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Galileo Galilei

Vita e opere

Galilei nacque a Pisa nel 1564. Chiamato nel ’92 a tenere la cattedra di matematica all’Università di
Padova, vi rimase per 18 anni, conseguendo importanti scoperte (la più importante fu il telescopio nel
1609 con cui raggiunse importanti scoperte astronomiche, come le fasi di Venere, la descrizione della
superficie lunare, la scoperta delle macchie solari, la scoperta dei satelliti di Giove).
Queste scoperte (di cui dette notizia nel Nuncius sidereus), se da un lato accrebbero la sua fama e
la sua autorità di scienziato, suscitarono, dall’altro lato, aspre polemiche, ostilità, diffidenze negli
scienziati tradizionalisti e negli aristotelici. Comunque la verità delle scoperte di Galilei si impose gra-
zie anche all’appoggio di Keplero.
La fama delle recenti scoperte scientifiche, valse a Galilei la chiamata a Firenze come ‘primo mate-
matico’ e ‘filosofo’ del Granducato di Toscana.
Nel 1616 mentre il libro di Copernico era posto all’Indice nell’elenco dei libri proibiti, Galilei, che
difendeva la teoria copernicana, si recò a Roma per perorare la sua causa, convinto della necessità di
evitare una frattura tra posizioni della Chiesa e verità della scienza. Ma Galilei fallì completamente i
suoi scopi.
Tornato a Firenze, dopo la pubblicazione nel 1623 del Saggiatore, scritto importante per la defini-
zione del metodo scientifico, concepiva la stesura dei Dialoghi dei sui massimi sistemi (1632), per far
risaltare la superiorità della dottrina copernicana su quella tolemaica dal loro diretto confronto. Lo
scopo scientifico era velato dall’espediente letterario di evitare una esplicita presa di posizione.
Questi espedienti non gli valsero però a nulla, in quanto l’Inquisizione lo convocò nuovamente a
Roma condannando il suo libro. Costretto all’abiura fu condannato alla prigione a vita, tramutata
nell’isolamento perpetuo. Morì nel 1642.

L’autonomia della scienza e il rifiuto del principio di autorità

Il primo risultato storicamente decisivo dell’opera di Galileo è la difesa dell’autonomia della scien-
za, cioè la salvaguardia dell’indipendenza del nuovo sapere da ogni ingerenza esterna.
Galileo intuisce che la battaglia per la libertà della scienza era una necessità storica di primaria
importanza, in cui ne andava del futuro stesso dell’umanità. Da ciò la sua lotta, che riguardò sostan-
zialmente due fronti: l’autorità religiosa, personificata dalla Chiesa, e l’autorità culturale, personifica-
ta dagli aristotelici.

La polemica contro la Chiesa e i teologi

La Controriforma aveva stabilito che ogni forma di sapere dovesse essere in armonia con la Sacra
Scrittura, nella precisa interpretazione che ne aveva fornito la Chiesa cattolica.
Applicato alla nuova scienza, tale decreto poteva generare il problema se il credente dovesse accet-
tare solo il messaggio religioso e morale della Bibbia oppure ogni affermazione scritturale.
Galileo, scienziato e uomo di fede, pensa invece che una posizione del genere avrebbe ostacolato il
libero sviluppo del sapere e danneggiato la religione stessa.
La natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della religione) derivano entrambe da Dio. Even-
tuali contrasti fra verità scientifica e verità religiosa sono quindi soltanto apparenti.
Per Galilei:
a) le Scritture hanno dovuto accomodarsi alla capacità di persone rozze;
Galileo Galilei (sintesi dell’Abbagnano a c. di Nicola Sguera)

b) la Bibbia non contiene principi che riguardano le leggi di natura, ma verità che si riferiscono al
destino ultimo dell’uomo.
In conclusione, se la Bibbia è arbitra nel campo etico-religioso, la scienza è arbitra nel campo delle
verità naturali, in relazione alle quali non è la scienza che deve adattarsi alla Bibbia, ma
l’interpretazione della Bibbia che deve adattarsi alla scienza.

