fase, di riempimento: i fluidi derivati dall’ultrafiltrazione si accumulano nell’interstizio, la
pressione idrostatica tissutale aumenta e il tessuto si espande. I filamenti di ancoraggio vengono
messi in tensione e tirano verso l’esterno le giunzioni interendoteliali che si aprono
completamente. Il fluido interstiziale passa attraverso questi canali ed entra nel capillare linfatico,
all’interno del quale è presente una pressione idrostatica più bassa. Durante la fase di
riempimento, la pressione linfatica aumenta gradualmente, mentre cala quella interstiziale,
determinando una riduzione della tensione dei filamenti di ancoraggio. In questo modo le
giunzioni interendoteliali progressivamente si chiudono, impedendo la fuoriuscita della linfa dal
capillare linfatico.
2° fase, di concentrazione: a questo punto il capillare linfatico è pieno di linfa; al suo interno la
pressione idrostatica è più elevata di quella interstiziale. Per questo si attiva un meccanismo di
filtrazione inversa, per cui una parte dell’acqua della linfa esce verso la membrane linfatica verso
l’interstizio, mentre la concentrazione proteica aumenta all’interno del capillare linfatico.
3° fase, di svuotamento: questa fase è distinta dalla precedente solo per motivi didattici, ma in
realtà avviene contemporaneamente ad essa. In questa fase diventano fondamentali i movimenti
del corpo (es. contrazioni muscolari): questi determinano un incremento della pressione nei
tessuti circostanti il capillare iniziale, che provoca lo svuotamento di questo attraverso la prima
struttura valvolare, all’interno del primo linfangione. A questo punto si inserisce il ruolo aspirante
del linfangione che, per effetto del suo svuotamento, richiama la linfa dal capillare linfatico.
Questa fase spiega l’importanza dei movimenti corporei nella formazione della linfa: nelle
condizioni di immobilità (es. paralisi), la mancanza di ripetuti incrementi pressori tissutali,
determinati dai movimenti muscolari, provoca una ridotta formazione di linfa.
Al termine della fase di svuotamento, il capillare linfatico iniziale è completamente svuotato e può
riprendere la fase di riempimento.
Trasporto della linfa
La linfa raggiunge i collettori linfatici, dove viene trasportata progressivamente verso le regioni
prossimali. La linfa avanza nei vasi linfatici grazie alla presenza delle valvole: ogni volta che il vaso
linfatico subisce una compressione dall’esterno, la linfa subisce una spinta in entrambe le
direzioni, ma grazie alle valvole soltanto la direzione del flusso centripeta è permessa.
La funzione linfatica decresce fisiologicamente con l’età: ispessimento della parete linfatica,
dilatazioni sacculari, diminuzione della componente muscolare parietale portano ad una
progressiva diminuzione del numero di branche linfatiche attive, che riduce progressivamente la
portata linfatica.
I seguenti meccanismi possono influenzare il trasporto linfatico, sia per uno stimolo fisico diretto
sulle pareti linfatiche, che per influenza dell’attività contrattile dei linfangioni:
 Pompa muscolare: è efficace nel movimento della linfa sul sistema profondo; come nel sistema
venoso, la contrazione del muscolo esercita una pressione sui vasi linfatici, favorendo
l’evacuazione della linfa.
 Movimenti attivi e passivi del corpo: determinano un movimento della linfa per compressione e
stiramento dei vasi; per questa ragione gli esercizi di ginnastica sono spesso proposti in terapia.
 Pulsazione arteriosa: l’aumento e la riduzione del calibro dei vasi arteriosi alternati durante le
sistole e le diastole cardiaca determina una compressione sui vasi linfatici compresi nel fascio
vascolare; questo meccanismo è particolarmente efficace sui vasi linfatici profondi e sul dotto
toracico.
 La respirazione: durante l’inspirazione la linfa dal dotto toracico e dal dotto linfatico destro viene
richiamata all’interno dell’ angolo venoso. Per questo gli esercizi respiratori sono utilizzati in
terapia.
 Stimoli nervosi: i vasi linfatici sono innervati dal sistema nervoso simpatico ed è dimostrata una
risposta alla stimolazione simpatica.
 Stimoli ormonali: il linfangione risente dell’azione di numerose sostanze ormonali come il PTHrP
(parathyroid hormone-related protein), l’ANP (atrial natriuretic peptide) o come sostanze legate al
processo flogistico (come istamina, bradichinina e serotonina).
Tutti i meccanismi menzionati funzionano simultaneamente.
Diverse azioni esterne possono inoltre determinare un incremento della velocità di trasporto
linfatico; molti di questi stimoli sono alla base di tecniche terapeutiche.
 Compressioni esterne: il massaggio, compressioni direzionate nel senso del deflusso linfatico
fisiologico possono determinare l’evacuazione della linfa. La stimolazione linfatica non avviene
soltanto per un aumento della pressione diretta , ma anche per effetto di distensioni trasversali e
longitudinali, ossia per stiramento dei vasi linfatici. Pressioni esterne superiori a 60 mmHg
applicate ad un tessuto sano determinano tuttavia un collasso linfatico.
 Diversi agenti farmacologici agiscono direttamente a livello della muscolatura parietale linfatica,
influenzandone l’attività.
 La temperatura influenza il trasporto linfatico: un rialzo termico determina un aumento della
frequenza di contrazione dei linfangioni; ciò accade però soltanto fino a 41°C, oltre ai quali si
assiste a una caduta del flusso per linfangioparalisi. Al contrario, le basse temperature
determinano, al di sotto dei 22°C, un arresto del flusso linfatico per linfangiospasmo.
 Correnti elettriche: l’effetto di correnti soglia è stimolante, mentre quello di correnti faradiche è
spasmizzante.
Sotto lo stimolo dei diversi meccanismi la portata linfatica può aumentare di 10-12 volte, dai
fisiologici 2-3 litri al giorno fino a 20-25 litri al giorno.
5) ANATOMIA TOPOGRAFICA DEL SISTEMA LINFATICO
Il sistema linfatico può essere suddiviso in tre parti:
 Il sistema linfatico superficiale: drena la cute e il sottocute;
 Il sistema linfatico profondo: drena la linfa proveniente dai muscoli, dalle ossa, dalle articolazioni,
ecc. I collettori profondi decorrono lungo il decorso delle arterie e delle vene, all’interno di guaine
vascolari; possiedono un calibro maggiore rispetto ai corrispondenti collettori linfatici superficiali;
 Il sistema linfatico viscerale: i collettori decorrono paralleli ai vasi ematici degli organi interessati e
possono essere interrotti da piccoli linfonodi intercalati.
Contrariamente al sistema venoso, i collettori profondi drenano verso quelli superficiali attraverso
rami perforanti. Il sistema linfatico superficiale, negli arti, drena infatti il 90% circa della linfa.
L’area drenata da tutti i collettori afferenti ad uno stesso gruppo di linfonodi viene
definita territorio linfatico.
L’area di 3 – 4 cm compresa tra due territori linfatici adiacenti viene definita spartiacque linfatico.
Mentre le connessioni tra collettori linfatici appartenenti allo stesso territorio linfatico sono
numerose ed ampie (anastomosi linfo-linfatiche intra-territoriali), le connessioni tra collettori
linfatici di territori adiacenti sono invece rare.
I collettori che decorrono al bordo di un territorio linfatico presentano solo poche connessioni con
i collettori del territorio linfatico adiacente: la linfa può trasferirsi da un territorio all’altro soltanto
attraverso questi vasi di connessione, definiti collettori anastomotici.
SISTEMA LINFATICO DELL’ARTO SUPERIORE
PLESSO LINFATICO ASCELLARE O LINFOCENTRO ASCELLARE
I linfonodi ascellari drenano tutto l’arto superiore e le aree del tronco che verranno indicate dopo;
essi sono di notevoli dimensioni, il loro numero complessivo varia da 10 a 30 e possono essere
divisi in cinque gruppi non completamente distinti; quattro sono intermedi, solamente il gruppo
apicale è terminale.
Un gruppo laterale o brachiale di 4-7 linfonodi, è situato medialmente e dietro alla vena ascellare;
i vasi afferenti a questo gruppo raccolgono la linfa da tutto l’arto superiore. I vasi efferenti si
dividono in parte ai gruppi centrale ed apicale dei linfonodi ascellari, in parte ai linfonodi cervicali
profondi inferiori.
Un gruppo anteriore o pettorale di 3-6 linfonodi, è distribuito lungo il margine inferiore del
muscolo piccolo pettorale. I suoi afferenti raccolgono la linfa dalla cute e dai muscoli della parete
anteriore e laterale del torace, dalla regione sovraombelicale e dalle porzioni centrale e laterale
della mammella; i vasi efferenti si dividono in parte al gruppo centrale e in parte al gruppo apicale
di linfonodi ascellari.
Un gruppo posteriore o sottoscapolare di 2-7 linfonodi, è distribuito lungo il margine del muscolo
sottoscapolare; i vasi afferenti a questo gruppo raccolgono la linfa proveniente dalla cute e dai
muscoli superficiali della regione nucale e della superficie dorsale del torace sino alla cresta iliaca; i
loro efferenti raggiungono i linfonodi ascellari apicali e centrali.
Un gruppo centrale di 3-10 linfonodi di grosso calibro, è contenuto nel grasso ascellare e riceve
vasi afferenti dai linfonodi di tutti i suddetti; i vasi efferenti si portano ai linfonodi apicali.
Un gruppo apicale di 3-12 linfonodi, è situato dietro e sopra la porzione superiore del muscolo
piccolo pettorale e si estende verso l’alto nella porzione apicale dell’ascella.

Linfonodi periferici dell’arto superiore


I linfonodi periferici extra-ascellari dell’arto superiore sono poco numerosi. Essi comprendono:
i linfonodi sovra-trocleari, 1-2, sono superficiali rispetto all’aponeurosi muscolare prossimale
all’epicondilo mediale dell’omero e mediali alla vena basilica.
I linfonodi sottoclaveari, 1-2, si trovano vicino alla vena cefalica, tra grande pettorale e deltoide,
immediatamente sotto la clavicola.
Linfonodi isolati, di piccole dimensioni, si trovano talvolta nell’avambraccio lungo i vasi radiali,
ulnari e interossei, nella fossa ulnare vicino alla biforcazione dell’arteria o, nel braccio,
medialmente nei vasi brachiali.
Vie linfatiche dell’arto superiore
Rete superficiale
Mano
Alla mano è presente una fittissima rete linfatica palmare che si pone in rapporto con una più rada
rete linfatica dorsale in corrispondenza degli spazi interdigitali e lungo i margini della mano. Qui si
riuniscono con i collettori provenienti dalla parte distale del palmo e proseguono verso il dorso
della mano.
Avambraccio
Le vie si presentano come anteriori (radiale e cubitale) e posteriori (radiale e cubitale), e
mantengono un decorso parallelo all’asse di ulna e radio.
Le due vie anteriori si dirigono verso la regione interna del gomito (epitrocleare) e ricevono
l’apporto linfatico dalle due correnti posteriori.
Braccio
Presenta tre vie antero-mediali e una via postero-laterale.
Regione antero-mediale
 Via bicipitale interna o basilica, risale lungo la faccia interna del braccio e, si getta nei linfonodi
ascellari brachiali;
 Via bicipitale anteriore, risale medialmente la faccia del braccio e si getta nei linfonodi ascellari
brachiali;
 Via bicipitale esterna o cefalica, risale sulla faccia esterna del braccio, nel 70% dei casi si getta nei
linfonodi ascellari apicali e nel 30% dei casi si getta nei linfonodi retroclaveari, individuando la
cosiddetta via di Mascagni; questa via, non presente in tutti i casi, è molto importante in quanto è
l’unica via di drenaggio della linfa dell’arto superiore indipendente dalla stazione linfonodale
ascellare.
Regione postero-laterale
 Via tricipitale, si getta nei linfonodi ascellari brachiali.
Rete linfatica profonda
E’ rappresentata dai vasi linfatici che nascono a livello di tessuto osseo e/o muscolare delle dita
della mano e seguono parallelamente il decorso del fascio vasculo-nervoso profondo. Si
distinguono:
 Una via radiale
 Una via cubitale
 Una via interossea anteriore
 Una via interossea posteriore
Si uniscono a livello del gomito nella via omerale profonda, che risale lungo il braccio gettandosi
nei linfonodi ascellari brachiali.

