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ISSN 0017-0089
GIORNALE CRITICO
GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA - Anno XCVI (XCVIII) - Fascicolo III
DELLA
FILOSOFIA ITALIANA
FONDATO
DA
GIOVANNI GENTILE
PUBBLICAZIONE QUADRIMESTRALE
€ 50,00
Direzione
Aldo Brancacci, Massimo Ferrari, Sebastiano Gentile,
Maurizio Torrini (coordinatore)
Comitato scientifico
Giovanni Bonacina, Carlo Borghero, Michele Ciliberto, Tullio Gregory,
Helmut Holzhey, Sir Geoffrey E.R. Lloyd, Denis O’Brien,
Dominic O’Meara, Gianni Paganini, Renzo Ragghianti, Gennaro Sasso,
Loris Sturlese, Giuseppe Tognon, Mauro Visentin
Redattore
Alessandro Savorelli
Redazione
Olivia Catanorchi, Andrea Ceccarelli, Ascanio Ciriaci, Valerio Del Nero,
Eva Del Soldato, Faustino Fabbianelli, Nadia Moro, Alfonso Musci,
Diego Pirillo, Cesare Preti, Oreste Trabucco, Stefano Zappoli
Pubblicazione quadrimestrale
ABBONAMENTO 2018
ITALIA ESTERO
PRIVATI INDIVIDUALS
(Carta) € 100,00 (Paper) € 130,00
(c + web) € 125,00 (p + web) € 160,00
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FASCICOLO SINGOLO
ITALIA € 50,00 ESTERO € 55,00
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GIORNALE CRITICO
DELLA
FILOSOFIA ITALIANA
FONDATO
DA
GIOVANNI GENTILE
FIRENZE
SOMMARIO DEL FASCICOLO
Studi e ricerche:
RICCARDO FEDRIGA - ROBERTO LIMONTA, Debolezza di volontà e libertà del volere
in Tommaso d’Aquino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 468
MARTA STEFANI, Alla scuola di Redi: Pietro Paolo da Sangallo . . . . . . . . . . . . . . 487
ANTONIO GURRADO, Voltaire lettore di Paolo Sarpi: la riscrittura del Concilio di
Trento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498
GIULIANO GASPARRI, La filosofia eclettica nelle Scuole Pie: Liberato Fassoni (1721-
1775) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 532
FERNANDA GALLO, La sfida alla ‘supremazia protestante’. Le origini della moder-
nità e l’hegelismo napoletano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 551
PIERPAOLO CICCARELLI, I greci di Heidegger «iuxta propria principia». Omaggio a
Franco Volpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 566
Discussioni e postille:
WALTER LAPINI, Lucrezio ai tempi dell’Anvur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 589
Postilla galileiana, di MAURIZIO TORRINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 609
ANDREA BELLOCCI, Il problema della ‘non’ relazione ne «Il principio, le cose» di
Gennaro Sasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 611
Note e notizie:
Retorica, argomentazione, democrazia. Per una filosofia politica del linguaggio
(Danilo Di Lanzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627
L’hegelismo del giovane Antonio Labriola (Faustino Fabbianelli) . . . . . . . . . . . 629
Spinoza in Italia tra Risorgimento e Unità. Liberare la modernità (Alessandro
Savorelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633
LUCREZIO AI TEMPI DELL’ANVUR
nare su questo libro in maniera più approfondita; del resto è un libro che me-
rita attenzione anche al di là dei suoi contenuti specifici, in quanto, come di-
remo, compendia esemplarmente tutti i principali trend di certa produzione
accademica presente e probabilmente futura. E, appunto per afferrare tutta
la portata del caso, occorrerà allargare il compasso anche ad altri studi lucre-
ziani che il B. ha pubblicato in questi anni e che sono in vario modo connes-
si con la RC. Avviso il lettore che sarò costretto ad annoiarlo con lunghi re-
gesti; ne farei a meno, ma ai fini del nostro ragionamento i dettagli sono ne-
cessari.
Qui di seguito le abbreviazioni dei lavori che menzioneremo più spesso:
— B1998 = M. Beretta, Lucrezio, classico della scienza?, in Storia e filosofia della scien-
za. Un possibile scenario italiano, a c. di E. Bellone – G. Boniolo, Milano, Fotoli-
to Sebi 1998, pp. 27-36.
— B2003 = M. Beretta, The revival of Lucretian atomism and contagious diseases dur-
ing the Renaissance, «Medicina nei secoli. Arte e scienza», XV, 2003, pp. 129-154.
— B2007 = M. Beretta, Lucrezio e la chimica, «Automata. Journal of nature, science
and technology in the ancient world», II, 2007, pp. 39-56.
