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-PARTE TEORICA -
Il sistema linfatico
A. Anatomia del sistema linfatico = 1. Struttura generale del sistema linfatico
2. Apparato linfatico e canali linfatici (capillari, pre-
collettori, collettori, vasi e dotti toracici)
3. Linfonodi
4. Linfa: origine, composizione e trasporto
5. Anatomia topografica del sistema linfatico
B. Fisiologia del sistema linfatico
C. Fisiopatologia del sistema linfatico
D. Drenaggio linfatico manuale Indicazioni e controindicazioni
IL SISTEMA LINFATICO
Il sistema linfatico
A. Anatomia del sistema linfatico = 1. Struttura generale del sistema linfatico
2. Apparato linfatico e canali linfatici (capillari, pre-
collettori, collettori, vasi e dotti toracici)
3. Linfonodi
4. Linfa: origine, composizione e trasporto
5. Anatomia topografica del sistema linfatico
Il sistema linfatico costituisce un sistema di drenaggio a bassa pressione parallelo a quello venoso
che supporta le funzioni del sistema cardiovascolare e del sistema immunitario. I vasi linfatici e
sanguigni, pur simili come struttura delle pareti e come decorso, presentano alcune fondamentali
differenze:
Il sistema linfatico non è un sistema chiuso: l’inizio è a livello dei linfatici iniziali, i capillari linfatici,
e termina riversandosi all’interno dei grandi vasi sanguigni della circolazione venosa, vicino al
cuore;
Il sistema linfatico non possiede una “pompa centrale”: i vasi linfatici trasportano la linfa tramite
una motricità spontanea delle proprie pareti;
Il sistema linfatico presenta delle interruzioni lungo il suo decorso: numerose stazioni linfonodali
sono infatti intercalate lungo i principali vasi linfatici.
I due sistemi invece sono simili nelle seguenti caratteristiche:
I vasi linfatici principali possiedono delle strutture valvolari che garantiscono una
monodirezionalità del flusso;
Il flusso linfatico viene stimolato dagli stessi fattori che costituiscono il ritorno venoso: l’attività
respiratoria, la pulsatilità arteriosa, la pompa muscolare e articolare.
È costituito due parti semi-dipendenti: una estesa rete di vasi linfatici (capillari, vasi, tronchi, dotti)
che formano un sistema a senso unico che parte dai capillari linfatici, i quali raccolgono l’eccesso di
liquido interstiziale e lo convogliano al sistema cardiovascolare; e organi linfatici che producono
ed immagazzinano le cellule che combattono gli agenti patogeni in contatto con il nostro
organismo e sono suddivisi in:
Organi linfatici primari o centrali:
all’interno di questi i linfociti vengono programmati per diventare linfociti T (all’interno del timo) o
linfociti B (all’interno del midollo osseo).
Organi linfatici secondari:
comprendono i linfonodi, la milza, le tonsille, i follicoli linfatici dei diversi organi, che giocano un
ruolo fondamentale nella risposta immunitaria.
I capillari linfatici
I capillari linfatici vengono anche chiamati linfatici iniziali. Rappresentano un elaborato del sistema
di drenaggio del liquido dai tessuti ai vasi sanguigni. Sono presenti in quasi tutti i tessuti
analogamente ai vasi sanguigni.
I capillari linfatici presentano una forma a “dito di guanto”, con fondo cieco, del diametro di 10-30
nanometri, che può aumentare fino a 50-70 nanometri, forniti di un unico strato di cellule
endoteliali prive di membrana basale.
Un elemento caratteristico delle pareti dei capillari linfatici sono i punti di contatto tra le cellule
endoteliali. Le cellule endoteliali dei capillari linfatici possono infatti semplicemente toccarsi,
oppure presentare i margini sovrapposti in maniera semplice o complessa. Le giunzioni tra le
cellule endoteliali possono essere:
Molto serrate: non consentono il passaggio di alcuna sostanza
Poco serrate: consentono il passaggio di solo acqua e micro-molecole
Lasse: consentono il passaggio anche di macro-molecole e cellule
Un altro elemento caratteristico è rappresentato dai filamenti di ancoraggio, che ancorano la
superficie esterna della cellula alle fibre elastiche e collagene dell’interstizio e giocano un ruolo
fondamentale nella formazione della linfa: dal loro stato di contrazione o rilasciamento dipende
l’apertura o la chiusura delle giunzioni intercellulari delle cellule endoteliali e, quindi, il tipo e la
quantità di fluidi e molecole che entrano nel capillare linfatico. I filamenti di ancoraggio sono
numerosi ma molto fragili (le manovre di massaggio classico li rompono), ma hanno anche la
capacità di rigenerarsi rapidamente (circa 48 ore).
I capillari linfatici a livello della cute formano una rete bidimensionale avalvulata, è la rete cutanea
superficiale.
I vasi linfatici più profondi formano una rete tridimensionale a livello dello strato fibroso del derma
e rappresenta la rete cutanea profonda.
Il capillare linfatico è completamente avalvulato per cui, al suo interno, il flusso di linfa può
dirigersi in tutte le direzioni. La rete cutanea profonda è connessa ai collettori sottocutanei per
mezzo di pre-collettori a decorso verticale.
I precollettori linfatici
Dalla rete cutanea profonda originano i precollettori linfatici, ciascun precollettore drena la linfa
da una zona circoscritta di capillari linfatici verso vasi di calibro maggiore, i collettori. Il ruolo svolto
dai precollettori è sia di riassorbimento che di trasporto della linfa. I precollettori verticali drenano
un’area cutanea, definita area linfatica.
I collettori linfatici
Sono i vasi di trasporto della linfa; raccolgono la linfa proveniente da diversi precollettori.
Hanno un calibro da 0,1 a 2 mm. Istologicamente la parete è costituita da 3 strati simili a quelli
della parete venosa: tunica intima; tunica media (più spessa) e tunica avventizia consiste di tessuto
connettivo fibro-elastico.
I collettori linfatici presentano al loro interno delle strutture valvolari, che garantiscono il flusso
diretto in senso centripeto ed impediscono il reflusso della linfa. La funzione delle valvole è
puramente passiva.
Il linfangione
Vasi linfatici
Aumentano la loro dimensione lungo il percorso ed assumono via via quell’aspetto a “corona di
perle”, determinato dal susseguirsi di restringimenti e dilazioni dei vasi stessi e dalla presenza di
inserzioni valvolari che consentono alla linfa di risalire superando la legge di gravità
I vasi linfatici nel loro viaggio verso i dotti, convogliano la linfa passando attraverso i linfonodi
(stazioni di filtraggio)
Nel momento in cui entrano nel linfonodo sono detti afferenti quando escono sono detti efferenti
Come regola generale, la linfa attraversa uno o più linfonodi prima di entrare nel flusso sanguigno,
tendendo a seguire il deflusso del drenaggio venoso.
