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FASCICOLO III SETTEMBRE-DICEMBRE 2017

ISSN 0017-0089
GIORNALE CRITICO

GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA - Anno XCVI (XCVIII) - Fascicolo III
DELLA

FILOSOFIA ITALIANA
FONDATO

DA

GIOVANNI GENTILE

SETTIMA SERIE VOLUME XIII


ANNO XCVI (XCVIII), FASC. III

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Dominic O’Meara, Gianni Paganini, Renzo Ragghianti, Gennaro Sasso,
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Redattore
Alessandro Savorelli

Redazione
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Diego Pirillo, Cesare Preti, Oreste Trabucco, Stefano Zappoli

I lavori pubblicati nel «Giornale Critico della Filosofia Italiana»


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GIORNALE CRITICO
DELLA

FILOSOFIA ITALIANA
FONDATO

DA

GIOVANNI GENTILE

SETTIMA SERIE VOLUME XIII


ANNO XCVI (XCVIII), FASC. III

CASA EDITRICE LE LETTERE

FIRENZE
SOMMARIO DEL FASCICOLO

ANDREA ORSUCCI, Leggere un’opera filosofica: critica testuale e strategie inter-


pretative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411
Un inedito di Antonio Labriola su Rousseau (1899), a cura di Alessandro
Savorelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453

Studi e ricerche:
RICCARDO FEDRIGA - ROBERTO LIMONTA, Debolezza di volontà e libertà del volere
in Tommaso d’Aquino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 468
MARTA STEFANI, Alla scuola di Redi: Pietro Paolo da Sangallo . . . . . . . . . . . . . . 487
ANTONIO GURRADO, Voltaire lettore di Paolo Sarpi: la riscrittura del Concilio di
Trento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498
GIULIANO GASPARRI, La filosofia eclettica nelle Scuole Pie: Liberato Fassoni (1721-
1775) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 532
FERNANDA GALLO, La sfida alla ‘supremazia protestante’. Le origini della moder-
nità e l’hegelismo napoletano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 551
PIERPAOLO CICCARELLI, I greci di Heidegger «iuxta propria principia». Omaggio a
Franco Volpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 566

Discussioni e postille:
WALTER LAPINI, Lucrezio ai tempi dell’Anvur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 589
Postilla galileiana, di MAURIZIO TORRINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 609
ANDREA BELLOCCI, Il problema della ‘non’ relazione ne «Il principio, le cose» di
Gennaro Sasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 611

Note e notizie:
Retorica, argomentazione, democrazia. Per una filosofia politica del linguaggio
(Danilo Di Lanzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627
L’hegelismo del giovane Antonio Labriola (Faustino Fabbianelli) . . . . . . . . . . . 629
Spinoza in Italia tra Risorgimento e Unità. Liberare la modernità (Alessandro
Savorelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633
LUCREZIO AI TEMPI DELL’ANVUR

Qualche mese fa ho recensito per la «Bryn Mawr Classical Review»1 il


saggio La rivoluzione culturale di Lucrezio pubblicato nel 2015 da Marco Be-
retta (d’ora in poi B.)2. La recensione è piuttosto severa e alcuni lettori ano-
nimi mi hanno redarguito per questo, imputandomi di non avere fatto nulla
per evidenziare i pregi dell’opera e di essermi invece dedicato solo alla cac-
cia agli errori, «elenca[ndoli] tutti senza tacerne nessuno»3. Identico è il rim-
provero che credo mi muova lo stesso B. quando attraverso le parole del ca-
valier Giuseppe Manno (1828) descrive il critico prevenuto come uno che giu-
dica e manda «legge[ndo] a caso quello squarcio che nell’aprire del volume
gli si presenta innanzi»4. Per la verità non mi aspettavo di essere sgridato, ben-
sì semmai ringraziato; ma su questo punto mi limiterò a rimandare a un pas-
so aristofaneo delle Tesmoforiazuse, nel quale il lettore troverà esposti i mo-
tivi della mia sorpresa molto meglio di quanto potrei esporli io stesso (vv. 473-
475).
La mia lettura della Rivoluzione culturale (d’ora in poi RC) non è stata
né distratta né rapsodica; ma poiché potrei non aver precisato alcuni aspet-
ti, o evidenziato alcuni dettagli, o intuito alcuni sottintesi, ho deciso di tor-

1 W. LAPINI, «Bryn Mawr Classical Review» 2017.08.12 (http://bmcr.brynmawr.


edu/2017/2017-08-12.html).
2 Roma, Carocci 2015. Il titolo «rivoluzione culturale» mi pare poco appropriato, an-
che perché non c’è pertinenza allusiva con le realtà storico-politiche che il sintagma inevita-
bilmente evoca. La scelta di B. si spiega forse alla luce di quanto detto a p. 99: Roma e la
Campania nel I secolo a.C. «furono profondamente influenzate dal verbo di Epicuro e dal
suo rivoluzionario programma di cambiamento radicale della mentalità e della cultura del
tuo tempo. A dare voce a questo programma in versi latini fu Lucrezio»; se è da qui che il
titolo nasce, pare evidente che il B. ha fatto confusione fra il contenuto rivoluzionario del
messaggio e la sua diffusione ‘rivoluzionaria’, cioè ampia, popolare, potenzialmente senza li-
miti (una diffusione che però l’epicureismo romano non ebbe). – Il libro contiene numero-
se illustrazioni, molto belle anche se raramente pertinenti.
3 Cfr. http://www.bmcreview.org/2017/08/20170812.html (Anonimo del 19 agosto e
Anonimo [3] del 20 agosto 2017).
4 Cfr. https://www.facebook.com/marco.beretta.14/posts/1955034574523268. La cita-
zione è tratta dalla p. 60 nella seconda edizione del 1830: G. MANNO, De’ vizj de’ letterati,
Torino, Silvestri 18302 (la prima è del 1828).
590 discussioni e postille

nare su questo libro in maniera più approfondita; del resto è un libro che me-
rita attenzione anche al di là dei suoi contenuti specifici, in quanto, come di-
remo, compendia esemplarmente tutti i principali trend di certa produzione
accademica presente e probabilmente futura. E, appunto per afferrare tutta
la portata del caso, occorrerà allargare il compasso anche ad altri studi lucre-
ziani che il B. ha pubblicato in questi anni e che sono in vario modo connes-
si con la RC. Avviso il lettore che sarò costretto ad annoiarlo con lunghi re-
gesti; ne farei a meno, ma ai fini del nostro ragionamento i dettagli sono ne-
cessari.
Qui di seguito le abbreviazioni dei lavori che menzioneremo più spesso:

— B1998 = M. Beretta, Lucrezio, classico della scienza?, in Storia e filosofia della scien-
za. Un possibile scenario italiano, a c. di E. Bellone – G. Boniolo, Milano, Fotoli-
to Sebi 1998, pp. 27-36.
— B2003 = M. Beretta, The revival of Lucretian atomism and contagious diseases dur-
ing the Renaissance, «Medicina nei secoli. Arte e scienza», XV, 2003, pp. 129-154.
— B2007 = M. Beretta, Lucrezio e la chimica, «Automata. Journal of nature, science
and technology in the ancient world», II, 2007, pp. 39-56.
— B2008[a] = M. Beretta, Enlightenment in antiquity?, in Aurora Torealis, ed. by M.
Beretta-K. Grandin-S. Lindqvist, Sagamore Beach, Science History Publications
2008, pp. 1-12.
— B2008[b] = M. Beretta, Did Lucretius’ atomism play any role in the early modern
chemistry?, in Neighbours and territories, ed. by J. Bertomeu-Sánchez-D. Rizzolins-
B. van Tiggelen, Louvain, Memosciences 2008, pp. 237-248.
— B2008[c] = M. Beretta, Gli scienziati e l’edizione del De rerum natura, in Lucre-
zio: la natura e la scienza, a c. di M. Beretta – F. Citti, Firenze, Olschki 2008, pp.
177-224.
— B2009 = M. Beretta, Lucretius as hidden auctoritas of the Cimento, in The Acca-
demia del Cimento in the European context, ed. by M. Beretta-A. Clericuzio-L.
Principe, Sagamore Beach, Science History Publications 2009, pp. 1-16.
— B2010[a] = M. Beretta, Leonardo and Lucretius, «Rinascimento», XLIX, 2010, pp.
341-372.
— B2010[b] = M. Beretta, Lucrezio e l’evoluzione, in Memoria scientiae. La scienza
dei Romani e il latino degli scienziati, a c. di P. Li Causi, «Quaderni di ricerca in
didattica (Mathematics)», XX, Suppl. 2, Palermo, Department of Mathematics
(University of Palermo) 2010, pp. 29-35.
— B2012 = M. Beretta, Il concetto di legge naturale in Lucrezio e Seneca, in Seneca e
le scienze naturali, a c. di M. Beretta – F. Citti – L. Pasetti, Firenze, Olschki 2012,
pp. 1-18.
— B2014 = M. Beretta, Immaginare Lucrezio: note storiche sull’iconografia lucrezia-
na, in Il culto di Epicuro, a c. di M. Beretta-F. Citti-A. Iannucci, Firenze, Olschki
2014, pp. 193-225.
— B2016 = Lucrezio. De rerum natura. Editio princeps (1472-73), a c. di M. Beretta,
Bologna, Bononia University Press 20165.

