Sei sulla pagina 1di 4

Cosmologia Aristoteica-tolemaica ed Eliocentrica,

filosofia del passato e moderna

-I Greci furono i primi a realizzare un modello del Sistema solare. In esso la Terra, piatta e
immobile, era al centro dell’Universo; il Sole, la Luna e i pianeti ruotavano intorno a essa
secondo orbite circolari. Alcuni filosofi avanzarono l’ipotesi che la Terra fosse sferica e
addirittura in movimento, ma erano idee troppo avanzate per quei tempi, e non ebbero seguito.
Aristotele (384 – 322 a.C.), ritenuto il massimo filosofo greco, diede un’impostazione di stampo
scientifico alla ricerca di un modello dell’universo; le sue teorie, grazie anche alla loro ripresa
da parte del Cristianesimo, assunsero poi un carattere quasi dogmatico fino al Rinascimento. Il
suo pensiero si articolava nel seguente modo:
- l’universo si divide in un mondo sublunare, mutevole ed imprevedibile, ed in un uno
extralunare, o translunare, immutabile e perfetto;
- la Terra, appartenente al primo mondo, è al centro del cosmo, le cui componenti si muovono di
moto uniforme su traiettorie circolari.
È dunque facile comprendere come una visione che metteva l’uomo al centro di tutto sia
sussistita tanto a lungo nell’ideale collettivo, religioso in particolare, che lo vedeva anche al
centro della creazione e dei pensieri di Dio.
Aristotele, inoltre, completò il già complesso ed artificioso modello di Eudosso, per renderlo più
coerente e giustificare appieno i moti retrogradi, portando da 27 a 56 il numero delle sfere
costituenti, ognuna con asse di rotazione differente.
Tolomeo (II secolo d.C.) riprese le tesi Aristoteliche e formulò un modello geocentrico che si
affermò su tutti i precedenti e rimase valido fino al 1543 (anno di pubblicazione del “De
revolutionibus orbium coelestium”, opera di Copernico che determinò l'affermazione del
geocentrismo.
La sua teoria si fondava su questi capisaldi:
- la Terra è immobile al centro dell’universo;
- attorno ad essa ruotano, in ordine di distanza, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove,
Saturno ed il cielo delle stelle fisse;
- il pianeti si muovono su una trattoria che risulta dalla composizione di due moti: essi infatti
percorrono l’epiciclo, sfera che ha il suo centro su deferente, seconda sfera concentrica alla
Terra.
Anche questo modello, nonostante si presentasse più flessibile ad eventuali modifiche di quello
di Eudosso, con il passare del tempo si complicò con l’aggiunta di altre sfere, necessarie a
giustificare i dati sperimentali via via emergenti.
Per quanto riguarda le comete, Tolomeo non ne parla nell' "Almagesto", ma in un'opera intitolata
"Tetrabiblos", sostenendo che esse provocano guerre e cambiamenti climatici talvolta distastrosi.
Per molti secoli il sistema aristotelico-tolemaico, ripreso dalla filosofia tomistica, costituì una
visione del mondo consolidata, che non si poteva negare senza cadere nell'eresia.
Secondo la concezione tolemaica o geocentrica, quindi, il Sistema Solare è una grande sfera al
centro dell’Universo, e la Terra, piatta e immobile, è situata al centro di questa sfera. Attorno ad
essa ruotano su una serie di sfere concentriche: il Sole, la Luna e gli altri pianeti; il tutto è
circondato dall’ultima sfera, quella delle stelle fisse, che segna il confine dell’Universo.
L’Universo dunque è immaginato pieno e finito.
Nel sistema Aristotelico-Tolemaico, le comete erano considerate mulinelli di aria turbolenta che
si infuocavano negli strati alti dell’atmosfera. Questo perché, essendo fenomeni imprevedibili e
transitori, non potevano che trovare spazio nel mondo sublunare, caratterizzato dalla caducità e
dall'imperfezione.
Secoli più tardi Grandi uomini di scienza come Galileo Galilei e Keplero fecero però riferimento
al lavoro di Copernico per elaborare le loro teorie, che confermarono anche nella pratica la bontà
di buona parte di quanto da lui ipotizzato.
