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“L’APPRENDIMENTO E L’INSEGNAMENTO DELLA MUSICA

(PRIMA PARTE)”

PROF. MAURIZIO PISCITELLI


Università Telematica Pegaso L’apprendimento e l’insegnamento della musica
(prima parte)

Indice

1 L’INSEGNAMENTO DELLA MUSICA ---------------------------------------------------------------------------------- 3

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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(prima parte)

1 L’insegnamento della musica


L’insegnamento della musica è tuttora legato a principi, metodologie e idee tradizionali, alcune
vecchie più di un secolo. In considerazione dei diversi contesti dove viene insegnata la musica (scuole
primarie e conservatori), non è possibile individuare un’unica tipologia di insegnamento. Alcuni docenti
preferiscono procedere fin dall’inizio con la teoria musicale, la tecnica strumentale e il canto
contemporaneamente, mentre altri scelgono di svolgere prima una preparazione più attenta all’ascolto e
al ritmo musicale per poi passare all’insegnamento della teoria.
L’educazione musicale continua a interrogarsi sulle caratteristiche di un insegnamento realmente adatto
ed efficace per i diversi allievi, che sappia tener conto delle specificità individuali, delle finalità educative
e formative, degli obiettivi specifici di apprendimento, delle esigenze di integrazione disciplinare e di
inclusione degli allievi.
Un principio diffuso cui si fa frequentemente riferimento è quello del “prima la pratica, poi la teoria”.
Con il termine ‘pratica’ ci si riferisce, in particolare, alla pratica dell’ascolto, al movimento corporeo, alla
voce cantata, al primo approccio con lo strumento musicale. Con ‘teoria’ si intende, invece, tutto ciò
che abbia a che fare con le nozioni della grammatica della musica, con la lettura e la scrittura delle note
musicali e il solfeggio1 .
Nelle lezioni di musica si riscontra spesso l’abitudine di insegnare ai bambini solamente a suonare e a
cantare, non ad ascoltare e a comprendere, confondendo ancora oggi l’educazione musicale con lo
studio di una tecnica strumentale2 .
A tal proposito, nell’introduzione a Émile Jaques-Dalcroze. Il ritmo, la musica e l’educazione, Carlo
Delfrati3 scrive che è sull’audizione che deve poggiare l’educazione musicale e, riprendendo le parole di
Dalcroze, afferma che un “musicista integrale” non deve soltanto tradurre con lo strumento e con la
voce la musica scritta, udita o pensata, ma deve essere in grado anche di riattivare i vari processi del
linguaggio musicale, di improvvisare e di comporre; di riflettere specificatamente su quello che i suoi
occhi vedono e le orecchie percepiscono4 .
Dalcroze, infatti, insiste sull’addestramento dell’orecchio, l’educazione audio-percettiva; così trascurata
nell’educazione musicale primaria. Come ricorda Delfrati, è «l’orecchio a guidare la voce e la mano sullo
strumento; e vale pure per il reciproco, perché una pratica musicalmente viva del canto e dello
strumento potenzia le abilità percettive5 .
La Ritmica di Dalcroze fu introdotta in Italia intorno agli anni venti. Egli pone al centro del suo
metodo il corpo, il laboratorio in cui la musica prende forma e senso. Il corpo è considerato il primo

