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FASI DEL PROCESSO INQUISITORIO

Il processo accusatorio, previsto dal diritto romano, consisteva nel pubblico confronto orale
fra accusatore e accusato, al quale assisteva il giudice: l'onere della prova ricadeva
sull'accusatore, che se non dimostrava le proprie accuse, era condannato dal giudice alla
pena che avrebbe dovuto subire l'accusato in caso di riconosciuta colpevolezza. Il tribunale
dell'Inquisizione adottò invece la procedura del processo inquisitorio – dal latino inquisitio,
indagine – nel quale il giudice è anche accusatore: sulla base di una denuncia anche
generica, egli è tenuto a raccogliere le prove della colpevolezza dell'imputato, conducendo
indagini segrete e dirigendo il processo al quale, secondo quanto stabilito nel 1205 dalla
decretale Si adversus vos di Innocenzo III, il pubblico non può assistere né è ammessa la
presenza di un avvocato difensore; le testimonianze e le dichiarazioni dell'imputato sono
verbalizzate. Per giungere alla condanna è sufficiente la testimonianza concorde di almeno
due testimoni o la confessione dell'imputato, il quale viene detenuto in carcere durante lo
svolgimento del processo, che non ha una durata predefinita e le cui udienze – i costituti – si
svolgono a discrezione dello stesso giudice.

Se la prova della colpevolezza non viene raggiunta e allo scopo di sciogliere le eventuali
contraddizioni presenti nelle sue deposizioni, l'imputato è sottoposto a tortura - mezzo di
coercizione legittimato dalla giurisprudenza fino al XVIII secolo - generalmente consistente
nella corda: legate le braccia dietro la schiena, l'imputato, nudo, viene sollevato da terra
dalla corda che scorre su una carrucola fissata al soffitto. Egli è tenuto in quella condizione
per non più di mezz'ora, perché una durata superiore può comportare gravi conseguenze,
dalle lesioni agli arti superiori fino al collasso cardiocircolatorio, ma spesso la tortura della
corda avviene in altro modo: la corda viene lasciata e poi bloccata all'improvviso, in modo da
provocare strappi muscolari e slogature delle spalle oppure direttamente si danno allo
stesso scopo violenti strattoni alla corda con il torturato ancora a terra; talvolta all'imputato
sospeso in alto si avvicinavano torce o candele alle gambe provocando forti ustioni. La
tortura poteva essere reiterata più volte nel corso del processo, anche per cercare torture
più efficaci ed invasive.

Se ritiene che l'accusa di eresia sia stata provata (anche tramite la confessione estorta dopo
ripetute torture), il tribunale chiede all'imputato di abiurare, cioè di rinnegare le proprie
convinzioni. Abiurando, se non è recidivo, l'imputato evita la condanna a morte e viene
condannato a pene diverse, dalle preghiere ai digiuni, dalla multa alla confisca dei beni,
dall'obbligo di indossare, per sempre o per un determinato periodo, l'abitello – una veste
gialla con due croci rosse sul petto e sulla schiena che lo identifica pubblicamente come
eretico penitente – fino al carcere, anche a vita. Se è recidivo (magari anche solo per aver
prima confessato sotto tortura e poi negato), relapso, l'imputato è condannato
necessariamente a morte: pentendosi, viene prima strangolato o impiccato e il cadavere
viene poi bruciato e le ceneri disperse; se è impenitente, viene bruciato vivo. La pena viene
eseguita dall'autorità civile, il cosiddetto braccio secolare – al quale il tribunale
dell'Inquisizione rilascia il reo – in quanto gli ecclesiastici non possono «spargere il sangue»,
come indicato dalla costituzione De iudicio sanguinis et duelli clericis interdictio del Concilio
Lateranense IV del 1215; anche all'autorità civile il tribunale raccomanda di eseguire la
sentenza evitando di spargere il sangue del condannato e la bruciatura sul rogo, con o
senza strangolamento preventivo, evita appunto lo spargimento di sangue.
LA CACCIA ALLE STREGHE
Un capitolo a parte nella storia del tribunale dell'Inquisizione è rappresentato dalla
cosiddetta «caccia alle streghe»: l'Inquisizione, come sì è detto, era nata per riportare gli
eretici nel solco della «vera fede» e fu solo con papa Giovanni XXII che la competenza degli
inquisitori venne estesa alle persone sospettate di compiere atti di stregoneria.

Due inquisitori domenicani, inviati di papa Innocenzo VIII in Germania, Heinrich "Institor"
Kramer e Jacob Sprenger per venire incontro alle richieste dei loro colleghi approntarono un
manuale che conteneva tutte le informazioni utili per riconoscere, interrogare e punire
streghe e stregoni. L'opera, pubblicata a Strasburgo nell'inverno tra il 1486 e il 1487 aveva
un titolo altisonante Malleus Maleficarum (Il martello delle malefiche) .

Molti studiosi hanno affrontato l'argomento e hanno discusso, nel tentativo di determinare
delle stime accettabili e condivise sul numero delle vittime della caccia alle "streghe" durante
i tre secoli in cui sia i tribunali dell'Inquisizione che quelli della Riforma le condussero al
rogo. Le cifre che si ipotizzano in ordine alle vittime della persecuzione vanno considerate
come ordini di grandezza: le ipotesi più attuali parlano di circa 110.000 processi e 60.000
esecuzioni, mentre a risultati notevolmente inferiori si collocano pochi autori. Le vittime
furono per l'80% donne.

Giovanna D’arco si inserisce nel basso medioevo dove vediamo la Santa Inquisizione quindi
il potere della chiesa , e si racconta che giovanna venne visitata da un angelo che le disse di
andare dal re e liberare la Francia, tanto è vero che durante la guerra dei cent’anni riuscì a
liberare D’Orleans e dare la corona al delfino Carlo. Ovviamente questo suo atteggiarsi da
uomo e dire di essere stata prescelta da Dio, ha causato le opposizioni della chiesa che la
condannò per stregoneria il 31 maggio del 1430.

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