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Galileo Galilei

Vita

Galileo Galilei fu un matematico, filosofo e umanista di vastissima cultura, che


contribuì allo sviluppo di tutti gli aspetti principali della rivoluzione scientifica. Fu
protagonista della battaglia culturale per la diffusione dell'astronomia copernicana
e con le sue ricerche matematiche introdusse innovazioni fondamentali nella
scienza del movimento. Attaccò apertamente il metodo e le dottrine fisiche
dell'aristotelismo sostenendo l'adozione del metodo sperimentale e della
matematica in filosofia.

Nacque a Pisa il 15 febbraio 1564 da una famiglia borghese e ricevette


un'educazione umanistica. Scrisse di armonia musicale e di poesia, adoperando le
sue doti di letterato nella stesura dei suoi dialoghi scientifici. Il padre Vincenzo,
musicista e teorico musicale, lo iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di
Pisa, dove Galilei ebbe modo di studiare la filosofia di aristotelica e conobbe la
matematica di Euclide e Archimede. Appassionatosi proprio alla matematica, nel
1586 decise di dedicarvisi, abbandonando gli studi di medicina. Così nel 1589 fu
nominato lettore, ovvero docente, di matematica a Pisa. Tra il 1588 e il 1592
redasse il manoscritto De motu in cui presentava una nuova teoria della caduta dei
gravi. Nel 1592 fu nominato professore a Padova, dove avrebbe trascorso 18 anni.
Qui insegnò geometria, meccanica e astronomia su libri di testo antichi e
medievali, dedicandosi anche all'ingegneria realizzando strumenti di sua
invenzione e pubblicando lavori teorici. Nel 1609 realizzò osservazioni
astronomiche con il cannocchiale che smentivano l'immagine tradizionale del
cosmo. Le presentò l'anno successivo nel Siderus nuncius, un'opera che gli diede
immediata notorietà in tutta Europa. Alla difesa della nuova astronomia scrisse
l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, mentre nelle cosiddette "lettere
copernicane" sostenne che la Bibbia dovesse essere interpretata in accordo con le
scoperte astronomiche. Spintosi ormai in potenziale conflitto con la Chiesa, nel
1616 fu ammonito dal Sant'Uffizio a non professare la nuova astronomia. Galilei,
tuttavia, incoraggiato dall'ascesa al pontificato del Cardinale Barberini (Papa
Urbano VIII), che lo stimava come scienziato di valore, nel 1632 pubblico il Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, in cui, con il
pretesto di presentare le due ipotesi alternative dell'astronomia, attaccava
l'aristotelismo e avanzava una nuova difesa dell'ipotesi copernicana. Il papa, così,
lo convocò subito a Roma, dove il 22 giugno 1633 venne processato costretto ad
abiurare pubblicamente la dottrina copernicana e condannato al carcere. Scontò la
pena agli arresti domiciliari prima a Siena e poi nella sua villa di Arcetri. Ormai
quasi cieco pubblicò nel 1638 la sua maggiore opera matematica, Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze. Morì l'8 gennaio 1642.

Le scoperte astronomiche

Galilei non fu l'inventore del cannocchiale, che era comparso in Olanda all'inizio
del secolo, ma fu il primo a usarlo a scopi scientifici. Lo perfezionò per
accrescerene l'ingrandimento e lo usò per osservare il cielo. Nascerà così uno
strumento scientifico, il telescopio. Galilei, dunque, puntò il telescopio sulla luna e
vide le irregolarità della sua superficie ingrandite di venti volte, comprendendo che
un corpo celeste, che secondo la fisica aristotelica doveva essere una sfera
perfetta estranea ogni mutamento, appariva come una superficie irregolare. A
Galilei si deve poi la scoperta dei pianeti in orbita Giove, che in onore della famiglia
dei medici, suoi protettori, chiamò "pianeti medicei". Anche questa era una
profonda anomalia rispetto alla cosmologia tradizionale, che ammetteva
l'esistenza di pianeti satelliti solo nel caso della Terra. Anche le macchie solari
osservate successivamente costituirono per Galilei un altro segno che la teoria
aristotelica dei corpi celesti, secondo la quale essi non erano soggetti al divenire,
era sbagliata. Infatti le macchie solari costituivano la prova che sul sole avvengono
mutamenti. In generale le scoperte di Galilei mostravano che il Sole, la Luna e gli
altri pianeti presentavano caratteristiche simili a quelli della Terra, distruggendo la
distinzione tra mondo celeste e mondo sublillulare.