Tronchi linfatici
I tronchi linfatici sono formati da vasi linfatici che escono da gruppi specifici di linfonodi per
formare i tronchi corrispondenti. Sono in numero di undici ed ogni tronco drena una regione
corrispondente dell’organismo. Esistono i tronchi lombari, il tronco intestinale, tronchi
broncomediastinali, tronchi succlavi, tronchi giugulari e tronchi discendenti intercostali. Per
esempio, i tronchi lombari sono responsabili del drenaggio degli arti inferiori e di altre regioni.
Questi tronchi si svuotano in due grossi vasi collettori: dotto linfatico destro e dotto toracico che
convogliano la linfa nel circolo venoso
Il dotti toracici
Rappresentano i vasi linfatici di maggior calibro e sfociano nel sistema venoso portando la linfa di
tutto il corpo attraverso i vasi sanguigni, generalmente nella congiunzione della vena succlavia con
la vena giugulare di ogni lato. In questo modo, si completa tutto il sistema di drenaggio (ritorno
sanguigno e linfatico del cuore) di tutti i fluidi e sostanze mobilitate dal sistema circolatorio. I dotti
hanno un diametro di circa 2mm e possiedono da tre a quattro valvole.
Il dotto toracico raccoglie la linfa della metà sottodiaframmatica del corpo e della metà sinistra
della testa e del collo e, parzialmente, quella del torace.
Il dotto toracico ha inizio al davanti della colonna vertebrale, in una regione compresa tra la
2°vertebra lombare e la 10° vertebra toracica per la fusione di tre grosse radici: due tronchi
linfatici lombari, destro e sinistro ed il tronco linfatico intestinale.
Presenta due lievi dilatazioni: una del tratto iniziale, conosciuta con il termine di Cisterna di
Pequet (dimensione tra 3 a 8 cm di lunghezza e da 0,5 a 1,5 cm di larghezza) ed una, minore,
prima del suo sbocco (presente nel 30-40% dei casi).
Il dotto toracico ha una lunghezza di circa 36-45 cm e un calibro medio di circa 1-5 mm. Presenta
poche valvole (da 1 a 20) specialmente all’origine e alla terminazione.
3) I LINFONODI
I linfonodi sono organi linfatici di diverse dimensioni
(da 0,2 a 3 cm), hanno una forma ovoidale o
reniforme e sono intercalati lungo il decorso dei
collettori linfatici . Nel nostro corpo esistono circa
600/700 linfonodi. Il tessuto linfoide rappresenta dal
2 al 3% del peso corporeo. La funzione principale dei
linfonodi è quella immunitaria, ossia di contribuire
alla difesa dell’organismo contro l’aggressione di
qualunque agente estraneo; tale compito viene
svolto sia grazie alla funzione immunopoietica,
ossia di produzione e differenziazione di cellule immunitarie, i linfociti, e dalla produzione di
anticorpi, oltre che grazie alla funzione di filtro operata dalla fagocitosi dei macrofagi.
I linfonodi possiedono tuttavia anche altre due importanti funzioni: quella di contribuire al
riassorbimento linfatico e quella di impedire il reflusso linfatico gravitazionale.
I linfonodi si trovano isolati o riuniti in gruppi più o meno numerosi (stazioni linfonodali o
linfocentri). Il numero complessivo dei linfonodi varia da 600 a 700, di cui 100 – 200 sono
localizzati a livello mesenterico.
Si suddividono topograficamente in linfonodi superficiali, situati al di sopra della fascia muscolare,
e in linfonodi profondi, situati al di sotto di tale fascia.
I linfonodi presentano una forma ovalare con, in un tratto della loro superficie, una intaccatura più
o meno pronunciata chiamata ilo; da questa regione entrano nel linfonodo i vasi arteriosi ed
escono i vasi venosi e i collettori linfatici efferenti. Questi ultimi presentano un minor numero
(solitamente sono 1 o 2 per ciascun linfonodo), ma un calibro maggiore rispetto ai collettori
linfatici afferenti che penetrano nel linfonodo in diversi punti della sua superficie.
Ogni linfonodo presenta al suo interno numerosi spazi chiamati seni; quando la linfa scorre nei
seni viene filtrata dai macrofagi, globuli bianchi che fagocitano detriti e agenti patogeni.
La linfa giunge al linfonodo dal lato convesso attraverso vasi afferenti. Dal momento che ci sono
meno vasi efferenti che afferenti, il flusso nel linfonodo è stagnante e si lascia il tempo ai linfociti e
macrofagi di svolgere le loro funzioni
I linfonodi, in corrispondenza dei linfocentri, sono disposti anatomicamente in serie; i collettori
efferenti di un linfonodo divengono i collettori afferenti del successivo.
La linfa deve passare attraverso parecchi linfonodi prima che il processo di filtrazione sia completo
L’infiammazione di un linfonodo è spesso causata da un gran numero di batteri rimasti intrappolati
al suo interno = l’infiammazione induce ingrossamento del linfonodo e dolore
I linfonodi possono diventare sedi secondarie di proliferazione tumorale = i linfonodi infiltrati dal
cancro sono ingrossati ma non dolenti
Quindi, per mezzo del sistema linfatico si eliminano i fluidi e le sostanze che non riuscirebbero a
tornare indietro attraverso il sistema venoso per mezzo dei vasi linfatici; questo avviene grazie ai
linfonodi. In entrambe le metà del corpo esistono tre grandi gruppi di linfonodi attraverso i quali
avvengono i drenaggi di tre grandi territori: linfonodi inguinali, ascellari e cervicali.
Ai linfonodi inguinali giungono i vasi linfatici degli arti inferiori, del perineo, dei genitali esterni e
della parte infraombelicale del tronco.
Ai linfonodi ascellari convergono i vasi linfatici dell’arto superiore, della zona addominale
sopraombelicale e del tronco fino a metà della nuca e dei linfonodi cervicali, i quali ricevono i vasi
linfatici della testa e del collo.
Il sistema linfatico si estende per tutto l’organismo sotto forma di rete
Considerazioni generali
Per una migliore comprensione del sistema linfatico, faremo delle brevi considerazioni sul sistema
circolatorio.