— B2008[a] = M. Beretta, Enlightenment in antiquity?, in Aurora Torealis, ed. by M.
Beretta-K. Grandin-S. Lindqvist, Sagamore Beach, Science History Publications
2008, pp. 1-12.
— B2008[b] = M. Beretta, Did Lucretius’ atomism play any role in the early modern
chemistry?, in Neighbours and territories, ed. by J. Bertomeu-Sánchez-D. Rizzolins-
B. van Tiggelen, Louvain, Memosciences 2008, pp. 237-248.
— B2008[c] = M. Beretta, Gli scienziati e l’edizione del De rerum natura, in Lucre-
zio: la natura e la scienza, a c. di M. Beretta – F. Citti, Firenze, Olschki 2008, pp.
177-224.
— B2009 = M. Beretta, Lucretius as hidden auctoritas of the Cimento, in The Acca-
demia del Cimento in the European context, ed. by M. Beretta-A. Clericuzio-L.
Principe, Sagamore Beach, Science History Publications 2009, pp. 1-16.
— B2010[a] = M. Beretta, Leonardo and Lucretius, «Rinascimento», XLIX, 2010, pp.
341-372.
— B2010[b] = M. Beretta, Lucrezio e l’evoluzione, in Memoria scientiae. La scienza
dei Romani e il latino degli scienziati, a c. di P. Li Causi, «Quaderni di ricerca in
didattica (Mathematics)», XX, Suppl. 2, Palermo, Department of Mathematics
(University of Palermo) 2010, pp. 29-35.
— B2012 = M. Beretta, Il concetto di legge naturale in Lucrezio e Seneca, in Seneca e
le scienze naturali, a c. di M. Beretta – F. Citti – L. Pasetti, Firenze, Olschki 2012,
pp. 1-18.
— B2014 = M. Beretta, Immaginare Lucrezio: note storiche sull’iconografia lucrezia-
na, in Il culto di Epicuro, a c. di M. Beretta-F. Citti-A. Iannucci, Firenze, Olschki
2014, pp. 193-225.
— B2016 = Lucrezio. De rerum natura. Editio princeps (1472-73), a c. di M. Beretta,
Bologna, Bononia University Press 20165.
5 Il libro (datato 2016, ma citato già come esistente in RC, pp. 222 n. 12 e 278, con da-
ta 2015) è detto contenere una «ristampa» dell’editio princeps di Lucrezio (B2016, p. 8).
discussioni e postille 591
Le tesi più significative della RC sono queste: (1) Lucrezio non è solo un
grande poeta, ma anche uno scienziato; (2) Lucrezio non ripete supinamen-
te i dogmi di Epicuro, ma innova e rielabora. La seconda tesi è più enuncia-
ta che dimostrata (nessuna traccia di un confronto puntuale text-to-text fra il
De rerum natura e le reliquie epicuree), mentre la prima è costruita su un ber-
saglio immaginario. Il B. avrebbe fatto meglio a produrre nomi e fatti, anzi-
ché lamentare vagamente e in astratto, e anche in questo caso senza dimo-
strazione, che i «filologi» avrebbero «sminuito» il valore scientifico del De
rerum natura «privilegiando l’esame stilistico del poema» (p. 9). Cosa che a
me non risulta assolutamente. A parte ciò, il libro è un collage di ben noti
concetti-base dell’epicureismo esposti in modo manualistico – ma senza la
chiarezza dei manuali – e con imprecisioni ed errori anche gravi. Ecco co-
munque una sintetica scheda:
— cap. 1: Le scienze e le tecniche a Roma ai tempi di Lucrezio, pp. 13-53. Ha per og-
getto la penetrazione della scienza greca a Roma nel II e I sec. a.C. e oltre. La te-
si di fondo è che non è vero che i Romani ebbero scarso interesse per le scienze;
— cap. 2: L’epicureismo a Roma: una rivoluzione culturale, pp. 54-99. La tesi di fon-
do è che la scienza epicurea non è asservita all’etica ma è scienza in senso forte;
— cap. 3: La vita e l’opera di Lucrezio, pp. 100-132. Biografia di Lucrezio, ricavata
sia dall’escussione del De rerum natura sia da altre fonti; segue sintesi del De re-
rum natura;
— cap. 4: La scienza dei semi, pp. 133-165; + cap. 5: Vedere è sapere, pp. 166-187; +
cap. 6: Il nuovo ordine dell’universo, pp. 188-206; + cap. 7: Evoluzione e progres-
so, pp. 207-218. Contengono un’esposizione della dottrina atomistica epicurea e
lucreziana: atomi, vuoto, movimento degli atomi, clinamen, sensazioni, corpi ce-
lesti, progresso umano;
— cap. 8: Scienziati editori del De rerum natura, pp. 219-264. È una rassegna di scien-
ziati ed eruditi che hanno editato, commentato o tradotto Lucrezio: Ferrando,
Avantius, Lambinus, ecc.