5 Il libro (datato 2016, ma citato già come esistente in RC, pp. 222 n. 12 e 278, con da-
ta 2015) è detto contenere una «ristampa» dell’editio princeps di Lucrezio (B2016, p. 8).
discussioni e postille 591

Le tesi più significative della RC sono queste: (1) Lucrezio non è solo un
grande poeta, ma anche uno scienziato; (2) Lucrezio non ripete supinamen-
te i dogmi di Epicuro, ma innova e rielabora. La seconda tesi è più enuncia-
ta che dimostrata (nessuna traccia di un confronto puntuale text-to-text fra il
De rerum natura e le reliquie epicuree), mentre la prima è costruita su un ber-
saglio immaginario. Il B. avrebbe fatto meglio a produrre nomi e fatti, anzi-
ché lamentare vagamente e in astratto, e anche in questo caso senza dimo-
strazione, che i «filologi» avrebbero «sminuito» il valore scientifico del De
rerum natura «privilegiando l’esame stilistico del poema» (p. 9). Cosa che a
me non risulta assolutamente. A parte ciò, il libro è un collage di ben noti
concetti-base dell’epicureismo esposti in modo manualistico – ma senza la
chiarezza dei manuali – e con imprecisioni ed errori anche gravi. Ecco co-
munque una sintetica scheda:

— cap. 1: Le scienze e le tecniche a Roma ai tempi di Lucrezio, pp. 13-53. Ha per og-
getto la penetrazione della scienza greca a Roma nel II e I sec. a.C. e oltre. La te-
si di fondo è che non è vero che i Romani ebbero scarso interesse per le scienze;
— cap. 2: L’epicureismo a Roma: una rivoluzione culturale, pp. 54-99. La tesi di fon-
do è che la scienza epicurea non è asservita all’etica ma è scienza in senso forte;
— cap. 3: La vita e l’opera di Lucrezio, pp. 100-132. Biografia di Lucrezio, ricavata
sia dall’escussione del De rerum natura sia da altre fonti; segue sintesi del De re-
rum natura;
— cap. 4: La scienza dei semi, pp. 133-165; + cap. 5: Vedere è sapere, pp. 166-187; +
cap. 6: Il nuovo ordine dell’universo, pp. 188-206; + cap. 7: Evoluzione e progres-
so, pp. 207-218. Contengono un’esposizione della dottrina atomistica epicurea e
lucreziana: atomi, vuoto, movimento degli atomi, clinamen, sensazioni, corpi ce-
lesti, progresso umano;
— cap. 8: Scienziati editori del De rerum natura, pp. 219-264. È una rassegna di scien-
ziati ed eruditi che hanno editato, commentato o tradotto Lucrezio: Ferrando,
Avantius, Lambinus, ecc.
Seguono una raccolta di testimonianze lucreziane, la bibliografia e l’indice dei
nomi.

A p. 11 il B. dichiara che il cap. 7 è una «rielaborazione» di B2008[a],


scritto in inglese. Una rielaborazione in peggio però: da «fecundity» (p. 2) si
è passati a «fecondità idilliaca» (RC, p. 208); da «terrors» (p. 2) a «paure e
terrori» (RC, p. 208); da «fear» (p. 8) a «timore e paura» (RC, p. 216); da
«transformation of time» (p. 4) a «sedimentazione del passaggio del tempo
che si trasforma» (RC, p. 211).
Sempre stando a quanto il B. dice a p. 11, il cap. 8 è una versione «rive-
duta e corretta» di 2008[c]. In realtà la versione corretta semmai è la secon-
da, dato che la prima contiene sia gli errori dell’altra sia errori in più, e.g.
«Lambyn» vs «Lambin», «Griopii» vs «Gropius», «analisys» vs «analysis» e
così via. Evidentemente la Drückvorlage del 2008 fu corretta qua e là prima
di andare in stampa, mentre quella del 2015 fu consegnata nello stesso stato
in cui si trovava sette anni prima. E non si tratta, come vedremo, di un caso
isolato.
592 discussioni e postille

Il B. fornisce i testi greci solo in traduzione, quelli latini sia in traduzio-


ne sia in originale, la prima a tutta pagina, il secondo in nota. Ma spesso (23
casi se ho contato bene) il testo tradotto è più lungo o più corto, anche di pa-
recchio, del testo in lingua6: cfr. p. 164 e n. 2 (differenza di due righi); pp.
93-94 e n. 64 (di tre)7; p. 113 e n. 44 (di tre e qualcosa); p. 89 e n. 54 (di quat-
tro), ecc. A volte il B. traduce (o meglio estrae da altre traduzioni) testi di-
versi da quelli dichiarati: si veda p. 78 e n. 36 = Seneca, Epistole 66.468, op-
pure p. 146 e n. 15 = Lucrezio 1.812-819 (non 812-816), dove i vv. 817-819
vengono soppiantati da un duplicato di 814-816 (n. 15)9; o infine p. 37 e n.
46, dal primo libro del De officiis: «secondo Cicerone anche “la conoscenza
dell’universo” poteva diventare manchevole se non era seguita da alcuna
“azione pratica”», dove il B. crede che le parti virgolettate traducano il capi-
tolo 151, mentre invece traducono il 153, di argomento diversissimo: etenim
cognitio contemplatioque naturae manca quodam modo atque inchoata sit, si
nulla actio rerum consequatur10.
Grave il disordine nei riferimenti ai loci e alle edizioni, di cui il B. non
sempre comprende l’oikonomia, e che non sempre, si direbbe, utilizza di pri-
ma mano11. Per esempio a p. 215 un frammento di Democrito è indicato con
una segnatura inesistente: «fr. III, 654 DK» (B2010[b], p. 33 «teoria di De-
mocrito», e n. 17 «Democrito, frammento Diels-Kranz III, 654 (trad. It. in
Democrito 2007, p. 268)» = RC, p. 215). Da dove viene questa segnatura?
La risposta è nella precedente versione inglese del 2008: «Hermann Diels,
Die Fragmente der Vorsokratiker. Herausgegeben von Wilhelm Krantz

6 Naturalmente ho escluso i passi in cui la traduzione italiana è la parte conclusiva di


una parafrasi e in cui la citazione latina comprende anche quella parafrasi (e.g. p. 91 e n. 59,
da Sallustio, De Catilinae coniuratione 51.20).
7 Anche l’ultimo rigo non è tradotto. Il passo è di Agostino (Contra Academicos 3.16),
a cui il B. attribuisce un giudizio di Zenone di Cizio.
8 La traduzione del B., o meglio della Ramelli («è perfetta la condizione di un uomo
che abbia cura del corpo e dell’anima, e che tragga il proprio bene da entrambi congiunta-
mente», cfr. Epicurea. Testi di Epicuro e testimonianze epicuree nella raccolta di Hermann Use-
ner, traduzione e note di I. Ramelli, presentazione di G. Reale, Milano, Bompiani 2002 [rist.
2007]) non corrisponde ad absolutum enim illud humanae naturae bonum corporis et animi
pace contentum est, come lo studioso crede, bensì a sic hominis corpus animumque curantis
et bonum suum ex utroque nectentis perfectus est status, che fa parte dello stesso brano, ma
si trova qualche rigo più in su.
9 La cosa potrebbe essere andata così: (1) il B. riporta in un primo tempo solo 812-813;
(2) decide di aggiungere 814-816; (3) allunga ancora la citazione con 817-819, ma dimenti-
ca di selezionare «copia», e così, quando arriva a incollare, sono i versi rimasti in memoria
(i.e. 814-816) che vengono incollati di nuovo.
10 A p. 19 e n. 11 sia il brano latino che la relativa traduzione vengono trattati come di
senso compiuto, mentre in realtà dopo cum sol e regione il testo del De republica si interrom-
pe. Ma il B. non se ne accorge.
11 In B2008[a], p. 6 si legge: «Theophrastus, for instance, in the opening to Book IV
of De causis plantarum admitted...» ecc.; questa frase ricompare, rielaborata e tradotta, in RC,
p. 213: «Teofrasto aveva ammesso che i cereali potessero cambiare di specie, a causa della
coltivazione o di altre circostanze (Thphr. caus. plant., inizio libro IV), mentre nella Historia
plantarum», ecc.; il secondo passo richiede, anzi direi esige la localizzazione numerica, ma
probabilmente non si è avuta voglia di controllare.
discussioni e postille 593

[sic]12, Eighteenth Edition (Zürich, Weidmann, 1989), vol. 3, p. 654» (B2008[a],


p. 11 n. 9), da cui si dedurrebbe che «III» è il volume e «654» il frammento.
Invece i due numeri provengono dalla sciagurata didascalia «DK Nachtr. III 654.
Galen. De medica exper. (Arabica interpretatio)» interpolata dal curatore del Lu-
ria Bompiani13 al fr. 588 – «588» non del Democrito di Diels-Kranz ma, appun-
to, di quello di Luria (p. 696)14. Tre errori uno dentro l’altro a bambola russa.
Per i testi antichi il B. si serve delle traduzioni altrui15 anche dove sono
sbagliate: p. 13 potestates magistratuum «il potere della magistratura»; p. 70
e n. 21 pleraque «press’a poco»; p. 214 se foliis ac frondibus involventes «av-
volgendosi intorno di foglie e di rami»16; p. 268 mediocris Pacuvius «il me-
diocre Pacuvio»; p. 269 solidi hominis materia «la materia dell’uomo solido»;
p. 86 Epicuri divisio «la divisione di Epicuro»17; p. 115 e n. 51 montes opple-
ti «monti ripieni»; p. 86 qua non abundaret «di cui non avesse notizia»18 (Ci-
cerone, De finibus 2.63). In Plinio, Naturalis historia 36.200-201 la funzione
di quando ipse carbo non viene capita (p. 34)19. A p. 195 il B. riconduce la
terza delle tre ipotesi lucreziane sull’attività solare (5.592 sgg.) al calore che