Il sistema circolatorio è un circuito chiuso formato dal cuore, dalle arterie, dalle vene e dai vasi
linfatici che cambiano di dimensioni a seconda della localizzazione e della funzione che svolgono.
Il sangue può essere considerato come un grande organo circolante, il quale garantisce il
supplemento di nutrienti a tutte le cellule del nostro organismo. Quindi rimuove e fa circolare
tutto quello che è stato prodotto a livello locale, utilizzando il sistema circolatorio come condotto,
e la sistole ventricolare che permette il pompaggio del sangue.
Il cuore funziona come una “pompa” che ad ogni sistole ventricolare crea una pressione di pulsione
arteriosa, che spinge circa 70 ml di sangue dentro l’aorta ed un’onda di pulsione arteriosa che si
propaga in direzione della microcircolazione. Il ritorno del sangue attraverso il cuore è reso
possibile dal sistema venoso (vene) con l’ausilio del sistema linfatico che, nonostante non trasporti
sangue ma linfa, attua un riassorbimento di liquidi e proteine, completando così questo circuito.
Si osservano qui un sistema di irrigazione (sistema arterioso) e due sistemi di drenaggio
rappresentati dai sistemi venoso e linfatico e due tipi di fluidi circolanti, che sono il sangue e la
linfa. Esiste inoltre l’interstizio cellulare, il quale funziona come un’interfaccia per lo scambio di
fluidi e nutrienti tra le cellule e la corrente sanguigna. Tutto ciò che esce ed entra nel vaso passa
attraverso l’interstizio.
Il tessuto interstiziale è costituito da una struttura fibrillare composta da fibre elastiche, reticolari
e collagene. Tra di esse esiste una matrice formata da una sostanza chiamata fondamentale, ricca
di colloidi, acqua e piccole molecole diluite. Il liquido dell’interstizio proviene dai vasi sanguigni. Il
plasma fuoriesce dai capillari ( è come se trasudasse ) e va a riempire gli spazi interstiziali delle
cellule. Le molecole che escono dai capillari sanguinei raggiungono il sistema linfatico dopo tre
barriere: capillare endoteliale, spazio interstiziale ed endotelio del capillare linfatico.
Il sistema circolatorio racchiude circa da cinque a sei litri di sangue: l’80% di esso si trova nelle
vene, il 15% nelle arterie ed il 5% nei capillari.
I vasi di maggior calibro svolgono principalmente una funzione di trasporto in quanto la
circolazione, il cui scopo è il ricambio metabolico, avviene solo a livello della microcircolazione e
più specificamente nei capillari.
La microcircolazione riguarda i vasi la cui funzione è la distribuzione del sangue ai tessuti secondo
le necessità metaboliche, così come l’autoregolazione del flusso locale. Rappresenta i vasi
terminali della parte arteriosa e quelli iniziali delle vene e dei linfatici.
La macrocircolazione riguarda i vasi di conduzione.
La principale funzione della microcircolazione è lo scambio di gas (per diffusione) e dei fluidi (per
filtrazione) e di tutti i nutrienti e metaboliti necessari al metabolismo cellulare locale. Perché
avvengano gli scambi il sistema deve essere in movimento e questo si ottiene grazie alle differenze
di pressione tra il sistema circolatorio e l’interstizio.
I due principali fattori che regolano il passaggio di materiali tra tessuti e sangue/linfa sono
la permeabilità dei vasi e le pressioni che agiscono sui fluidi.
Permeabilità
E’ una caratteristica fondamentale sia dei vasi linfatici che ematici. Questa permeabilità è
determinata dalle caratteristiche strutturali dei vasi. In generale, i gas e altre sostanze liposolubili
attraversano largamente le cellule endoteliali, dissolvendosi nelle membrane plasmatiche e
diffondendo in esse fino all’altro lato della cellula. L’acqua e poche altre piccole molecole
attraversano direttamente le membrane e il citoplasma. Acqua, ioni e piccole macromolecole
attraversano la membrana attraverso le proteine canale. Tutte le sostanze, eccetto le
macromolecole più grandi, possono attraversare la cellula lentamente per mezzo di vescicole, o
rapidamente per mezzo di fenestrature. Macromolecole e cellule possono attraversare solo
giunzioni intercellulari aperte.
Pressioni
Lo scambio tra letto capillare e tessuto è regolata da un gioco di pressioni, che spingono o attirano
liquidi e molecole da una regione all’altra.
In seguito a questo scambio, la filtrazione capillare, circa 20 litri di liquidi al giorno passano dal
sangue ai tessuti. Nelle stesse 24 ore vengono riassorbiti nei capillari ematici circa 16 litri.
I restanti 4 litri devono essere riassorbiti dal sistema linfatico.
Per capire meglio il meccanismo con cui questi scambi emato-linfo-tissutali avvengono, dobbiamo
ricordare alcuni concetti fisici basilari:
Diffusione semplice
Una soluzione è formata da un solvente (es. acqua) all’interno del quale viene disperso un soluto
(es. glucosio, sale, ecc.). Quanto più è il soluto che si scioglie nel solvente, tanto più la soluzione è
concentrata.
Se si pone a contatto una soluzione con un soluto in una determinata concentrazione (es.
glucosata al 10%) con un'altra soluzione a differente concentrazione (es. glucosata al 20%) senza
alcuna barriera, dopo un certo periodo di tempo la soluzione che si ottiene presenta una
concentrazione media tra quelle originali (nell’esempio, glucosata al 15%).
Le soluzioni si combinano l’una con l’altra spontaneamente; questo processo viene
chiamato diffusione e avviene per effetto del movimento continuo delle molecole determinato dal
calore. La velocità di diffusione avviene per vari fattori: peso molecolare del soluto; gradiente di
concentrazione; distanza; area disponibile per lo scambio; temperatura.
Diffusione ostacolata
Le due soluzioni possono essere separate da una membrana. Se la membrana che separa le due
soluzioni è permeabile, ossia presenta pori abbastanza larghi da permettere il passaggio sia delle
molecole di solvente che di soluto, queste passano spontaneamente, per effetto della dispersione
dovuta al movimento spontaneo delle molecole, ma la miscela dei due fluidi avviene più
lentamente che nel caso della diffusione non ostacolata, poiché le molecole possono passare da
una soluzione all’altra solo passando attraverso i pori della membrana. Questo processo viene
chiamato diffusione ostacolata. In questo caso di solito le molecole di soluto si spostano dalla
regione a maggiore concentrazione verso quella a minore concentrazione, mentre le molecole di
acqua si spostano in senso opposto.
