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LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E GALILEO (1564-1642)

Nasce a Pisa nel 1564, a Firenze compie iniziali studi di letteratura e di logica. Poi a Pisa
si iscrive alla facoltà di medicina che però non termina per dedicarsi invece allo studio
della matematica. Per diciotto anni insegna matematica all'Università di Padova. Dopo
Padova, Galilei è chiamato a Firenze e a Pisa per ricoprire la carica di primo
matematico.

Grazie all'uso del cannocchiale-telescopio, la cui scoperta è attribuita ad un olandese


ma che Galilei per primo utilizza come strumento scientifico, egli realizza prime ed
importanti verifiche sperimentali della teoria eliocentrica copernicana. Condannato per
eresia dalla Chiesa, è mandato in esilio nella sua villa privata di Arcetri dove trascorre in
solitudine gli ultimi anni.

"SIDEREUS NUNCIUS"
Nella sua opera "Sidereus nuncius" (Annuncio astrale), Galilei annuncia la scoperta di stelle
non visibili all'occhio umano, dimostrando così che l'universo è più ampio di quello concepito
dal vecchio sistema tolemaico-aristotelico.

Scopre che la superficie della Luna non è liscia e perfetta, dimostrando in tal modo che è falsa
la teoria di Aristotele che distingueva tra mondo terrestre o sublunare, costituito da materia
imperfetta, e mondi celesti o sopraterrestri, costituiti da materia perfetta (l’etere) ed
incorruttibile.

Scopre anche quattro satelliti di Giove, scoperta questa che rafforza la teoria eliocentrica: infatti, se i satelliti di Giove
si muovono attorno ad esso e se Giove a sua volta si muove attorno al Sole, nulla vieta di pensare che la Terra e il suo
satellite, la Luna, possano ruotare anch’esse attorno al Sole.

Pure le successive scoperte delle fasi di Venere e delle macchie solari riconfermano che è falsa la teoria di Aristotele
che riteneva perfetta ed incorruttibile la materia dei corpi celesti al di sopra della Terra.

Galilei, dunque, accetta la teoria eliocentrica copernicana, affermando inoltre che la scienza è autonoma sia nei
confronti del "principio di autorità" (per il quale le teorie degli autorevoli pensatori antichi sono indiscutibili e vanno
accettate senza riserve) sia nei confronti della fede e della religione.

Per tali motivi Galilei viene criticato e combattuto sia da parte dei filosofi seguaci di Aristotele sia da parte della
Chiesa. Viene denunciato al Sant'Uffizio e subisce una prima ammonizione da parte del cardinale Bellarmino perché
abbandoni la teoria e la divulgazione del nuovo sistema astronomico copernicano.

"DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI"


Nell'altra e sua più celebre opera "Dialogo sopra i due massimi sistemi", scritta in forma di
dialogo nel 1632, Galilei mette a confronto i due massimi sistemi astronomici che allora erano
fra di essi in contrasto, cioè il sistema geocentrico e quello eliocentrico. Sebbene anche Galilei,
come Copernico, allo scopo di difendersi dall'accusa di eresia, dichiari che la teoria copernicana
è solo un'ipotesi matematica per semplificare i calcoli, dalla lettura del Dialogo appare
chiaramente come egli sostenga invece il sistema copernicano anche in termini sostanziali.

A causa di quest'opera, che riconferma la validità del sistema eliocentrico, Galilei viene
nuovamente accusato dalla Chiesa, subisce un secondo processo da parte del Sant'Uffizio ed è
costretto a rinnegare le sue teorie e venne esiliato. La psicologia dei personaggi del Dialogo: da una parte c'è il
copernicano Salviati, rappresentato come un uomo intelligente ed anticonformista, e dall'altra c'è l'aristotelico e
tradizionalista Simplicio, rappresentato come un uomo pedante, di mentalità conservatrice ed attaccato
all’"autorità" di Aristotele che non poteva essere messa in discussione. Arbitro e moderatore del dialogo fra i due è
Sagredo, un nobile veneziano amico di Galilei, colto, aperto, senza pregiudizi e tendenzialmente simpatizzante
anch'egli per le nuove teorie.

Il "Dialogo" è diviso in quattro giornate:

 Nella prima si pone sotto accusa la distinzione aristotelica fra mondo celeste e terrestre, per mostrare invece
che i due mondi non sono composte di materia diversa.
 La seconda giornata è dedicata a smentire le obiezioni dei tradizionalisti contro il moto della Terra attorno al
Sole. I tradizionalisti obiettano che se davvero la Terra si muovesse solleverebbe un vento tale da spazzare
via tutti gli oggetti dalla superficie terrestre oppure che, se davvero la Terra si spostasse da ovest ad est, i
gravi (i pesi, gli oggetti) dopo essere stati lanciati in alto dovrebbero allora ricadere giù obliquamente, più
verso ovest, e non perpendicolarmente come invece si nota. Galilei, attraverso Salviati, risponde che sia
l'aria, sia il vento, sia i gravi partecipano allo stesso movimento della Terra e quindi, muovendosi insieme ad
essa, noi non notiamo il loro movimento perché anche noi ci muoviamo insieme alla Terra e con la stessa
velocità. Sulla base di queste argomentazioni Galilei formula il suo cosiddetto "principio della relatività
galileiana", che anticipa il principio della relatività ristretta di Einstein: cioè all'interno di un sistema (di un
ambiente) chiuso, ossia senza la possibilità di avere punti di riferimento esterni, è impossibile stabilire se tale
sistema sia in quiete (immobile) o in movimento.
 Nella terza giornata viene dimostrato il moto di rotazione della Terra su se stessa e nella quarta giornata
Galilei espone la sua teoria sulle maree.