12 Si chiamava Walther Kranz.


13 Democrito. Raccolta dei frammenti. Interpretazione e commentario di Salomon Luria,
traduzione e revisione dei testi greci di D. Fusaro, bibliografia e indici di G. Girgenti, intro-
duzione di G. Reale, Milano, Bompiani 2007.
14 Non è un caso isolato, anzi tutte le citazioni da autori presocratici, per un motivo o
per un altro, sono imprecise, incomplete, incoerenti: p. 170 «DK 7.5, fr. 294»; p. 187 «DK
23»; ibid. «DK 54, fr. 28»; ibid. «DK 100, fr. 90»; p. 287 n. 33 «DK 55, fr. 105»; ibid. «DK
56, fr. 106»; «DK 100, fr. 90». I sistemi utilizzati, come si vede, sono almeno tre; in cinque
casi su sette la numerazione Diels-Kranz è seguita da una seconda numerazione non dichia-
rata (è quella di The Presocratic philosophers. A critical history with a selection of texts, by
G.S. Kirk-J.E. Raven-M. Schofield, Cambridge, University Press 19832). E infatti la nume-
razione dei frammenti citati come DK non ha nulla a che vedere con il Diels-Kranz: si pen-
si solo all’inesistente fr. 294 DK di Parmenide (p. 170), che è in realtà il 7 DK.
15 Naturalmente il B. non ne fa mistero, però ce ne informa solo alle pp. 276 n. 1 e 278,
e in modo un po’ defilato. Il posto giusto per dirlo sarebbe stata l’introduzione. L’elenco del-
le traduzioni è inoltre vistosamente incompleto: mancano ad esempio quelle del De fato, del
De finibus, della Pro Sestio; di Giovenale, di Macrobio, etc.
16 Il passo è Lucrezio 5.971 e riguarda il modo di dormire degli uomini primitivi. L’er-
rore fronde/rami è già in Fellin (Tito Lucrezio Caro. La natura, a c. di A. Fellin, Torino, Utet
19762), e il B. ci era cascato già in B2010[b], p. 33 (non però in B2008[a], p. 6 «leaves and
foliage»).
17 Ovviamente qui la divisio è il limite, il confine (CICERONE, De finibus 2.64).
18 Forse «dovizia»?
19 Ecco testo e traduzione: alia saepius uri prodest, eademque materia aliud gignit pri-
mis ignibus, aliud secundis, aliud tertiis, quando ipse carbo vires habere incipit restinctus atque
interisse creditus maioris fit virtutis, «alcuni materiali è opportuno farli bruciare più volte, e
lo stesso materiale fornisce un prodotto alla prima combustione, un altro alla seconda, un
altro alla terza, e quando è ridotto a carbone, proprio allora comincia, ormai spento, ad ave-
re più forza, e quando lo si crede perito, diventa di maggiore efficacia» (R. MUGELLESI in Pli-
nio. Storia naturale, V. Mineralogia e storia dell’arte, traduzione e note di A. Corso-R. Mu-
gellesi-G. Rosati, Torino, Einaudi 1988, p. 736); con il che il carbone viene ad essere la so-
stanza in cui la eadem materia si trasforma, e non, come invece deve, un’illustrazione con-
creta del principio generale. Senso: «non c’è da stupirsi che esistano materiali che diventa-
no utili solo grazie alla combustione. Il carbone ne è un esempio», ecc.; al posto di quando
avremmo potuto trovare nam, o quin, immo ecc.
594 discussioni e postille

il sole20 «contiene al suo interno»; ma Lucrezio dice circum se, «intorno a


sé»21, dunque all’esterno, fuori; che è l’opposto. A p. 56 e n. 3 viene citato
Cicerone, De finibus 1.21.71 (= Epicuro fr. 227 Usener): Usener espunge la
pericope ut ego et Triarius te hortatore facimus, e Ilaria Ramelli, che traduce
da Usener, giustamente la omette22; il B. prende la traduzione dalla Ramelli,
ma la applica a un testo diverso, con il risultato che la pericope resta nel la-
tino ma sparisce dall’italiano.
Fraintendimento profondo a p. 117, dove Lucrezio spiega con tre esem-
pi come possano corpi esigui mettere in movimento corpi grandi: (1) primo
esempio, il vento: il vento, per quanto subtili corpore tenvis, sposta enormi ba-
stimenti; (2) secondo esempio, il timone: una sola mano basta a guidare il ti-
mone, e un solo timone basta a governare una nave; (3) terzo esempio, la mac-
china da sollevamento: grazie a un sistema di carrucole, una machina permet-
te di alzare grandi pesi con poco sforzo. Scrivendo «Lucrezio era tanto esper-
to di cose marinare che, sul finire del IV libro, illustra nei particolari il moto
di una nave di grande stazza, spiegando come “il timone, per mezzo di puleg-
ge e di ruote, una macchina smuove e solleva con lieve sforzo molti carichi di
peso enorme” (Lucrezio, 4.905-906)»23, il B. mescola il secondo e il terzo
esempio, immaginando una macchina da sollevamento che agisce sul timone
oppure un timone che agisce sulla macchina (dall’italiano non si capisce).
La lettura degli antichi in traduzione provoca vistosi infortuni: «[Anas-
sagora] ricorre all’intelletto come a una macchina teatrale per spiegare la co-
struzione del mondo e di fronte alla difficoltà di spiegare per quale ragione
esso esista di necessità, allora lo chiama in causa, ma negli altri casi in tutto
piuttosto che nell’intelletto coglie la causa di quello che accade (Arist. Metaph.
I, 4, 5 [985a18-21])»24 (RC, p. 190). Ma in questo giudizio di Aristotele su
Anassagora (A 47 DK), diversamente da ciò che crede il B., non c’è nessun to-
pos della machina mundi, nessuna «metafora meccanicistica», nessun «concet-
to di macchina con riferimento all’universo»: ciò che Aristotele dice qui è che
Anassagora usa il Nous come deus ex machina25, scorciatoia, soluzione di co-
modo26.

20 Che il B. chiama «pianeta» (RC, p. 195).


21 A. FELLIN, Lucrezio, op. cit., p. 369.
22 I. RAMELLI, Epicurea, op. cit., pp. 385-387.
23 La traduzione è come sempre di A. FELLIN, Lucrezio, op. cit, p. 311. Per inciso: i vv.
905-906 non stanno affatto «sul finire del IV libro», visto che alla fine ne mancano ancora
381.
24 Inconsueto l’uso del numero romano per il libro A (Alpha grande) della Metafisica.
25 Su ciò le traduzioni e i commenti in circolazione sono espliciti e unanimi: «comme
un deus ex machina» (Aristote. La Métaphysique, t. I, nouvelle édition entièrement refondue,
avec commentaire par J. TRICOT, Paris, Vrin 1953, 19702, p. 38); «una sorta di meccanismo
(un deus ex machina)» (Aristotele. Metafisica, libri A, a(lpha), B, introduzione, traduzione e
commento di M.L. CARDULLO, Roma, Carocci 2013, p. 191). Meno chiara è semmai la tradu-
zione di Berti: «si serve dell’Intelletto come di un artificio» (Aristotele. Metafisica, traduzio-
ne, introduzione e note di E. BERTI, Roma-Bari, Laterza 2017, p. 20), che peraltro non ha no-
te di commento ad loc.
26 Anche la stupefacente formulazione «l’atomo-idea di Democrito» (B2007, p. 53 n.
discussioni e postille 595

Anche per i testi greci il B. usa traduzioni altrui e logicamente ne eredi-


ta i guasti: Marco Aurelio riferisce (9.41 = Epicuro fr. 191 Usener) che Epi-
curo non si preoccupava della sua malattia e perciò non dava ai medici nes-
suna occasione di kataphryattesthai (p. 77), verbo che significa «vantarsi, com-
piacersi (di un successo professionale in questo caso)», e non certo «essere
insolenti» come scrive il Nostro seguendo la Ramelli27. A p. 78 viene letto fret-
tolosamente un passo plutarcheo del III libro delle Quaestiones convivales: la
doxa che il medico Zopiro discute non è quella di 5.1, ma quella di 6.228.
L’abbreviazione «Id.» viene fatta valere sia per il maschile sia per il fem-
minile (Elizabeth29 Asmis, Alison Brown, Yasmin Haskell), sia per gli auto-
ri moderni sia per gli antichi (Gellio, Lucrezio, Polibio, Strabone)30. Molti
libri preottocenteschi vengono citati dal B. secondo i criteri di oggi, con esi-
ti a dir poco sconcertanti: si veda per esempio «Newton Isaac (1959-77), The
Correspondence, Cambridge University Press, Cambridge, 7 voll.», da cui do-
vremmo a rigore dedurre, vista la mancata menzione di un curatore, che
Newton editò lui stesso i sette volumi della propria corrispondenza, e non
ai tempi suoi, ma in pieno ventesimo secolo31. Oppure: «Sammonico: Liber
medicinalis (id. [1996], La medicina in Roma antica..., ecc.)», da cui risulte-
rebbe che Sereno Sammonico (II-III secolo d.C.) pubblicò sia un Liber me-
dicinalis in latino sia (con l’editore Utet) un trattato sulla medicina romana
in italiano.
«Biblioteca Medicea Laurenziana» si alterna con «Biblioteca Mediceo-
Laurenziana» (sic)32. Il fenomeno della -s caduca nella poesia pre-virgiliana
talvolta è evidenziato e talvolta no33; il libro curato da Di Pasquale e Paoluc-
ci nel 2007 risulta uscito ora a Firenze ora a Livorno34; le traduzioni italiane
di libri stranieri, così come le riedizioni e le ristampe, vengono segnalate

11) potrebbe derivare (ma non vogliamo crederlo) da atomos idea interpretato a orecchio,
per assonanza con l’italiano.
27 I. RAMELLI, Epicurea, op. cit., p. 361.
28 Rispettivamente frr. 60 e 61 Usener.
29 B. però scrive «Elisabeth» (p. 283).
30 E Dorandi e Angeli vengono indicati con «idd.» invece che, semmai, con «iid.». Gli
stessi due studiosi e gli stessi due saggi (Il pensiero matematico di Demetrio Lacone e Gli epi-
curei e la geometria) sono indicizzati con «idd.» anche da F. VERDE, Epicuro. Epistola a Ero-
doto, Roma, Carocci 2010, p. 232. Altra analogia: Verde usa sistematicamente «id.» al posto
di «ead.».
31 Stessa cosa per Alessandro Volta, per Voltaire (RC, p. 303) e altri.
32 Cfr. RC, p. 11. E c’è anche un «Medicea Biblioteca Laurenziana» (p. 276), nonché
un «Biblioteca Nazionale Mediceo Laurenziana» (B2007, p. 53 n. 27), senza trattino: biblio-
teca inesistente, nata per conflazione di Biblioteca Nazionale Centrale e Biblioteca Medicea
Laurenziana. Segni di ostilità anche verso la Zentralbibliothek di Zurigo, storpiata in «Zen-
tralbiblioteck» (B2014, p. 208 n. 48).
33 Cfr. p. 196 n. 15 (posterioribu’ signis) e p. 212 n. 8 (montibu’ passim e variantibu’ for-
mis) vs p. 98 n. 78 (Stallius Gaius has sedes Hauranus tuetur, che è un esametro, casomai al
B. fosse sfuggito); p. 202 n. 22 (inmutabilis materiae); trattamenti entrambi leciti, ma che non
possono convivere.
34 Rispettivamente pp. 287 e 292 vs 288, ss.vv. «De Carolis», «Guidubaldi» e «Di Pas-
quale».
596 discussioni e postille

quando càpita35. Notiamo di passata che il B. non sembra conoscere la pri-


ma edizione dell’Epicuro di Arrighetti del 1960, non proprio identica alla se-
conda del 197336 e non proprio trascurabile in un libro sull’epicureismo. Nei
paratesti in fondo al volume si segnalano circa quindici perturbazioni di or-
dine alfabetico37.
Il B. organizza i rimandi per nome-anno-pagina, ma poi spezzetta la bi-
bliografia generale in cinque parti (tre sezioni e due sottosezioni), vanifican-
do i pregi di questo sistema e tenendosi i difetti, cioè le omissioni da una par-
te e i gonfiaggi dall’altra: otto autori sono presenti nelle note e assenti in bi-
bliografia, e ben cinquanta presenti in bibliografia e assenti nelle note. Fra i
silenzi, colpisce quello sui pur pertinentissimi saggi di R. Nanni e di P.T. Key-
ser38, entrambi molto duri nei confronti di B.

