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UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET

ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF


BRUXELLES - BELGIQUE

THESE FINALE EN
“ART THERAPIE”

“YES, WE CAN”
Percorso di arte terapia all’interno
di un centro diurno psichiatrico

Relatore: Dr.ssa Pierangela Bonvicini Specializzando: Elisa Bioli


Matr. 2408

Bruxelles, ottobre 2010


ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATOUNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
ELISA BIOLI – SST IN ART THERAPIE - TERZO ANNO A.A. 2009 – 2010

Indice

Introduzione…………………………………………………………………………..……......2

1. Radici dell’arteterapia nella storia dell’arte……………………………………………......4

2. Artista, genio o follia?...........................................................................................................9

2.1 Concetto di creatività………………………………………….………………….12

3. Radici psicologiche dell’arteterapia………………………………………………………14

3.1 Modelli di riferimento delle arti terapie……………………………………….….15

3.2 Cos’è l’arteterapia…………………………………………….…………………..16

3.3 Fattori terapeutici…………………………………………....................................18

4. Arteterapia e sua applicazione con la psicosi………………………….………………….22

4.1 Teorie sulla psicosi…………………………………………………..……………22

4.2 Arteterapia e psicosi………………………………………....................................24

4.3 Funzioni dell’arteterapeuta………………………………………….……………29

4.4 Esiti dell’arteterapia……………………………………………….……………...30

5. Setting…………………………………………………………………………………….31

6. Relazione tra emozioni, funzioni cognitive, immagini, terapia…………………………..33

7. Attività di project work.…………………………………………………………………..36

8. Bibliografia……………………………………………………………………………….71

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Introduzione

E’ impossibile spiegare un dipinto. La vera ragione che ci ha


indotto a dipingerlo è l’impossibilità a spiegarsi in qualunque
altro modo.

Edward Munch.

L’arteterapia permette, a chi la pratica, di spiegarsi senza usare le parole, consente alle
persone di dire, tramite le immagini, quello che non riescono ad esprimere in altro modo. Le
emozioni e le sensazioni più profonde trovano una via di uscita, qualunque sia la loro natura.

Le emozioni fanno parte della vita, della vita normale e della vita psicotica, ogni giorno le
viviamo e le riconosciamo negli altri, sia in quelli che stanno bene, sia in chi soffre (Borgna) 1.

Osservando un’opera d’arte, chiunque sia l’autore, si costituisce tra l’artista ed il fruitore, una
sorta di dialogo, un campo emotivo comune. Il fruitore sente le emozioni evocate nell’opera
d’arte e le collega inevitabilmente alle proprie esperienze, alla propria storia personale.

L’opera d’arte riporta la persona ad esperienze emotive già vissute.

Questo legame tra arte, emozioni e terapia, fa parte del processo arte terapeutico. Chi produce
l’opera lo fa entrando in contatto con le proprie emozioni, che vengono espresse attraverso
l’immagine, chi fruisce dell’opera, in questo caso l’arteterapeuta ed il gruppo, accolgono le
emozioni espresse, le collegano alle loro e le restituiscono all’autore, che può interiorizzarle
in una nuova forma, arricchite di contenuti e significati.

In questa tesi cerco di indagare i collegamenti tra arte, emozioni e terapia, in particolare
ricercandoli nel mondo del disagio psichico, della psicosi, con cui, per motivi lavorativi mi
confronto quotidianamente e che mi affascina.

1
Borgna E., “Le emozioni ferite”, 2009, Feltrinelli, Milano.

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Nel primo capitolo ripercorro brevemente la storia dell’arte ricercando in essa gli elementi che
saranno le basi delle arti terapie; il secondo capitolo riguarda il legame che nella storia e nella
letteratura ha legato il genio alla follia.

Il terzo capitolo riassume i fondamenti teorici dell’arteterapia, ed il quarto la mette in


relazione con la psicosi.

Nel quinto capitolo descrivo le caratteristiche e l’importanza del setting, e nel sesto cerco le
connessioni tra le emozioni, le immagini e la terapia.

Il settimo capitolo è dedicato alla descrizione della mia attività di tirocinio, e l’ottavo capitolo
riporta le referenze bibliografiche utilizzate per la stesura della tesi.

Il titolo fa riferimento ad una frase che mi ha colpito detta da una paziente durante il primo
incontro, era una esortazione di incoraggiamento rivolta sia a lei che alle altre persone
presenti, era il suo auspicio per sé stessa che dopo pochi giorni sarebbe stata dimessa.

Mi auguro che l’unica seduta di arte terapia a cui ha partecipato abbia rafforzato in lei la
convinzione di “farcela”.

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1. Radici dell’arteterapia nella storia dell’arte

Fino all’ottocento, con l’avvento del movimento romantico, l’arte è stata influenzata dai
modelli greco-romani e dal classicismo.

Con il romanticismo il valore assoluto ed indiscutibile delle regole classiche viene sostituito
dalla libera creatività del pensiero umano individuale, l’opera d’arte diventa espressione del
sentimento soggettivo, che è transitorio e relativo ad un momento irripetibile.

Di conseguenza l’artista non è più semplicemente un esecutore dei desideri del committente
che deve seguire regole ben precise, ma diventa il libero creatore di un’opera che è
espressione solo del suo impulso istintivo.

L’opera d’arte, nascendo dal sentimento, rende visibile tutto quello che ognuno sente dentro
di sé ma che non riesce ad esprimere con chiarezza.

Questa idea è definita dal concetto romantico di “genio”: l’opera d’arte non è più frutto dell’
intelligenza, ma dell’intuito o del “genio”.

Kant, nella Critica del giudizio, afferma che “il genio è il talento di produrre ciò per cui non
si può dare nessuna regola determinata, non l’abilità a ciò che può apprendersi secondo una
regola; che insomma è l’originalità la sua prima qualità” e ancora che “ l’autore di un
prodotto dovuto al suo genio non sa come in lui se ne trovano le idee” 2, quindi al genio non
possono essere imposte leggi esterne, e il genio è caratterizzato da idee ricche di fantasia che
si sono formate nella sua mente e non da scoperte che possono venire da studi, riflessioni e
ricerche effettuate secondo regole stabilite.

Dall’impressionismo (1870 - 1880) deriva il problema del rapporto con la realtà, la quale non
è più percepita per frammenti isolati e definiti, ma nella sua totalità e continuità, ogni oggetto
è inserito in un contesto generale ed ogni persona lo percepisce in modo diverso, poiché
ognuno ha un proprio mondo interiore in base al quale decodifica la realtà che percepisce.

2
Kant I., Critica del giudizio, 1790.

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Negli ultimi decenni dell’800, si afferma la corrente letteraria del simbolismo, a cui si
accostano molti pittori, come Gauguin e Van Gogh.

Il loro tentativo è di superare la rappresentazione dell’oggetto esterno per sostituirla con


l’espressione del proprio “io”. I temi sono quelli presi dalla realtà, ma trasfigurata secondo i
loro sentimenti, il dipinto diventa una libera espressione di sé stessi, essi rifiutano la pittura
come mezzo per rendere l’illusione del vero, accentuano le linee ed i colori che hanno
maggiormente suscitato la loro reazione emotiva.

Gaugain abbandona gradualmente la resa della realtà per interpretarla liberamente


esprimendosi attraverso linee e colori a cui attribuisce significati, mentre Van Gogh in ogni
rappresentazione di una qualsiasi veduta paesana esprime un suo stato d’animo legato a quel
momento.

Con l’inizio del nuovo secolo si afferma la corrente artistica dell’espressionismo, che
raggruppa opere in cui si intende esprimere il sentimento individuale dell’artista piuttosto che
rappresentare oggettivamente la realtà. Essa viene deformata coscientemente affinché sia
evidente che quello che è rappresentato sulla tela non è la riproduzione di un oggetto come
appare ma come lo sente l’autore, il quale proietta in esso la propria vita interiore. Lo
spettatore è coinvolto ed emozionato, l’obiettivo è di provocare in lui una reazione
psicologica violenta.

Le posizioni dell’espressionismo vengono estremizzate con l’astrattismo, in cui si ha il


completo capovolgimento della concezione dell’arte come imitatrice della realtà.

Se l’arte non è più rappresentazione del mondo esteriore, ma solo esplicitazione di quello
intimo, anche se originato ed influenzato da ciò che ci circonda, non bisogna limitarsi a
proiettare la nostra vita interiore negli oggetti reali dipinti, ma abolirli completamente,
visualizzando con forme, linee, colori i sentimenti che abitano dentro ogni persona, agendo
psicologicamente sull’inconscio dello spettatore attraverso il suo occhio, così come il
musicista agisce sull’inconscio dell’ascoltatore attraverso l’udito e la combinazione delle
note.

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Tra i maggiori esponenti di questa corrente artistica abbiamo Vasilij Kandinskij e Paul Klee.
Kandinskij 3, dipinge quella che si può definire la prima opera astratta. Nel trattato
“L’elemento spirituale dell’arte” (1912), affronta i problemi del rapporto tra musica e pittura e
tra forma e colore. Egli dà molta importanza al valore simbolico dei colori a cui attribuisce il
potere di suscitare reazioni psicologiche e che associa non solo con i suoni ma anche con i
sensi, i pensieri, le azioni, organizzandoli in modo corrispondente al loro grado di intensità. Il
suo obiettivo era di far percepire sensazioni uditive in accordo con determinati colori, la
fusione perfetta tra suono e colore.

Ad esempio il blu è il colore dell’approfondimento che richiama il cielo e la tendenza verso


l’infinito ed è associato al suono del violoncello, il giallo è inquieto, eccitante e suona come
una tromba, il rosso è ardente, è il dolore e sono gli ottoni, il verde è quieto, indifferente e si
esprime con i violini. Inoltre ad ogni colore associa delle forme geometriche, l’angolo acuto
con il giallo, il quadrato e l’angolo retto con il rosso, il cerchio e l’angolo ottuso con il blu,
insistendo sui contenuti interiori che devono comunicare.

La pittura di Klee trasforma il reale, l’oggetto che ha visto gli suggerisce, per associazione,
una forma nuova che non è la sua riproduzione ma che nasce da dentro, l’artista riceve
dall’esterno il visibile e trasmette dall’interno l’invisibile, nella sua opera c’è uno spunto
tratto dalla realtà esteriore che conferma l’idea che l’uomo non può immaginare niente che
non esista già in natura.

Dal 1910 gli artisti entrano in contatto con i diversi rappresentanti della psicologia moderna,
in particolare con Freud e scoprono il potere del sogno ed i dedali dell’inconscio. Nel 1924 lo
scrittore francese Andrè Breton 4, pubblica il “Manifesto del surrealismo”, in cui spiega il
significato del movimento.

Il surrealismo è il tentativo di esprimere l’io interiore in piena libertà, come è realmente, senza
l’intervento della ragione che attua meccanismi inibitori dovuti agli insegnamenti che
riceviamo dalla nascita e ci condiziona obbligandoci a reprimere istinti e sentimenti, a
nasconderli apparendo come la società richiede di essere. Per fare ciò occorre lasciarsi guidare

3
Kandinskij V., “Lo spirituale nell’arte”, 2005, Se, Milano.
4
Breton A., “Manifesto del surrealismo”, 1924.

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dall’inconscio, come nei sogni. Attraverso l’automatismo psichico essi cercano di scoprire il
meccanismo con cui funziona l’inconscio, non solo durante il sonno ma anche durante la
veglia, lasciano cioè che un’idea segua l’altra senza la logica del ragionamento consueto, ma
automaticamente: una parola ce ne fa venire in mente un’altra completamente diversa, e lo
stesso vale per una forma, una luce, un colore, in un concatenamento inarrestabile. Le
immagini che vengono proiettate all’esterno possono essere sia trasfigurazioni di quelle reali
che creazioni libere.

L’artista è ancora il “genio” che crea per ispirazione, che intuisce, che sente, si ha
l’esaltazione dell’immaginazione e la comprensione dello stato del folle, che, come dimostra
la raccolta Prinzhorn del 1922 di opere di internati nei manicomi, può anche essere artista ed
esprimere attraverso il disegno la sua immaginazione.

Tra i maggiori esponenti Mirò, Dalì, Magritte.

L’idea che la fonte dell’arte si possa trovare nell’inconscio, colpisce i pittori americani del
secondo dopoguerra, i quali scelgono di abbandonare ogni forma precostituita, i sentimenti
possono essere espressi solo attraverso linee e colori liberamente fusi od accostati all’infuori
dell’ordine razionale. Per fare ciò bisogna dipingere velocemente, seguendo l’impulso, su
superfici vaste, con movimenti rapidi, l’azione coinvolge non solo la mano ed il braccio ma
tutto il corpo. A questa corrente artistica viene dato il nome di espressionismo astratto o
action painting.

Tra i maggiori esponenti troviamo Jackson Pollock, il quale abbandona l’uso del pennello
preferendo usare bastoncini o il gocciolamento, per limitare il controllo della mano e quindi
della mente, sul risultato finale. Le azioni devono essere istintive e non preventivamente
meditate.

Si torna alla tesi romantica del ”genio” che crea liberamente, per ispirazione improvvisa,
come espressione personale.

Per trovare raffronti con l’arte terapia, in questa catena di correnti artistiche che parte dal
romanticismo e si conclude con il surrealismo, si può notare che nel romanticismo ci sono i
primi segni dell’ascolto di sé stessi, l’opera d’arte è espressione del sentimento che prova in
quel momento chi la produce. Dall’impressionismo deriva il concetto di “contesto” in cui va

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inserita la realtà e quindi la persona che la vive, con l’espressionismo e Van Gogh si lega
l’opera al “qui ed ora” in cui viene prodotta, il dipinto esprime il sentimento del momento in
cui viene prodotta.

Con il simbolismo e l’astrattismo si attribuiscono significati a forme e colori ed alla relazione


tra di loro, e si cerca di favorire sempre di più l’espressione dell’io dell’artista, così come
nell’opera di Kandinskij, anche in arte terapia l’astrattezza del segno, l’apparente non-
rappresentatività, manifesta il contenuto interiore dell’individuo.

Inoltre Kandinskij 5 teorizza l’importanza del rapporto cinestesico suono – colore, in cui i
suoni possono essere percepiti visivamente ed i colori possono essere ascoltati attraverso la
musica. L’attivazione della sinestesia, cioè la percezione simultanea dovuta all’attivazione di
più canali percettivi da una unica fonte che si ha durante il processo creativo, è uno degli
elementi base dell’ arte terapia, e parte integrante del processo terapeutico.