SISTEMA LINFATICO DELL’ARTO INFERIORE


Plesso linfatico inguinale o linfocentro inguinale
E’ localizzato in corrispondenza del triangolo femorale o dello Scarpa, intorno al tratto superiore
della vena femorale e della grande safena. E’ delimitato da:
 Legamento inguinale, superiormente;
 Margine laterale dei muscoli adduttori, medialmente;
 Muscolo sartorio, lateralmente.
I linfonodi inguinali si dividono topograficamente in superficiali e profondi.
I linfonodi inguinali superficiali sono situati nel tessuto sottocutaneo, superficialmente alla fascia.
Sono in numero di 12 – 20, di varia dimensione.
I linfonodi inguinali superficiali ricevono:
 Nel gruppo superiore laterale, i vasi linfatici superficiali delle regioni lombare ed iliaca, e in parte
della regione sacrale e della regione glutea;
 Nel gruppo superiore mediale, i vasi linfatici della zona sotto-ombelicale della parete antero-
laterale dell’addome, dello scroto e del pene nell’uomo o della vulva nella donna, del perineo e
specialmente dell’ano, e in parte della regione glutea e sacrale;
 Nel gruppo inferiore, i vasi linfatici superficiali dell’arto inferiore.
I collettori efferenti si portano in piccola parte ai linfonodi inguinali profondi, in maggior numero ai
linfonodi iliaci esterni.
I linfonodi inguinali profondi sono situati al di sotto della fascia, medialmente alla vena femorale;
in numero da 1 a 8.
I linfonodi inguinali profondi ricevono:
 Una parte dai vasi linfatici efferenti dei linfonodi inguinali superficiali;
 Altri provenienti dal glande del pene nel maschio o dal clitoride nella femmina;
 Alcuni vasi linfatici profondi dell’arto inferiore.
I rimanenti degli uni e degli altri raggiungono direttamente i plessi linfatici iliaci.
I vasi linfatici efferenti del linfocentro inguinale si portano al plesso linfatico iliaco esterno.
Linfonodi periferici dell’arto inferiore
I linfonodi extra-inguinali sono localizzati nel cavo popliteo; da 4 a 6, ricevono collettori profondi e
collettori superficiali satelliti della vena piccola safena. I collettori efferenti si portano ai linfonodi
inguinali profondi.
Vie linfatiche dell’arto inferiore
Nel piede, a partire dall’apice delle dita, vi è una fittissima rete linfatica plantare ed una meno fitta
rete linfatica dorsale. Nelle dita, entrambe le reti convergono verso i due margini laterale e
mediale delle dita stesse in uno o due vasi linfatici digitali, che si aprono nella rete linfatica dorsale
del piede; con questa confluisce anche la rete linfatica plantare, sia in corrispondenza dei quattro
spazi interdigitali, sia lungo i due margini del piede; i collettori superficiali della pianta del piede
sono disposti a raggiera dal centro del piede, verso la periferia. I collettori del dorso del piede
invece confluiscono verso la parte anteriore ed interna del piede in direzione del malleolo mediale
(origine della vena safena interna); solo la piccola zona esterna del calcagno e del retro piede
viene drenata verso il malleolo esterno (origine della vena safena esterna).
Dal malleolo mediale originano i vasi linfatici mediali, che risalgono disposti intorno alla vena
grande safena (collettori mediali) per aprirsi nel gruppo inferiore dei linfonodi inguinali superficiali
(collettori lunghi). Ricevono i collettori della faccia antero-esterna della gamba (collettori corti
della gamba).
Dal malleolo laterale originano i vasi linfatici laterali, che risalgono sulla faccia posteriore della
gamba, si dirigono verso i linfonodi poplitei verso la circolazione linfatica profonda. Sono
individuabili nella gamba dei rami comunicanti tra i collettori mediali e quelli posteriori.
A livello della coscia: i collettori della regione mediale si dirigono verso la parte antero-interna
della coscia, mentre i collettori della zona laterale si dirigono sulla faccia esterna e poi anteriore
fino a confluire nei vasi linfatici mediali.
I vasi linfatici profondi dell’arto inferiore sono satelliti dei vasi sanguigni profondi; hanno con i vasi
linfatici superficiali rare anastomosi. Nel loro decorso incontrano i linfonodi poplitei. I vasi linfatici
profondi dell’arto inferiore raccolgono la linfa delle strutture sotto-fasciali e dell’articolazione del
ginocchio.

TRONCHI LINFATICI DEL COLLO


I tronchi linfatici del collo sono pari; sono presenti pertanto sia a destra che a sinistra, ma spesso
con una disposizione asimmetrica. Alcuni di essi si aprono direttamente nel sistema venoso, altri
nel dotto toracico. I tronchi principali sono due:
 Il tronco linfatico giugulare, raccoglie la linfa della metà corrispondente della testa e del collo.
Scende latero-posteriormente al tratto inferiore della vena giugulare interna a formare, con il
tronco succlavio omolaterale, il dotto linfatico destro o grande vena linfatica; a sinistra si getta
invece nell’arco terminale del dotto toracico. Riceve i vasi linfatici efferenti dei linfonodi cervicali;
questi vengono distinti topograficamente in superficiali e profondi.
I linfonodi cervicali superficiali, 4-6, ricevono linfa dalla cute della regione antero-laterale del collo.
I linfonodi cervicali profondi, 12-25, si distinguono in superiori ed inferiori.
I linfonodi cervicali profondi superiori ricevono i vasi linfatici efferenti dei linfonodi cervicali
superficiali, i vasi linfatici afferenti di una serie di gruppi di linfonodi disposti lungo il limite fra la
testa ed il collo (sottomentali, sottomandibolari, auricolari, parotidei, occipitali) ed i vasi linfatici
efferenti di gruppi di linfonodi più profondi (facciali profondi, linguali, retrofaringei).
I linfonodi cervicali profondi inferiori ricevono i vasi linfatici provenienti dai linfonodi cervicali
profondi superiori, dalla laringe, dalla faringe, dalla ghiandola tiroidea e dalle parti cervicali della
trachea e dell’esofago.
Il tronco linfatico succlavio raccoglie la linfa proveniente dall’arto superiore e in parte dalla parete
toracica del proprio lato. Decorre al davanti della vena succlavia, per aprirsi nell’angolo di
convergenza della vena succlavia stessa con la vena giugulare interna. A sinistra si getta nel dotto
toracico, a destra forma, con il tronco linfatico giugulare, la grande vena linfatica. Riceve la linfa
efferente dai linfonodi sopraclavicolari.

TRONCHI LINFATICI DEL TORACE


Il tronco linfatico bronco-mediastinale raccoglie la linfa dei visceri toracici, della parete del torace,
del diaframma e del fegato. Si getta a destra nella grande vena linfatica e a sinistra nel dotto
toracico.
I gruppi di linfonodi, i cui vasi efferenti convergono a costituire il tronco linfatico bronco-
mediastinale, si dividono in parietali e viscerali.
I linfonodi parietali sono rappresentati dai linfonodi sternali: 7-10 per lato, formano una catena
che decorre longitudinalmente dietro alle prime sette coste, lungo il margine laterale dello sterno.
Ricevono i vasi linfatici provenienti dalla parete antero-laterale dell’addome e dalla parte anteriore
del diaframma e dalla parete anteriore del torace.
I linfonodi viscerali sono rappresentati dai linfonodi mediastinali anteriori, dai
linfonodi bronchiali e dai linfonodi tracheali, che raccolgono la linfa proveniente dal fegato, dalla
tiroide, dal cuore, dal polmone e dalle pleure, da trachea e bronchi, dall’esofago.
I vasi linfatici intercostali e mediastinici posteriori, proveniente dagli organi del mediastino
posteriore, sono in prevalenza tributari direttamente del dotto toracico.

Drenaggio linfatico della mammella


I vasi linfatici della mammella originano da una rete linfatica situata nel connettivo interlobulare e
nella parete dei dotto galattofori, in comunicazione con la rete linfatica cutanea subareolare. I vasi
linfatici efferenti della mammella si portano verso il margine anteriore dell’ascella e terminano nel
gruppo pettorale dei linfonodi ascellari.
Parte dei vasi linfatici si porta al gruppo sottoscapolare e alcuni, provenienti dai quadranti
superiori della mammella, si portano invece direttamente al gruppo apicale.
Solitamente il linfocentro ascellare riceve più del 75% della linfa drenata dalla mammella. La
restante parte, proveniente sia dai versanti mediali che laterali della mammella, viene drenata da
collettori linfatici che, seguendo i rami perforanti dell’arteria mammaria interna, si portano ai
linfonodi parasternali.