MOTO DEI GRAVI


Galileo studiò la fisica aristotelica all'università di Pisa, ma cominciò subito ad analizzarla criticamente. Mentre gli
aristotelici avevano un approccio di tipo qualitativo e filosofico nei confronti del mondo fisico, il quale veniva
descritto per categorie e mai sottoposto a verifiche sperimentali, lo scienziato cercò di sviluppare un metodo di
indagine quantitativo e matematico.

Uno degli oggetti di indagine di Galileo riguardò il moto dei corpi materiali (detti "gravi"), in particolare quello dei
corpi in caduta libera. Secondo la fisica aristotelica, il moto di un corpo è determinato dalle forze alle quali è
soggetto; per un corpo in caduta, esse sarebbero il suo peso e la resistenza dell'aria. Quindi, secondo questa visione,
un corpo lasciato cadere da una determinata altezza raggiungerebbe il suolo tanto più velocemente quanto
maggiore è il suo peso.

Galileo cominciò ad investigare criticamente questa ipotesi, come fecero prima di lui Giuseppe Moletti e Benedetto
Varchi, i quali constatarono che corpi dello stesso materiale ma diverso peso, lasciati cadere dalla stessa altezza,
raggiungono il suolo nello stesso tempo.

Lo scienziato pensava dapprima che i corpi cadessero con una velocità uniforme caratteristica, che dipendeva non
dal loro peso, bensì da una proprietà intrinseca detta gravità specifica. Durante gli anni in cui insegnava matematica
all'Università di Pisa (dal 1589 al 1592), egli cominciò ad esporre questa sua prima teoria sul moto dei gravi nel libro
"De Motu", che però non pubblicò mai.

Nei vent'anni successivi, Galileo fece altri esperimenti ed arrivò alla conclusione che tutti i corpi nel vuoto (cioè non
soggetti alla resistenza dell'aria o di un altro mezzo materiale) cadono con accelerazione uniforme,
indipendentemente dal materiale di cui sono composti, dal loro peso o dalla loro forma, e che la distanza che essi
percorrono durante la caduta è proporzionale al quadrato del tempo impiegato per percorrerla.

MOTO DEI PROIETTILI


Nel "Dialogo intorno a Due Nuove Scienze", Galileo affronta il problema del moto dei proiettili. Prima di Galileo, si
credeva che un corpo lanciato in direzione orizzontale, per esempio un proiettile sparato da un cannone, si
muovesse in direzione orizzontale fino a quando non perdeva il suo "impeto", dopodichè cadeva verso terra,
seguendo una traiettoria curvilinea che però non era ancora conosciuta.

Galileo si accorse, durante lo studio del moto dei proiettili, che essi non sono soggetti soltanto alla forza che li spinge
in direzione orizzontale, bensì anche alla forza di gravità, che li attira verso il basso. La prima componente agisce
come una forza inerziale, nel senso che il corpo ad essa soggetto percorre una distanza in orizzontale che è
proporzionale al tempo impiegato per percorrerla. La seconda invece provoca un moto uniformemente accelerato,
cioè la distanza percorsa in verticale è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerla. Galileo
dimostrò che la combinazione dei due moti orizzontale e verticale risulta nel moto del proiettile lungo un arco di
parabola.

LA DEFINIZIONE DEL METODO SCIENTIFICO


Come abbiamo visto, la scienza moderna (come tale non si intende la scienza contemporanea ma quella che va dal
1600 al 1800), è il risultato della rivoluzione astronomica e della rivoluzione scientifica. La prima definizione del
metodo della nuova scienza, ed in particolare del metodo della fisica, è merito di Galilei, anche se egli non lo espone
in modo sistematico; le parti ed elementi del metodo si trovano tuttavia distribuiti nelle varie opere di Galilei.

Galilei suddivide il metodo della scienza da un lato in un momento risolutivo, o analitico, e in un momento
complessivo, o compositivo o sintetico, nonché, dall’altro lato, in "sensate esperienze" e in "necessarie
dimostrazioni".

Metodo scientifico galileiano:


1) momento risolutivo o analitico;
2) momento complessivo o sintetico;
3) sensate esperienze: per induzione;
4) necessarie dimostrazioni: per deduzione.

Il momento risolutivo o analitico (=scomporre) consiste nel risolvere, cioè nello scomporre un fenomeno complesso
nelle sue parti od elementi semplici, che siano misurabili e dunque quantitativi, formulando quindi un'ipotesi
matematica (una formula) in base a cui calcolare e spiegare quali relazioni vi sono tra le varie parti del fenomeno
complessivo considerato ed individuando conseguentemente la legge scientifica da cui queste relazioni dipendono.

Il momento compositivo o sintetico (=rimettere insieme) consiste nella sperimentazione scientifica e nella verifica,
cioè nel tentativo di riprodurre artificialmente il fenomeno in modo tale che, se l'ipotesi formulata è confermata
dalla sperimentazione, essa è verificata (= fatta vera) e perciò viene accettata e formulata in veste di legge scientifica,
mentre se l'ipotesi non è confermata dalla sperimentazione viene falsificata (= fatta falsa) ed abbandonata.

Come si può notare, per la scienza moderna la semplice esperienza sensibile, la semplice osservazione del
fenomeno, da sola non basta; essa deve essere tradotta ed organizzata come sperimentazione scientifica.

Per sensate esperienze (=le esperienze sensibili) Galilei intende il momento dell'osservazione induttiva della scienza
(induzione=passare dai casi particolari a quelli più generali), che è quello prevalente in talune scoperte. Infatti, in
predeterminati casi la scienza, mediante un'attenta osservazione dei fenomeni particolari, giunge per induzione alla
formulazione di una legge generale (ad esempio, osservando col telescopio che la superficie della Luna è rugosa e
non liscia e perfetta, come pure che nel Sole vi sono delle macchie, si giunge a formulare la legge generale per cui sia
i corpi celesti sia la Terra sono composti della medesima materia, smentendo così la teoria di Aristotele che
distingueva tra materia perfetta dei corpi celesti e materia imperfetta della Terra).

