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Epicuro liberatore dell’umanità

De rerum natura I, 62-79


La religio, intesa da Lucrezio come un sistema di riti disumani e credenze irrazionali, incute paura all’uomo e lo
rende schiavo. Poiché il timore della morte e degli dei deriva dall’ignoranza delle leggi naturali, solo la dottrina
epicurea potrà liberare l’umanità. Per questo il poeta intona un elogio a Epicuro, liberatore degli uomini con
caratteristiche di un eroe epico. La figura lucreziana di Epicuro ha la sua matrice nel guerriero omerico (basti
pensare allo scontro tra Glauco ed Ettore). L’impresa compiuta dal maestro è descritta dal poeta secondo lo
schema di una gigantomachia e assume una dimensione prometeica, in cui l’eroe affronta il mostro: come il
titano, Epicuro ha saputo sfidare le leggi divine per aiutare l’uomo. Il tema della religio come aberrazione diventa
nel De rerum natura una presenza ricorrente e mentre in Epicuro l’eliminazione della paura degli dei aveva come
fine la tranquillità interiore del singolo, in Lucrezio la lotta contro la religio serve a liberare l’intero consorzio
umano. Vi è un potente linguaggio metaforico ed è costruito su un’antitesi fondamentale: l’umanità prima e
dopo Epicuro. La descrizione dell’umanità è ottenuta tramite suoni aspri, mentre l’impresa titanica di Epicuro è
sostenuta da un ritmo veloce, enjambement e sostantivi del lessico militare (obsistere, effringere, refert).

Hūmāna ānte ŏcŭlōs foēdē cūm vītă iăcērēt


īn tērrīs ōpprēssă grăvī sūb rēlĭgĭōnĕ
quaē căpŭt ā caēlī rĕgĭōnĭbŭs ōstēndēbāt
hōrrĭbĭlī sŭpĕr āspēctū mōrtālĭbŭs īnstāns1,
prīmūm Grāiŭs hŏmō mōrtālīs2 tōllĕrĕ cōntrā
ēst ŏcŭlōs aūsūs prīmūsque ōbsīstĕrĕ3 cōntrā;
quēm nĕquĕ fāmă dĕūm nēc fūlmĭnă nēc mĭnĭtāntī
mūrmŭrĕ cōmprēssīt caēlūm, sĕd ĕō măgĭs ācrēm
īnrītāt4 ănĭmī vīrtūtem, ēffrīngĕre ŭt ārtă
nātūraē prīmūs pōrtārūm claūstră cŭpīrēt4.
Ērgō vīvĭdă vīs ănĭmī pērvīcĭt, ĕt ēxtrā
prōcēssīt lōngē flāmmāntĭă moēnĭă mūndī
ātque ōmne īmmēnsūm pĕrăgrāvīt mēnte ănĭmōquĕ,
ūndĕ rĕfērt nōbīs vīctōr5 quīd pōssĭt ŏrīrī,
quīd nĕquĕāt, fīnītă pŏtēstās dēnĭquĕ cuīquĕ
quānām sīt rătĭōne ātque āltē tērmĭnŭs haērēns.
Quārē rēlĭgĭō pĕdĭbūs sūbiēctă vĭcīssīm
ōbtĕrĭtūr, nōs ēxaēquāt vīctōrĭă caēlō.

Mentre la vita umana giaceva orribilmente davanti agli occhi (sott. di tutti)
vinta sulla terra sotto il peso della religione (lett. la pesante religione),
che mostrava il capo dalle regioni del cielo,
mentre incombeva dall’alto sui mortali con orribile aspetto,
dapprima un uomo greco osò alzare gli occhi mortali contro (la religione)
e per primo (osò) lottare contro (questa);
e non lo frenarono né le dicerie sugli (degli) dei, né i fulmini,
né il cielo con il (suo) rimbombo minaccioso,
ma stimolò l’acuto valore dell’animo al punto da
desiderare per primo di spezzare le strette porte sbarrate della natura (lett. le strette sbarre delle porte).
Dunque la vivida forza del (suo) animo trionfò,
e andò lontano, al di là degli ardenti confini (lett. mura) del mondo,
e percorse con la mente e con il cuore l’immensità dell’universo (lett. tutto l’universo),
da dove riporta a noi vincitore che cosa possa nascere,
che cosa non possa, infine per quale motivo ciascuno abbia (lett. a ciascuno è) un potere limitato
e un confine saldamento fissato.
Perciò la religione, a sua volta posta sotto i piedi,
viene calpestata, la vittoria ci innalza fino al cielo.

Analisi figure retoriche


1. v. 62: humana… vita= iperbato; cum= anastrofe
2. v. 63: gravi sub religione= anastrofe
3. v. 64: caput caeli= allitterazione della –c (credenza che nel cielo ci fossero entità misteriose in grado di controllare
il destino dell’uomo. Secondo la concretizzazione poetica lucreziana del pensiero epicureo, la religio sarebbe
nata allorché gli uomini attribuirono tutti i fenomeni agli dei.
4. vv. 65-66-67: mortalibus… mortalis= sineddoche per homine e poliptoto; Graius homo= perifrasi per indicare
Epicuro; contra (fine verso 66)… contra (fine verso 67))= epifora; est… oculos= iperbato
5. v. 68: allitterazione lettera “M” ed enjambement (vv.68/69)
6. vv. 70-71: effringere ut= anastrofe; arta naturae portarum claustra= metafora (indica dapprima i lacci della religio
e dell’ignoranza umana, poi l’audacia di Epicuro, che ha saputo spalancare le porte della verità. In
particolare la porta riveste un significato sacrale, rappresentando la possibilità o il divieto di accesso
alla conoscenza e al divino)
7. vv. 72-73: extra… flammantia moenia= iperbato; flammantia moenia mundi= metafora che designa la cintura di
fuoco che circondava la terra secondo l’antichità il mondo era finito e circondato dalla sfera del fuoco;
Epicuro aveva invece sostenuto che l’universo è infinito e che oltre il cerchio del fuoco vi sono altri
mondi. Secondo le dottrine orfico- pitagoriche dalla sfera del fuoco derivavano le anime, che poi vi
facevano ritorno come sede definitiva; dunque affermare che Epicuro ha varcato questo limite può
implicare una polemica con i pitagorici.
v. 74: mente animoque= endiadi
v. 77: quanam= anastrofe (dovrebbe essere messo prima di finita potestas)

Cose da notare
1. Super= avverbio; Servio, nel commento all’Eneide, scrive che “Secondo Lucrezio la superstizione è il timore inutile
e vano di ciò che ci sovrasta, cioè delle cose divine che stanno sopra di noi”
2. Mortalis= accusativo plurale arcaico in –is
3. Obsistere= ob (opposizione)+ sistere (stabilità)
4. inritat= perfetto sincopato per inritavit; cupiret= forma arcaica di cuperet
5. unde refert nobis victor= victor ha valore predicativo e fa parte del linguaggio militare, così come refert (“portare
il bottino)

Analisi del periodo


Giallo= principale
Verde acqua= proposizione narrativa
Rosso= proposizione relativa
Blu chiaro= proposizione del participio congiunto
Verde chiaro= coordinata copulativa e per asindeto
Arancione= proposizione infinitiva
Viola= proposizione consecutiva
Violetto= proposizione relativa locativa
Bordeaux= proposizione interrogativa indiretta

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