TRONCHI LINFATICI DELL’ADDOME E DELLA PELVI


Il tronco linfatico intestinale, impari, raccoglie la linfa proveniente dallo stomaco, dall’intestino
tenue, dall’intestino crasso, dalla milza, dal pancreas e da una parte del fegato. Si versa nell’origine
del dotto toracico.
Il tronco linfatico intestinale si costituisce per la confluenza dei vasi linfatici efferenti del plesso
linfatico celiaco, nel quale convergono i vasi linfatici provenienti dai linfonodi annessi ai visceri
predetti, ossia i linfonodi gastrici, mesenterici, del colon trasverso, del pancreas e della milza ed
epatici.
Il tronco linfatico lombare è pari, talora doppio da ciascun lato. Esso raccoglie la linfa dell’arto
inferiore, del bacino, della metà sotto-ombelicale della parete dell’addome e degli organi
dell’apparato uro-genitale omolaterali.
Esso contribuisce, insieme al contro-laterale, alla costruzione del dotto toracico. Trae origine dal
plesso linfatico lombare, a cui mettono capo il plesso linfatico sacrale medio, il plesso linfatico
ipogastrico ed i plessi che ricevono la linfa dell’arto inferiore (plesso linfatico iliaco esterno e
plesso linfatico inguinale).
Il plesso linfatico lombare è pari, accolto nel peritoneo, in posizione antero-laterale alla porzione
lombare della colonna vertebrale, intorno all’aorta quello di sinistra e alla vena cava inferiore
quello di destra. Il plesso linfatico lombare presenta complessivamente 20-30 linfonodi per lato, di
dimensioni varie, che si trovano in prevalenza ai lati dell’aorta o della vena cava inferiore, ma in
parte anche anteriormente e posteriormente ad esse.
Il plesso linfatico lombare riceve: i vasi linfatici lombari; i vasi linfatici spermatici interni, derivanti
dal testicolo nel maschio e dall’ovaia, dalla tromba uterina ed in parte dal corpo dell’utero nella
femmina; i vasi linfatici renali, satelliti in numero da 4 a 8 della vena renale e che drenano linfa dal
rene, dalla sua capsula, dall’uretere prossimale.
Il plesso linfatico sacrale medio, impari, con 4-6 linfonodi sacrali, riceve una parte dei vasi linfatici
dell’intestino retto e, nella donna, anche della vagina, inoltre quelli del tratto inferiore del canale
vertebrale. I suoi vasi efferenti mettono capo al plesso linfatico iliaco comune.
Il plesso linfatico ipogastrico, pari, con 9-12 linfonodi per lato, riceve i vasi linfatici glutei, che
sorgono dagli strati profondi delle regioni glutea ed iliaca e dalla parte posteriore della coscia, i
vasi linfatici otturatori, che provengono dalle parti molle profonde antero-mediali della coscia,
numerosi vasi linfatici viscerali, che originano dall’intestino retto, dalla vescica e dall’uretere
distale; riceve inoltre, nell’uomo i vasi linfatici della prostata, dalle vescichette seminali, dal
condotto deferente e dall’uretra membranosa, nella donna i vasi linfatici dall’utero e dai tre quarti
superiori della vagina. I vasi efferenti del plesso linfatico ipogastrico mettono capo il plesso
linfatico iliaco comune.
Il plesso linfatico iliaco esterno, pari, con 6-8 linfonodi iliaci esterni, riceve i vasi efferenti del
linfocentri inguinale e, provenienti dalla muscolatura della parte dell’addome, i vasi linfatici
circonflessi iliaci profondi ed epigastrici inferiori. I vasi efferenti del plesso linfatico iliaco-esterno
vanno al plesso linfatico iliaco comune.

LINFATICI DELLA TESTA


Il drenaggio linfatico della testa avviene attraverso quattro correnti principali: anteriore,
parotidea, occipitale e retroauricolare o mastoidea.
La via linfatica anteriore o dei vasi facciali comprende tre gruppi di nodi linfatici: infra-orbitale o
mascellare, localizzati nel naso, guance e archi zigomatici, boccale superficialmente al muscolo
bucinatore e mandibolare a livello della parte esterna della mandibola anteriormente al muscolo
massetere. La corrente linfatica anteriore riceve le afferenze linfatiche dalle aeree frontale e
facciale anteriori, le quali drenano attraverso i linfonodi submandibolari, eccetto le regioni del
mento e del labbro inferiore, che sfociano nei nodi linfatici submentali.
La corrente linfatica parotidea drena la porzione laterale della guancia includendo le palpebre, la
radice del naso e l’area anteriore del meato acustico esterno, sfociando nei linfonodi parotidei
superficiali o pre-auricolari, i quali, a loro volta, drenano attraverso i linfonodi parotidei profondi e
proseguono verso i nodi cervicali profondi.
La corrente retroauticolare, a sua volta, contiene la linfa della regione posteriore del meato
acustico esterno e della regione tempoparietale, drenata attraverso due nodi linfatici mastoidei o
retroarticolari localizzati sopra l’intersezione del muscolo esternocleidomastoideo ed a livello
profondo nel muscolo auricolare posteriore.
La via linfatica occipitale riceve il drenaggio dell’area occipitale e sfocia nei medesimi linfonodi,
presenti in numero da uno a tre in prossimità del bordo postero-superiore del muscolo trapezio a
livello dell’intersezione del muscolo semi-spinale della testa.
L’orecchio presenta un drenaggio linfatico misto attraverso i linfonodi retroauricolari, cervicali
profondi superiori e parotidei, mentre il cuoio capelluto drena in direzione di vari nodi linfatici del
collare pericervicale.
I linfonodi facciali profondi, situati in profondità rispetto al ramo della mandibola, nella faccia
esterna del muscolo pterigideo laterale ed in intima relazione con l’arteria mascellare, drenano le
fosse temporale ed infratemporale e la porzione nasale anteriore della faringe.
I linfatici del labbro superiore (e le parti laterali del labbro inferiore) drenano verso i linfonodi
submandibolari, mentre la linfa del mento e dell’area centrale del labbro inferiore sfocia nei nodi
linfatici submentali, che derivano dai linfonodi giugulo-omo-ioidei. Due o tre nodi linfatici linguali
si trovano sopra il muscolo ioglosso ed in profondità rispetto al muscolo genioglosso. Si tratta di
substazioni linfatiche in direzione dei linfonodi submandibolari e cervicali profondi.
I linfonodi retrofaringei (in numero da uno a tre), situati anteriormente all’arco dell’atlante e
posteriormente al muscolo lungo della testa, sono responsabili del drenaggio linfatico delle cavità
nasali, della parte nasale posteriore della faringe e delle tube auditive. Sfociano nei linfonodi
cervicali profondi.
FISIOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO
Le funzioni del sistema linfatico
1.Produrre, mantenere e distribuire i linfociti (per i
meccanismi di difesa prodotti e accumulati negli organi
linfoidi)
2. Aiuta a mantenere l’equilibrio dei fluidi nei tessuti
3. Aiuta ad assorbire grassi dal tratto intestinale,
eliminare sostanze di scarto e trasportare ormoni
4. Difesa

Considerazioni generali
Per una migliore comprensione del sistema linfatico, faremo delle brevi considerazioni sul sistema
circolatorio.
Il sistema circolatorio è un circuito chiuso formato dal cuore, dalle arterie, dalle vene e dai vasi
linfatici che cambiano di dimensioni a seconda della localizzazione e della funzione che svolgono.
Il sangue può essere considerato come un grande organo circolante, il quale garantisce il
supplemento di nutrienti a tutte le cellule del nostro organismo. Quindi rimuove e fa circolare
tutto quello che è stato prodotto a livello locale, utilizzando il sistema circolatorio come condotto,
e la sistole ventricolare che permette il pompaggio del sangue.
Il cuore funziona come una “pompa” che ad ogni sistole ventricolare crea una pressione di pulsione
arteriosa, che spinge circa 70 ml di sangue dentro l’aorta ed un’onda di pulsione arteriosa che si
propaga in direzione della microcircolazione. Il ritorno del sangue attraverso il cuore è reso
possibile dal sistema venoso (vene) con l’ausilio del sistema linfatico che, nonostante non trasporti
sangue ma linfa, attua un riassorbimento di liquidi e proteine, completando così questo circuito.
Si osservano qui un sistema di irrigazione (sistema arterioso) e due sistemi di drenaggio
rappresentati dai sistemi venoso e linfatico e due tipi di fluidi circolanti, che sono il sangue e la
linfa. Esiste inoltre l’interstizio cellulare, il quale funziona come un’interfaccia per lo scambio di
fluidi e nutrienti tra le cellule e la corrente sanguigna. Tutto ciò che esce ed entra nel vaso passa
attraverso l’interstizio.
Il tessuto interstiziale è costituito da una struttura fibrillare composta da fibre elastiche, reticolari
e collagene. Tra di esse esiste una matrice formata da una sostanza chiamata fondamentale, ricca
di colloidi, acqua e piccole molecole diluite. Il liquido dell’interstizio proviene dai vasi sanguigni. Il
plasma fuoriesce dai capillari ( è come se trasudasse ) e va a riempire gli spazi interstiziali delle
cellule. Le molecole che escono dai capillari sanguinei raggiungono il sistema linfatico dopo tre
barriere: capillare endoteliale, spazio interstiziale ed endotelio del capillare linfatico.
Il sistema circolatorio racchiude circa da cinque a sei litri di sangue: l’80% di esso si trova nelle
vene, il 15% nelle arterie ed il 5% nei capillari.
I vasi di maggior calibro svolgono principalmente una funzione di trasporto in quanto la
circolazione, il cui scopo è il ricambio metabolico, avviene solo a livello della microcircolazione e
più specificamente nei capillari.
La microcircolazione riguarda i vasi la cui funzione è la distribuzione del sangue ai tessuti secondo
le necessità metaboliche, così come l’autoregolazione del flusso locale. Rappresenta i vasi
terminali della parte arteriosa e quelli iniziali delle vene e dei linfatici.
La macrocircolazione riguarda i vasi di conduzione.
La principale funzione della microcircolazione è lo scambio di gas (per diffusione) e dei fluidi (per
filtrazione) e di tutti i nutrienti e metaboliti necessari al metabolismo cellulare locale. Perché
avvengano gli scambi il sistema deve essere in movimento e questo si ottiene grazie alle differenze
di pressione tra il sistema circolatorio e l’interstizio.
I due principali fattori che regolano il passaggio di materiali tra tessuti e sangue/linfa sono
la permeabilità dei vasi e le pressioni che agiscono sui fluidi.
Permeabilità
E’ una caratteristica fondamentale sia dei vasi linfatici che ematici. Questa permeabilità è
determinata dalle caratteristiche strutturali dei vasi. In generale, i gas e altre sostanze liposolubili
attraversano largamente le cellule endoteliali, dissolvendosi nelle membrane plasmatiche e
diffondendo in esse fino all’altro lato della cellula. L’acqua e poche altre piccole molecole
attraversano direttamente le membrane e il citoplasma. Acqua, ioni e piccole macromolecole
attraversano la membrana attraverso le proteine canale. Tutte le sostanze, eccetto le
macromolecole più grandi, possono attraversare la cellula lentamente per mezzo di vescicole, o
rapidamente per mezzo di fenestrature. Macromolecole e cellule possono attraversare solo
giunzioni intercellulari aperte.
Pressioni
Lo scambio tra letto capillare e tessuto è regolata da un gioco di pressioni, che spingono o attirano
liquidi e molecole da una regione all’altra.
In seguito a questo scambio, la filtrazione capillare, circa 20 litri di liquidi al giorno passano dal
sangue ai tessuti. Nelle stesse 24 ore vengono riassorbiti nei capillari ematici circa 16 litri.
I restanti 4 litri devono essere riassorbiti dal sistema linfatico.