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strumento musicale. Con la richiesta di una risposta motoria a uno stimolo che può essere di vario tipo
(verbale, strumentale, visivo, tattile, uditivo), si innesca un processo che porta all’educazione musicale.
L’impostazione didattica del metodo si scosta da quella tradizionale che trasmette e impone nozioni
seguendo uno schema rigido basato su spiegazione/studio/valutazione, per intraprendere invece un
cammino che pone al centro l’allievo come entità globale, già portatrice di competenze e capacità.
L’attività inizia con una percezione a livello motorio per allagarsi alla sfera cognitiva, creativa,
socializzante. Segue, a seconda dell’età, la concettualizzazione di quanto è stato vissuto. Caratteristica
del metodo dalcroziano è l’uso di cerchi, palle, palline, veli, elastici, corde, bastoncini ecc., che vengono
adoperati in moltissimi modi. Questi oggetti spesso sono di sostegno al movimento, poiché aiutano ad
assumere una consapevolezza corporea e invitano a strutturare lo spazio. Il metodo prevede un
adattamento alle diverse fasce di età e a diversi campi di applicazione, quali la musica, il teatro, la danza
e la musicoterapia. In ogni caso, la Ritmica di Dalcroze rimane il metodo di didattica musicale che
concentra maggiormente l’attenzione sull’utilizzo e l’esplorazione del corpo in movimento6 .
Tra le teorie di insegnamento-apprendimento musicale è nota quella di Edgar Willems7 . Il suo metodo
non parte né dal materiale d’insegnamento né dallo strumento musicale, bensì dalle basi psicologiche
che per natura l’uomo possiede, ossia dalla «sensorialità uditiva, dalla sensibilità affettivo-uditivo e
dall’intelligenza uditiva»8 .
Il metodo willemsiano permette la formazione, la conservazione dell’orecchio musicale e la fedele
comprensione delle sequenze ritmiche e facilita sia lo studio del solfeggio sia lo studio strumentale in
modo naturale, partendo dallo sviluppo delle basi psicologiche dell’individuo Secondo tale teoria è
necessario che il bambino sia educato all’ascolto prima di procedere con l’insegnamento della teoria
musicale e ciò viene realizzato con l’aiuto del solfeggio (sempre cantato).
Un altro contributo importante alla teoria dell’educazione musicale è quello di Edwin E. Gordon 9 . Egli
propone una teoria dell’apprendimento basata sull’attenzione alla voce e al movimento dell’allievo.
L’importanza data al corpo in movimento rappresenta un punto in comune con le altre metodologie di
educazione musicale, a partire dall’educazione ritmica di Jaques-Dalcroze, dai metodi di Carl Orff e di
Kodàly. All’interno del percorso didattico di Kodàly gli allievi sono lasciati liberi di agire, affinché il loro
senso del ritmo si unisca alla propria capacità di movimento e alla capacità di coordinare le distanze
spaziali. La caratteristica del metodo Orff consiste invece nella presenza di una serie di strumenti
maneggiabili dai bambini.

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Anche secondo la teoria di Gordon, la Music Learning Theory (MLT) 10 , il movimento non è un
elemento aggiuntivo dell’insegnamento musicale ma fa parte di esso ed è fondamentale nel processo
educativo.
Il bambino durante il suo processo di apprendimento deve concentrare l’attenzione sull’ascolto della
musica. Gordon cita come grande elemento importante e strumento primario della MLT il concetto di
audiation che va oltre il semplice ascolto della musica. Il termine Audiation è “sentire interamente e
comprendere”, laddove il richiamare alla mente un insieme di suoni memorizzati in precedenza non
contempla automaticamente il fatto di averne compreso il significato e la sintassi musicale. Inoltre,
l’imitazione e la memorizzazione si distinguono dall’audiation per il fatto che l’imitazione, così come la
memorizzazione, è un processo lineare che attiene alle parti del tutto; l’audiation invece è un processo
circolare, un movimento che procede e retrocede nello stesso momento e che riguarda il tutto.
L’autore spiega che si tratta di un processo cognitivo attraverso il quale il cervello dà significato ai suoni
musicali. L’audiation indica «la capacità di sentire e comprendere nella propria mente la musica che non
è fisicamente presente. La capacità di audiation dipende dall’attitudine musicale e dall’ambiente in cui il
bambino è vissuto nei primi anni di vita»11 . Con l’espressione “attitudine musicale” Gordon si riferisce
«alla misura della capacità potenziale del bambino di apprendere la musica, che rappresenta per lo
stesso, dunque, una possibilità interiore.
La Music Learning Theory esprime sia un modello di apprendimento che un modello di insegnamento
e si fonda sul presupposto che la musica si possa apprendere secondo processi analoghi a quelli con cui
si apprende il linguaggio. Secondo Nardozzi, insegnare al bambino la musica prima che sia messo nella
condizione di comprenderla, equivale a insegnargli a ripetere a memoria una poesia senza che sia ancora
in grado di comprendere il significato delle parole che pronuncia. Difatti insegnare la lettura, la scrittura
e la teoria musicale prima dello sviluppo della capacità di pensare musicalmente porta il bambino alla
semplice decodificazione della notazione musicale anziché alla lettura, ovvero alla comprensione dei
significati musicali che i simboli della notazione rappresentano.
Il metodo Gordon si serve di strumenti, quali la voce, il corpo e il movimento per favorire
l’apprendimento musicale e propone il canto di brani melodici e ritmici senza parole, brevi ma al tempo
stesso vari e complessi. Inoltre, dagli studi effettuati da Gordon emerge che gli allievi hanno bisogno
per prima cosa di sentire cantare la melodia per poterla imparare.
Il processo educativo della MLT deve essere applicato ai bambini fin da piccolissimi. Infatti, Gordon
spiega che è fondamentale che il bambino ascolti le melodie già quando è nel grembo materno, perché
ciò consentirà poi di sviluppare in lui la musicalità e il senso del ritmo insieme all’apprendimento