Con il surrealismo, infine, si ha la totale e libera espressione dell’io dell’artista, la realtà si


trasforma seguendo l’inconscio e gli oggetti perdono la loro funzione originaria, per essere
“letti” secondo la sensibilità, l’immaginazione e le conoscenze di chi guarda. Nella lettura di
queste opere si cerca di rintracciare elementi della realtà, da cui deriva l’idea, teorizzata da
Bateson 6, che ognuno riconosce ed apprende solo ciò che conosce, in base alle sue premesse
epistemologiche.

5
Kandinskij V., “Lo spirituale nell’arte”, 2005, Se, Milano.
6
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, 1977, Adelphi, Milano.

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2. Artista, genio o follia?

Fin dall’antichità si è dibattuto se l’artista fosse o meno un folle, quanto la follia abbia
influenzato certi artisti e se i folli possono essere artisti.

Specie nel campo dell’arte, la storia insegna che i confini tra genio e follia sono molto labili,
ed i due aspetti uniti nel creare capolavori.

Già Aristotele 7, nel suo celebre trattato Problema XXX, si chiede perché gli uomini
d’eccezione siano così malinconici, sollevando il problema del legame tra genio e follia.

Egli sosteneva che la malinconia fosse causata dalla “bile nera” e la sua maggiore o minore
concentrazione determinasse una “malinconia al più alto livello” o degli “esseri d’eccezione”.

Questa idea rimarrà immutata nei secoli e si ritroverà negli scritti di tutti i commentatori del
pensiero classico, da Cicerone a Seneca a Plutarco, tanto che un proverbio latino recita: ”non
vi è grande ingegno senza un grano di follia”.

Nel 1500, Vasari 8 decretava l’accettabilità o meno della follia dell’artista in base al valore
estetico dell’opera prodotta, se l’autore era da lui ritenuto un grande artista anche la sua
eccentricità diventava accettabile.

Nel XVIII secolo Diderot 9 nell’Encyclopedie accomuna nuovamente il genio alla follia
affermando che le due entità si toccano da vicino tra di loro ed ancora i primi psichiatri del
XIX secolo ripropongono la tesi di un rapporto intimo tra genio e follia, portando come
conferma casi clinici. Tra loro troviamo Esquirol, che partecipò insieme al suo maestro Pinel
alla liberazione dei matti dalle catene ed alla creazione del trattamento morale, in cui veniva
favorita l’espressione con mezzi artistici del malato di mente.

Cesare Lombroso compì in quegli anni studi di medicina sociale, dedicandosi alle autopsie di
delinquenti e malati per cercare anomalie strutturali nel loro cervello, ed è ritenuto il
fondatore dell’antropologia criminale.

7
www.valtelesinanews.com
8
Sgarbi V., in “Arte, genio, follia il giorno e la notte dell’artista”, 2009 catalogo della mostra, Mazzotta, Milano.
9
www.prodigio.it

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Egli, in base ai suoi studi e riallacciandosi alla dottrina di Galton sulla criminalità innata e
biologicamente condizionata, sostenne che le condotte atipiche del delinquente o del genio
sono condizionate, oltre che da componenti ambientali socioeconomiche, di cui però non
riconosce il vero peso, da fattori indipendenti dalla volontà, come l’ereditarietà e le malattie
nervose, che diminuiscono la responsabilità del criminale in quanto malato, rendendolo anche
inguaribile.

In Genio e follia (1864) Lombroso 10 sostenne che le caratteristiche degli uomini di genio
vanno ricercate nella loro anormalità psichica, che la follia sviluppa la creatività poiché lascia
libera la fantasia e permette di creare cose che una mente troppo razionale avendo maggiori
difese non potrebbe concepire. In questa epoca si diffonde la psicopatologia dell’espressione,
ovvero la ricerca nelle opere dei segni della malattia, della degenerazione mentale di chi le ha
prodotte. Quest'opera fu considerata un classico della scienza.

Il secolo si chiude con l’idea dello stretto legame esistente tra genio e follia.

Jaspers 11, nel 1922, in un saggio, si chiede quanto incida come “elemento propulsore” il
processo schizofrenico nella creazione di un’opera e quanto di tipicamente schizofrenico si
trovi nell’opera stessa. Egli fa parte di quella tradizione psichiatrica che attribuisce al
processo psicotico una sorta di plus alla funzione creativa, qualunque sia la patologia presa in
esame, contribuendo a rafforzare ed in taluni casi esaltare le qualità espressive.

La stessa teoria venne accolta da Prinzhorn 12, che sostenne che in alcuni casi di schizofrenia
si ha un potenziamento della capacità di figurazione e messa in forma, portando come
esempio artisti come Van Gogh.

Alle volte però i grandi artisti sono stati considerati folli solo perché diversi dagli altri, con
comportamenti insoliti diversi da tutti i loro contemporanei. Il rifiuto delle convenzioni è una

caratteristica di numerosi artisti, pittori, scrittori, poeti che non si conformano al mondo che li
circonda, come Socrate o Proust o Dalì.

10
Lombroso C., “Genio e follia”, 1864.
11
Jaspers K., “Genio e follia”, 2002, Cortina Editori, Milano.
12
Prinzhorn H., “L’arte dei folli”, 2004, Mimesis, Milano.

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Non è stato comunque mai dimostrato nessun nesso di causalità diretta tra le difficoltà
psichiche e la genialità ed alcuni autori ipotizzano che il genio e la follia siano espressione di
una stessa struttura della personalità. È evidente però che la follia influenza il genio
partecipando ed influenzando la creazione ed il genio rende la follia più accettabile, come nel
caso di artisti come Van Gogh e Munch.

Il primo a considerare il valore artistico delle opere degli schizofrenici è stato lo psichiatra
svizzero Walter Morgenthaler 13, in un saggio del 1921 consacra, elevando le sue opere al
rango di opere d’arte, la produzione artistica di un uomo ricoverato in manicomio da più di
vent’anni, restituendogli un nome, una storia, una dignità.

Nel 1945 l’artista francese Jean Dubuffet 14 conia il termine “art brut” per indicare la
produzione artistica di persone che sono sfuggite al condizionamento culturale ed al
conformismo sociale: solitari, disadattati, internati in ospedali psichiatrici, detenuti,
emarginati di ogni tipo che hanno prodotto opere al di fuori dei luoghi di sapere e delle
accademie.

Egli visita gli atelier degli ospedali psichiatrici raccogliendo le opere che gli permettono di
aprire il museo di Losanna, dedicato a quella che oggi viene definita arte “outsider”.

Dubuffet cerca, fin dall’inizio, di affermare il valore artistico di queste opere, che fino a quel
momento erano considerate come casi di psicopatologia dell’espressione. Egli, nel presentare
la sua collezione, elimina ogni riferimento alla patologia del creatore, considerando solo gli
aspetti formali e stilistici della creazione. L’arte prodotta dai “matti” viene paragonata a
quella infantile ed a quella primitiva delle pitture rupestri.

In Italia, il primo atelier nacque nel manicomio di Verona, dove era rinchiuso Carlo Zinelli, il
quale, scoperto da Andreoli, divenne uno dei rappresentanti italiani dell’art brut.

Secondo Andreoli 15, l’art brut ha ridefinito i rapporti tra arte e follia, rendendo la seconda
compatibile con la creatività.

13
Morgenthaler W., “Arte e follia in Adolf Wolfli”, 2007, Alet, Padova.
14
Dubuffet J., “I valori selvaggi. Prospectus e altri scritti”, 1982, Feltrinelli, Milano.
15
Andreoli V., “I miei matti”, 2004, Rizzoli, Milano.

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Per essere un artista non è necessario essere folli, ma si è capito che la creazione artistica non
riguarda solo i sani di mente, e le opere possono essere valutate in base al loro valore a
prescindere dalla sanità o meno di chi le ha prodotte.

2.1 Concetto di creatività

La creatività diventa una caratteristica attribuibile anche a chi soffre di disturbi psichici,
nonostante le limitazioni imposte dalla malattia e dall’uso di psicofarmaci.

Secondo lo psicanalista austriaco Ernst Kris 16, la differenza principale tra il processo creativo
dello psicotico e dell’artista riguarda la possibilità, da parte dell’artista, di controllare il
processo. La regressione che si manifesta durante l’atto creativo è intenzionale e controllata,
al servizio dell’io di chi la sta esercitando, l’artista non risulta prigioniero delle forze
regressive che si trovano dentro di lui.

Secondo Winnicott 17, sia il bambino che l’adulto sono liberi di essere creativi solo nel gioco,
ed è nel gioco e nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé. Questo perché il gioco
avviene in quell’area comune tra terapeuta e paziente in cui si sviluppa la comunicazione, in
cui la persona può rilassarsi, ed in cui la creatività viene rispecchiata dal terapeuta,
permettendo all’individuo di ritrovarsi e postulare l’esistenza di sé.

La creatività è intesa da Winnicott 18 come una modalità di guardare il mondo esterno,


appartiene al fatto di essere vivi, al percepire che sottointende l’esistere della persona.

Essa è legata alla parte sana dell’individuo e non viene completamente distrutta dalla malattia,
rimane anche se nascosta, generando una vita segreta soddisfacente, in quanto espressione
creativa di quella persona.

Benedetti 19 afferma che poiché pensando alla creatività viene in mente la produttività e la
capacità di dare forma ai propri prodotti, questa dovrebbe mancare nello psicotico, in quanto

16
Kris E., “Ricerche psicoanalitiche sull’arte”, 1988, Einaudi, Torino.
17
Winnicott D., “Gioco e realtà”, 1974, Armando, Roma.
18
Ibidem.

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nella psicosi si ha la perdita della capacità di dare forma, ordine ed organizzazione alle attività
dell’Io.

Egli osserva però che la malattia sembra distruggere più facilmente l’attività verbale che non
la capacità di creare immagini, le quali sono il fondo archetipico che resiste al processo
schizofrenico.

Egli sostiene che la creatività si manifesta nella relazione tra paziente e terapeuta e l’uso di
immagini concrete nasce dai vissuti terapeutici, dall’attivazione della comunicazione e
comunione all’interno della relazione.

19
Benedetti G., “Paziente e terapeuta nell’esperienza psicotica”, 1991, Bollati Boringhieri, Torino.

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3. Radici psicologiche dell’arteterapia

Da sempre l’arte è considerata una forma di comunicazione importante che riesce ad arrivare
dove le parole non riescono.

Proprio per questa sua peculiarità l’arte è stata spesso oggetto di interesse per molti studiosi
nel campo della psicologia a cominciare da Freud 20.

Egli definisce l’artista come “uomo che si distacca dalla realtà poiché non riesce ad adattarsi
alla rinuncia al soddisfacimento pulsionale che la realtà inizialmente esige e lascia che i suoi
desideri di amore e di gloria si realizzino nella vita della fantasia”. L’artista, cioè, “trasforma
le sue fantasie in una creazione artistica invece che in sintomi”. Per cui, il prodotto artistico
per Freud 21 si rivela specchio del mondo interno del soggetto, delle sue strutture e dei suoi
processi psichici e la creazione artistica diventa materiale di interpretazione per l’analista. In
questa visione l’attenzione è rivolta verso il prodotto finale più che sul processo di creazione,
in una concezione patologica dell’arte.

Da un’ottica molto diversa, anche Jung 22 ha parlato di arte come un mezzo per contattare ed
esprimere le immagini appartenenti all’inconscio. A differenza di Freud, però, Jung 23 (1966)
porta l’attenzione sul processo creativo che consiste, a suo parere, nell’attivare le immagini
archetipe inconsce, rielaborarle e tramutarle in un prodotto finito. L’artista è dunque colui che
traduce le immagini archetipe che derivano dal profondo inconscio nel linguaggio del
presente, rendendole così comprensibili a tutti. A partire dalla sua teoria degli archetipi e dal
concetto di inconscio collettivo – e ben lontano dalla concezione patologica di Freud – Jung24
attribuisce, dunque, all’arte un valore sociale.

Del valore sociale dell’arte, in quanto mezzo fondamentale di comunicazione in cui le


emozioni individuali diventano generali e collettive, ha parlato anche Vygotskij 25.

20
Freud S., “Opere”, 1980, Bollati Boringhieri, Torino.
21
Ibidem.
22
Jung C.G., “Opere, Vol 19\1: Bibliografia generale”, 1998, Bollati Borighieri, Torino.
23
Ibidem.
24
Ibidem.
25
Vigotskij L., “Psicologia dell’arte”, 1972, Editori Riuniti, Roma.

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Egli ha inoltre trattato il concetto di creatività e di immaginazione, ritenuti due momenti


integranti e indispensabili ad una corretta conoscenza della realtà. La creatività stimola la
ricerca di nuove soluzioni ed il cambiamento, dunque l’espressione artistica non è più una
fuga dalla realtà, bensì ne diventa uno strumento di conoscenza fondamentale.

3.1 Modelli di riferimento delle arti terapie

I modelli di riferimento delle arti terapie vengono dalla psicoanalisi, dalla psicologia
relazionale, cognitiva e dalla psicodinamica.

Dal modello psicanalitico viene l’idea che attraverso la creazione artistica si possano
manifestare i contenuti interni dell’individuo trasformandoli in immagini ed in oggetti reali,
quindi l’obiettivo primario è l’espressione del proprio vissuto interiore. Il fattore principale è
il legame che si stabilisce tra la vita interiore dell’autore ed il suo prodotto.

Secondo l’ottica fenomenologica, la produzione artistica è legata alla relazione tra il soggetto
ed il mondo circostante, quindi alla base dell’intervento terapeutico si trovano la reciprocità,
l’identificazione vicendevole, la condivisione e la creazione di simboli comuni, l’interesse si
sposta verso le relazioni e verso la scoperta di un mondo comune che permetta di superare la
solitudine e di includere l’altro.

L’approccio sistemico - relazionale pone l’attenzione all’insieme delle relazioni che


l’individuo crea interagendo con l’ambiente e con gli altri, passando da una visione lineare e
positivista ad una visione circolare e costruttivista della realtà che deve essere considerata e
presa in carico nella sua complessità. In quest’ottica è il contesto, fatto dalle relazioni e dalle
comunicazioni, a dare senso al comportamento ed anche al sintomo della persona che diventa
espressione del contesto. Secondo Bateson 26, il contesto deve essere considerato la matrice
dei significati. Un altro elemento che caratterizza questo approccio è il passaggio da una

26
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, 1977, Adelphi, Milano.

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lettura lineare degli eventi (causa-effetto) ad una circolare e retroattiva che si basa sul
calibrare le

nuove comunicazioni sui feedback che si ricevono e ragionare in una ottica di complessità.
Alla costruzione della realtà partecipa anche il terapeuta, il quale è parte attiva del processo e
non può più essere considerato un osservatore esterno non influenzante.

3.2 Cos’è l’arteterapia

Con arte terapia si intende l’uso delle arti (pittura, scultura, musica, danza, teatro,
narrazione…) e di altri processi creativi per promuovere la salute e favorire la guarigione
(Warren) 27.

