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CAPITOLO 3 – NASCITA DELLA CRIMINOLOGIA

Premessa storica
I criminologi hanno sempre tentato di individuare le condizioni che determinano il
comportamento criminale e i fattori psico-sociali che contribuiscono alla sua persistenza, e sono
nate così molteplici teorie riguardanti devianza e criminalità.
Gli studi che hanno dato origine alla materia risalgono al XVIII secolo, ma non mancano comunque
tentativi di spiegare il crimine nei secoli precedenti si parla così di spiegazioni naturali e
spirituali.
 Naturali: considerano il comportamento criminale come dovuto ad oggetti ed eventi del
mondo naturale. Tale approccio è caratteristico di Fenici, Greci e più tardi dei Romani.
 Spirituali: fanno parte di una visione generale del mondo per cui molti eventi sono
considerati il risultato dell’influenza di poteri soprannaturali.
La pena nacque come reazione dell’istinto di conservazione dei singoli o del gruppo contro un
danno prodotto. L’omicidio, ad esempio, è considerato come una manifestazione dell’ira della
divinità che viene placata col rito sacrificale dell’autore, di un componente della sua famiglia o di
un suo schiavo.
Nell’antica Roma la natura della sanzione fu divina e umana per l’omicidio involontario la
sanzione consisteva in un sacrificio espiatorio, il quale placava la divinità offesa e purificava il
gruppo.
Nel Medioevo i signori feudali adottano il principio per cui era Dio ad indicare
colpevole/innocente, dando la vittoria in duello alla parte che era nel giusto. Dato che questa
procedura aumentò i delitti, si passò alle torture da parte dei tribunali, perché il metodo
precedente non ridusse, anzi aumentò, il numero dei delitti: se l’accusato superava le gravi
sofferenze inflittegli, veniva considerato innocente per volere di Dio.
Importante fu il ruolo dell’Inquisizione, vista da molti come simbolo di tirannia, con cui la Chiesa
romana combatté l’eresia e i delitti commessi, il dissenso e il libero pensiero. In seguito, furono
condannati anche i reati comuni (usura). Dal XVI la repressione si ridusse le condanne furono
rivolte prevalentemente contro i libri considerati pericolosi. Fino al XVIII secolo le persone
coinvolte in delitti/comportamenti devianti furono considerate possedute dal demonio.
Dal 1700 in poi proliferano teorie criminologiche provenienti da studiosi che analizzano lo sviluppo
del crimine, il comportamento criminale e la relazione tra tassi di criminalità e condizioni sociali.
Si deve a Cesare Beccaria la nascita della scienza criminale nel mondo moderno, intesa sia come
diritto penale e processuale penale sia come criminologia. Beccaria e Bentham sono i fondatori
della Scuola Classica di diritto penale e criminologia. Fino a quel momento la giustizia criminale si
basava principalmente sull’intimidazione e inoltre le leggi e i provvedimenti giudiziari erano scritti
in latino per non farli comprendere dal popolo.