La polemica contro gli aristotelici

Indipendente dall’autorità religiosa della Bibbia, la scienza deve esserlo altrettanto nei confronti di
quella culturale di Aristotele e dei sapienti del passato.
Il suo disprezzo colpisce piuttosto i loro infedeli discepoli, soprattutto gli aristotelici contempora-
nei, che anziché osservare direttamente la natura e conformare ad essa le loro opinioni, si limitano a
consultare i testi delle biblioteche, vivendo in un astratto «mondo di carta»,

Gli studi fisici di Galileo

La demolizione della tradizionale visione del cosmo, alla quale Galileo ha dato un basilare contri-
buto, è strettamente connessa ai suoi studi fisici di meccanica, ed in particolare a quella parte che ri-
guarda il moto dei corpi (la dinamica).

Il principio d’inerzia

Per la fisica aristotelica la quiete era lo stato naturale dei corpi sublunari essendo il moto qualcosa
di temporaneo, che viene meno non appena cessa l’applicazione della forza che lo produce.
Invece, con l’intuizione teorica del principio di inerzia, secondo cui un corpo tende a conservare
indefinitamente il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, sinché non intervengano forze
esterne a modificare tale stato, Galileo superava il doppio pregiudizio per cui la quiete è qualcosa di
“naturale” e il moto si mantiene solo finché permane la forza che lo ha provocato.
Il principio di inerzia, valido per la dinamica terrestre, si rivelava utile anche in sede astronomica,
in quanto spiegava perché il movimento dei pianeti e della terra potesse continuare indefinitamente.

Le leggi sulla caduta dei gravi ed il secondo principio della dinamica

La fisica aristotelica pensava che la velocità di caduta dei corpi fosse direttamente proporzionale al
peso dei corpi che cadono e che essa venisse accelerata dalla spinta che l’aria comunica al moto. Gali-
leo, con un ragionamento teorico (di quelli e che si chiamano “esperimenti mentali”) giunse invece a
risultati diversi e per certi aspetti opposti. Se due corpi dello stesso peso - argomenta lo scienziato -
cadono insieme, e durante la caduta si uniscono, essi costituiranno un corpo unico, che avrà un peso
doppio rispetto ad ogni singolo corpo, ma che si muoverà con la medesima velocità, in quanto nessuno
dei due varia la propria velocità per il fatto di essere unito o staccato dall’altro (Discorsi).
Ciò significa che tutti i corpi, qualunque sia il loro peso, cadono con la stessa velocità. E se
l’esperienza immediata sembra confutare tale legge - tipico l’esempio della pietra e della piuma, che
paiono smentirla clamorosamente - ciò e dovuto alla resistenza del mezzo, ossia, in questo caso,
dell’aria. Nel vuoto la legge si realizza invece nella sua purezza.
In questo contesto di studi Galileo perviene alla basilare scoperta del cosiddetto secondo principio
della dinamica - che è un altro dei suoi contributi decisivi alla meccanica moderna - ossia al principio
che le forze applicate ai corpi non causano loro delle velocità, bensì delle accelerazioni, che risultano
proporzionali alle forze che le hanno prodotte

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Galileo Galilei (sintesi dell’Abbagnano a c. di Nicola Sguera)

La distruzione della cosmologia aristotelico-tolemaica

La messa in crisi della fisica aristotelica e l’elaborazione di una nuova meccanica si accompagnano
strettamente, in Galileo, alla demolizione del sistema tolemaico. Infatti, l’esistenza di un’unica scienza
del moto e la negazione della diversità di natura fra moti rettilinei (ritenuti tipici del mondo subluna-
re) e moti circolari (ritenuti tipici del mondo sopra lunare) entrambi spiegabili alla luce dei due fon-
damentali principi della dinamica porta al rifiuto della diversità di struttura fra cielo e terra, fondata
appunto sulla diversità dei rispettivi movimenti.

Le scoperte astronomiche ed «il funerale della scienza aristotelica»