Osmosi
Se le due soluzioni vengono separate da una membrana semipermeabile, ossia con pori che
permettono il passaggio soltanto delle molecole del solvente ma non quelle del soluto, la
membrana agisce come un setaccio. Si assiste al passaggio di molecole di solvente dalla soluzione
più diluita a quella più concentrata, fino alla equalizzazione delle concentrazioni; al termine del
processo però la soluzione precedentemente più concentrata avrà un volume maggiore per lo
spostamento dell’acqua.
Questo meccanismo viene definito osmosi e per pressione osmotica si intende la tendenza, che
possiede il solvente, a passare dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata. Quando
i soluti sono rappresentati da molecole proteiche si parla di pressione colloido-osmotica o
pressione oncotica.
Come si è detto, la parete dei capillari ematici possiede una membrana che consente il passaggio
di molecole di acqua, di ioni e di piccole molecole per un meccanismo di diffusione attraverso le
giunzioni interendoteliali. Ciò è tuttavia sufficiente a garantire un adeguato apporto di nutrimenti
ai tessuti ed eliminazione dei cataboliti cellulari attraverso un movimento di diffusione delle
sostanze.
Le dimensioni delle giunzioni interendoteliali della parete capillare ematica, abbiamo visto che non
consentono il passaggio delle macromolecole proteiche plasmatiche, se non in misura
estremamente limitata; queste infatti possiedono un elevato peso molecolare. Queste proteine
vengono definite colloidi, da cui il termine pressione colloido-osmotica.
Ultrafiltrazione
Utilizzando una pressione meccanica è possibile modificare la pressione colloido-osmotica. Se ad
una soluzione proteica posta in un contenitore dotato di una membrana semi-permeabile viene
applicata una pressione per mezzo di un pistone idraulico, le molecole di acqua vengono spinte
attraverso la membrana semipermeabile, separando l’acqua dalle proteine che non possono
oltrepassare la membrana. Un esempio può essere dato dal plasma: ponendo del plasma, ricco di
proteine, all’interno di un contenitore con membrana semipermeabile ed applicando una
pressione dall’esterno, viene filtrato attraverso la membrana il siero, ossia un liquido privo di
proteine. Questa procedura viene detta ultrafiltrazione.
Nel microcircolo, la pressione presente all’interno del vaso ematico assume il ruolo del pistone che
spinge le molecole d’acqua, contro la pressione colloido-osmotica, ad attraversare la membrana
endoteliale. Questa pressione viene detta pressione idrostatica.
La pressione del liquido interstiziale agisce nello stesso modo, contrastando quindi l’uscita di
acqua dal vaso capillare e spingendo invece l’acqua all’interno dello stesso.
Pressione interstiziale
L’interstizio cellulare funziona come un’interfaccia per lo scambio di fluidi e nutrienti tra le cellule
e la corrente sanguigna. Tutto ciò che esce ed entra nel vaso passa attraverso l’interstizio.
Il tessuto interstiziale è costituito da una struttura fibrillare composta da fibre elastiche, reticolari
e collagene. Tra di esse esiste una matrice formata da una sostanza chiamata fondamentale, ricca
di colloidi, acqua e piccole molecole diluite. Il liquido dell’interstizio proviene dai vasi sanguigni. Il
plasma fuoriesce dai capillari (è come se trasudasse ) e va a riempire gli spazi interstiziali delle
cellule.
Le molecole che escono dai capillari sanguinei raggiungono il sistema linfatico dopo tre barriere:
capillare endoteliale, spazio interstiziale ed endotelio del capillare linfatico.
Nella sua porzione terminale la barriera endoteliale è molto sottile ed essendo semipermeabile
permette l’uscita dell’acqua e di piccole molecole, principalmente di quelle liposolubili.
Fino ad alcuni anni fa si pensava che la pressione interstiziale fosse minima (da 1 a 4 mmHg);
alcune metodiche di misurazione molto sofisticate hanno dimostrato in realtà che la pressione
interstiziale è negativa, ossia circa -7 mmHg.
Equilibrio di Starling
Ernest Henry Starling (1866-1927) postulò che, in condizioni fisiologiche, esisteva un perfetto
equilibrio, a livello della membrana capillare, tra la quantità di liquido che filtra nel tessuto e
quella che viene riassorbita.
Esaminando le forze che intervengono negli scambi possiamo dedurre che il plasma possiede:
Una pressione idrostatica (residuo della pressione arteriosa) che tende a spingere l’acqua verso
l’esterno
Una pressione colloido-osmotica o oncotica (determinata dalle proteine plasmatiche), che tende a
trattenere ossia a richiamare il liquido verso l’interno del capillare.
L’interstizio possiede:
Una pressione idrostatica, che tende ad impedire l’uscita dell’acqua dal capillare ematico, ossia a
spingere il liquido all’interno dello stesso;
Una pressione oncotica (determinata dalle proteine interstiziali) che tende a richiamare ossia a
trattenere liquido nell’interstizio.
Secondo Starling, nei capillari arteriosi esistono una pressione positiva chiamata idrostatica, di
circa 30 mm Hg, e due pressioni negative, la pressione oncotica, data dalle proteine e pari a 20-25
mm Hg, e la pressione dell’interstizio di 2-4 mm Hg.
Nei capillari arteriosi la pressione idrostatica di 30mm Hg è maggiore della pressione oncotica, che
è negativa, e questo permette l’uscita di fluidi e nutrienti attraverso lo spazio interstiziale. Per
quanto riguarda le vene, la pressione idrostatica positiva di 15mm Hg e la pressione oncotica
negativa di circa 20 mm Hg, permettono il riassorbimento dei fluidi e delle sostanze dell’interstizio
cellulare. Il riassorbimento realizzato dai capillari venosi rappresenta circa il 90% di quello che
viene filtrato, mentre il rimanente 10% viene realizzato dal sistema linfatico, che funziona come
una valvola di sicurezza, rimuovendo le macromolecole e l’eccesso di liquido. Il 50-75% del sangue
che passa per la microcircolazione non raggiunge i capillari, i quali effettuano gli scambi
metabolici, ma percorre le anastomosi arteriovenose. Circa il 25% del sangue della
microcircolazione rende possibile lo scambio locale effettivo.
E’ l’equilibrio di queste forze, definito equilibrio di Starling, che regola gli scambi emato-tissutali.