L’epoca dei Lumi e Cesare Beccaria


L’Illuminismo è stato il preludio dello sviluppo della scienza criminale.
Nel 500-600 si contrapposero le correnti moderne del “giusnaturalismo” e del “positivismo
giuridico”.
Per il giusnaturalismo fu importante Grotius (Grozio 1583-1645) che poneva la centro della propria
visione il principio di socialità, il contratto sociale, e l’identificazione di ciò che è naturale con ciò
che è razionale. Per lui il diritto naturale è fondato solo sulla ragione umana, che indicava il valore
o il disvalore morale di un’azione, mostrando l’accordo vo il disaccordo di essa con la natura
razionale dell’uomo. Lo scopo della punizione per la infrazioni ai diritti non doveva essere punitivo
ma correttivo: si punisce perché non si sbagli più in futuro. La pena doveva essere proporzionata
sia alla gravità del reato e pericolosità del reo, che alla convenienza e utilità che se ne voleva
trarre. Il suo fondamento era la retribuzione morale da associare alla natura e carattere del reo
per stabilirne la responsabilità m orale. Grozio divenne rappresentate dei principi di libertà e
tolleranza che ispireranno altri sostenitori del giusnaturalismo, tra cui Pufendorf (1632-1694). Egli
sostenne che il diritto di punire fosse basato sulla difesa sociale e andasse attivato nel caso in cui vi
fosse una concreta utilità sociale nel contrastare il delitto, che era un atto immorale. La pena
doveva essere stabilita e nota prima del fatto commesso e il giudice poteva aumentare qualità e
quantità.
Su tali premesse si svilupparono le teorie di diversi illuministi, le cui idee fondamentali andarono a
formare i principi unitari e sociali del periodo.
Tutti si appellano alla legge naturale, ai diritti dell’uomo e ai doveri della società. L’uomo è nato
libero, ma lo sviluppo della società ne ha limitato la libertà rendendolo dipendente da altri. La
legge è l’unico mezzo che gli permetta di godere i suoi diritti naturali. È la legge che deve
restaurare l’uguaglianza e prevenire le ingiustizie. Sulla base di questi principi si diffondono nei vari
paesi europei idee di riforma dell’intero sistema del diritto penale. In Francia Montesquieu,
fondatore del “relativismo culturale” applicato al diritto, esamina la natura e l’efficacia delle pene,
dichiarandosi contrario a quelle troppo dure, e condannando il potere dei giudici, i processi segreti
e l’uso della tortura.
Il contributo maggiore si deve a Cesare Beccaria (1738-1794) il quale espresse le nuove concezioni
della giustizia penale nate dall’Illuminismo e dal liberalismo. Costruì un nuovo sistema penale nella
sua opera “Dei delitti e delle pene” (1764), pubblicato inizialmente in forma anonima e messo
all’indice del Santo Uffizio nel 1766.
Punti salienti:
 Condannò le accuse segrete e anonime
 Auspicò che il giudice venisse affiancato da una giuria sorteggiata
 Sostenne la libera valutazione delle prove, assegnata alla giuria
 Sostiene che più il delitto è atroce e meno sono credibili i testimoni
 L’indizio isolato non è sufficiente per condannare un imputato
 Sostenne che era meglio prevenire i delitti piuttosto che punirli, perché è questo il fine
principale di una buona legislazione, e si ottiene con leggi chiare e semplici.
Il punto centrale del suo pensiero è costituito dalle argomentazioni sulla pena. Questa, perché non
sia violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, deve essere essenzialmente pubblica,
determinata dalle leggi, eguale per tutti, pronta e necessaria. La sanzione deve essere inoltre
conosciuta e proporzionata per legge al delitto, al fine di prevenzione speciale e generale.
Da ciò discende l’inutilità delle torture e della pena di morte che, come la storia insegna, non ha
distolto gli uomini dal commettere reati. Per lui non è deterrente l’intensità della pena ma la sua
durata, perché la privazione della libertà fa più paura. Ravvisava la necessità di una pena di morte
solo nel caso di un reo “il quale, benché carcerato, fosse anche in situazione di nuovamente
turbare la società e porla in pericolo”.
La sua opera divenne famosa in tutta Europa. Si ispirarono al suo pensiero la riforma del codice
criminale toscano del 1786, che prende il nome di legge ‘Leopoldina’ dal Granduca Pietro
Leopoldo; il Codice penale francese del 1791; i primi dieci emendamenti della Costituzione degli
Stati Uniti del 1787 e molti altri. L’opera di Beccaria si ritrova ancora alla base dei Codici moderni
europei.
L’UTILITARISMO E JEREMY BENTHAM
L’utilitarismo nasce in Inghilterra nel XVIII secolo. Elementi più importanti sono il tentativo di
trasformare l’etica in una scienza positiva della condotta umana e principio fondamentale del
movimento positivista. Non considera il fine, ma i moventi che determinano l’uomo ad agire, tra
cui primo il piacere secondo la tradizione edonistica, riconoscendo il carattere superindividuale o
intersoggettivo del piacere come movente, nonché la coincidenza dell’utilità privata con quella
pubblica.
Con Jeremy Bentham (1748-1832), filosofo e giurista inglese, si è iniziato a parlare di utilitarismo.
Era convinto che tutte le persone siano in grado di scegliere tra giusto e ingiusto, bene e male, e
sosteneva che nel comportamento umano tutte le azioni cono calcolate in virtù di pulsioni
edonistiche che inducono a desiderare un alto grado di piacere e ad evitare la sofferenza. L’unica
principio in grado di spiegare la nascita delle società e delle leggi è il principio dell’utile che
Bentham riassumeva nella formula: “la massima felicità del maggior numero di persone possibile”.
Le azioni sono quindi valutate secondo la loro capacità di procurare piacere o sofferenza. Un atto è
“utile” se produce benefici, piacere.
L’autore sviluppò il concetto di “calcolo morale” per valutare la probabilità che una persona metta
in atto un certo tipo di comportamento; è determinante il peso del piacere presente o futuro che
esso produrrà rispetto alla sofferenza. Partendo da questa considerazione, Bentham sostenne che
un individuo commette un crimine perché il piacere anticipato, provato per l’atto commesso, è
notevolmente superiore alla sofferenza che ne potrebbe derivare.
A lui dobbiamo inoltre un nuovo sistema carcerario, detto Panopticon, che servì da modello per la
costruzione della prima prigione cellulare a Millbank. Si trattava di una struttura circolare a più
piani, composta di celle aperte attorno ad una torre centrale d’ispezione, in cui i prigionieri non
potevano guardare, ma dalla quale i carcerieri potevano controllare dappertutto. I detenuti
avrebbero dovuto lavorare sedici ore al giorno nelle proprie celle e i proventi andare
all’appaltatore che avrebbe diretto l’istituzione. Sua è anche la proposta di rendiconti periodici sui
criminali.
Sia Beccaria che Bentham proposero un nuovo sistema di giustizia penale. La pena non deve
essere inflitta per vendetta, ma per ridurre il crimine e come deterrente, attraverso una
utilizzazione reazionale e responsabile. Si gettano così le basi della funzione di prevenzione
generale e speciale della sanzione penale.
La posizione liberale si diffusa nel XIX secolo ed ebbe la sua massima espressione nella Scuola
Classica del diritto penale, il cui principale esponente fu Francesco Carrara.