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linguistico. È noto che si impara prima a parlare e poi le regole grammaticali e lo stesso Gordon vuole
fare con l’apprendimento della musica. Dunque il processo di insegnamento-apprendimento si sviluppa
prima attraverso l’audiation preparatoria12 , ossia il potenziamento del pensiero musicale, poi la teoria
musicale e la pratica strumentale13 .
Gli studi di Gordon dimostrano come vi sia nella persona umana una attitudine musicale innata. Per
imitazione, i bambini imparano a seguire, col movimento della mano nell'aria, l'andamento melodico del
brano ascoltato; quindi la linea melodica individuata viene rappresentata graficamente. Un passo
ulteriore interessa la rappresentazione iconica delle sensazioni percepite: la traduzione in immagini
consente anche ai bimbi meno estroversi di esprimere il proprio mondo interiore, comunicando a tutti
quanto la musica ha infuso in loro.
Particolare attenzione merita anche il metodo Suzuki, conosciuto anche come metodo madrelingua;
elaborato dal violinista giapponese Shinichi Suzuki nel 1929, ha avuto una certa diffusione in Italia,
soprattutto a Torino. Ascolto, imitazione, incoraggiamento, ripetizione e ambiente cooperativo
favorevole sono gli elementi comuni imprescindibili di ogni tipo di apprendimento, compreso quello
musicale. La chiave del successo del metodo è che la musica è vissuta come un gioco, in compagnia dei
genitori, che partecipando in modo attivo all’apprendimento, creando un clima incoraggiante e
rassicurante14 .
Il percorso di apprendimento parte dai suoni prima che dalla notazione, come gli uccelli che imparano a
cantare per imitazione, stando vicino ad un altro uccello abile nel canto “il maestro cantore” il quale, in
termini costruttivistici, assume il ruolo di sostegno degli apprendimenti (scaffolding), fino a quando
l’allievo usignolo non è capace di cantare da solo.
Imparare a suonare è utile per sviluppare competenze trasversali (imparando la musica si diventa più
intelligenti); si impara a suonare da e con gli altri per crescere come persone migliori e più felici, per cui
l’apprendimento è facilitato se si utilizzano metodologie che si rifanno al cooperative learning.
Un'altra intuizione di Suzuki è la convinzione dell’interdipendenza e della inseparabilità
nell’apprendimento, fra le diverse dimensioni della persona: fra corpo e cervello, tra pensiero,
sensazioni, azioni ed emozioni; queste ultime in particolare, vengono viste come importanti e primari
processi di conoscenza e di sviluppo. Per molto tempo, infatti, le emozioni sono state considerate la
parte irrazionale dell’uomo, non controllabile; esse, al contrario, sono stimoli al vivere, per cui occorre
favorirne lo sviluppo nei processi di conoscenza, unitamente al coinvolgimento integrale della persona.
una visione plastica e dinamica dell’intelligenza, intesa come una propensione dell’organismo a
modificarsi nella sua struttura cognitiva per adattarsi sempre a nuovi stimoli15 .