L’uso dell’arte come terapia è molto antico, sembra che già gli antichi egizi incoraggiassero le
persone affette da disturbi mentali a perseguire interessi artisti, i greci usavano il teatro e la
musica come strumento catartico per liberare le emozioni represse, gli sciamani mescolano
musica e danza nelle loro pratiche di guarigione.

La storia scientifica dell’arteterapia inizia quando il rapporto tra arte e terapia cessa di essere
occasionale ed è inserito all’interno di un contesto e di una situazione terapeutica definita
(Caterina) 28.

I principi base dell’arteterapia sono:

- presenza di un ambiente relazionale

- uso di materiali artistici come mediatori

- attivazione del processo creativo

- uso e attivazione di risorse emotive e relazionali.

Alla base dell’arteterapia c’è l’idea che ognuno abbia il diritto di esprimersi e di lasciare la
propria impronta creativa, producendo qualcosa che solo lui è in grado di fare e questa spinta
27
Warren B., “Arteterapia in educazione e riabilitazione”, 1995, Erickson, Trento.
28
Caterina R., “Che cosa sono le arti-terapie”, 2005, Carocci, Roma.

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creatrice si trova nella parte sana dell’individuo, e l’esternarla dandole una forma permette
alla persona di affermare la propria esistenza (Warren) 29.

L’arteterapia, utilizzando il “fare attivo” creativo – espressivo, stimola, nella persona


psicologicamente sana o malata, particolari modalità cognitive che agiscono su processi di
pensiero (Alessandrini) 30.

Attraverso l’uso dei materiali artistici, permette a chi la pratica di dare forma ad emozioni
inespresse esternando i propri vissuti emotivi. Attraverso l’arte i sentimenti e le emozioni
vengono oggettivati, si ha la possibilità di far emergere l’esperienza interiore per riconoscerla,
condividerla, trasformarla ed interiorizzarla nuovamente.

Non si compie analisi del profondo, ma si cerca di promuovere la riscoperta di emozioni


nascoste e dimenticate, offrendo un contenitore che possa assorbire tristezza e dolore.

L’arte terapia può essere utile per rianimare situazioni psicologiche irrigidite e per consentire
di proseguire verso quelle trasformazioni ed evoluzioni che facilitano i cambiamenti profondi.

Non è importante la qualità estetica del prodotto finito, ma l’attivazione del processo creativo.

Il processo creativo è connesso con il processo terapeutico in quanto processo di elaborazione


e trasformazione della propria esperienza.

Esso avviene per lo più nel preconscio ed ha a che fare con tutto quello che succede
all’interno della stanza di arte terapia, con quello che proviamo, le nostre sensazioni, con i
materiali scelti e con l’immagine creata, non si può controllare né determinarne il risultato, si
può solo attivare e descrivere.

L’arteterapeuta deve quindi porre molta attenzione a tutto ciò che accade nell’hic et nunc
della seduta, per valutare l’efficacia della sua proposta.

Il processo creativo si attiva attraverso l’interazione di quattro elementi: l’ascolto interno e


l’immaginazione che permettono di entrare in contatto con sé stessi e trovare l’immagine e la
spontaneità e la produttività che permettono la costruzione dell’immagine.

29
Warren B., “Arteterapia in educazione e riabilitazione”, 1995, Erickson, Trento.
30
Alessandrini M., Le terapie espressive: una via per la scoperta e l’utilizzo dei fattori terapeutici nascosti,
2008.

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Il fare concreto e la presenza di stimoli sensoriali permettono l’attivazione di processi


sinestesici che possono attivare connessioni che riattivano il processo creativo.

Il setting dell’arteterapia è di tipo triangolare o tri-polare (Luzzatto) 31, in quanto oltre al


paziente ed al terapeuta è presente anche l’immagine, attraverso cui si attiva la comunicazione
tra paziente e terapeuta. Insieme all’arteterapeuta si può parlare di come l’immagine è emersa,
come fa sentire chi la guarda, quale significato può avere e quali immagini possono seguire.

La presenza dell’immagine fa emergere tre dimensioni comunicative (Luzzatto) 32:

- la dimensione espressivo - creativa che si basa sul dialogo tra la persona e il suo prodotto,
è per lo più di tipo non verbale e consente l’espressione del mondo interiore attraverso le
immagini;

- la dimensione simbolico - cognitiva si basa sul dialogo tra paziente ed arte terapeuta
attraverso l’immagine, e favorisce l’elaborazione delle emozioni espresse attraverso le
immagini simboliche o collegate ad esse;

- la dimensione interattivo - analitica si ha nella comunicazione diretta e prevalentemente


verbale tra paziente e terapeuta, e può essere o no riferita all’immagine prodotta.

Il setting triangolare permette al paziente di attivare un doppio transfert, sull’immagine e sul


terapeuta, in cui le emozioni proiettate possono anche essere divergenti e di conseguenza si
attiva anche un doppio controtransfert.

3.3 Fattori terapeutici

La Luzzatto 33, in una ottica psicodinamica, seguendo la divisione proposta da Hermann 34


(1990), divide la Metodologia dell’Espressione (o acquisizione di materiale psichico), dalla
Metodologia dell’Elaborazione (elaborazione del materiale psichico acquisito) e propone un

31
Caboara Luzzatto P., “Arteterapia, una guida al lavoro simbolico per l’espressione e l’elaborazione del mondo
interno”, 2009, Cittadella Editrice, Assisi.
32
Ibidem.
33
Ibidem.

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suo decalogo per il lavoro simbolico, con cui individua gli strumenti terapeutici specifici
dell’arteterapia.

Questi strumenti sono distinti ma si intrecciano nella pratica, si possono variamente


combinare nell’intervento, hanno ciascuno vari livelli di profondità e non devono essere usati
in ordine cronologico.

Il decalogo dell’arteterapeuta da lei elaborato comprende:

Metodologia dell’Espressione:

- concentrazione: favorire uno stato mentale di calma e benessere, attraverso il silenzio,


l’uso dei materiali artistici e la concentrazione sul sé;

- comunicazione concreta: rispettare l’immagine concreta non simbolica;

- catarsi protetta: offrire la possibilità di esternalizzare il proprio vissuto, anche di negatività


e sofferenza, in una modalità non verbale, liberatoria e protetta;

- creatività: stimolare il processo creativo attraverso l’uso dei materiali, caratterizzato da


spontaneità, energia, materiale inconscio, nuovi significati;

- comunicazione simbolica: aiutare l’emergere di immagini che siano simboliche del mondo
interno del paziente, ed il passaggio dalle immagini concrete a quelle simboliche;

Metodologia dell’Elaborazione:

- contenimento: si attua attraverso il setting, l’immagine e la mente del terapeuta, per ricevere
i messaggi della persona, armonizzare gli opposti ed integrare i frammenti;

- contatto dinamico: aiutare il paziente sia ad entrare nelle sue immagini che a distanziarsene,
per rafforzare l’io osservante;

- connessioni: incoraggiare la persona a mettersi in rapporto con la sua immagine, dialogare


con essa ed esplorare fantasie, condividere il processo creativo, lasciar emergere ricordi ed
entrare nella narrazione del sé;

34
Hermann I., “Psicoanalisi come metodo”, 1990, Bari, Dedalo.

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- cambiamenti: esplorare possibili modifiche al’immagine stessa, o immagini alternative,


traduzioni in altri linguaggi;

- consapevolezza: promuovere la consapevolezza del paziente in contesto allargato nello


spazio e nel tempo, nei rapporti intrapsichici ed interpersonali, presente e passato, fantasia e
realtà.

Nell’approccio sistemico - relazionale il processo terapeutico è connesso con i concetti di


trasformazione e cambiamento, i quali a loro volta sono collegati al concetto di
apprendimento (Frison) 35.

L’apprendimento si basa sulle premesse epistemologiche della persona che ascolta, e si


realizza mediante un processo circolare, in un contesto di deutero apprendimento che implica
una continua co-costruzione della realtà attraverso le relazioni che si instaurano durante il
processo stesso. Anche l’esperienza consente all’individuo di apprendere ad apprendere
(Frison) 36.

La storia della vita di una persona ha a che fare con eventi della vita, con le infinite sequenze
di significati che ognuno ha attribuito e attribuisce, agli eventi che ha vissuto. Non ci sono
mai eventi emozionalmente incolori e indifferenti, come non ci sono eventi che abbiano
uguali risonanze in noi (Borgna) 37.

Durante l’incontro terapeutico avviene una trasformazione della storia narrata che permette di
creare nuovi significati e interazioni non più vincolati a definizioni sintomatiche e vissuti
patologici.

Il paziente non solo acquisisce un bagaglio di nuove storie “meglio formate” (Sluzki) 38, ma
anche la capacità di crearle (Frison) 39.

35
Frison R., Cavatorta S., Vecchi D., (a cura di) “Manuale di arti terapie e musicoterapia”, 2009, Del Bucchia,
Lucca.
36
Ibidem.
37
Borgna E., “Noi siamo un colloquio”, 1999, Feltrinelli, Milano.
38
Sluzki C.E., “La trasformazione terapeutica delle trame narrative”, 1992, Terapia familiare.
39
Frison R., Cavatorta S., Vecchi D., (a cura di) “Manuale di arti terapie e musicoterapia”, 2009, Del Bucchia,
Lucca.

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L’arteterapia contribuisce a costruire una nuova narrabilità di sé stessi traducendo le emozioni


in immagini, le immagini in metafore e le metafore in nuove narrazioni del proprio vissuto
emotivo ed esperienziale.

La terapia consiste nell’innestare nella persona un processo di cambiamento che nasce dalla
co-costruzione di storie alternative attivando una trasformazione terapeutica delle trame
narrative e creando una storia meglio formata.

Per ottenere un cambiamento bisogna produrre all’interno del setting delle perturbazioni, per
aprire nella persona nuove prospettive di pensiero e dare nuovi significati alle immagini. Il
terapeuta deve, attraverso l’interazione relazionale, far si che il paziente non solo faccia
emergere i traumi e le relative difese, ma anche cercare una loro soluzione (Alessandrini) 40.

“Pragmaticamente, le domande sul futuro, combinate alla connotazione positiva promuovono


la pratica di nuove soluzioni, suggeriscono azioni alternative, favoriscono l’apprendimento,
scardinano l’idea di predeterminazione e si rivolgono allo specifico modello di cambiamento
del sistema” (Sluzki) 41.

Secondo Bateson 42 un sistema patologico è un sistema che ha perso la capacità di ricevere


informazioni in quanto filtra e seleziona solo i messaggi coerenti con la sua organizzazione
sintomatica.

Hillmann 43 afferma “che non è l’uomo che va curato, ma le immagini del suo ricordo, perché
il modo in cui ci raccontiamo ed immaginiamo la nostra storia, influenza il corso della nostra
vita”.

Bruner 44 definisce il pensiero narrativo, che utilizza il linguaggio simbolico, metaforico, della
similitudine, contrapponendolo a quello scientifico ed afferma che noi costruiamo significati
della realtà a seconda della nostra narrazione di quella storia, in questo modo diamo un senso
agli eventi, integrando i vissuti nel nostro contesto emozionale e cognitivo.

40
Alessandrini M., Le terapie espressive: una via per la scoperta e l’utilizzo dei fattori terapeutici nascosti,
2008.
41
Sluzki C.E., “La trasformazione terapeutica delle trame narrative”, 1992, Terapia familiare.
42
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, 1977, Adelphi, Milano.
43
Hillmann J., “Le storie che curano”, 1983, Raffaello Cortina Editore, Milano.
44
Bruner J., “La mente a più dimensioni”, 1993, Biblioteca Universale Laterza, Roma.

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La persona entra in terapia quando la sua storia non è più adeguata al contesto in cui vive ed
ha smesso di funzionare, procurandogli disagio emotivo e sofferenza.

L’arte rappresenta una modalità di conoscenza del mondo che si esplica attraverso immagini
in cui si intrecciano e si integrano aspetti emotivi e relazionali.

Tali immagini si realizzano e si modificano in funzione di questo processo dinamico di


interazione circolare in cui gli individui contribuiscono a co-costruire con il loro vissuto la
realtà che li circonda.

La creatività può essere definita come uno strumento di costruzione della realtà che si esprime
attraverso le immagini, le quali sono ricche di contenuti emotivi.

Nel rapporto terapeutico avviene una relazione di scambio di immagini e di contenuti messi in
campo da tutti i partecipanti, in grado di produrre trasformazioni atte a formare una miscela
generatrice di nuove storie, nuove immagini ed una nuova cultura.

Attraverso l’arte e la creazione di immagini si possono creare nuove ipotesi narrative, nuove
trame di vita da indagare e fare proprie. Usando il mezzo artistico, la persona può aprirsi a
nuove possibilità, modificando la sua storia e costruendo quella che Bruner 45 definisce una
“colonia di sé possibili”, più adattati all’ambiente e con un maggior grado di benessere
personale.

45
Ibidem.

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4. Arteterapia e sua applicazione con la psicosi

4.1 Teorie sulla psicosi

Le prime descrizioni della malattia risalgono ai primi anni del 1800, e descrivono quadri
clinici caratterizzati da un esordio in età giovanile, un decorso progressivo più o meno rapido,
e un esito in un quadro simil-demenziale.

La schizofrenia viene considerata come la più devastante tra le malattie mentali a causa della
precocità d’esordio, della gravità sintomatologica, della frequente cronicizzazione. Questi
fattori determinano un rapido deterioramento delle capacità del soggetto nelle aree funzionali,
lavorativa, affettiva, relazionale, con conseguente isolamento sociale (Invernizzi)46.

Le cause della malattia sono sconosciute, anche se l’orientamento attuale conduce verso
l’ipotesi di un determinismo multifattoriale del disturbo mentale. Attualmente la schizofrenia
sembra essere quello connotato da maggiori componenti biologiche.

Secondo il modello “stress- vulnerabilità”, nell’ individuo è presente un fattore di rischio, una
anomalia che in presenza di eventi di vita stressanti e di variabili ambientali determina
l’insorgere della patologia (Falloon) 47.

Tra i fattori di rischio ambientali, l’attenzione negli ultimi anni si è spostata da fattori
psicosociali generici all’influenza dell’ambiente familiare.

Secondo la teoria del doppio legame (Bateson) 48, si ipotizza che nella famiglia si instauri un
pattern comunicativo ambiguo, in cui nulla viene detto chiaramente, ma affermato e poi
negato, oppure affermato a parole e poi disconfermato attraverso modalità comunicative non
verbali.

46
Invernizzi G., “Manuale di psichiatria e psicologia clinica”, 1996, McGraw-Hill, Milano.
47
Falloon I., “Intervento psicoeducativo integrato in psichiatria”, 1994, Erickson, Trento.
48
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, 1977, Adelphi, Milano.