LA SCUOLA CLASSICA DI DIRITTO PENALE


Questa scuola, come l’utilitarismo, afferma che gli uomini sono razionali e dotati di libera volontà e
perciò calcolano vantaggi e svantaggi di qualsiasi azione, scegliendo liberamente quelle che
presentano vantaggi maggiori. Ci fornisce il prototipo di una teoria unilaterale del controllo della
motivazione, in cui il ruolo decisivo è rappresentato da controlli “esterni”, cioè da quelli sulla
situazione.
In pratica Carrara (1805-1888, professore di diritto criminale) sostiene che scopo principale del
diritto penale doveva essere quello di prevenire gli abusi da parte dell’autorità e che il delitto non
era un ente di fatto, ma un “ente giuridico” perché consiste nella violazione di un diritto. Inoltre,
gettò le basi degli elementi oggettivo e soggettivo del reato il delitto necessita delle due forze
essenziali: volontà intelligente e libera e il fatto esteriore lesivo del diritto.
Definì il concetto di imputabilità: l’uomo, libero nella scelta delle proprie azioni, è responsabile di
ciò che fa e quindi la pena deve avere un valore etico -retributivo ed essere proporzionata al
danno arrecato. Sarà quindi contrario alla pena di morte.
Tutti i più noti studiosi della scuola classica, sulla base del libero arbitrio, considerarono come
fondamento del diritto penale la responsabilità morale del soggetto e, di conseguenza, la
concezione etico-retributiva della pena. Ricapitoliamo i punti fondamentali della Scuola Classica:
● libero arbitrio: volontà consapevole dell’autore, indipendentemente dai condizionamenti
sociali;
● imputabilità al fine della punibilità, per cui il reo sia in grado di comprendere il disvalore
etico delle sue azioni e di autodeterminarsi;
● retribuzione della pena caratterizzata da afflittività, proporzionalità, determinatezza ed
inderogabilità, cioè il cosiddetto ‘sistema tariffario’.
La scuola classica ha ispirato sia il primo Codice penale italiano, Zanardelli, sia l’attuale, Rocco, e
continua ancora adesso ad influenzare la politica della giustizia penale, non solo in Italia.
Molti concetti classici (due process law e diritti individuali) sono presenti in molte costituzioni. Così
il neo-classicismo, negli anni ’70, sostiene la necessità di reintrodurre sanzioni prefissate. Nel
campo criminologico si parla di “scelta razionale e di teoria punitiva del just desert (punizione
giustamente meritata). Si sostiene che il reo, data la storia personale e le condizioni ambientali,
decide consapevolmente di commettere un reato e, quindi, merita di essere punito con una pena
equa, atta a riparare l’offesa e il danno arrecati. Becker considera la scelta di commettere un reato
come una decisione libera da parte dell’attore sociale, basata sui costi-benefici, non
necessariamente di natura pecuniaria, rifacendosi alle concezioni fondamentali del neo-
classicismo.