Tradizionalmente si riteneva che la Luna, analogamente agli altri corpi celesti e a differenza della
terra, fosse rivestita di una superficie «liscia e levigata». Invece le osservazioni telescopiche di Galileo
mostrano come molte delle macchie scure di essa, visibili ad occhio nudo, siano ombre proiettate dalle
montagne lunari sotto effetto della luce del sole, e come la superficie della Luna sia quindi «rugosa» e
ricoperta, allo stesso modo della terra, di prominenze, valli ed anfratti.
Aristotele credeva che soltanto la terra, essendo immobile, fosse centro di moti astrali e che un cor-
po in movimento nello spazio non potesse costituire un nucleo di movimento per altri corpi. Invece
Galileo scopre i quattro satelliti di Giove, battezzati “pianeti medicei”, che compivano attorno ad esso
movimenti analoghi a quelli che la Luna compie attorno alla terra. Ma se Giove ruota insieme ai pro-
pri satelliti intorno al Sole, come suppone Copernico, nulla vieta di pensare, secondo Galileo, che an-
che la terra, con il suo satellite, possa ruotare intorno al Sole.
La cosmologia tolemaica sosteneva che i corpi celesti, essendo perfetti, fossero incorruttibili e non
soggetti al divenire. Questo pregiudizio con Galileo riceve il suo colpo di grazia su base sperimentale.
Infatti, grazie all’uso del telescopio, lo scienziato toscano scoprì macchie oscure sulla superficie solare,
che si formavano e scomparivano, attestando l’esistenza di un processo di trasformazione in atto e di-
mostrando clamorosamente come anche i corpi celesti fossero soggetti a fenomeni di alterazione e mu-
tamento.
Nell’antichità e nel Medioevo si era sempre creduto che soltanto la terra fosse un corpo opaco, il-
luminato dal Sole e privo di luce propria. Invece la scoperta galileiana delle fasi di Venere, inducendo
a pensare che tale astro ricevesse la luce dal Sole girandovi attorno, offriva lo spunto per ritenere che
tale spiegazione fosse valida anche per gli altri pianeti, “tenebrosi” per natura e illuminati esclusiva-
mente dal Sole.
Sempre grazie al telescopio, Galileo poté scoprire che oltre le stelle fisse, visibili ad occhio nudo,
esistevano innumerevoli altre stelle, mai scorte prima e che si “affollavano” davanti al mezzo
d’osservazione. Inoltre poté rendersi conto che la galassia è nient’altro che una congerie di innumere-
voli stelle disseminate a gruppi negli spazi e che le nebulose sono parimenti «greggi» di piccole stelle.

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e la difesa del copernicanesimo

Capolavoro scientifico-letterario di Galilei è il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in
cui, dietro il pretesto di voler presentare imparzialmente i due maggiori modelli cosmologici della sto-
ria, espone in realtà argomenti decisivi a favore del copernicanesimo.
Per presentare la teoria geocentrica Galileo sceglie Simplicio, un pedante dalla mentalità conserva-
trice. Per difendere la teoria copernicana sceglie Salviati, che incarna l’intelligenza chiara, rigorosa ed
anticonformista del nuovo scienziato. Nella parte di neutrale moderatore viene posto Sagredo, che
rappresenta un tipo di personalità non oppressa dai pregiudizi, e quindi tendenzialmente portata a
simpatizzare con le dottrine recenti.
Il Dialogo è diviso in quattro giornate, nella prima delle quali si pone sotto accusa la distinzione

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Galileo Galilei (sintesi dell’Abbagnano a c. di Nicola Sguera)

aristotelica fra il mondo celeste e quello terrestre.


La seconda giornata, la più vivace, è dedicata alla confutazione degli argomenti tipici - antichi e
moderni - contro il moto della terra.
Al noto argomento, uno dei prediletti dagli aristotelici, secondo cui, se la Terra si muovesse davve-
ro da ovest ad est, i gravi dovrebbero cadere obliquamente, cioè più verso ovest, essendosi la Terra
nel frattempo spostata verso est, Galileo ribatte affermando che il grave partecipa del moto da ovest
verso est e quindi, muovendosi insieme alla Terra, cade perpendicolarmente. Tant’è vero che un sas-
so, lasciato cadere dalla cima dell’albero di una nave in movimento, si ferma ai piedi dell’albero, pro-
prio come se la nave stesse ferma. Lo stesso avviene all’interno di quel sistema più vasto che è la Ter-
ra.
Queste geniali contro-argomentazioni di Galileo, che oppongono il pensiero scientifico al “senso
comune” e ai pregiudizi culturali del passato, si ispirano tutte al cosiddetto «principio della relatività
galileiana», secondo cui risulta possibile decidere, sulla base delle esperienze meccaniche compiute
all’interno di un sistema “chiuso” - cioè senza possibilità di riferirsi a qualcosa di esterno - se esso sia
in quiete o in moto rettilineo uniforme.
Pertanto, in base a questo principio di relatività, possiamo affermare che, in quel sistema quasi
inerziale che è la Terra, l’aria circostante si muove insieme con la Terra stessa e i gravi cadono com-
portandosi, approssimativamente, come se essa fosse immobile.
Nella terza giornata del Dialogo viene dimostrato il moto di rotazione della terra ed esaltata la con-
cezione copernicana, capace secondo Galileo - di fornire spiegazioni di fenomeni altrimenti inspiegabi-
li e di chiarire con rigore e matematica “semplicità” problemi inutilmente complicati e «sofisticati»
dal sistema tolemaico.
Nella quarta giornata Galileo espone la sua dottrina delle maree.

