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François Delalande

La pedagogia del risveglio, sostenuta da D. in ambito musicale, si è sviluppata in Francia negli


anni Settanta investendo vari campi d’esperienza. Il lavoro pedagogico promosso da Delalande è
basato sull’attivazione e sullo sviluppo graduale delle capacità e attitudini proprie del bambino.
Senza imporre ai bambini un sistema musicale dato come assoluto, si auspica quindi una presa di
coscienza dei codici di comunicazione del linguaggio musicale e un loro utilizzo pratico.
La funzione dell’insegnante in questa prospettiva è quella di una guida discreta, che organizza i
contesti di gioco senza imporre delle scelte. M. Frapat insiste molto sulle capacità di osservazione e
di ascolto richieste all’adulto, che sono la base per un apprezzamento e una rielaborazione delle
scoperte infantili.
A. Bondioli parla a questo proposito di una pedagogia di “promozione dall’interno” e di tre strategie
che possono avere un’applicazione anche in ambito musicale: il rispecchiamento (l’adulto
riproduce le produzioni spontanee dei bambini, che così vengono responsabilizzati e guidati); il
modeling (l’adulto, agendo da mente potenziale del bambino, fornisce la soluzione a ciò che questi
vorrebbe ma non riesce a fare); lo scaffolding (scambio e interazione, per far circolare le idee dei
singoli).
Se si lavora sulle attitudini, sulle motivazioni, sui codici linguistici, è ovvio che la finalità del
“metodo” è di tipo creativo. Non a caso è costante, negli scritti di Delalande, un riferimento alle
esperienze del disegno e della pittura, che godono da più tempo di un riconoscimento come attività
di libera espressione, ricerca, progresso individuale. Il “prodotto” finito, l’opera, non è però
considerato l’obiettivo ultimo del lavoro, è invece importante impadronirsi delle “condotte” dei
musicisti.

La pedagogia proposta da D. è infatti basata sul concetto di CONDOTTA, definibile come una
serie di azioni coordinate tra loro in una strategia con un fine.

In ambito musicale, si parla di condotte di esplorazione, di espressione, di organizzazione.

La finalità pedagogica consiste dunque nello sviluppo delle condotte che caratterizzano
universalmente il musicista.

A ognuna di queste condotte D. associa una delle fasi del gioco teorizzate da Piaget, applicandole
non solo alle fasi di sviluppo dei bambini ma anche agli atteggiamenti dell’adulto e in particolare
del musicista. Monique Frapat sposa pienamente la teoria di Delalande.
La condotta esplorativa, basata sulla scoperta e sperimentazione di suoni e rumori, corrisponde al
gioco senso-motorio, che per Piaget domina il primo periodo di vita fin verso i due anni.
L'interesse per il suono è molto vivo nel bambino piccolo, ma decresce nell'adulto (che considera il
rumore un fattore inquinante o un supporto dell'informazione). Per apprezzare il suono, è necessario
essere capaci di differenziare finemente le sonorità, attraverso un lavoro di ricerca individuale.
Secondo Piaget, si tratta di una strategia di esplorazione tipica delle condotte senso-motorie della
prima infanzia. “Il piccolo non si limita a riprodurre semplicemente i movimenti e gesti che hanno
portato un effetto interessante: egli li varia intenzionalmente per studiare i risultati di questa
variazione”. (1964)
Si ritrova lo stesso atteggiamento nel musicista ogni volta che ricerca una particolare sonorità sul
suo strumento.
La condotta espressiva corrisponde alla fase del gioco simbolico, che per Piaget caratterizza gli
anni della scuola dell’infanzia. Al suono viene attribuito un certo significato extra-musicale, si
evocano situazioni, personaggi, movimenti, per cui la musica è il risultato intenzionale della volontà
di esprimersi coi suoni.
Nel musicista adulto questo tipo di condotta appare quando con un gesto enfatico si accompagna
l’emissione dei suoni, poiché si vuole comunicare anche attraverso il corpo che “aiuta” la
produzione del suono.
Tra i cinque e i sette anni, il bambino scopre, con la socializzazione, il piacere di applicare regole ai
propri giochi. A questa fase (gioco di regole), D. associa la condotta organizzativa. Musicalmente
questo porta ad assegnare dei ruoli, a stabilire le entrate di uno strumento o di un suono, a
programmare l’evoluzione della musica nel tempo.