PRECURSORI E CONTEMPORANEI DELLA SCUOLA POSITIVA


In contrasto con la Scuola classica dell’Ottocento, si sviluppano diverse correnti di pensiero che
porteranno alla nascita della criminologia. Una delle più importanti ha origine in Francia, la “scuola
francese” o “scuola di Lione” il cui fondatore fu Alexander Lacassagne (1843-1924). Egli contestò la
teoria lombrosiana del delinquente nato, ponendo l’attenzione sul ruolo dell’ambiente sociale.
La Scuola di Lione non negò l’importanza dei fattori biologici, ma propose di associare tali punti di
vista con quelli sociologici. Ad essa aderì anche Franz von Liszt (1851-1919), fondatore della nuova
scuola sociologica tedesca di diritto penale. Parte dal presupposto che il reato va considerato su
una base deterministica, quindi deve essere studiato unitariamente nei suoi fattori individuali e
sociali. Il diritto penale è diritto di difesa speciale dei beni della vita e la pena ha finalità di
prevenzione generale e speciale, nonché di mettere il criminale in condizione di non nuocere. Fu
tra i primi a proporre l’applicazione sia di pene che di misure di sicurezza.
Questa scuola “ambientalista” trovò i suoi precursori nell’astrologia e più tardi in Montesquieu e
nella sua teoria sugli effetti del clima nella produzione e sui comportamenti.
Nei tempi antichi erano sorte due discipline: fisiognomica e frenologia, rivolte a cogliere le
relazioni tra il soma e gli atteggiamenti o comportamenti psichici. L’osservazione delle
modificazioni fisionomiche fece sorgere l’idea che le peculiarità evidenti nei lineamenti fossero
l’espressione delle disposizioni interiori. Di questo trattarono sia Socrate che Aristotele. Alcuni
studiosi considerarono anticipatore della criminologia Giovan Battista della Porta (1535 – 1615), il
quale sottopose molti criminali a misure antropometriche per ricavarne una tipologia (criminale
per natura di Lombroso).
La frenologia (studio del cervello) analizzò le relazioni tra cranio, cervello, funzioni psichiche, e
comportamento sociale. Destò un certo interesse nel mondo scientifico fino alla fine del XIX secolo
e, in seguito, fu ripresa da alcuni fautori del nazismo per sostenere la superiorità della razza ariana.
Dalla scuola frenologica hanno inizio gli studi di antropologia fisica e criminale. La scienza
antropologica è stata fondata al medico Paul Broca (1824-1880). I principali esponenti furono
Johann Kaspar Lavater (1741 – 1801), John Gaspar Spurzheim (1776 -1832) e Franz Joseph Gall
( 1758 – 1828). La ricerche sul sistema nervoso portarono Gall a sostenere la teoria delle
localizzazioni cerebrali, e arrivò a concludere che la condotta criminale sarebbe stata provocata da
un eccessivo sviluppo dei centri dell’aggressività o dell’istinto di proprietà, ma anche dalla scarsa
educazione. Secondo Gall ogni uomo poteva essere un potenziale delinquente.
Tra i primi psichiatri che contribuirono allo studio dei criminali anormali si ricordano Philippe Pinel
(1745-1826), Esquirol (1772-1840), Prichard (1786-1848) e Morel (1809-1873), mentre è
considerato il fondatore della psicologia criminale Prosper Despine (1812-1892), che analizzò la
psicologia di diverse figure devianti. Morel individuò la demenza precoce e la teoria della
“degenerazione”, per cui i comportamenti delittuosi sono la risultante di un progressivo processo
patologico in cui l’ereditarietà gioca un ruolo importante. Si ha così la formazione di tipi umani
diversi.
Sul fronte degli studi sociologici, a inizio ‘800, venne istituita la Statistica criminale da Quetelet
(1796-1874). lo studio del delitto come fenomeno sociale (indagine quantitativa).
L’istituzione della sociologia e della statistica criminale devono essere considerate in connessione
con la sociologia generale (Comte) e della statistica generale (Guerry).
Data di inizio della criminologia, o meglio della sociologia criminale, è la pubblicazione dell’opera
di Quetelet nel 1835. Egli studiò i fenomeni individuali e sociali, da considerare collettivamente,
segnando quel passaggio dalla qualità alla quantità. Partendo dall’idea che la “teoria della
probabilità” debba essere applicata anche alle scienze sociali, Quetelet affermò che le azioni
dell’uomo sono anch’esse sottoposte a leggi. Affrontò anche il problema dello sviluppo delle doti
morali, considerando il tema del suicidio e dei suoi rapporti con omicidio, stagioni, età, ecc.
Riguardo al delitto formulò una “legge di possibilità”, ossia la fattibilità di una previsione nel
campo di quei fatti sociali costituiti da eventi delittuosi. Con riguardo alla tendenza a commettere
delitti, indicò la probabilità statistica che, in un dato luogo e periodo, un certo numero di soggetti
appartenenti ad un dato gruppo sociale avrebbe commesso un reato div una data specie. Per lui
era importante l’ambiente sociale per la specie e il numero di delitti.
Un rappresentante della scuola statistica francese fu Guerry che studiò la distribuzione dei delitti
contro persona/proprietà in rapporto all’istruzione scolastica in Francia e Inghilterra, attraverso la
tecnica cartografica.
Guerrystatistica morale Queteletfisica sociale