Per capire meglio il meccanismo con cui questi scambi emato-linfo-tissutali avvengono, dobbiamo
ricordare alcuni concetti fisici basilari:
Diffusione semplice
Una soluzione è formata da un solvente (es. acqua) all’interno del quale viene disperso un soluto
(es. glucosio, sale, ecc.). Quanto più è il soluto che si scioglie nel solvente, tanto più la soluzione è
concentrata.
Se si pone a contatto una soluzione con un soluto in una determinata concentrazione (es.
glucosata al 10%) con un'altra soluzione a differente concentrazione (es. glucosata al 20%) senza
alcuna barriera, dopo un certo periodo di tempo la soluzione che si ottiene presenta una
concentrazione media tra quelle originali (nell’esempio, glucosata al 15%).
Le soluzioni si combinano l’una con l’altra spontaneamente; questo processo viene
chiamato diffusione e avviene per effetto del movimento continuo delle molecole determinato dal
calore. La velocità di diffusione avviene per vari fattori: peso molecolare del soluto; gradiente di
concentrazione; distanza; area disponibile per lo scambio; temperatura.
Diffusione ostacolata
Le due soluzioni possono essere separate da una membrana. Se la membrana che separa le due
soluzioni è permeabile, ossia presenta pori abbastanza larghi da permettere il passaggio sia delle
molecole di solvente che di soluto, queste passano spontaneamente, per effetto della dispersione
dovuta al movimento spontaneo delle molecole, ma la miscela dei due fluidi avviene più
lentamente che nel caso della diffusione non ostacolata, poiché le molecole possono passare da
una soluzione all’altra solo passando attraverso i pori della membrana. Questo processo viene
chiamato diffusione ostacolata. In questo caso di solito le molecole di soluto si spostano dalla
regione a maggiore concentrazione verso quella a minore concentrazione, mentre le molecole di
acqua si spostano in senso opposto.
Osmosi
Se le due soluzioni vengono separate da una membrana semipermeabile, ossia con pori che
permettono il passaggio soltanto delle molecole del solvente ma non quelle del soluto, la
membrana agisce come un setaccio. Si assiste al passaggio di molecole di solvente dalla soluzione
più diluita a quella più concentrata, fino alla equalizzazione delle concentrazioni; al termine del
processo però la soluzione precedentemente più concentrata avrà un volume maggiore per lo
spostamento dell’acqua.
Questo meccanismo viene definito osmosi e per pressione osmotica si intende la tendenza, che
possiede il solvente, a passare dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata. Quando
i soluti sono rappresentati da molecole proteiche si parla di pressione colloido-osmotica o
pressione oncotica.
Come si è detto, la parete dei capillari ematici possiede una membrana che consente il passaggio
di molecole di acqua, di ioni e di piccole molecole per un meccanismo di diffusione attraverso le
giunzioni interendoteliali. Ciò è tuttavia sufficiente a garantire un adeguato apporto di nutrimenti
ai tessuti ed eliminazione dei cataboliti cellulari attraverso un movimento di diffusione delle
sostanze.
Le dimensioni delle giunzioni interendoteliali della parete capillare ematica, abbiamo visto che non
consentono il passaggio delle macromolecole proteiche plasmatiche, se non in misura
estremamente limitata; queste infatti possiedono un elevato peso molecolare. Queste proteine
vengono definite colloidi, da cui il termine pressione colloido-osmotica.
Ultrafiltrazione
Utilizzando una pressione meccanica è possibile modificare la pressione colloido-osmotica. Se ad
una soluzione proteica posta in un contenitore dotato di una membrana semi-permeabile viene
applicata una pressione per mezzo di un pistone idraulico, le molecole di acqua vengono spinte
attraverso la membrana semipermeabile, separando l’acqua dalle proteine che non possono
oltrepassare la membrana. Un esempio può essere dato dal plasma: ponendo del plasma, ricco di
proteine, all’interno di un contenitore con membrana semipermeabile ed applicando una
pressione dall’esterno, viene filtrato attraverso la membrana il siero, ossia un liquido privo di
proteine. Questa procedura viene detta ultrafiltrazione.
Nel microcircolo, la pressione presente all’interno del vaso ematico assume il ruolo del pistone che
spinge le molecole d’acqua, contro la pressione colloido-osmotica, ad attraversare la membrana
endoteliale. Questa pressione viene detta pressione idrostatica.
La pressione del liquido interstiziale agisce nello stesso modo, contrastando quindi l’uscita di
acqua dal vaso capillare e spingendo invece l’acqua all’interno dello stesso.
Pressione interstiziale
L’interstizio cellulare funziona come un’interfaccia per lo scambio di fluidi e nutrienti tra le cellule
e la corrente sanguigna. Tutto ciò che esce ed entra nel vaso passa attraverso l’interstizio.
Il tessuto interstiziale è costituito da una struttura fibrillare composta da fibre elastiche, reticolari
e collagene. Tra di esse esiste una matrice formata da una sostanza chiamata fondamentale, ricca
di colloidi, acqua e piccole molecole diluite. Il liquido dell’interstizio proviene dai vasi sanguigni. Il
plasma fuoriesce dai capillari (è come se trasudasse ) e va a riempire gli spazi interstiziali delle
cellule.
Le molecole che escono dai capillari sanguinei raggiungono il sistema linfatico dopo tre barriere:
capillare endoteliale, spazio interstiziale ed endotelio del capillare linfatico.
Nella sua porzione terminale la barriera endoteliale è molto sottile ed essendo semipermeabile
permette l’uscita dell’acqua e di piccole molecole, principalmente di quelle liposolubili.
Fino ad alcuni anni fa si pensava che la pressione interstiziale fosse minima (da 1 a 4 mmHg);
alcune metodiche di misurazione molto sofisticate hanno dimostrato in realtà che la pressione
interstiziale è negativa, ossia circa -7 mmHg.
Equilibrio di Starling
Ernest Henry Starling (1866-1927) postulò che, in condizioni fisiologiche, esisteva un perfetto
equilibrio, a livello della membrana capillare, tra la quantità di liquido che filtra nel tessuto e
quella che viene riassorbita.
Esaminando le forze che intervengono negli scambi possiamo dedurre che il plasma possiede:
 Una pressione idrostatica (residuo della pressione arteriosa) che tende a spingere l’acqua verso
l’esterno
 Una pressione colloido-osmotica o oncotica (determinata dalle proteine plasmatiche), che tende a
trattenere ossia a richiamare il liquido verso l’interno del capillare.
L’interstizio possiede:
 Una pressione idrostatica, che tende ad impedire l’uscita dell’acqua dal capillare ematico, ossia a
spingere il liquido all’interno dello stesso;
 Una pressione oncotica (determinata dalle proteine interstiziali) che tende a richiamare ossia a
trattenere liquido nell’interstizio.
Secondo Starling, nei capillari arteriosi esistono una pressione positiva chiamata idrostatica, di
circa 30 mm Hg, e due pressioni negative, la pressione oncotica, data dalle proteine e pari a 20-25
mm Hg, e la pressione dell’interstizio di 2-4 mm Hg.
Nei capillari arteriosi la pressione idrostatica di 30mm Hg è maggiore della pressione oncotica, che
è negativa, e questo permette l’uscita di fluidi e nutrienti attraverso lo spazio interstiziale. Per
quanto riguarda le vene, la pressione idrostatica positiva di 15mm Hg e la pressione oncotica
negativa di circa 20 mm Hg, permettono il riassorbimento dei fluidi e delle sostanze dell’interstizio
cellulare. Il riassorbimento realizzato dai capillari venosi rappresenta circa il 90% di quello che
viene filtrato, mentre il rimanente 10% viene realizzato dal sistema linfatico, che funziona come
una valvola di sicurezza, rimuovendo le macromolecole e l’eccesso di liquido. Il 50-75% del sangue
che passa per la microcircolazione non raggiunge i capillari, i quali effettuano gli scambi
metabolici, ma percorre le anastomosi arteriovenose. Circa il 25% del sangue della
microcircolazione rende possibile lo scambio locale effettivo.
E’ l’equilibrio di queste forze, definito equilibrio di Starling, che regola gli scambi emato-tissutali.
Riassumendo, il cuore ed i “linfangiomi” possono essere considerati come strutture propulsive del
sangue e della linfa; due tipi di fluidi circolanti rappresentati dal sangue e dalla linfa; i circuiti
conduttori formati dai vasi arteriosi, venosi e linfatici; i vasi di maggior calibro con funzione di
conduzione (macrocircolazione) e quelli di minor calibro (microcircolazione) con funzione
nutritiva; l’interstizio cellulare che funziona come un’interfaccia per lo scambio di nutrienti e
cataboliti tra il sangue e le cellule; le pressioni idrostatica e colloidosmotica che permettono il
trasferimento dei liquidi.
FISIOPATOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO
Riserva funzionale linfatica
Per effetto dei diversi meccanismi fisiologici, l’attività linfatica basale può aumentare di 10-12
volte. La differenza tra la massima capacità linfatica di trasporto e l’attività linfatica basale
rappresenta la cosiddetta riserva funzionale linfatica. Questa riserva funge da margine di
sicurezza contro la formazione dell’edema.
L’edema clinico si crea, cioè, quando tale margine di sicurezza viene superato, ossia quando la
pressione idrostatica capillare media supera i 34 mmHg (17 mmHg di pressione normale + 17
mmHg del margine di sicurezza), oppure quando la pressione oncotica ematica scende sotto 11
mmHg (28 mmHg di pressione oncotica normale – 17 mmHg del margine di sicurezza).
Insufficienza linfatica
In condizioni fisiologiche il flusso linfatico si adatta perfettamente al carico linfatico, ossia al
volume di liquido interstiziale da drenare.
In diverse situazioni patologiche si può creare un sovraccarico di fluidi a livello interstiziale, che
non determina tuttavia la comparsa clinica di edema per l’incremento compensatorio dell’attività
linfatica.
Quando tuttavia il carico linfatico supera la capacità linfatica massima si determina un accumulo di
liquidi a livello interstiziale: si crea quindi una condizione definita insufficienza linfatica
dinamica o insufficienza ad alto flusso linfatico.
Edema ad alto flusso linfatico e ipoproteico.
In questa condizione il sistema linfatico è del tutto normale, e, anzi, la sua portata è molto più
elevata rispetto alle condizioni basali.
Le condizioni che conducono ad un edema ad alto flusso linfatico sono quelle quindi in cui il carico
linfatico risulta molto aumentato, al punto di superare la capacità massima della portata linfatica
(rottura dell’equilibrio delle forze pressorie di Starling).
La prima condizione che può portare ad un incremento del carico linfatico è quella in cui si
determina un aumento della pressione idrostatica capillare con aumento della filtrazione e
riduzione del riassorbimento ematico e conseguente incremento dei fluidi che rimangono a livello
interstiziale.
La situazioni patologiche che possono sviluppare questa condizione sono:
 Ipertensione venosa, caratteristica delle fasi di scompenso delle diverse malattie venose, dalla
malattia varicosa primitiva, alla trombosi venosa e conseguente sindrome post-trombotica, fino
all’insufficienza venosa funzionale. L’edema che ne risulta è localizzato alla regione distale
dell’arto affetto alla patologia;
 Reazioni allergiche e flogistiche: l’attivazione dei diversi mediatori dell’infiammazione determina
una dilatazione arteriolare e una costrizione venulare, con conseguente aumento della pressione
idrostatica nel letto capillare. In questa condizione si crea un edema tipicamente strettamente
localizzato nella sede del fenomeno allergico o flogistico;
 Gravidanza: il fisiologico aumento del volume vascolare può determinare una condizione di
incremento della pressione capillare, che determina un edema diffuso, anche se più evidente agli
arti inferiori.
Altre situazioni portano invece all’incremento del carico linfatico per riduzione della pressione
oncotica capillare. L’edema che deriva da queste condizioni è ovviamente diffuso a tutto il corpo.
La situazioni patologiche che possono sviluppare questa condizione sono:
 Riduzione dell’apporto proteico dall’esterno: questa condizione è legata spesso a patologie
debilitanti croniche, che giungono fino a condizioni di digiuno prolungato, come nel caso di
malattie psichiatriche come l’anoressia;
 Riduzione della sintesi proteica; presente nelle condizioni di insufficienza epatica grave;
 Ridotto assorbimento proteico gastro-intestinale, come si ha in caso di gastrite atrofica, di
insufficienza pancreatica;
 Aumentata perdita di proteine, che può avvenire sia a livello renale, sia a livello gastroenterico,
sia a livello cutaneo.
Tutte queste condizioni portano all’aumento del carico linfatico interstiziale. Tale sovraccarico
linfatico viene compensato dall’aumento della portata linfatica, che aumenta fino alla sua capacità
massimale. L’edema rappresenta quindi una condizione di scompenso funzionale, che può
rapidamente evolvere verso un danno tissutale organico.
L’edema ad alto flusso linfatico è caratterizzato da una elevata portata linfatica; poiché il ruolo
principale del sistema linfatico è quello di trasportare la componente proteica dei fluidi
interstiziali, l’edema che si viene a formare è caratterizzato da una concentrazione proteica
normale o addirittura ridotta rispetto a quella dei fluidi interstiziali fisiologici.
L’edema viene quindi definito ad alto flusso linfatico e ipoproteico.
Edema ad alto flusso linfatico e iperproteico.
Esistono altre condizioni in cui, nonostante l’elevato flusso linfatico, l’edema che si forma è a
concentrazione proteica elevata. Sono le condizioni in cui la patologia di base determina, oltre ad
una modificazione delle forze dell’equilibrio di Starling, anche una alterazione della permeabilità
capillare.
In questi casi un danno della parete capillare permette la fuoriuscita verso l’interstizio di grandi
quantità di proteine plasmatiche o addirittura di cellule ematiche. L’aumento della portata
linfatica non è sufficiente a compensare questa “inondazione” e si crea un edema ad alto flusso
linfatico ma iperproteico.
Le situazioni patologiche che possono determinare un aumento della permeabilità capillare sono:
 Condizioni flogistiche acute: artriti, artropatie croniche degenerative in fase infiammatoria acuta,
dermatiti eczematose, ecc.;
 Condizioni immunologiche: collagenopatie;
 Danni diretti: ustioni, traumi contusivi, ecc.;
 Reazioni allergiche: reazioni orticarioidi, ecc.;
 Grave ipossia tissutale: arteriopatie periferiche in fase di ischemia critica.
Edema a basso flusso linfatico e iperproteico.
Le situazioni in cui il carico linfatico è normale, ma risulta alterata la portata linfatica basale viene
definita insufficienza linfatica meccanica.
In questa situazione il sistema linfatico non è in grado di svolgere la sua funzione fisiologica, per
cui non è in grado di riassorbire neppure quella quantità di fluidi interstiziali che fisiologicamente
si forma come conseguenza dell’equilibrio di Starling.
Questa situazione è quindi caratterizzata da un ridotto flusso linfatico e, quindi, da una elevata
concentrazione proteica interstiziale.
Questo caso viene generalmente meglio identificato come linfedema.
Esistono inoltre alcune condizioni cliniche, in cui una insufficienza linfatica dinamica si associa ad
una insufficienza venosa in maniera contemporanea:
 Edema cardiogeno: l’insufficienza di pompa del cuore destro determina, per aumento della
pressione venosa centrale, un ostacolo contemporaneo sia al deflusso venoso sia al deflusso
linfatico. In questa situazione si associa quindi l’aumento del carico linfatico per l’elevazione della
pressione venosa centrale alla riduzione del riassorbimento linfatico.
 Edema da non uso: l’assenza del tono muscolare e del fisiologico stimolo nervoso, classico di molte
condizioni neurologiche (emi- o paraplegie), determinano una contemporanea perdita della
funzione venosa per mancata attivazione della pompa muscolare del piede-polpaccio e della
fisiologica contrattilità spontanea linfatica per linfangioparalisi.
Linfedema da sovraccarico
Quando una insufficienza linfatica dinamica viene mantenuta per molto tempo, il sistema linfatico
sovraccaricato va incontro a un progressivo deterioramento, per effetto di fenomeni di sclerosi
che colpiscono le pareti dei collettori, con riduzione della funzione linfatica. Si crea quindi una
condizione di insufficienza linfatica meccanica secondaria al sovraccarico.
Esempio emblematico di questa condizione è l’insufficienza venosa cronica.