Per necessarie (=certe) dimostrazioni Galilei intende il momento ipotetico-deduttivo della scienza
(deduzione=passare dai casi generali a quelli particolari), il quale è prevalente in un altro tipo di scoperte (ad
esempio il principio di inerzia o quello della caduta dei gravi). Le necessarie dimostrazioni, chiamate anche
"matematiche dimostrazioni", sono ragionamenti logici, condotti su base matematica (pertanto non partono
dall'esperienza sensibile, dall'osservazione dei singoli fenomeni), mediante i quali si giunge a supporre, ad ipotizzare,
una teoria generale, riservandosi poi di verificarla nella pratica.
Il metodo scientifico delineato da Galilei spiega anche quali rapporti vi sono tra la matematica e la fisica. La
matematica, dice Galilei, è uno strumento fondamentale per le scoperte scientifiche, poiché essa, mediante i calcoli
e le deduzioni, consente di formulare nuove ipotesi sui fenomeni ("necessarie dimostrazioni"). Però, mentre la
matematica pura non ha bisogno, per essere vera, di venir controllata (verificata) dall'esperienza, la matematica
applicata alla fisica ha valore solo se i risultati dei calcoli matematici sono poi confermati dalla sperimentazione nella
realtà.

LE IDEE FILOSOFICHE CHE STANNO ALLA BASE DEL METODO


SCIENTIFICO
Ogni metodo scientifico non nasce soltanto in base alle scoperte ed alle conoscenze scientifiche, ma anche da idee
generali sul mondo (visioni del mondo) che sono idee di tipo filosofico, quali le idee, già viste in precedenza, di
oggettività della natura, di causalità, di razionalità, di legge scientifica. Così è anche per il metodo della scienza
moderna definito da Galilei.

Dal punto di vista filosofico rileva il fatto che il modo di vedere e di pensare la realtà da parte della scienza moderna
esclude ogni considerazione finalistica della natura, come pure ogni considerazione soggettiva: non è compito della
scienza cercare il "perché", ossia per quale fine la natura agisca un certo modo (causa finale) ma solo "come" la
natura agisce ed opera (solo la causa efficiente). Altrettanto, non possiamo giudicare ed interpretare i fenomeni in
modo soggettivo, cioè secondo i nostri desideri e sentimenti, ma soltanto in modo oggettivo, cioè come essi sono in
realtà, indipendentemente da ciò che vorremmo noi.

In particolare, il metodo scientifico moderno definito da Galilei si basa sulle seguenti idee filosofiche:

1) La concezione della struttura (composizione) matematica del cosmo. Il mondo, la natura, dice Galilei è un libro
scritto in caratteri matematici. La forma delle cose che sono nell'universo è simile a quella dei cerchi, dei quadrati,
dei triangoli e delle altre figure geometriche, per cui le cose possono essere studiate e misurate applicando il calcolo
matematico e la geometria. Perciò solo chi conosce la matematica è in grado di comprendere il cosmo. A tale
proposito Galilei rimprovera i filosofi aristotelici perché non hanno riconosciuto e capito l'importanza della
matematica nello studio della natura. La matematica non è una scienza astratta, ma riguarda la realtà fisica.

2) L'idea della maggior importanza degli aspetti quantitativi della realtà rispetto a quelli qualitativi, ossia delle
proprietà oggettive (o primarie) dei corpi (delle cose) rispetto alle proprietà soggettive (o secondarie). Le proprietà
oggettive caratterizzano i corpi in se stessi: sono la figura, la grandezza, la quantità, il luogo, il tempo, il movimento,
eccetera. Le proprietà soggettive non sono vere proprietà dei corpi, ma soprattutto nostri modi di percepirli, perché
dipendono in gran parte dai nostri sensi: sono i sapori, i colori, gli odori, i suoni, eccetera, che noi attribuiamo alle
cose, ma che invece sono influenzati dalle sensazioni individuali di ciascuno. La fisica aristotelica, viceversa, è più di
tipo qualitativo-descrittivo anziché di tipo quantitativo- misurabile.

3) L'idea che i fenomeni naturali accadono e si svolgono sempre in maniera uniforme, costante, immutabile e quindi
necessaria come una verità geometrica, un teorema geometrico: ogni cosa, cioè, è sempre il prodotto, l'effetto di
una determinata causa, la quale produrrà sempre in modo uniforme quell'effetto o quegli effetti e non altri. La
natura perciò può essere studiata secondo il principio di causalità (il principio di causa-effetto): conosco una cosa
quando ne conosco una causa. La conoscenza della causa o delle cause dei fenomeni, sempre costanti ed identiche a
se stesse, consente allora di formulare leggi scientifiche generali di spiegazione.

La teoria della conoscenza.


Sulla base di queste idee Galilei definisce quindi la sua teoria della conoscenza, ossia definisce il modo in cui, a suo
avviso, procede la conoscenza umana e quali sono le sue caratteristiche.

La teoria della conoscenza di Galilei è profondamente influenzata dalla sua fiducia nella capacità della scienza di
giungere a conoscenze vere. Egli paragona la conoscenza umana a quella divina. La conoscenza umana, dice Galilei,
differisce dalla conoscenza divina per il modo di apprendere e per la minor estensione delle conoscenze, ma per
quanto riguarda l’intensità delle conoscenze, cioè per il grado di certezza, la conoscenza umana per Galilei è simile a
quella divina, tanta è la sua fiducia nella scienza umana. E ciò grazie soprattutto alla matematica la quale, pur
essendo un prodotto umano (e non divino), è in grado di condurre ad un sapere certo e indubitabile che non ha nulla
da invidiare per profondità, cioè per intensità, a quello divino. Il modo di apprendere di Dio è intuitivo: Dio conosce
intuitivamente, in modo immediato e in un colpo solo, tutta la verità. Invece, il modo di apprendere dell'uomo è
graduale, procede un passo alla volta attraverso il ragionamento e l'esperienza, ed inoltre la conoscenza umana non
sarà mai totale. Tuttavia, ciò che l'uomo conosce è uguale a ciò che, per quella determinata cosa, conosce Dio stesso:
che 2 + 2 = 4 è vero sia per noi ed altrettanto per Dio.