Seguono una raccolta di testimonianze lucreziane, la bibliografia e l’indice dei
nomi.
11) potrebbe derivare (ma non vogliamo crederlo) da atomos idea interpretato a orecchio,
per assonanza con l’italiano.
27 I. RAMELLI, Epicurea, op. cit., p. 361.
28 Rispettivamente frr. 60 e 61 Usener.
29 B. però scrive «Elisabeth» (p. 283).
30 E Dorandi e Angeli vengono indicati con «idd.» invece che, semmai, con «iid.». Gli
stessi due studiosi e gli stessi due saggi (Il pensiero matematico di Demetrio Lacone e Gli epi-
curei e la geometria) sono indicizzati con «idd.» anche da F. VERDE, Epicuro. Epistola a Ero-
doto, Roma, Carocci 2010, p. 232. Altra analogia: Verde usa sistematicamente «id.» al posto
di «ead.».
31 Stessa cosa per Alessandro Volta, per Voltaire (RC, p. 303) e altri.
32 Cfr. RC, p. 11. E c’è anche un «Medicea Biblioteca Laurenziana» (p. 276), nonché
un «Biblioteca Nazionale Mediceo Laurenziana» (B2007, p. 53 n. 27), senza trattino: biblio-
teca inesistente, nata per conflazione di Biblioteca Nazionale Centrale e Biblioteca Medicea
Laurenziana. Segni di ostilità anche verso la Zentralbibliothek di Zurigo, storpiata in «Zen-
tralbiblioteck» (B2014, p. 208 n. 48).
33 Cfr. p. 196 n. 15 (posterioribu’ signis) e p. 212 n. 8 (montibu’ passim e variantibu’ for-
mis) vs p. 98 n. 78 (Stallius Gaius has sedes Hauranus tuetur, che è un esametro, casomai al
B. fosse sfuggito); p. 202 n. 22 (inmutabilis materiae); trattamenti entrambi leciti, ma che non
possono convivere.
34 Rispettivamente pp. 287 e 292 vs 288, ss.vv. «De Carolis», «Guidubaldi» e «Di Pas-
quale».
596 discussioni e postille
Chi valuta un libro non dovrebbe dare troppo peso ai meri errori di
forma; ma quando questi errori sono talmente frequenti da quasi aderire
l’uno all’altro e costituire una barriera, una muraglia, un impenetrabile per-
mafrost attraverso il quale l’occhio del lettore deve scavarsi un sentiero con
penosa fatica, allora non è più questione di sola forma, specie se, come nel
nostro caso, le parole più frequentemente colpite costituiscono elementi
sensibili del testo: termini tecnici, nomi propri, lessemi latini39, lessemi gre-
35 Dimenticate anche traduzioni celebri come quella di Polarity and Analogy di G.E.R.
Lloyd (p. 295), di Histoire de l’éducation dans l’antiquité di H.-I. Marrou (p. 296), di Scribes
and Scholars di Reynolds e Wilson (p. 299), ecc.
36 Epicuro. Opere, a c. di G. Arrighetti, Torino, Einaudi 1960, 19732.
37 In qualche caso si possono fare ipotesi sui motivi: a p. 305 «Cassio Gaio» precede
«Cassio Emina» perché in un primo tempo Gaio sarà stato Caio; a p. 306 «De Witt Nor-
man» precede «De Witt Hyde William» perché Hyde sarà stato aggiunto in un secondo mo-
mento. Curiosa la scelta di indicizzare «l’agricoltura antica» sotto l (mentre «la Villa dei Pa-
piri», più opportunamente, è collocata sotto v). L’indice dei nomi da una parte è incomple-
to, dall’altra sovrabbondante, poiché include anche alcuni autori presenti in bibliografia (e.g.
Gurd, a p. 307, citato a p. 110 n. 40)! Anche con i titoli dei libri il B. ne combina di ogni:
private di interpunzioni (rispettivamente dopo «atomis» e dopo «studi»), le diciture «Demo-
critus reviviscens, sive, De atomis addita vita et philosophia Democriti» (p. 296) e «Atti del
convegno nazionale di studi intellettuali e potere nel mondo antico» (p. 299) non hanno sen-
so. In «Renieri Vincenzo (1639), Tabulae Mediceae secundorum mobilium universales quibus
per unicum prosthaphereseon orbis canonem, typis novis» (p. 299) vengono tralasciate le ulti-
me parole: planetarum calculus exhibetur, necessarie alla sintassi.