Chi valuta un libro non dovrebbe dare troppo peso ai meri errori di
forma; ma quando questi errori sono talmente frequenti da quasi aderire
l’uno all’altro e costituire una barriera, una muraglia, un impenetrabile per-
mafrost attraverso il quale l’occhio del lettore deve scavarsi un sentiero con
penosa fatica, allora non è più questione di sola forma, specie se, come nel
nostro caso, le parole più frequentemente colpite costituiscono elementi
sensibili del testo: termini tecnici, nomi propri, lessemi latini39, lessemi gre-

35 Dimenticate anche traduzioni celebri come quella di Polarity and Analogy di G.E.R.
Lloyd (p. 295), di Histoire de l’éducation dans l’antiquité di H.-I. Marrou (p. 296), di Scribes
and Scholars di Reynolds e Wilson (p. 299), ecc.
36 Epicuro. Opere, a c. di G. Arrighetti, Torino, Einaudi 1960, 19732.
37 In qualche caso si possono fare ipotesi sui motivi: a p. 305 «Cassio Gaio» precede
«Cassio Emina» perché in un primo tempo Gaio sarà stato Caio; a p. 306 «De Witt Nor-
man» precede «De Witt Hyde William» perché Hyde sarà stato aggiunto in un secondo mo-
mento. Curiosa la scelta di indicizzare «l’agricoltura antica» sotto l (mentre «la Villa dei Pa-
piri», più opportunamente, è collocata sotto v). L’indice dei nomi da una parte è incomple-
to, dall’altra sovrabbondante, poiché include anche alcuni autori presenti in bibliografia (e.g.
Gurd, a p. 307, citato a p. 110 n. 40)! Anche con i titoli dei libri il B. ne combina di ogni:
private di interpunzioni (rispettivamente dopo «atomis» e dopo «studi»), le diciture «Demo-
critus reviviscens, sive, De atomis addita vita et philosophia Democriti» (p. 296) e «Atti del
convegno nazionale di studi intellettuali e potere nel mondo antico» (p. 299) non hanno sen-
so. In «Renieri Vincenzo (1639), Tabulae Mediceae secundorum mobilium universales quibus
per unicum prosthaphereseon orbis canonem, typis novis» (p. 299) vengono tralasciate le ulti-
me parole: planetarum calculus exhibetur, necessarie alla sintassi.
38 R. NANNI, Lucrezio: «un ennesimo candidato per la ‘filosofia’ di Leonardo?, «Giorna-
le critico della filosofia italiana», XL, 2011, pp. 463-491; P.T. KEYSER, recensione a The al-
chemy of glass: counterfeit, imitation, and transmutation in ancient glassmaking, Sagamore
Beach, Science History Publications 2009, «Aestimatio», VII, 2010, pp. 232-249. Il Keyser
(storpiato in Keysert) è presente nella bibliografia della RC, ma ad altro proposito. Sorpren-
dentemente omessi nella sezione «edizioni moderne del De rerum natura» i sette Lucrezi teub-
neriani di Bernays (1852), Brieger (1894, 1899, 1909), Martin (1934, 1953, 1957). Altre sor-
prendenti assenze la raccolta di M. PALADINI, Lucrezio e l’epicureismo, Napoli, Liguori 2011
(indicato dal B. in bibliografia, ma non usato), e la già citata edizione carocciana dell’Episto-
la a Erodoto di F. Verde (un volume di cui non c’è traccia nella RC, se non quella che abbia-
mo individuato sopra alla n. 30).
39 Continuamente italianizzati: cfr. p. 30 de ora marittima; p. 236 de nupero esperimento
discussioni e postille 597

ci40. Ecco alcuni esempi41: RC, pp. 72 e 73 elakiston (elachiston); p. 231 n.


28 analisys (analysis); p. 235 opus magnus (magnum)42; p. 249 speculi (saecu-
li); ibid. matematicus (mathematicus); p. 275 Parthenopeus (Parthenopaeus);
ibid. Psetus (Paetus)43; p. 280 Hippocratem (Hippocratis); p. 286 hypotesis
(hypothesis); ibid. monobiblios (monobiblos); p. 148 homeomeria (homoeo-
meria); p. 224 cum appendicem de animi immortalitatem44 (appendice, immor-
talitate); p. 250 n. 67 ad Atheismus detorta (Atheismum)45; p. 276 Laurentia-
num (Laurentianus: è detto di un codex); p. 298 «Joannem-Baptistam Co-
ignard et Antonius Boudet» (una delle due: o Joannem-Baptistam diventa
Joannes-Baptista o Antonius diventa Antonium)46; p. 287 rigopureton (rhi-
gopyreton); p. 294 aperion (apeiron); p. 210: Lucrezio 5.332-333 nunc artes
expoliuntur «anche oggi certe arti si affannano» (si affinano); p. 215: Lucre-
zio 5.1025 servabant foedera caste «osservavano pienamente gli accordi» (pia-
mente)47; p. 248 n. 60 «eccessive edizioni» (successive)48. E ancora p. 278

(= B2008, p. 194); p. 277 restituiti (restituti); p. 281 quaestiones conviviales; B2007, p. 53 n.


39 intermistum (citazione da Bacone; la forma storpiata è anche quella che gira sul web, e for-
se da lì proviene); B2007, p. 54 n. 60 esigua est; B2009, p. 7 n. 27 Lucreziana (Lucretiana).
40 Le coquilles del tipo «etimolgia», «Demertio», «del fenomeni», cioè certamente at-
tribuibili a sviste di battitura, sono una ventina, non moltissime per un libro di 311 pagine.
41 Fra parentesi la lezione corretta.
42 Di tipologia simile sono B2007, p. 47 in corporis calidis (corporibus); B2016, p. 41
de viribus illustribus (viris); B1998, p. 32 (= B2003, pp. 140 e 153 n. 40) semina genitales (ge-
nitalia); B2007, p. 40 «il mixis» (la mixis); B2016, p. 34 n. 18 «la Nutricia» (i Nutricia). In
B2003, p. 153 n. 51, non so quanto sia chiara la distinzione fra seminaria sostantivo neutro
plurale e seminaria aggettivo femminile singolare. Saltate le concordanze a p. 226 n. 17 vo-
cabula prisca et dictionis elegantiores (elegantioris; stessa svista in B2008, p. 181 n. 6); p. 298
scriptores Latina linguae; p. 343 n. 4 commentarii [...] editi [...] editum; p. 353 n. 53 ad Ari-
stoteles Physica. A volte la densità di questi errori è altissima: cfr. e.g. B2014, p. 218 n. 67,
tre in quattro parole: «Henrdik [Hendrik] Puteauns [Puteanus], Epistolarum Reliquae [Re-
liquiae]».
43 E coerentemente «Pseto» nella traduzione, stessa pagina.
44 Così già in B2008[b], p. 179, e B2010[a], p. 343, e poi B2016, p. 53 (la ‘lezione’ de
animi immortalitatem è anche quella che circola sul web, nonché nel catalogo della Biblio-
teca Nazionale di Firenze). Un de con genitivo in B2010[a], p. 346 «Lorenzo Bonincontri
wrote two didactic poems – De rerum naturalium et divinarum and De rebus coelestibus» (=
B2016, p. 33).
45 È una citazione da Newton.
46 Si noti che questo ibrido accusativo/nominativo è proprio la dicitura che corre sul
web.
47 «Loyally» in B2008a, p. 7.
48 A questo tipo di Lesefehler potrebbe dover essere ricondotta l’aberrante traduzione
fornita dal B. in B2010[a] di un passo delle Vite del Vasari: «e tanti furono i suoi [sc. di Leo-
nardo] capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle er-
be, continuando et osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole.
Per il che fece ne l’animo un concetto sì eretico, che e’ non si accostava a qualsivoglia reli-
gione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano». Il B. rende «ne l’a-
nimo» con «regarding the soul» (p. 349) con ciò implicando che Leonardo avrebbe svilup-
pato una sua propria ipotesi in merito all’anima. Il compianto Romano Nanni (Lucrezio, art.
cit., pp. 463-491), non essendo riuscito a cavare un senso da questo «regarding the soul», fi-
nisce per ‘nobilitarlo’ attribuendolo a una personale posizione critica del B., il quale
«appar[irebbe] come sotterraneamente convinto – così Nanni – che Leonardo abbia in cer-
598 discussioni e postille

«text établie» (texte établi); p. 11 «Liddel-Scott» (Liddell); p. 106 n. 24 «Bier-


ger» (Brieger); p. 239 n. 42 «Lambyin» (Lambin); p. 263 n. 94 «Waismann»
(Weismann); p. 289 «Ludvig» (Ludwig); p. 289 «Malcom» (Malcolm); p. 291
«Kunt» (Knut); p. 291 «Wolfgand» (Wolfgang); p. 303 «Woolf» (Wolff); p.
278 Arnout (Ernout). Naturalmente è sempre difficile stabilire i confini fra
il negligere e il nescire. Che il B. sappia che il padre della relatività è Einstein
e non Einsten (nonostante B2012, p. 1 «fisica einsteniana»), e che la città del-
la Svizzera si chiama Basilea e non Basila o Basile (nonostante B2014, p. 210
«edizioni basilesi»), non si dubita; ma cosa pensare del triplice «Alexander
Aphrodisias»49 di B2003 o del septemplice «Amafino»50 della RC? Sviste an-
che queste?