Il conflitto con la Chiesa

Il conflitto tra Galilei e la Chiesa cattolica non dipese esclusivamente dalle sue
scoperte astronomiche. Difatti la teoria copernicana era stata a lungo tollerata
dalla Chiesa cattolica ed era considerata soprattutto come un'ipotesi specialistica,
che riguardava matematici e fisici. Il problema si poneva dal momento in cui
l'ipotesi eliocentrica contraddiceva alcuni passi biblici, per esempio quello in cui
Giosuè ordina al Sole di fermarsi, presupponendo quindi che esso si muova. Galilei
affrontò la questione in una serie di lettere, le cosiddette "lettere copernicane",
schierandosi contro un'interpretazione letterale delle scritture. Tra queste
ricordiamo quella indirizzata al suo discepolo Benedetto Castelli, in cui Galilei
sostiene che la Natura e la Scrittura, essendo prodotte da Dio, devono entrambe
essere vere e non possono contraddirsi. Il testo biblico, infatti, è stato scritto per
un popolo ignorante e non va quindi preso alla lettera. Quando l'esperienza
scientifica, dimostra che la natura agisce in un certo modo, gli interpreti delle
Scritture devono sforzarsi di interpretare il testo in modo conforme a queste
verità. Le scritture quindi non sbagliano, ma possono farlo i loro interpreti. Con la
sua presa di posizione Galilei voleva invitare le autorità cattoliche ad accettare la
nuova scienza, riconoscendo che essa non ostacolava la fede. Tuttavia, così
facendo violava il divieto di interpretare le Scritture. In seguito a diverse denunce a
carico di Galilei, intervenne il Sant'Uffizio e si giunse a un decreto formulato il 26
febbraio 1616 in presenza del Cardinale Bellarmino e su ordine del papa:
l'immobilità del Sole veniva giudicata falsa e formalmente eretica perché
contradiceva le Scritture, e anche la mobilità della Terra era definita falsa. Galilei fu
ammonito a non insegnare l'eliocentrismo e la mobilità della Terra, mentre il De
revoluzionibus di Copernico fu inserito nell'Indice dei libri proibiti, dove rimase fino
al 1815.

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi

La questione si riaccese alcuni anni dopo, quando Galilei pubblicò il Dialogo sopra i
due massimi sistemi. Scopo dell'opera, in accordo con il nuovo Papa Urbano VIII,
doveva essere quello di presentare le tesi copernicane in forma ipotetica
attraverso un dialogo in cui personaggi avrebbero dibattuto sui due modelli
cosmologici, tolemaico e copernicano. L'opera si articola in quattro giornate. I
personaggi sono tre, due dei quali, Salviati e Sangredo, realmente esistiti. Il terzo,
Simplicio, è un personaggio di fantasia, il cui nome ricorda il semplice, lo sciocco.
Salvati sostiene il copernicanesimo e pare essere l'alter ego di Galileo Galilei;
Sangredo, invece, è colui che ascolta le due tesi a cuore aperto, senza pregiudizi;
l'aristotelico Simplicio viene accostato in un certo senso a papa Urbano VIII e nel
corso dell'opera viene ripetutamente smentito e addirittura ridicolizzato. Il Papa,
dunque, ragì violentemente convocando Galilei e facendolo processare dal
Sant'Uffizio fino a condannarlo e a costringerlo all'abiura delle tesi copernicane.
Soltanto secoli dopo la posizione della Chiesa cattolica fu modificata: papà
Giovanni Paolo II nel 1992 stabilì che Galilei aveva avuto ragione ad affermare che
le Scritture non stabiliscono veritità scientifiche sulla natura. Nella prima giornata
vengono esposti i due modelli cosmologici, anche se Galilei fa già emerge il suo
punto di vista; nella seconda giornata si smentiscono le obiezioni che gli estrolerici
fanno al copernicanesimo; nella terza e nella quarta si espongono argomenti
relativi alle maree, che però si riveleranno errati.