Riassumendo, il cuore ed i “linfangiomi” possono essere considerati come strutture propulsive del
sangue e della linfa; due tipi di fluidi circolanti rappresentati dal sangue e dalla linfa; i circuiti
conduttori formati dai vasi arteriosi, venosi e linfatici; i vasi di maggior calibro con funzione di
conduzione (macrocircolazione) e quelli di minor calibro (microcircolazione) con funzione
nutritiva; l’interstizio cellulare che funziona come un’interfaccia per lo scambio di nutrienti e
cataboliti tra il sangue e le cellule; le pressioni idrostatica e colloidosmotica che permettono il
trasferimento dei liquidi.
FISIOPATOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO
Riserva funzionale linfatica
Per effetto dei diversi meccanismi fisiologici, l’attività linfatica basale può aumentare di 10-12
volte. La differenza tra la massima capacità linfatica di trasporto e l’attività linfatica basale
rappresenta la cosiddetta riserva funzionale linfatica. Questa riserva funge da margine di
sicurezza contro la formazione dell’edema.
L’edema clinico si crea, cioè, quando tale margine di sicurezza viene superato, ossia quando la
pressione idrostatica capillare media supera i 34 mmHg (17 mmHg di pressione normale + 17
mmHg del margine di sicurezza), oppure quando la pressione oncotica ematica scende sotto 11
mmHg (28 mmHg di pressione oncotica normale – 17 mmHg del margine di sicurezza).
Insufficienza linfatica
In condizioni fisiologiche il flusso linfatico si adatta perfettamente al carico linfatico, ossia al
volume di liquido interstiziale da drenare.
In diverse situazioni patologiche si può creare un sovraccarico di fluidi a livello interstiziale, che
non determina tuttavia la comparsa clinica di edema per l’incremento compensatorio dell’attività
linfatica.
Quando tuttavia il carico linfatico supera la capacità linfatica massima si determina un accumulo di
liquidi a livello interstiziale: si crea quindi una condizione definita insufficienza linfatica
dinamica o insufficienza ad alto flusso linfatico.
Edema ad alto flusso linfatico e ipoproteico.
In questa condizione il sistema linfatico è del tutto normale, e, anzi, la sua portata è molto più
elevata rispetto alle condizioni basali.
Le condizioni che conducono ad un edema ad alto flusso linfatico sono quelle quindi in cui il carico
linfatico risulta molto aumentato, al punto di superare la capacità massima della portata linfatica
(rottura dell’equilibrio delle forze pressorie di Starling).
La prima condizione che può portare ad un incremento del carico linfatico è quella in cui si
determina un aumento della pressione idrostatica capillare con aumento della filtrazione e
riduzione del riassorbimento ematico e conseguente incremento dei fluidi che rimangono a livello
interstiziale.
La situazioni patologiche che possono sviluppare questa condizione sono:
Ipertensione venosa, caratteristica delle fasi di scompenso delle diverse malattie venose, dalla
malattia varicosa primitiva, alla trombosi venosa e conseguente sindrome post-trombotica, fino
all’insufficienza venosa funzionale. L’edema che ne risulta è localizzato alla regione distale
dell’arto affetto alla patologia;
Reazioni allergiche e flogistiche: l’attivazione dei diversi mediatori dell’infiammazione determina
una dilatazione arteriolare e una costrizione venulare, con conseguente aumento della pressione
idrostatica nel letto capillare. In questa condizione si crea un edema tipicamente strettamente
localizzato nella sede del fenomeno allergico o flogistico;
Gravidanza: il fisiologico aumento del volume vascolare può determinare una condizione di
incremento della pressione capillare, che determina un edema diffuso, anche se più evidente agli
arti inferiori.
Altre situazioni portano invece all’incremento del carico linfatico per riduzione della pressione
oncotica capillare. L’edema che deriva da queste condizioni è ovviamente diffuso a tutto il corpo.
La situazioni patologiche che possono sviluppare questa condizione sono:
Riduzione dell’apporto proteico dall’esterno: questa condizione è legata spesso a patologie
debilitanti croniche, che giungono fino a condizioni di digiuno prolungato, come nel caso di
malattie psichiatriche come l’anoressia;
Riduzione della sintesi proteica; presente nelle condizioni di insufficienza epatica grave;
Ridotto assorbimento proteico gastro-intestinale, come si ha in caso di gastrite atrofica, di
insufficienza pancreatica;
Aumentata perdita di proteine, che può avvenire sia a livello renale, sia a livello gastroenterico,
sia a livello cutaneo.
Tutte queste condizioni portano all’aumento del carico linfatico interstiziale. Tale sovraccarico
linfatico viene compensato dall’aumento della portata linfatica, che aumenta fino alla sua capacità
massimale. L’edema rappresenta quindi una condizione di scompenso funzionale, che può
rapidamente evolvere verso un danno tissutale organico.
L’edema ad alto flusso linfatico è caratterizzato da una elevata portata linfatica; poiché il ruolo
principale del sistema linfatico è quello di trasportare la componente proteica dei fluidi
interstiziali, l’edema che si viene a formare è caratterizzato da una concentrazione proteica
normale o addirittura ridotta rispetto a quella dei fluidi interstiziali fisiologici.
L’edema viene quindi definito ad alto flusso linfatico e ipoproteico.
Edema ad alto flusso linfatico e iperproteico.
Esistono altre condizioni in cui, nonostante l’elevato flusso linfatico, l’edema che si forma è a
concentrazione proteica elevata. Sono le condizioni in cui la patologia di base determina, oltre ad
una modificazione delle forze dell’equilibrio di Starling, anche una alterazione della permeabilità
capillare.
In questi casi un danno della parete capillare permette la fuoriuscita verso l’interstizio di grandi
quantità di proteine plasmatiche o addirittura di cellule ematiche. L’aumento della portata
linfatica non è sufficiente a compensare questa “inondazione” e si crea un edema ad alto flusso
linfatico ma iperproteico.
Le situazioni patologiche che possono determinare un aumento della permeabilità capillare sono:
Condizioni flogistiche acute: artriti, artropatie croniche degenerative in fase infiammatoria acuta,
dermatiti eczematose, ecc.;
Condizioni immunologiche: collagenopatie;
Danni diretti: ustioni, traumi contusivi, ecc.;
Reazioni allergiche: reazioni orticarioidi, ecc.;
Grave ipossia tissutale: arteriopatie periferiche in fase di ischemia critica.
Edema a basso flusso linfatico e iperproteico.
Le situazioni in cui il carico linfatico è normale, ma risulta alterata la portata linfatica basale viene
definita insufficienza linfatica meccanica.
In questa situazione il sistema linfatico non è in grado di svolgere la sua funzione fisiologica, per
cui non è in grado di riassorbire neppure quella quantità di fluidi interstiziali che fisiologicamente
si forma come conseguenza dell’equilibrio di Starling.