38 R. NANNI, Lucrezio: «un ennesimo candidato per la ‘filosofia’ di Leonardo?, «Giorna-
le critico della filosofia italiana», XL, 2011, pp. 463-491; P.T. KEYSER, recensione a The al-
chemy of glass: counterfeit, imitation, and transmutation in ancient glassmaking, Sagamore
Beach, Science History Publications 2009, «Aestimatio», VII, 2010, pp. 232-249. Il Keyser
(storpiato in Keysert) è presente nella bibliografia della RC, ma ad altro proposito. Sorpren-
dentemente omessi nella sezione «edizioni moderne del De rerum natura» i sette Lucrezi teub-
neriani di Bernays (1852), Brieger (1894, 1899, 1909), Martin (1934, 1953, 1957). Altre sor-
prendenti assenze la raccolta di M. PALADINI, Lucrezio e l’epicureismo, Napoli, Liguori 2011
(indicato dal B. in bibliografia, ma non usato), e la già citata edizione carocciana dell’Episto-
la a Erodoto di F. Verde (un volume di cui non c’è traccia nella RC, se non quella che abbia-
mo individuato sopra alla n. 30).
39 Continuamente italianizzati: cfr. p. 30 de ora marittima; p. 236 de nupero esperimento
discussioni e postille 597
Ecco comunque una serie di casi in cui le sviste possono entrarci ben
poco:
«Lo stato incompleto in cui apparve il De rerum natura rende improba-
bile, anche se non impossibile, che Cicerone possa averne curato l’edizione»
(p. 110). Dunque un’opera si edita solo se completa? E se è incompleta che
deve fare l’editore, completarla lui?
Ci sarebbero nel De rerum natura delle posizioni «che non possono es-
sere ricondotte a Epicuro, a meno di non voler presupporre a priori – e dun-
que, in modo arbitrario – una dipendenza da opere perdute» (p. 176). Il che
vuol dire che il caso è stato così benevolo con noi da farci pervenire tutte le
opere epicuree utilizzate da Lucrezio, e da far perire le altre.
L’originalità e indipendenza di Lucrezio sarebbero dimostrate dal fatto
che è «pressoché l’unico, tra i seguaci di Epicuro, a servirsi in forma così si-
stematica di argomentazioni tratte dall’osservazione diretta o indiretta dei fe-
nomeni naturali» (p. 178). E come si fa a saperlo, se gli scritti degli altri «se-
guaci» sono andati perduti?
La rarità di citazioni dal De rerum natura negli Epicurea di Usener di-
mostrerebbe che quest’ultimo non credeva che Lucrezio riproducesse fedel-
mente dottrine epicuree (p. 128; e si veda la singolarissima n. 80). Ma le rac-
colte delle reliquie di autori perduti non possono tenere conto delle opere
intere, altrimenti le testimonianze su Socrate dovrebbero includere mezzo Pla-
ta misura coltivato, derivandola da Lucrezio, una teoria della mortalità dell’anima» (p. 475).
Secondo me il B. potrebbe aver letto «de l’animo» invece che «ne l’animo» per mera distra-
zione, e tradotto di conseguenza.
49 In latino l’epiteto giusto è Aphrodisiensis, ma questo è inglese (è il saggio che abbia-
mo siglato B2003), sicché dire Alexander Aphrodisias è come dire Cino Pistoia o Gesù
Nazareth.
50 Amafinio è il primo adepto e diffusore delle dottrine epicuree a Roma prima di Lu-
crezio. Nella RC, che è, lo ricordo, un libro sull’epicureismo romano, il B. scrive «Amafino»
sette volte su sette (e la serie prosegue in B2016, p. 23 n. 30). Eppure il B. poteva leggere
Amafinius nei testi da lui stesso citati. Il caso è confrontabile con B2009, p. 10, dove il B.
scrive «Amedeo Massa» invece di «Amadore Massa», nonostante il fatto che il nome corret-
to si potesse leggere nella tavola riprodotta dal B. stesso nella stessa pagina («typis Amatoris
Massae»), nonché nella nota 30 (l’errore è stato eliminato in RC, p. 231).
discussioni e postille 599
tone, quelle su Alessandro mezzo Arriano e tutto Curzio Rufo, e così via.
La scoperta nella Villa dei Papiri di alcuni malridotti lacerti forse appar-
tenenti al De rerum natura (sottolineo il forse)51 avvalorerebbe l’ipotesi che
«Lucrezio effettivamente [si fosse recato] sul litorale campano e [avesse fre-
quentato] la Villa dei Papiri» (p. 132). E perché mai? Gli autori importanti
viaggiano assai meno dei loro libri.