Evoluzione clinica del linfedema


Come detto, il linfedema è caratterizzato da un edema a basso flusso linfatico e iperproteico.
E’ proprio questa elevata concentrazione proteica interstiziale che condiziona la caratteristica
storia evolutiva del linfedema.
L’accumulo di proteine interstiziali, unitamente alla disfunzione immunitaria loco-regionale
determinata dalla ridotta attività del sistema linfatico, porta allo sviluppo di una condizione
infiammatoria cronica che, a sua volta, attiva una serie di reazioni a catena, che conducono ad una
evoluzione verso lo sviluppo di una fibrosi tissutale progressiva.
Eziopatogenesi
Il linfedema viene classificato in primitivo e secondario.
Linfedema primitivo è determinato da un’alterazione anatomica costituzionale del sistema
linfatico e può essere determinato da:
 Assenza o riduzione dei canali tissutali;
 Alterazione dei filamenti di ancoraggio sub endoteliali;
 Lesioni parietali dei capillari linfatici o dei precollettori;
 Mancanza di competenza delle strutture valvolari linfatiche;
 Riduzione (ipoplasia) o assenza (aplasia) dei collettori linfatici;
 Aumento di numero ed ectasia (iperplasia) dei collettori linfatici con reflusso linfatico;
 Riduzione, assenza o sclerosi linfonodale;
 Linfangiospasmo;
 Linfangioparalisi.
Il linfedema primitivo colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto maschi/femmine 1/7)
ed interessa gli arti inferiori. L’età di picco di comparsa è intorno ai 17 anni, ma con una notevole
variabilità.
La modalità di comparsa è spesso improvvisa, solo nel 30% dei casi è individuabile un fattore
scatenante; la sede di comparsa dell’edema è distale, dal dorso del piede l’edema coinvolge in
modo progressivo le regioni più prossimali, solitamente limitandosi al di sotto del ginocchio.
Linfedema secondario
Il linfedema secondario è conseguente ad un danno od ostruzione delle vie linfatiche determinato
da diverse cause esterne:
 Da traumi fisici o chimici;
 Da infestazioni
 Da infezioni
 Da cause iatrogene
 Farmaci
 Lesione chirurgica
 Linfadenectomia
 Radioterapia
 Da cause neoplastiche
Linfedema post-traumatico
Dopo un trauma di tipo fisico (trauma contusivo, distorsivo o da taglio, ustione da calore) o di tipo
chimico (ustione chimica), si evidenzia immediatamente un edema flogistico, determinato
dall’insufficienza linfatica dinamica in presenza di una condizione patologica, con aumento della
permeabilità capillare. L’edema che persiste invece nella fase successiva dipende dall’instaurarsi di
una insufficienza linfatica meccanica legata al danno subito dal sistema linfatico durante il
meccanismo traumatizzante.
Linfedema da infestazione
E’ il tipo di linfedema più frequente nel mondo ed è’ determinato da una malattia parassitaria
determinata da una infestazione da filaria.
E’ una malattia endemica in alcune regioni del mondo, comprese tra i due Tropici. Il nematode
viene trasmesso attraverso la puntura di una zanzara. Le filarie, lunghe fino a 10 cm, si localizzano
nei vasi linfatici e nei linfonodi, dove sopravvivono anche per 15 anni. La reazione granulomatosa
che si sviluppa oblitera i vasi linfatici e i linfonodi, determinando la comparsa del linfedema, che
può raggiungere stadi mostruosi (cosiddetta elefantiasi da filariosi, che colpisce gli arti inferiori e la
regione genitale).
Linfedema post-infettivo
Si distinguono forme acute e forme croniche.
Gli agenti eziologici più frequentemente coinvolti sono gli streptococchi beta-emolitici e, in minor
misura, gli stafilococchi. Da lesioni cutanee minime penetra il germe, che entra nei linfatici iniziali
proliferando all’interno di essi e disseminandosi lungo gli stessi.
Linfedema post-infettivo (Forme croniche)
Le forme croniche di infezione si distinguono dalle forme acute per lo scarso coinvolgimento
sistemico e la minore intensità o assenza del dolore.
Il quadro più comune nella popolazione generale è quello da Sporothrix Schenkii, un fungo
presente in alcune piante e in certi tipi di humus adoperati nel giardinaggio. L’infezione fa seguito
a una lesione minima, quale la puntura di una spina di rosa o di un ago di conifera su un dito o
sulla mano. Nella sede di inoculazione compare un nodulo cutaneo eritematoso, che evolve spesso
verso un’ulcerazione cutanea, non responsiva ai comuni antibiotici: segue poi la comparsa di
multipli noduli sottocutanei lungo il decorso delle vie linfatiche prossimali.
Linfedema iatrogeno
 Da farmaci: diversi farmaci possono indurre la comparsa di edema prevalentemente localizzato
agli arti inferiori: tra i più noti i calcio-antagonisti, i corticosteroidei, gli estrogeni.
 Post-chirurgico: in occasione di alcuni tipi di intervento è possibile che vengano recisi collettori
linfatici, determinando quindi la comparsa di un linfedema distale. Es.: dopo gli interventi di
safenectomia, interventi di chirurgia plastica alla regione mediale di coscia.
 Da terapia radiante: il danno tissutale secondario a una terapia radiante può coinvolgere anche le
vie linfatiche o le strutture linfonodali, determinando un linfedema nella sede dell’irradiazione e
distalmente ad essa.
Linfedema oncologico
Nel linfedema post-oncologico il danno delle vie linfatiche è determinato dall’intervento chirurgico
di linfadenectomia o dai trattamenti radianti eseguiti come terapia di base della malattia
neoplastica.
La frequenza di linfedema secondario a linfadenectomia oncologica è del 20% circa per la
dissezione ascellare (neoplasie della mammella, melanomi) e del 15-40%per la dissezione inguino-
addomino-pelvica (neoplasie ginecologiche, prostata, vescica, melanomi e sarcomi).
Il linfedema secondario a trattamenti radio-chirurgici oncologici più frequenti è il linfedema
dell’arto superiore, secondario a trattamenti per tumori della mammella (cosiddetto linfedema o
“braccio grosso” post-mastectomia).
Linfedema evolutivo o “maligno”
Il linfedema può insorgere come primo segno di malattia neoplastica. La propagazione
intralinfatica della neoplasia o la compressione estrinseca da parte della neoplasia sulle vie
linfatiche o sulle strutture linfonodali o venose può determinare un blocco funzionale linfatico con
comparsa di linfedema. Questo tipo di linfedema presenta alcune caratteristiche cliniche peculiari:
 Dolore importante, ingravescente e continuo: è il primo e più importante segno del linfedema
maligno.
 Comparsa o aggravamento improvviso e rapido del linfedema, con particolare tendenza
all’accentuazione prossimale e all’estensione al quadrante confinante (torace, addome).
 Danno progressivo al plesso nervoso con paralisi.
 Comparsa di reticoli venosi superficiali, ecchimosi, discromie cutanee, noduli cutanei o sotto-
cutanei localizzati all’arto o al torace/addome.
 Ipertermia locale.
 Tumefazioni visibili o masse palpabili in sede ascellare o sovraclaveare.
Meccanismi di compenso nel linfedema “da blocco”
In caso di danno linfatico si attivano una serie di eventi.
In una prima fase, in cui è presente una condizione di ipertensione linfatica, la linfa viene drenata
secondo percorsi ortogradi attraverso vie linfatiche principali residue verso i linfonodi superstiti:
 Tentativo di rigenerazione linfatica (efficace solo su interruzioni linfatiche di piccole dimensioni)
 Drenaggio su vie collaterali fisiologiche o su vie del plesso epifasciale (collettori dello stesso
territorio linfatico prossimalmente al danno)
Quando tali meccanismi di compenso non riescono a determinare una sufficiente portata linfatica,
si crea una condizione di stasi linfatica.
La stasi induce una progressiva dilatazione dei collettori linfatici, fino a determinare
una incontinenza degli apparati valvolari, con possibilità dei fluidi linfatici di procedere in senso
retrogrado e quindi determinare un reflusso.
La linfa si porta quindi:
 Verso i collettori profondi
 Verso gli spartiacque linfatici dei territori adiacenti
 Verso il plesso sub dermico (dermal back flow)
Questi meccanismi di compenso consentono di trasferire la linfa su territori linfatici adiacenti in
direzione delle stazioni linfonodali più prossime.
Quando anche questi meccanismi non risultano sufficienti , per ridotta disponibilità costituzionale,
per danni successivi (radioterapia, fenomeni infettivi o traumatici) o per esaurimento, si determina
una progressiva riduzione della forza di contrazione linfatica. L’esaurimento della funzione linfatica
determina un accumulo di fluidi a livello interstiziale, con modificazione in aumento delle forze
idrostatiche ed oncotiche interstiziali. Lo sconvolgimento del delicato equilibrio di forze che