La scoperta del cannocchiale e la difesa del suo valore scientifico

La discussione sulla paternità storica del cannocchiale è tuttora aperta fra gli studiosi. Tuttavia,
come ha fatto notare soprattutto Vasco Ronchi in una ricerca apposita, la grandezza di Galileo non
consiste tanto nell’aver “costruito” il cannocchiale, ma nell’averlo usato scientificamente.
Galileo ebbe la genialità ed il coraggio di puntare il cannocchiale verso il cielo, trasformandolo così
in telescopio, ossia in uno strumento primario dell’osservazione astronomica

Il metodo della scienza

Un altro risultato storicamente decisivo dell’opera di Galileo - che fa di lui il padre della scienza
moderna - è l’individuazione del metodo della fisica.
Tuttavia, in Galileo, non vi è una teoria organica del metodo, analoga ad esempio a quella che Ba-
cone svolgerà nel Novum Organum (Nuovo Organo), poiché egli, tutto preso dalle sue ricerche con-
crete di fisica ed astronomia, applica il metodo, più che teorizzarlo filosoficamente. Ciò nonostante,
nelle sue opere si trovano disseminate, qua e là, talune preziose osservazioni metodologiche
Galileo tende ad articolare il lavoro della scienza in due parti fondamentali: il momento “risoluti-
vo” o analitico e quello “compositivo” o sintetico.
Il primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici, quantitativi e mi-
surabili, formulando un’ipotesi matematica sulla legge da cui dipende.
Il secondo momento risiede nella verifica e nell’esperimento, attraverso cui si tenta di comporre o
riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo tale che se l’ipotesi supera la prova, risultando quindi
verificata (= fatta vera), essa venga accettata e formulata in termini di legge, mentre se non supera la
prova, risultando smentita o falsificata (= non verificata), venga sostituita da un’altra ipotesi.

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Galileo Galilei (sintesi dell’Abbagnano a c. di Nicola Sguera)

Le «sensate esperienze» e le «necessarie dimostrazioni»

Con l’espressione «sensate esperienze», Galileo ha voluto evidenziare il momento osservativo-


induttivo della scienza, preponderante in talune scoperte (come quelle relative ai corpi celesti).
Con l’espressione «necessarie dimostrazioni» Galileo ha voluto evidenziare il momento raziocinati-
vo o ipotetico-deduttivo della scienza, preponderante in altre scoperte (ad esempio quella sul princi-
pio d’inerzia o sulla caduta dei gravi): «intuendo» e «ragionando» lo scienziato, anche sulla scorta di
pochi dati empirici, perviene talora a delle ipotesi mediante cui deduce il comportamento probabile
dei fatti, che in seguito si propone di verificare.

Induzione e deduzione: il binomio indissolubile della scienza galileiana

Galilei non è solo, o prevalentemente, induttivista, né solo, o prevalentemente, deduttivista, poiché


è tutte e due le cose insieme.
Le «sensate esperienze» presuppongono sempre un riferimento alle «necessarie dimostrazioni».
In secondo luogo esse, sin dall’inizio, sono «cariche di teoria», in quanto illuminate da un’ipotesi
che le sceglie e le seleziona, fungendo, nei loro confronti, da freccia indicatrice e setaccio discrimina-
tore. È vero, ad esempio, che Galileo scoprì ignoti fenomeni astronomici basandosi sul senso della vi-
sta - potenziata dal telescopio - ma la decisione stessa di studiare i cieli e di puntare il cannocchiale su
determinati fenomeni e di interpretarli in un certo modo deriva dalla preliminare accettazione
dell’ipotesi copernicana.