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Un altro elemento di rischio riguarda l’emotività espressa, sembra che un’alta emotività
espressa all’interno della famiglia che comporta ipercoinvolgimento emotivo, critica ed
ostilità, aumenti il rischio di recidive.

4.2 Arteterapia e psicosi

L’arteterapia nasce all’interno degli ospedali psichiatrici con il trattamento morale introdotto
dallo psichiatra francese Pinel alla fine del 1700.

Egli, ha cercato di sostituire i mezzi di contenzione e l’isolamento con la comunicazione e la


relazione, individuando nel mezzo artistico un possibile ponte di comunicazione tra la persona
e l’esterno.

Da questa prima forma di arte terapia, la produzione espressiva ed artistica dei malati psichici
che si manifestava attraverso dipinti, poesie, movimenti, suoni, divenne sempre più
importante e cominciò a far parte del processo terapeutico.

Lo stesso Prinzhorn può essere definito un precursore dell’arteterapia (Bedoni) 49, infatti egli
riconoscendo il valore estetico delle opere dei folli, permette di attribuire un senso all’opera, e
quindi al suo autore, stabilendo una connessione concreta tra potenziale creativo, estetica e
terapia. Egli afferma che le opere dei malati di mente nascono da un meccanismo generativo e
non degenerativo, e derivano dal bisogno di espressione del loro mondo interno, spostando
l’attenzione sul processo di formazione dell’immagine e sulla corrispondenza tra forme e
affetti.

Quello che diventa significativo, durante l’esperienza arte terapeutica, è il rivolgersi alla
persona del malato e favorire l’incontro con la sua esperienza interiore (Grignoli) 50.

La psicosi porta in terapia un linguaggio delirante che va decodificato, e l’ arte terapia offre al
paziente la possibilità di esprimersi con un linguaggio diverso da quello verbale, offre nuovi

49
Bedoni G., Tosatti B., “Arte e psichiatria, uno sguardo sottile”, 2000, Mazzotta, Milano.
50
Grignoli L., “ Percorsi trasformativi in arte terapia”, 2008, Franco Angeli, Milano.

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codici comunicativi, attraverso l’attività artistica i pazienti possono riappropriarsi del diritto di
parlare ed esprimersi (Giordano) 51.

Ogni nostra emozione cambia in noi il modo di “essere - nel - mondo” (Borgna) 52, il modo di
entrare in contatto con gli altri e con noi stessi. Cambia la fisionomia del nostro mondo, in
particolare del mondo di chi sta male, quando le emozioni dilagano e non possono essere
espresse e controllate.

Il linguaggio espressivo può aiutare nell’elaborazione e favorisce l’accesso alla dimensione


simbolica. Le immagini consentono di far emergere ed esprimere quello che le parole non
sanno o non vogliono dire e permettono, a chi guarda l’opera, di percepire molte informazioni
che consentono di instaurare una relazione terapeutica.

La schizofrenia, rispetto alla quale l’arteterapia è una indicazione terapeutica importante


(Palazzi Trivelli) 53, è patologia degli affetti, della cognizione, della comunicazione e delle
percezioni.

L’arteterapia, nel percorso riabilitativo di una persona, non è solo il luogo dove è possibile
produrre qualcosa di “tendente al bello” (Palazzi Trivelli) 54, ma in cui, grazie agli stimoli
offerti dall’arteterapeuta, si riattiva la percezione, di sé e degli altri, che permette di
conoscersi ed entrare in relazione con l’ambiente circostante.

Nelle diverse forme di psicosi il rapporto con la realtà si è ridotto ed impoverito e le funzioni
dell’ io che comportano un’elaborazione e l’adattamento all’ambiente sono disturbate. Manca
quello spazio intermedio che separa il mondo interno da quello esterno. Nella dimensione
dell’attività espressiva il paziente trova uno spazio in cui può sperimentarsi ed una forma
estetica attraverso la quale il suo mondo interiore si può configurare e raccontare.

51
Giordano E., L’arte terapia nel trattamento dei pazienti psichiatrici: il senso del bello come valenza
terapeutica, 1995.
52
Borgna E., “Le emozioni ferite”, 2009, Feltrinelli, Milano.
53
Palazzi Trivelli C., Il posto dell’arte come terapia e mezzo di riabilitazione, in Rabboni M., (a cura di) “I
colori della mente”, 2002, Marsilio, Venezia.
54
Ibidem.

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Il mezzo espressivo ha la funzione di avviare un processo creativo che, nell’arteterapia,


diventa il contenitore potenziale di emozioni, affetti e parole che possono portare ad una
nuova organizzazione interna.

Il fare arte è una esperienza buona che può essere utilizzata in ogni età per ricostruire
l’integrità dell’io minacciata da un trauma, può costituire un mezzo di ricostruzione e di
rielaborazione di una tappa mancante o distrutta del suo percorso individuale (Zilzer,
Cossio) 55.

L’arte terapia come forma di aiuto si è diffusa nei centri diurni, e si dovrebbe inserire in un
progetto terapeutico ampio e globale. L’arteterapeuta dovrebbe collaborare con le altre figure
che si occupano del paziente, in modo da costruire una rete intorno a lui per attivare un
progetto riabilitativo specifico ed efficace.

Il laboratorio di arte può essere parte integrante del progetto riabilitativo in quanto si propone
come luogo in cui è possibile riaffermare e risvegliare abilità che non sono perse ma solo
assopite, nascoste dalla malattia.

Attraverso l’incontro del paziente con le sue possibilità creative ed espressive, egli può
sperimentare parti di sé dimenticate, celate o mai espresse.

Il “fare”, il lavoro concreto e dinamico con la materia richiamano qualità percettive, suscitano
il coinvolgimento ed indirizzano l’attenzione verso uno scopo, attivano dunque risorse che in
certi casi interrompono l’iterazione del sintomo offrendo così uno spazio al processo
integrativo e ricostruttivo. Inoltre l’interazione tra l’ambiente ed i materiali spinge
all’esplorazione e stimola la ricerca di soluzioni.

Aiutare i pazienti a sviluppare delle capacità creative permette loro di migliorare l’immagine
di sé, che rinnovata, può essere comunicata al mondo, migliorando la qualità della propria
vita.

L’identificazione del paziente in un oggetto bello da lui creato diventa il simbolo di una
valorizzazione di sé in quanto persona capace di comunicare, di condividere emozioni, di
inserirsi in quella aspirazione al godimento estetico che è comune a tutti in quanto rimanda

55
Zilzer V., Cossio A., “L’ombrello a colori”, 1997, Franco Angeli, Milano.

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alla fondamentale aspirazione al piacere, e che è indice di sanità sia per la persona che lo
persegue, sia per la società.

Negli anni ’50, Maslow 56, teorizza una piramide dei bisogni della persona, in cui oltre ai
bisogni fondamentali di autorealizzazione, appartenenza, sicurezza, ai bisogni primari legati
alla sopravvivenza, individua dei bisogni di carattere estetico, che definiva
convenzionalmente “impulsi verso la bellezza, la simmetria e talora verso la semplicità, la
completezza, l’ordine”.

La possibilità di accedere a nuove o ritrovate esperienze in una vita quotidiana spesso


impoverita e privata di ogni dimensione produttiva, ha una funzione normalizzante, e
favorisce il crearsi di nuovi interessi che possono essere seguiti anche sul territorio, in un
contesto non psichiatrico.

L’arteterapia, con pazienti psicotici, dovrebbe essere una attività di gruppo, acquisendo così
una importante funzione socializzante e di apprendimento (Ba) 57.

La sistemazione ideale prevede che tutti i partecipanti siano seduti in cerchio, per terra o
attorno ad un tavolo.

Questa caratteristica del setting consente a tutti i pazienti ed al terapeuta di vedersi e favorisce
il fenomeno del rispecchiamento.

Nel gruppo il rispecchiamento fornisce l’opportunità di rendersi conto dei propri problemi
attraverso la possibilità di coglierli negli altri membri. Alessandrini afferma che per
aumentare l’effetto benefico del dialogo con l’oggetto estetico è importante la presenza del
gruppo, il quale favorisce la presa di coscienza, in quanto permette di superare i meccanismi
di difesa.

Questo permette di interiorizzare i modelli di comportamento degli altri, che entrano a far
parte come possibilità del proprio repertorio comportamentale.

Nel gruppo si può confrontare la propria visione delle cose con quella degli altri, in modo da
scoprire la distinzione tra soggettività ed oggettività della realtà, o almeno del modo di

56
Maslow A., “Motivation and personality”, 1954.
57
Ba G., Strumenti e tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale”, 2003, Franco Angeli, Milano.

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leggerla. In questa maniera si può sperimentare che le cose possono essere guardate da diverse
angolazioni ed accettare i punti di vista degli altri.

All’interno del gruppo circolano emozioni, affetti, immagini e percezioni che attivano
risonanze sia con il mondo interno che con il mondo esterno.

Un altro aspetto fondamentale per il funzionamento del gruppo è quello della circolarità della
comunicazione. Quando c’è una buona circolarità e l’attiva partecipazione di tutti i membri, il
gruppo ha raggiunto una buona coesione. Aspetto fondamentale della coesione è il senso di
appartenenza e di accettazione sperimentato in gruppo, che consente ai partecipanti di
affrontare e comunicare anche aspetti di sé che normalmente vengono negati o nascosti.

La circolarità della comunicazione riguarda anche il non verbale: la possibilità di vedersi


consente di utilizzare anche i dati non verbali come comunicazioni importanti, consce o
inconsce.

Il contesto interpersonale di gruppo eterogeneo e terapeuta che si costituisce è un contesto di


apprendimento, cioè di evoluzione, e questo favorisce il deutero apprendimento, ovvero la
possibilità di “apprendere ad apprendere” attraverso l’esperienza.

La terapia diventa un processo di costruzione interpersonale e sociale, e non solo una


applicazione di tecniche e il cambiamento diventa un processo alla cui realizzazione
partecipano tutti i componenti del gruppo.

Negli esperimenti effettuati nei laboratori di psicologia il deutero apprendimento si realizza


mediante il raggiungimento di un maggior numero di risposte esatte ai test e con una
maggiore capacità di risolvere problemi in generale.

Al di fuori dei laboratori di psicologia il deutero apprendimento si attua attraverso la rete di


relazioni emotive complesse che ogni individuo ha con altre persone e che si attivano
all’interno di un contesto di gruppo, questo porta l’individuo ad acquisire o rifiutare abitudini
appercettive che vengono da fenomeni quali l’esempio personale, il tono di voce, l’ostilità,
l’amore… queste esperienze possono essere vissute direttamente o mediate dal linguaggio,
dall’arte, dalla tecnologia o da altri mezzi culturali. All’interno di un contesto interattivo,
dall’incontro tra diverse credenze e significati, si ampliano le possibilità di scelta, in questo

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senso il gruppo terapeutico si può vedere come un contesto di deutero apprendimento, cioè un
contesto di cambiamento dell’insieme delle premesse entro cui sono possibili le scelte di
azione e di attribuzione di senso.

La letteratura indica nella introduzione di diverse descrizioni e di diversi modi di connettere


comportamenti ed eventi il metodo per costruire risposte diverse.

L’interazione relazionale tra il terapeuta ed il gruppo è fonte di stimoli trasformativi, rivolti a


far si che i percorsi del paziente non si limitino a riportare in luce i traumi e le relative difese,
ma anche tentarne la “risoluzione”.

La relazione con il terapeuta ed il gruppo consente di far emergere traumi e difese che
risalendo ad eventi relazionali possono eventualmente risolversi soltanto in un contesto
relazionale (Alessandrini) 58.

Il gruppo od il terapeuta attraverso domande o commenti sollecita la persona a mettere in


discussione la coerenza tra le proprie descrizioni, spiegazioni, premesse e credenze, favorendo
nell’individuo la generazione di una nuova coerenza e quindi una evoluzione.

4.3 Funzioni dell’arteterapeuta

Secondo Jung 59, l’incontro clinico è come una miscela alchemica, una fusione di elementi
emotivi, descrittivi, razionali dei due partecipanti, che si incontrano in un contenitore, un
recipiente che permette una reazione. In questo modo il cambiamento è possibile solo
dall’interazione dei partecipanti all’interno di un setting, che con le sue regole li contiene.

L’arteterapeuta è un professionista appositamente formato, che possiede competenze sugli


stadi dello sviluppo emotivo, sulla comunicazione non verbale, sulle componenti emotive e
relazionali del processo creativo, sulle metodologie artistiche e relazionali. È importante che
prima di proporle ad altri, abbia sperimentato su sé stesso tecniche e materiali.

58
Alessandrini M., Le terapie espressive: una via per la scoperta e l’utilizzo dei fattori terapeutici nascosti,
2008.
59
Jung C.G., “Opere, Vol 19\1: Bibliografia generale”, 1998, Bollati Borighieri, Torino.

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L’arteterapeuta deve cercare di creare un ambiente accogliente e non giudicante, in cui offrire
stimoli che permettono di attivare il processo creativo.

Egli, anche se non partecipa attivamente, fa parte del contesto in cui si svolge il processo
creativo, partecipa alla relazione, deve quindi essere ben consapevole della sua influenza sulle
dinamiche e non lasciarsi influenzare dai suoi pregiudizi.

Le emozioni che rinascono in chi cura ed in chi è curato, sono reciprocamente intrecciate in
un dialogo senza fine, e non possono essere ignorate nella loro valenza terapeutica (Borgna) 60.

Egli non deve intervenire dando soluzioni o interpretazioni, ma deve stimolare il pensiero,
sollecitare, con domande ed osservazioni sull’immagine, la riflessione personale,
l’attribuzione di senso. Deve produrre una perturbazione nelle credenze della persona per
permettergli di cercare nuovi significati.

Deve osservare con attenzione quello che accade nel qui ed ora della seduta e può intervenire
sul disegno della persona se necessario.

4.4 Esiti dell’arteterapia

In una ricerca del 2009, Ruddy e Milnes 61, hanno effettuato una revisione degli studi
pubblicati sull’uso delle arti terapie con pazienti schizofrenici, in cui l’arteterapia veniva
confrontata con altri interventi di tipi psicosociale.

Secondo questa revisione i pazienti sottoposti all’arteterapia oltre che alle cure consuete
hanno ottenuto risultati migliori per quanto riguarda la salute mentale, mentre non ci sono
state differenze significative nel funzionamento sociale e nella qualità di vita.

Le conclusioni dei due autori sono che servirebbero più studi per provare l’efficacia
dell’arteterapia, dato che i buoni risultati ottenuti possono essere imputabili sia alla terapia
aggiuntiva, sia al maggior tempo dedicato a quei pazienti.