Ecco comunque una serie di casi in cui le sviste possono entrarci ben
poco:
«Lo stato incompleto in cui apparve il De rerum natura rende improba-
bile, anche se non impossibile, che Cicerone possa averne curato l’edizione»
(p. 110). Dunque un’opera si edita solo se completa? E se è incompleta che
deve fare l’editore, completarla lui?
Ci sarebbero nel De rerum natura delle posizioni «che non possono es-
sere ricondotte a Epicuro, a meno di non voler presupporre a priori – e dun-
que, in modo arbitrario – una dipendenza da opere perdute» (p. 176). Il che
vuol dire che il caso è stato così benevolo con noi da farci pervenire tutte le
opere epicuree utilizzate da Lucrezio, e da far perire le altre.
L’originalità e indipendenza di Lucrezio sarebbero dimostrate dal fatto
che è «pressoché l’unico, tra i seguaci di Epicuro, a servirsi in forma così si-
stematica di argomentazioni tratte dall’osservazione diretta o indiretta dei fe-
nomeni naturali» (p. 178). E come si fa a saperlo, se gli scritti degli altri «se-
guaci» sono andati perduti?
La rarità di citazioni dal De rerum natura negli Epicurea di Usener di-
mostrerebbe che quest’ultimo non credeva che Lucrezio riproducesse fedel-
mente dottrine epicuree (p. 128; e si veda la singolarissima n. 80). Ma le rac-
colte delle reliquie di autori perduti non possono tenere conto delle opere
intere, altrimenti le testimonianze su Socrate dovrebbero includere mezzo Pla-

ta misura coltivato, derivandola da Lucrezio, una teoria della mortalità dell’anima» (p. 475).
Secondo me il B. potrebbe aver letto «de l’animo» invece che «ne l’animo» per mera distra-
zione, e tradotto di conseguenza.
49 In latino l’epiteto giusto è Aphrodisiensis, ma questo è inglese (è il saggio che abbia-
mo siglato B2003), sicché dire Alexander Aphrodisias è come dire Cino Pistoia o Gesù
Nazareth.
50 Amafinio è il primo adepto e diffusore delle dottrine epicuree a Roma prima di Lu-
crezio. Nella RC, che è, lo ricordo, un libro sull’epicureismo romano, il B. scrive «Amafino»
sette volte su sette (e la serie prosegue in B2016, p. 23 n. 30). Eppure il B. poteva leggere
Amafinius nei testi da lui stesso citati. Il caso è confrontabile con B2009, p. 10, dove il B.
scrive «Amedeo Massa» invece di «Amadore Massa», nonostante il fatto che il nome corret-
to si potesse leggere nella tavola riprodotta dal B. stesso nella stessa pagina («typis Amatoris
Massae»), nonché nella nota 30 (l’errore è stato eliminato in RC, p. 231).
discussioni e postille 599

tone, quelle su Alessandro mezzo Arriano e tutto Curzio Rufo, e così via.
La scoperta nella Villa dei Papiri di alcuni malridotti lacerti forse appar-
tenenti al De rerum natura (sottolineo il forse)51 avvalorerebbe l’ipotesi che
«Lucrezio effettivamente [si fosse recato] sul litorale campano e [avesse fre-
quentato] la Villa dei Papiri» (p. 132). E perché mai? Gli autori importanti
viaggiano assai meno dei loro libri.
«Omero aveva celebrato le qualità dei medici egizi nel trarre rimedi far-
maceutici dai principî attivi delle piante» (p. 45). Il riferimento è ai vv. 229-
230 del quarto libro dell’Odissea. Ma Omero dice solo che «la fertile terra
egizia produce un gran numero di farmachi, molti buoni, molti cattivi». Il re-
sto è ricamo.
«Se si ammettesse la sfericità della terra, uomini e animali residenti al Po-
lo sud52 camminerebbero capovolti» (p. 194). Sì, ma solo se si prende come
riferimento il polo nord (dove però nessuno abita). Il B. avrà voluto dire «agli
antipodi».
L’episodio del soldataccio romano che accoppò Archimede mentre ri-
fletteva su un problema geometrico-matematico (Plutarco, Vita di Marcello
19.8-10) esprimerebbe la «scarsa sensibilità dei Romani nei confronti della
scienza» e «degli strumenti e dell’opera dello scienziato» (p. 17). Perché pro-
prio la scienza? Perché proprio lo scienziato? Che cosa prova che Archime-
de non avrebbe fatto la stessa fine anche se l’energumeno lo avesse sorpreso
a scarabocchiare epigrammi o note musicali?
Per Epicuro i principii costitutivi della materia sarebbero di «numero fi-
nito» e le forme atomiche «poco numerose» (pp. 146 e 148). Al contrario: i
principii costitutivi sono gli atomi e gli atomi sono infiniti; e le forme atomi-
che sono aperileptoi, «di numero inconcepibile» (Epistola a Erodoto 42)53.
Epicuro avrebbe un atteggiamento «critico» e «ostile» verso le macchi-
ne astronomiche in quanto legittimano (?) il finalismo cosmico e implicano
l’azione di un’intelligenza divina (pp. 60-66)54. Curiosa forma di luddismo,
più o meno come avversare l’inchiostro in odio alla lettura o i contachilome-
tri in sostegno dell’ecologia. Il problema qui è che il B. fraintende il fram-
mento 26.38 Arrighetti (e forse anche il passo di Cicerone, De natura deorum
2.97), dove Epicuro spiega agli astronomi che misurare i fenomeni senza ca-
pirne le cause è fatica sprecata.
«Un allievo di Epicuro, Timocrate, riferisce che le condizioni di salute

51 Mario Capasso, per tacere di altri, lo nega risolutamente: M. CAPASSO, Non è Lucre-
zio, in Actes du 26e Congrès International de Papyrologie, éd. par P. Schubert, Genève, Droz
2012, pp. 127-134.
52 Sull’equivoco residenti/risiedenti si veda oltre, nel testo.
53 Non solo, ma a p. 145, dove parla di «forme atomiche che si combinano tra loro a
causa del moto», il B. sembra non vedere differenza tra forme atomiche e atomi. Oppure «for-
ma atomica» traduce atomos idea? Vogliamo sperare di no, visto che il plurale di questo sin-
tagma non esiste né può esistere.
54 Epicuro era «ostile» a questi congegni, ma – a dire del B. – non del tutto, poiché
«potevano talvolta favorire la corretta comprensione delle percezioni umane» (p. 65). Mah.
Difficile seguire.
600 discussioni e postille

del maestro erano così pietose che per molti anni non poté alzarsi dalla sedia
gestatoria e che spendeva una mina al giorno per la mensa» (p. 76). Avrà ca-
pito il B. che la testimonianza di Timocrate non è elogiativa bensì astiosa, e
che la malattia di Epicuro è addotta come prova di debosciatezza e non di
eroica sopportazione (cfr. Diogene Laerzio 10.7)?55
«Lucrezio non condivideva di Empedocle quella vena misticheggiante
che [...] rivelava la finalità religiosa del poema della natura» (p. 187). Non
sarà che il B. ha confuso il Peri physeos con i Katharmoi?
Il Kepos di Epicuro56 divenne a Roma un oggetto di imitazione da par-
te di epicurei ricchi (pp. 93 sgg.). Giusto. Ma a che scopo coinvolgere nel te-
ma del kepos i vv. 29 sgg. del secondo libro del De rerum natura, dove Lucre-
zio dice di preferire l’erba lungo i corsi d’acqua ai palazzi sontuosi? Il giar-
dino è una cosa, il prato un’altra, il campo un’altra ancora.
Cicerone incolperebbe gli epicurei di non accettare la forma sferica del-
l’universo (p. 64). Non è vero. Per Cicerone gli epicurei sbagliano sì, ma per
altri motivi: primo perché mettono in dubbio la sfericità del nostro mondo,
secondo perché postulano altri innumerevoli mondi di tutte le possibili for-
me e quindi non necessariamente sferici. A quanto pare qui è stato fatto un
tutt’uno di mondo in senso antico e di universo in senso moderno.
«[Cicerone] afferma che fu merito dei Romani assegnare alla geometria
“la funzione utilitaristica della misura e del calcolo”» (p. 37). Il riferimento
è a Cicerone, Tusculane 1.5 in summo apud illos [sc. i Greci] honore geome-
tria fuit, itaque nihil mathematicis inlustrius; at nos [sc. noi Romani] metien-
di ratiocinandique utilitate huius artis terminavimus; ma, contrariamente a
quanto crede il B., Cicerone giudica sbagliato quest’uso esclusivamente pra-
tico che i Romani hanno fatto della geometria; e d’altronde la traduzione, ci-
tata a p. 22 senza che il B. si accorga della contraddizione, parla chiaro: «pres-
so i Greci era tenuta in grandissimo onore la geometria, e perciò nulla brillò
più delle scienze matematiche; noi invece abbiamo assegnato a quest’arte so-
lo [solo, si noti] la funzione utilitaristica della misura e del calcolo».
In Lucrezio 5.525 flammea per caelum pascentis corpora passim ci sareb-
be «una concessione alla visione stoica, secondo cui i corpi celesti devono es-
sere considerati come entità animate» (p. 193). Ma allora anche la «divina
mente» di Epicuro dovrebbe essere una concessione alla religio, anche il fuo-
co dell’amore una concessione a Eraclito, e via di questo passo. È fin troppo
evidente che pascentis non è che una metafora.
«Forse dietro l’entusiasmo con il quale Lucrezio si dilunga a spiegare le
cause atomiche dei fenomeni naturali si cela un profondo interesse scientifi-
co»; «la predilezione di Lucrezio per i fenomeni naturali non [è] casuale»;
«non si può fare a meno di notare la preponderanza della filosofia naturale

55 Nell’edizione di Arrighetti il passo corrisponde al fr. 101, non al 93 come si legge a


p. 9 di questa stessa edizione.
56 «Giardino botanico» lo chiama il B. a p. 94.
discussioni e postille 601