Esperienza e verifica

L’esperienza di cui parla il pisano non è l’esperienza immediata, ma il frutto di una elaborazione
teorico-matematica dei dati, che si conclude con la verifica. Di conseguenza, l’esperienza ordinaria è
qualcosa di ancora ben lontano dalla scienza di Galileo. In primo luogo, perché l’esperienza quotidia-
na può essere ingannevole. In tal modo, con Galileo comincia ad affermarsi quel divorzio fra mondo
della fisica e mondo comune, che è una caratteristica della scienza moderna.
In secondo luogo, l’esperienza, di per sé, non ha valore scientifico se non viene legittimata
dall’esperimento, al punto che si può dire che l’esperienza, scientificamente intesa, è l’esperimento.
Analogamente, la verifica di cui parla Galileo non è quella immediata dei sensi, che può confermare
teorie erronee, bensì la verifica come procedura complessa, intenzionalmente volta a produrre delle
condizioni adeguate affinché un certo evento possa prodursi.
Per dimostrare ad esempio la falsità della teoria aristotelica sulla caduta dei gravi, Galileo escogita,
come si è visto, uno dei più famosi esperimenti teorici della storia della scienza, quello dei due corpi
che pur unendosi nella caduta continuano ad avere la medesima velocità. La stessa cosa avviene per il
principio d’inerzia e per altre scoperte. Ovviamente, gli esperimenti ideali di Galileo, che fanno parte
integrante del suo metodo, non escludono affatto, il ricorso all’esperienza, in base al principio che una
teoria può divenire veramente scientifica solo quando trovi una diretta o indiretta verifica sperimen-
tale.

Metodo galileiano e scienza antica

Ciò che si è detto sinora serve a far risaltare ancora di più i limiti della scienza antica rispetto a
quella galileiana.
Si dice spesso che Aristotele e gli scienziati greci sbagliavano perché non si attenevano abbastanza
ai fatti. Questa affermazione è vera solo in parte. Se da un lato gli antichi erravano per eccesso di teo-
ria e di deduttivismo in quanto pretendevano di spiegare i fenomeni concreti partendo da principi ge-

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Galileo Galilei (sintesi dell’Abbagnano a c. di Nicola Sguera)

nerali astratti, dall’altro lato sbagliavano per troppa “aderenza” alla realtà. Inoltre, la scienza antica
di tipo aristotelico non faceva uso della matematica. Ma il limite più grave della scienza antica risiede-
va, come ben sappiamo, nella mancanza del controllo sperimentale.
La forza del metodo galileiano consiste proprio nell’aver saputo riunire in sé il momento osservati-
vo ed induttivo della ricerca, rappresentato dalle «sensate esperienze», con quello teorico e deduttivo,
rappresentato dalle «necessarie dimostrazioni», e nell’aver saputo sintetizzare in modo mirabile ra-
gione e sensi, osservazione e raziocinio, teoria ed esperimento, induzione e deduzione, matematica e
fisica.

Metodo e filosofia

Con il suo metodo Galileo perviene a quella struttura concettuale che costituisce lo schema teorico
della scienza moderna: la natura è un ordine oggettivo e causalmente strutturato di relazioni governa-
te da leggi e la scienza è un sapere sperimentale-matematico intersoggettivamente valido.
In particolare, contro ogni considerazione finalistica ed antropomorfica del mondo, Galileo afferma
che le opere della natura non possono essere giudicate con un metro puramente umano, cioè sulla base
di ciò che l’uomo può intendere o di ciò che a lui torna utile.
Contro ogni fisica essenzialista, che pretenda di spiegare i fatti in base alle “essenze” o alle “virtù”
(l’essenza del moto, la virtù del calore ecc.), Galileo ribatte che lo scienziato deve esclusivamente oc-
cuparsi delle “leggi” che regolano i fatti, ossia delle verificabili costanti di comportamento attraverso
cui la natura agisce.

Presupposti e giustificazioni filosofiche del metodo

La struttura concettuale del metodo galileiano si accompagna ad alcuni schemi di natura teorico-
filosofica:
a) La fiducia galileiana nella matematica, ad esempio, viene incentivata e convalidata al tempo
stesso dalla dottrina platonico-pitagorica della struttura matematica del cosmo.
b) Il privilegiamento degli aspetti quantitativi del reale e la riduzione dell’oggetto scientifico a
struttura matematicamente trattabile viene corroborata dal ricorso all’antica distinzione atomistico-
democritea fra proprietà oggettive e proprietà soggettive dei corpi.
c) La credenza nella validità del rapporto causale e delle leggi generali scoperte dalla scienza, ba-
sate sul principio che a cause simili corrispondano necessariamente effetti simili, viene suggerita e av-
valorata dalla persuasione dell’uniformità dell’ordine naturale, che seguendo un corso sempre identi-
co a se stesso risulta necessario ed immutabile come una verità geometrica.
d) La fiducia nella verità assoluta della scienza viene confortata mediante la teoria secondo cui la
conoscenza umana, pur differendo da quella divina per il modo di apprendere e per l’estensione di
nozioni possedute risulta simile per il grado di certezza.