Rapporto tra scienza e filosofia e tra scienza e fede. L'autonomia della scienza ed il rifiuto del principio di autorità.

Assolutamente forte è sempre stata in Galilei la difesa dell'autonomia e della libertà della scienza, cioè della sua
indipendenza da ogni condizionamento esterno.

A differenza degli altri dotti del tempo, che avevano scelto di non sfidare l'autorità culturale e religiosa prevalenti in
quell'epoca, ossia di non andare contro "il principio di autorità", Galilei è invece convinto che la battaglia per
l'autonomia e la libertà della scienza, sia nei confronti della vecchia filosofia sia nei confronti di certi dogmi e precetti
della religione, sia della massima importanza. Perciò Galilei combatte contro i pregiudizi sia dell'autorità culturale,
personificata dai filosofi aristotelici, sia dell'autorità religiosa, personificata dalla Chiesa.

LA LOTTA CONTRO LA CHIESA E I TEOLOGI


La Chiesa e i teologi avevano stabilito che ogni forma di sapere dovesse essere conforme non solo allo spirito ma
anche alla lettera della Bibbia e delle Sacre scritture. Galilei invece, che era uno scienziato ma anche un uomo di
fede, sostiene che tale modo di pensare è non solo di ostacolo al libero sviluppo del sapere e della scienza, ma che
danneggia la stessa Chiesa.

Perciò, nell'opera intitolata "Lettere copernicane" Galilei affronta il rapporto tra scienza e fede. Per Galilei la natura,
che è l'oggetto della scienza, e la Bibbia, che è la base della religione, non possono essere in contrasto fra di loro
perché derivano entrambe da Dio. Eventuali differenze e contrasti tra verità scientifica e verità religiosa sono quindi
soltanto apparenti e vanno risolti non cambiando le verità scientifiche e neppure cambiando quelle religiose, bensì
mediante l'interpretazione della Bibbia, cioè attraverso il modo di leggere la Bibbia ed il significato da attribuire alle
sue parole e ciò, prosegue Galilei, è cosa certamente lecita perché: a) la Bibbia ha usato, per farsi comprendere
anche dagli uomini non istruiti del tempo, un linguaggio popolare, semplice e metaforico, volutamente non
complicato e pertanto inadeguato a spiegare i fenomeni anche dal punto di vista scientifico; b) la Bibbia non intende
insegnare verità e leggi scientifiche, ma verità religiose, che riguardano la salvezza e il destino ultraterreno
dell'uomo, essendo suo scopo insegnarci, scrive Galilei, "come si vadia al cielo e non come vadia il cielo".

In quanto autonome e distinte tra di esse, scienza e fede non possono essere paragonate fra loro, ma ciascuna
rimane valido suo ambito e nei suoi scopi. Così come non è compito della scienza di intervenire sulla fede e sulla
religione, altrettanto non è compito della fede di intervenire su questioni riguardanti i fatti scientifici naturali. La
Bibbia non è un trattato scientifico: l'errore dei teologi è quello di credere che la Bibbia debba essere valida anche
per quanto riguarda le conoscenze della scienza.

Per questa posizione Galilei è stato condannato dalla Chiesa, ma il suo pensiero ha finito nel tempo per prevalere e
convincere non solo la cultura filosofica e la cultura in generale ma anche la stessa Chiesa, che infine è giunta a
riconoscere l'autonomia della scienza nel campo delle conoscenze naturali, dimostrandosi disposta eventualmente a
cambiare l'interpretazione letterale dei testi biblici in conformità alle nuove scoperte scientifiche.

CARTESIO

 Nato a La Haye, in Turaine, il 31 marzo 1596. Rimasto orfano di madre entrò nel Collegio dei Gesuiti di La
Flèche. Si licenziò in diritto all'università di Poitiers nel 1616.
 Si dedicò in seguito a una vita piuttosto inquieta e vagabonda, di cui si ignorano molti dettagli. In Olanda, a
Breda, incontrò nel 1618 Isaac Beeckmann, scienziato che applicava la matematica alla fisica, con cui si
confrontò sul suo progetto di creare una “algebra geometrica” (poi chiamata geometria analitica). Si arruolò
poi nell’esercito di Maurizio di Orange Nassau, contro gli Spagnoli.
 In questa circostanza, peraltro, Cartesio non ebbe modo di partecipare direttamente alle attività militari, e si
dimostrò disinteressato allo specifico della guerra: lui stesso attestava di ignorare quasi per chi combattesse,
e di lì a poco si arruolò nell'esercito, nemico a quello dell'Orange, di Massimiliano d'Asburgo.
 Abbandonata la vita militare viaggiò in Germania, Francia e Italia. Tornato in Francia, a Parigi incontrò il
padre Marino Mersenne, che lo convinse, d'accordo col cardinale Bérulle, a dedicarsi a un'opera di riforma
della filosofia.
 Stabilitosi subito dopo (1628) in Olanda, vi rimase, pur cambiando spesso città, per vent'anni, giovandosi del
clima di libertà intellettuale di quella nazione.
 Qui pubblicò la maggior parte delle sue opere, e intrattenne un fitto carteggio con i più importanti dotti
dell'epoca, da Gassendi a Arnauld, da Pascal a Hobbes.
 Tuttavia, gli stessi intellettuali olandesi, protestanti (in particolare docenti delle università di Leida e di
Ultrecht), finirono col criticare Cartesio per la sua costante volontà di conciliazione con la Chiesa cattolica, e
Cartesio, amareggiato, accettò nel 1649 l'invito della Regina di Svezia, Cristina, recandosi a Stoccolma.
 Lì, pare a causa della rigidità del clima, morì di polmonite l'anno dopo, l'11 gennaio 1650.