regolano gli scambi tissutali determina la comparsa del linfedema clinicamente evidente.
Il linfedema compare quindi quando l’organismo ha esaurito tutti i meccanismi di compenso messi
in atto dal sistema linfatico, che sono quindi utilizzati fino al massimo delle loro potenzialità.
Classificazione
L’International Society of Lymmphology ha proposto, nel Consensus Document del 2001, una
classificazione in tre stadi, molto semplice ma efficace.
 Stadio I: edema che scompare spontaneamente con l’elevazione dell’arto.
 Stadio II: edema che non scompare spontaneamente con l’elevazione dell’arto e con presenza del
segno della fovea
 Stadio III: elefantiasi, fovea assente, pachidermie, verrucosi linfostatica.
Gradazione del linfedema
In base al volume dell’arto linfedematoso rispetto al volume dell’arto sano controlaterale,
vengono proposte delle gradazioni del linfedema:
 Minima: < 20%
 Moderata: 20-40%
 Grave: > 40%
Clinica
La diagnosi di linfedema si basa essenzialmente sugli aspetti clinici.
Anamnesi
In presenza di un paziente con edema agli arti deve essere svolta prima di tutto un’accurata
anamnesi generale, (anamnesi familiare, anamnesi personale quindi l’attività lavorativa svolta,
l’attività motoria, se ha fatto recenti viaggi all’estero, soprattutto in zone geografiche endemiche
per filariosi, terapie farmacologiche assunte con regolarità, in particolare farmaci edemi geni,
anamnesi fisiologica, anamnesi patologica, interventi chirurgici, traumatismi. In caso di pregresso
intervento di linfadenectomia oncologica va segnalata:
neoplasia di base (tipo, dimensioni e sede), La sede e il tipo di intervento, eventuali complicanze
post-chirurgiche (sierosi, ecc.). sede della linfadenectomia, numero dei linfonodi asportati e quanti
risultati positivi per metastasi, terapie complementari svolte, come chemioterapia e radioterapia
(numero di sedute, sede e complicanze), eventuale terapia in atto
Anamnesi specifica del linfedema
 Data di insorgenza
 Sede di insorgenza
 Presenza di fattori scatenanti (traumi, viaggi, ferite, punture d’insetto, ecc.)
 Evoluzione, estensione, volume e caratteristiche
 Modificazioni indotte dal riposo notturno (regressione completa, parziale o assente)
 Sintomatologia legata all’edema.
Va inoltre richiesto al paziente se si è già sottoposto a terapie decongestive, specificandone il tipo,
il numero e la cadenza delle sedute, il numero di cicli, i risultati ottenuti dai diversi trattamenti, la
persistenza nel tempo degli stessi, i trattamenti di mantenimento impostati ed eseguiti, la
tolleranza al tutore elastico, se consigliato in precedenza.
Ispezione
Deve essere valutato il colorito cutaneo (bianco nel linfedema, cianotico nell’edema venoso,
arrossato nelle condizioni flogistiche acute), le condizioni trofiche cutanee (stato di idratazione), la
presenza (sede ed estensione) di discromie cutanee, di lesioni dermatologiche (dermatiti, dermo-
ipodermiti, ipercheratosi, micosi, ecc.), di lesioni ulcerative attive o di esiti cutanei delle stesse, la
sede e le caratteristiche (aderente, retraente, ipertrofica) di eventuali cicatrici chirurgiche o
traumatiche.
L’aumentata concentrazione proteica interstiziale che caratterizza il linfedema rispetto agli altri
tipi di edema comporta una condizione di flogosi cronica, che determina a sua volta una serie di
conseguenze cliniche, determinate dallo stimolo alla proliferazione di diversi stipiti cellulari.
Palpazione
La valutazione della consistenza tissutale fornisce indicazioni riguardo le condizioni del tessuto:
rispetto all’arto controlaterale sano, l’arto linfedematoso potrà presentare una consistenza minore
(consistenza morbida) nelle condizioni a prevalente componente fluida e scarsa fibrotizzazione
tissutale, superiore (consistenza dura) nelle condizioni a prevalente componente fibrotica e scarsa
componente fluida, uguale (consistenza media) nelle situazioni intermedie.
Altri parametri fisici da valutare sono rappresentati dal termo-tatto (freddo nel linfedema, caldo
nell’edema venoso e nelle condizioni flogistiche acute) e dalla dolorabilità alla pressione tissutale.
Comprimibilità del linfedema
La condizione dei fluidi liberi interstiziali viene esplorata valutando la comprimibilità tissutale. Il
segno della fovea è caratteristico: consiste nell’effettuare con un dito una pressione sulla cute
della zona edematosa ed osservarne il comportamento. Il segno è positivo quando si assiste alla
formazione di una depressione cutanea che si appiana in maniera più o meno rapida; il segno della
fovea positivo indica la presenza di lacune linfatiche in sede sottocutanea (queste infatti, una volta
svuotate dalla pressione del dito, impiegano alcuni secondi a riformarsi). Il segno della fovea
negativo può invece indicare o la presenza di fluidi interstiziali liberi, non raccolti in lacune (in
questo caso i fluidi vengono spostati dalla pressione del dito, ma rientrano immediatamente
appena il dito si stacca dalla cute), oppure l’assenza di fluidi in sede interstiziale (in caso di
linfedema avanzato, a componente fibrosclerotica).
Considerando schematicamente la storia evolutiva del linfedema è possibile comprendere le
principali caratteristiche cliniche:
 La regressione con il riposo notturno
 La consistenza
 La comprimibilità.
La comparazione di queste tre caratteristiche consentirà di individuare facilmente lo stadio
evolutivo del linfedema.

IL LINFODRENAGGIO VIENE UTILIZZATO ANCHE COME TRATTAMENTO CONTRO LA CELLULITE O


PANNICOLOPATIA EDEMATOFIBROSCLEROTICA
Cos’è? È un alterazione del derma ed dell’ipoderma con alterazione dei rapporti tra adipociti e
circolo capillare. Tra le varie cause ci sono:
- fattori genetici come fragilità capillare
- fattori ormonali (squilibri ormonali femminili = pubertà, menopausa, gravidanza)
- vita sedentaria
- cattive abitudini alimentari, abuso di fumo, l’elevato consumo di caffè, alcool, capi di
vestiario troppo aderenti, calzature con tacchi troppo alti
Ci sono quattro stadi di evoluzione della cellulite:
- I STADIO = EDEMATOSO. La superficie cutanea non denota modifiche anche se si evidenzia
una certa pastosità. Scarsa elasticità cutanea alla pressione delle dita. In questa fase il tono
delle pareti dei capillari è solo parzialmente indebolito e non ci sono cambiamenti
sostanziali nella circolazione. L’adiposità è nella norma.
- II STADIO = FIBROSO. L’alterazione della permeabilità capillare si fa consistente, inizia il
processo di ritenzione dei liquidi sierici fuorisciuti dalle pareti venose. Il polpastrello del
dito lascia una impronta sulla zona cellulitica più a lungo del solito.
- III STADIO = L’aspetto è compromesso, ritenzione liquida massiccia, edemi evidenti e
ammassi di adipociti (macronoduli). La pelle si fa sottile; appaiono crateri e avvallamenti →
aspetto a “materasso” (sclerosi avanzata dei tralci connettivali). Afferrando una plica
cutanea si avverte il dolore che permane anche dopo avere lasciato la presa
L’evoluzione di questo processo può portare all’insorgere di tre diverse tipologie di cellulite:
- compatta: è la più diffusa ma anche la più facile da sconfiggere. È tipica dei soggetti in
buona forma fisica e di solito colpisce cosce e glutei accompagnata da smagliature. Si
manifesta in piccoli noduli che però restano duri ed aderenti alla muscolatura.
- Flaccida: colpisce soprattutto donne con frequenti variazioni di peso, o in età matura, non
particolarmente toniche, le zone più a rischio sono le cosce e braccia in cui la cellulite si
manifesta con piccoli noduli sclerotizzati mobili.
- Edematosa: è tra tutte la forma più grave e difficile da trattare. La pelle a causa del
persistente ristagno di liquidi, si presenta gonfia e spungnosa perdendo completamente
tono ed elasticità; la quasi assenza di muscolatura a cui aderire fa si che la cellulite sia
talmente mobile da far assumere all’epidermide un aspetto cascante, che oscilla in
relazione ai movimenti del soggetto

Come si cura?
• Dieta (adeguata idratazione)
• Attività fisica (nuoto)
• Linfodrenaggio
• Pressoterapia
• Elettrostimolazione
• Mesoterapia
• Ossigeno-ozono terapia
• Ultrasuoni
• Lipoaspirazione
• Farmaci linfodrenanti (cumarina)
IL LINFODRENAGGIO = EFFETTI, INDICAZIONI E
CONTROINDICAZIONI
Per quanto riguarda gli effetti che possono interessare il campo dell’estetica, prenderemo in
considerazione: l’effetto antiedematoso; l’effetto sulle difese immunitarie; l’effetto cicatrizzante; il
miglioramento del microcircolo; l’effetto rigenerante; l’azione antalgica e rilassante.