Il “realismo” di Galileo

Questo gruppo asistematico di giustificazioni filosofiche poggia, a ben vedere, su di un’unica cre-
denza di base, che sta a monte del lavoro scientifico di Galileo e di ogni suo tentativo di legittimazione
teorica: la corrispondenza fra pensiero ed essere, ossia la conformità fra ciò che la scienza sostiene e
il mondo qual è veramente.

Il processo a Galileo

L’ammonizione del 1616

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Galileo Galilei (sintesi dell’Abbagnano a c. di Nicola Sguera)

Sebbene gli aristotelici pisani e padovani avessero cominciato a guardare con crescente irritazione
il copernicanesimo galileiano, le prime consistenti reazioni polemiche nei confronti di Galileo proven-
nero dal clero.
Il preoccupante allargarsi delle polemiche, dal piano astronomico-matematico a quello fisico e a
quello religioso, indusse il Santo Uffizio - cui erano note fra l’altro le ardite generalizzazioni bruniane
- a passare ai teologi «la faccenda copernicana». Questi, il 24 febbraio del 1616, dichiararono
all’unanimità:
1) «assurda e falsa in filosofia» e «formalmente eretica» la tesi eliocentrica;
2) «assurda e falsa in filosofia» e «per lo meno erronea nella Fede» la mobilità della Terra.
Frattanto, il 26 febbraio, Galileo veniva convocato, per ordine di Paolo V, dal cardinal Bellarmino
e formalmente “ammonito”.

Il processo del 1633

Dopo anni di “silenzio” pubblico sul copernicanesimo, nel 1632 Galileo, incoraggiato dall’elezione
di Papa Urbano VIII, pubblicò il Dialogo, ricorrendo, come si è visto, allo stratagemma di presentare
in maniera «obbiettiva» i due più grandi sistemi astronomici della storia. Ma la stizza di Urbano VIII,
convinto dagli avversari di Galileo di esser stato preso in giro dallo scienziato nella figura di Simpli-
cio, assertore della «mirabile e veramente angelica dottrina» di cui si è detto, fece sì che la situazione
precipitasse e che l’Inquisitore di Firenze desse ordine di sospendere immediatamente la diffusione
dell’opera. Per cui, nell’ottobre del 1632 a Galileo venne intimato di trasferirsi a Roma e di mettersi a
disposizione del Commissario generale del Sant’Uffizio. Dopo aver cercato di prender tempo, addu-
cendo motivi di salute, Galileo, ormai vecchio e malaticcio, di fronte alla ferma determinazione
dell’Inquisizione, fu costretto a venire a Roma.
Dopo esser giunto nella città il 3 febbraio 1633 ed aver soggiornato un po’ di tempo in uno stato di
quasi segregazione presso l’ambasciatore granducale, il 12 aprile dovette trasferirsi «come prigionie-
ro» presso il Sant’Uffizio.
Durante gli interrogatori, Galileo affermò più volte di non rammentare alcun precetto subito alla
presenza di testimoni e si appellò solo alla notifica di Bellarmino.
Galileo, in ginocchio davanti ai cardinali della Congregazione, pronunciò la sua abiura del coper-
nicanesimo.

L’importanza di Galileo nella storia della filosofia

Che Galileo possa essere considerato il fondatore della scienza moderna e che egli occupi un posto
centrale nella storia del sapere positivo è un fatto su cui esiste unanime consenso.
Ciò non significa tuttavia che l’importanza di Galileo sia quasi esclusivamente di tipo scientifico,
poiché nel momento stesso in cui apre alla fisica una feconda via da percorrere, Galileo determina an-
che, indirettamente, una svolta nella storia del pensiero filosofico. Infatti con Galileo entrano in crisi
alcuni concetti millenari della metafisica, come quelli di essenza e di causa finale, che si rivelano ina-
datti o fuorvianti per un’efficace conoscenza della natura e che più tardi avrebbero trovato una criti-
ca filosofica da parte degli empiristi.

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