PENSIERO
 Il sapere è uno, gli oggetti di studio possono essere molteplici
 Il sapere poi si distribuisce nelle varie scienze
 Inconsapevole dei limiti della conoscenza umana
 Sapere unico: albero della scienza 1644, il sapere è come un albero
-> le radici sono la metafisica e danno la garanzia che l’albero si possa reggere e possa crescere, è Dio che si
rivela il garante di tutto nella metafisica (il dio non di Pascal, un dio dei filosofi)
-> mentre i rami sono fruttiferi e rappresentano le scienze particolari, infine il tronco rappresenta la fisica
(tutte le parti devono essere in equilibrio tra di loro)
 Limiti della conoscenza umana: limitata alla certezza/evidenza, noi conosciamo attraverso un metodo che ci
porta a delle verità, ma questa verità deve essere conseguita tramite alcune condizioni (la certezza e
l’evidenza), per conseguirle bisogna trovare un metodo capace di garantire alla scienza progressi certi
 L’intero sapere tradizionale non merita il nome di scienza, era facilmente falsificabile, la logica del sillogismo
(scolastica) non fa progredire così come quella del termine medio perché spiega solo ciò che è già noto o
parlare in modo in opportuno di cose che si ignorano (per Cartesio il sillogismo è uno strumento della
dialettica, non di logica)
 La logica per Cartesio è quella che fa scoprire le verità che si ignora, la logica della scoperta, l’essenziale del
suo metodo (la scienza non è la ripetizione del sapere scoperto da altri, ma è l’orizzonte in cui si scrive la
ricerca del vero sempre personale e individuale)
 Non è filosofo colui conosce tutte le dottrine di Aristotele e Platone, ma solo colui che è in grado di condurre
la propria ragione alla verità senza essere condotto in errore
 Senza metodo, la verità sarebbe irraggiungibile e comporta dei limiti (la verità non sarebbe caratterizzata da
sistemicità e certezza + disabilita la ragione a distinguere il vero dal falso, non sarebbe in grado di conoscere
l’evidente). Non ce scienza senza metodo, esso fa parte dell’esperienza.
 Il metodo non deriva dalla scuola, è un atteggiamento del soggetto alla ricerca della verità, deriva soprattutto
da esperienza/viaggi/confronti con altre culture o scienziati. Il metodo si vive.
 Il filosofo trova il metodo ma lo trova a partire da quello fa che fa lui, ma lui è una persona come tante altre;
quindi, se lo trova lui anche altri possono seguirlo
 Una formazione senza criterio metodologico per ben giudicare le cose impedirebbe il retto giudizio della
ragione ingenium o lumen naturale che il metodo deve servire a realizzare
 Il metodo è ciò che costituisce la natura della mente umana, è ontologicamente metodo, è innato
 Capacità o talento naturale che non può essere insegnato/appreso, il metodo non è altro che rielaborazione
concettuale della maniera naturale di procedere della mente umana, il metodo si radica della presa di
coscienza della mente di scoprirlo
1. L'edificio del sapere tradizionale è pericolante, insicure sono le sue basi: bisogna fondare il sapere su nuove
basi, certe e indubitabili; Come diciamo sotto, uno dei principali problemi interpretativi riguardo a Cartesio è
di sapere se egli, trovandosi già una situazione di distruzione della cultura tradizionale legata alla fede
cristiana, cerchi il modo di rifondarla su basi più certe ovvero se a tale distruzione ponga mano lui stesso.
astronomo, di Vermeer l'umanità moderna vuole possedere il mondo
2. Per far ciò occorre anzitutto fissare un metodo (un criterio a-priori che consenta di andare agli oggetti, alla
realtà, “armati” di un filtro con cui vagliare tutto). E' degno di nota che Cartesio anteponga il metodo, come
nessun altro filosofo prima di lui aveva fatto: è significativo di un nuovo atteggiamento mentale, per cui il
soggetto pone in qualche modo delle condizioni all'oggetto, intima all'oggettività di sottostare alle sue
condizioni. In altri termini, è come se per Cartesio il soggetto umano non fosse originariamente spalancato
alla realtà, di cui prima di tutto prendere atto come di un dato inesorabile, ma fosse, per così dire, a contatto
con sé stesso e pretendesse di dettar legge alla realtà, accettandone solo ciò che obbedisce alle regole da lui
fissate, ciò che riesce a passare attraverso il filtro da lui posto
3. Da notare anche come il fatto di anteporre il metodo significa mettere in secondo piano non solo, in
generale, l'oggettività del reale (extramentale), ma anche la tradizione e l'idea di maestro: Cartesio non si
fida di altri, di ciò che gli viene tramandato, vuole edificare un edificio del sapere che utilizzi solo del
materiale tratto dalla "sua mente", vuole tutto ex mentis thesauro depromere. In ciò si può vedere ben più
che il rifiuto di inserirsi acriticamente in una Scuola: si può vedere un misconoscimento illusorio del debito
che ogni essere umano ha nei confronti degli altri, a partire dagli altri che lo hanno preceduto, e la pretesa,
presuntuosa, di una autosufficiente monologicità.