La legge della caduta dei gravi

Come già accennato in precedenza, nella seconda giornata del Dialogo sopra i due
massimi sistemi Galileo smentisce diverse obiezioni che gli aristoteli muovono al
copernicanesimo. Tra queste ricordiamo quella inerente alla caduta dei gravi.
Aristotele aveva stabilito che soltanto i corpi dotati per natura di pesantezza
cadono verso la Terra e che la velocità di caduta di ogni corpo cresce
proporzionalmente al suo peso. Galileo riprende questa ipotesi ma la porta
all'assurdo, immaginando che due pietre di peso diverso vengano attaccate l'una
all'altra: se il ragionamento aristotelico fosse valido, la pietra più pesante dovrebbe
essere rallentata dalla più leggera, da chi conseguirebbe che la pietra composta
dalle due pietre, pur essendo più pesante, cadrebbe più lentamente. Galilei
afferma quindi che tutti i corpi cadono con una velocità proporzionale al quadrato
del tempo di caduta. In teoria, secondo Galilei, i corpi per natura ricevono tutti una
stessa accelerazione, anche se in concreto noi osserviamo che essi cadono con
velocità diversa. Infatti bisogna tenere in conto del fatto che corpi non cadono nel
vuoto, ma nell'aria. L'aria esercita una resistenza diversa a seconda della densità
dei corpi, determinando la diseguaglianza tra i moti di caduta. Galilei conclude
affermando che, "se si levasse totalmente la resistenza di mezzo tutte le materie
discenderebbero con eguali velocità". Oggi, essendo possibile produrre
fisicamente il vuoto, si può osservare come una sfera di piombo e una piuma che
cadono effettivamente con un moto identico.

L'esperimento mentale del "Gran naviglio"

Nell'approfondire problemi particolari di meccanica Galilei trovò occasione di


stabilire alcuni principi generali del movimento, che resteranno fondamentali nella
fisica. Consideriamo prima di tutto la difesa dell'ipotesi copernicana della
rotazione della Terra, svolta nella seconda giornata del Dialogo. L'obiezione
tradizionale era che, se la Terra ruotasse, questo spostamento dovrebbe essere in
qualche modo percepibile. Galilei replica che tutti i corpi che si trovano sulla
superficie della Terra partecipano del moto di rotazione che, pertanto, non può
essere avvertito da un osservatore che si trova sulla Terra. Per giustificare questa
affermazione propone un celebre esperimento mentale, noto come il "gran
naviglio". Immaginiamo di trovarci nella cabina di una nave ormeggiata al molo,
cioè in stato di quiete, e di correre avanti e indietro, lanciare una palla, far
gocciolare dell'acqua. Se ora immaginiamo di osservare gli stessi fenomeni nella
cabina della nave mentre questa veleggia a velocità costante, tutto ci apparirà
come se la nave fosse ferma. Allo stesso modo la superficie terrestre porta con sé
tutti i corpi che si trovano nella sua superficie. Una conseguenza generale di
questa analisi è la relatività del movimento uniforme. Secondo questo principio,
ciò che all'interno di un sistema di riferimento appare in quiete può essere
considerato in movimento rispetto a un altro sistema di riferimento. Pertanto un
osservatore che si trova all'interno di un sistema di riferimento, non è in grado di
stabilire, osservando i movimenti degli oggetti in esso contenuti, se il sistema si
trovi in quiete o in modo rettilineo uniforme. Questo principio di relatività vale
soltanto per i sistemi non sottoposti all'accelerazione, che chiamiamo sistemi
inerziali. Sebbene non sia formulato esplicitamente da Galilei, questo principio è
ricavato dai suoi ragionamenti e pertanto rimarrà noto in fisica com "principio di
relatività galileiana".