60
Borgna E., “Noi siamo un colloquio”, 1999, Feltrinelli, Milano.
61
Ruddy R., Milnes D., Art therapy for schizophrenia or schizophrenia like illness, review, 2009.

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Non sono stati comunque rilevati danni derivati dall’uso dell’arteterapia, e quindi indicazioni
contrarie al suo utilizzo.

L’interesse verso pratiche come l’arteterapia sembra confermare il bisogno della psichiatria di
nuovi punti di vista di fronte all’esperienza della malattia, non solo per una maggiore
comprensione ma per immaginare occasioni e luoghi per fronteggiare lo stigma sociale e
culturale (Bedoni) 62.

5. Setting

In arte terapia il setting si può definire come l’area dell’invenzione (Bedoni) 63, ovvero il
luogo in cui è possibile vivere una esperienza sensoriale libera da condizionamenti ed
indirizzata alla scoperta ed alla sperimentazione.

Al suo interno viene permesso e favorito il dialogo con la materia che Winnicott 64
considerava indispensabile nel processo terapeutico. Egli infatti affermava che la cura doveva
fornire stimoli corporei e sensoriali capaci di attivare le parti creative e quindi sane, della
persona.

Ogni incontro umano, non solo quello psicoterapeutico, non si svolge nel vuoto e nel deserto
ma nel qui ed ora di uno spazio e di un tempo (Borgna) 65.

La stanza di arte terapia non è solo lo spazio fisico in cui si svolge l’azione, ma anche il
luogo in cui si sviluppa la relazione tra paziente e terapeuta.

Perché l’esperienza creativa abbia finalità terapeutiche deve avvenire all’interno di una
relazione, solo se c’è un rispecchiamento la persona ha la possibilità di ritrovarsi affermando
la sua esistenza.

Lo spazio quindi non è solo materiale e pratico, ma anche e soprattutto simbolico.

62
Bedoni G., Tosatti B., “Arte e psichiatria uno sguardo sottile”, 2000, Mazzotta, Milano.
63
Ibidem.
64
Winnicott D., “Gioco e realtà”, 1974, Armando, Roma.
65
Borgna E., “Le emozioni ferite”, 2009, Feltrinelli, Milano.

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Come ogni forma di terapia anche l’arte terapia ha regole precise che devono essere rispettate.
Gli incontri si devono svolgere in un luogo preciso, in un giorno ed un ora stabiliti e per una
durata delimitata, sia per quanto riguarda il numero delle sedute, che per la lunghezza delle
stesse. Queste regole costituiscono una cornice all’interno della quale la persona può esplorare
preoccupazioni, disagi, paure, ansie, attraverso la relazione con i materiali e con il terapeuta
che occupa lo spazio con regolarità (Case, Dalley) 66.

Il non rispetto dei termini di questo contratto tra terapeuta e paziente deve essere analizzato e
capito all’interno della relazione stessa.

Il mantenimento dei confini della seduta permette l’evolversi delle dinamiche transferali, i
limiti materiali di spazio e tempo accrescono la sensazione di protezione e di sicurezza.
Quando gli elementi della realtà esterna sono delineati chiaramente si può aprire lo spazio del
confine interiore.

Winnicott 67 definisce il setting come il luogo dove si incontrano due esistenze provenienti da
luoghi opposti, l’assistenza partecipe del conduttore alla creazione del paziente permette il
loro incontro in uno spazio transizionale, è il luogo dell’incontro tra madre e bambino, tra
terapeuta e paziente, tra realtà interna e realtà esterna. Il paziente crea qualcosa che non è più
solo suo, ma che diventa emblema dell’incontro con il terapeuta, la modificazione
dell’oggetto verrà re-introiettata dal paziente come metafora della propria possibilità di
cambiamento, di strutturazione e di dialogo.

Affinchè questo processo possa avvenire la stanza di arte terapia deve costituire un contesto
facilitante, accogliente e non giudicante, un luogo solido, sicuro e continuo nel tempo.

La stanza dell’arte terapia dovrebbe essere sufficientemente ampia per il numero di persone
che compongono il gruppo, luminosa, con tavoli grandi che permettano di usare fogli di tutte
le dimensioni e di sperimentare gesti di varia ampiezza, nonché di disegnare stando in piedi.
Dovrebbe inoltre essere attrezzata con un vasto assortimento di materiali, per permettere a
tutti di sperimentare e di esprimersi. La stanza dovrebbe poter essere chiusa ed essere sempre

66
Case C., Dalley T., “Manuale di arte terapia”, 2003, Cosmopolis, Torino.
67
Winnicott D., “Gioco e realtà”, 1974, Armando, Roma.

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la stessa ed essere utilizzata solo per questo attività, per permettere a chi ci lavora di
conservare e ritrovare in essa quello che ha fatto negli incontri precedenti (Giordano) 68.

Dato che è molto difficile avere una stanza dedicata solo ad una attività, è importante la
creazione di una cartellina dove riporre i propri lavori terminati, che permette di conservarli in
sicurezza e questo dà il senso di una progressione, di un cammino che si sta svolgendo, e la
persona potrà esaminare insieme al terapeuta i segni tangibili della propria evoluzione.

Il riconoscimento del proprio lavoro rimanda al riconoscimento di una identità, alla capacità
di creare una traccia permanente nella realtà e di riconoscerla come propria e distinta dalle
altre cose ugualmente esistenti ma prodotte da altri.

All’interno della stanza dovrebbe inoltre esserci un lavandino per prendere l’acqua e
sciacquare i pennelli e lo spazio sufficiente perché ognuno possa andare a prendere i materiali
che preferisce e per osservare il lavoro dei suoi compagni. La curiosità verso le creazioni
degli altri rappresenta un’importante indice di attivazione e di socializzazione.

6. Relazione tra emozioni, funzioni cognitive, immagini, terapia

La comunicazione si può considerare come il fondamento dei processi di apprendimento, sia


nel settore educativo che in quello terapeutico - riabilitativo e spesso in ambito psichiatrico si
ha a che fare con disturbi della comunicazione.

La comunicazione non può esistere senza espressione e percezione e le terapie espressive


cercano di facilitare l’espressione come processo fondamentale nel percorso terapeutico.
L’arte costituisce un metodo immediato per facilitare l’espressione delle emozioni. Le terapie
che si fondano sull’espressione artistica e sulla espressione diretta delle emozioni possono
stimolare e coinvolgere le funzioni cognitive.

Le emozioni sono sindromi reattive multidimensionali, che comportano l’attivazione di


processi fisiologici, espressivo - comunicativi, cognitivi, motivazionali, soggettivi, sociali e

68
Giordano E., L’arteterapia, in Montinari G., “Il buco nella rete”, 1990, ECIG, Genova.

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sono date dall’insieme di sensazioni e percezioni. Dalle emozioni si ha la tensione affettiva


che porta ad una integrazione cognitiva che porta ad un comportamento integrato.

Esse organizzano il mondo cognitivo - affettivo del soggetto mediando il rapporto tra lui e
l’ambiente. Le più recenti teorie nel campo delle neuroscienze le confermano come aspetto
particolare dell’atto cognitivo.

Anche le funzioni cognitive, che spesso risultano compromesse nella patologia psichiatrica, si
possono collocare nell’area degli affetti e delle emozioni. La sede della affettività e dei
sentimenti è il mondo interno, dimora degli oggetti introiettati, di pensieri, fantasie, conflitti
ed emozioni. La presenza del mondo interno influisce sul nostro rapporto con il mondo
esterno, cioè con le cose e con le persone. A sua volta esso alimenta ed arricchisce gli scenari
interni in una interconnessione continua tra esperienze sensoriali ed emozionali all’interno di
un campo a dominanza relazionale. Quindi la costruzione di sani processi di sviluppo di
funzioni è profondamente legata alle relazioni ed alle emozioni. Infatti i sensi scoprono le
cose e le persone, il mondo esterno, e lo investono di significato dandogli le connotazioni
dettate dalle emozioni, dalle dinamiche interne (Cunningham Piergrossi) 69.

Per definire le emozioni ci sono state diverse teorie; le teorie costruzioniste secondo cui le
emozioni sono costruzioni sociali e culturali, le teorie cognitiviste secondo cui le emozioni
sono attivate da una valutazione cognitiva, le teorie psicoanalitiche secondo cui le emozioni
sono di origine interna, come elaborazione di una relazione affettiva con forte componente
inconscia. Ad ogni stimolo corrisponde una risposta a cui noi attribuiamo una emozione.

Emozioni e ragione, esperienze emozionali e razionali, formano una unità molto stretta e si
rispecchiano nei modi di essere, nel corpo vivente.

Le emozioni costituiscono il fondamento su cui si svolge la nostra vita, benché esse siano più
difficilmente comunicabili rispetto ai pensieri, a disposizione di cui resta il linguaggio. Le
parole, servono poco ad esprimere le emozioni che noi proviamo e perfino la natura delle
nostre emozioni ci può essere ignota.

69
Cunningham Piergrossi J., Le funzioni in un ottica psicanalitica, 2005.

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Quando diciamo di provare dolore, angoscia, piacere, non sentiamo tutti la stessa cosa e
talvolta non siamo nemmeno in grado di descriverle (Borgna) 70.

L’esperienza psicotica è caratterizzata da emozioni malate e ferite (Borgna) 71.

Il linguaggio delle emozioni è l’universo non verbale, simbolico, delle immagini che danno
voce a vissuti, ricordi, paure: è il linguaggio analogico dei colori, delle metafore, delle
sinestesie, dei gesti e delle azioni che esprimono l’emozione del singolo e del gruppo in un
determinato contesto di riferimento.

Bion 72, afferma che le immagini rappresentano la prima traduzione delle emozioni vissute,
una prima tappa della conoscenza verso forme più astratte.

Nella psicoanalisi, nella psicoterapia, nella pittura, nella musica e nelle arti non figurative, si
ritrova sempre una descrizione per immagini di sensazioni, di stati d’animo condivisi; come
se la prima traduzione di uno stato d’animo non potesse essere che per immagini (Casadio) 73.
Questo processo è tipico della mente umana che, attraverso l’uso della metafora, ripropone
l’emozione in un’altra forma, le dà una immagine immediatamente comprensibile.

Le metafore sono quindi rappresentazioni nuove che si formano dalle sensazioni e dalle
esperienze vissute, che si confrontano ed interagiscono con la cultura e le esperienze vissute e
sperimentate fino ad ora dalla persona e quindi ritenute vere.

L’arte permette l’emergere di nuove immagini e di nuove metafore, di nuove modalità di


socialità che portano all’elaborazione di nuove narrazioni, capaci di descrivere i continui
cambiamenti delle nostre relazioni umane e del nostro modo di avvicinarci alle cose, al
mondo (Casadio) 74.

L’arte, viene a rappresentare un dialogo relazionale e per immagini all’interno di un contesto


sociale, mostrando così come la nostra conoscenza sia anche un processo relazionale e non
fondata solo su basi razionali. Il processo artistico si riferisce al dialogo relazionale, alla
dialettica tra le esperienze vissute e le loro possibili rappresentazioni.

70
Borgna E., “Le emozioni ferite”, 2009, Feltrinelli, Milano.
71
Ibidem.
72
Bion W., “Esperienze nei gruppi”, 1950, Armando Editore, Roma.
73
Casadio L., “Le immagini della mente”, 2004, Franco Angeli, Milano.
74
Ibidem.

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7. Attività di Project Work

La mia attività di project work si è svolta presso il centro diurno della struttura psichiatrica
“Madonnina” di Modena, gestita dall’AUSL.

La struttura riunisce in un unico edificio una residenza sanitaria per pazienti in fase di
scompenso che necessitano di ricovero ma non di contenimento di tipo ospedaliero ed un
centro diurno a cui accedono pazienti dall’esterno.

L’attività si è svolta il giovedì mattina dalle 10.00 alle 12.00 ed era aperta sia agli utenti della
residenza che a quelli del centro diurno, il gruppo era composto da circa una decina di persone
che potevano variare.

Questo, da una parte, ha fatto si che non tutti abbiamo preso parte all’intero percorso,
lasciando il lavoro incompleto, dall’altra ha permesso, con l’ingresso di nuovi partecipanti, un
ampliamento delle possibilità di confronto e di crescita, grazie all’introduzione di nuovi
stimoli e nuove “differenze”. Non ci sono state difficoltà nell’inserimento di nuove persone,
esse sono state bene accolte dal gruppo ed hanno partecipato alla loro parte di esperienza.

La maggior parte degli utenti presenta diagnosi di schizofrenia, tre persone di disturbo
bipolare.

È stata utilizzata la stanza normalmente adibita a laboratorio artistico in cui è presente un


tavolo grande e alcuni tavoli più piccoli. Il lavoro si è svolto principalmente attorno al tavolo
grande, tranne nei momenti in cui l’uso di fogli di dimensioni maggiori ha comportato la
necessità di dividersi nei diversi tavoli.

I materiali presenti sono quelli classici da disegno, la plastilina, materiali di recupero e sono
state utilizzate delle marionette presenti all’interno dell’atelier che erano state costruite nel
passato da altri pazienti. Essi sono stati sistemati al centro del tavolo ed i supporti cartacei su
un tavolino accanto. I lavori finiti sono stati conservati in una cassettiera presente nella stanza.
La porta della stanza veniva chiusa per mantenere un clima di concentrazione sul lavoro e per
facilitare la riflessione personale.

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L’attività inizia con un momento di saluto e di accoglienza e di eventuale presentazione dei


nuovi ingressi. Segue il lavoro individuale, con l’assegnazione di un tema, che può anche
venire dal gruppo e che facilita lo svolgimento del compito.

Era consentita, circa a metà lavoro, una pausa sigaretta, di cui poteva usufruire chi ne sentiva
la necessità. Dopo la pausa si procedeva con il riordino dell’ambiente e con la condivisione
finale di quello che è stato fatto.

Hanno partecipato come “aiutanti – osservatori” due tirocinanti del corso di laurea in
Tecniche della riabilitazione psichiatrica, in quel periodo presenti presso la struttura. Uno dei
tirocinanti, Giovanni, ha partecipato al lavoro attivamente insieme agli utenti.

Il personale della struttura, educativo, infermieristico o assistenziale, poteva assistere,


astenendosi da commenti su quello che veniva fatto e poteva anche partecipare attivamente.

La presenza di persone definite “normali” permette la normalizzazione dell’esperienza, che


non è riservata solo a loro in quanto “matti”, ma è proposta a tutti e permette la condivisione
di emozioni e sentimenti che ognuno prova e possiede e che non sono legati solo alla malattia.

L’attività di tipo artistico prevede due tipi di obiettivi, quelli di base e quelli più evoluti. Non
tutti i partecipanti perseguiranno entrambi gli obiettivi, in quanto non tutti prendono parte
all’attività completa ed alcuni hanno bisogno di un tempo maggiore.