«Omero aveva celebrato le qualità dei medici egizi nel trarre rimedi far-
maceutici dai principî attivi delle piante» (p. 45). Il riferimento è ai vv. 229-
230 del quarto libro dell’Odissea. Ma Omero dice solo che «la fertile terra
egizia produce un gran numero di farmachi, molti buoni, molti cattivi». Il re-
sto è ricamo.
«Se si ammettesse la sfericità della terra, uomini e animali residenti al Po-
lo sud52 camminerebbero capovolti» (p. 194). Sì, ma solo se si prende come
riferimento il polo nord (dove però nessuno abita). Il B. avrà voluto dire «agli
antipodi».
L’episodio del soldataccio romano che accoppò Archimede mentre ri-
fletteva su un problema geometrico-matematico (Plutarco, Vita di Marcello
19.8-10) esprimerebbe la «scarsa sensibilità dei Romani nei confronti della
scienza» e «degli strumenti e dell’opera dello scienziato» (p. 17). Perché pro-
prio la scienza? Perché proprio lo scienziato? Che cosa prova che Archime-
de non avrebbe fatto la stessa fine anche se l’energumeno lo avesse sorpreso
a scarabocchiare epigrammi o note musicali?
Per Epicuro i principii costitutivi della materia sarebbero di «numero fi-
nito» e le forme atomiche «poco numerose» (pp. 146 e 148). Al contrario: i
principii costitutivi sono gli atomi e gli atomi sono infiniti; e le forme atomi-
che sono aperileptoi, «di numero inconcepibile» (Epistola a Erodoto 42)53.
Epicuro avrebbe un atteggiamento «critico» e «ostile» verso le macchi-
ne astronomiche in quanto legittimano (?) il finalismo cosmico e implicano
l’azione di un’intelligenza divina (pp. 60-66)54. Curiosa forma di luddismo,
più o meno come avversare l’inchiostro in odio alla lettura o i contachilome-
tri in sostegno dell’ecologia. Il problema qui è che il B. fraintende il fram-
mento 26.38 Arrighetti (e forse anche il passo di Cicerone, De natura deorum
2.97), dove Epicuro spiega agli astronomi che misurare i fenomeni senza ca-
pirne le cause è fatica sprecata.
«Un allievo di Epicuro, Timocrate, riferisce che le condizioni di salute
51 Mario Capasso, per tacere di altri, lo nega risolutamente: M. CAPASSO, Non è Lucre-
zio, in Actes du 26e Congrès International de Papyrologie, éd. par P. Schubert, Genève, Droz
2012, pp. 127-134.
52 Sull’equivoco residenti/risiedenti si veda oltre, nel testo.
53 Non solo, ma a p. 145, dove parla di «forme atomiche che si combinano tra loro a
causa del moto», il B. sembra non vedere differenza tra forme atomiche e atomi. Oppure «for-
ma atomica» traduce atomos idea? Vogliamo sperare di no, visto che il plurale di questo sin-
tagma non esiste né può esistere.
54 Epicuro era «ostile» a questi congegni, ma – a dire del B. – non del tutto, poiché
«potevano talvolta favorire la corretta comprensione delle percezioni umane» (p. 65). Mah.
Difficile seguire.
600 discussioni e postille
del maestro erano così pietose che per molti anni non poté alzarsi dalla sedia
gestatoria e che spendeva una mina al giorno per la mensa» (p. 76). Avrà ca-
pito il B. che la testimonianza di Timocrate non è elogiativa bensì astiosa, e
che la malattia di Epicuro è addotta come prova di debosciatezza e non di
eroica sopportazione (cfr. Diogene Laerzio 10.7)?55
«Lucrezio non condivideva di Empedocle quella vena misticheggiante
che [...] rivelava la finalità religiosa del poema della natura» (p. 187). Non
sarà che il B. ha confuso il Peri physeos con i Katharmoi?
Il Kepos di Epicuro56 divenne a Roma un oggetto di imitazione da par-
te di epicurei ricchi (pp. 93 sgg.). Giusto. Ma a che scopo coinvolgere nel te-
ma del kepos i vv. 29 sgg. del secondo libro del De rerum natura, dove Lucre-
zio dice di preferire l’erba lungo i corsi d’acqua ai palazzi sontuosi? Il giar-
dino è una cosa, il prato un’altra, il campo un’altra ancora.
Cicerone incolperebbe gli epicurei di non accettare la forma sferica del-
l’universo (p. 64). Non è vero. Per Cicerone gli epicurei sbagliano sì, ma per
altri motivi: primo perché mettono in dubbio la sfericità del nostro mondo,
secondo perché postulano altri innumerevoli mondi di tutte le possibili for-
me e quindi non necessariamente sferici. A quanto pare qui è stato fatto un
tutt’uno di mondo in senso antico e di universo in senso moderno.