Il fondamento del principio di inerzia

La nuova concezione del movimento uniforme ha anche un'altra conseguenza


concettualmente importantissima. Secondo Galilei la velocità uniforme di un corpo
rimane invariata fintanto che non intervengano cause esterna modificarle. Come
nel caso della relatività del moto, Galilei ancora una volta non formula questa
generalizzazione in modo esplicito, ma getta le basi di quello che in seguito è stato
chiamato principio di inerzia e ancora oggi è insegnato nei corsi di fisica come
primo principio della dinamica. Galilei svolge un'analisi dei movimenti
completamente diversa da quella aristotelica. Nella fisica di Aristotele un corpo
può possedere un moto naturale oppure un moto violento. Nel primo caso la
velocità aumenta fino ad annullarsi quando il corpo raggiunge il proprio luogo
naturale, per esempio un sasso che tocca terra. Nel secondo caso, invece, la
velocità impressa si annulla gradualmente, e da quel momento ricomincia il moto
naturale, per esempio un sasso lanciato in aria che a un certo punto comincia a
cadere. Galilei sostituisce questa distinzione con un approccio unitario basato sulla
composizione dei movimenti. I corpi possono essere caratterizzati
simultaneamente da diversi moti che si combinano tra di loro. Per esempio la
velocità impressa a una palla di cannone non si esaurisce naturalmente, ma resta
costante e si compone con quella impressa dalla gravità, fino al momento in cui il
corpo raggiunge il suo luogo naturale e si ferma. È così abolita la distinzione tra
moti naturali e moti violenti: i moti dei corpi lanciati sulla Terra sono composti di
una velocità orizzontale e di un'accelerazione verticale, dalla cui composizione
risultano traiettorie paraboliche. La teoria sulla composizione dei movimenti
costituisce la base su cui Galilei affronta diversi problemi di grande importanza
filosofica. Sul piano della fisica terrestre usa questa teoria per rispondere a
un’altra obiezione contro la tesi copernicana, fondata sul fatto che la rotazione
della Terra doveva produrre un'accelerazione centrifuga di tutti gli oggetti, che
però noi non percepiamo. La risposta di Galilei è che l'accelerazione centrifuga
esercitata sui corpi che si trovano sulla superficie terrestre si compone con quelle
della gravità, che è più forte e ne annulla l'effetto.

Il metodo galileiano

Le principali innovazioni filosofiche introdotte da Galilei riguardano soprattutto il


metodo dell'ndagine scientifica. Lo stesso Galilei coniò una formula per
caratterizzare il suo metodo, scrivendo che bisogna combinare "sensate
esperienze e necessarie dimostrazioni". Le "sensate esperienze" sono le
osservazioni sistematiche dei fenomeni attraverso l'uso dei sensi. Tuttavia per
realizzare un esperimento scientifico non basta osservare i fenomeni naturali. Ma
è necessario combinarli con le "necessarie dimostrazioni", ovvero, la
schematizzazione e la quantificazione dei fenomeni attraverso l'uso della
matematica. L'esperimento, allora, consiste nella messa alla prova di una serie di
ipotesi matematiche. In questo modo l'esperienza permetterà di verificare le
ipotesi, oppure di smentirle e suggerire eventualmente delle modifiche nella
teoria. Si parla in proposito di un ragionamento ipotetico-deduttivo: data
un'ipotesi si ricavano deduttivamente le conseguenze, e queste servono a
controllare sperimentalmente la validità dell'ipotesi. Una conseguenza generale
della metodologia galileiana consiste nel distinguere nettamente tra il mondo
rappresentato dai sensi e la verità scientifica oggettiva. Secondo la testimonianza
dei sensi, per esempio, la Terra sembra essere immobile, mentre il Sole si muove
nel cielo. La teoria copernicana, da questo punto di vista, è in contrasto con il dato
immediato dei sensi. L'esperienza è quindi necessaria a stabilire la verità
scientifica, ma soltanto quando i dati dei sensi sono interpretati alla luce della
matematica: la semplice osservazione dei fenomeni naturali senza questa
interpretazione matematica non costituisce un esperimento scientifico.

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