EFFETTO ANTIEDEMATOSO: il più conosciuto e spettacolare degli effetti che si ottengono con il D.L.M.
Vodder.
Appartengono a questa categoria gli ottimi risultati che sono stati ottenuti sugli edemi, soprattutto
linfatici, sia primari che secondari ad intervento chirurgico sui linfonodi (classicamente, il
linfedema dell’arto superiore dopo mastectomia radicale allargata).
Non è possibile poter prevedere, allo stato attuale delle conoscenze, quante sedute di D.L.M.
occorrano per ottenere una riduzione duratura dell’edema.
Ogni paziente va trattato come un caso a sé stante, poiché ad uguale modalità di trattamento
corrispondono spesso differenti risposte terapeutiche. In ogni caso, si ottiene con una certa
rapidità un miglioramento soggettivo, con la scomparsa o la attenuazione delle parestesie e spesso
anche del dolore.
Per ciò che riguarda più strettamente il campo estetico si ottengono ottimi risultati sugli edemi
linfatici cosiddetti <<idiopatici>>, in cui cioè non si riconosce una causa, sugli edemi del periodo
premestruale e nel trattamento delle gravide, sulle stasi che possono residuare in persone che
abbiano subito interventi di safenectomia o sclerosanti sulle varici, sugli edemi perimalleolari che
spesso compaiono con il caldo o la prolungata stazione eretta.
Anche gli edemi alle mani o al viso se convenientemente trattati con D.L.M. regrediscono fino a
scomparire.
Gli edemi dopo gli interventi chirurgici, soprattutto nel campo della chirurgia plastica ed estetica,
risentono favorevolmente del trattamento con D.L.M., specie se questo viene applicato sia come
preparazione all’intervento che dopo che esso sia stato eseguito. Un altro caso in cui è sfruttato
l’effetto antiedematoso del D.L.M. Vodder é quello degli edemi allergici e post-traumatici, sia che
si tratti delle conseguenze della rimozione di un apparecchio gessato che di una banale
distorsione.

EFFETTO SULLE DIFESE IMMUNITARIE: In campo immunologico il D.L.M. trova applicazione in tutti quei
casi in cui occorra migliorare l’immunità locale, come nei casi di acne, ferite chirurgiche o
accidentali, facilità alla colonizzazione batterica o virale delle prime vie aeree (tonsilliti, sinusiti,
faringiti ripetute soprattutto nell’età pediatrica), problemi di tipo dentario quali le parodontopatie,
oppure dopo estrazioni dentarie anche multiple (in questo caso si sfrutta sia l’effetto antiinfettivo,
sia quello cicatrizzante e antiedematoso).
Non va applicato il D.L.M. in caso di infezione in fase di acuzie, poiché se ne favorirebbe la
disseminazione.
Anche il trattamento delle infiammazioni ricorrenti delle prime vie aeree va effettuato al di fuori
dei periodi di crisi.

EFFETTO CICATRIZZANTE: LDM accelera la corrente del flusso linfatico. Quando su una parte del corpo
sono presenti delle ferite o delle ulcerazioni, la linfa fresca, che è ricca di cellule ricostruttrici,
favorisce il processo di cicatrizzazione. Anche in caso di piaghe torpide o di ulcerazioni
difficilmente curabili con i comuni metodi di disinfezione. E' anche indicato nel trattamento delle
ferite in persone affette da diabete in cui sia compromesso il processo di cicatrizzazione, oppure in
terapia con farmaci che potrebbero svolgere un effetto ritardante sulla cicatrizzazione.
Il meccanismo con cui agisce il D.L.M. in questo senso si spiega con l’accelerazione della corrente
di flusso linfatico. Con la linfa che ristagna vengono asportate, grazie alle manovre del D.L.M.,
anche le sostanze ad azione irritante che impediscono la detersione della ferita, e con l’arrivo di
linfa <<fresca>> giungono nella zona lesa anche principi nutritivi con azione plastica e ricostruttiva
sul tessuto.
In questo modo va utilizzato il D.L.M. in caso di ulcere varicose, che, come è noto, cicatrizzano con
difficoltà ricostruendo una cute sottile e facilmente traumatizzabile. Il trattamento con D.L.M.
Vodder permette una rapida guarigione dell’ulcera con la ricostituzione di una superficie cutanea
tonica e compatta, molto più resistente di quella che altrimenti si verrebbe a costituire in assenza
di trattamento. Ancora, si utilizza dopo interventi chirurgici, in caso di piaghe da decubito, ustioni
(a monte della zona interessata e tutto attorno alla sede della lesione), in caso di tendenza alla
formazione di cheloidi cicatriziali, ecc.

MIGLIORAMENTO DELLA MICROCIRCOLAZIONE: con il D.L.M. Vodder si raggiunge lo scopo di migliorare la


motilità intrinseca dei vasi agendo sulla efficacia dello svuotamento del linfangione (= porzione di
vaso linfatico tra due valvole contigue) e sulla ripresa della ritmicità delle contrazioni della sua
muscolatura liscia.
Inoltre, con la liberazione dei tessuti dal liquido interstiziale in eccesso, si ottiene anche una
migliore ossigenazione cellulare ed una accelerazione dei processi di filtrazione-riassorbimento a
livello capillare sanguigno.
Tutto questo si traduce in un miglioramento del tono e dell’aspetto generale cutaneo, così che si
rende indicata l’esecuzione del D.L.M. nel caso di persone dall’aspetto grigio o come valido
complemento a tecniche di rivitalizzazione cellulare. Il miglioramento del microcircolo viene
sfruttato nel trattamento della cellulite, unitamente all’effetto antiedematoso, in qualsiasi stadio
essa si trovi. Se unito a sedute di mesoterapia, il D.L.M. Vodder andrà applicato prima della seduta
stessa, per ottenere una migliore diffusione del liquido che verrà iniettato, e non dopo, poiché,
asportando il cocktail mesoterapico, renderebbe vana l’inoculazione di quest’ultimo.

EFFETTO RIGENERANTE: Il drenaggio contribuisce a nutrire meglio i tessuti ed è in grado di restituire


equilibrio idrico alle zone disidratate. Si esplica soprattutto in campo geriatrico, con un
miglioramento della nutrizione e della respirazione cutanee e con il promuovere un lento ma
visibile miglioramento dell’aspetto della persona: la pelle perde il colorito grigio-giallastro proprio
di alcune persone della cosiddetta <<terza età>> e si fa più rosea ed elastica. Con il miglioramento
della nutrizione dei tessuti anche le aree piu disidratate tornano ad avere compattezza e tono e la
pelle perde l’aspetto desquamato e asfittico. Anche nel caso di interventi di dermoabrasione si
otterrà, con il D.L.M. Vodder, una più rapida ricostituzione di un normale assetto cutaneo
applicandolo sul collo e sulle spalle. Così anche nel caso di fratture composte o dopo il
riposizionamento ortopedico dei due monconi di frattura, applicando il D.L.M. al di sopra della
zona fratturata si è evidenziata radiologicamente una più rapida costituzione del callo osseo e
spesso in questi casi non si rende necessario posizionare un secondo apparecchio gessato.
L’effetto rigenerante si evidenzia anche sulle ragadi del capezzolo che spesso compaiono durante
l’allattamento. Esse cicatrizzano molto velocemente, così come anche quelle delle commessure
labiali, in cui va tuttavia corretto il deficit vitaminico che in genere le causa.

AZIONE ANTALGICA E RILASSANTE: i movimenti del D.L.M., così lenti e ritmati, hanno spesso effetto
sedativo e rilassante, favorendo in molti casi il sonno fisiologico in soggetti stressati o
particolarmente affaticati. Si può dire che proprio per questa sua proprietà è il massaggio ideale
per le stazioni termali e le <<cliniche della salute>>, dove i pazienti ricercano il benessere
psicofisico unitamente ad un periodo di riposo. Potrebbe rappresentare la valvola di sicurezza per
molte persone che sommano ad una giornata faticosa un riposo notturno non ristoratore o
quantitativamente insufficiente.
Come effetto antalgico si esplica soprattutto sulle contratture muscolari, sugli strappi o sulle
distorsioni, cui si associa utilmente anche l’effetto antiedematoso. Sono attualmente allo studio,
pare con buoni risultati, gli effetti sulle spasticità infantili.

CONTROINDICAZIONI
Si distinguono due tipi di controindicazioni al D.L.M.: ASSOLUTE E RELATIVE.
Controindicazioni assolute: infezioni in fase acuta; tubercolosi; tumori maligni accertati o sospetti.
Controindicazioni relative: insufficienza renale; insufficienza cardiaca; asma; ipertiroidismo;
vagotonia.

le CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE precludono la possibilità di trattamento con D. L. M. Vodder).


INFEZIONI ACUTE: sono in genere caratterizzate da iperpiressia, dolore in determinate zone (ad
esempio: gola, orecchio, articolazioni) con tumefazione della parte dolente; é quindi in genere
difficile vedere in studio un cliente con questi problemi. Può comunque succedere che qualcuno
non voglia rinunciare all’appuntamento. In questi casi il D.L.M. non va effettuato perché la
presenza di una zona dolente con febbre ed aumento di volume dei linfonodi satelliti della zona
interessata sta ad indicare un processo infiammatorio in atto. In pratica, nel linfonodo dolente vi é
stata una riproduzione attiva di cellule dell’immunità sotto stimolo antigenico (batterico, virale)
che ha portato ad un aumento numerico delle cellule in esso contenute.
La ghiandola linfatica viene quindi ad essere sottoposta a tensione nella sua porzione capsulare
dove i corpuscoli nervosi, compressi, inviano impulsi al sistema nervoso centrale in forma di
stimolo dolorifico.
Praticando il D.L.M. su di un linfonodo in queste condizioni, noi non faremmo che diffondere
l’infezione al linfonodo o alla stazione linfatica successiva ed apporteremmo in definitiva un danno
al nostro cliente. Nel caso invece in cui la situazione acuta si sia risolta e residuino dei segni di
cronicizzazione, ma senza febbre nè dolore (ad esempio una certa difficoltà alla deglutizione dopo
una tonsillite o un senso di stordimento dopo un’otite o anche dolore dopo un episodio di herpes
zoster), il D.L.M. Vodder può essere indicato per ripulire perfettamente il tessuto da eventuali
ristagni che possono essere rimasti. La frequenza di trattamento sarà almeno bisettimanale fino a
risoluzione del problema.