Questa situazione è quindi caratterizzata da un ridotto flusso linfatico e, quindi, da una elevata
concentrazione proteica interstiziale.
Questo caso viene generalmente meglio identificato come linfedema.
Esistono inoltre alcune condizioni cliniche, in cui una insufficienza linfatica dinamica si associa ad
una insufficienza venosa in maniera contemporanea:
Edema cardiogeno: l’insufficienza di pompa del cuore destro determina, per aumento della
pressione venosa centrale, un ostacolo contemporaneo sia al deflusso venoso sia al deflusso
linfatico. In questa situazione si associa quindi l’aumento del carico linfatico per l’elevazione della
pressione venosa centrale alla riduzione del riassorbimento linfatico.
Edema da non uso: l’assenza del tono muscolare e del fisiologico stimolo nervoso, classico di molte
condizioni neurologiche (emi- o paraplegie), determinano una contemporanea perdita della
funzione venosa per mancata attivazione della pompa muscolare del piede-polpaccio e della
fisiologica contrattilità spontanea linfatica per linfangioparalisi.
Linfedema da sovraccarico
Quando una insufficienza linfatica dinamica viene mantenuta per molto tempo, il sistema linfatico
sovraccaricato va incontro a un progressivo deterioramento, per effetto di fenomeni di sclerosi
che colpiscono le pareti dei collettori, con riduzione della funzione linfatica. Si crea quindi una
condizione di insufficienza linfatica meccanica secondaria al sovraccarico.
Esempio emblematico di questa condizione è l’insufficienza venosa cronica.
Come si cura?
• Dieta (adeguata idratazione)
• Attività fisica (nuoto)
• Linfodrenaggio
• Pressoterapia
• Elettrostimolazione
• Mesoterapia
• Ossigeno-ozono terapia
• Ultrasuoni
• Lipoaspirazione
• Farmaci linfodrenanti (cumarina)
IL LINFODRENAGGIO = EFFETTI, INDICAZIONI E
CONTROINDICAZIONI
Per quanto riguarda gli effetti che possono interessare il campo dell’estetica, prenderemo in
considerazione: l’effetto antiedematoso; l’effetto sulle difese immunitarie; l’effetto cicatrizzante; il
miglioramento del microcircolo; l’effetto rigenerante; l’azione antalgica e rilassante.
EFFETTO ANTIEDEMATOSO: il più conosciuto e spettacolare degli effetti che si ottengono con il D.L.M.
Vodder.
Appartengono a questa categoria gli ottimi risultati che sono stati ottenuti sugli edemi, soprattutto
linfatici, sia primari che secondari ad intervento chirurgico sui linfonodi (classicamente, il
linfedema dell’arto superiore dopo mastectomia radicale allargata).
Non è possibile poter prevedere, allo stato attuale delle conoscenze, quante sedute di D.L.M.
occorrano per ottenere una riduzione duratura dell’edema.
Ogni paziente va trattato come un caso a sé stante, poiché ad uguale modalità di trattamento
corrispondono spesso differenti risposte terapeutiche. In ogni caso, si ottiene con una certa
rapidità un miglioramento soggettivo, con la scomparsa o la attenuazione delle parestesie e spesso
anche del dolore.
Per ciò che riguarda più strettamente il campo estetico si ottengono ottimi risultati sugli edemi
linfatici cosiddetti <<idiopatici>>, in cui cioè non si riconosce una causa, sugli edemi del periodo
premestruale e nel trattamento delle gravide, sulle stasi che possono residuare in persone che
abbiano subito interventi di safenectomia o sclerosanti sulle varici, sugli edemi perimalleolari che
spesso compaiono con il caldo o la prolungata stazione eretta.
Anche gli edemi alle mani o al viso se convenientemente trattati con D.L.M. regrediscono fino a
scomparire.
Gli edemi dopo gli interventi chirurgici, soprattutto nel campo della chirurgia plastica ed estetica,
risentono favorevolmente del trattamento con D.L.M., specie se questo viene applicato sia come
preparazione all’intervento che dopo che esso sia stato eseguito. Un altro caso in cui è sfruttato
l’effetto antiedematoso del D.L.M. Vodder é quello degli edemi allergici e post-traumatici, sia che
si tratti delle conseguenze della rimozione di un apparecchio gessato che di una banale
distorsione.
EFFETTO SULLE DIFESE IMMUNITARIE: In campo immunologico il D.L.M. trova applicazione in tutti quei
casi in cui occorra migliorare l’immunità locale, come nei casi di acne, ferite chirurgiche o
accidentali, facilità alla colonizzazione batterica o virale delle prime vie aeree (tonsilliti, sinusiti,
faringiti ripetute soprattutto nell’età pediatrica), problemi di tipo dentario quali le parodontopatie,
oppure dopo estrazioni dentarie anche multiple (in questo caso si sfrutta sia l’effetto antiinfettivo,
sia quello cicatrizzante e antiedematoso).
Non va applicato il D.L.M. in caso di infezione in fase di acuzie, poiché se ne favorirebbe la
disseminazione.
Anche il trattamento delle infiammazioni ricorrenti delle prime vie aeree va effettuato al di fuori
dei periodi di crisi.
EFFETTO CICATRIZZANTE: LDM accelera la corrente del flusso linfatico. Quando su una parte del corpo
sono presenti delle ferite o delle ulcerazioni, la linfa fresca, che è ricca di cellule ricostruttrici,
favorisce il processo di cicatrizzazione. Anche in caso di piaghe torpide o di ulcerazioni
difficilmente curabili con i comuni metodi di disinfezione. E' anche indicato nel trattamento delle
ferite in persone affette da diabete in cui sia compromesso il processo di cicatrizzazione, oppure in
terapia con farmaci che potrebbero svolgere un effetto ritardante sulla cicatrizzazione.
Il meccanismo con cui agisce il D.L.M. in questo senso si spiega con l’accelerazione della corrente
di flusso linfatico. Con la linfa che ristagna vengono asportate, grazie alle manovre del D.L.M.,
anche le sostanze ad azione irritante che impediscono la detersione della ferita, e con l’arrivo di
linfa <<fresca>> giungono nella zona lesa anche principi nutritivi con azione plastica e ricostruttiva
sul tessuto.
In questo modo va utilizzato il D.L.M. in caso di ulcere varicose, che, come è noto, cicatrizzano con
difficoltà ricostruendo una cute sottile e facilmente traumatizzabile. Il trattamento con D.L.M.