IL POSITIVISMO E LA SCUOLA POSITIVA


La prospettiva classica domina il pensiero criminologico e giuridico per almeno un secolo e si
sviluppa in tutta Europa.
Con la rivoluzione industriale il mondo sociale incomincia a cambiare e tale rivoluzione porta ad
una crisi intellettuale a livello europeo. Si mettono in discussione le vecchie credenze sulla natura
dell’esistenza umana e della società, gli interrogativi sulla natura dell’uomo e sul suo
comportamento vengono affrontati non più in termini religiosi o filosofici, ma di obiettività
scientifica.
In tale contesto nasce il Positivismo come metodo basato sull’osservazione scientifica dei fatti,
sulla comparazione e sulla sperimentazione nello studio del comportamento dell’uomo e della
società. La prospettiva positivista enfatizza l’idea che molti comportamenti siano una funzione
delle forze sociali esterne al di là del controllo individuale. Si ritiene che gli esseri umani siano
influenzati nelle loro azioni soprattutto da fattori culturali, sociali, biologici piuttosto che liberi di
agire secondo la loro volontà.
La scuola positiva criminologica oppone alla libera volontà, in reazione a quella classica, un
determinismo rigoroso: modellati dalla biologia e dalle circostanze sociali, gli uomini sono uniti da
somiglianze più o meno forti, rientrano in numerosi tipi, di cui ciascuno ha una tendenza
particolare verso la virtù o il vizio. Il compito centrale della teoria è identificare i tipi e di scoprire le
forze che li determinano. La libertà di scelta è quindi un’illusione, e il controllo della deviazione si
ottiene con misure “individuali”, che tengano conto delle caratteristiche di ogni tipo e delle
circostanze che lo condizionano.
I progressi della sociologia condizionano Quetelet e la sua scuola, e anche l’Italia; infatti Comte e il
positivismo ispirano la sistematica sociologia italiana. Il positivismo in criminologia trova un
terreno assai fertile, tanto che dà luogo alla produzione di una serie di opere di cultori di scienze di
diritto, biologiche o mediche. Tra questi ritroviamo Cesare Lombroso, il quale considera “i fatti
come delle cose” e volge attenzione e indagini sul fatto “crimine” con metodi da laboratorio o
ispirati a biologia e fisiologia. Si ha così una copiosa produzione che mira allo studio del delitto e
del suo autore come fatti. Vi è quindi un processo che porta, con il determinismo, alla negazione
del libero arbitrio.
I dissensi maggiori alla scuola positivista vennero da coloro che temevano un’attenuazione del
rigore penale e dai sostenitori del libero arbitrio, che vedevano nel determinismo il rischio
dell’indebolimento della responsabilità penale.
Lombroso affermava che:
La scuola classica:
 quando vede un fatto delittuoso va alla ricerca del responsabile e del grado di
responsabilità per fissarne la pena
 Prende di mira il delitto come entità giuridica
 Esorta gli uomini a conoscere la giustizia
La scuola positiva:
 va alla ricerca delle misure proprie per proteggere contro lui la società
 Prende di mira il criminale come entità psicologica
 Esorta la giustizia a conoscere gli uomini
Quindi la scuola positiva ha avuto un’importanza fondamentale e, come diceva Santoro, la ragione
della sua validità e forza è l’applicazione del metodo causale.
CESARE LOMBROSO
La posizione positivista viene riformulata dopo il 1870 da Cesare Lombroso (1865 – 1909), il quale
basava il suo principio sul ‘considerare i fatti come cose’, riprendendo Durkheim.
Lombroso descrisse il “delinquente nato”, il cui comportamento e la cui struttura corporea erano
manifestazione di un atavismo, a causa del quale riteneva di scorgere nel criminale il riemergere di
tratti caratteristici di uno stadio più primitivo dell’evoluzione biologica della razza.
La prima intuizione sulla personalità tipica del delinquente la ebbe nel 1864 quando, studiando i
soldati dell’esercito piemontese, notò l’abbondanza e oscenità dei tatuaggi del “soldato disonesto
in confronto all’onesto”.
Nel 1870 aprì il cranio del brigante Vilella, e fu colpito dalle anomalie riscontrate, tra cui l’esistenza
nell’occipite di una fossetta occipitale mediana, simile a quella che presentano gli animali inferiori.
Da qui nasce l’elaborazione teorica dell’atavismo, secondo cui le cosiddette “stimmate criminali”
fisiche più che causa del comportamento antisociale, rappresentano indicatori visibili di una
personalità primitiva e arretrata rispetto alla scala dell’evoluzione umana da Darwin.
Lombroso, inoltre, avviò una campagna per l’istituzione del manicomio criminale proprio sulla
considerazione che ‘un uomo costrutto diversamente dagli altri nell’organo del pensiero doveva
diversamente dagli altri essere responsabile delle sue azioni’. La necessità di realizzare il
manicomio criminale aveva anche l’altissimo scopo, aggiungeva, ‘di gettare alla chetichella la base
d’una riforma penale, in cui la pena non sia più una vendetta, ma una necessità di difesa’.
Nel corso degli anni la sua posizione si modificò, per lo più i reazione alle critiche. La limitazione
del “tipo criminale” ad una ristretta categoria di rei è avvenuta nel corso degli studi, tant’è che alla
fine i caratteri degenerativi furono anche morali: es. mancanza di senso morale, vanità, pigrizia,
crudeltà. Oltre al delinquente nato, Lombroso individuò anche il criminale alienato e l’alcoolista
(su base organico-dinamica) e il delinquente d’occasione (a causa delle condizioni sociali).
Lombroso si interessò anche di delitti economici e politici, mettendo in evidenza come le crisi
economiche avessero influenza nel nascere di rivolte e tumulti popolari. Inoltre, classificò il
truffatore comune e il politico come criminaloidi, che hanno i caratteri dell’uomo comune.
Un’altra delle critiche riguardò l’aver ignorato la donna che delinque e le sue caratteristiche. Così
Lombroso, insieme a Ferrero, scrisse “la donna delinquente, la prostituta e la donna normale”, in
cui sostenne che, se la criminalità femminile risultava molto minore rispetto alla maschile, ciò
derivava in parte dal fatto che essa aveva il suo equivalente nella prostituzione. La prostituta
veniva considerata una potenziale criminale, un’atavica che altrimenti sarebbe caduta nel delitto.
Oltre ad avere inferiorità bio-psichica rispetto all’uomo e alla donna normale, era anche perversa.
Gli ultimi anni Lombroso li dedicò a studiare l’ipnotismo e lo spiritismo. Il materiale di Lombroso
oggi è prevalentemente privo di valore in quanto le sue teorie si sono rivelate non sostenibili
(delinquente nato e atavismo).
Critiche a Lombroso:
 Agostino Gemelli
 Per Aschaffenburg, Lombroso percepisce con l’intuito del genio piuttosto che con un esame
accurato.
 Di recente, alcuni critici hanno sottolineato come Lombroso sia riuscito a cogliere per
opportunismo le linee di tendenza dell’ideologia dominante in Italia riguardo al tema
conformità-devianza.
 La borghesia lo incolpò di essere troppo “tenero” con i criminali, poiché assimilandoli ai
folli si rischiava di diminuire troppo le pene.
 Per alcuni studiosi il suo ossessivo esaminare ogni persona che possa turbare l’armonia
della società, ha reso le sue teorie funzionali al tipo di società.
 Per altri, dimostrerebbe la sue tendenza al razzismo e alla discriminazione, ma in realtà si
sono confuse le sue analisi con l’utilizzo strumentale che ne fecero gli ideologi della razza
durante fascismo/razzismo.