TUBERCOLOSI: malattia a decorso insidioso, che purtroppo sta conoscendo un nuovo periodo di
diffusione. Il problema della diagnosi esula dalle competenze di questo libro. Dovremo invece
porre attenzione in soggetti in cura presso sanatori o dispensari antitubercolari (perché il bacillo di
Koch, agente responsabile della tubercolosi umana, possiede un elevato linfotropismo, ovvero una
affinità elettiva per il tessuto linfatico ed i linfonodi). Agendo con D.L.M. in persone affette da
tubercolosi, anche se già sottoposte a terapia medica, stimoleremmo, come nel caso della
infezione acuta, la migrazione del bacillo di Koch e quindi la diffusione e l'aggravamento della
malattia.
Quindi in tutti i casi sospetti e comunque sempre nel caso di persone che abbiano innalzamento
della temperatura corporea occorre astenersi dal praticare D.L.M..
TUMORI MALIGNI: qui il discorso si fa un po’ più complesso. In persone con neoformazioni in corso di
accertamento diagnostico ci si asterrà dal praticare qualsiasi tipo di massaggio o intervento di tipo
estetico soprattutto sulla zona interessata, fino a che il cliente non sarà stato adeguatamente
studiato e non sia stata formulata una diagnosi di certezza.
Il classico esempio è quello della donna che scopre per caso di essere portatrice di una
tumefazione al seno: fino a quando non sarà stata esclusa una patologia tumorale, e possibilmente
con referto scritto, non va trattata. Nel caso invece in cui i dubbi siano stati chiariti e fugati e la
diagnosi parli di tumefazione di tipo benigno senza possibilità di trasformazione maligna, allora
può essere indicato il trattamento con D.L.M.
Nel caso invece di tumore maligno in cui sia in corso un intervento terapeutico, sia di tipo
chirurgico che medico che radioterapico, ed anche dopo un periodo di tempo inferiore a cinque
anni dalla presunta guarigione (per guarigione si intende un periodo di almeno 5 anni senza che
compaiano complicazioni o metastasi), i1/la cliente non va trattato, a meno che il D.L.M. non sia
espressamente richiesto per iscritto dal medico curante della persona interessata, sia esso
l’oncologo, il chirurgo o il fisiatra.
A onor del vero, sono stati effettuati studi (Leduc) su due gruppi di pazienti mastectomizzate: un
gruppo è stato trattato con D.L.M. dopo l’intervento e l’altro non è stato trattato. Si è visto che i
due gruppi hanno sviluppato metastasi nella stessa percentuale; a questo punto si è autorizzati a
pensare che il D.L.M. non è in grado, da solo, di provocare la migrazione di cellule metastatiche
maligne; tuttavia è anche vero che chi lavora in campo estetico é abilitato a trattare
esclusivamente persone sane e sarebbe quindi molto vulnerabile in caso di azione legale da parte
di clienti particolarmente
sospettosi.
Se invece fosse l’operatore ad accorgersi per primo di qualcosa che non va nel cliente (tumefazioni
prima mai notate, nei che cambiano il loro aspetto, facendosi più grandi o sanguinanti), ne
avviserà con tatto e delicatezza il cliente, rifiutandosi di proseguire il trattamento fino a che egli
non avrà compiuto il necessario iter diagnostico.

Le CONTROINDICAZIONI RELATIVE sono date dalle situazioni che potrebbero risentire


sfavorevolmente del D.L.M. globale o eseguito senza alcuna precauzione; ma che sono
favorevolmente influenzate da una manualità di D.L.M. ben eseguita e soprattutto dal rispetto di
alcune fondamentali regole, quale quella di distribuire il lavoro settorialmente durante l’arco di
tempo di settimane e non di soli pochi giorni.

INSUFFCIENZA CARDIACA: la persona affetta presenta edemi declivi che compaiono all’inizio solo alla
sera o dopo una prolungata stazione eretta.
In seguito si fanno più persistenti, fino a perdurare tutta la giornata, anche se si accentuano in
posizione ortostatica. Sono situati nelle zone declivi: dorso dei piedi, malleoli, zona pretibiale; sono
caldi e trattengono l’impronta del dito di chi li esamina (segno di fovea). La pelle al di sopra della
zona edematosa è tesa, lucida ed arrossata ed è facilmente traumatizzabile. lnoltre tende a
lichenificare e a desquamarsi. La temperatura é quella di un edema <caldo>.
Come per tutti gli edemi, con il passare del tempo anche quello da insufficienza cardiaca tende poi
a sclerotizzarsi, facendosi sempre più duro e poco trattabile.
In questi casi esso si forma per via di una aumentata ritenzione di sali e liquidi e per un aumento
della pressione idrostatica sia a livello dell’arteriola che della venula, per cui si accentua il
fenomeno della filtrazione al capo arterioso del capillare ed insieme si riduce il riassorbimento al
capo venoso. Come risultato finale si ha un aumento del liquido interstiziale e quindi la comparsa
di edema. Occorre aggiungere che alcune persone portatrici di insufficienza cardiaca possono
associare alla condizione di base un danno a livello epatico (fegato da stasi), cui consegue un calo
della sintesi di proteine che a sua volta porta ad una riduzione della pressione oncotica
interstiziale.
Tutto questo permette la presenza dell’edema, indicazione principe del trattamento con D.L.M..
Tuttavia, nei casi di insufficienza cardiaca il cuore, pur lavorando al massimo delle sue possibilità,
non riesce a smaltire tutto il liquido che dovrebbe nell’unità di tempo. Quindi, poiché noi
sappiamo che la linfa, tramite il terminus, si immette nella circolazione generale, e quindi deve
passare attraverso la pompa cardiaca, dovremo applicare il D.L.M. in modo da aiutare il nostro
cliente senza provocare al suo cuore un sovraccarico di lavoro.
Il D.L.M. si applicherà quindi in modo settoriale, trattando ad esempio un arto inferiore all’inizio
della settimana e l’altro alla fine, gli arti superiori nella settimana successiva e così via fino ad
eseguire, secondo l’indicazione, il trattamento completo del cliente in 10 - 15 giorni. In questo
modo si evita l’arrivo al cuore di ingenti quantità di liquido e si permette allo stesso tempo al
cliente di alleggerire il volume ed il peso dei suoi liquidi interstiziali.

INSUFFICIENZA RENALE: nella patologia renale molto spesso si evidenziano edemi, per via della perdita
di proteine con le urine a causa della mancata selettività di riassorbimento ad opera dei glomeruli
e dei tubuli renali.
Caratteristico è l’edema della sindrome nefrosica, che verrà qui descritto.
Esso è presente già al mattino al momento del risveglio come imbibizione della regione palpebrale
o come edema perimalleolare, di cui spesso il cliente si accorge nell’atto di calzare le scarpe.
Spesso all’inizio questo edema compare saltuariamente, ad esempio come edema della fase
premestruale, per farsi poi permanente e sempre più voluminoso. E' esteso a tutte le zone dove il
connettivo è più lasso (ad esempio la zona papebrale) o nelle regioni più declivi (regione sacro-
coccigea, arti inferiori, zona genitale).
In alcuni casi é talmente evidente da arrivare ad ostacolare la visione nel caso dell’edema
periorbitario o la parola nel caso della localizzazione periorale. L’edema di tipo renale é pallido ed
in genere freddo, spesso associato, a livello delle estremità, ad alterazioni trofiche ungueali
(unghie gialle o presenza di banda biancastra estesa per i due terzi dell’unghia o di numerose
striature bianche che attraversano il letto ungueale). L’edema in questione può essere trattato con
D.L.M. allo stesso modo e con le stesse precauzioni dell’edema di tipo cardiaco.
Per tutti e due i tipi di edema descritti è comunque meglio che il cliente sia seguito da vicino dal
medico responsabile dell’Istituto e qualora questa figura non fosse presente, che l’operatore di
D.L.M. si tenga in contatto con il medico curante del cliente stesso.

IPERTIROIDISMO: E' relativamente difficile che un soggetto ipertiroideo abbia necessità di essere
trattato con D.L.M.. In genere si tratta di persone magre <costituzionalmente> o che presentano
un dimagrimento dovuto alla particolare eccitazione metabolica, conseguenza della loro malattia
di base.
A volte é tuttavia possibile che una persona con ipertiroidismo richieda un ciclo di trattamento per
una condizione del tutto peculiare, che è il mixedema circoscritto pretibiale o <edema duro degli
arti inferiori>. Questa condizione si manifesta in soggetti già in trattamento con farmaci
antitiroidei e dopo la remissione clinica della malattia. Colpisce elettivamente la zona inferiore e
laterale delle gambe, simmetricamente. A volte può arrivare fino al ginocchio o estendersi in basso
fino al dorso del piede o alle dita. La cute sovrastante la zona edematosa assume un aspetto a
buccia di arancia e conserva il segno di fovea. Il suo colore passa dal giallastro al rosso al cianotico,
come si osserva nei casi di flebotrombosi. L’edema, a mano a mano che la sua consistenza
aumenta, diviene freddo e la pelle secca può indurirsi e formare delle placche o lesioni papulari e
rilevate. E' aggravato da traumatismi occasionali o da microtraumi ripetuti nella zona interessata.
Il D.L.M. in questi casi è indicato. La precauzione necessaria riguarda il primo percorso dei quattro
movimenti principali di scarico di apertura: profundus-terminus. Il pompaggio sul terminus va
eseguito cercando di restare il più possibile laterali alla zona tiroidea, per non rischiare di
comprimere la ghiandola provocando una fuoriuscita massiva di colloide che potrebbe portare allo
scatenamento di una crisi tireotossica. Se questo non é possibile si eseguirà lo scarico partendo
dalla regione occipitale e trattando: occipite-trapezio-terminus, evitando di toccare la loggia
anteriore del collo, ovvero la zona posta davanti ai muscoli sternocleidomastoidei.

ASMA: Il problema che si può porre nel trattamento delle persone asmatiche é esclusivamente di
tipo metodologico.
Occorre ricordare che, al di là di ogni considerazione circa l’origine allergica, psicosomatica o
idiopatica dell’attacco asmatico, le persone affette da questo tipo di patologia riferiscono un senso
di permanente oppressione toracica e di compressione intorno alla base del collo. Pertanto,
all’inizio del trattamento, che dovrà essere eseguito per le prime volte in posizione seduta, occorre
avvisare il cliente e rassicurarlo circa la modalità di esecuzione dei quattro movimenti principali
dello scarico del collo. Nell’ambito del trattamento del torace le manovre di drenaggio intercostale
e vibrazione
sternale non andranno eseguite.
Se, nonostante le vostre rassicurazioni, il cliente non dovesse sopportare i movimenti sul collo,
evitare di insistere e passare senz’altro ad un trattamento di altra natura.

VAGOTONIA: Nei casi di persone vagotoniche, coloro cioè che non compensano facilmente rapidi
sbalzi pressori, occorre tener presente che dopo il trattamento con D.L.M. andrebbero tenute
sdraiate sul lettino per qualche minuto. Al momento di alzarsi non devono effettuare movimenti
bruschi, ma sollevare gradualmente il busto (alzando voi la parte corrispondente del lettino da
massaggio) e poi altrettanto gradualmente si dovrebbero alzare in piedi.
Questo perché non sono in grado di compensare il momentaneo ipoafflusso cerebrale dovuto ad
un rapido movimento nel mettersi in posizione seduta. Se non si osservassero questi piccoli
accorgimenti queste persone potrebbero manifestare vertigini e senso di mancamento, sia dopo
D.L.M. che dopo qualsiasi altro trattamento che le mantenga in posizione sdraiata per un certo
periodo di tempo.

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