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(prima parte)

Rispetto a una visione tradizionale secondo la quale prima si deve formare la persona intellettualmente
e poi operare concretamente (preminenza della conoscenza sulla competenza), viene ora ribadita la
necessità di riconoscere alla dimensione operativa una dignità nuova sul piano della conoscenza. Il
linguaggio musicale è un’esperienza valida in se stessa, ora esso viene considerato come occasione
privilegiata di sviluppo delle competenze trasversali (memoria, sensibilità ritmica, disciplina nello studio,
socializzazione, ecc), strumento veicolare di atteggiamenti cognitivi, soprattutto per soggetti con stili
cognitivi lontani dalle consuete logiche tradizionali, sia tramite l’esercizio (forma particolare di transfer),
sia tramite le strategie meta cognitive che rendono l’esercizio proficuo ed efficace.

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(prima parte)
1
Il “solfeggio «comprende tutto ciò che riguarda l’altezza del suono e lo sviluppo dell’orecchio, ed è
finalizzato, a seconda del livello, al riconoscimento del rapporto fra singoli suoni, di intervalli, scale,
modi, triadi, accordi di settima, modulazioni. Include dettati ritmici, melodici, armonici, lettura a prima
vista a una e più voci». Di Segni-Jaffè L. (2008) (a cura di), Il ritmo, la musica e l’educazione. Torino: EDT.
2
Willems E. (1975) (a cura di G. Vianello). L’orecchio musicale. Padova: Zanibon.
3
Fondatore della Società Italiana per l’Educazione Musicale. Docente di Didattica musicale nei Conservatori di
Parma e Milano.
4
Delfrati C. (2008). In L. Di Segni-Jaffè (a cura di), Il ritmo, la musica e l’educazione. Torino: EDT.
5
Dalcroze E. J. (2008). In L. Di Segni-Jaffè (a cura di), Il ritmo, la musica e l’educazione. Torino: EDT.
6
Nardozzi R. (2010). L’apprendimento della musica nel bambino da 0 a 6 anni. Music Lerarning Theory: teoria e
prassi secondo Edwin E. Gordon: Roma: Il Filo.
7
Willems E. (1975) (a cura di G. Vianello). L’orecchio musicale. Op. cit.. Willems nato nel 1891 in Belgio.
Diplomato al Conservatorio di Musica di Ginevra. Fu professore di “Solfege”. La sua opera più famosa
è “L’orecchio musicale”. Si occupò dell’introduzione all’educazione musicale per bambini, alla preparazione
dello studio del solfeggio, del pianoforte, dell’improvvisazione e della musicoterapia.
8
La sensorialità uditiva è l’atto sensoriale della percezione uditiva attraverso l’organo stesso; la
sensibilità affettiva-udivita si riferisce al suono, all’emozione che si prova ascoltando una canzone e
infine l’intelligenza uditiva, ossia l’intelligenza mentale, consapevole di ciò che l’individuo sente
effettivamente.
9
E. E. Gordon nato nel 1927 a Stabford. Attualmente è professore presso l’Università del South
Carolina.
10
Music Learning Theory: descrive le modalità di apprendimento musicale del bambino a partire dall’età
neonatale. Il presupposto alla base della MLT è che la musica possa essere appresa secondo
procedimenti simili a quelli dell’apprendimento del linguaggio. Non si tratta di un metodo ma di una
teoria dell’apprendimento da cui scaturisce una pratica educativa seguita da un adulto musicalmente
competente.
11
Fonte: www.aigam.org
12
Vi sono tre tipi di audiation preparatoria: l’acculturazione, che avviene quando il bambino assorbe la
musica della propria cultura; l’imitazione, dove le azioni e le reazioni del bambino si fanno più
intenzionali; infine l’assimilazione, che si ha quando il bambino inizia a diventare consapevole della
sintassi musicale.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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(prima parte)
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Nardozzi R. (2010). L’apprendimento della musica nel bambino da 0 a 6 anni. Music Learning Theory: teoria e
prassi secondo Edwin E. Gordon, op. cit.
14
Scaglioso C. M. (2008). Suonare come parlare. Linguaggi e neuroscienze - implicazioni pedagogiche. Roma:
Armando Editore.
15
Enrico E. Suonare come parlare. Torino: Musica Practica.

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