Tra gli obiettivi di base rientrano quelli di socializzazione e relazione tra i componenti del
gruppo, la condivisione di regole spazio – temporali e di condivisione e cura di oggetti e
materiali, imparare a conoscere e manipolare vari materiali, verifica delle possibilità
espressive.

Gli obiettivi più evoluti comprendono lo sviluppo e potenziamento delle capacità di


simbolizzazione, riconoscimento ed espressione delle emozioni sia positive che negative,
potenziamento dell’autostima attraverso il fare ed attraverso il riconoscimento del valore del
prodotto finito, sperimentazione e consapevolezza della propria capacità creativa.

Per realizzare questi obiettivi i primi 3 incontri sono stati dedicati alla stimolazione della
creatività, attraverso semplici esercizi e fornendo nuovi materiali, anche inconsueti, da
utilizzare per il disegno.

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Tre incontri sono stati dedicati alla rappresentazione delle emozioni, per dare modo ai
partecipanti di individuarle e rappresentarle.

Può succedere, con pazienti istituzionalizzati che frequentano le strutture sanitarie da molto
tempo, che i curanti non li ascoltino più con attenzione, in quanto raccontano sempre le stesse
storie, attraverso l’arteterapia si fornisce loro un ambiente protetto, accogliente ed attento, in
cui ognuno può guardare dentro sè stesso e raccontare qualcosa agli altri, condividendo una
parte di sé, confrontandosi con il gruppo e trovando sostegno in esso.

Sono stati fatti anche lavori di gruppo, per mettere in scena storie ed emozioni, usando le
marionette presenti nell’atelier, questo per favorire la condivisione e rafforzare il senso di
identità ed unità del gruppo.

Infine, ma non meno importante, secondo la Zilzer 75 l’obiettivo dell’arteterapia è “dare gioia”,
quindi si è cercato di costruire un’ ambiente sereno e piacevole da frequentare, per permettere
a chi vi ha partecipato di vivere una esperienza gratificante.

1° INCONTRO

Incontro di presentazione e di conoscenza reciproca.

Metodo: accoglimento, lavoro individuale, condivisione del processo creativo,


rispecchiamento nel lavoro dell’altro ed avvicinamento ad esso per somiglianza.

Iniziamo con le presentazioni, seduti in cerchio intorno al tavolo viene presentata l’attività ed
ognuno dice il proprio nome.

Presenti: Marilena, Mario, Maria Regina, Alessandro, Lucia del centro diurno; Roberta,
Rosario, Paola, Mimì della residenza.

Attività svolte: cartellina e collage.

75
Zilzer V., Cossio A., “L’ombrello a colori”, 1997, Franco Angeli, Milano.

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La cartellina in arte terapia è molto importante, in quanto permette di conservare in sicurezza i


lavori eseguiti, esprimendo rispetto per essi, accogliendo e custodendo con cura le immagini
donate, il terapeuta trasmette al paziente l’idea che lui e le cose che fa sono importanti.

Il clima non giudicante insieme alla certezza che le immagini non saranno visibili da altri
permette ai partecipanti al gruppo di esprimersi liberamente, entrando in contatto con sé stessi
e facendo emergere le istanze più profonde. Se incidentalmente le opere fossero rovinate
potrebbe essere necessario molto tempo per ripristinare la stessa qualità di libertà nella loro
espressione artistica (Warren) 76.

Ognuno viene invitato a scrivere il proprio nome sulla cartellina, realizzata usando la carta da
pacco delle dimensioni e del colore preferito ed a disegnare qualcosa, quello che gli viene in
mente, senza preoccuparsi del valore estetico della sua opera. Il tempo dedicato a questo
primo compito è di circa 20 minuti.

Dopo cinque minuti di pausa sigaretta, di cui non tutti hanno usufruito, invito il gruppo a
ritagliare dalle riviste delle immagini, di cose che piacciono, che interessano, che si
desiderano e di cose che non piacciono, se si riesce cinque immagini di un tipo e cinque
dell’altro. Il tempo utile per svolgere il compito è di circa 40 minuti.

Finito di ritagliare ognuno incolla le proprie immagini su un foglio di dimensioni adeguate e


le spiega al gruppo, dando un titolo al proprio lavoro.

Il collage, in cui l’immagine viene ricercata su giornali e riviste, può essere una attività
facilitante nei primi incontri per chi non è abituato ad usare la propria creatività per creare
immagini. La proposta di fare un disegno libero può essere vissuta con ansia per il senso di
inadeguatezza che può generare nel paziente ed il collage è una tecnica che può aiutare a
superare questo ostacolo. Utilizzando questo metodo si può contenere la paura della creazione
diretta dell’immagine dando però alla persona la possibilità di esprimersi. La tecnica del
collage, con immagini e parole scelte dai giornali e combinati sul foglio aiuta il paziente a
raccontarsi senza rivelarsi troppo presto (Luzzatto) 77.

76
Warren B., “Arteterapia in educazione e riabilitazione”, 1995, Erickson, Trento.
77
Caboara Luzzatto P., “Arteterapia, una guida al lavoro simbolico per l’espressione e l’elaborazione del
mondo interno”, 2009, Cittadella Editrice, Assisi.

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Il collage, per le sue caratteristiche, aiuta a lavorare sulla frammentazione e ristrutturazione


del sé.

Alla fine invito gli utenti ad appoggiare tutte le opere per terra mettendole vicine per
somiglianza, e dopo aver guardato l’insieme a dare un titolo comune.

Osservazioni:

- tutti gli utenti sono riusciti a partecipare a tutte le fasi del laboratorio rispettando i tempi ed
eseguendo il compito assegnato;

- è stato facile per tutti trovare delle immagini che li rappresentassero;

- la maggior parte ha raccolto immagini di cose piacevoli, solo due persone hanno espresso
delle difficoltà, legate al dover prendere molte pastiglie, alla paura di decidere ed alla fatica di
andare avanti, una ha espresso un desiderio di maggior divertimento;

- guidati dal conduttore, i partecipanti hanno riconosciuto parti di sé nell’altro ed hanno


condiviso le stesse emozioni di affetto, il desiderio di divertimento, il peso dei farmaci, la
difficoltà della vita;

- hanno sperimentato la speranza di farcela e la possibilità di essere vicini all’altro.

Marilena: lavora senza interruzioni, concentrata ed attenta. Sulla cartellina non disegna una
immagine sua ma la copia da un giornale. Realizza due collage, di immagini piacevoli, uno
che intitola “tenerezza”, come sua caratteristica, ed uno “divertimento”, come cosa che
vorrebbe più presente nella sua vita. Ha partecipato solo oggi.

Mario: ritaglia solo immagini piacevoli.

M. Regina: ritaglia immagini piacevoli, dei suoi affetti e della sua giovinezza, viva ed attiva
durante il lavoro, all’immagine finale comunitaria dà il titolo di “il nostro passato, presente,
futuro”.

Roberta: all’apparenza rallentata, assente, con lo sguardo fisso, risponde con un filo di voce
alle domande. Ritaglia immagini di cose belle e la scritta “yes, you can” che usa come titolo

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del suo lavoro. Spiega le sue immagini con chiarezza ed una voce decisa e forte che non ti
aspetti. Partecipa solo oggi perché poi sarà dimessa.

Rosario: intitola il suo lavoro “maternità”, le sue immagini sono per la maggior parte di cose
che gli piacciono, a parte un uomo che si “barcamena” con poco equilibrio, come dice di
sentirsi lui adesso, ed una scritta “abbasso la paura”, che riferisce essere un suo problema, la
paura di decidere. Dell’immagine finale di gruppo la paragona ad un fiore tutto colorato.

Alessandro: esordisce dicendo di non sapere nulla di arte, ma fa un bel disegno sulla
cartellina. Non ritaglia immagini ma solo scritte dicendo che gli sembravano più importanti
delle immagini, riferite ad argomenti di attualità legati al sociale ed intitola il suo lavoro “fatti
di oggi”. Nomina l’immagine finale di gruppo insieme di giornali e collage.

Paola: sulla cartellina copia l’immagine da un libro, non ne produce una sua, nel collage
ritaglia immagini di cose belle e di desideri (moda, suo figlio che le dice che è un angelo) a
cui aggiunge le pastiglie che sono molte ed un peso e la fatica della sua vita che vede come
una scalata. Intitola il suo lavoro “Io, la mia vita e le mie fatiche” , mentre a quello collettivo
dà il nome “i colori della nostra vita”, “la nostra crescita”.

Partecipa solo oggi perché dopo verrà dimessa.

Lucia: lenta nell’esecuzione, vorrebbe parlare a spiegare mentre lavora, fatica ad aspettare il
momento giusto, alla fine viene aiutata ad incollare e finire. Ritaglia immagini per lei
piacevoli che intitola “fantasia personale”.

Mimì: fatica a rimanere nella stanza e fa parecchie pause uscendo più volte. Raccoglie
immagini piacevoli che intitola “il mio futuro”. Al lavoro collettivo finale dà il titolo “la
nostra vita”.

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Alessandro: cartellina Mimì: cartellina

Alessandro: Fatti di oggi Roberta: Yes, you can

Paola: Io, la mia vita e le mie fatiche

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2° INCONTRO

Partecipanti: Giovanna, Rosario, Sabrina, Simona, Mimì, Claudio M. della residenza;


Alessandro, Lucia, Mario, M. Regina del centro diurno. Paola è stata dimessa.

Attività svolta: scarabocchio.

Vista la presenza di persone nuove rifacciamo le presentazioni ed un breve momento di


accoglimento per sapere come è andata la settimana trascorsa.

Iniziamo l’esercizio con la scelta del foglio e del colore da utilizzare per lo scarabocchio.

Lo scarabocchio è stato utilizzato da Winnicott nel trattamento dei bambini e può essere
considerato una tecnica utile per sbloccare l’immaginazione e dare il via al processo creativo.

Spesso, in ambiente psichiatrico, ci possono essere difficoltà legate alla patologia, nel creare
spontaneamente e nel trovare immagini in mancanza di stimoli esterni.

In questo esercizio si disegna non facendosi guidare dalla razionalità, immaginando qualcosa
di reale, ma abbandonandosi a liberi movimenti della mano ed alle sensazioni.

Lo scarabocchio rappresenta il primo tentativo che fa il bambino per rendere concreto quello
che prova e che sente.

Il compito viene svolto ad occhi chiusi, sia nella fase di rilassamento che in quella di
esecuzione. Scelgo di guidare l’esercizio con la voce per facilitarne lo svolgimento, ognuno
viene invitato prima a respirare profondamente, poi a toccare il foglio con le mani, rimanendo
in silenzio, poi a tracciare dei segni lasciando andare la mano e senza pensare a quello che si
stava facendo.

Dopo aver eseguito lo scarabocchio ad ognuno è stato chiesto di osservare il proprio disegno e
trovare una immagine, figura, forma, da evidenziare con altri colori.

I disegni sono stati appesi e guardati da tutti insieme, si è chiesto di prendere l’immagine di
un altro o un suo particolare, che attira o incuriosisce e rielaborarla, magari unendola alla
propria immagine iniziale.

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In questo modo si può provare a creare nuove forme nate dalla condivisione con l’altro e
trovare nuovi significati al proprio lavoro.

Momento di condivisione finale e costruzione di una favola con elementi tratti da tutti i
disegni, quindi con il contributo di tutto il gruppo.

Metodo: accoglimento, rilassamento, lavoro individuale, confronto ed accoglienza dell’altro,


esplorazione della fantasia creativa.

Osservazioni:

- Giovanna non partecipa attivamente, guarda solo, in seguito non parteciperà né osserverà più
l’attività, dicendo di essere stanca.

- quasi tutti riescono a tenere gli occhi chiusi e lasciarsi andare nel disegno, solo Mimì dice di
aver pensato a quello che faceva, mentre Sabrina e Lucia disegnano degli oggetti
riconoscibili.

Tutti dicono di aver trovato l’esperienza rilassante e facile.

- la ricerca dell’immagine si è rilevata un po’ difficoltosa, però tutti hanno riconosciuto una
forma nel proprio scarabocchio.

Il racconto finale:

“ C’era una volta, una dama, su una barca (Claudio), con una vela verde (M. Regina), che va
in Bretagna a cercare l’amore.

Ha per compagnia una tartaruga (Rosario), ed un maialino (Mimì). Sulla nave c’è un forziere
con un tesoro (Claudio). La dama ha degli occhi molto belli (Lucia, Alessandro).

La nave viene assalita da un polipo (Mario) che viene sconfitto e messo in padella.

Intorno alla nave gira un animale marino buono (Alessandro), si vede dagli occhi, con cui
gioca la principessa.

Arriva finalmente nel castello (Lucia), ed incontra il suo principe, e vissero felici e contenti
(Rosario).”

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Claudio

Alessandro Lucia

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Simona Mario

3° INCONTRO

Presenti: Lucia, Mario, Erino, M. Regina, Alessandro del centro diurno; Mimì, Simona,
Sabrina, Rosario, Claudio della residenza; Giovanni, tirocinante.

Iniziamo con un momento di accoglimento in cui chiedo come è stata la settimana trascorsa,
ed alcuni pazienti raccontano della gita fatta il giorno prima.

Attività svolta: disegno libero con materiali di recupero.

L’obiettivo del lavoro di oggi è favorire la libera espressione personale usando materiali non
convenzionali, che generalmente servono per altri scopi, come stoffe, perline, carte, bottoni,
plastilina. In questo modo ognuno ha potuto toccare, manipolare e sperimentare un uso
diverso degli oggetti.

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Il tema di oggi, il disegno libero, può essere difficile da affrontare in quanto la persona può
sentirsi bloccata dalla paura del foglio bianco e dalla mancanza di idee o sentirsi inibita dal
pregiudizio di non saper disegnare. Per facilitare lo svolgimento del compito suggerisco di
pensare alla gita del giorno prima come fonte di ispirazione, sia per chi vi ha partecipato e
l’ha vissuta, sia per chi non c’era che grazie ai racconti degli altri ha potuto immaginare quel
luogo o di pensare a gite fatte in passato.

Per favorire il lavoro fornisco del materiale di recupero che può essere toccato, manipolato,
scoperto in un uso nuovo e diverso dal solito, in modo che il contatto con i materiali stimoli la
creatività che permette di trovare soluzioni e quindi nuovi usi del materiale e da essa possa
nascere l’immagine.

Alla fine viene chiesto di dare un titolo al disegno.