[in] Lucrezio» (pp. 10 e 178). Sono frasi che si leggono con sgomento57, poi-
ché invero è difficile che la natura possa non «preponderare» in un poema
intitolato De rerum natura. È come se uno dicesse che l’Aldilà «prepondera»
in Dante, che l’Eneide «si dilunga» su Enea, che l’Odissea «cela un profon-
do interesse» per Odisseo.
Di tanto in tanto il B. si lascia adescare da pittoreschi biografemi: Lu-
crezio avrebbe visto di persona le eruzioni dell’Etna58 perché le descrive in
modo realistico (p. 116); avrebbe familiarità col mare perché parla spesso di
acqua (p. 116); avrebbe scritto i vv. 4.575-579 ricordandosi di una «gita in
montagna» (p. 118); trarrebbe le similitudini brevi da fonti letterarie (p. 182)
e quelle lunghe – evidentemente – dall’esperienza personale. In compenso,
quasi nulla si dice nella RC sul famoso e variamente interpretato emendavit
di San Girolamo (pp. 110, 131), e nulla affatto sull’ancor più famoso multis
luminibus ingeni multae tamen artis della lettera a Quinto59.
Il B. impiega in accezioni improprie termini tecnici come emendazione
(p. 39)60, codicologia (p. 220), pubblicazione (p. 67), originale (p. 56), arche-
tipo (p. 131), filologo (pp. 54, 198, 249). A p. 138 n. 9 usa «edizione critica»
nel senso di «commento»61. Frasi misteriose, nel contenuto e nella lettera,
quelle di p. 70 n. 20 «anche Federigo Enriques, in una lettura parzialmente
avulsa da una precisa analisi filologica dei testi, propose un’edizione dei fram-
menti democritei»; di p. 258 «la scientificità che assunse il metodo filologico
ivi proposto» (dove «ivi» vuol dire nell’edizione lucreziana del Lachmann);
di p. 131 «affannosa e appassionata ricerca dell’archetipo del testo lucrezia-
no»62. A p. 220 si parla, spassosamente, di «ricostituzione del testo» (corsi-
vo mio)63.
L’obiezione che il B. ha affrontato il De rerum natura non da Altertum-
swissenschaftler bensì da storico della scienza avrebbe valore se le sue incur-

57 Cfr. anche B2012, p. 16 «su alcuni punti qualificanti della sua opera Seneca rivela-
va la propria dipendenza dagli Stoici».
58 Ma il B. usa «incendio» (B2016, p. 29 n. 3 = RC, p. 219 n. 2 «incendio dell’Etna»).
59 GIROLAMO, Chronicon 171.3; CICERONE, Ad Quintum fratrem 2.10. Meno di tre righe
vengono dedicate alla cronologia di Lucrezio nella ricostruzione di Canfora (L. CANFORA, Vi-
ta di Lucrezio, Palermo, Sellerio 1993). A p. 109 il B. scrive: «difficile è condividere l’opinio-
ne di Canfora, secondo cui Lucrezio avrebbe conosciuto Diogene di Enoanda». Più che dif-
ficile, direi impossibile, se non si avverte (cosa che B. non fa) che Canfora propone per Dio-
gene di Enoanda una cronologia diversa da quella vulgata!
60 Gli eruditi ellenistici «emenda[vano] attraverso i commentari».
61 «Le opere classiche venivano restaurate nella loro originaria freschezza filologica, ne
veniva cioè recuperato il lessico e la struttura formale» (B1998, p. 31): questo è secondo il
B. il lavoro che i dotti del Rinascimento facevano sui testi. Inquietante in RC, p. 67 la dici-
tura «la Vita di Epicuro pubblicata da Diogene Laerzio», scritto in corsivo come se fosse una
vita plutarchea, e «pubblicata», come se Diogene avesse fatto con la vita di Epicuro quello
che fa con le Epistole e con le Sentenze.
62 Forte è il sospetto che il B. confonda la questione dell’archetipo con la questione
della scrittura dell’archetipo e del prearchetipo.
63 Altre singolari prefissazioni a p. 235 «redistribuzione dei versi»; p. 233 «rievocava»
(scil. evocava); B2012, p. 6 «decorso predeterminato della vita umana».
602 discussioni e postille

sioni nella filologia lucreziana fossero rare e occasionali. Invece il libro è de-
dicato per gran parte a questioni di esegesi, di testo, di lezioni, di varianti, di
papiri, tutte cose per le quali i secoli e le esperienze hanno selezionato un les-
sico specifico e precise metodologie. E del resto non è che con il lessico filo-
sofico le cose vadano meglio: si pensi al mancato riconoscimento del valore
tecnico di «canone» nell’epicureismo (p. 69); oppure alle amene espressioni
sull’atomo come «fondamento microscopico», sull’atomo che «sprigiona la
sua essenza reale», che «si esplicita nel peso», che «volteggia»; o sui medici
egizi che sfruttano «i principî attivi delle piante» (p. 45), su Epicuro che rac-
comanda «una corretta alimentazione» (p. 77).

Qualche osservazione sulla forma italiana della RC:


(1) Lessico: «morboso» per: che fa ammalare (p. 233; e anche B1998, p.
32); «stante la prefazione» per stando alla prefazione (p. 230 n. 27); «residen-
te» per risiedente (p. 194 «uomini e animali residenti al Polo sud»); «etero-
dosso» per agnostico, ateistico, ateo (p. 239) (= B2007, pp. 30, 40, 45); «re-
dimere» per dirimere (p. 241 «redimere questioni di carattere filologico»; p.
244 «redimere questioni scientifiche»)64; «intimare» per vietare (p. 244 «lo
intimava a non stamparlo»); «trasformismo» per trasformazione (p. 214);
«schernirsi [sic] di» per «schermirsi da» (B2014, p. 203 n. 203)65.
(2) Morfologia e sintassi: p. 158 «[Lucrezio si dilunga] su come il peso
degli atomi ne influenzi il loro moto»66; p. 188 «il successo a Roma della dot-
trina stoica dipese soprattutto dalla loro peculiare concezione degli astri»; p.
60 «le fondamenta dei sistemi platonici e aristotelici»; p. 196 «una dottrina
che non fosse stata avvallata [sic] da Epicuro»; p. 14 «fa conto» (imperati-
vo); p. 174 «un pò meglio»67; B2007, p. 53 n. 20 «un’episodio».
(3) Stile: enfatico e perissologico, con alta frequenza di espressioni elati-
ve evocanti vastità, necessità, continuità, fatalità e simili: p. 40: non «mal si pre-
stavano al successo» ma «mal si prestavano a essere destinati al successo»; p.
162: non «struttura soggetta» ma «struttura costantemente soggetta»; ibid.: non
«dissolvimento» ma «inesorabile dissolvimento»; p. 209: non «processo» ma
«inesorabile processo»; p. 164: non «combinazione» ma «perenne combina-

64 Cfr. B2007, p. 48 «redimere il risultato», e B2008[c], p. 198; nonché B2009[b], p.


11 «redeeming scientific questions».
65 Altri esempi di uso improprio (fra parentesi il significato richiesto): p. 95 artificio-
se (artefatte); p. 151 sfuggente (fuggevole); p. 198 complementari (alternative); p. 231 edul-
corato (mescolato, ibridato); p. 233 rievocava (evocava); p. 236 inerenti la (inerenti alla); p.
226 n. 18: essere «di stanza a» si dice di soldati, non di studiosi o scienziati. Cfr. anche
B1998, p. 28 esordire la trattazione (dare inizio alla trattazione); B1998, p. 30 n. 6 sminuire
(ridimensionare); B2008[c] genealogia (genesi); B2014, p. 193 inibire a (impedire di).
66 Cfr. anche B2014, p. 194 «assunse un valore tale da rendere quasi obbligatorio esplo-
rare tecniche innovative che ne favorissero la sua dilatazione materiale».
67 Citazione da C. GIUSSANI, T. Lucreti Cari De rerum natura libri sex, vol. I. Studi lu-
creziani, Torino, Loescher 1896 (rist. New York - London, Garland 1980, p. 237), che ha
correttamente «po’».
discussioni e postille 603

zione»; p. 174: non «realtà» ma «realtà percepita»68; p. 209: non «percepita


dai sensi» ma «percepita quotidianamente dai sensi»; p. 145: non «l’azione ge-
neratrice dei semi» ma «l’azione generatrice dei semi delle cose»69; p. 151: non
«il vuoto» ma «la presenza del vuoto»; p. 60: non «[Epicuro] espelle gli dèi
dall’universo» ma «[Epicuro] espelle la presenza degli dèi dall’universo». A
volte i pleonasmi fanno grappolo, cfr. e.g. p. 165: «se lo scambio di materia è
perennemente scandito dal cambiamento, la somma della materia soggetta a
tutte queste infinite reazioni rimane eternamente la stessa» (corsivi miei)70.
(4) Sinonimie e tautologie: p. 199 «spiegazioni fantasiose e immaginifi-
che»; p. 202 «la fortuna e il fato»; p. 208 «le paure e i terrori»; p. 216 «timo-
re e paura»; p. 217 «giocoforza necessario»; p. 8 «risvolti etico-morali»; p. 51
«il riscaldamento ad aria calda»; p. 154 «il moto atomico degli atomi»; p. 63
«finalismo teleologico»; p. 172 «velocità rapidissima»; p. 196 «scelta delibe-
ratamente autonoma»; p. 110 n. 40 «la circolazione [...] all’interno di circo-
li»; p. 196 «motivi spiegati sulla base di cause»; p. 199 «dottrina delle spie-
gazioni adatta a spiegare»; p. 143 «corpi macroscopici, anche molto grandi»;
p. 158 «la densità di aggregati atomici particolarmente densi»; p. 160 «la
spontaneità degli atti volitivi»; p. 160 «alcune scelte dell’uomo e degli anima-
li sono il frutto di decisioni71 libere e spesso arbitrarie»; p. 151 «gli atomi, in
quanto parti, sono particelle».
(5) Rime involontarie e cacofonie: p. 195 «l’incremento del momento
comporta l’aumento»; p. 203 «evoluzionismo, il mio scetticismo a proposito
del suo preteso rigido fissismo»; p. 234 «sembrava poter essere rapidamente
confermata empiricamente».
(6) Espressioni artificiose, improprie, stravaganti: p. 207 «un passo che,
con il passare del tempo, ha conquistato un’autorevolezza priva di scalfittu-
re»72; p. 238 «[inserimento] scevro da remore»; p. 146 «l’uomo predilige nu-
trirsi di certi cibi che, al contrario, vengono considerati indigesti da altri ani-
mali»73; p. 202 «fede fissista di Lucrezio»74; p. 150 «materialità indiretta»; p.
208 «fecondità idilliaca»; p. 212 «animare i vagiti»; p. 213 «dare un pullula-
re»; p. 154 «donare accrescimento», eccetera.