Vodder permette una rapida guarigione dell’ulcera con la ricostituzione di una superficie cutanea
tonica e compatta, molto più resistente di quella che altrimenti si verrebbe a costituire in assenza
di trattamento. Ancora, si utilizza dopo interventi chirurgici, in caso di piaghe da decubito, ustioni
(a monte della zona interessata e tutto attorno alla sede della lesione), in caso di tendenza alla
formazione di cheloidi cicatriziali, ecc.
AZIONE ANTALGICA E RILASSANTE: i movimenti del D.L.M., così lenti e ritmati, hanno spesso effetto
sedativo e rilassante, favorendo in molti casi il sonno fisiologico in soggetti stressati o
particolarmente affaticati. Si può dire che proprio per questa sua proprietà è il massaggio ideale
per le stazioni termali e le <<cliniche della salute>>, dove i pazienti ricercano il benessere
psicofisico unitamente ad un periodo di riposo. Potrebbe rappresentare la valvola di sicurezza per
molte persone che sommano ad una giornata faticosa un riposo notturno non ristoratore o
quantitativamente insufficiente.
Come effetto antalgico si esplica soprattutto sulle contratture muscolari, sugli strappi o sulle
distorsioni, cui si associa utilmente anche l’effetto antiedematoso. Sono attualmente allo studio,
pare con buoni risultati, gli effetti sulle spasticità infantili.
CONTROINDICAZIONI
Si distinguono due tipi di controindicazioni al D.L.M.: ASSOLUTE E RELATIVE.
Controindicazioni assolute: infezioni in fase acuta; tubercolosi; tumori maligni accertati o sospetti.
Controindicazioni relative: insufficienza renale; insufficienza cardiaca; asma; ipertiroidismo;
vagotonia.
TUBERCOLOSI: malattia a decorso insidioso, che purtroppo sta conoscendo un nuovo periodo di
diffusione. Il problema della diagnosi esula dalle competenze di questo libro. Dovremo invece
porre attenzione in soggetti in cura presso sanatori o dispensari antitubercolari (perché il bacillo di
Koch, agente responsabile della tubercolosi umana, possiede un elevato linfotropismo, ovvero una
affinità elettiva per il tessuto linfatico ed i linfonodi). Agendo con D.L.M. in persone affette da
tubercolosi, anche se già sottoposte a terapia medica, stimoleremmo, come nel caso della
infezione acuta, la migrazione del bacillo di Koch e quindi la diffusione e l'aggravamento della
malattia.
Quindi in tutti i casi sospetti e comunque sempre nel caso di persone che abbiano innalzamento
della temperatura corporea occorre astenersi dal praticare D.L.M..
TUMORI MALIGNI: qui il discorso si fa un po’ più complesso. In persone con neoformazioni in corso di
accertamento diagnostico ci si asterrà dal praticare qualsiasi tipo di massaggio o intervento di tipo
estetico soprattutto sulla zona interessata, fino a che il cliente non sarà stato adeguatamente
studiato e non sia stata formulata una diagnosi di certezza.
Il classico esempio è quello della donna che scopre per caso di essere portatrice di una
tumefazione al seno: fino a quando non sarà stata esclusa una patologia tumorale, e possibilmente
con referto scritto, non va trattata. Nel caso invece in cui i dubbi siano stati chiariti e fugati e la
diagnosi parli di tumefazione di tipo benigno senza possibilità di trasformazione maligna, allora
può essere indicato il trattamento con D.L.M.
Nel caso invece di tumore maligno in cui sia in corso un intervento terapeutico, sia di tipo
chirurgico che medico che radioterapico, ed anche dopo un periodo di tempo inferiore a cinque
anni dalla presunta guarigione (per guarigione si intende un periodo di almeno 5 anni senza che
compaiano complicazioni o metastasi), i1/la cliente non va trattato, a meno che il D.L.M. non sia
espressamente richiesto per iscritto dal medico curante della persona interessata, sia esso
l’oncologo, il chirurgo o il fisiatra.
A onor del vero, sono stati effettuati studi (Leduc) su due gruppi di pazienti mastectomizzate: un
gruppo è stato trattato con D.L.M. dopo l’intervento e l’altro non è stato trattato. Si è visto che i
due gruppi hanno sviluppato metastasi nella stessa percentuale; a questo punto si è autorizzati a
pensare che il D.L.M. non è in grado, da solo, di provocare la migrazione di cellule metastatiche
maligne; tuttavia è anche vero che chi lavora in campo estetico é abilitato a trattare
esclusivamente persone sane e sarebbe quindi molto vulnerabile in caso di azione legale da parte
di clienti particolarmente
sospettosi.
Se invece fosse l’operatore ad accorgersi per primo di qualcosa che non va nel cliente (tumefazioni
prima mai notate, nei che cambiano il loro aspetto, facendosi più grandi o sanguinanti), ne
avviserà con tatto e delicatezza il cliente, rifiutandosi di proseguire il trattamento fino a che egli
non avrà compiuto il necessario iter diagnostico.
INSUFFCIENZA CARDIACA: la persona affetta presenta edemi declivi che compaiono all’inizio solo alla
sera o dopo una prolungata stazione eretta.
In seguito si fanno più persistenti, fino a perdurare tutta la giornata, anche se si accentuano in
posizione ortostatica. Sono situati nelle zone declivi: dorso dei piedi, malleoli, zona pretibiale; sono
caldi e trattengono l’impronta del dito di chi li esamina (segno di fovea). La pelle al di sopra della
zona edematosa è tesa, lucida ed arrossata ed è facilmente traumatizzabile. lnoltre tende a
lichenificare e a desquamarsi. La temperatura é quella di un edema <caldo>.
Come per tutti gli edemi, con il passare del tempo anche quello da insufficienza cardiaca tende poi
a sclerotizzarsi, facendosi sempre più duro e poco trattabile.
In questi casi esso si forma per via di una aumentata ritenzione di sali e liquidi e per un aumento
della pressione idrostatica sia a livello dell’arteriola che della venula, per cui si accentua il
fenomeno della filtrazione al capo arterioso del capillare ed insieme si riduce il riassorbimento al
capo venoso. Come risultato finale si ha un aumento del liquido interstiziale e quindi la comparsa
di edema. Occorre aggiungere che alcune persone portatrici di insufficienza cardiaca possono
associare alla condizione di base un danno a livello epatico (fegato da stasi), cui consegue un calo
della sintesi di proteine che a sua volta porta ad una riduzione della pressione oncotica
interstiziale.