Osservazioni:

- all’inizio gli utenti sono stati un po’ perplessi, non sapevano come usare i materiali ed hanno
chiesto spiegazioni su come usarli. Sono stati invitati a toccarli per sentire le diverse
consistenze, ed ho mostrato loro cosa si poteva fare. Tutti hanno quindi “giocato” con gli
oggetti presenti sul tavolo per creare la loro immagine.

- alcuni hanno colto la suggestione della gita ed hanno realizzato dei paesaggi (Simona,
Rosario, Erino, Alessandro); altri hanno provato i materiali creando composizioni
geometriche di fantasia (Mario, M. Regina, Lucia, Sabrina).

Claudio disegna la casa della strega, Mimì realizza la bandiera del suo paese, con macchie
nere, perché dice di essere arrabbiata perché non può tornare nel suo paese e per la paura di
perdere il lavoro. Giovanni, il tirocinante, crea un supereroe.

- Sabrina fatica molto a partecipare, non riesce a rimanere seduta e concludere il lavoro, non
riesce a sperimentare i materiali e far uscire una immagine.

Lucia sempre molto lenta, chiede sostegno ed aiuto per andare avanti, Mimì riesce a rimanere
per tutto il tempo allontanandosi dalla stanza solo per la pausa fumo.

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- Tutti dimostrano di aver apprezzato questa sperimentazione, chi ha realizzato un paesaggio


dice di aver pensato a quello che faceva, gli altri di esseri lasciati trasportare dai materiali e di
averli composti come venivano.

Erino: paesaggio Rosario: il fiore

Simona: gita al parco

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4° INCONTRO

Presenti: Alessandro, Erino, M. Regina, Lucia, Mario, Eugenio del centro diurno; Claudio M.,
Claudio Z., Rosario, Simona della residenza; Giovanni tirocinante. Mimì, Giovanna e Sabrina
non partecipano.

Attività svolta: disegniamo le emozioni.

Dopo i saluti iniziali e le presentazioni dei nuovi ingressi, chiedo ad ognuno come si sente
questa mattina. Il sentimento predominante nel gruppo è la tranquillità. Chiedo quale sia il
sentimento contrario ed il gruppo individua l’agitazione.

Chiedo quindi di rappresentare queste due emozioni, sullo stesso foglio o in fogli separati.
Vengono rappresentati i due sentimenti contrari per non focalizzare tutta l’attenzione su di un
solo sentimento magari negativo e per dare l’idea che sono entrambi possibili e fanno parte
delle persone. I materiali sono tutti a disposizione, quelli da disegno, quelli di recupero e le
riviste per il collage.

Dopo la verbalizzazione chiedo di mettere disegni vicini per somiglianza e di cercare un


titolo comune. Viene scelto quello proposto da M. Regina “ Di tutto un po’”.

Metodo: accoglimento, lavoro individuale, condivisione ed osservazione dell’altro.

Osservazioni:

- alcuni vorrebbero non rappresentare l’agitazione, poi, stimolati ed incoraggiati completano il


lavoro.

- tutti immaginano l’agitazione con colori scuri (blu, nero, viola), mentre sia i colori tenui
come il verde e l’azzurro che i colori vivaci come il giallo e l’arancio sono associati alla
tranquillità. Il rosso viene definito un colore dal doppio significato, per alcuni fonte di gioia e
tranquillità, per altri motivo di agitazione.

- alla fine faccio notare le ambivalenze, ad esempio le onde del mare che a seconda della forza
possono rilassare o agitare o il blu che a seconda della sfumatura stimola emozioni differenti.

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- nella composizione collettiva finale solo Alessandro è disturbato dalla mescolanza di


tranquillità ed agitazione, dice che avrebbe preferito tenere le cose separate, per gli altri i due
elementi possono convivere ed alternarsi.

Claudio Z.: per lui la tranquillità è gialla, mentre l’agitazione è una macchia nera.

Alessandro: disegna due figure nello stesso foglio, una con il viso arancione e l’espressione
serena, l’altra rossa e spigolosa, piena di punte, a rappresentare l’agitazione.

Erino: rappresenta la tranquillità con un paesaggio marino notturno realizzato con il collage.
Non vorrebbe disegnare l’agitazione ma poi la identifica in un ragazzo con i capelli lunghi che
vede spesso al bar, con in mano due pistole.

M. Regina: all’inizio dice di sentirsi tranquilla ma un po’ depressa, “un po’ grigia”.
Rappresenta la tranquillità disegnando le montagne di Palagano dove è stata in vacanza lo
scorso anno, le disegna e le colora con molta cura ed attenzione. Nello stesso foglio con il
pennarello grigio disegna una espressione triste, che era il suo sentimento della mattina. Nella
verbalizzazione abbina ad ogni colore una emozione diversa.

Lucia: all’inizio del gruppo dice di sentirsi molto allegra. Disegna delle ciliegie estive come
simbolo di allegria ed un colombo viaggiatore con un bigliettino per rappresentare insieme
tranquillità ed agitazione. Come le altre volte non riesce a concludere il disegno che rimane in
bianco e nero, ma dedica molto tempo alla scelta del titolo e del nome con cui firmarlo, che è
diverso ogni volta e che scrive sul retro con abbondanti svolazzi.

Claudio: disegna la tranquillità come un campo da calcio e l’agitazione come la ruota


dell’amore. Si dedica al lavoro, come sempre, con molto impegno e precisione, colorando
ogni parte del disegno. Dopo aver rappresentato l’agitazione sale in camera e non scende per
la verbalizzazione.

Mario: disegna, sullo stesso foglio, delle onde, basse, rotonde e con colori chiari quelle che
rappresentano il mare della tranquillità, appuntite e con colori scuri quelle che indicano
l’agitazione. Usa anche la plastilina. Lavora con concentrazione, è veloce e rispetta il
compito.

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Rosario: rappresenta le due emozioni con una sola immagine: un grande cuore verde trafitto
dalle frecce della sua malattia (depressione, ansia, inquietudine, agitazione) in cui nascono tre
fiori della speranza che sono l’aiuto fornito da infermieri, amici e famigliari.

Simona: disegna un paesaggio con un fiore giallo, colore della tranquillità, ed un albero di
mele. Per lei ognuno ha un colore e l’agitazione è blu, infatti colora tutto il foglio di blu, con
un tratto corto e segni aguzzi, che per lei identificano l’agitazione.

Eugenio: disegna, con il rosso, la sua casetta (non reale ma ideale), come simbolo di
tranquillità, e colora di nero il foglio come simbolo di agitazione. Subito preferirebbe non
rappresentare l’agitazione ma poi si lascia convincere. Non rientra per la restituzione finale.

Simona: agitazione Simona: tranquillità

Eugenio: Tranquillità ed agitazione

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Mario: mare della tranquillità ed agitazione

M. Regina: Tranquillità e depressione

Alessandro: Calma e agitazione

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5° INCONTRO

Presenti: Alessandro, Erino, M. Regina, Lucia, Mario, Eugenio del centro diurno; Claudio Z.,
Rosario, Khalid, Sabrina, Paolo della residenza, Ludovico operatore socio sanitario, Giovanni
tirocinante.

Claudio M, Simona, Mimi e Giovanna sono stati dimessi.

Attività svolta: disegniamo le emozioni.

Il gruppo inizia come di consueto con i saluti e le presentazioni dei nuovi ingressi. Chiedo se
si ricordano cosa avevamo fatto il giovedì precedente, e quale sentimento avrebbero voluto
rappresentare oggi. Sabrina risponde “la mia casa” da cui trasliamo la felicità. Come
sentimento contrario viene individuata l’infelicità, il dolore. Durante la verbalizzazione
chiedo ad ognuno di collegare i propri disegni alla loro esperienza personale.

I materiali sono tutti a disposizione.

Osservazioni:

- in quasi tutti i disegni (tranne Mario e M. Regina) non c’è attinenza tra i colori usati e
l’emozione espressa, i colori sono stati scelti perché piacevano;

- la felicità viene vista dal gruppo come qualcosa di momentaneo e poco duraturo, la cosa più
importante è la serenità e lo stare bene, magari in compagnia di amici o parenti, che aiutano e
sostengono con il dialogo e la vicinanza nei momenti di crisi;

- l’infelicità è data dal dolore, dallo “stare male”, dalle troppe medicine che intontiscono;

- quasi tutti riescono a riportare due episodi legati alla loro esperienza personale, solo
Alessandro afferma di aver fatto una rappresentazione generica, non riferita a lui, però
individua l’infelicità negli occhi del clown da lui disegnato.

Erino fatica a rappresentare l’infelicità, pensa al lutto, lo invito a cercare ispirazione tra i
giornali ed individua una immagine di donna con espressione triste.

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Sabrina riesce per la prima volta a rimanere per tutta l’attività ed a dedicarsi al lavoro con
impegno riuscendo a concludere il suo disegno.

Lucia, nonostante sia disturbata da allucinazioni, riesce a restare e concludere il suo disegno.

Rosario disegna due fiori, il fiore della felicità ed il fiore del’infelicità cercando di fare il
primo molto bello e ricco di colori ed il secondo brutto e spoglio (usa solo due colori scuri);
che nascono entrambi all’interno della persona.

Paolo partecipa per la prima volta e premette di non sapere fare nulla e di non voler fare nulla.
Stimolato, riesce a ritagliare ed impreziosire con una cornice una immagine di felicità di cui è
molto fiero.

Il gruppo si conclude con un clima di allegria portato da una canzone proposta da Eugenio e
legata al nome odierno di Lucia che tutti conoscono e cantano (canzone dell’Eulalia), ed al
lancio di coriandoli che fanno parte della rappresentazione della felicità di Giovanni.

Sabrina

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Ludovico: Felicità, infelicità

Mario

Rosario: fiore della felicità e della tristezza

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6° INCONTRO

Presenti: Sabrina e Claudio Z. della residenza, Alessandro, Lucia, Eugenio, Mario, Rosario
del centro diurno, Ludovico operatore socio sanitario.

Attività svolta: disegniamo la rabbia.

Dopo i saluti iniziali, propongo oggi per concludere il lavoro sulle emozioni, di disegnare la
rabbia, un sentimento che tutti in alcuni momenti provano.

Al primo disegno segue la verbalizzazione di quanto rappresentato, poi propongo uno


scambio di lavori e di fare un disegno in risposta a quello del compagno, un suggerimento per
affrontare la sua rabbia. Quelle che sembrano indicazioni per gli altri, in realtà, dato che
ognuno propone parti di sé e quello che conosce, sono le strategie che mette in atto per
fronteggiare la rabbia. Segue lo scambio verbale finale.

I materiali sono tutti a disposizione.

Osservazioni:

Claudio Z.: disegna un diavoletto azzurro, per lui la rabbia è azzurra, è un diavoletto che ci
mette la coda, sono i pensieri che gli affollano la mente e lo fanno arrabbiare, per piccole
cose, con la sorella. Lui risponde al disegno di Ludovico, realizza un diavolo arancione con
un cielo arancione, perché è un colore che lo calma, una coperta arancione che rasserena.

Sabrina: passa metà del tempo fuori dalla stanza, però quando è presente lavora velocemente e
con concentrazione riuscendo a finire il compito. Fatica a resistere ed ascoltare durante la
restituzione, anche quando si parla di lei. Per la rabbia, disegna la sua casa con la madre ed il
bancomat che le hanno tolto, si dice arrabbiata con i genitori che non le danno fiducia, non
credono che lei stia meglio e le hanno tolto la libertà. Risponde al disegno di Claudio
disegnando la sua camera con l’acqua santa e la Madonna, e suggerisce, dicendo che per lei
funziona, di pregare e bere l’acqua santa contro la rabbia.

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Alessandro: disegna un personaggio con espressione molto arrabbiata, dice di non arrabbiarsi
quasi mai. Risponde al disegno di Lucia suggerendo di tenere le cose separate per non creare
confusione e non arrabbiarsi. Per lui la rabbia è sempre qualcosa di negativo.

Ludovico: rappresenta l’inquietudine, che si può avere sia nel gruppo di lavoro che in
famiglia, che porta disaccordo. Risponde al disegno di Sabrina, disegnando un mare calmo,
all’alba, con il sole arancione e suggerisce di camminare verso la luce.

Lucia: disegna una scuola, un fiore ed un cane. Racconta di essersi arrabbiata con sé stessa
quando si è ammalata e non ha potuto finire il liceo e di provare rabbia ora se qualcuno fa del
male ai suoi fiori o alla natura piccolina. Risponde al disegno di Alessandro mettendo un
bastone in mano al personaggio che ha disegnato e dicendogli che lo può agitare forte per
sfogarsi ed allontanare chi lo spaventa.

Rosario: disegna quella che definisce una “esplosione di rabbia”, con linee dritte che partono
dal centro del foglio di tutti i colori. Afferma di essere molto permaloso e se vengono feriti i
suoi sentimenti di arrabbiarsi molto e potere anche picchiare o sputare a qualcuno. Distingue
tra rabbia positiva, che ti porta a spronare con forza per aiutare gli amici od a migliorarti e
rabbia negativa che non si può controllare. Risponde al disegno di Mario, creando una cornice
colorata per le sue frecce di rabbia che chiama contenitore e suggerisce di provare a contenere
la rabbia.

Mario: rappresenta un omino con espressione corrucciata da cui partono frecce blu, rosse e
verdi che sono la rabbia che esplode. Dà una accezione positiva della rabbia, la vede come un
momento di sfogo a cui dopo segue la felicità. Risponde al disegno di Rosario disegnando un
fiore colorato, suggerisce di non far sfogare subito la rabbia ma di farla implodere dentro di
sè, in modo che perda forza e si trasformi in un fiore.

Eugenio: disegna un portafoglio vuoto, afferma di arrabbiarsi con sé stesso quando spende
tutti i soldi e si trova con il portafoglio vuoto. Non partecipa alla seconda parte del lavoro
perché deve andare via, ma durante la prima restituzione ribadisce la necessità di controllarsi.

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La rabbia di Alessandro e la risposta di Lucia La rabbia di Lucia e la risposta di Alessandro

La rabbia di Mario e risposta di Rosario La rabbia di Rosario e risposta di Mario

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La rabbia di Ludovico e la risposta di Claudio

7° INCONTRO

Presenti: Sabrina, Claudio Z., Paolo della residenza, M. Regina, Rosario, Mario, Alessandro,
Lucia del centro diurno, Giovanni tirocinante.

Attività svolta: la sagoma.

Iniziamo, come d’abitudine, con i saluti e la verbalizzazione dello stato d’animo della
giornata. Chiedo ai presenti di formare delle coppie, poi consegno ad ognuno un foglio di
carta da pacco bianco su cui si devono sdraiare a turno mentre il compagno, con un
pennarello, disegna il contorno della sagoma.