68 In questo caso l’inutile participio non solo è brutto, ma fuorvia, perché fa credere
che la realtà percepita non abbia struttura atomica; il che è falso. A p. 143 è l’avverbio a sor-
prendere: «per quanto apparentemente piccolo, il seme si trova alla base della formazione
delle piante e degli organismi».
69 Anche qui si va vicini all’errore: i semi non possono essere «semi delle cose» finché
le cose non vengono generate – da aggregazioni di semi, appunto.
70 Naturalmente ho escluso da questa casistica i passi in cui il pleonasmo fosse solo ap-
parente, in cui modificasse anche in misura minima il ragionamento.
71 Gli animali decidono. Sic.
72 Ma proprio priva di scalfitture questa autorevolezza non deve essere, se subito do-
po il B. le oppone «il quadro molto più sfumato e ricco di suggestioni» tracciato da Elisa Ro-
mano.
73 Gli animali considerano. Sic.
74 Altri «fissismi» alle pp. 203 e 213.
604 discussioni e postille

All’inizio di questa discussione ho parlato di una esemplarità del libro


del B. Lo ribadisco; e aggiungo che sbaglierebbe chi interpretasse il mio in-
tervento come una stroncatura spietata e maramalda. Il mio è semmai un al-
larme, non contro questo libro, ma contro libri come questo, che non sono
ancora la normalità, ma potrebbero diventarlo. Ecco perché ho voluto esse-
re analitico, entrare nei dettagli. Come ben sapeva il manzoniano Tribunale
della Sanità, per ottenere che si creda alla peste bisogna mostrare i cadaveri.
Nessuno mi convincerà che non ci sia una relazione fra la comparsa di
libri come la RC e gli automatismi sui quali è regolato il sistema di scarichi,
di deleghe e di accettazioni fiduciarie denominato peer review. Editori e di-
rettori di riviste scientifiche inviano i libri e gli articoli degli studiosi ad altri
studiosi, affinché valutino se il lavoro è buono o cattivo. Sono i famosi refe-
ree. Anche i direttori di una volta si servivano dei referee, ma saltuariamen-
te, al bisogno. Adesso invece la pratica è strutturata, anzi è un requisito es-
senziale perché una rivista possa accedere alla fascia A. La quale è l’unica che
conta, l’unica che fa mediana. E le mediane, o «valori soglia» (il nome cam-
bia di continuo), determinano di fatto le carriere accademiche.
I paper, i «prodotti», vengono inviati anonimi, ma l’anonimato è una
frottola, perché in certi settori, fra cui il mio (L-FIL-LET0/2), lette due fra-
si si capisce subito di chi si tratta, anche senza interrogare la rete. Le barzel-
lette che circolano sui professori universitari spiegano meglio di qualunque
statistica quanto possa essere affidabile un sistema in cui dei colleghi vengo-
no a chiamati a giudicare altri colleghi (e allievi di colleghi); anche a non vo-
ler considerare la cattiva fede, restano le divergenze di impostazione, di scuo-
la: filologi e antropologi non si capiscono, filosofi e letterati nemmeno. Inol-
tre i nomoteti dell’Anvur, quando hanno messo in moto i micidiali ingranag-
gi della peer review e della VQR, non si sono posti il problema che i referee
non sono referee di mestiere, ma bensì professori, che devono fare i profes-
sori-direttori, i professori-coordinatori, i professori-segretari, i professori-im-
piegati e anche i professori-professori quando c’è tempo. Molti di loro non
daranno che un’occhiata al paper da valutare, concentrandosi magari, se la
trovano, sulla questione già nota, sul dettaglio già visto, sull’argomento del-
la lezione di ieri; e sulla base di poche righe giudicheranno l’intero. Ci sono
poi i referee che esercitano una critica ideologica, e che bocciano una propo-
sta non perché non vi trovino i requisiti scientifici, ma perché non la condi-
vidono. E ci sono poi, molto semplicemente, i referee inadeguati.
Ora, la RC di B. è stata, a detta dello stesso autore, incubata per ven-
t’anni; trentotto persone (tante ne vengono menzionate alle pp. 10-11)75 so-
no state a vario titolo coinvolte nella sua ideazione, stesura e revisione; lar-
ghe parti dell’opera, come vedremo sotto, circolavano da tempo, tutte senza

75 Altre quindici in B2016, p. 8, e otto in B2014, p. 193. In tutti e tre i casi il B., sia det-
to a suo merito, ci risparmia il topos dell’assunzione di responsabilità («gli errori sono solo
miei» ecc.).
discussioni e postille 605

dubbio regolarmente referate (si parla di editori come Olschki, come le Scien-
ce History Publications). Il gran numero di revisioni che questo libro e le sue
parti hanno avuto o avrebbero dovuto avere dimostra che non siamo di fron-
te a un’occasionale falla del sistema, ma alla limpida dimostrazione di come
l’apparato docimologico escogitato dall’Anvur non giudichi, non valuti, non
selezioni – se non eventualmente alla rovescia76.
La qualità della scrittura è uno degli aspetti più allarmanti della RC, an-
che in considerazione delle denunce che insegnanti e intellettuali hanno lan-
ciato negli ultimi tempi sullo stato della lingua italiana, male parlata e male
scritta non solo da studenti liceali, ma anche da studenti universitari e dot-
torandi. L’esempio dovrebbe venire dall’alto: un professore universitario, una
figura di prestigio, non dovrebbe esprimersi in un italiano che sia meno che
impeccabile. E su questo punto i referee non hanno scusanti, poiché per ve-
gliare sull’ortografia di «un pò» e sulla semantica di «redimere» non serve es-
sere latinisti e grecisti, filologi o tommasei, cruscanti o grammar nazi. Basta
leggere.

Nell’introduzione alla RC il B. ci dice che il cap. 7 è una versione rive-


duta di B2008[a], ma non dice che è identico anche a B2010[b] parola per
parola77. Né dice che il cap. 4 è un rimaneggiamento di B2008[b]. Né che il
par. 6.3 si ritrova tal quale in B2012. Né dice che non poche pagine di B2014
si ripresentano nella RC, non solo a livello di contenuti, ma anche verbatim:
e.g. B2014, pp. 194-195 = RC, pp. 103-104 e 91; B2014, p. 196 = RC, p. 92,
ecc.
Né dice che tutta la parte non fotografica di B2016 è un copia/incolla
da RC e da B2010[a], così combinato: le pp. 9-32 copiano RC, pp. 104-132
+ 219-221, poi passano a copiare B2010[a] fino alla p. 37 per poi virare di
nuovo sulla RC, pp. 223 sgg. Perciò si vorrebbe anche sapere quale altro la-
voro ha fatto il B. sulle tavole della princeps del Ferrando oltre a quello di fo-
toshoppare le pecette con i numeri di pagina78.
Considerando che la parte antichistica della RC non è che un prolisso
spiegone di note banalità, l’unico capitolo che potrebbe in qualche misura
contribuire al progresso degli studi è il capitolo 8, la storia delle edizioni lu-
creziane dal Rinascimento all’Ottocento. Nell’introduzione il B. dice che que-
sto capitolo è una versione di B2008[c], senza però avvertire che B2008[c] è
una versione pressoché conforme di B2008[b], che a sua volta lo è di B2007,

76 Le difese dell’attuale valutazione (su tutte quella di A. BONACCORSI, La valutazione


possibile. Teoria e pratica nel mondo della ricerca, Bologna, Il Mulino 2015) parlano a un’ac-
cademia immaginaria, a un’umanità immaginaria, e di situazioni immaginarie.
77 Anzi l’articolo B2010[b] non è menzionato mai nella RC, neppure nella bibliogra-
fia. Il fatto è strano, anche perché B. non è avaro di automenzioni.
78 Non solo, ma nella bibliografia della RC (p. 278) il B. colloca B2016 non fra gli «stu-
di critici», dove semmai la destinerebbero le circa 50 pagine introduttive, bensì fra le «edi-
zioni moderne di Lucrezio», con ciò mettendo un’inerte riproduzione, poco più di un al-
bum di fotografie, sul piano delle grandi edizioni dei Lachmann, dei Diels, dei Bailey.
606 discussioni e postille

che a sua volta lo è di B200979. Purtroppo in questi casi il B. non sempre si


ricorda di indicare l’antigrafo, e quando lo fa, i rimandi non rendono bene
l’idea80. Insomma il cap. 8 della RC non è che un agglomerato di materiali
che girano da anni, con titoli diversi e con piccoli tagli, aggiunte, adattamen-
ti, traslocazioni81. La prolifica cellula madre è probabilmente sempre uno
stesso file di computer, una Ur-RC in cui l’autore non si cura neppure di in-
serire le poche correzioni82 (degli editors? Dei referee? Dei bozzisti? Di lui
stesso?) che vengono apportate agli epigoni che escono via via dallo stampo
– quattro finora, se non ho visto male, più l’«archetipo» che fa cinque83.
Ecco qui un caso significativo, sia in sé sia dal punto di vista della teo-
ria ‘amartologica’ generale: B2008[c], p. 209 n. 94 «T. Lucretii Cari De re-
rum natura libri sex; ad exemplar Gilberti Wakefield, A. B., cum ejusdem no-
tis, commentarils, indicibus, fideliter excusi. Adjectae sunt oditionum quin-
que, in quibus Principis, Forrandi, lectiones variantes omnes». Poiché i re-
fusi commentarils, oditionum e Forrandi (sc. commentariis, editionum, Fer-
randi) si trovano tutti e tre in Google Libri, è da lì che il titolo proviene. Ta-
le titolo viene citato dal B. anche alla p. 277 della RC, e qui i tre refusi sono
scomparsi (benché ne spunti uno nuovo: excussi per excusi). Riappaiono pe-
rò pari pari in una pubblicazione successiva, B2016, p. 46 n. 50. Dunque nel
2008 il B. attinge la dicitura dalla rete e il file va in stampa con i tre refusi;
nel 2015 il file-ape-regina sgrava un’altra larva che qualcuno ripulisce dal tri-
plice googlismo; ma le forme corrette non vengono riportate all’alveare e co-
sì la larva successiva li ripresenta identici84.