In seguito, biologia e psicologia hanno fatto in qualche modo rivivere la teoria dei criminali con
predisposizioni. Hooton individuò l’esistenza di certe caratteristiche anatomiche in un grande
numero di criminali posti a confronto con individui normali; la sue indagini sostennero che i
delinquenti erano biologicamente inferiori, a causa di fattori ereditari.
Il contributo di Lombroso fu importante perché costituì il più fecondo tentativo di studiare il
fenomeno della criminalità con il metodo dell’osservazione scientifica e perché affrontò il
problema del rapporto tra struttura corporea e comportamento. Egli sostenne che alcuni delitti
gravi fossero dovuti a caratteristiche innate in certi soggetti, i quali presentavano tratti morfologici
primitivi. Possiamo per questo ritenerlo il padre dell’antropologia criminale, consacrata come
scienza al I Congresso Internazionale (Roma, 1885). Di seguito riportiamo alcune delle
caratteristiche fisiche, corrispondenti alla popolazione meridionale dell’epoca, individuate da
Lombroso:
● mascella prominente;
● arti superiori lunghi;
● forti denti canini;
● vista acuta;
● orecchie a sventola con lobo allungato;
● poche linee sui palmi;
● labbra carnose;
● naso schiacciato.

Scuola positiva: Lombrosoesorta la giustizia a conoscere gli uomini. Prende di mira il criminale
come entità psicologica.
Scuola classica: BeccariaEsorta gli uomini a conoscere la giustizia. Prende di mira il delitto come
entità giuridica