«[Cicerone] afferma che fu merito dei Romani assegnare alla geometria
“la funzione utilitaristica della misura e del calcolo”» (p. 37). Il riferimento
è a Cicerone, Tusculane 1.5 in summo apud illos [sc. i Greci] honore geome-
tria fuit, itaque nihil mathematicis inlustrius; at nos [sc. noi Romani] metien-
di ratiocinandique utilitate huius artis terminavimus; ma, contrariamente a
quanto crede il B., Cicerone giudica sbagliato quest’uso esclusivamente pra-
tico che i Romani hanno fatto della geometria; e d’altronde la traduzione, ci-
tata a p. 22 senza che il B. si accorga della contraddizione, parla chiaro: «pres-
so i Greci era tenuta in grandissimo onore la geometria, e perciò nulla brillò
più delle scienze matematiche; noi invece abbiamo assegnato a quest’arte so-
lo [solo, si noti] la funzione utilitaristica della misura e del calcolo».
In Lucrezio 5.525 flammea per caelum pascentis corpora passim ci sareb-
be «una concessione alla visione stoica, secondo cui i corpi celesti devono es-
sere considerati come entità animate» (p. 193). Ma allora anche la «divina
mente» di Epicuro dovrebbe essere una concessione alla religio, anche il fuo-
co dell’amore una concessione a Eraclito, e via di questo passo. È fin troppo
evidente che pascentis non è che una metafora.
«Forse dietro l’entusiasmo con il quale Lucrezio si dilunga a spiegare le
cause atomiche dei fenomeni naturali si cela un profondo interesse scientifi-
co»; «la predilezione di Lucrezio per i fenomeni naturali non [è] casuale»;
«non si può fare a meno di notare la preponderanza della filosofia naturale
[in] Lucrezio» (pp. 10 e 178). Sono frasi che si leggono con sgomento57, poi-
ché invero è difficile che la natura possa non «preponderare» in un poema
intitolato De rerum natura. È come se uno dicesse che l’Aldilà «prepondera»
in Dante, che l’Eneide «si dilunga» su Enea, che l’Odissea «cela un profon-
do interesse» per Odisseo.
Di tanto in tanto il B. si lascia adescare da pittoreschi biografemi: Lu-
crezio avrebbe visto di persona le eruzioni dell’Etna58 perché le descrive in
modo realistico (p. 116); avrebbe familiarità col mare perché parla spesso di
acqua (p. 116); avrebbe scritto i vv. 4.575-579 ricordandosi di una «gita in
montagna» (p. 118); trarrebbe le similitudini brevi da fonti letterarie (p. 182)
e quelle lunghe – evidentemente – dall’esperienza personale. In compenso,
quasi nulla si dice nella RC sul famoso e variamente interpretato emendavit
di San Girolamo (pp. 110, 131), e nulla affatto sull’ancor più famoso multis
luminibus ingeni multae tamen artis della lettera a Quinto59.
Il B. impiega in accezioni improprie termini tecnici come emendazione
(p. 39)60, codicologia (p. 220), pubblicazione (p. 67), originale (p. 56), arche-
tipo (p. 131), filologo (pp. 54, 198, 249). A p. 138 n. 9 usa «edizione critica»
nel senso di «commento»61. Frasi misteriose, nel contenuto e nella lettera,
quelle di p. 70 n. 20 «anche Federigo Enriques, in una lettura parzialmente
avulsa da una precisa analisi filologica dei testi, propose un’edizione dei fram-
menti democritei»; di p. 258 «la scientificità che assunse il metodo filologico
ivi proposto» (dove «ivi» vuol dire nell’edizione lucreziana del Lachmann);
di p. 131 «affannosa e appassionata ricerca dell’archetipo del testo lucrezia-
no»62. A p. 220 si parla, spassosamente, di «ricostituzione del testo» (corsi-
vo mio)63.
L’obiezione che il B. ha affrontato il De rerum natura non da Altertum-
swissenschaftler bensì da storico della scienza avrebbe valore se le sue incur-
57 Cfr. anche B2012, p. 16 «su alcuni punti qualificanti della sua opera Seneca rivela-
va la propria dipendenza dagli Stoici».