Tutto questo permette la presenza dell’edema, indicazione principe del trattamento con D.L.M..
Tuttavia, nei casi di insufficienza cardiaca il cuore, pur lavorando al massimo delle sue possibilità,
non riesce a smaltire tutto il liquido che dovrebbe nell’unità di tempo. Quindi, poiché noi
sappiamo che la linfa, tramite il terminus, si immette nella circolazione generale, e quindi deve
passare attraverso la pompa cardiaca, dovremo applicare il D.L.M. in modo da aiutare il nostro
cliente senza provocare al suo cuore un sovraccarico di lavoro.
Il D.L.M. si applicherà quindi in modo settoriale, trattando ad esempio un arto inferiore all’inizio
della settimana e l’altro alla fine, gli arti superiori nella settimana successiva e così via fino ad
eseguire, secondo l’indicazione, il trattamento completo del cliente in 10 - 15 giorni. In questo
modo si evita l’arrivo al cuore di ingenti quantità di liquido e si permette allo stesso tempo al
cliente di alleggerire il volume ed il peso dei suoi liquidi interstiziali.
INSUFFICIENZA RENALE: nella patologia renale molto spesso si evidenziano edemi, per via della perdita
di proteine con le urine a causa della mancata selettività di riassorbimento ad opera dei glomeruli
e dei tubuli renali.
Caratteristico è l’edema della sindrome nefrosica, che verrà qui descritto.
Esso è presente già al mattino al momento del risveglio come imbibizione della regione palpebrale
o come edema perimalleolare, di cui spesso il cliente si accorge nell’atto di calzare le scarpe.
Spesso all’inizio questo edema compare saltuariamente, ad esempio come edema della fase
premestruale, per farsi poi permanente e sempre più voluminoso. E' esteso a tutte le zone dove il
connettivo è più lasso (ad esempio la zona papebrale) o nelle regioni più declivi (regione sacro-
coccigea, arti inferiori, zona genitale).
In alcuni casi é talmente evidente da arrivare ad ostacolare la visione nel caso dell’edema
periorbitario o la parola nel caso della localizzazione periorale. L’edema di tipo renale é pallido ed
in genere freddo, spesso associato, a livello delle estremità, ad alterazioni trofiche ungueali
(unghie gialle o presenza di banda biancastra estesa per i due terzi dell’unghia o di numerose
striature bianche che attraversano il letto ungueale). L’edema in questione può essere trattato con
D.L.M. allo stesso modo e con le stesse precauzioni dell’edema di tipo cardiaco.
Per tutti e due i tipi di edema descritti è comunque meglio che il cliente sia seguito da vicino dal
medico responsabile dell’Istituto e qualora questa figura non fosse presente, che l’operatore di
D.L.M. si tenga in contatto con il medico curante del cliente stesso.
IPERTIROIDISMO: E' relativamente difficile che un soggetto ipertiroideo abbia necessità di essere
trattato con D.L.M.. In genere si tratta di persone magre <costituzionalmente> o che presentano
un dimagrimento dovuto alla particolare eccitazione metabolica, conseguenza della loro malattia
di base.
A volte é tuttavia possibile che una persona con ipertiroidismo richieda un ciclo di trattamento per
una condizione del tutto peculiare, che è il mixedema circoscritto pretibiale o <edema duro degli
arti inferiori>. Questa condizione si manifesta in soggetti già in trattamento con farmaci
antitiroidei e dopo la remissione clinica della malattia. Colpisce elettivamente la zona inferiore e
laterale delle gambe, simmetricamente. A volte può arrivare fino al ginocchio o estendersi in basso
fino al dorso del piede o alle dita. La cute sovrastante la zona edematosa assume un aspetto a
buccia di arancia e conserva il segno di fovea. Il suo colore passa dal giallastro al rosso al cianotico,
come si osserva nei casi di flebotrombosi. L’edema, a mano a mano che la sua consistenza
aumenta, diviene freddo e la pelle secca può indurirsi e formare delle placche o lesioni papulari e
rilevate. E' aggravato da traumatismi occasionali o da microtraumi ripetuti nella zona interessata.
Il D.L.M. in questi casi è indicato. La precauzione necessaria riguarda il primo percorso dei quattro
movimenti principali di scarico di apertura: profundus-terminus. Il pompaggio sul terminus va
eseguito cercando di restare il più possibile laterali alla zona tiroidea, per non rischiare di
comprimere la ghiandola provocando una fuoriuscita massiva di colloide che potrebbe portare allo
scatenamento di una crisi tireotossica. Se questo non é possibile si eseguirà lo scarico partendo
dalla regione occipitale e trattando: occipite-trapezio-terminus, evitando di toccare la loggia
anteriore del collo, ovvero la zona posta davanti ai muscoli sternocleidomastoidei.
ASMA: Il problema che si può porre nel trattamento delle persone asmatiche é esclusivamente di
tipo metodologico.
Occorre ricordare che, al di là di ogni considerazione circa l’origine allergica, psicosomatica o
idiopatica dell’attacco asmatico, le persone affette da questo tipo di patologia riferiscono un senso
di permanente oppressione toracica e di compressione intorno alla base del collo. Pertanto,
all’inizio del trattamento, che dovrà essere eseguito per le prime volte in posizione seduta, occorre
avvisare il cliente e rassicurarlo circa la modalità di esecuzione dei quattro movimenti principali
dello scarico del collo. Nell’ambito del trattamento del torace le manovre di drenaggio intercostale
e vibrazione
sternale non andranno eseguite.
Se, nonostante le vostre rassicurazioni, il cliente non dovesse sopportare i movimenti sul collo,
evitare di insistere e passare senz’altro ad un trattamento di altra natura.
VAGOTONIA: Nei casi di persone vagotoniche, coloro cioè che non compensano facilmente rapidi
sbalzi pressori, occorre tener presente che dopo il trattamento con D.L.M. andrebbero tenute
sdraiate sul lettino per qualche minuto. Al momento di alzarsi non devono effettuare movimenti
bruschi, ma sollevare gradualmente il busto (alzando voi la parte corrispondente del lettino da
massaggio) e poi altrettanto gradualmente si dovrebbero alzare in piedi.
Questo perché non sono in grado di compensare il momentaneo ipoafflusso cerebrale dovuto ad
un rapido movimento nel mettersi in posizione seduta. Se non si osservassero questi piccoli
accorgimenti queste persone potrebbero manifestare vertigini e senso di mancamento, sia dopo
D.L.M. che dopo qualsiasi altro trattamento che le mantenga in posizione sdraiata per un certo
periodo di tempo.