79 Esclusa la premessa.
80 Il B. fa presente in B2008b, p. 246 n. 1 che «a different version of this paper» ave-
va già visto la luce: si tratta di B2007; e da B2007, p. 53 n. 15 si apprende che degli stessi ar-
gomenti si era occupato anche in B2003 e in B2008[b] (ma «stessi argomenti» non fotogra-
fa precisamente la realtà).
81 In buona parte le modifiche sono di questo tipo: da «la costituzione ed accrescimen-
to» (B2007, p. 139) a «la costituzione e l’accrescimento» (RC, p. 163); da «è da segnalare»
(B2007, p. 40) a «è il caso di segnalare» (RC, p. 164); da «E. Romano» (B2007, p. 40) a «Eli-
sa Romano» (RC, p. 164); da «Lucrezio comunque» (B2010[b], p. 31) a «comunque Lucre-
zio» (RC, p. 209); da «nel proemio richiama» (B2010[b], p. 31) a «richiama nel proemio»
(RC, p. 209), ecc.
82 Poche e superficiali, in quanto intervengono solo su ciò che risalta ictu oculi. Si ve-
da (è un esempio fra tanti) la citazione in latino da Gassendi in B2009[b], p. 7 n. 27, che
contiene almeno tre errori: carissimo per clarissimo, Lucreziana per Lucretiana e lucere per
ducere. In RC, p. 228 n. 22 il primo e il terzo restano, solo il secondo è sparito, l’unico che
non richiedeva la comprensione del testo. Altro caso (fra i tanti possibili): in B2014, p. 217
n. 64 si legge di un’edizione di Lucrezio uscita «ex officina Jabobi Tonson», che sta ovvia-
mente per «Jacobi», come si legge poco più avanti a p. 221 n. 68. L’errore si ripresenta altre
due volte in RC, p. 277. È lo stesso errore che viaggia da un B[eretta] all’altro per colpa del
copia/incolla. Il correttore di B2014 ha corretto un caso su due; nel 2015 nessuno si è accor-
to di nulla.
83 Che fanno sette se consideriamo B1998 e B2003 (surclassato anche Crisippo, famo-
so per il fatto di «trattare delle stesse cose non dico due o tre volte, ma anche quattro e ta-
lora cinque»: GALENO, Sulle dottrine di Ippocrate e Platone 2.2.8 De Lacy = SVF II 883). Lo
zoccolo duro della RC è in circolo dal 1998.
84 Caso curioso quello di minima partes di B2008[c], p. 223, replicato in RC, p. 262,
discussioni e postille 607

È impossibile non vedere il nesso tra i fenomeni qui descritti e l’attua-


le logica che vincola alla produzione di carta le carriere degli universitari gio-
vani e il potere di quelli vecchi. Sia i primi che i secondi devono scrivere mol-
to e in fretta, gli uni per salire di grado, gli altri per dimostrare di non esse-
re da meno dei loro assistenti e dottorandi, nonché, più concretamente, per
accedere a finanziamenti, a collegi di dottorato, a commissioni di concorso.
L’Anvur ha inoltre partorito una specie di nomos argias che obbliga anche
gli studiosi dormienti a produrre carta, vuoi per non vedersi decurtato lo sti-
pendio, vuoi per non danneggiare il dipartimento, che con una VQR sca-
dente perderebbe punti-organico; ché il criterio dell’Anvur è appunto que-
sto: punire la classe per la birichinata del singolo, come alle elementari. E
così volenti o nolenti tutti scrivono, tutti ‘producono’, riempiendo le riviste
di spazzatura e i curricula di titoli tossici. Più che ovvio, in un clima come
questo, che il malcostume dell’autoriciclaggio abbia assunto proporzioni da
piaga biblica85.
E poi c’è l’impact factor, anche questo un’escogitazione dei maestri an-
glosassoni, sempre alla ricerca dell’otre dei venti degli indicatori oggettivi.
Detto grossolanamente, l’impact factor è il calcolo computerizzato del nume-
ro di citazioni che un articolo raccoglie nelle riviste del tale o talaltro livel-
lo86. Dicono che nelle ‘scienze dure’ l’impact factor già lo applicano e funzio-
na. Per me resta un mistero come si possa indurre una macchina a distingue-
re fra le citazioni positive e le citazioni negative, che in una logica qualitati-
va indicherebbero semmai asineria e non bravura; o come si possa impedire
il formarsi di un mercato del reciproco sostegno, di un cito ut cites fra grup-
pi alleati, o viceversa di congiure del silenzio e dannazioni di memoria nei con-
fronti di studiosi bravi ma non allineati. Certuni sostengono che questo indi-
catore non verrà mai esteso alle discipline umanistiche. Io invece credo che
prima o poi il Generale Impact arriverà anche da noi, e che sarà accolto co-
me tutto il resto: passivamente. I più accorti, come le vergini sagge, già si pre-

che diventa minimae partae in B2008[b], p. 244: qualcuno voleva aggiustare, ma l’interven-
to è stato fatto sia sulla parola sbagliata sia su quella corretta.
85 A chi pratica la ricerca scientifica càpita spesso di constatare come articoli sparsi si
organizzino quasi da sé in un libro; o come da un libro emerga un’idea importante a cui va
data evidenza e autonomia; o che un saggio rivolto a un determinato pubblico si riveli effi-
cace, se opportunamente adattato, anche per un pubblico diverso. In questi casi ristampare
o rieditare non è cosa scorretta, anzi utile se non doverosa. La parte finale del presente arti-
colo è essa stessa una versione rielaborata di interventi già apparsi in altre sedi e per lettori
di altro tipo (W. LAPINI, Valutare senza leggere, «Il Secolo XIX», 26.07.2017, pp. 1 e 8; Se al-
l’università il merito si valuta anche con l’autocopiatura, «Il Secolo XIX», 17.10.2017, pp. 1
e 2). Ma ristampe e riedizioni non sono cose di cui si possa abusare o su cui si possano for-
nire indicazioni reticenti.
86 Se si vuole una definizione rigorosa, eccola: «l’impact factor [è l’indice che] si ottie-
ne calcolando il numero di citazioni che gli articoli pubblicati in uno specifico periodo han-
no ricevuto nei due anni precedenti (o anche solo nell’anno precedente) e dividendo la cifra
per il totale degli articoli pubblicati nello stesso periodico nei due anni presi in considera-
zione» (R. MORRIELLO, L’indice di Hirsch (h-index) e altri indici citazionali dopo l’impact fac-
tor, «Biblioteche oggi», gennaio-febbraio 2007, pp. 23-32: 23).
608 discussioni e postille

parano: lo dimostra il moltiplicarsi delle citazioni vuote, sempre esistite ma


ora dilaganti: «come giustamente dice il tale», «come osserva acutamente il
talaltro», ecc., di cui non mancano esempi anche nella RC.
Gli studi del B. su Lucrezio offrono materia di meditazione anche sul-
l’uso oggi invalso di ripubblicare in inglese i paper già pubblicati in italiano.
Come si è detto87, la ripubblicazione di un saggio con altre caratteristiche non
ha in sé nulla di censurabile. Poco senso vedo invece nel processo inverso,
del saggio che esce prima in inglese e poi in italiano; e nessun senso vedo nel-
l’uso dell’inglese per i lavori destinati alle riviste italiane, come è il caso del-
l’articolo di B. del 2003 su «Medicina nei Secoli» e soprattutto di quello del
2010 su «Rinascimento», dove italiano è l’autore, italiano il periodico, italia-
no l’argomento particolare (Leonardo), italiano l’argomento generale (il Ri-
nascimento) e italiani i lettori, o se non italiani, italofoni, poiché non è pen-
sabile che studiosi stranieri del nostro Quattro-Cinquecento non sappiano la
lingua degli autori che studiano. Dunque che c’entra l’inglese88?
Ma a differenza che nel passato, oggi l’uso dell’inglese ha un suo perché,
dato che una legge per ora non scritta dell’era Anvur vuole che un saggio in
inglese – ceteris paribus, e magari anche imparibus – valga più di un saggio in
italiano. Quelli che sanno provvedono da sé, ma gli altri? Gli altri si fanno
tradurre a spese proprie, o, se ‘incardinati’, a spese di tutti, cioè usando i fon-
di di ricerca. Niente di irregolare, o di illegittimo, e tantomeno di illegale, stan-
do le cose come stanno ora. Ma prima o poi qualcuno dovrebbe domandar-
si se non ci sia un fumus di danno erariale in questo uso di denaro pubblico
non per migliorare un ‘prodotto’ ma per impennacchiarlo.
Voglio infine precisare – non per esibire medagliette ma per prevenire
fantasticazioni su volpi e uve – che il sottoscritto ha le mediane più che a po-
sto, e i massimi voti in entrambe le tornate della VQR89.

WALTER LAPINI

87 Cfr. sopra, n. 78.


88 Peraltro l’inglese del B. non è sempre incensurabile: si veda la dubbia frase di
B2010[a], pp. 367-368 «all things must need be borne on through the calm void»; oppure
la confusione fra «comment» e «commentary» a p. 346 («he wrote a philosophical comment
on the poem»), o fra «principle» e «principal» a p. 353 n. 52 («Aristotle’s Physica is one of
the principle sources on the thought of Anaxagoras», traduzione di una frase del povero E.
GARIN, Il problema delle fonti del pensiero di Leonardo, in ID., La cultura filosofica del Rina-
scimento italiano, Firenze, Sansoni 1961, p. 391). Che l’articolo nasca prima in italiano e poi
in inglese è dimostrato dalla didascalia di p. 366 n. 106, rimasta non tradotta. Evidente il cal-
co dall’italiano in frasi come «to consign this work to the flames» (p. 346), oppure «Traver-
sari took some liberties with the text» (p. 354 n. 59). Temo che sia fuorviante il «ma allora
possiamo» con cui il B. traduce il «we may then» di Lord Kelvin in RC, p. 258 e n. 84.
89 Sulle prossime non scommetterei.
FASCICOLO III SETTEMBRE-DICEMBRE 2017

ISSN 0017-0089
GIORNALE CRITICO

GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA - Anno XCVI (XCVIII) - Fascicolo III
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GIOVANNI GENTILE

SETTIMA SERIE VOLUME XIII


ANNO XCVI (XCVIII), FASC. III

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