È in fondo ciò che fa il compositore adulto o il musicologo che si accinge ad analizzare una
partitura.

Secondo D., tutte le tappe della storia della musica occidentale, ma anche le espressioni delle
culture musicali extra-europee, potrebbero essere lette alla luce delle condotte e delle funzioni del
gioco sopradescritte, individuando di volta in volta quale funzione è dominante.

La ricerca musicale viene stimolata dall’educatore attraverso dei “dispositivi”, ovvero mezzi
concreti che si applicano alle situazioni specifiche. Può trattarsi di oggetti (per esempio un
registratore o uno strumento) oppure di direttive di ricerca o di riflessione, o ancora di giochi
guidati.
M. Frapat insiste particolarmente sulla registrazione e amplificazione. Il suono viene così isolato da
altri aspetti (cinetici, tattili, visivi) e può essere riascoltato oggettivamente. In seguito all’ascolto,
possono sorgere nuove idee (da parte dei bambini e dell’insegnante). L’atto stesso di usare il
microfono amplificato permette ai bambini di sentire ogni emissione di voce, per minima che sia, e
di giocarci. Per evitare che il microfono “paralizzi” bisogna però cercare di diminuire le distanze tra
chi “si esibisce” e chi ascolta.

Le tappe operative suggerite da Delalande intendono riattivare in modo spontaneo le condotte che
caratterizzano il musicista: si parte dall’ascolto e produzione dei suoni, che trovano un’eco
nell’immaginazione poetica e nella vita affettiva (esperienza vissuta del suono), fino ad arrivare
alla ricerca delle modalità di sviluppo e di costruzione dei materiali sonori, ovvero alla
organizzazione formale dell’opera.
Per la scuola dell’infanzia, M. Frapat propone una semplificazione del percorso, riconducendo le
tappe a: esplorazione, scambio, invenzione.

Ascolto e produzione (fase esplorativa): per iniziare è necessario stimolare la curiosità verso suoni
e rumori. Si possono collezionare corpi sonori (oggetti e strumenti), registrare i paesaggi sonori e
magari tentare di riprodurli con gli strumenti a disposizione.
Un’operazione importante è la sperimentazione di tutti i possibili modi di suonare qualcosa (come
una bottiglia di plastica). Da qui può nascere una trovata (come un gesto che produce un suono
interessante), che deve essere poi sviluppata, creando così una improvvisazione attorno a un’idea.
La curiosità lascia il posto alla soddisfazione data dalla ripetizione e variazione di una scoperta.
È essenziale che non si abbandoni subito la trovata. Per fare ciò è necessario talvolta dare delle
limitazioni, per esempio mettere a disposizione un solo corpo sonoro.

Quanto ai rumori ambientali, un primo passo consiste nel tentare di riprodurli. Attraverso
l’imitazione i rumori vengono analizzati e il bambino se ne appropria, così da poterli variare in un
contesto che dall’imitazione passa alla creazione.
Es. il cantiere: cigolii della gru (suoni acuti con la voce, ondulati e intermittenti); martello
pneumatico (suono ruvido ma regolare che si ferma di colpo); martelli (suoni appuntiti, raggruppati
in modi diversi); compressore (rumore bianco “sc” con variazioni di intensità)…
Imitando questi suoni, i bambini prendono coscienza delle loro caratteristiche (di forma e materia).
La necessità di avvicinarsi il più possibile al modello suggerisce inoltre un ascolto molto attento.

Tra le attività di ascolto e riproduzione di suoni reali, è importante comprendere l’ascolto del
silenzio, così da comprendere sia il suo valore in rapporto coi suoni da loro inventati, sia il
significato del silenzio stesso (ogni ambiente ha il suo caratteristico “silenzio”, il silenzio assoluto
non esiste). L’ascolto del silenzio contribuisce a raffinare l’ascolto dei suoni, perché ogni suono che
irrompe si rapporta diversamente al silenzio di fondo.
L’ascolto di una registrazione di rumori ambientali può dar luogo a una serie di attività. La prima
consiste nel riconoscimento della fonte. Ripetendo l’ascolto più volte, i suoni vengono apprezzati
per loro stessi. Poi il paesaggio sonoro può essere riprodotto con gli oggetti e gli strumenti che già
hanno esplorato e che ora usano intenzionalmente.