58 Ma il B. usa «incendio» (B2016, p. 29 n. 3 = RC, p. 219 n. 2 «incendio dell’Etna»).
59 GIROLAMO, Chronicon 171.3; CICERONE, Ad Quintum fratrem 2.10. Meno di tre righe
vengono dedicate alla cronologia di Lucrezio nella ricostruzione di Canfora (L. CANFORA, Vi-
ta di Lucrezio, Palermo, Sellerio 1993). A p. 109 il B. scrive: «difficile è condividere l’opinio-
ne di Canfora, secondo cui Lucrezio avrebbe conosciuto Diogene di Enoanda». Più che dif-
ficile, direi impossibile, se non si avverte (cosa che B. non fa) che Canfora propone per Dio-
gene di Enoanda una cronologia diversa da quella vulgata!
60 Gli eruditi ellenistici «emenda[vano] attraverso i commentari».
61 «Le opere classiche venivano restaurate nella loro originaria freschezza filologica, ne
veniva cioè recuperato il lessico e la struttura formale» (B1998, p. 31): questo è secondo il
B. il lavoro che i dotti del Rinascimento facevano sui testi. Inquietante in RC, p. 67 la dici-
tura «la Vita di Epicuro pubblicata da Diogene Laerzio», scritto in corsivo come se fosse una
vita plutarchea, e «pubblicata», come se Diogene avesse fatto con la vita di Epicuro quello
che fa con le Epistole e con le Sentenze.
62 Forte è il sospetto che il B. confonda la questione dell’archetipo con la questione
della scrittura dell’archetipo e del prearchetipo.
63 Altre singolari prefissazioni a p. 235 «redistribuzione dei versi»; p. 233 «rievocava»
(scil. evocava); B2012, p. 6 «decorso predeterminato della vita umana».
602 discussioni e postille
sioni nella filologia lucreziana fossero rare e occasionali. Invece il libro è de-
dicato per gran parte a questioni di esegesi, di testo, di lezioni, di varianti, di
papiri, tutte cose per le quali i secoli e le esperienze hanno selezionato un les-
sico specifico e precise metodologie. E del resto non è che con il lessico filo-
sofico le cose vadano meglio: si pensi al mancato riconoscimento del valore
tecnico di «canone» nell’epicureismo (p. 69); oppure alle amene espressioni
sull’atomo come «fondamento microscopico», sull’atomo che «sprigiona la
sua essenza reale», che «si esplicita nel peso», che «volteggia»; o sui medici
egizi che sfruttano «i principî attivi delle piante» (p. 45), su Epicuro che rac-
comanda «una corretta alimentazione» (p. 77).
68 In questo caso l’inutile participio non solo è brutto, ma fuorvia, perché fa credere
che la realtà percepita non abbia struttura atomica; il che è falso. A p. 143 è l’avverbio a sor-
prendere: «per quanto apparentemente piccolo, il seme si trova alla base della formazione
delle piante e degli organismi».
69 Anche qui si va vicini all’errore: i semi non possono essere «semi delle cose» finché
le cose non vengono generate – da aggregazioni di semi, appunto.
70 Naturalmente ho escluso da questa casistica i passi in cui il pleonasmo fosse solo ap-
parente, in cui modificasse anche in misura minima il ragionamento.
71 Gli animali decidono. Sic.
72 Ma proprio priva di scalfitture questa autorevolezza non deve essere, se subito do-
po il B. le oppone «il quadro molto più sfumato e ricco di suggestioni» tracciato da Elisa Ro-
mano.
73 Gli animali considerano. Sic.
74 Altri «fissismi» alle pp. 203 e 213.
604 discussioni e postille
75 Altre quindici in B2016, p. 8, e otto in B2014, p. 193. In tutti e tre i casi il B., sia det-
to a suo merito, ci risparmia il topos dell’assunzione di responsabilità («gli errori sono solo
miei» ecc.).
discussioni e postille 605
dubbio regolarmente referate (si parla di editori come Olschki, come le Scien-
ce History Publications). Il gran numero di revisioni che questo libro e le sue
parti hanno avuto o avrebbero dovuto avere dimostra che non siamo di fron-
te a un’occasionale falla del sistema, ma alla limpida dimostrazione di come
l’apparato docimologico escogitato dall’Anvur non giudichi, non valuti, non
selezioni – se non eventualmente alla rovescia76.
La qualità della scrittura è uno degli aspetti più allarmanti della RC, an-
che in considerazione delle denunce che insegnanti e intellettuali hanno lan-
ciato negli ultimi tempi sullo stato della lingua italiana, male parlata e male
scritta non solo da studenti liceali, ma anche da studenti universitari e dot-
torandi. L’esempio dovrebbe venire dall’alto: un professore universitario, una
figura di prestigio, non dovrebbe esprimersi in un italiano che sia meno che
impeccabile. E su questo punto i referee non hanno scusanti, poiché per ve-
gliare sull’ortografia di «un pò» e sulla semantica di «redimere» non serve es-
sere latinisti e grecisti, filologi o tommasei, cruscanti o grammar nazi. Basta
leggere.