Quando tutte le sagome sono pronte chiedo di colorarle usando colori o immagini che per loro
rappresentano quello che sentono, quello che ognuno ha dentro di sé. Si possono anche

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evidenziare parti che si sentono doloranti, e quindi fonte di preoccupazione, oppure parti che
vengono sentite come punti di forza, che piacciono in modo particolare.

Quando tutti hanno finito chiedo di guardare la propria sagoma, la propria immagine e se
vogliono, di cambiare qualcosa che vorrebbero modificare nella loro rappresentazione.

Idealmente questo laboratorio conclude il lavoro sulle emozioni, in quanto nella sagoma,
usando i colori, si possono collocare tutte le emozioni rendendole visivamente presenti e
permettendo di osservarle nella loro complessità all’interno del’individuo.

Il lavoro si conclude con la restituzione finale collettiva.

I materiali sono tutti a disposizione, anche se per facilitare lo svolgimento consiglio l’uso di
pastelli a cera, colori a dita o tempere.

Osservazioni:

- sono tutti incuriositi e divertiti all’idea di disegnare la loro sagoma e quella di un compagno,
solo Alessandro è un po’ perplesso e non ne capisce il senso, non si spiega perché non si
possa semplicemente parlare.

Dopo averlo fatto anche lui si dice soddisfatto dell’esperienza.

- Paolo partecipa solo alla prima parte del lavoro, divertito ed attirato dall’idea di vedere la
sua sagoma, dopo va in camera affermando di essere stanco.

- tutti dicono che la sagoma è come se l’aspettavano, non ci sono grosse sorprese nel vedersi
riprodotti sulla carta. Le uniche osservazioni vengono da Mario che nota che le mani
disegnate sono molto più grandi delle sue e da M. Regina, che vede le sue curve accentuate
rispetto alla realtà e dice di preferire la sua figura reale.

- Rosario e Sabrina, che riesce a concludere il lavoro, sperimentano i colori a dita, mentre gli
altri preferiscono i pennarelli.

- nessuno apporta modifiche alla sua sagoma, nessuno ha qualcosa che vorrebbe cambiare,
l’unico cambiamento viene da Giovanni, che aggiunge una pergamena di buoni propositi di
ricerca di pace e stabilità.

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Lucia: colora solo la testa di grigio, dice che gli altri pazienti la chiamano “angelo triste”, e lei
oggi si riconosce in questa definizione, quindi ha deciso di rappresentarla e non cambiarla.

Sabrina: si disegna come è vestita, nella posizione in cui dorme con il suo cane, aggiunge
ritagli di cose che le piacciono, concorda con l’idea di ricerca di pace di Giovanni.

Mario: colora alcune parti con colori vivaci, dice di sentirsi bene e che questi colori gli
corrispondono. Sabrina osserva che sono colori vitali e che lui esprime vitalità e benessere.

M. Regina: è molto assonnata e colora la testa di grigio, perché la stanchezza si trova nella
testa ed aggiunge un vivace cuore rosso come simbolo del suo amore.

Alessandro: contorna con il rosa dell’ottimismo la sua sagoma, dice di essere ottimista. Mario
osserva che il tratto è breve e spezzettato, come una scarica e si riflette sull’ idea che
l’ottimismo dia la carca per affrontare le cose.

Claudio Z.: colora alcune parti con colori che lo fanno stare bene ed afferma di aver usato
quelli proprio perché gli procurano benessere.

Rosario: rappresenta, con un insieme di colori la fratellanza, dice che nel mondo ce ne
vorrebbe di più, verso tutti. Alessandro, che durante l’esecuzione pensava che nel disegno di
Rosario ci fosse un po’ di confusione, individua in esso un uomo che corre, ed associa il nome
a quello di una società sportiva, ristabilendo così il suo ordine.

Giovanni: si disegna attraversato dall’aria, in quanto si definisce in balia del vento e di molte
cose da fare e pensare, è l’unico che introduce un cambiamento con la ricerca della pace e
stabilità. Usa colori freddi per sottolineare il suo malessere di oggi, anche fisico.

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Rosario

Mario

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M. Regina

Giovanni

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8° INCONTRO

Presenti: Sabrina della residenza, Eugenio, Mario, Rosario, Erino, Alessandro, Lucia del
centro diurno.

Iniziamo il gruppo, come di consueto, con un breve resoconto della settimana passata e chiedo
ai presenti come si sentono. Emerge l’insoddisfazione di Sabrina che esprime il desiderio di
essere dimessa e tornare a casa. Accogliendo la sua richiesta propongo al gruppo di
rappresentare un desiderio, qualcosa che vorrebbero.

Il tema del lavoro può essere portato dal conduttore o venire dal gruppo. Quando viene dal
gruppo si valorizzano le esigenze dei partecipanti, si dà importanza ai loro sentimenti
accogliendoli e permettendo di esprimerli. Questo permette di rafforzare la propria identità, la
consapevolezza delle proprie emozioni e l’importanza di comunicarle e condividerle.

Dopo avere rappresentato un loro desiderio ed averlo verbalizzato, propongo uno scambio di
disegni e chiedo di disegnare un suggerimento per l’altra persona su come realizzare il proprio
desiderio.

Si conclude con la verbalizzazione finale.

Eugenio: il suo desiderio più grande è vivere serenamente con la sua compagna e lo
rappresenta con le cose che gli piace fare insieme: andare al ristorante, guardare la televisione,
la loro casa. Usa l’azzurro perché è un colore che lo rasserena. Partecipa solo alla prima parte
dell’attività perché dopo deve andare al lavoro.

Sabrina: non disegna ma scrive il suo desiderio che è quello di tornare al lavoro. È molto
agitata e non rientra dopo la pausa fumo, non partecipando alla seconda parte dell’attività.

Mario: il suo desiderio è stare bene ed avere una “vita nuova” che rappresenta con il sole
nascente dell’alba e con un albero carico di frutti. Risponde al disegno di Rosario regalandogli
un calice pieno di speranza da cui la speranza fuoriesce.

Rosario: realizza un sole pieno di colori usando i colori a dita, è contento di mescolarli e di
immergerci le mani. Il suo desiderio è la speranza di avere sempre un obiettivo che lo faccia

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proseguire nel suo cammino e lo tenga lontano dalla depressione. Risponde a Mario
regalandogli “le ali della mente” che lo supportano e guidano nella sua rinascita.

Erino: sogna una crociera per vedere i porti del Mediterraneo su una bella nave da fare in
compagnia di un amico. Risponde al disegno di Alessandro suggerendogli una gita in barca a
vela sul lago.

Alessandro: sogna un viaggio in barca a vela, in compagnia di un amico, non ha una


destinazione in mente, e si immagina sia riposare che stare al timone della sua barca.
Risponde al disegno di Erino regalandogli una nave da crociera ricca ed accessoriata.

Lucia: dice di non sentirsi bene fisicamente e disegna la porta del reparto in cui vorrebbe
essere ricoverata. Esprime la sua sofferenza e sfiducia verso i medici ricevendo
manifestazioni di affetto e solidarietà da parte del gruppo. Riesce a trovare un suggerimento
per Sabrina per il suo lavoro.

Rosario

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Mario

Alessandro

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Eugenio

9° INCONTRO

Attività svolta: inventiamo e raccontiamo una storia.

Presenti: Simona, Sabrina, Claudio, Andrea, Luisa della residenza; Alessandro, M. Regina,
Mario, Rosario, Eugenio, Lucia del centro diurno.

Gli utenti sono invitati ad alzarsi ed osservare le marionette appese al muro realizzate nel
passato con l’aiuto del maestro d’arte. Ognuno sceglie un personaggio da cui si sente attratto a
cui dare vita, decidendo chi è, cosa fa, con chi vive, cosa gli piace e non gli piace, le sue
caratteristiche fisiche e caratteriali.

Tutte queste indicazioni vengono scritte su un foglio.

Dopo aver letto quanto scritto ed avere trovato le caratteristiche dei personaggi, si cerca di
costruire con essi una storia, collocandoli in un tempo ed uno spazio definiti e facendoli
interagire tra loro.

La storia viene recitata usando le marionette e inventando dialoghi ispirati al canovaccio


creato insieme.

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Le storie sono metafore dell’esperienza di vita, specchi in cui vediamo aspetti di noi stessi,
sono piene di immagini simboliche che evidenziano diversi aspetti della psiche che vengono
riconosciuti dal subconscio ma non dalla mente cosciente (Warren) 78.

Questi aspetti si trovano nelle storie che si ascoltano, ed ancora di più in quelle che si
scrivono, in quanto ognuno è libero di proiettare nel proprio personaggio i suoi sogni,
desideri, di costruire il suo mondo ideale, di affrontare e superare gli ostacoli, creando il finale
che lo soddisfa maggiormente.

I personaggi creati sono:

Lucia: Rossella O’Hara, di cui lei è la madre che ha una cugina, Elena;

Alessandro: Clodovea, studia psichiatria, ragazza semplice con molti amici e parenti;

Simona: Jonki, ragazzo simpatico e sportivo che ha adottato un bambino che porta spesso
fuori a cena;

Claudio: Buffalo Bill, gli piace ballare ed i ciccioli;

Eugenio: Babbo Natale che porta i regali;

M. Regina: Melly, vive solo, gli piace lo sport ed ascoltare musica;

Rosario: Giordano, un cardiologo che dà ottimi consigli;

Mario: Zeppo il contadino, gli piace il vino e le feste all’aria aperta;

Andrea: Calogero, pizzaiolo napoletano buongustaio;

Luisa: è l’unica a dire esplicitamente che la sua marionetta rappresenta lei, una donna
semplice che con l’aiuto della fede ha scoperto chi è veramente.

La storia:

Buffalo Bill è un pediatra molto amico del professor Giordano e la sera spesso dopo il lavoro
vanno insieme in pizzeria.

Il loro locale preferito è la pizzeria “O bella Napoli” di Calogero.

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Warren B., “Arteterapia in educazione e riabilitazione”, 1995, Erickson, Trento.

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Zeppo, il contadino, porta il vino al locale e ne offre un bicchiere a tutti che brindano in
allegria.

Rossella ed Elena sono arrivate in Italia dall’America da pochi giorni ed a un concerto lirico
hanno conosciuto Luisa.

Quella sera decidono di andare in pizzeria tutte insieme, dato che Rossella ed Elena volevano
mangiare un calzone. Insieme a loro ci sono anche alcuni amici di Luisa: la studentessa
Clodovea ed Ottavio, un ingegnere informatico che ha conosciuto ad una festa da lei
organizzata nella sua casa di Monteombraro.

Vanno anche loro da Calogero dato che c’è l’happy hour, con musica rock mixata dal dj
Melly.

Lì incontrano anche Jonki ed il suo bimbo adottivo che si divertono.

Luisa in passato ha avuto una relazione con Calogero ma lui l’ha delusa ed ora sono soltanto
amici.

Tutti i protagonisti passano una serata spensierata mangiando e chiaccherando insieme in


allegria.

10° INCONTRO

Attività svolta: lavoro di gruppo.

Come ultima attività propongo un lavoro di gruppo, la realizzazione sopra un grande foglio di
un’isola, un lavoro comune realizzato con il contributo di tutti.

Dopo aver verbalizzato come è stato lavorare tutti insieme, invito i partecipanti a riguardare
tutti i lavori fatti fino ad oggi ed a mettere sull’isola qualcosa di sé, uno dei lavori fatti, o un
disegno che riproduce e riassume tutto il percorso.

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Conclusioni:

All’attività hanno partecipato in totale una ventina di utenti. Cinque persone del centro diurno
hanno seguito l’intero percorso, gli altri hanno partecipato in modo più irregolare. Gli utenti
dimessi dalla residenza non hanno proseguito in quanto non sono stati inseriti nelle attività di
centro diurno tranne una persona che ha chiesto di continuare a frequentare l’attività anche
dopo le dimissioni. Tra i frequentatori del centro diurno ci sono state alcune assenze dovute
ad impegni personali.

Tutti i partecipanti hanno sperimentato con curiosità i materiali proposti, il lavoro si è svolto
in un clima di concentrazione, di serenità, di impegno e di libertà, espressiva e di azione.

Con il procedere degli incontri ci sono state aperture anche verso i materiali inconsueti ed è
emerso il piacere di mescolare e toccare i colori e le consistenze.

Le regole spaziali, temporali e di condivisione del setting sono state rispettate. Alcune
persone, a causa della loro situazione psicopatologica non sono riuscite sempre a lavorare con
continuità ed a terminare il lavoro, ma non hanno disturbato quello degli altri.

Gli utenti si sono osservati ed ascoltati, hanno guardato il disegno fatto dagli altri cercando di
capire cosa avesse voluto esprimere e dando una loro lettura di quello che era stato fatto.

È difficile, in chi ha una storia di malattia consolidata nel tempo, provocare dei cambiamenti
di pensiero o nuovi significati, attraverso questi esercizi tutti hanno potuto vedere l’esistenza
di nuove possibilità di lettura delle loro immagini interne offerte dal gruppo che sono entrate
nelle loro possibilità di scelta.

È stato possibile attraverso la concentrazione e l’ascolto interno esplorare, rappresentare ed


esprimere le emozioni dominanti del momento e quelle che fanno parte della vita, che sono
state accolte e condivise dal gruppo, che ha sostenuto nei momenti di tristezza ed ha condiviso
l’allegria.

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Le immagini emerse, sono state espressione del mondo interno delle persone, anche per chi
erano solo rappresentazioni generiche, non personali, che ha riconosciuto nel suo disegno le
proprie caratteristiche fisiche o caratteriali.

Alcuni hanno prodotto immagini simboliche delle loro emozioni, altri rappresentazioni più
concrete, in alcuni c’è stato un passaggio dal concreto al simbolico.

La valorizzazione del lavoro di tutti attraverso l’esposizione agli altri che lo hanno guardato
con attenzione ed apprezzato ha permesso di incrementare l’autostima e la fiducia in sé stessi
e nelle proprie possibilità, contribuendo a rafforzare il senso di sé e ad allontanare la cattiva
influenza di pensieri e voci deliranti.

Lo stesso obiettivo è stato perseguito accogliendo da parte del conduttore e proponendo al


gruppo i temi emersi dai singoli partecipanti.

La mia valutazione personale dell’esperienza, condivisa dagli operatori che hanno partecipato
attivamente è positiva, credo che l’arteterapia per le possibilità che offre, dovrebbe trovare
uno spazio all’interno dei programmi riabilitativi dedicati all’utenza psichiatrica.

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8. Bibliografia

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Milano.
Adorno P., (1994) “L’arte italiana”, D’Anna, Messina – Firenze.
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Borgna E., (2009) “Le emozioni ferite”, Feltrinelli, Milano.
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Sitografia

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www.psicopedagogie.it marzo 2010


www.valtelesinanews.com febbraio 2010
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www.psychomedia.it febbraio 2010

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