Il suono e il vissuto: la partecipazione alla musica col movimento del corpo è un modo di “vivere”
il suono, ma anche di analizzarlo (vedi l’ascolto corporeo, in cui si esprime col corpo ciò che dice la
musica). Es. Vivaldi, Concerto per mandolino, dove i timbri dominanti sono quelli del violino
(gesti lenti e carezzevoli), del cembalo (gesti dinamici, di salto e rimbalzo), del mandolino (come
una pioggia di suoni).
Associare la musica ascoltata al vissuto vuol dire anche trovare dei rimandi a esperienze sensibili
non uditive (ma visive o tattili ad esempio). È importante provare a descrivere la musica con tutte le
espressioni possibili.
Altro legame col vissuto può essere dato dal punto di partenza dell’attività musicale (un evento a
cui i bambini hanno partecipato, una foto o una poesia che li coinvolga).
Gli eventi atmosferici o i momenti della giornata possono fornire lo spunto per numerose attività,
che vanno dai giochi corporei correlati all’elemento di partenza ai giochi sonori che consistono
nella semplice imitazione o partono da un concetto (es. la brillantezza delle stelle), fino all’attività
musicale che, partendo dal gioco sonoro, si può concentrare su un carattere del suono (la durata,
l’intensità, la risonanza, il rapporto col silenzio).
Es. la notte; le stelle.
Alla fine si può organizzare un gioco complesso basato su una traccia di racconto o sulla
rappresentazione di una situazione naturale (per esempio il passaggio dalla notte al giorno).
È importante che le attività non siano predeterminate, che si parta da proposte spontanee, che
ci sia una fase di scambio dopo l’esplorazione, in cui circolino le idee e sia valorizzato il lavoro
individuale. Una regola del gioco serve infine a organizzare l’attività musicale.

Il senso della forma: una volta individuata, durante l’improvvisazione, una trovata, questa va
sviluppata con la variazione. Per capire qual è la trovata migliore è utile sentire una registrazione di
quanto si è sperimentato e discuterne.
Possibilità interessanti sono offerte dal gioco a due, dove due bambini sono impegnati a ottenere
delle sonorità dallo stesso oggetto/strumento contemporaneamente. Anche qui si può passare
dall’improvvisazione alla costruzione. L’ascolto reciproco può dare delle svolte alla composizione.
La composizione collettiva richiede, una volta definite delle sequenze (realizzate in più incontri),
un piano complessivo, reso schematicamente sulla carta, precisando entrate, strumenti, gesti... Uno
dei ragazzi può dirigere il tutto. Segue l’ascolto critico.

Quale di queste attività (improvvisazione individuale, gioco a due, composizione collettiva)


prediligere? Dipende da quando si comincia questo tipo di attività e dall’età dei bambini. In genere
fino ai 4 anni il lavoro è soprattutto individuale. Dai 4 ai 7 anni l’attività collettiva va bene se viene
diretta, in genere appigliandosi a un racconto (gioco simbolico). Dopo i 7 anni è più facile
organizzare un lavoro collettivo, che parte sempre dalla ricerca sonora e dallo sviluppo delle idee
musicali in sé, con minor dipendenza rispetto al supporto drammatico, che può anche non esserci.
Come annotare le creazioni che scaturiscono?
D. è contrario a rendere le esperienze musicali dei bambini, essenzialmente gestuali, ricorrendo alla
notazione tradizionale, che impoverisce in quanto trascura l’aspetto timbrico, l’evoluzione
complessa del suono, la trasformazione della grana. Inoltre si rischia di spostare l’attenzione solo
sui parametri tradotti dalla notazione tradizionale (altezza e intensità). Meglio scegliere, per i
bambini della scuola primaria, una notazione operativa.
Anche la registrazione è in fondo una forma di notazione.
M. Frapat suggerisce, per la scuola d’infanzia, una partitura di stimoli, che conservi una traccia
grafica del suono, senza ricorrere a complesse simbologie che impegnano i bambini nella
decodificazione del simbolo distogliendoli dalla musica vera e propria.

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