La teoria eliocentrica non era nuova: in età antica ad esempio Aristarco di Samo, Iceta di
Siracusa, Eraclide Pontico e diversi pitagorici, l'aveva sostenuta.
Niccolò Copernico riassunse la propria teoria in nove principi, che secondo la sua visione
avrebbero portato alla nascita di una nuova astronomia:
-Il Sole sta immobile vicino al centro del sistema solare e dell'universo.
-Tutti i pianeti ruotano intorno al Sole (più precisamente, attorno al centro dell'orbita terrestre,
che è il centro del sistema solare e dell'universo).
-Le orbite di tutti pianeti e della Luna sono circolari.
-Il centro della Terra non è il centro dell'universo, ma solamente dell'orbita della Luna.
-La Terra, decentrata analogamente agli altri pianeti del sistema solare, ha un moto di rivoluzione
annuale intorno al Sole (meglio: attorno al centro della propria orbita).
-La Terra ha inoltre un moto di rotazione giornaliera da Ovest a Est attorno al proprio asse.
-L'asse terrestre risulta inclinato rispetto alla perpendicolare al piano orbitale terrestre.
-Alla Terra viene infine attribuito un terzo moto (in realtà fittizio), di declinazione.
-La volta celeste è immutabile, caratterizzata da stelle costanti per luminosità, numerosità e
dislocazione (fisse).
Le sue teorie erano in netta contrapposizione con la teoria geocentrica predominante all’epoca, e
che prevedeva che la Terra fosse al centro di tutto il sistema celeste. Temendo la Chiesa e gli
ambienti accademici a essa molto contigui all’epoca, Niccolò Copernico evitò in vita di assumere
comportamenti rivoluzionari o di netta chiusura con le teorie del passato. Il suo lavoro fu
comunque fondamentale per smantellare le teorie del sistema tolemaico e consentire agli
astronomi che vennero dopo di lui di raffinare e formalizzare i principi del sistema che oggi
chiamiamo copernicano.
Aristotele elimina da tale nozione ogni connotazione mitica e cronologica e distingue «ciò che è
anteriore e più noto rispetto a noi» da «ciò che è anteriore e più noto per natura», identificando
quest’ultimo con l’universale e con la causa.
A partire dal 17° sec. si afferma una concezione puramente gnoseologica della conoscenza a
priori come verità accertabile indipendentemente dall’esperienza. Filosofi empiristi come Locke
e Hume promuovono una discussione sulla natura, l’estensione e la stessa possibilità di una
conoscenza a priori, che viene riferita di solito alle verità innate e necessarie. In Leibniz i due
sensi della conoscenza a priori coesistono: dal punto di vista metafisico Leibniz considera ogni
verità dimostrabile a priori in base alla sua causa, ma nello stesso tempo afferma che l’intelletto
umano è incapace di ricavare le verità contingenti indipendentemente dall’esperienza e restringe
la conoscenza a priori alle verità necessarie, che si riescono a dimostrare in base a «ciò che si ha
già nello spirito».
Kant pone a capo della Critica della ragion pura (1781) la questione della possibilità di
conoscenze a priori, articolandola secondo la distinzione tra giudizi analitici e sintetici (➔
analitico/sintetico, giudizio). Nella trattazione kantiana le forme a priori (spazio, tempo e
categorie) non sono intesi soltanto come un genere di conoscenze, ma nello stesso tempo come
condizioni di possibilità dell’esperienza, da cui vengono formati i giudizi della filosofia
trascendentale. Kant esamina sistematicamente i giudizi a priori che ricorrono nelle diverse
scienze: la logica non contiene propriamente conoscenze, bensì un «canone» formale di
correttezza valido per ogni uso dell’intelletto; l’aritmetica e la geometria si compongono invece
di giudizi sintetici a priori che risultano indipendenti dal contenuto variabile delle percezioni;
infine la scienza della natura contiene un numero limitato di giudizi sintetici a priori, alcuni dei
quali sono «non puri», dal momento che presuppongono per la loro formulazione un determinato
concetto empirico (come il movimento).
Hume risveglia Kant dal “sonno dogmatico” e gli suggerisce la cosiddetta “rivoluzione
copernicana“: i principi innati della ragione si riferiscono al modo di conoscere del soggetto non
alla realtà esterna. È il compimento della parabola soggettivistica iniziata dal “cogito” cartesiano.