IL METODO
La natura della mente umana: consiste nella capacità di sapere che si realizza compiutamente nella scienza (totalità
certa ed evidente di conoscenza, concezione non ovvia ma tesi dell’epistemologia cartesiana da cui prende avvio la
trattazione del metodo). La conoscenza umana è unica: humana sapientia / sapientia universalis, tesi originale e
unica da cui di ricava un caposaldo del metodo (necessità che nella scienza le singole verità vengano connesse
strettamente le une alle altre -> è necessario apprendere le scienze particolari tutte assieme e conformemente a un
solo e unico metodo, così come è unica la ragione).
Secondo gli esponenti della scolastica, invece, le scienze sono discipline autonome in quanto ciascuna di esse ha una
ricerca specifica che richiede dunque metodi diversi.
La scienza non è una collezione di contenuti probabili, ma l’insieme di argomenti che la mente apprende sulla sola
evidenza delle ragioni e bisogna respingere tutte le condizioni probabili, la conoscenza è quindi solo certa ed
evidente. La scienza si occupa di oggetti che la mente umana è in grado di conoscere alla perfezione.

Insieme di regole certe e facili, osservando le quali nessun mai darà per vero ciò che sia falso, e con cui senza sforzo
sia possibile conoscere tutto ciò di cui si è capaci. Il metodo non fa altro che spiegare come fare un uso corretto
dell’intuito, posto che un intelletto sia originariamente capace di intuire e dedurre.

Il metodo che Cartesio propone si articola in quattro punti, ma il fattore più importante è quello della evidenza (di
tipo matematico), ossia della chiarezza e distinzione: è accettabile come vero solo ciò che si presenta come
(perfettamente) chiaro e distinto. La stessa chiarezza che vale per la matematica deve valere per tutto il sapere.
In particolare, per una conoscenza sia certa “discorso sul metodo”:
1. La regola della evidenza: non accettare mai nulla per vero che non sia accertato dall’evidenza, essa è una
condizione necessaria per la verità, l’evidenza (criterio di scientificità) è la regola fondamentale del giudizio
in modo che l’identità tra verità e evidenza diventi fondamento del metodo, non lascia elementi di oscurità
ed è distinta in quanto colta separata dalle altre idee -> il fine è la ricerca della verità, occorre che il giudizio
sia formulato sulla base della percezione evidente/ chiarezza e distinzione .
2. La regola dell’analisi: dividere le questioni di cui ci occupa in modo da risolvere al meglio -> fine è quello di
conseguire le condizioni necessarie per poter dare una percezione evidente
3. Regola della sintesi ed enumerazione: condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più
semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei più
composti enumerazione (moto continuo non interrotto di pensiero, finché non sembra di poter intuire il
tutto simultaneamente, è un operazione con cui l’intelletto viene in aiuto a se stesso per conseguire
contiguità tra intuito e deduzione e ampliare la mente) completa far dovunque delle enumerazioni così
complete e delle rassegne così generali, da essere sicuro di non omettere nulla.
 Intuito: nasce dalla sola luce della ragione, non è più legato ai sensi (fondamento del razionalismo,
l’esperienza sensibile conta in un secondo momento in quanto contamina e rende incerto il sapere, consiste
in un atto di conoscenza del tutto indubitabile)
 Conseguire conoscenze per intuito: ciascuno può intuire con la mente che egli esiste, si deve ricorrere ad
un’altra operazione nella mente, la deduzione
 Molte conoscenze certe non sono immediatamente evidenti, perché riedono un ragionamento=deduzione,
perviene quindi per tappe accogliendo dati evidenti
 La deduzione si differenzia dall’intuito, ma non è tutt’altra cosa, c’è un rapporto stretto tra loro
 La deduzione perviene in maniera mediata/progressiva ed è composta da una serie di atti intuitivi che si
susseguono nel tempo, mentre l’intuito è immediato
 Essi devono seguire le regole

Nella terza parte Cartesio indica la “morale provvisoria”: la morale del buonsenso, le massime di essa ci guidano e ci
servono per vivere e agire, bisogna seguire 4 regole di
1. Obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese, ai precetti religiosi con cui si è stati educati
2. Una volta abbracciata una propria opinione, agire con risolutezza e costanza senza rimpianti
3. Credere che l’unica cosa in ogni potere siano i nostri pensieri, per indurci a non desiderare qualcosa che non
si può possedere, riflessione sui propri limiti (dietro Socrate)
4. Scegliere la migliore tra tutte le occupazioni a cui si dedicano gli uomini sulla terra
+ ricerca costante della verità e di un progresso determinato dal lusso della ragione

IL DUBBIO METODICO
In base a questo metodo si devono cercare i contenuti certi e indubitabili del sapere, a partire da un primo oggetto,
di cui possiamo essere assolutamente certi. Occorre che tale punto di partenza sia cioè privo del sia pur minimo
elemento di inaffidabilità e di incertezza. Perciò vanno scartati non solo quei punti di partenza totalmente falsi, ma
anche quelli che siano anche soltanto in parte inaffidabili.
Cartesio intraprende così un dubbio metodico, sottoponendo al vaglio della più radicale critica ogni possibile "falsa
partenza", che non possieda i requisiti da lui fissati. Cartesio comincia dunque ad escludere ciò che non può fungere
da fondamento certo del sapere:

A) il dato sensibile
Esso, infatti, ci può ingannare: talora ci inganna, infatti, ed è bene, dice Cartesio, non fidarsi mai completamente di
chi ci ha ingannato anche una sola volta. Qualsiasi cosa abbia finora ammessa come vera, al massimo grado l'ho
appresa dai sensi o per mezzo dei sensi; ma ho poi osservato che essi ingannano, ed è regola di prudenza non fidarsi
mai completamente di quelli che, anche solo una volta, ci hanno tratto in inganno
Inoltre, all'obiezione che l'inganno dei sensi riguarda solo piccoli particolari, ma non il dato sensibile, il mondo, nella
sua totalità, Cartesio risponde che nulla può farci escludere che il mondo altro non sia che un sogno