79 Esclusa la premessa.
80 Il B. fa presente in B2008b, p. 246 n. 1 che «a different version of this paper» ave-
va già visto la luce: si tratta di B2007; e da B2007, p. 53 n. 15 si apprende che degli stessi ar-
gomenti si era occupato anche in B2003 e in B2008[b] (ma «stessi argomenti» non fotogra-
fa precisamente la realtà).
81 In buona parte le modifiche sono di questo tipo: da «la costituzione ed accrescimen-
to» (B2007, p. 139) a «la costituzione e l’accrescimento» (RC, p. 163); da «è da segnalare»
(B2007, p. 40) a «è il caso di segnalare» (RC, p. 164); da «E. Romano» (B2007, p. 40) a «Eli-
sa Romano» (RC, p. 164); da «Lucrezio comunque» (B2010[b], p. 31) a «comunque Lucre-
zio» (RC, p. 209); da «nel proemio richiama» (B2010[b], p. 31) a «richiama nel proemio»
(RC, p. 209), ecc.
82 Poche e superficiali, in quanto intervengono solo su ciò che risalta ictu oculi. Si ve-
da (è un esempio fra tanti) la citazione in latino da Gassendi in B2009[b], p. 7 n. 27, che
contiene almeno tre errori: carissimo per clarissimo, Lucreziana per Lucretiana e lucere per
ducere. In RC, p. 228 n. 22 il primo e il terzo restano, solo il secondo è sparito, l’unico che
non richiedeva la comprensione del testo. Altro caso (fra i tanti possibili): in B2014, p. 217
n. 64 si legge di un’edizione di Lucrezio uscita «ex officina Jabobi Tonson», che sta ovvia-
mente per «Jacobi», come si legge poco più avanti a p. 221 n. 68. L’errore si ripresenta altre
due volte in RC, p. 277. È lo stesso errore che viaggia da un B[eretta] all’altro per colpa del
copia/incolla. Il correttore di B2014 ha corretto un caso su due; nel 2015 nessuno si è accor-
to di nulla.
83 Che fanno sette se consideriamo B1998 e B2003 (surclassato anche Crisippo, famo-
so per il fatto di «trattare delle stesse cose non dico due o tre volte, ma anche quattro e ta-
lora cinque»: GALENO, Sulle dottrine di Ippocrate e Platone 2.2.8 De Lacy = SVF II 883). Lo
zoccolo duro della RC è in circolo dal 1998.
84 Caso curioso quello di minima partes di B2008[c], p. 223, replicato in RC, p. 262,
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che diventa minimae partae in B2008[b], p. 244: qualcuno voleva aggiustare, ma l’interven-
to è stato fatto sia sulla parola sbagliata sia su quella corretta.
85 A chi pratica la ricerca scientifica càpita spesso di constatare come articoli sparsi si
organizzino quasi da sé in un libro; o come da un libro emerga un’idea importante a cui va
data evidenza e autonomia; o che un saggio rivolto a un determinato pubblico si riveli effi-
cace, se opportunamente adattato, anche per un pubblico diverso. In questi casi ristampare
o rieditare non è cosa scorretta, anzi utile se non doverosa. La parte finale del presente arti-
colo è essa stessa una versione rielaborata di interventi già apparsi in altre sedi e per lettori
di altro tipo (W. LAPINI, Valutare senza leggere, «Il Secolo XIX», 26.07.2017, pp. 1 e 8; Se al-
l’università il merito si valuta anche con l’autocopiatura, «Il Secolo XIX», 17.10.2017, pp. 1
e 2). Ma ristampe e riedizioni non sono cose di cui si possa abusare o su cui si possano for-
nire indicazioni reticenti.
86 Se si vuole una definizione rigorosa, eccola: «l’impact factor [è l’indice che] si ottie-
ne calcolando il numero di citazioni che gli articoli pubblicati in uno specifico periodo han-
no ricevuto nei due anni precedenti (o anche solo nell’anno precedente) e dividendo la cifra
per il totale degli articoli pubblicati nello stesso periodico nei due anni presi in considera-
zione» (R. MORRIELLO, L’indice di Hirsch (h-index) e altri indici citazionali dopo l’impact fac-
tor, «Biblioteche oggi», gennaio-febbraio 2007, pp. 23-32: 23).
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WALTER LAPINI
ISSN 0017-0089
GIORNALE CRITICO
GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA - Anno XCVI (XCVIII) - Fascicolo III
DELLA
FILOSOFIA ITALIANA
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GIOVANNI GENTILE
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