Kant, insomma, pensa che la conoscenza dipenda dal soggetto e non dall’oggetto. Per Kant la
metafisica (cioè la filosofia tradizionale e anche quella moderna, da Cartesio a Newton) genera
sistemi molto divergenti. Il razionalismo tenta di spiegare l’universo con strumenti puramente
logici, mentre l’empirismo si richiama all’esperienza dei sensi umani.
La rivoluzione copernicana di Kant consiste nell’attribuire le leggi della natura che, come per i
razionalisti, gli appaiono necessarie e universali, a noi stessi. Il che evita di cadere nel problema
cartesiano della dimostrazione della loro validità reale (con il problematico ricorso alla garanzia
offerta da Dio).
Secondo Kant, infatti, è più facile fondare le scienza sul soggetto che sull’oggetto. Anche il
sillogismo, secondo Kant, funziona in ragione delle nostre strutture mentali. Aristotele, cioè, non
avrebbe scoperto regole valide in assoluto, ma solo relative al funzionamento della mente umana.
La stessa cosa varrebbe per le leggi scoperte da Newton, Galileo ecc.
Un uomo, in altre parole, secondo Kant, può conoscere la natura solo in quanto ci mette qualcosa
di sé.
Come Copernico sposta il centro dell’universo dalla Terra al Sole così Kant sposta il centro della
conoscenza dall’oggetto al soggetto. Le leggi sono vere perché le costruiamo noi stessi. Restano
vere, quindi, fintanto che noi siamo uomini (abbiamo la stessa struttura mentale).
La “natura” è il nostro modo di percepire la realtà. Se metto occhiali dalle lenti rosse vedo il
mondo rosso perché gli occhiali (metafora della mente umana) sono rossi e non già perché il
mondo sia rosso.
Come già Galileo, Cartesio e Locke avevano considerato soggettive o secondarie certe qualità
strettamente dipendenti dai sensi umani (colori, sapori, suoni ecc.), tali cioè da esistere solo per il
soggetto che le percepisce (per noi e non “in sé”), così Kant propone che anche le qualità
cosiddette primarie od oggettive (p.e. massa, volume, tempo, accelerazione ecc.), che si
considerano proprie degli oggetti in natura indipendentemente dall’osservatore (in sostanza
quelle che oggi chiamiamo “grandezze fisiche” e “proprietà geometriche”), siano il prodotto di
una costruzione “mentale” del soggetto. Infatti queste cosiddette qualità “oggettive” – nota Kant
– dipendono anch’esse, essenzialmente, da un “sistema di riferimento” spaziale e temporale e da
una serie di “concetti puri”, propri del soggetto conoscente (come p.e. quelli di “sostanza” o
“cosa” e di “causa”): è dal soggetto, dunque, che esse dipendono, non diversamente dalle qualità
cosiddette soggettive. La sola differenza è che le qualità oggettive sono “uguali” per tutti i
soggetti umani (sani), mentre quelle cosiddette “soggettive” possono variare da persona a
persona. Come un cane o un daltonico percepiscono diversamente ciò che alla maggior parte di
noi appare rosso, così un’ipotetica creatura extraterrestre potrebbe percepire lo spazio a otto
dimensioni, il tempo al rallentatore o all’inverso ecc.
Secondo Kant, in questa prospettiva, una certa sequenza di eventi può essere interpretata, ad
esempio, mediante la categoria della causa e dell’effetto (cfr. l’esempio delle palle da biliardo di
Hume) perché la nostra stessa mente elabora l’input che le proviene dalla realtà esterna (che deve
esistere indipendentemente da noi ma di cui ignoriamo tutto) generando il fenomeno (l’immagine
mentale) di un certa sequenza spaziotemporale.
Il fenomeni obbediscono a leggi fisiche solo perché queste non sarebbero altro che leggi logiche
(cioè leggi della nostra mente, della “ragione”, dice Kant). Noi saremmo in grado di prevedere i
fenomeni perché saremmo noi stessi a imporre loro le regole in base alle quali si possono
produrre.

Potrebbero piacerti anche