B) il dubbio
Da notare che anche altri filosofi, come Tommaso d'Aquino, avevano parlato del possibile dubbio (la universalis
dubitatio de veritate), nel senso della radicale spregiudicatezza che la ragione filosofica deve avere, non dando nulla
per scontato e cercando di fondare il sapere (su basi solide). In Cartesio c'è qualcosa di più: il dubbio pare non sia
stato solo rappresentato, ma esercitato, è stato un dubbio, per dirla con la scolastica, non solo in actu signato, ma
anche in actu exercitu; pare cioè che l'uomo Cartesio abbia effettivamente dubitato di tutto. In ogni caso il suo
dubbio appare come radicalmente corrosivo, ben oltre quanto sia richiesto dalla giusta spregiudicatezza filosofica, ed
è espressione di una cultura fortemente individualistica, che non riconosce la valenza gnoseologica del legame
interpersonale e del rapporto con un maestro e una tradizione.

C) la struttura intelligibile
Ma il fondamento non può essere nemmeno un generico dato intelligibile (le verità matematiche), che potrebbe
esso pure essere frutto della potenza ingannatrice di un Essere soprannaturale.
Infatti, egli obbietta all'ipotesi che il mondo possa essere solo un sogno, che tra sogni e realtà esistono comunque
elementi comuni, gli elementi-base, semplici, e che il sogno non è comunque mai totale invenzione: nella fattispecie
gli elementi semplici comuni sono le verità matematiche.
Per questo, forse, da ciò non concluderemo male, affermando che fisica, astronomia, medicina e tutte le altre
discipline che dipendono dalla considerazione di cose composte sono tutte dubbie; ma aritmetica, geometria e le
altre discipline del medesimo genere, che non trattano se non di cose semplicissime e generalissime e poco si curano
se queste cose siano in natura oppure no, contengono qualcosa di certo e di indubitabile.

MEDITAZIONI METAFISICHE
Sceglie il modo di esporre i risultati a cui la ricerca della verità l’ha condotto, seguendo l’ordine della scoperta, vuole
mostrare la vera via con cui la cosa è stata scoperta: quella del dubbio. Nella quarta parte del discorso sul metodo
egli approfondisce le questioni metafisiche (Cartesio è un metafisico), compare il principio francese fondamentale
della filosofia cartesiana (penso dunque sono, ripreso poi nella traduzione latina nei principi della filosofia 1644).
Esse svelano i rapporti che ci sono tra scienza e filosofia. Lo studio della mente umana è prioritario rispetto a
qualsiasi tipo di conoscenza. La metafisica per Cartesio cambia funzione (non è quella di Aristotele, non è più la
scienza delle cose spirituali) è una forma di epistemologia compreso il ruolo della conoscenza di Dio; inizia come una
domanda che si fonda sul dubbio che sconvolge le conoscenze prestabilito con grande impeto (bisogna liberarsi
dalla tradizione piena di dubbi e pregiudizi). Nelle meditazioni si mette in dubbio l’evidenza, perché ad essa potrebbe
non corrispondere la verità, ciò che resta la prova del tutto rimane solo la probabilità. Il meditante dice che anche la
sola probabilità potrebbe essere pericolosa, si precipita il giudizio rischiando di cadere in errore: la strategia richiede
un grande sforzo da parte del soggetto che medita.

 Dubbio scettico: il dubbio è una negazione sistematica della possibilità di conoscere l’essere delle cose,
Agostino diceva “se io dubito, sono”, il dubbio è metodico. Bisogna considerare falso tutto ciò che non è
considerabile assolutamente e sempre vero.
 Dubbio iperbolico: dubitare dell’indubitabile, è una finzione epistemologica e un esperimento mentale che
eccede programmaticamente le ragioni, mette in discussione le conoscenze matematiche che sono vere sia
nel sogno che nella veglia ma che non possono essere sottratte al dubbio in quanto sono state create o
stabilite da Dio che non avendo alcun limite avrebbe anche potuto far sì che 2+3 non facesse 5.
Le idee matematiche, quindi, possono essere illusorie: questo metodo, infatti, è sorretto dall’ipotesi di
“un genio maligno” (ipotetico principio, una sostanza spirituale malvagia più potente dell’uomo, che inganna
e confonde la percezione dell’uomo facendoci apparire chiaro ed evidente ciò che in realtà è falso e assurdo)
Esso è un ostacolo tra il mondo reale e ciò che l’uomo percepisce; dunque, mette in dubbio anche le
chiarezze delle verità matematiche. Nulla c’è di certo, essendo un metafisico però lui necessita qualcosa di
certo: fa molti esperimenti mentali, è il filosofo degli esperimenti, questa considerazione finale però non va
bene, egli infatti ha due certezze (il cogito e Dio).

IL COGITO
Esso esprime la certezza indubitabile che il soggetto ha di esistere in quanto soggetto pensante.
Nel carattere radicale di questo dubbio si intravede una prima certezza indubitabile racchiusa nel cogito.

Esso costituisce per Cartesio la verità originaria che permette di sconfiggere il dubbio poiché esprime la
certezza indubitabile che il soggetto (l’uomo) ha di sé stesso in quanto sostanza pensante, cioè res cogitans
(l’io è sé stesso, in quanto pensante). Se dubito penso, se penso sono.

È impossibile scindere il fatto che io penso dalla certezza che io esista.