ORIGINE DELLA POLIZIA SCIENTIFICA IN ITALIA


Grazie a Lombroso è stata avviata la prima Scuola di Polizia Scientifica, realizzata da uno dei suoi
allievi. La polizia scientifica italiana, o meglio la sua Scuola, nacque nel 1902 grazie a Salvatore
Ottolenghi (1861-1934), assistente di Lombroso e poi professore di medicina. Egli, all’idea
fondamentale della conoscenza dell’uomo, aggiunse quella dell’indagine giudiziaria, affermando
che si doveva basare sull’osservazione e sul ragionamento induttivo e, inoltre, doveva servirsi dei
saperi dell’antropologia, psicologia e medicina legale. Introdusse il portrait parlé di Bertillon, come
modello di metodo descrittivo per l’identificazione fisica, accettandone segnalamenti
antropometrici e integrandolo con gli aspetti antropologici, somatici e biografico-psicologici.
Inoltre:
 perfezionò i metodi già in uso per l’identificazione dattiloscopica preventiva e giudiziaria
 ideò il “cartellino segnaletico” che conteneva i 4 metodi di segnalamento: descrittivo,
fotografico, antropometrico e dattiloscopico.
Poi, sulla base degli studi positivisti sull’uomo delinquente, creò con i suoi allievi una “cartella
biografica”. Ci si domandò se si potesse giudicare sulla base del reato, sulla capacità a delinquere e
sulla pericolosità sociale senza conoscere a fondo il delinquente, e così la nuova cartella si
compose di 4 parti:
1. SEGNALETICA, riportava i dati raccolti nel “cartellino segnaletico”
2. e 3. BIOGRAFICHE, si suddividevano in due settori: relativo alle notizie sui reati e relativo
alle notizie sulla personalità del delinquente.
4.conteneva giudizi periodici, desunti da fatti, sui caratteri di criminalità
Ottolenghi creò anche il “ritratto parlato” del sopralluogo:
 svolto con criteri scientifici e da completare con le fotografie delle cose più rilevanti
 Aveva lo scopo di accertare le tracce di delitti e rei e di ricostruire la criminodinamica
 si basa sul criterio di osservare, conservare e fissare tutto ciò che presenta il luogo in cui si
indaga.
Tali operazioni venivano definite indagini dirette.

ENRICO FERRI E RAFFAELE GAROFALO


La sociologia criminale si preoccupò fin dall’inizio, oltre che di studiare i delinquenti, anche di
definire il crimine, cioè di studiare la società dal punto di vista dei fenomeni delittuosi che si
verificano e delle dinamiche dei gruppi in rapporto al delitto. Il suo scopo è quindi quello di
analizzare il versante sociale del comportamento deviante.
Enrico Ferri (1856 – 1929) la definì come uno “studio concreto del reato come azione umana,
come fatto naturale e sociale” cioè lo studio non solo del delitto in sé, come rapporto giuridico, ma
anche e prima dell’uomo delinquente. Quindi per lui si deve studiare il delitto prima come
fenomeno naturale e sociale e poi come fenomeno giuridico, rifacendosi anche a Ciceronesolo
dalla natura dell’uomo deriva la natura del diritto, non si può formulare una regola giusta, se non
quando si conosca prima l’uomo che lo ha commesso.
Anche per Colajanni la sociologia criminale era una scienza sintetica relativa allo studio del
delinquente, dell’ambiente della reazione e prevenzione sociale. La differenza con Ferri sta nel
fatto che per questo non si poteva considerare la sanzione penale come il rimedio più adatto sia
per i delitti punibili sia per le azioni antisociali o immorali.
Per Ferri i crimini hanno i loro determinanti sia nell’ambiente in cui vivono gli autori, sia nelle
condizioni biologiche degli individui stessi.
Formazione scientifica di Ferri: allievo di Ardigò, da cui appresa la filosofia positivista, si convinse
dell’importanza dei fatti e della biologia nello studio dei fenomeni sociali e del valore delle indagini
naturalistiche. Cresce e studia nella seconda metà del XIX secolo durante la quale ci furono il
trionfo della scienza e la sociologia che inizia a studiare scientificamente i fatti sociali secondo il
metodo naturalistico sono queste vedute scientifiche ad influenzare il suo modo di concepire la
criminalità.
Ferri negò il libero arbitrio e ricercò un diverso fondamento scientifico-sociologico all’imputabilità;
pose le basi della sua Sociologia criminale e dei Principii di diritto criminale (1928), nei quali vi è
una ricostruzione del sistema di difesa sociale contro la criminalità, intesa come necessità della
società di provvedere alla propria conservazione per cui la pena o il provvedimento di difesa
sociale è una forma di reazione difensiva contro l’azione che turba l’ordine.
Evidenziò 3 specie di fattori della criminalità:
1. individuali o antropo-psicologiche
2. ambientali in senso fisico-geografico
3. ambientali in senso sociale
Per dimostrare scientificamente la sua tesi studiò in Francia il movimento della delinquenza, e ne
derivò la formulazione di una “legge della saturazione criminosa”. In base a questa legge ogni
ambiente sociale e fisico in un dato momento storico ha una data forma e quantità di delitti, per i
quali i rimedi non sono le pene, ma il rimuoverne o ridurne le cause attraverso la prevenzione.
Talvolta poteva verificarsi una soprasaturazione criminosa perché:
-l’aumento dei reati principali porta con sé un maggior numero di oltraggi a pubblico ufficiale,
evasioni, ecc.
-alcuni delitti avevano i propri “delitti complementari” che divenivano un nuovo stimolo
Vi erano poi le soprasaturazioni “straordinarie e transitorie”, determinate da eventi come elezioni
politiche e colpi di stato.
Il concetto di sociologia criminale ha subito diverse formulazioni.
Ferri, nella prima stesura, la definì come una scienza sintetica, avente per oggetto lo studio del
delinquente dei delitti e dei mezzi di repressione e prevenzione. Precisò poi che si doveva basare
su dati scientifici di antropologia e statistica criminale. Sostenne la necessità di una scienza unica
per studiare cause, condizioni e rimedi dei fenomeni criminosi perché la separazione avrebbe
portato danni.
Uno dei meriti della Scuola Positiva consiste nel rafforzamento di una concezione sociologica del
delitto e l’accelerazione del processo di evoluzione del diritto penale che consentì di porre,
accanto allo studio del reato, quello del reo e della sua personalità.
Partendo dal concetto che il delinquente è sempre un’anomalia, Ferri fece una classificazione di 5
tipi di delinquenti, le cui caratteristiche essenziali necessitano di provvedimenti giuridici
differenziati:
1. il delinquente nato, con una tendenza congenita al delitto, cioè di natura costituzionale
(segregazione indeterminata)
2. il delinquente pazzo o con una grave anomalia psichica (manicomio criminale)
3. il delinquente abituale, con una tendenza acquisita al delitto (misure di igiene sociale e
colonia agricola)
4. il delinquente occasionale, che si fa trascinare dalle occasioni (risarcimento del danno e
lavori socialmente utili)
5. il delinquente passionale (esilio locale e risarcimento della vittima).
Il delitto viene inteso non solo come entità giuridica in quanto atto illecito, ma anche come
fenomeno umano e sociale definito dalla legge penale, legato a variabili socio-psicologiche e
ambientali.
Nasce così la formula ferriana in base alla quale la società si deve difendere dal delitto con il
diritto, che svolge una funzione di mediatore tra società e crimine. Il diritto penale è quindi lo
strumento per la lotta contro la criminalità, fenomeno sociale. Nel progetto di Codice penale del
1921 Ferri applicò le teorie della sociologia criminale con il concetto di responsabilità sociale,
perciò alla pena-espiazione si sostituisce la pena-difesa che diviene provvedimento di rieducazione
sociale, mezzo per prevenire rieducando. Presupposto dell’applicazione della sanzione deve essere
la pericolosità sociale, quindi la sanzione non può essere a termine fisso in quanto si deve adattare
alla personalità del delinquente e alla sua pericolosità criminale. Questo progetto non ebbe
seguito ma una parte è stata trasfusa nel Codice penale del 1930, tuttora vigente.

Occorre ricordare il contributo di Raffaele Garofalo (1851 – 1934), altro autorevole esponente
della Scuola Positivista italiana. Ad egli va riconosciuto il merito di aver per primo enunciato i
principi fondamentali giuridico-penali della Scuola Positiva, che si possono così riassumere:
 prevenzione speciale come funzione della repressione criminale, in aggiunta a quella
generale;
 prevalenza della prevenzione speciale sulla generale in caso di contrasto;
 pericolosità del reo (termine usato per la prima volta) come criterio e misura della
repressione.
Egli si propose, nella sua Criminologia, di pervenire, anziché alla descrizione antropologica e
sociologica del delinquente, ad una definizione obiettiva ed extra-giuridica del crimine. Garofalo
denominò l’atto criminoso come “delitto naturale”, cioè tale da valere indipendentemente dalle
legislazioni positive. Ciò che importa sottolineare e ribadire è che egli, dopo essersi posto il
problema di definire l’azione criminale, ne indicò una soluzione alternativa in termini extra-
giuridici, o meglio pre-giuridici. Il concetto del diritto naturale si fonda non sulla violazione dei
diritti, bensì su quella dei sentimenti morali più profondi, tanto che sostenne che la genesi del
delitto andasse rintracciata in un’anomalia del sentimento morale cui corrispondeva “la natura
organicamente anormale del delinquente”. Però non evidenziò la causa di questa anomalia, anche
se ebbe una certa preferenza per l’atavismo, in quanto il delinquente tipico, a suo dire, presentava
alcuni caratteri simili a quelli dei selvaggi e degli animali. Da ciò discende anche la sua concezione
della funzione della pena, aderente alla teoria della difesa sociale, ma sviluppata in termini di
adattamento, nel senso che “il mezzo penale dev’essere determinato dalla possibilità di
adattamento del reo, cioè a dire dall’esame delle condizioni di esistenza nelle quali può
presumersi che egli cessi di essere pericoloso”. Garofalo fu il primo a dare il titolo Criminologia a
quella disciplina che studia reati, rei e mezzi difensivi contro questi.
Si deve ai 3 fondatori della Scuola Positiva italiana, Lombroso con il determinismo biologico, Ferri
con il determinismo sociale e Garofalo con il determinismo morale, la nascita e l’evoluzione della
criminologia come nuova scienza. Agli inizi del Novecento l’Italia aveva il primato degli studi
antropologici e sociologici sulla criminalità, che perse negli anni successivi per 2 motivi:
opposizione del regime fascista alla rieducazione e recupero sociale del reo e alla prevenzione, e
l’ostilità della Chiesa Cattolica.

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