Anche se esistesse il genio maligno, questa esistenza non potrebbe mettere in dubbio l’esistenza dell’uomo. Noi
esistiamo essenzialmente come mente (come sostanza pensante) e non come corpo quindi siamo in grado di
riflettere, pensare e dubitare. Il Genio per esistere, deve collegarsi a una sostanza pensante (l’uomo), quindi esiste
solo se esiste l’uomo. Il genio maligno non può mettere in discussione che esista una sostanza pensante.
Il cogito secondo i contemporanei era la conclusione di un ragionamento, (Aristotele l’avrebbe letto come un
sillogismo in cui è implicita una delle premesse), Cartesio disprezza questa lettura perché la verità del cogito
considerato in questo moto dipenderebbe dalla verità delle premesse (la cui verità potrebbe essere nuovamente
messa in dubbio). Il cogito ha validità intuitiva, va colta in modo immediato con un’intuizione della mente: il valore
di conoscenza del cogito consiste nell’atto di pensare (=pensiero include tutto ciò che è presente nella nostra
coscienza, è la sola cosa che non posso distaccare da me stesso, ergo non ha valore conseguenziale ma un termine di
uso comune). Cartesio sostiene che la proposizione “io esisto” è vera solo quando la penso.
Questo principio riprende il pensiero di Agostino (stabilire la presenza trascendente della verità, cioè di Dio,
nell’interiorità dell’uomo) e Campanella (stabilire la natura dell’anima senziente in quanto coscienza delle proprie
modificazioni) ma non stabilisce questi pensieri, piuttosto cerca di trovare nell’esistenza del soggetto pensante il
principio che garantisce la validità della conoscenza umana e l’efficacia dell’azione umana sul mondo.

LE MEDITAZIONI SULL’ESISTENZA DI DIO


Cartesio tratta di Dio nelle sue Meditazioni metafisiche, opera in cui porta a compimento i presupposti del Discorso
sul metodo. Per Cartesio tutto può essere messo in dubbio, perché vi è un genio maligno che ci inganna.

Tuttavia, esiste un limite a questo dubbio ed è l’evidenza dell’esistenza di sé stessi. Noi dubitiamo, quindi esistiamo.

Questo però porta Cartesio ad incappare in un problema: il solipsismo, ovvero nell’idea che non sia possibile
dimostrare altra realtà se non quella dell’individuo singolo che pensa.

Come posso essere certo di qualsiasi conoscenza che vada oltre questo cogito ergo sum? Come posso essere certo
che la realtà che mi appare sia realmente quella che è? Che l’io, ovvero la res cogitans, conosca la res extensa
esattamente per quello che è?

Per rispondere a questa domanda, Cartesio si appella a Dio. È Dio che, al contrario del genio maligno, ci garantisce
una conoscenza esatta. Questo Dio deve essere quindi buono, giusto. Non ingannatore.

Dio sarà il garante tra la res cogitans (sostanza pensante, molteplici) e la res extensa (unica).

Tre sono le prove dell’esistenza di Dio di Cartesio e tutte e tre si basano sul concetto di Idea innata come contenuto
della mente umana. Tre sono infatti le tipologie di idee, pensare significa avere idee (sono certamente esistenti, ma
non sappiamo se le cose rappresentate lo siano), per Cartesio:

1. Idee avventizie: sono le idee che provengono dall’esterno, dall’esperienza dei sensi. Esempio, l’idea di tavolo
è nella nostra mente in quanto abbiamo fatto l’esperienza del tavolo.
2. Idee fattizie: sono le idee create dall’uomo. Ad esempio, l’idea di sirena è un’idea da noi creata partendo da
due idee avventizie di pesce e donna.
3. Idee innate: sono le idee che non derivano dall’esperienza. L’idea innata per definizione che noi abbiamo e
che non deriva dalla natura è l’idea di Dio, ovvero l’idea di essere perfetto.

Bisogna suppore che ogni idea abbia una causa della loro capacità di rappresentare qualcosa, Cartesio segue l’ordine
delle ragioni. La causa di qualche cosa deve avere tanta realtà quanto sia il suo effetto, perché l’effetto non può
trarre la sua realtà dalla propria causa. Nel caso delle idee la loro realtà formale deve essere formale deve essere
minore o uguale rispetto alla loro realtà oggettiva, cioè alla causa di ciò che viene in esse rappresentato.

Ciò che è più perfetto (che contiene in sé maggior realtà) non può essere una conseguenza e una dipendenza del
meno perfetto: la causa delle mie idee di qualcosa di finito potrei essere io stesso. Il principio di causa applicato alle
cose finite ci permette di non uscire dalla rea cogitans, il rischio è quello di non riuscire ad ammettere razionalmente
qualcosa al di fuori dell’io.

 Realtà formale: presenza effettiva di qualcosa, l’idea è un atto della nostra mente mediante il quale noi
pensiamo
 Realtà oggettiva: ciò che qualcosa viene pensato nella nostra mente, contenuto essenziale; l’idea deve
essere giudicata nella sua verità/falsità e quindi Cartesio individua delle categorie in base alla loro origine
(avventizie, fattizie, innate)
 Realtà eminente: quella in cui la cosa è presente al suo massimo grado, l’esistenza di dio come causa della
realtà oggettiva contenuta nella nostra idea di infinto e somma perfezione

È partendo da questa idea innata di Dio che Cartesio ne dimostra l’esistenza, attraverso tre prove.
 Prova 1: L’uomo come essere pensante può produrre delle idee. L’uomo è però anche un essere imperfetto.
Secondo Cartesio, un uomo non può pensare a Dio come essere perfetto, essendo imperfetto. Un’idea
perfetta non può essere creata da un essere imperfetto. Dunque, questa idea di perfezione non può che
essere creata da Dio.
 Prova 2: L’uomo è un essere imperfetto. Quindi esistendo l’imperfezione deve esistere necessariamente
anche la perfezione. Questa prova è analoga alla quarta via di Tommaso d’Aquino.
 Prova 3: Se si ammette che Dio è un essere perfetto, la perfezione implica anche l’esistenza. Questa terza
prova è analoga alla prova ontologica di Anselmo d’Aosta.

Verità ed errore

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